XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Resoconto stenografico



Seduta n. 130 di Martedì 4 aprile 2017

INDICE

Comunicazioni del presidente:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 2 

Sulla pubblicità dei lavori:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Audizione di Marco Benadusi:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 ,
Benadusi Marco  ... 3 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 4 ,
Benadusi Marco  ... 4 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 6 ,
Benadusi Marco  ... 6 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 6 ,
Benadusi Marco  ... 6 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 6 ,
Benadusi Marco  ... 6 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 6 ,
Lavagno Fabio (PD)  ... 6 ,
Benadusi Marco  ... 6 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 6 ,
Benadusi Marco  ... 6 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 6 ,
Benadusi Marco  ... 6 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 6 ,
Benadusi Marco  ... 6 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 6 ,
Benadusi Marco  ... 7 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 7 ,
Benadusi Marco  ... 7 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 7 ,
Fornaro Federico  ... 7 ,
Benadusi Marco  ... 7 ,
Fornaro Federico  ... 7 ,
Benadusi Marco  ... 7 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 7 ,
Benadusi Marco  ... 7 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 ,
Benadusi Marco  ... 8 ,
Grassi Gero (PD)  ... 8 ,
Benadusi Marco  ... 8 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 ,
Benadusi Marco  ... 9 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 ,
Benadusi Marco  ... 9 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 ,
Benadusi Marco  ... 9 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 ,
Benadusi Marco  ... 9 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 ,
Benadusi Marco  ... 9 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 ,
Benadusi Marco  ... 9 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 ,
Benadusi Marco  ... 10 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 ,
Benadusi Marco  ... 10 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 ,
Grassi Gero (PD)  ... 10 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 ,
Benadusi Marco  ... 10 ,
Grassi Gero (PD)  ... 10 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 ,
Benadusi Marco  ... 11 ,
Grassi Gero (PD)  ... 11 ,
Benadusi Marco  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Benadusi Marco  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Benadusi Marco  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Benadusi Marco  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Benadusi Marco  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Lavagno Fabio (PD)  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Lavagno Fabio (PD)  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Benadusi Marco  ... 12 ,
Corsini Paolo  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Corsini Paolo  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 ,
Benadusi Marco  ... 13 ,
Corsini Paolo  ... 13 ,
Benadusi Marco  ... 13 ,
Gotor Miguel  ... 13 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 ,
Gotor Miguel  ... 13 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 ,
Gotor Miguel  ... 13 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 ,
Corsini Paolo  ... 14 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 14 ,
Benadusi Marco  ... 14 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Benadusi Marco  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Benadusi Marco  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Benadusi Marco  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Benadusi Marco  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Benadusi Marco  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Benadusi Marco  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Benadusi Marco  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Benadusi Marco  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Benadusi Marco  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Benadusi Marco  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Benadusi Marco  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Benadusi Marco  ... 16 ,
Fornaro Federico  ... 16 ,
Benadusi Marco  ... 17 ,
Fornaro Federico  ... 17 ,
Benadusi Marco  ... 17 ,
Fornaro Federico  ... 17 ,
Benadusi Marco  ... 17 ,
Fornaro Federico  ... 17 ,
Benadusi Marco  ... 18 ,
Fornaro Federico  ... 18 ,
Benadusi Marco  ... 18 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 18 ,
Fornaro Federico  ... 18 ,
Benadusi Marco  ... 18 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 18 ,
Benadusi Marco  ... 18 ,
Fornaro Federico  ... 18 ,
Benadusi Marco  ... 18 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 18 ,
Benadusi Marco  ... 19 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 19 ,
Benadusi Marco  ... 19 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 19 ,
Benadusi Marco  ... 19 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 19 

ALLEGATO: Resoconto stenografico dell'audizione di Guido Bodrato, svolta a Torino il 20 marzo 2017 da una delegazione della Commissione ... 20 

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2  

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 13.25.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE . Comunico che, nel corso della riunione odierna, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di:

   richiedere all'AISE di trasmettere in copia documentazione di interesse dell'inchiesta, incaricando la dottoressa Tintisona di compiere la relative acquisizione;

   incaricare il colonnello Pinnelli di identificare una serie di persone al corrente dei fatti, allo scopo di realizzarne eventualmente l'audizione o l'escussione, nonché di identificare gli attuali proprietari di alcuni locali dello stabile di via Camillo Montalcini 8, al fine di realizzarvi le attività tecniche già deliberate nella scorsa seduta, e di incaricarlo altresì di acquisire documentazione in atti relativa a una persona coinvolta nei fatti;

   incaricare la dottoressa Tintisona di acquisire documentazione in atti relativamente a due persone al corrente dei fatti nonché relativamente alla scoperta a Vescovio, nel luglio 1979, di una base delle Unità comuniste combattenti;

   acquisire la documentazione pertinente alla scoperta del covo brigatista di via Fracchia, a Genova, presente agli atti della locale Questura, nonché quella presente negli archivi del DIS, dell'AISI e dell'AISE e la documentazione giornalistica relativa all'episodio;

   autorizzare lo svolgimento di una missione a Perugia, da parte di due sottufficiali della Guardia di finanza addetti all'archivio della Commissione, allo scopo di riconsegnare al Tribunale di Perugia la documentazione del processo Pecorelli acquisita dalla Commissione.

  Comunico, inoltre, che:

   il 3 aprile 2017 il dottor Donadio ha depositato una proposta operativa, riservata, relativa alla vicenda della scoperta del covo brigatista di via Fracchia, a Genova;

   nella stessa data l'Archivio storico del Senato ha trasmesso i seguenti documenti, di libera consultazione: trascrizione della requisitoria del pubblico ministero Elisabetta Cesqui nel procedimento penale 10/91 presso la Corte d'assise di Roma; sentenza emessa dalla Corte d'assise di Roma il 16 aprile 1994 nei confronti di Giuseppe Battista ed altri relativa al procedimento penale 10/91; sentenza emessa dalla Corte d'assise d'appello di Roma il 23 marzo 1996 nei confronti di Giuseppe Battista ed altri relativa al procedimento penale 10/91;

   nella stessa data è pervenuta una nota, di libera consultazione, dell'onorevole Guido Bodrato, relativa a una dichiarazione da lui resa nel corso dell'audizione del 20 marzo 2017 a Torino; l'onorevole Bodrato ha compiuto, inoltre, la revisione formale del testo e pertanto il resoconto stenografico dell'audizione sarà pubblicato, come già annunciato nella seduta del 23 marzo scorso, nell'apposita sezione del sito Internet della Commissione nonché in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna;

   nella stessa data Barbara Balzerani ha inviato una comunicazione, di libera consultazione, con la quale declina l'invito a essere audita dalla Commissione;

Pag. 3 

   il 4 aprile 2017 il colonnello Occhipinti ha depositato quattro note, riservate, dello SCICO della Guardia di finanza, relative alla Società Autocia srl; a Tullio Olivetti; alla casa di cura Villa Maria Pia; a Livio Baistrocchi.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE . Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione di Marco Benadusi.

  PRESIDENTE . L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Marco Benadusi, che ringraziamo per la cortese disponibilità con cui ha accolto l'invito ad intervenire oggi in Commissione.
  Prima di entrare nel merito, vorrei inquadrare brevemente questa audizione. Come ricorderete, già nel 2015 e nel 2016 abbiamo svolto una serie di audizioni di studiosi che a vario titolo si sono occupati della vicenda Moro. Alcune erano soprattutto centrate su aspetti specifici, come la strage di via Fani o i rapporti tra BR e Servizi della Germania orientale; altre, invece, hanno riguardato aspetti più generali.
  In questa ultima fase della legislatura è sembrato opportuno tornare a confrontarsi con i risultati degli studi sulla vicenda Moro, soprattutto allo scopo di inquadrare meglio una serie di tematiche che è opportuno affrontare in questa fase dei lavori. Ricordo, in particolare, la vicenda del falso comunicato del 18 aprile 1978, quella del covo di via Gradoli, quella dell'uccisione di Moro e del reperimento del suo corpo in via Caetani.
  Dopo l'audizione del dottor Benadusi potremo valutare di svolgere ulteriori audizioni di studiosi centrate su queste tematiche o su nuove acquisizioni.
  Il dottor Benadusi è autore del volume Terrorismo rosso, pubblicato nel 2016, che affronta complessivamente il tema del terrorismo di sinistra in Italia dagli anni Settanta in poi e che non si basa su fonti nuove o sconosciute, ma sul tentativo di sistematizzare le risultanze degli atti giudiziari e delle inchieste parlamentari. Per questo motivo si tratta di un'opera di sicuro interesse per la Commissione, che ha necessità di confrontarsi con una documentazione stratificata e sovrabbondante. Ricordo, a tale proposito, che il senatore Gotor, con nota del 2 marzo 2017, ha evidenziato diversi spunti di interesse nel volume.
  Nell'odierna audizione lascerò spazio al dottor Benadusi per esporre una rapidissima prospettiva generale del suo percorso di ricerca. Immediatamente dopo porrò alcune domande sulle questioni a cui prima ho fatto riferimento.
  Le do adesso la parola per una decina di minuti di inquadramento generale, dottor Benadusi, poi passeremo ad alcune domande specifiche mie e dei colleghi che vorranno intervenire.

