XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza, nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei centri di identificazione ed espulsione

Resoconto stenografico



Seduta n. 26 di Martedì 13 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Migliore Gennaro , Presidente ... 3 

Audizione del Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno, Domenico Manzione:
Migliore Gennaro , Presidente ... 3 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno ... 4 
Migliore Gennaro , Presidente ... 6 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno ... 6 
Migliore Gennaro , Presidente ... 9 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno ... 9 
Migliore Gennaro , Presidente ... 10 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno ... 11 
Migliore Gennaro , Presidente ... 13 
Lorefice Marialucia (M5S)  ... 13 
Beni Paolo (PD)  ... 13 
Chaouki Khalid (PD)  ... 14 
Colonnese Vega (M5S)  ... 14 
Migliore Gennaro , Presidente ... 15 
Manzione Domenico , Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno ... 15 
Migliore Gennaro , Presidente ... 17 

Comunicazioni del presidente:
Migliore Gennaro , Presidente ... 17

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GENNARO MIGLIORE

  La seduta comincia alle 13.35.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, ove necessario, anche su richiesta di un commissario ovvero degli auditi, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta. Al riguardo, per assicurare la massima fluidità del dibattito pubblico, prego i colleghi di riservare eventuali quesiti da sviluppare in sede riservata alla parte finale della seduta.
  Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno Domenico Manzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato al Ministero dell'interno Domenico Manzione.
  Ricordo che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, ha convenuto di procedere all'incontro con il rappresentante del Governo competente in materia in funzione dell'esigenza di acquisire elementi di conoscenza sul sistema di accoglienza nel suo complesso.
  La Commissione ha, altresì, manifestato l'interesse a conoscere gli intendimenti del Governo in ordine alle specifiche problematiche relative al funzionamento delle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e ai relativi ricorsi giurisdizionali, ovviamente per la sola parte di competenza del sottosegretario.
  In questa sede invito, altresì, il sottosegretario ad affrontare il tema delle procedure di presentazione delle domande di protezione internazionale, essendo stata segnalata una criticità sui tempi di acquisizione da parte delle questure del modello C3, nonché a illustrare le eventuali direttive ministeriali impartite ovvero in corso di adozione per l'attivazione degli hotspot.
  Inoltre, mi preme segnalare al Sottosegretario che stiamo costruendo un lavoro molto dettagliato sulla acquisizione e l'aggiornamento dei dati che ci vengono forniti dal ministero. Rinnovo il ringraziamento per la collaborazione che ci viene fornita. Nell’iter della nostra inchiesta abbiamo valutato che ci potrebbero essere delle forme di acquisizione di questi dati più organizzate. Gli chiedo fin d'ora di verificare, eventualmente anche con gli uffici, se le nostre proposte di richieste dati possano essere un contributo utile anche nella diffusione di elementi che possono essere molto importanti nel dibattito pubblico e che fanno pienamente parte della nostra attività d'inchiesta.
  Ringrazio, quindi, il Sottosegretario Manzione per la sua disponibilità e gli cedo immediatamente la parola, ricordando che il sottosegretario è accompagnato Pag. 4dalla dottoressa Maddalena De Luca e dal dottor Antonio Piccoli, che ringrazio per la loro presenza.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno. Grazie, presidente. Per quanto riguarda la verifica sui dati da trasmettere alla Commissione, eventualmente divulgabili, ovviamente assumo l'impegno sin da ora a effettuarla.
  Per quanto riguarda la situazione del riconoscimento del diritto d'asilo, c’è già stata l'audizione del presidente della Commissione nazionale, ossia del Prefetto Trovato. La tempistica nel riconoscimento o meno del diritto d'asilo e della protezione internazionale era uno degli snodi fondamentali che sono affiorati nel corso dei lavori svolti dal Tavolo nazionale per il coordinamento delle politiche migratorie.
  L'idea di attuare sulla base di alcuni pilastri, fondamentalmente quello della corresponsabilizzazione fra autorità centrale e autorità territoriali, e di abbandonare i grandi centri, che fino ad oggi ci hanno causato solamente grandi problemi, sia di ordine pubblico, sia di altra natura e, quindi, di accogliere in pieno l'accoglienza diffusa passava di necessità attraverso una velocizzazione significativa dei tempi di riconoscimento o meno del diritto d'asilo.
  In seconda battuta, ovviamente, c’è anche la problematica della tempistica della permanenza all'interno del sistema di accoglienza, perché è evidente che, per quanto si sia molto allargato il sistema di accoglienza nel nostro Paese, esso patisce ancora un paio di punti critici tutt'altro che di scarso rilievo.
  Solo per avere un'idea degli ordini di grandezza, rispetto al 2011, dove c'erano circa 10.000 posti di accoglienza, la cifra oggi è di 98.359. Non ho difficoltà ad affermare che, ovviamente, il sistema di accoglienza è molto diversificato, perché lo SPRAR contiene circa 20.000 posti, nei CARA e nelle altre strutture governative ce ne sono altri 10.000 (siamo così a 30.000) e altri 10.000 posti sono stati implementati per il sistema SPRAR – il bando è già stato firmato ed è in corso di pubblicazione – ma è evidente che il grosso è ancora nei cosiddetti CAS, ossia nel sistema cosiddetto «straordinario», e deve essere lentamente riassorbito.
  La difficoltà è legata al fatto che l'impatto numerico degli sbarchi e, quindi, delle persone che transitano e si fermano nel nostro Paese – all'origine l'Italia era solo un luogo di transito ma adesso è anche un luogo di destinazione rispetto a molti di questi flussi – rende più problematico l'assorbimento dei posti straordinari. In un sistema di questo genere, la fluidità era uno dei punti fondamentali, tant’è che nell'approvare il Piano nazionale del luglio 2014, noi ci siamo posti esattamente questo problema, cioè quello di rendere il più possibile fluido il momento del riconoscimento del diritto d'asilo e di fissare una tempistica dell'accoglienza all'interno del sistema SPRAR.
  Abbiamo affrontato il tema in prima battuta con un aumento del numero delle Commissioni. Devo dirvi che è stata un'operazione non facile, perché dal punto di vista del MEF, in teoria, si trattava di un aumento dei costi. Si faceva fatica a digerire l'idea che un accorciamento dei tempi, in realtà, potesse comportare dei benefici, anche economici, con riferimento alla tempistica del sistema di accoglienza. Tuttavia, alla fine, come sapete meglio di me, siamo riusciti, sia pure con un provvedimento inserito in modo abbastanza eterogeneo rispetto al contenuto del decreto-legge, a raddoppiare il numero delle Commissioni.
  Il numero delle Commissioni, però, ha patito inizialmente una serie di difficoltà. Il pieno regime probabilmente si può registrare solamente da qualche mese a questa parte. Le difficoltà sono legate essenzialmente alla necessità di reperire dei locali, perché non in tutte le Commissioni e nelle subcommissioni istituite era possibile reperire locali. C’è anche la necessità di reperire personale. Sapete meglio di me che abbiamo dei limiti a introdurre nuovo personale. Inoltre, le difficoltà sono legate alla necessità di Pag. 5fare un'adeguata formazione. Non potevamo in prima battuta mandare chiunque a comporre le Commissioni.