  MARCO BENADUSI . Vi ringrazio dell'invito.
  Il mio libro nasce dall'idea che non tutto fosse chiaro nel caso Moro e, in generale, nella storia del terrorismo di sinistra in Italia, ma che al tempo stesso, proprio per fare chiarezza, fosse necessario superare quell'insieme di tesi, contro-tesi, supposizioni più o meno dietrologiche che si sono accavallate nel corso degli anni.
  Quindi, data anche la mia professione di giornalista e di esperto di comunicazione, ho focalizzato inizialmente l'attenzione sugli aspetti che ponevano in congiunzione appunto le dinamiche della comunicazione con la storia dell'eversione di sinistra. Parlando di dinamiche della comunicazione intendo riferirmi, in senso lato, a tutto ciò che riguarda non solo quello che dicono gli uni o gli altri, ma anche alle dinamiche che riguardano gli inquinamenti informativi, i depistaggi, le falsificazioni, i tabù, i patti di silenzio. Tutto questo è stato il mio prioritario interesse.
  Quello che, a mio parere, è emerso da questa mia ricerca è che occorra trovare una via di mezzo, diciamo così, tra gli approcci più dietrologici e gli approcci che, all'opposto, potremmo dire negazionisti, che vedono cioè una lunga serie di fatti del Pag. 4 tutto illuminati, nella storia del terrorismo rosso.
  Ovviamente il caso Moro, che è il tema di cui si occupa la Commissione, è un aspetto e un capitolo centrale del libro. A mio parere, in realtà, il caso Moro può essere compreso solo laddove lo si inserisca in un contesto più ampio. La mia impressione è che talvolta le riflessioni sul caso Moro, se rimangono circoscritte esclusivamente a quelle vicende di quei 55 giorni, non possano portare a molto. Quindi, il mio sforzo è stato anche quello di ripercorrere quella tragedia, quelle vicissitudini, in un contesto più ampio, appunto il contesto di tutti gli «anni di piombo».
  Il mio lavoro di analisi e di indagine si è focalizzato in particolare, oltre che sul caso Moro, su quei momenti a mio parere più controversi, anche nelle ricostruzioni, nella memoria storica sugli «anni di piombo» e su quello che ne è seguito, vale a dire le origini della lotta armata di sinistra in Italia, gli aspetti legati alla dimensione internazionale, ossia i legami tra la sfera italiana e quella internazionale, poi il passaggio, il salto di livello che ci fu a metà degli anni Settanta da un terrorismo brigatista, sostanzialmente non omicida, a una fase in cui il brigatismo passa all'omicidio politico, poi si estende anche oltre il brigatismo e quindi il terrorismo diventa anche qualcosa che va al di là della storia delle Brigate rosse.
  Questo salto di livello, che avviene a metà degli anni Settanta, a mio parere non è del tutto chiaro. Non è del tutto chiaro quello che realmente successe in quel passaggio.
  Poi c'è il caso Moro e a quel punto un altro aspetto controverso, a mio parere, è la fase di chiusura degli «anni di piombo», cioè subito dopo il caso Moro, negli anni che vanno dal 1978 al 1981-82, la fase finale degli «anni di piombo» e la chiusura della fase più intensa del terrorismo rosso, di fatto. Poi ci sono dei rigurgiti lungo gli anni Ottanta, ma in misura del tutto meno intensa rispetto agli anni precedenti. Alla fine, la mia analisi si chiude con l'inaspettato ritorno della lotta armata, con gli attentati brigatisti contro D'Antona e Biagi.

  PRESIDENTE . Entro adesso nel merito di alcuni elementi che ci hanno colpito del suo libro.
  Una tematica che ha molto rilievo nel volume è la vicenda di Markevitch. Lei nel volume qualifica la pista Markevitch come un vero e proprio depistaggio, messo in atto nell'autunno del 1978 dal colonnello Cogliandro mescolando vere notizie sulla presenza nell'area del Ghetto di personaggi contigui alle BR con notizie infondate che portassero verso i Caetani e Markevitch. Ciò allo scopo di depistare le indagini indirizzandole verso l'area comunista e di creare uno scoop mediatico che tendesse a oscurare eventi più importanti di quella fase storica, come la scoperta delle carte di Moro a via Monte Nevoso.
  Sempre in direzione dei Caetani punterebbe inoltre un ambiguo dossier diffuso nell'autunno 1978 dal Partito operaio europeo, un'organizzazione fondata dallo statunitense Lyndon LaRouche, che in un rapporto del CESIS dell'ottobre 1978 era definita «una vasta organizzazione di “agenti di influenza” al servizio di talune centrali economiche internazionali e, si può ragionevolmente supporre, di servizi informativi stranieri».
  Ecco, io vorrei che ci spiegasse questa parte in maniera approfondita.

  MARCO BENADUSI . Noi sappiamo che il SISMI presenta alla prima Commissione Moro un dossier sulle sue attività, in cui per la prima volta viene reso noto che Igor Markevitch è stato oggetto di attenzione da parte dei Servizi, in quanto si sospettava che fosse un elemento di spicco delle Brigate rosse e addirittura che potesse aver svolto gli interrogatori. Quel breve accenno del SISMI si chiude affermando che non si sono trovati riscontri e la vicenda si chiude lì.
  Vent'anni dopo, quando le Brigate rosse ritornano alla luce uccidendo, il 20 maggio 1999, Massimo D'Antona l'ANSA esce il 29 maggio con lo scoop di Markevitch, che finisce il giorno dopo su tutti i giornali. A quel punto ci sono indagini successive allo scoop e poi viene fuori che c'erano state anche indagini precedenti allo scoop, legate in particolar modo all'inchiesta sulla strage Pag. 5 di Brescia, svolte dal ROS, svolte da Massimo Giraudo, che voi conoscete bene, essendo anche, se non sbaglio, un collaboratore di questa Commissione.
  Da tutte queste carte – quindi, si accumulano carte su carte – che cosa viene fuori? Un quadro abbastanza confuso, che io ho provato a ricostruire e che potremmo sintetizzare in questo modo: il SISMI, in quel dossier di cui vi parlavo che viene consegnato alla prima Commissione Moro, dice in sostanza: «Il 14 ottobre una nostra fonte ci ha detto che Markevitch...». In realtà, sono stati ascoltati, già anni fa, durante la Commissione stragi, coloro che lavoravano e si occuparono di questa vicenda per Cogliandro, i quali hanno detto che Cogliandro li aveva mandati già durante il sequestro Moro, nella fase finale del sequestro Moro, a fare verifiche presso Palazzo Caetani, presso la zona del Ghetto, e presso il Castello di Sermoneta, che era un possedimento dei Caetani. Quindi, già notiamo una discordanza tra una data iniziale di questa azione investigativa e invece un avvio che sarebbe precedente.
  Poi abbiamo un ulteriore dato, l'unico che fissa una data certa, che è il primo appunto scritto da Demetrio Cogliandro, agli atti della Commissione Moro, poi della Commissione stragi, di cui ho portato una fotocopia. È un appunto che non ha data, ma ha allegato un articolo di Claudio Sabelli Fioretti, ex direttore di una rivista di controinformazione, «ABC», e all'epoca invece cronista di «Panorama». Claudio Sabelli Fioretti scrive un articolo che anticipa un altro articolo che uscirà di lì a breve, che è il famoso articolo di Di Donato dedicato al caso Moro che sarebbe uscito nel dicembre del 1978 su Penthouse.
  Questo articolo di Sabelli Fioretti viene allegato all'appunto scritto da Cogliandro. Siccome l'articolo di Sabelli Fioretti è del 5 dicembre del 1978, se ne desume che Cogliandro quell'appunto non abbia potuto scriverlo prima del 5 dicembre. C'è un secondo appunto di Cogliandro del 9 dicembre sulla stessa vicenda, che lui denomina (la copertina di questi appunti è scritta di suo pugno) «azione Igor C», il secondo documento di questo dossier che si va creando nei primi di dicembre. Quindi, possiamo legittimamente ritenere che ci sia un primo appunto scritto tra il 5 e il 9 dicembre 1978 e un secondo scritto il 9 dicembre 1978.
  Cosa dicono questi appunti di Cogliandro, da cui inizia la vicenda Markevitch? Il primo è veramente breve, è un appuntino di poche righe. Sopra c'è scritto, in alto, cerchiato, «Anna e Franco». Anna e Franco nell'articolo di Di Donato sono i nomi in codice dei brigatisti che avrebbero ucciso Moro. Anna, tra l'altro, possiamo aggiungere, è uno dei personaggi presenti nel famoso fumetto di «Metropoli», 16 marzo, che contiene una serie di allusioni e che verrà pubblicato di lì a breve: anche lì c'è una misteriosa Anna.
  Cogliandro scrive: «Igor, espulso dal PCI nel 1970, castello di proprietà di Caetani Lelia, Castello di Sermoneta. Uno di questi Caetani è un brigatista espulso dal PCI. Si potrebbe rintracciare tramite la madre deceduta nel 1977 all'età di 95 anni». La madre di Markevitch morì esattamente nel 1977 a 95 anni. Poi ci sono altre piccole cose.
  Quindi, noi abbiamo un documento di Cogliandro, che è responsabile del SISMI a Roma in quel momento, che dice che c'è un pezzo grosso delle Brigate rosse che è identificabile in questo Igor, che appartiene alla famiglia Caetani. Pochi giorni dopo, a questo appunto ne segue un altro; viene dattilografato e inviato al suo superiore e vi si legge: «Fonte molto attendibile riferisce: un senatore del PCI (non identificato) sarebbe a conoscenza dell'identità del capo delle Brigate rosse. Questi» – il capo delle Brigate rosse – «si chiamerebbe Igor e sarebbe figlio o nipote di Margherita Caetani, già direttrice della rivista edita da Feltrinelli intitolata “Botteghe Oscure. Igor, coetaneo di Moro, avrebbe partecipato agli interrogatori del leader DC. I Caetani già da oltre dieci anni avevano un ufficio in via Arenula dove provvedevano al reclutamento di giovani che successivamente partecipavano a riunioni politiche nei possedimenti Caetani, in particolare nella tenuta...».

Pag. 6 

  PRESIDENTE . Questo è l'appunto di Cogliandro a cui ha allegato l'articolo?

  MARCO BENADUSI . L'anticipazione di Di Donato, cioè l'articolo di Claudio Sabelli Fioretti è allegato al primo, all'appunto manoscritto.

  PRESIDENTE . E all'altro appunto, invece?

  MARCO BENADUSI . E all'altro non è allegato nulla, è un approfondimento. Il dossier prende corpo, seguono altri appunti, tutti concentrati sui Caetani. Io faccio notare – poi se mi dilungo troppo o entro troppo nello specifico ovviamente ditemelo – che questo secondo appunto del 9 dicembre, che è molto più ricco del primo, contiene in realtà una serie di notizie sensibili. Una, la prima su cui si apre l'appunto, riguarda i Caetani e Markevitch. Poi ci sono un'altra serie di notizie su fiancheggiatori nel Ghetto, su un presunto covo delle BR in via Tiburtina e sul possibile appoggio delle BR, in prossimità di via Fani, in un garage della Balduina, tema di cui voi vi siete occupati. Sta nell'appunto di Cogliandro.

  PRESIDENTE . Gliel'ho chiesto perché, come lei ha ricordato, questi argomenti anticipano un articolo scritto su Penthouse. Non mi ricordo la data, però...

  MARCO BENADUSI . L'articolo su Penthouse, che se non erro era un mensile, esce a dicembre, successivamente. Questa è un'anticipazione.

  PRESIDENTE . Quindi, si tratta di capire: è più facile che Penthouse abbia incontrato Cogliandro piuttosto che Cogliandro abbia incontrato Penthouse.

  FABIO LAVAGNO . L'incontro con Penthouse capita a tutti.

  MARCO BENADUSI . Sarà capitato anche a Cogliandro.

  PRESIDENTE . Hai superato l'età, Lavagno.

  MARCO BENADUSI . C'è anche un'altra anticipazione: il figlio di Pietro Longo, sul quotidiano «Il Tempo», scrive anch'egli un'anticipazione, dove non si parla dei Caetani, ma si parla del garage della Balduina.

  PRESIDENTE . Questo quando avviene?

  MARCO BENADUSI . Questa anticipazione esce il 15 novembre 1978; il figlio di Pietro Longo scrive un'anticipazione: «Uscirà Di Donato». Poi c'è Claudio Sabelli Fioretti: «Uscirà Di Donato». Cogliandro prende e scrive. Tutto poi viene riversato nell'articolo di Di Donato...

  PRESIDENTE . Io le faccio questa domanda per capire se l'idea che lei si è fatto è che Cogliandro fosse un attento frequentatore di giornalisti oppure che i giornalisti fossero attenti frequentatori di Cogliandro.

  MARCO BENADUSI . L'impressione è che il SISMI, in particolare attraverso il SISMI di Roma, cioè Cogliandro, stesse percorrendo una pista investigativa che riguardava le ultime ore di Moro, quello che era successo in via Caetani il 9 maggio. Questa pista ha portato Cogliandro a perfezionare un dossier, che mano a mano si è alimentato in quei mesi; evidentemente sono fuoriuscite delle notizie che sono arrivate ai giornalisti e che hanno fatto sì che uscisse prima «Il Tempo», poi «Panorama», poi «Penthouse» e aggiungerei anche, in certa misura, lo stesso articolo che citavo prima, 16 marzo, il fumetto uscito su «Metropoli», rivista di Piperno.
  Quindi, io ho l'impressione che tutto questo appartenga a un'unica attività investigativa che individuava appunto in Markevitch un uomo delle BR e in cui, attraverso una serie di agganci anche linguistici, lo si avvicinava al Partito comunista italiano.

  PRESIDENTE . La cosa che a me colpisce è che inevitabilmente dentro questa Pag. 7 nota, come scrive anche lei nel libro, alcune notizie – nel Ghetto presenza di BR, garage della Balduina più o meno compiacente e altre cose – corrispondono a cose vere o molto verosimili, e di tutto questo non se ne ha più traccia. Poi dopo vent'anni risorge Markevitch. È questa la procedura?

  MARCO BENADUSI . Sì, ma non solo. Anche in quel momento, si può aggiungere che i blocchi di notizie di cui parlavo che si aggiungono alla notizia Markevitch sono evidentemente tratti da attività investigative svolte nei mesi precedenti nel Ghetto, in relazione alla vicenda di Elfino Mortati, un giovane arrestato per il delitto di un notaio, che racconta di aver frequentato le Brigate rosse proprio durante il sequestro Moro. Le Brigate rosse proteggevano Mortati perché era ricercato e al tempo stesso cercavano di reclutarlo; lo portarono in una serie di covi, uno in via dei Bresciani, che è vicina a via Giulia, e altri due dentro il Ghetto, di cui lui non seppe indicare la via. Da queste indagini viene fuori che ci sono i fiancheggiatori nel Ghetto, Di Nola, De Cosa, vicende probabilmente a voi note.
  Queste notizie, a mio parere, Cogliandro le riprende da lì e le mette dentro per sorreggere un dossier. Un dossier si sorregge quanto più riporta notizie vere, quindi quelle notizie sono probabilmente vere e fondate. Ci sono delle indagini in corso e le notizie vengono inserite lì.
  Il punto è che il dossier poi non prosegue su quelle notizie, perché il dossier si intitola «Igor C» e quindi poi si prosegue, anche allora, sulla vicenda Igor C, ed è la vicenda che uscirà vent'anni dopo, quando Giraudo ritrova il nome di Markevitch in relazione alle sue indagini sulla strage di Brescia e a quel punto lo scoop viene fuori. E lì si potrebbe raccontare una vicenda molto articolata che però è di vent'anni dopo, quando...

  PRESIDENTE . E lei questa seconda la mette in relazione alla volontà – è una tecnica usata in tanti altri casi – di tirare fuori uno scoop, per mettere in secondo piano le vicende di via Monte Nevoso?

  MARCO BENADUSI . Credo di sì. Che cosa succede? Il 1° ottobre 1978 viene scoperto il covo di via Monte Nevoso da parte di Dalla Chiesa. Il giorno dopo, 2 ottobre – questo non viene solitamente notato nella letteratura sul caso Moro, perché può essere anche un legame del tutto casuale – viene rapito il fratello di un socio di Hypérion.