  Delle Commissioni, peraltro, la composizione vi è ben nota, ragion per cui non sto a spendervi su parole. Hanno una composizione abbastanza eterogenea e talora criticamente eterogenea. Accanto a un viceprefetto, che normalmente svolge l'attività in via esclusiva, ci sono: un rappresentante dell'UNHCR, che ha una sua proposta e che, quindi, aspirerebbe di più a vederle dal di fuori, come funzionamento –; un rappresentante degli enti locali, che non si è rivelato sempre adeguato rispetto alla funzione a cui è stato chiamato; un rappresentante del Dipartimento di pubblica sicurezza, che a sua volta patisce una serie di limiti, o perché si attinge tra le persone che non sono più in servizio, oppure perché, quando si attinge alle persone in servizio, queste sono gravate da una serie di altri compiti e di altre funzioni, ragion per cui è difficile riuscire a ottenere servizi adeguati rispetto al compito che alla Commissione è demandato.
  Nonostante tutto questo, devo dire che le Commissioni hanno incrementato in maniera molto significativa la loro produzione. Va calcolato che dal 2013 al 2014 siamo passati a un incremento di circa il 140 per cento delle domande di asilo. Rispetto all'anno precedente, nel 2014, se non ricordo male, siamo arrivati a circa 64.000 richieste di asilo. Nel 2015 il trend è in ulteriore aumento di circa il 30 per cento sul precedente anno.
  A fronte di questi incrementi la produttività delle Commissioni è aumentata di circa il 70 per cento. Probabilmente di qui a fine anno riusciremo ad avere delle Commissioni che evadono un numero di richieste di asilo o di protezione internazionale non molto diverso dal numero delle domande in entrata. Rimane, ovviamente, tutto il problema degli arretrati, che non è di poco conto.
  Ancora una volta, cito dei dati numerici, tanto per capire quali sono gli ordini di grandezza. Fino al 10 ottobre 2014, le decisioni delle Commissioni dell'asilo erano complessivamente 27.393. Al 2015 sono 46.490. L'incremento della produttività è piuttosto evidente e si aggira intorno a quel 70 per cento di cui parlavamo prima. È ancora insufficiente, a mio modo di vedere, perché, a fronte delle richieste che erano state depositate e che l'anno passato, nel corrispondente periodo, erano 47.130, quest'anno sono 61.545. Questo ci fa presagire abbastanza agevolmente, facendo una proiezione di tipo squisitamente matematico, che di qui a fine anno avremo circa un 30 per cento in più rispetto alla 64.000 domande di asilo che sono state presentate l'anno precedente.
  L'aspetto più problematico però, a mio modo di vedere, non è solo o non tanto quello delle Commissioni, che hanno avuto un andamento variabile. La media della tempistica delle decisioni a livello europeo – del resto anche la direttiva europea prevede un termine di questo genere – è di sei mesi come termine massimo. Quest'anno le Commissioni sono partite con un gap significativo rispetto a quei sei mesi. Nel secondo trimestre siamo rientrati nei sei mesi e nell'ultimo trimestre ci attestiamo intorno ai nove mesi. Sicuramente il tempo si è dilatato e molto è dovuto a quei fattori di cui vi dicevo prima.
  Più preoccupanti io ritengo siano comunque, come dicevo prima, i dati relativi all'aspetto giudiziario, per così dire, perché la seconda fase della procedura è quella legata al ricorso che eventualmente viene innestato sul diniego avverso il riconoscimento del diritto d'asilo e della protezione sussidiaria o di quella umanitaria.
  Da questo punto di vista il primo dato non del tutto confortante è che non mi risultano esserci dei dati analitici che riguardano questo specifico settore. Nelle statistiche del Ministero della giustizia questo settore non è stato attenzionato direttamente, ma viene inserito in un dato aggregato più ampio, che non ci consente di fare delle valutazioni fondate su dati che eventualmente loro siano in grado di metterci a disposizione. I dati che noi siamo in grado di ricavare li Pag. 6ricaviamo da statistiche che sono state fatte dall'ANCI oppure da alcuni progetti che sono stati elaborati in sede giudiziaria e che riguardavano l'estensione alla procedura in questione del cosiddetto processo telematico per cercare di velocizzare il più possibile la situazione.
  Da questo punto di vista, per esempio, c’è un progetto che sta portando avanti la Commissione di Catania, progetto che peraltro, perlomeno con riferimento all'aspetto del processo telematico, noi abbiamo già superato, perché con una delibera del presidente della Commissione nazionale per il diritto d'asilo abbiamo invitato tutte le Commissioni territoriali a munirsi, oltre che di PEC, di codice fiscale. Questo ci ha consentito di poter accedere al sistema informatico della giustizia, in maniera tale da poter avere comunicazioni e notificazioni direttamente per via telematica, senza più ricorrere ai sistemi tradizionali. Sicuramente è un buon risparmio di tempo.
  I dati in questione sono, ripeto, abbastanza significativi e probabilmente emblematici, ma non su tutto il territorio nazionale, perché Catania è abbastanza gravata, avendo vicino giustappunto uno dei centri più grandi d'Europa. Per avere un'idea, i procedimenti pendenti al 13 luglio 2015 erano 3.090, i procedimenti sopravvenuti sono 2.024, i procedimenti definiti sono 480, cioè il 24 per cento dei sopravvenuti e il 16 per cento rispetto ai pendenti, i procedimenti accolti sono 293, con una percentuale del 61-62 per cento rispetto ai ricorsi, la durata media dei procedimenti è di 18 mesi e il tempo medio tra il deposito del ricorso e la fissazione della prima udienza è di otto mesi. Per quanto ci si possa sforzare di comprimere all'interno dei sei mesi la tempistica delle Commissioni, se poi in sede di ricorso la tempistica diventa questa, la prima parte...

  PRESIDENTE(fuori microfono). Pesa poco.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno. Pesa in ordine temporale abbastanza poco. Credo di poter sottoscrivere l'espressione usata dal presidente.
  Per la verità, non è che anche sotto questo profilo non si sia fatto nulla. Guardando alle statistiche dell'ANCI, che trovano riscontro in questa, a cui facevo riferimento, elaborata dal tribunale di Catania, ci si rende conto che il tasso di accoglimento dei ricorsi presentati in materia è molto elevato, perché si viaggia tra il 60 e il 70 per cento. Una prima iniziativa che si è intrapresa è quella che riguarda la formazione, perché il 70 per cento di accoglimento dei ricorsi ci sembra una cifra emblematica di un diverso proprio approccio culturale a questa materia. Rasenta la totalità dei ricorsi presentati.
  Tra l'altro, devo dire che, pur in base a queste statistiche non ufficiali di cui disponiamo, la situazione è molto dissimile da sede giudiziaria a sede giudiziaria. Evidentemente, l'esigenza di un incontro, per vedere come mai ci sia una tale divergenza di vedute fra gli organismi amministrativi che si occupano del riconoscimento del diritto d'asilo e del giudice che deve poi valutare se sia corretto il diniego, a mio modo di vedere, esiste. Abbiamo, quindi, preso contatti con la Scuola superiore della magistratura e siamo riusciti – mi rendo conto che la tempistica non è brevissima – a mettere in piedi una prima ipotesi di formazione comune tra magistrati e componenti delle Commissioni richiedenti asilo, in modo da creare quella piattaforma culturale omogenea e comune che consenta di non vedere più divergenze così significative.
  Altri interventi sono stati effettuati direttamente sotto il profilo normativo. Il primo è quello che riguarda un allineamento del giudiziario rispetto all'aumento del numero delle Commissioni. Nell'articolo 27 del decreto legislativo n. 142 del 2015, infatti, sono state inserite alcune disposizioni che dovrebbero servire a snellire significativamente la procedura giudiziaria.