  PRESIDENTE . Questa vicenda la racconti per esteso, perché è di interesse per noi.

  FEDERICO FORNARO . Rancilio.

  MARCO BENADUSI . Rancilio. Praticamente Simioni, che era il capo di Hypérion, aveva un socio...

  FEDERICO FORNARO . Per la precisione Rancilio era socio nella società Kiron, non in Hypérion.

  MARCO BENADUSI . Sì. In realtà, mi riferisco a quello che il generale Santovito dice alla prima Commissione Moro quando gli chiedono di parlare di Hypérion. Santovito di Hypérion parla molto poco, anzi dice che è una bolla mediatica che in realtà non ha niente a che fare con il terrorismo rosso, però tira fuori questa vicenda di Rancilio, dicendo che in qualche modo faceva arrivare finanziamenti e accenna al sequestro del fratello di questo Cesare Rancilio, che si chiamava Augusto e che venne sequestrato appunto il giorno dopo la scoperta del covo di via Monte Nevoso. È un fatto, non voglio assolutamente fare null'altro che indicare un fatto. Si può aggiungere che quel sequestro viene effettuato dalla ’ndrangheta e in particolare, stando a quello che io ho riscontrato dai giornali dell'epoca...

  PRESIDENTE . Dai documenti.

  MARCO BENADUSI . ... sembra sia stato compiuto da Morabito, che voi conoscete in quanto è colui che disse che in via Fani c'era Nirta, che la ’ndrangheta è coinvolta in via Fani, che appartiene a quell'ambiente criminale. Pag. 8 
  Posso aggiungere – anche qui, dato che mi chiedete di approfondire – che la giornalista Rita Di Giovacchino, autrice di un libro su tutte queste vicende, scrive (ma non riporta la fonte, quindi io non la conosco) che De Vuono, che, come sapete, era un criminale poi passato alla lotta armata, «è stato inquisito per un finanziamento fatto dal fratello di un sequestrato a Parigi». Non menziona Rancilio, ma insomma sembra che voglia dire questo. Ripeto, si potrebbe verificare se effettivamente c'è un collegamento che tiene insieme queste cose.
  Chiudo la parentesi del 2 ottobre, di Rancilio e di Hypérion.
  Il 5 ottobre, come sapete, Dalla Chiesa viene buttato fuori da Via Monte Nevoso e sostituito da altri suoi colleghi, nel quadro di un conflitto forte che c'era dentro l'Arma dei Carabinieri. Il 17 ottobre il Governo decide di uscire con le carte trovate a via Monte Nevoso. Già precedentemente c'erano stati degli scoop, perché il braccio destro di Dalla Chiesa, Galvaligi, che verrà poi ucciso dalle BR, va a parlare con un giornalista di «Repubblica» e gli dice: «Guarda che il memoriale scotta, ci sono tante informazioni rilevanti». Il memoriale esce il 17, che – fatalità – è il giorno in cui tutto il mondo si felicita dell'elezione del nuovo Papa, Karol Wojtya, avvenuta il giorno prima, quindi è una notizia che non ha molto spazio sui giornali.
  Da lì a un mese si avvia questa campagna mediatica di cui parlavo su Markevitch, che in qualche modo, a mio parere, riguarda le ultime ore di Moro ed è strettamente collegata anche alle carte di Moro, alla scoperta di via Monte Nevoso.

  PRESIDENTE . Lei cerca poi di dimostrare come questo antico depistaggio influenzò, molti anni più tardi, i lavori della Commissione stragi tra il 1997 e il 1999, per una serie di fattori combinati: una serie di campagne di stampa, le ambigue affermazioni di Morucci e altri sulla riunione del comitato esecutivo delle BR nel corso del sequestro Moro, l'azione di una serie di personaggi legati al MAR di Fumagalli. Il risultato fu una complessiva delegittimazione dell'inchiesta.
  Può esplicitare alla Commissione la sua analisi di questa vicenda rispetto ai documenti e il senso di quelli che ha definito «depistaggi» e del loro ripresentarsi nelle varie inchieste parlamentari e giudiziarie?

  MARCO BENADUSI . Sì. Cosa succede? Nel 1997 Valerio Morucci in Commissione stragi, interrogato su quale fosse il luogo dove si tenevano le riunioni del comitato esecutivo delle BR durante il sequestro Moro, sostanzialmente dice: «Chiedete alla sfinge Moretti, perché parlo solo io, lui non parla mai. Chiedete a lui, perché lui lo sa chi è l'anfitrione fiorentino», cioè chi è il padrone di casa che ospitava a Firenze le riunioni del comitato in cui venivano prese le decisioni sul sequestro Moro.

  GERO GRASSI . L'irregolare.

  MARCO BENADUSI . Irregolare – anche questo lo ha precisato Morucci, in un secondo momento – perché giustamente il padrone di casa non poteva essere, per questioni di sicurezza, uno dei membri del comitato esecutivo.
  Ora, in quel momento la stessa Commissione stragi inizia a riflettere sul brigatismo toscano, su chi potesse essere appunto quel personaggio. Succede che in Commissione, di lì a qualche mese, vanno una serie di persone che lasciano intendere che quel fantomatico personaggio potesse essere un aristocratico, un uomo dell'alta società legato alle Brigate rosse.
  In particolare, cito l'audizione abbastanza emblematica di Pino De Gori, avvocato della DC nei processi Moro, il quale dice: «Sì, mi ha detto l'avvocato Di Giovanni – un avvocato di Soccorso rosso – che in realtà c'era un conte rosso, un aristocratico di sinistra, e che lì vicino a Firenze, nei dintorni di Fiesole, c'era questo covo dove decisero anche la morte di Moro».
  Nel frattempo, Giraudo, in maniera del tutto indipendente, sta indagando su Brescia. Siccome il figlio di Markevitch ha sposato la figlia di un agente dei servizi segreti bulgari, che finisce nella vicenda di Brescia, Giraudo si ritrova questo nome e Pag. 9 inizia a indagare. A quel punto, che cosa succede? Che qualcuno racconta a Giraudo una storia. Racconta a Giraudo: «Questo Markevitch già era stato “attenzionato” dal SISMI nel 1978. Si sospetta, già dal 1978, che sia uno dei capi delle BR e che sua moglie, che è una Caetani, sia la duchessa alla quale fa riferimento il famigerato comunicato numero 7, falso, del lago della Duchessa. Quel comunicato è falso perché lancia il messaggio subdolo della duchessa Caetani, quindi guarda che noi abbiamo i Caetani, Markevitch...».

  PRESIDENTE . La fonte che non è agli atti della Commissione stragi. Non si è mai saputo chi fosse questa fonte.

  MARCO BENADUSI . I giornali parlarono di un famigerato ex partigiano bianco vicino al MAR, a Fumagalli...

  PRESIDENTE . Però qui non c'è niente.

  MARCO BENADUSI . Qui non c'è niente. C'è sicuramente quello che sappiamo dagli atti raccolti dallo stesso Giraudo. Giraudo va a sentire una serie di persone, in particolare ad esempio, va a sentire la giornalista dell'Adnkronos Grazia Di Donna, la quale dice: «Sì, ma io mi sono attivata per cercare di capire effettivamente se questo Markevitch fosse coinvolto e nella mia attività giornalistica ho indagato. L'ho fatto con il mio collega dell'ANSA Paolo Cucchiarelli, il quale mi ha fatto vedere la nota, l'appunto di Cogliandro». È così che si ritorna... Grazia Di Donna dice: «Me l'ha fatto vedere Cucchiarelli, eccolo qui».
  Cucchiarelli poi adesso ha appena pubblicato un libro molto noto nel quale racconta in maniera del tutto trasparente e onesta la vicenda ed effettivamente si attribuisce la primogenitura di questo scoop, dicendo: «Sì, è vero, fui io a segnalare questo collegamento con le indagini del SISMI del 1978. Perché fui io? Perché parlai con Cossiga. Me lo disse Cossiga».
  Ora, Cossiga ha dato l'appunto...? Io non lo so, non ne ho idea. So che questa vicenda matura nel 1998, viene però bloccata e riesce nel 1999, quindi anche successivamente c'è una doppia uscita. Giraudo va a parlare con Sergio Flamigni, che gli dice: «Guarda, caro Giraudo, che in realtà quello era un dossier predisposto, volevano fare uno scoop per mettere in difficoltà il Governo Prodi. Era stato commissionato da Gironda, l'ex portavoce di Gladio, che aveva dato mandato a quella giornalista dell'Adnkronos di indagare. Pensavano che questa cosa potesse...». Questo dice Flamigni a Giraudo. È agli atti, non lo dico io.
  Però poi che cosa succede? Il Governo Prodi si azzoppa da solo, non c'è bisogno...

  PRESIDENTE . (Non c'entra niente Gironda, possiamo esserne testimoni oculari.

  MARCO BENADUSI . No, perché lì c'è la vicenda di Rifondazione che esce dalla maggioranza, manca un voto, Prodi cade, arriva D'Alema, quindi c'è un altro Governo. Nessuno sa in quel momento ancora nulla di Markevitch. C'è D'Alema, c'è il Kosovo, sapete ovviamente...

  PRESIDENTE . Ci ricordiamo benissimo.

  MARCO BENADUSI . Appunto, sapete meglio di me sicuramente. A quel punto che cosa succede? Il 13 maggio 1999 viene eletto Ciampi, ex azionista, personaggio particolare. C'è D'Alema al Governo. Il 20 maggio, sette giorni dopo, riescono fuori le Brigate rosse uccidendo D'Antona, e il 29 maggio, nove giorni dopo, c'è lo scoop su Markevitch, i giornali inevitabilmente...

  PRESIDENTE . La seconda puntata.

  MARCO BENADUSI . La seconda puntata, però è la prima volta che esce, finora non era mai uscito nulla.

  PRESIDENTE . Lo scoop Cogliandro, di fatto, perché alla fine l'unica fonte è Cogliandro...

  MARCO BENADUSI . Lo scoop Cogliandro arricchito ulteriormente, perché ad esempio la suggestione del comunicato n. 7 riferito alla duchessa Caetani è una cosa Pag. 10 che mi sembra che nelle carte di Cogliandro non ci sia. Quindi poi è stato arricchito, tant'è che Cossiga anche in seguito, rilasciò interviste in cui ribadì che secondo lui Caetani... In qualche modo Cossiga ricordò della duchessa, ricordò quello che scrisse Pecorelli sulla donna bionda in via Caetani, che quindi magari era la duchessa... Tutte queste cose escono fuori il giorno dopo, il 30 maggio, quando i giornali dicono che c'era un noto direttore d'orchestra russo, forse legato al KGB, molto probabilmente legato al Mossad, che aveva comunque amicizie anche nel PCI. Cogliandro dice che era uscito dal PCI, ma non era vero.

  PRESIDENTE . Markevitch una volta viene fuori con le carte di via Monte Nevoso e una volta con la nascita del Governo D'Alema... Io adesso faccio un'ipotesi di ciclicità, i corsi e ricorsi della storia, però di fatto è sempre la stessa vicenda, dall'epoca del SISMI e di Cogliandro, che poi esce fuori insieme a via Monte Nevoso, poi nel 1998, poi riesce fuori nel 1999. Diciamo che ci sono fasi storiche. Io constato solo la tempistica...

  MARCO BENADUSI . Io mettevo in luce soprattutto l'origine, che c'è nelle carte, perché poi quando Giraudo...

  PRESIDENTE . Noi non abbiamo fatto... Ha fatto tutto la Commissione stragi, noi ci occupiamo di altro. Ci manca solo che noi ci occupiamo di questo!

  MARCO BENADUSI . Sì, la Commissione stragi, però dalle carte si vede che tutto è sempre legato a quello che Morucci dice nel 1997. Chi è l'anfitrione fiorentino?

  PRESIDENTE . Ma se non lo sa Morucci, siccome Morucci non ricorda neanche quali sono i fogli che aveva nella camera da letto in cui viene arrestato.

  GERO GRASSI . Morucci lo sa, presidente, e lo dice nell'interrogatorio. Dichiara però che non lo vuole dire e dice al magistrato: «Fatevelo dire da Moretti».

  PRESIDENTE . Io esprimevo un altro concetto: dopo l'audizione di Morucci, che nega l'evidenza, andando sul filo della falsa testimonianza, che quei fogli di viale Giulio Cesare che sembrano una velina ministeriale, lui non li ha mai visti, che, se c'erano, erano della proprietaria, e poi scopriamo inconfutabilmente che stavano nelle carte della Faranda nella stanza da letto dove lui e la Faranda dormivano, Morucci può dire quello che gli pare, ma...

  MARCO BENADUSI . Se posso aggiungere una cosa brevissima, Morucci si ricollega a un battibecco con Moretti. Moretti poco prima, durante il dialogo con le giornaliste Mosca e Rossanda per la stesura del suo libro-intervista, quando gli chiedono conto di un appunto ritrovato nel covo di via Gradoli – un appunto abbastanza indecifrabile dove si parla di un'Immobiliare Savellia, su cui ci saranno anche lì scoop che io descrivo – dice: «Chiedete a Morucci, perché Morucci aveva una base nel Ghetto».
  Moretti, riguardo a una questione spinosa, quindi, dice: «È Morucci che aveva la base nel Ghetto, andate da lui!». Morucci da parte sua riguardo a un'altra questione spinosa, che è quella del covo fiorentino, dice: «Io non c'entro niente, chiedete a Moretti!».

  GERO GRASSI . Per completare questo passaggio: il magistrato chiede a Morucci chi interroga Moro e Morucci risponde: «Moretti». Il magistrato fa osservare che Moretti era un semplice perito industriale e – aggiunge lui – di bassa cultura, un capo militare che non sarebbe stato in grado di interrogare Moro. A quel punto Morucci dice al magistrato: «Fatevi dire da Moretti chi era l'irregolare della casa di Firenze che preparava le domande».
  Questo lo dico perché il passaggio dell'interrogatorio di Morucci sulla preparazione delle domande ci porta a una persona che sta fuori dai brigatisti noti e ci porta alla casa di Firenze, che potrebbe essere «doppia»: non è detto che sia l'una, potrebbe anche essere l'altra, sulla carta.

  PRESIDENTE . Mi può aiutare, dottor Benadusi, a capire che cosa era questo Pag. 11 Partito operaio europeo, che pure era a conoscenza di Markevitch? Chi le aveva date queste carte al POE?

  MARCO BENADUSI . Il 5 ottobre 1978, quando Dalla Chiesa viene mandato via da via Monte Nevoso, per essere sostituito da un suo collega che poi verrà accusato da Dalla Chiesa l'anno dopo di avere delle relazioni non chiare con il mondo dell'eversione di sinistra, tant'è che poi lascerà l'Arma e andrà a fare il responsabile della sicurezza del Banco Ambrosiano di Calvi...

  GERO GRASSI . Il nome?

  MARCO BENADUSI . Non lo ricordo, in questo momento.

  PRESIDENTE . Rocco Mazzei.

  MARCO BENADUSI . Sì, Rocco Mazzei sostituisce Dalla Chiesa in via Monte Nevoso e l'anno successivo, nel 1979, Dalla Chiesa lo accusa, dicendo che aveva interloquito telefonicamente con la moglie di Del Giudice, uno dei leader dei Comitati comunisti rivoluzionari insieme a Scalzone, una vicenda poco chiara; alla fine Mazzei decide di lasciare l'Arma e andare al Banco Ambrosiano.
  In quei momenti dei primi di ottobre c'è una situazione tesa anche dentro gli apparati dello Stato. Quel 5 ottobre il POE fa una conferenza stampa e tira fuori un dossier intricatissimo di 100-120 pagine, in cui descrive tutta una serie di vicende che attribuiscono la morte di Moro a una serie di personaggi e di ambienti.
  Lyndon LaRouche è il fondatore del Partito operaio europeo, è colui che sta a monte di questa organizzazione. È un personaggio dai contorni molto oscuri, perché viene apparentemente dai movimenti di sinistra di protesta della fine degli anni ’60, poi invece passa sul fronte opposto, poi negli anni ’80 si dice che è vicino agli ambienti di Reagan, ha tutta una serie di guai giudiziari e alla fine viene condannato per truffa, una condanna pesante. Voci di stampa sostengono...

  PRESIDENTE . Uno utilizzabile...