  La prima è stata quella volta a rideterminare i confini delle competenze dei singoli tribunali. Poiché alcune sono nuove Pag. 7sezioni e altre sono sottosezioni, è stata aggiornata la norma con riferimento alla competenza dei tribunali, anzi del giudice monocratico, perché è lui che si occupa di queste cose, allargando la competenza anche ai giudici che hanno nel loro territorio una sezione piuttosto che una Commissione, in maniera da spalmare su un numero di organi giudiziari maggiore la competenza a conoscere l'opposizione all'eventuale ricorso contro il diniego del diritto d'asilo o della protezione sussidiaria.
  La seconda sostanziale novità è quella di aver reintrodotto, questa volta per tutti i gradi del giudizio, dei termini all'interno dei quali la decisione giudiziaria dovrebbe intervenire. In particolare, la lettera f) del decreto legislativo che ho appena citato recita testualmente: «Entro sei mesi dalla presentazione del ricorso il tribunale decide, sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione, con ordinanza che rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo stato di rifugiato o di persona a cui è accordata la protezione sussidiaria. In caso di rigetto la Corte d'appello decide sulla impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso. Entro lo stesso termine la Corte di cassazione decide sull'impugnazione del provvedimento di rigetto pronunciata dalla Corte d'appello».
  Gli inconvenienti, già a una prima lettura, risultano evidenti. È inutile che io ve li sottolinei. Il primo è che comunque si tratta di sei mesi. Tra sei mesi, sei mesi e sei mesi, alla fine, prima di arrivare a un provvedimento definitivo, siamo tornati ai 18 mesi di cui parlavo all'inizio.
  Il secondo aspetto problematico è che, in ogni caso, essendo in attesa di una decisione giudiziaria, i termini non potranno che essere ordinatori, per ovvie ragioni. Questo mi sembra del tutto scontato. Non sto a spendere ulteriori parole per dimostrare l'assunto. Questo significa che o l'autorità giudiziaria si organizzerà in maniera da poter fornire una risposta tempestiva oppure l'eventuale mancato rispetto del termine non produrrà alcun tipo di effetto, salvo ovviamente che non sia reiterato e accompagnato da un determinato atteggiamento psicologico da parte del singolo magistrato, nel qual caso eventualmente potranno scattare sanzioni disciplinari e cose di questo genere. Siamo su un altro piano, però, rispetto a quello che interessa a noi in questo momento.
  Di questa situazione il legislatore, ossia il Parlamento, per la verità, si è reso perfettamente conto, tant’è che in un altro decreto-legge, anche questa volta a contenuto piuttosto eterogeneo, vale a dire quello che riguardava le «Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale», ha aggiunto poi alla fine anche quelle di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione della giustizia e ha introdotto una nuova norma organizzativa – nell'articolo 18-ter della legge 6 agosto 2015, n. 132, che converte il decreto – che prevede la possibilità di applicazioni straordinarie di magistrati per l'emergenza connessa con i procedimenti di riconoscimento dello status di persona internazionalmente protetta e altri procedimenti giudiziari connessi ai fenomeni dell'immigrazione.
  Per i tribunali dove hanno sede la Commissione o la sezione, in base alla disposizione che citavamo prima, c’è la possibilità di fare delle applicazioni straordinarie di magistrati. Si tratta, però, di applicazioni effettuate secondo una disciplina che deroga parzialmente all'articolo 110 dell'ordinamento giudiziario (Regio decreto n. 12 del 1941), ma che in ogni caso, per quello che non deroga, fanno comunque capo a quella disposizione. Sempre di un'applicazione stiamo parlando.
  Il CSM si è mosso e ha emanato una circolare, dando tempo ai presidenti delle Corti per valutare la possibilità di applicazione straordinaria a voler formulare le richieste di applicazione extradistrettuale. Ha dato tempo entro il 6 ottobre 2015, per farvi comprendere anche la tempistica. Entro il 6 ottobre 2015 – a oggi, in teoria – dovremmo sapere quanti sono gli uffici giudiziari in cui si è fatta richiesta di applicazione straordinaria e Pag. 8dovremmo capire grosso modo come queste risorse aggiuntive saranno distribuite sul territorio.
  La mia impressione – poi, per carità, concludo e mi taccio; eventualmente aspetto richieste di chiarimenti da parte vostra – è che comunque tutto questo dovrà essere ricalibrato con riferimento al Piano europeo sull'immigrazione, perché il Piano europeo sull'immigrazione – il presidente lo sa meglio di me – si riferisce esclusivamente agli asilanti e ai richiedenti protezione internazionale. È chiaro che tutto questo avrà delle ripercussioni inevitabili sui Centri di identificazione ed espulsione, per ovvie ragioni, e – questa è una mia previsione personale, ma credo che non sia difficile effettuarla – con la tempistica che abbiamo noi ora, creerà una forbice sempre più ampia di persone rispetto alle quali non si può fare né l'uno, né l'altro ragionamento. La mia impressione è che forse si debba veramente ripensare tutto il sistema, tenendo insieme però l'aspetto amministrativo e l'aspetto giudiziario, perché l'orientamento dell'aspetto amministrativo inciderà inevitabilmente anche su quello giudiziario.
  Faccio un esempio banale. Una delle idee che circolano – la cito perché è quella alla quale io forse sono più affezionato – è quella di creare uno iato tra l'aspetto istruttorio e l'aspetto decisionale, il che potrebbe consentire ad un nucleo ristretto di persone che stanno sul territorio di effettuare le interviste e di procacciare la documentazione, che può essere trasmessa anche telematicamente, a una Commissione, che a quel punto può anche essere centralizzata. A quel punto, la Commissione, se non ha bisogno di un ulteriore intervento che consenta o imponga l'acquisizione di nuova documentazione, può decidere sulla scorta di quello che è stato fatto.
  Tra l'altro, questo potrebbe avere una sua duttilità, perché il numero delle persone impegnate – ovviamente congruamente formate in precedenza – potrebbe variare a seconda del numero dei flussi. Si potrebbe così avere un'elasticità adeguata rispetto al numero delle persone che arrivano in Italia e fanno richiesta di asilo.
  È evidente che, se si scegliesse una strada di questo genere, avremmo delle ripercussioni inevitabili sul giudiziario, perché oggi la competenza è radicata con riferimento alle singole Commissioni e, quindi, riusciamo a spalmarla sul territorio nazionale e sul numero dei tribunali, che magari avrebbero bisogno di essere organizzati, dato il consistente afflusso di persone che fanno richiesta di asilo, puntualmente con riferimento a questo aspetto. Avrebbero bisogno di maggiori supporti di carattere organizzativo. Se noi ipotizzassimo un accentramento, è evidente che finiremmo poi per creare delle ripercussioni anche dal punto di vista della cognizione del giudice che deve andarsi a occupare di questa materia.
  Proprio per la stretta interrelazione che c’è tra queste due questioni – faccio un altro esempio e illustro un'altra idea cui io sono abbastanza affezionato, sempre nella logica di cui parlavamo prima – non è affatto detto – fermo restando, che trattandosi di diritto soggettivo (ormai l'hanno detto le Sezioni unite, non c’è discussione), il ricorso va presentato al giudice ordinario – che il giudizio si debba introdurre sotto forma di ricorso, esattamente così come accade oggi. Non lo prevede nessuna delle direttive europee. Il controllo giudiziario ci deve essere, questo è fuori discussione, nel caso in cui l'interessato lo richieda, ma non è affatto detto che debba assumere le forme di un giudizio nei termini in cui è oggi strutturato.
  Anche questo potrebbe implicare una congrua riduzione dei tempi in questione. Va da sé che comprimere significativamente i tempi del riconoscimento del diritto d'asilo significa probabilmente risparmiare dal punto di vista economico prima, ma andare incontro a spese e a costi sociali dopo, se non si fanno anche una serie di altre cose.
  Anche il Piano rimpatri che è stato elaborato, se non è efficiente, corre il rischio che tutta questa rapidità scarichi, su altre voci di bilancio o addirittura sul sociale, una serie di problematiche che Pag. 9avremmo spostato da quel segmento della procedura per farle ricadere su un altro segmento della procedura.
  Questo è grosso modo lo stato dell'arte, presidente.

  PRESIDENTE. Volevo solo chiederle se può fornirci anche delle informazioni sulle direttive relativa agli hotspot e sulla questione del modello C3. Abbiamo avuto numerose segnalazioni di un tempo molto lungo tra lo sbarco e la possibilità materiale di presentare il C3.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno. La tempistica è di circa due mesi. Questi sono i dati ufficiali che vengono proprio dal Ministero dell'interno. Noi abbiamo un Piano, che è poi il Piano che è stato trasmesso alla DG-Home europea – sono in grado anche di lasciarvelo, così almeno potete vedere in concreto come più o meno si sviluppa – che tiene conto di tutti e due gli aspetti di cui lei mi chiedeva.
  Per quanto riguarda il modello C3, intanto ci sono già stati una significativa semplificazione da una parte e un arricchimento dei dati dall'altra, perché molti presidenti delle Commissioni si lamentavano nel fatto che, quando il C3 arrivava, era povero di informazioni. Ne è stato predisposto un nuovo modello, che adesso è molto più significativo e molto più ricco di informazioni. Questo dovrebbe sicuramente agevolare il lavoro delle Commissioni nel vedere se la richiesta di asilo sia ammissibile o non ammissibile, se sia da accogliere o non sia da accogliere.
  Per quanto riguarda la tempistica, invece, tutto è molto legato all'attuazione del Piano, perché il Piano prevedeva da parte di tutte le regioni la creazione di hub regionali che dovevano essere quelli di prima accoglienza, sostanzialmente dopo il primo soccorso. Sulle zone di sbarco devono funzionare dei centri gestiti direttamente dall'amministrazione centrale che operano solo il primo soccorso e, quando riescono, anche una preidentificazione. Finché ci sono state le navi militari attrezzate, è stato possibile farlo. All'epoca di Mare Nostrum, tanto per darvi un'idea, molte identificazioni venivano fatte direttamente a bordo delle navi.
  Superata la prima fase, le regioni dovevano provvedere all'individuazione degli hub regionali, cosa alla quale non tutte le regioni hanno provveduto con tempestività; forse la prima e più efficiente è stata l'Emilia-Romagna, mentre le altre stanno arrivando in ordine sparso. Non faccio fatica a dire che in alcuni casi gli hub sono stati recuperati attraverso la ristrutturazione e il riadattamento di alcune strutture che già avevamo o l'individuazione di altre strutture, come le caserme, che ci sono state messe a disposizione da parte del Ministero della difesa.
  In quella sede dovrebbe essere presentato il C3 e in quella sede, in seconda accoglienza, è prevista una permanenza molto breve. Stiamo parlando di una o due settimane al massimo. Secondo il Piano, una volta che tutto sarà a regime, la tempistica dovrebbe essere compressa esattamente nei tempi che ho detto ora.
  Per quanto riguarda gli hotspot, sono una formula magica alla quale l'Europa tiene in maniera particolare, ma in realtà l'unico vero obiettivo dell’hotspot, ferma restando la nostra legislazione attuale, è quello dell'identificazione e del prelievo delle impronte digitali. Per il resto, la tipologia di servizi che vengono offerti dagli hotspot non è affatto diversa dalla tipologia di servizi che vengono offerti da un normale centro di accoglienza. Si passa dallo screening sanitario al soccorso medico, nel caso in cui il soggetto ne abbia bisogno, al kit per il vestiario, al primo colloquio con i mediatori presenti all'interno dei centri, per finire con l'identificazione e il rilascio dell'impronta digitale.
  Il fatto che si sia avviata, come sapete, da venerdì scorso l'operazione della relocation, sia pure con riferimento ad un numero abbastanza esiguo di persone – sono 19 i cittadini eritrei che sono stati trasferiti in Svezia, come primo atto di relocation – non è così significativo. Per carità, sono 19 vite che tornano ad avere una qualche speranza, il che non è da Pag. 10sottovalutare come evento, ma mi rendo conto che di fronte a certi numeri sembra un po’ «il cucchiaino che tenta di svuotare il mare».
  Tuttavia, le ragioni legate a esigenze di sicurezza e agli ultimi attentati che ci sono stati in Europa fanno degli hotspot un vero e proprio punto cruciale nella visione europea. Noi abbiamo in tutte le sedi sottolineato che, in ogni caso, allo stato attuale della nostra legislazione, per noi hotspot altro significato non ha che quello di un centro, per forza di cose chiuso, ma finalizzato esclusivamente all'identificazione. Dopodiché, una volta presentata la domanda di asilo, si passa immediatamente alle altre fasi dell'accoglienza e, quindi, non c’è più alcuna possibilità di trattenimento coatto.
  Il vero problema, io credo, sarà quello della forbice di cui parlavo prima, ed è legato probabilmente anche alla psicologia, perché tra le persone che sbarcano le notizie si diffondono con una certa rapidità.
  La mia sensazione – che però è una sensazione, pertanto prendetela esattamente per tale – è che fino a ieri le persone che facevano domanda d'asilo fossero, paradossalmente, quelle meno titolate ad averlo, mentre quelle più titolate ad avere il diritto alla protezione preferivano allontanarsi senza farsi identificare. Una volta che questa seconda categoria si rendesse conto che attraverso la relocation non avrebbe alcun problema a rilasciare le proprie impronte, perché potrebbe ripartire immediatamente per i luoghi di destinazione dove crede di poter andare, dove vuole andare o dove ha altri familiari da cui poter andare, probabilmente avrà meno difficoltà a rilasciare le impronte.
  Potrebbe accadere l'esatto contrario con riguardo alle persone che, invece, secondo il Piano europeo, dovrebbero essere di necessità allontanate, perché magari rientrano nella famigerata categoria – uso l'espressione tra virgolette – dei «migranti economici». Corriamo il rischio di assistere ad una sorta di inversione di tendenza rispetto a quello che è successo fino a oggi.

  PRESIDENTE. Volevo solo chiederle, in riferimento a tutti i documenti che ci lascerà, se sono riservati e che regime di riservatezza hanno.
  Ringrazio ovviamente il sottosegretario e, al fine di dare ordine al dibattito, darò prima la parola ad un commissario per Gruppo e successivamente agli altri componenti della Commissione che chiederanno di intervenire. Innanzitutto, però, mi permetto di fare io stesso alcune domande. Saranno molto brevi, ma ne ho più d'una.
  Noi stiamo seguendo e abbiamo acquisito la documentazione di una vicenda. Ovviamente non richiedo che a tutte le domande vengano fornite le risposte adesso, ma gliele voglio fare, in modo tale che eventualmente in un'occasione successiva o per iscritto possiamo ricevere delle informazioni.