  MARCO BENADUSI . Sì, insomma, addirittura si va dal caso Olof Palme in Svezia a inquinamenti, infiltrazioni nel Partito democratico degli Stati Uniti. Parliamo comunque di un livello alto. Il POE tira fuori questo dossier in cui si fa riferimento a Palazzo Caetani, in quanto nel dossier si sostiene che c'è un personaggio, Schwarzenberg, ambasciatore del Sovrano Ordine di Malta in Vaticano, che è legato alla vicenda Moro. Schwarzenberg non poteva smentire perché poco dopo la morte di Moro morì in un incidente stradale insieme alla moglie, e questo dossier punta il dito su di lui e, di conseguenza, sul palazzo dove stava.
  L'anticipazione di Sabelli Fioretti cosa fa? C'è l'articolo e poi c'è un box che richiama il dossier del POE e questo collegamento al palazzo, quindi è come se Sabelli Fioretti dicesse: «Io vi sto parlando di quello che dice Di Donato su “Penthouse”, e cioè il coinvolgimento di un personaggio che probabilmente è legato ai Caetani», però senza menzionare mai i Caetani. Mettendo il box del POE dove c'è «Caetani» si crea un collegamento tra due situazioni diverse, tra due fonti diverse, Di Donato che non cita espressamente «Caetani» ma lo fa intendere e il dossier del POE che cita Caetani in relazione al palazzo.

  PRESIDENTE . Una «corrispondenza d'amorosi sensi».
  Per quanto attiene alla vicenda della morte di Aldo Moro e al ritrovamento del suo corpo in via Caetani, lei svolge su base documentale una critica della versione brigatista di Moretti e Maccari, sottolinea in particolare i limiti delle due testimonianze esterne che l'avallano, quella di Graziana Ciccotti, condomina di via Montalcini che avrebbe visto la Braghetti e la Renault 4 non il 9 maggio, ma in periodi antecedenti, e quella di Carla Antonini, che vide la Renault 4 in via Caetani la mattina presto. Al contrario, lei cita numerosi altri testimoni che non videro la Renault 4 se non dopo mezzogiorno, in particolare fa riferimento Pag. 12  a Giuseppe Donato, Francesca Loverci e Giuseppe D'Ascenzo. Questo peraltro possedeva una Renault 12 rossa, che teneva parcheggiata in via Caetani e che potrebbe essere la «macchia di colore» vista da Carla Antonini.
  Anche in questo caso le chiederei di esplicitare alla Commissione il suo percorso interpretativo e di chiarire le motivazioni per cui lei valorizza la questione degli appartamenti al Ghetto, di cui a suo tempo parlò Elfino Mortati. Su questo punto, infatti, le dichiarazioni di Mortati non hanno trovato riscontri decisivi, ma lei sembra ritenerle meritevoli di molta attenzione.

  MARCO BENADUSI . Per quanto riguarda il primo aspetto, cioè le testimonianze legate al 9 maggio, le ricostruzioni sul caso Moro spesso prendono una testimonianza, non ne prendono un'altra e quindi inevitabilmente si crea una versione rispetto a un'altra. Talvolta le testimonianze non vengono prese neanche in maniera del tutto corretta.
  La prima testimonianza che ha citato è quella di Graziana Ciccotti, l'inquilina di via Montalcini, che in realtà (è agli atti del processo Moro quater, se non ricordo male) non ha mai detto: «Io ho visto la Renault rossa il 9 maggio», bensì ha detto: «Ho visto una macchina rossa» che poteva tranquillamente essere la Renault 4, ma il punto è che non si ricordava se l'avesse vista il 9 maggio. Il marito, tale Piazza, conferma che la moglie non si ricordava di averla vista il 9 maggio. È dal marito che nasce tutta questa ricostruzione perché, come sapete, era imparentato con un avvocato di nome Martignetti, che era amico di Remo Gaspari e che per motivi suoi professionali aveva a che fare con inquisiti della banda della Magliana, quindi comunque aveva saputo che la moglie di Piazza aveva visto questa macchina, lo rivelò, lo disse a Rognoni, la cosa arrivò a Rognoni e quindi si ricostruì in questo modo la vicenda, però – ripeto – la Ciccotti non parlò del 9 maggio.
  Carla Antonini dice: «Io ho visto la mattina alle 8.15 la macchina». Sono le due testimonianze che io cito perché sono quelle utilizzate da una persona molto attenta e scrupolosa come Vladimiro Satta nella sua ricostruzione della vicenda. Queste due testimonianze messe insieme in effetti blindano la versione di Morucci. Una dice: «Ho visto la macchina che partiva da via Montalcini di mattina presto»...

  PRESIDENTE . Peccato che non fosse il giorno 9...

  MARCO BENADUSI . Però il giorno, appunto... L'altra dice: «L'ho vista alle 8.15», e la versione dei brigatisti è blindata. In realtà, la Antonini non dice: «Ho visto la Renault 4», ma dice: «Ho visto la macchina di colore rosso», e aggiunge: «Io non mi intendo neanche di macchine, quindi figuratevi se posso dire che era la Renault!».

  PRESIDENTE . Mi sembra evidente.

  FABIO LAVAGNO . Tutti di moto si intendono a Roma! Di macchine no, ma di moto sì. La Ciccotti poi la audiamo? A che punto siamo, presidente?

  PRESIDENTE . Se la troviamo, sì.

  FABIO LAVAGNO . È vivente?

  PRESIDENTE . Molti sono viventi, non giovani, ma viventi.

  MARCO BENADUSI . Quindi questo è quello che io ricostruisco. In effetti mi sembrava molto importante anche la testimonianza di D'Ascenzo, che dice come altri di aver visto invece la macchina più tardi...

  PAOLO CORSINI . La Ciccotti ha ribadito in più di un'occasione a Giambattista Groli, testualmente, di aver incontrato il 9 maggio Anna Laura Braghetti. Questo mi sembra assodato dalla testimonianza della Ciccotti, Groli l'ha sentita più di una volta.

  PRESIDENTE . Groli non so chi sia, non credo che sia un pubblico ministero...

  PAOLO CORSINI . No, Groli era il segretario particolare di Martinazzoli.

Pag. 13 

  PRESIDENTE . Il problema è che però quando ha dovuto dichiararlo sotto giuramento ha detto il contrario, ripetutamente.

  MARCO BENADUSI . Io ovviamente non so se la Ciccotti ha visto o non ha visto, io riporto quello che...

  PAOLO CORSINI . Io non sto contestando quel che ha detto lei.

  MARCO BENADUSI . No, no, per carità, però al di là della Ciccotti e dell'aver visto la macchina a via Montalcini, che fa la sua differenza – perché ovviamente un conto è che sia partita da via Montalcini, un conto no, un conto è che sia stato ucciso in via Montalcini, un conto che sia stato ucciso nel Ghetto, c'è una bella differenza – credo che poi il momento cruciale sia lì, il 9 maggio, a via Caetani, e mi sembra che lì la situazione sia evidentemente un po’ debole; l'avvistamento della Renault 4 la mattina presto in modo tale da certificare la versione di Morucci, a mio parere, è un po’ debole. Questo per quanto riguarda via Caetani.
  Il seguito della domanda riguardava Mortati e i covi al Ghetto. Mortati – ripeto – parla di una serie di covi, uno è in via dei Bresciani, l'unico che viene indicato con una via precisa. È un covo che porterà infatti a delle indagini, verranno inquisiti e anche condannati marito e moglie, una coppia, per fiancheggiamento alle Brigate rosse. L'appartamento fu anche sotto osservazione mediatica, perché furono ritrovati lì dei fogli della segreteria di Lettieri, che era il Sottosegretario all'interno che coordinava i comitati di crisi sul caso Moro, e venne fuori che la segretaria di Lettieri, tal Tiziana Lucidi, frequentava quell'appartamento; però nel suo caso non ci sono state conseguenze giudiziarie. Questo però contribuì ad accendere i riflettori su quel covo. Mortati poi parlò di altri due covi frequentati, durante il sequestro Moro, nel Ghetto, dove avrebbe visto Triaca, che era il tipografo delle BR, e Morucci (cita queste persone). Non ha saputo indicare quali fossero questi covi, ma – ripeto – dalle indagini che ne seguirono fu identificata una zona intorno a via Arenula e via Sant'Elena, in particolare, dove si ipotizzò ci fossero dei fiancheggiatori delle Brigate rosse.

  MIGUEL GOTOR . Presidente, posso dire ora una cosa, perché poi devo andare in un'altra Commissione? Sulla vicenda della signora Ciccotti do il mio contributo, naturalmente in via ipotetica: è certamente vero che la signora Ciccotti plurime volte nel corso dei decenni successivi ha sostenuto informalmente che quell'episodio era avvenuto il 9 maggio e lo ha detto certamente, come ricordava il senatore Corsini, a Giambattista Groli e anche in altre occasioni; è altrettanto vero, però, che di fronte a un magistrato, all'inizio, quando la vicenda giudiziaria non aveva avuto ancora lo sviluppo che ha avuto poi, lei disse che quella macchina era stata vista non il 9 maggio, ma qualche giorno prima.
  Direi (questo è il mio piccolo contributo) che ho sempre avuto l'impressione che la signora Ciccotti nel corso degli anni abbia preferito acconciarsi per un'innata saggezza o si sia anche auto-convinta, perché poi è difficile stabilire il limite fra le due cose, o abbia deciso di preferire...