  In particolare, noi ci siamo informati su una vicenda che ha riguardato l'espulsione di alcune ragazze nigeriane dal CIE di Ponte Galeria, inizialmente trattenute in 66, di cui si sta occupando anche la Special Rapporteur delle Nazioni Unite. Stiamo acquisendo il materiale per capire se ci siano stati degli elementi problematici, in particolare in vigenza di sospensive dichiarate dal tribunale; ma questo è un aspetto di cui non intendo chiederle. Volevo chiederle, invece, se ci sono altri casi nei quali persone direttamente raccolte in mare vengono tradotte nei CIE e se queste persone hanno avuto effettivamente la possibilità e l'informazione necessaria per poter eventualmente presentare la richiesta d'asilo.
  La seconda questione che pongo, connessa a questa, è se esiste una direttiva o una modalità che faccia chiarezza, al momento dell'identificazione, sul rapporto con i consolati e con i rappresentanti delle ambasciate. Come sappiamo, in alcuni casi – questo si è verificato perché abbiamo ricevuto delle segnalazioni in questo senso –, questi non rappresentano degli elementi di collaborazione, ma eventualmente elementi che mettono in difficoltà le persone che scappano da quei Paesi.Pag. 11
  Inoltre, mi è stato segnalato – per passare ad un altro argomento – che, nel caso di molti dei ricorsi che vengono accolti, secondo il magistrato di Cassazione che mi ha fornito l'informazione, l'alto numero di accoglimenti sarebbe giustificato dal fatto che vengono riscontrati spesso dei difetti di documentazione da parte delle Commissioni. In questo senso la necessità di una formazione più strutturata di coloro i quali compongono le Commissioni è importante. Non c’è solamente un'omogeneità di giudizio, che io ritengo, come lei, assolutamente necessaria, ma c’è anche il fatto che spesso per difetti di forma vengono accolte domande soprattutto per quanto riguarda matrimoni forzati e situazioni non assimilabili immediatamente a quelle dei profughi di guerra.
  La successiva è una domanda specifica in relazione anche al nostro ruolo in ambito europeo. Le volevo chiedere qual è attualmente, che lei sappia, il mandato di Triton e se corrisponde a verità il fatto che dal 1o luglio questo si sia modificato, subendo un arretramento.
  Infine, è particolarmente sentito da molti commissari, che l'hanno più volte sottolineato, il tema dei CAS. Io credo che il Governo stia procedendo in una direzione giusta anche con il bando SPRAR, ma ci sono situazioni nelle quali i CAS sono fuori controllo, diciamo così. Questo è quello che stiamo anche verificando direttamente.
  In particolare, senza entrare nello specifico, anche perché in alcuni casi il Governo interviene e chiude – è successa anche una vicenda ad Aprigliano; non si trattava di un CAS, ma di un CARA, che è stato chiuso; questi sono tutti elementi che noi stiamo approfondendo con l'inchiesta – ci sono alcune zone del Paese in cui sono collocati dei CAS che, a mio modesto avviso, sono problematiche in sé. Se si mette un CAS con delle donne nigeriane a Castel Volturno, dove c’è già una rete fortemente attiva di italiani e nigeriani che fanno la tratta e lo sfruttamento della prostituzione, è chiaro che, trattandosi di strutture aperte, quelli sono soggetti eventualmente più vulnerabili.
  Riferisco una impressione personale, ma è nostra intenzione fare un approfondimento anche più specifico. Ci sono delle zone in cui effettivamente, non tanto per questioni di ordine pubblico, che pure tanta polemica hanno suscitato sui giornali (penso ai luoghi di villeggiatura), ma proprio perché ci sono delle preesistenti reti che fanno caporalato e sfruttamento della prostituzione, forse la cosa più consigliabile sarebbe di non metterli e magari di mettere dei centri più controllati, non certo dei centri straordinari, che spesso sono, banalmente, alberghi oppure strutture improvvisate che vengono utilizzate.
  Ci tenevo molto a dire questo perché quello della tratta e della protezione delle donne è stato un tema che noi abbiamo esaminato anche con altre delegazioni, per esempio quella norvegese e quella tedesca, che abbiamo incontrato ed è un tema rispetto al quale, secondo me, c’è bisogno di una grande sensibilità e attenzione.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno. Presidente, io non sono grado di rispondere. Dovrei fare delle verifiche. Per quanto riguarda l'espulsione delle nigeriane, ricordo di aver risposto ad un'interrogazione parlamentare, perché ci siamo già occupati di questa vicenda. Ricordo di essermi molto speso in merito. Mi è stato opposto, però, da parte della questura e della prefettura – alla fine l'ordine lo fa la prefettura di Roma – un mancato accoglimento da parte dell'autorità giudiziaria proprio delle istanze presentate dalle interessate. Non ho avuto grandi margini di manovra stretto tra la decisione amministrativa e quella giudiziaria.
  Dal soccorso ai CIE, francamente, non mi risulta, ma mi impegno a fare delle verifiche da questo punto di vista. Con il Piano europeo non escludo che questo possa succedere, se ci si rifiuta di farsi identificare, poiché noi non abbiamo una norma che ci consenta il trattenimento. Diversamente qualsiasi autorità giudiziaria Pag. 12potrebbe probabilmente creare un qualche problema. Oltre un determinato lasso temporale non siamo in grado di trattenere. Se il rifiuto permane e, ovviamente, non c’è possibilità di vincerlo con la persuasione – perché non si può usare la forza fisica – questa è un'evenienza che, secondo me, il Piano europeo potrebbe comportare. Non mi risulta che allo stato attuale si sia ancora verificata, ma, ripeto, cercherò di raccogliere dati da poter eventualmente comunicare alla Commissione.
  Lo stesso discorso vale per quanto riguarda la convenzione con i consolati.
  Sull'accoglimento dei ricorsi io ho la sensazione che, più che un problema di forme o di contenuto, ci sia proprio un diverso approccio. Capisco perfettamente che la Commissione ha ben chiaro il quadro dell'accoglienza e, quindi, del numero delle persone in accoglienza e di cosa significhi gravare o non gravare il sistema di accoglienza, che è già sufficientemente stressato allo stato attuale. Dal punto di vista del giudice, però, questo è il riconoscimento di un diritto. Capisco che l'atteggiamento psicologico probabilmente comporta un approccio di stampo squisitamente diverso.
  È esattamente quello che è accaduto, per esempio, per quanto riguarda gli arresti domiciliari, di cui pure si occupa l'ultima direttiva. Noi abbiamo avuto dei casi di arresti domiciliari messi all'interno di strutture di accoglienza, il che per noi significa sostanzialmente negare un posto a chi magari ha diritto a essere accolto in questa struttura perché c’è qualcuno agli arresti domiciliari. Alla fine siamo riusciti ad ottenere un compromesso.
  Tutto questo deriva dal fatto che chi non ha un luogo stabile dove stare può «comodamente» essere allocato all'interno di una struttura di accoglienza; ma così in realtà non è. Alla fine abbiamo raggiunto un compromesso – ragionevole secondo me – dicendo che, se uno il reato lo fa e va agli arresti domiciliari provenendo da un centro di accoglienza – quindi stava già nel centro di accoglienza – è plausibile che ci torni anche in regime di arresti domiciliari. Per chi, invece, non ci stava prima, non c’è alcuna ragione di mettercelo.
  Mi rendo conto che si tratta di una scelta dolorosa nei confronti del soggetto, perché si potrebbe obiettare che uno che potrebbe, in teoria, andare agli arresti domiciliari così non ci va e rimane ristretto in carcere perché non c’è un luogo a disposizione. Tuttavia, io devo fare un bilanciamento tra un soggetto che ha diritto a entrare nel sistema di accoglienza e di reati non ne ha fatti e uno che, invece, non ha diritto a essere al centro di accoglienza e che di reati si ipotizza ne abbia fatto uno. Lo dirà poi il giudice se l'ha fatto per davvero o no, ma dovendo scegliere tra due situazioni di questo tipo, la prima situazione mi sembrerebbe ragionevolmente più meritevole di tutela rispetto alla seconda.
  Per carità, ripeto, noi stiamo andando avanti con la formazione – speriamo molto nella formazione congiunta –, ma la mia sensazione è che probabilmente si debba arrivare a ridisegnare completamente sia la procedura amministrativa che la procedura giudiziaria. Devono essere ridisegnate l'una tenendo conto delle esigenze dell'altra, altrimenti io ho l'impressione che con numeri di questa portata la sofferenza del sistema – che è già in sofferenza – nel lungo periodo sia destinata ad aumentare.
  Per Triton devo a mia volta prendere informazioni, perché a me non risulta aver modificato la sua missione.
  Per quanto riguarda i CAS, presidente, sono ovviamente una spina nel fianco. Al di là di situazioni specifiche, sono una spina nel fianco in termini oggettivi, perché rappresentano il fallimento di quella politica di coordinamento con la territorialità che il Piano, invece, vorrebbe fosse ben viva attraverso i tavoli regionali. Probabilmente solo un'allocazione che veda il territorio consenziente non produce respingimenti e crisi di rigetto. Le allocazioni imposte da un prefetto della Repubblica che non tiene conto molto spesso di questo – perché è costretto a fare una gara rispetto alla quale può Pag. 13vincere una cooperativa che viene da fuori e che magari ha preso in affitto l'unico albergo cittadino che in quel momento è sfitto – creano una serie di problemi. Nel caso che citava lei ciò è ancora peggiore, perché ne crea di ulteriori rispetto a quelli ordinari che già ci sono.
  In più va tenuto conto che, mentre lo SPRAR prevede un percorso con una serie di aiuti in termini di mediazione, di formazione e di consapevolezza da parte del soggetto richiedente asilo della possibilità di camminare sulle proprie gambe, servizi di questo genere non possono essere forniti dalla struttura straordinaria con la stessa adeguatezza. Anche da questo punto di vista assumerò tutte le informazioni del caso, quanto meno per eliminare quella problematica aggiuntiva cui faceva riferimento lei.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIALUCIA LOREFICE. Sottosegretario, lei ha parlato anche degli hotspot, il cui scopo dovrebbe essere quello di dividere chi ha diritto d'asilo da chi deve essere rimpatriato. Lei stesso ha detto che rappresentano anche un punto cruciale per l'Europa. Tuttavia – è un'informazione che mi è giunta proprio ieri – probabilmente al momento c’è ancora qualcosa che non funziona. Io le porto un caso specifico.
  Ieri da Pozzallo mi sono arrivate delle informazioni. Sono stata contattata da alcuni cittadini, i quali sostenevano che 22 migranti sarebbero stati mandati via dal centro di prima accoglienza e che ad oggi essi si troverebbero in una sorta di zona ferroviaria, ammassati lì, senza generi di prima necessità, senza vestiti, senza niente.
  Naturalmente, io ho cercato di verificare confrontandomi con la prefettura, che però mi ha rimandato alla questura. Ho chiesto alla questura, ma fino ad ora non ho ricevuto alcun tipo di spiegazione. Le uniche informazioni che sono riuscita ad avere provengono da questi cittadini.
  Essi sostengono che sarebbero stati messi alla porta dal centro di prima accoglienza, con un foglio di via scritto in italiano, e che sarebbe stato intimato loro di allontanarsi entro sette giorni, pena una multa. Peraltro, la domanda è come dovrebbero pagare eventualmente questa multa. Sarebbero stati mandati via senza spiegazioni su dove andare e su cosa poter fare. Naturalmente la cosa che hanno contestato questi migranti era la difficoltà di riuscire a capire quello che veniva loro chiesto.
  Alla luce di questo episodio specifico, immaginando che al momento situazioni del genere potrebbero anche verificarsi in altre zone e in altri hotspot, le chiedo se voi siete a conoscenza di problemi del genere e, in generale, come il ministero intenda intervenire per scongiurare il ripetersi di situazioni simili a questa.

  PAOLO BENI. Io vorrei aggiungere una considerazione e porre al Sottosegretario una domanda.
  Sottosegretario, io apprezzo molto l'impostazione che lei all'inizio della sua relazione ci proponeva ed anche quella considerazione, da cui, a parer mio, discendono una serie di problemi aperti, quando lei ci dice che il modello di accoglienza che vogliamo realizzare è quello che vede progressivamente e gradualmente il passaggio dalla politica dei grandi centri all'accoglienza diffusa, che non è quella dei CAS, con le problematiche citate ora da ultimo, ma è quella dello SPRAR, ossia dell'integrazione attiva nel territorio. Questo modello presuppone la rapidità e la fluidità dei passaggi (sbarco, hub, seconda accoglienza e via dicendo).
  Il problema è questo: dalle considerazioni, del tutto plausibili, che tornano anche con altri riscontri che abbiamo avuto nel lavoro della Commissione, l'impressione è che corriamo seriamente il rischio che tutto il meccanismo si inceppi. Le Commissioni stanno aumentando la produttività, ma complessivamente non tengono il passo dell'incremento delle domande e soprattutto la media degli esiti sta peggiorando per il Pag. 14problema dei ricorsi, che è stato ampiamente spiegato. È evidente che questo non è un problema del Ministero dell'interno, ma principalmente del Ministero di giustizia. Dobbiamo capire come l'affrontiamo, però.
  Soprattutto mi preoccupa la contraddizione, che salta agli occhi, di questo rapporto abnorme fra la prima decisione della Commissione e l'esito finale dei ricorsi. Evidentemente abbiamo un problema. Fra amministrazioni dello Stato che hanno competenze diverse non può esserci una difformità così forte. Dobbiamo capire come affrontarla.
  Anche alcune interpretazioni vanno chiarite. Lei ci diceva che per noi l’hotspot è un centro destinato all'identificazione. Fatto quello e svolte quelle procedure, il trasferimento coatto per noi non ha ragion d'essere. Deve funzionare questo meccanismo dei vari passaggi.
  Lei parlava di approccio europeo a enfatizzare alcuni istituti. Al di là dell'approccio che può enfatizzare o meno alcuni istituti, però, le parole devono avere un significato. Non c’è il rischio che fra noi e l'Unione europea parliamo due lingue diverse e intendiamo cose diverse con lo stesso termine ? Non c’è il rischio che tutto questo meccanismo, anche se il Governo italiano non l'ha mai scelto e non l'ha mai deciso, finisca poi per riportare una massa consistente di persone nei centri a trattenimento coatto ?
  Questo è un elemento di preoccupazione, a questo punto, perché noi vedremmo lievitare inevitabilmente un numero di persone che non possono accedere al ricollocamento e che, al tempo stesso, non possono essere rimpatriate. Questa questione rischia di creare una situazione che contraddice gli stessi intendimenti, per quanto mi riguarda fortemente condivisibili, che il Governo italiano sta annunciando e perseguendo in questa fase.