  PRESIDENTE . La pace interiore...

  MIGUEL GOTOR . La pace non solo interiore, ma anche esteriore, a una possibile guerra, nel senso che, se la macchina lei l'ha vista il 9 maggio, tutta la memorialistica (non le dichiarazioni giudiziarie, ma tutta la memorialistica) brigatista sulla vicenda ne esce confermata e si imbullona in questo modo la versione...

  PRESIDENTE . Quindi la convochiamo di sicuro.

  MIGUEL GOTOR . Se invece lei avesse continuato a ribadire, come – ripeto – non ha fatto, la sua verità giudiziaria originaria, avrebbe raccontato secondo me una cosa estremamente realistica, cioè che tutto quello che è avvenuto in quel garage è effettivamente avvenuto qualche giorno prima del 9 maggio, ed è potuto avvenire (incontro con Pag. 14 la Braghetti compreso) perché la macchina era lì, ma non c'era il corpo di Moro né vivo, né morto; cioè non era una situazione di pericolo estremo, come invece la versione del 9 maggio propalata da Morucci e poi dalla memorialistica brigatista farebbe credere.

  PRESIDENTE . L'intervento del senatore Gotor mi convince a convocare la signora Ciccotti nel più breve tempo possibile, almeno vediamo se la aiutiamo a dire...

  PAOLO CORSINI . E sentiremo l'ennesima riproposizione di quel che va dicendo da anni...

  PRESIDENTE . Però abbiamo una moral suasion per aiutarla...

  PRESIDENTE . Un altro tema che ha molto rilievo nel volume è il processo di formazione della colonna romana delle BR, su cui noi abbiamo da tempo riflettuto. Dopo aver ricordato che la colonna si formò con il concorso di un consistente nucleo di Potere operaio, lei valorizza le testimonianze di Cianfanelli e Savasta, che individuano in Morucci e Faranda una sorta di cerniera tra BR e Autonomia. Su questa base viene spiegata una serie di passaggi del sequestro Moro e, soprattutto, della seconda metà del 1978, quando si svolse una serie di incontri tra Piperno, Pace, Scalzone da un lato e Moretti dall'altro.
  Le chiedo di tornare su questo tema e in particolare di approfondire la questione del tipo di rapporto che – si evince – si venne a creare tra Autonomia e BR. Se infatti da un punto di vista generale è evidente che tali rapporti ci furono anche in termini personali, è però vero che su un piano giudiziario l'impianto accusatorio su cui si basano i processi «Metropoli» e «7 Aprile» fu fortemente ridimensionato, con sentenze che giunsero nel 1987 e nel 1988. In quegli anni, peraltro, stava mutando la valutazione di alcuni fenomeni di estremismo politico anche armato rispetto a quella degli anni precedenti.

  MARCO BENADUSI . Al riguardo si può partire da quello che disse Scalzone, che è un protagonista di quegli eventi, a riguardo del processo «7 aprile» molti anni dopo, quando la sua situazione giudiziaria era in qualche modo risolta: «I giudici avevano torto a pensare che noi fossimo un cervello unico con le Brigate rosse, però avevano ragione laddove ci volevano inchiodare alle nostre responsabilità per quanto riguarda la lotta armata».
  Abbiamo, quindi, due anime distinte della lotta armata di sinistra, che nascono in maniera distinta, si sviluppano in maniera distinta, e finiscono, si esauriscono in maniera distinta. Una è la lotta armata brigatista e l'altra è la lotta armata non brigatista, che in gran parte si richiama alle suggestioni e al mondo dell'Autonomia, sia a livello teorico sia a livello di rapporti umani sia a livello operativo, in base a quelle prassi del doppio livello, dove c'erano una sfera che svolgeva politica in maniera legale e una sfera invece che operava su un piano anche di illegalità. Queste due anime avevano (mi sembra si possa dire a livello storico con grande tranquillità) una relazione dialettica. Questo vuol dire che si confrontavano, come può avvenire a due forze politiche che si muovono in un campo del tutto istituzionale, dove ti confronti, a volte hai delle forti sinergie, a volte ti scontri. Quindi, non erano due mondi, due pianeti separati; non stiamo parlando della Terra e della Luna, stiamo parlando di due realtà inevitabilmente contigue, in relazione dialettica.
  Durante la vicenda Moro questa relazione dialettica a mio parere sì inasprisce. Si stringe da una parte e dall'altra si inasprisce, proprio perché un pezzo delle BR appartiene come sua origine storica alla lotta armata non brigatista, vale a dire il pezzo delle BR che ruota intorno a Morucci.
  Morucci viene dall'altro (chiamiamolo così) partito della lotta armata e confluisce dentro un nuovo partito della lotta armata, che è quello delle Brigate rosse. Gli ortodossi delle Brigate rosse, cioè il gruppo, per semplificare, che fa capo a Moretti (anche questo mi sembra che si possa dire guardando gli atti e le testimonianze) aveva il sospetto in quelle settimane, in quei mesi Pag. 15 che Morucci fosse manovrato dai suoi vecchi referenti che stavano fuori dalle Brigate rosse. Forse «manovrato» non è il termine adatto, ma che avesse delle relazioni, dei rapporti, che avesse ancora un piede dentro e un piede fuori: questo su Morucci è il sospetto che hanno le BR di Moretti.
  Sappiamo anche che effettivamente un attrito ci fu. Lo sappiamo perché lo raccontano i protagonisti, lo racconta lo stesso Morucci: ci fu un attrito perché non volevano gestire la vicenda Moro esattamente nello stesso modo e soprattutto perché non volevano gestirne l'epilogo nello stesso modo.
  Qui, però, secondo me è importante chiarire che la vera differenza tra questi due partiti della lotta armata che si ritrovano nelle BR che sequestrano Moro non è Moro vivo o Moro morto, come a volte una certa pubblicistica e talora anche i protagonisti in maniera semplificatoria dicono, ma il vero dilemma era: liberiamo Moro anche senza condizioni, cioè liberiamo Moro anche senza avere nulla in cambio come è stato con Sossi? Il partito non brigatista, il partito che proveniva dal mondo dell'Autonomia, a questa domanda tendenzialmente diceva «sì»; il partito di Moretti a questa domanda, così come aveva fatto in occasione del sequestro Sossi, diceva «no». «Io Moro lo voglio liberare» – dice in sostanza Moretti, che oggettivamente si attiva negli ultimi giorni anche disperatamente, fa le telefonate per liberarlo – «ma non lo libero se non ho nulla in cambio, voglio avere qualcosa in cambio».
  Questo porta a un'ultima, forte frattura che ha il suo epilogo quando Morucci (ma questo voi lo sapete benissimo, Morucci lo avete esaminato anche in questa sede) esce dalle BR e si porta via i soldi. Fu uno scandalo portarsi via le armi e i soldi, poi la situazione degenerò e sappiamo che inevitabilmente Moretti sospettò un aiuto da parte di Piperno e del gruppo di Piperno nel proteggere questi fuoriusciti, che fornirono loro – così riteneva Moretti – dei punti di appoggio, degli appartamenti dove stare e via dicendo.

  PRESIDENTE . Un'ultima domanda. Lei formula anche alcune considerazioni sull'esistenza (questo è per noi di grande importanza) di un punto di appoggio brigatista nei pressi di via Fani, e precisamente un garage posto in un edificio in via Massimi, nella zona della Balduina. Potrebbe trattarsi del garage in cui Carlo Brogi lavorò per un certo periodo (questo ascoltatelo bene perché è direttamente connesso a una parte di approfondimenti che stiamo facendo noi). D'altra parte, in sede processuale è stata accettata la tesi che Brogi, anche lui proveniente da Potere operaio, sia entrato nelle BR solo alcune settimane dopo il sequestro Moro Per tornare all'articolo di Di Donato, che dice «in un garage compiacente guardato dalle BR», le chiedo un approfondimento sul fatto che Carlo Brogi quando lavora lì nel garage è di Potere operaio. Ciò potrebbe spiegare anche una serie di presenze particolari in uno stabile di via Massimi.

  MARCO BENADUSI . Scusi, presidente, lei dice che Carlo Brogi ha detto che lavorava lì? Nel senso che lo ha detto a voi?