  KHALID CHAOUKI. Grazie, Sottosegretario Manzione, per questa occasione di aggiornamento. Ovviamente, c’è una fase in continua evoluzione. Per questo è importante per noi capire come mano a mano il Governo interagisca con le novità europee. Proprio a questo proposito vorrei tornare su quello che ha detto il collega Beni sul tema degli hotspot e sul fatto che chi è al di fuori di questi hotspot di fatto continua a essere impossibilitato a usufruire dei ricollocamenti. Questo è un tema importante, su cui volevo chiedere qual è la situazione attuale e se si possa eventualmente ragionare.
  Il secondo punto riguarda sempre gli hotspot. Vorrei sapere se avete già una roadmap di operazioni e se si tratterà di un'iniziativa europea o italiana. Noi non vogliamo pensare sempre al peggio, anche se siamo una Commissione che ha uno scopo anche di supervisione, ma c’è il rischio di trovarci di nuovo in una crisi rispetto alla gestione dei CIE, o di quello che sarà, rispetto a numeri che sicuramente saranno importanti.
  Rispetto a questa questione, c’è il tema dell'identificazione, che giustamente sollevava il Presidente Migliore. Ci sono delle previsioni rispetto a questo tema ? Come andrebbero eventualmente portati avanti i rimpatri, a livello europeo o almeno a livello nazionale, con i Paesi con cui abbiamo già avviato trattative ? Qual è lo stato dei fatti e quali sono, secondo lei, i problemi che potrebbero emergere nelle prossime settimane ?

  VEGA COLONNESE. Vorrei solo un chiarimento, perché forse non ho capito bene. Quando si parlava dei CAS e della questione degli appalti, si è detto che una delle cose che hanno creato l'emergenza dei CAS è proprio la gestione degli appalti. C’è l'emergenza, i prefetti magari non seguono bene le gare d'appalto, i centri vengono dati in gestione a cooperative che, come abbiamo detto prima, non sono adeguate alla risposta che deve essere fornita in un contesto emergenziale che è diventato strutturale, anche attraverso strutture altrettanto inadeguate.
  Vorrei sapere qual è la risposta del ministero. In altre parole, c’è la volontà da parte del ministero e quindi del Governo di riuscire a riprendere in mano la situazione degli appalti e capire come gestirli al Pag. 15meglio ? E soprattutto c’è la volontà di capire che non si tratta più di una situazione emergenziale, ma di un fatto ormai strutturale, dato che i CAS in alcune zone d'Italia sono la risposta più immediata alla questione dell'emergenza immigrazione ?
  Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al Sottosegretario Manzione per la replica conclusiva.

  DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato del Ministero dell'interno. Grazie, presidente. Partirei proprio dall'ultima domanda, perché praticamente tutto quello che noi abbiamo fatto finora l'abbiamo fatto per rifuggire da una logica emergenziale. Lei calcoli che l'unico anno in cui è stata dichiarata la situazione d'emergenza è il 2011, quando abbiamo avuto la Primavera araba, con un flusso che era enormemente inferiore rispetto a quello del 2014 e con costi enormemente superiori rispetto a quelli che noi abbiamo sostenuto nel 2014.
  Nel 2011 – per farle avere un'idea – sono sbarcate circa 61.000 persone e la gestione emergenziale ha implicato una spesa di circa 800 milioni di euro. Nel 2014, tanto per capire le unità di grandezza, in via ordinaria sono stati gestiti circa 171.000 sbarchi e il costo è stato di 1 miliardo di euro ossia di poco superiore rispetto a quello sostenuto durante il periodo – chiamiamolo così – «emergenziale».
  Che ci si sia collocati nella logica per cui questo è un fenomeno strutturale è detto esplicitamente dal Piano, tant’è che, se lei lo va a controllare, noterà che non compaiono più numeri nel Piano. Abbiamo aderito al criterio, tra l'altro proposto dalle stesse regioni, della distribuzione su base regionale in base alla quota di fondo sociale, ma non ci sono più i numeri, proprio perché il sistema doveva funzionare a prescindere dai numeri. Poi va da sé che, nel passaggio dai 61.000 del 2011 ai 12-13.000 del 2012, ai 42.000 del 2013, ai 170.000 del 2014 e ai 137.000 che sono arrivati fino ad oggi, a questo punto l'emergenza sta nei numeri e non nel sistema.
  Proprio perché non l'abbiamo gestito con il sistema emergenziale, i prefetti in realtà fanno né più né meno quello che farebbero con ogni altro procedimento di evidenza pubblica. Prendono un modello di gara – che tra l'altro è stato approvato dal Ministero dell'interno e si trova abbastanza agevolmente su Internet – e esperiscono un procedimento di evidenza pubblica del tutto ordinario. Non scelgono assolutamente nessuno. Si svolge una gara del tutto ordinaria. Rispetto ai contraenti assumono tutte le informazioni che devono essere assunte, ivi comprese quelle antimafia, dopodiché a quel punto aggiudicano la gara.
  Ovviamente, questo non significa che in singoli casi non si possano annidare o non ci si possa trovare di fronte a situazioni che non sono del tutto regolari, ma dal punto di vista della costruzione del sistema direi che il sistema attualmente funziona secondo i binari del tutto ordinari. Va in sofferenza per via del numero.
  Situazioni particolari, ovviamente, siamo perfettamente disponibili a verificarle. La invito in questo caso a segnalarcele direttamente. Io non ho alcuna difficoltà, lo dico francamente, non ho alcun problema eventualmente ad attivarmi in quella direzione.
  Abbiamo preso atto, a seguito di alcune inchieste giudiziarie, che c'erano situazioni in cui il malaffare riusciva a insinuarsi anche in quel residuo di 30-35 euro. Lei calcoli che nel 2011 i costi pro capite/pro die per ogni richiedente asilo erano di circa 45 euro per i maggiorenni e di circa 75-80 per i minorenni e che siamo scesi sostanzialmente alla metà. Se mi consente l'espressione un po’ colorita, ma tutto sommato abbastanza emblematica, abbiamo fatto un po’ «le nozze coi fichi secchi». Nondimeno, io non posso negare – perché le inchieste giudiziarie questo ci stanno dicendo – che nonostante ciò qualcuno è riuscito a inserirsi in quella direzione.
  Da questo punto di vista noi abbiamo intensificato i controlli da parte dei prefetti, Pag. 16ossia della territorialità, e implementato il nucleo di controllo centrale, che è anche a sorpresa. Tutto questo aspetto, a questo punto, va scaricato di necessità sul controllo, perché l'unico modo per lucrare è quello di non fornire tutti i servizi previsti dal capitolato. È evidente, altrimenti con 35 euro diventa abbastanza difficile riuscire a far uscire un margine, se non con inadempienze agli obblighi che il capitolato impone. È evidente, altrimenti da qui non se ne esce.
  Da questo punto di vista l'aspetto più significativo, il controllo, l'abbiamo implementato. Siamo ovviamente disponibili a effettuarlo anche in casi mirati. Da questo punto di vista siamo a completa disposizione.
  Rispetto ai rimpatri, europei o nazionali, personalmente è da un anno che spingo per i rimpatri europei e non nazionali, proprio perché quella forbice, secondo me, in base al Piano europeo, si andrà allargando a dismisura. In altri termini, il migrante economico, quello che viene etichettato a livello europeo come migrante economico, non ha allo stato attuale alcuna possibilità di rimanere se non in base alle singole legislazioni nazionali, che sono frastagliate ed eterogenee l'una rispetto all'altra.
  Anzi, da questo punto di vista direi che forse l'Europa adesso dovrebbe finalmente cominciare a porsi il problema di un Piano collaterale che riguardi i migranti economici e non solo gli asilanti, proprio per poter creare anche nei confronti di costoro una via d'accesso legale che eventualmente consenta, una volta fornita la via d'accesso legale, di essere, se si vuole, anche più rigidi per quanto riguarda il ritorno ai Paesi di origine.
  Io credo che l'ultima parola non possa che venire dall'incontro che si terrà a La Valletta a novembre prossimo. Per ora esiste un Piano europeo che prende in considerazione l'ipotesi dei rimpatri europei. La prende in considerazione – è facile intuirlo – perché si fa più volte riferimento al cosiddetto «more for more». Il problema, per esempio, a livello nazionale è che noi avevamo fondamentalmente un solo accordo, ce l'avevamo con la Libia, e l'abbiamo fatto saltare. Ci mancano tutta una serie di accordi bilaterali con gli Stati da dove maggiormente arriva il flusso oggi, che sono quelli dell'Africa Nord-Occidentale.
  In realtà, esiste un accordo di carattere generale con la gran parte dei Paesi africani, lo ricorderete, l'Accordo di Cotonou, che all'articolo 13 – cito a memoria; potrei sbagliare l'articolo – prevedeva già le ipotesi dei rientri. Il «more for more», in realtà, fa leva su quell'accordo e sui Piani di sviluppo economico. Evidentemente li mette sullo stesso piano, il che era il suggerimento iniziale. La clausola umanitaria in tutti gli accordi di cooperazione allo sviluppo evidentemente ci deve essere, perché altrimenti, in seconda battuta, un Paese si trova in difficoltà a fare accordi specifici che riguardino solo la clausola umanitaria.
  La presenza a più riprese del «more for more» nel Piano europeo dei rimpatri mi fa seriamente pensare che a La Valletta si potrebbe discutere fondatamente di un'ipotesi di rimpatri europei, cosa, secondo me, assolutamente indispensabile – lo dico senza tentennamenti – almeno per due o tre buone ragioni.
  La prima è che il peso specifico degli accordi allo sviluppo che può fare l'Europa non è lo stesso che degli accordi che possono fare i singoli Stati. È evidente che le potenzialità per raggiungere un accordo sono molto maggiori se lo fa l'Europa piuttosto che il singolo Paese, sempre che il singolo Paese ci riesca.
  La seconda ragione è che, senza una condivisione degli oneri, l'aspetto dei rimpatri può diventare davvero significativamente impressionante. Tutto il meccanismo è pensato ai fini di contenere i numeri e, quindi, di poter avere un flusso ordinato secondo le regole che l'Europa stabilisce.
  La riprova – per citarne una su tutte – è l'atteggiamento della Germania, che in prima battuta ha detto: «Venite, venite tutti». Poi, a un certo punto, si è resa conto che con determinati numeri non poteva affatto gestire ordinatamente l'ingresso Pag. 17nel Paese di un numero indiscriminato di persone e ha richiuso immediatamente le frontiere.
  Lì probabilmente l'Europa è mancata, perché forse si poteva intervenire in maniera diversa. Anziché lasciare che tutte queste persone si ponessero sotto le reti attraversando due, tre o quattro Paesi fino ad arrivare rischiosamente al confine dell'Italia – perché la fine del percorso, in teoria, almeno per alcuni, potrebbe essere anche quello – passando tra l'altro sopra terreni minati, probabilmente ci sarebbe potuto essere un salto in avanti, che almeno finora non c’è stato. Di fatto la difficoltà di gestire un numero che l'Europa ipotizza così significativo in punti di rimpatrio, secondo me, implica di necessità uno sforzo di carattere più generale, europeo, perché credo che ai singoli Paesi non sia possibile richiederlo.
  In realtà, non parliamo due lingue diverse. Queste cose io credo che all'Europa alla fine siano chiare, così come è chiaro il meccanismo degli hotspot, ripeto, a legislazione attualmente vigente. Anche per quanto riguarda i rimpatri, se rimane ferma l'originaria «direttiva rimpatri», io credo che sarà difficile portare avanti fino in fondo il Piano europeo, perché, come ricorderete meglio di me, la «direttiva rimpatri» prevedeva di privilegiare il rimpatrio volontario al posto del rimpatrio coatto o eventualmente assistito. È evidente che va tutto ripensato in una logica diversa, se si vuole utilizzare questa distinzione per contenere i numeri in maniera tale che il flusso sia ordinato e che sia possibile accogliere i migranti in condizioni dignitose, per avere una possibilità poi anche di integrazione reale.
  Da questo punto di vista per i migranti economici direi che il dato più significativo che io ho potuto registrare dall'ultima riunione GAI è stato quello di un sostegno consistente ai tre Paesi che attualmente ne ospitano di più. È stato fatto uno stanziamento economicamente molto significativo sia per la Turchia, sia per il Libano, sia per la Giordania.
  È un atteggiamento, per carità, non del tutto coerente, se pensate che nella white list, per esempio, la Turchia non è stata inserita, per tutti i problemi che ha con i Curdi e tutto il resto. Da una parte, non viene inserita nella white list ma, dall'altra, gli stanziamenti vengono effettuati perché evidentemente il venir meno delle condizioni di sicurezza in campi che ospitano attualmente circa 2 milioni – questa è un'affermazione del rappresentante dello Stato turco....
  I registri coi quali si parla molto spesso sono apparentemente diversi e non del tutto sintonici fra di loro, ma su questo tema io direi che la posizione italiana è stata ben compresa. Pertanto, l’hotspot rimane con le finalità di cui parlavo prima.
  La fluidità dei passaggi è uno dei punti fondamentali – su questo concordo perfettamente – ed è per questo che, come dicevo sin dall'inizio, probabilmente c’è bisogno di immaginarsi un sistema radicalmente nuovo, perché ho l'impressione che tutte le iniziative – per carità, pur lodevoli – che abbiamo preso fino a oggi col tempo possano rivelarsi ugualmente insufficienti.
  Per quanto riguarda l’hotspot di Pozzallo ne siamo a conoscenza per l'ottima ragione che mi ha chiamato direttamente il sindaco. Intanto non è ancora un hotspot. È in predicato eventualmente di diventarlo, ma ancora non lo è. Io ho parlato direttamente con il sindaco, che spero di poter incontrare a breve, in modo che mi spieghi lui tutto quello che è successo.
  Io non ho visto materialmente i documenti ma, se è stato consegnato solamente un invito ad allontanarsi dal territorio nazionale e neanche tradotto, probabilmente siamo abbastanza carenti. È una situazione che va sanata in ogni caso.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Manzione e i suoi accompagnatori, la dottoressa Maddalena De Luca e il dottor Antonio Piccoli, e dichiaro conclusa l'audizione.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti Pag. 18dei Gruppi, nella riunione di giovedì 8 ottobre ha deliberato lo svolgimento di una specifica attività di indagine relativa alle vicende che hanno riguardato un centro per minori di Casoria, oggetto di particolare attenzione da parte degli organi di stampa nei giorni scorsi.
  Comunico, altresì, che l'Ufficio di presidenza nella medesima riunione ha convenuto di acquisire ogni documentazione utile relativamente alle vicende concernenti il CARA di Aprigliano, oggetto di sequestro preventivo lo scorso 18 settembre su iniziativa della procura di Cosenza.
  Se non vi sono obiezioni, resta così stabilito.
  Infine, avverto che il giorno 7 ottobre 2015 è stata trasmessa, in riscontro alla richiesta della Commissione, copia della relazione dell'ANAC sugli appalti a Roma. Tale documentazione è disponibile presso l'archivio della Commissione.
  La seduta è tolta.

  La seduta termina alle 14.50.