  PRESIDENTE . No, io metto insieme...

  MARCO BENADUSI . Ho capito. Lo chiedevo perché ci tengo a precisare che quello che io ho segnalato...

  PRESIDENTE . Se Brogi ce lo avesse detto, avremmo risolto il problema.

  MARCO BENADUSI . Non lo ha detto neanche a me.

  PRESIDENTE . Però ci serve capire come lei fa a individuarlo.

  MARCO BENADUSI . Io dico questo: nel momento in cui la casa editrice che pubblica il libro ha fatto anche un comunicato stampa, il libro ancora non era uscito, voi – cioè la Commissione – avete reso noto che stavate indagando, però ci sono 2 o 3 personaggi che ruotavano...

  PRESIDENTE . Non lui, erano altri.

  MARCO BENADUSI . Non avete detto i nomi.

Pag. 16 

  PRESIDENTE . No, noi proprio non sapevamo di lui, per questo per noi è importantissimo sapere come lei ci sia arrivato.

  MARCO BENADUSI . Io, letta quella cosa, ho chiamato l'editore e detto che nel libro segnalo che negli atti del processo contro le Unità comuniste combattenti, che era un gruppo eversivo di sinistra romano, legato quindi a quel partito non BR di cui dicevo prima, legato anche a Morucci (c'era una sua ex fidanzata che era militante di questo gruppo, ci sono tanti legami), c'è una persona, un militante di quel gruppo che è un pentito, quindi descrive dettagliatamente le vicissitudini dei suoi compagni e riguardo a Carlo Brogi dice che ha fatto lo steward all'Alitalia. Lo ha fatto prima, durante il sequestro Moro risulta che non facesse parte delle BR, quindi faceva parte delle UCC; poi va nelle BR dopo il sequestro Moro, ma in quel periodo, in quei mesi faceva il garagista alla Balduina, punto.

  PRESIDENTE . Per noi questo è importante, perché avevamo in testa altri nomi e nessuno che facesse il garagista, per capirci.

  MARCO BENADUSI . Sì, quello a cui tengo, anche nel rispetto delle persone eventualmente coinvolte, è che io non addito nessuno, può essere che Carlo Brogi facesse il garagista in un altro garage...

  PRESIDENTE . Che non era a via Massimi.

  MARCO BENADUSI . Non nei 55 giorni, quindi può essere di tutto, io non dico nulla, io dico solo che c'era scritto... Io neanche lo sapevo che stavate guardando nei dintorni di...

  PRESIDENTE . Però questa è una felice coincidenza.

  MARCO BENADUSI . Scrivendo di 30 o 40 gruppi armati e di 40 anni di terrorismo di sinistra nel libro c'è scritta questa cosa, che lui faceva il garagista lì.

  PRESIDENTE . Nella zona Balduina. Ci informeremo per sapere se in quel garage ci ha lavorato.

  MARCO BENADUSI . Tra l'altro, se vi interessa, si può aggiungere che la questione di cui abbiamo parlato prima, cioè il documento di Cogliandro, l'appunto dove dice che c'è un garage alla Balduina, indica un numero civico diverso da quello dove in effetti fu svolta un'ispezione dalle forze dell'ordine.
  Cosa avvenne? Quando esce il 15 novembre l'anticipazione sul «Tempo», quindi non quella allegata da Cogliandro, ma l'anticipazione di Di Donato dell'articolo di «Penthouse» sul «Tempo», in cui c'è scritto di un garage alla Balduina, il Commissariato di Monte Mario si muove e va a vedere.

  PRESIDENTE . Novembre 1978?

  MARCO BENADUSI . Novembre 1978. Va a vedere e va dentro quel garage di via Massimi 91, che ha due ingressi, uno anche su via della Balduina, al numero 332 o 333...

  PRESIDENTE . 323.

  MARCO BENADUSI . 323. Di Donato invece, successivamente (l'aspetto che un pochino mi sorprende è che sia successivamente, quindi avendo potuto sapere che l'ispezione era stata svolta al 323) dice che c'è un garage alla Balduina al 224, quindi a un altro numero. Poi uno può, volendo, verificare cosa c'era all'uno e cosa all'altro numero.

  FEDERICO FORNARO . Intanto la ringrazio. A me interessa approfondire un passaggio di un avvenimento che si verificò due giorni dopo il 16 marzo, cioè il duplice delitto, a Milano, di Fausto e Iaio, Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, due giovani del Centro sociale Leoncavallo.
  Lei, nel suo libro, prima mette in relazione questa vicenda con il «noto servizio» e con Adalberto Titta, dicendo testualmente: «È emersa la possibilità che il capo Pag. 17 operativo di tale organismo, Adalberto Titta, sia venuto al corrente dei rischi che correva Moro, sulla base di informazioni fornite da sue fonti a Milano. Dopo il rapimento avrebbe “provocato” un contatto con le BR mediante il duplice delitto di Lorenzo Iannucci (detto Iaio) e Fausto Tinelli». Successivamente fa un altro collegamento: «Gli autori dell'omicidio non furono mai identificati, ma finirono sotto inchiesta tre uomini della destra estrema, tra cui Massimo Carminati, elemento della banda della Magliana, ritenuto vicino al SISMI di Santovito e Musumeci. L'operazione avrebbe quindi avuto una funzione comunicativa analoga a quella successivamente effettuata con la scoperta del covo di via Gradoli e il falso comunicato del lago della Duchessa: sappiamo dove siete, possiamo catturarvi, scendete a patti».
  Vorrei capire il ragionamento logico che porta a mettere insieme questi elementi, che per la prima volta, a quanto io ricordi, sono così concatenati.

  MARCO BENADUSI . Innanzitutto preciso che le mie fonti relativamente al covo di via Monte Nevoso e al possibile aggancio con il delitto di Fausto e Iaio sono i lavori di indagine e ricerca svolti da Aldo Giannuli sul «noto servizio» e Biacchessi sul delitto di Fausto e Iaio, quindi in quel caso (non in altri, ma in quel caso sì) io mi appoggio a loro per avanzare quella ipotesi, che quindi è una loro ipotesi.

  FEDERICO FORNARO . Quindi è Biacchessi che fa questo collegamento?

  MARCO BENADUSI . No, Biacchessi nel ricostruire la vicenda di Fausto e Iaio e Giannuli nel ricostruire la vicenda del «noto servizio» individuano la possibilità (perché sappiamo che è un delitto irrisolto dal punto di vista giudiziario) che, come è noto nella letteratura sul caso Moro, vi fosse un collegamento tra quei due ragazzi uccisi da ignoti e il covo di via Monte Nevoso. Una delle piste su cui si è indagato in relazione alla morte di Fausto e Iaio è il collegamento con via Monte Nevoso.
  Questa era solo una premessa per chiarire la tipologia di fonti. L'aggancio che effettivamente io faccio è che, se così fosse, cioè se Fausto e Iaio vengono uccisi per dire alle BR: «Guardate che noi sappiamo che in via Monte Nevoso avete una base», il messaggio alle BR, perché le BR poi in un loro comunicato citano quel delitto, è come se si parlassero...

  FEDERICO FORNARO . È l'unico delitto citato.

  MARCO BENADUSI . Se fosse vera l'ipotesi del messaggio attraverso il delitto, il messaggio sarebbe: «Noi sappiamo dove state». Allora io dico che è stato scoperto il covo di via Gradoli per lanciare un messaggio analogo: «Noi sappiamo dove state, in qualsiasi momento entriamo dentro i vostri covi, vi prendiamo e vi sbattiamo in carcere», e anche questo si sapeva.
  Quello che io aggiungo è il lago della Duchessa, perché vicino al lago della Duchessa c'era un covo delle UCC, che era il covo di Vescovio, scoperto nel 1979. Furono ritrovate piantine di sotterranei, una ricetrasmittente, un vaso da notte; gli inquirenti pensarono che fosse anche adibito a luogo dove trattenere un eventuale rapito, quindi si parlò sui giornali – ma anche fra chi svolgeva le inchieste – di un possibile collegamento con il sequestro Moro.
  Prendendo spunto da questa pista di indagine io dico che, qualora quel covo fosse in qualche modo inserito in una rete più o meno interna alle BR, ma comunque a disposizione delle BR, allora potremmo dire che anche il falso comunicato della Duchessa potrebbe avere quel significato comunicativo, cioè: «Attenzione, noi sappiamo pure qual è il covo che avete vicino al lago della Duchessa», perché a mio parere il lago della Duchessa, più che essere legato ai Caetani o far capire che devono ammazzare Moro, tutto questo filone un pochino dietrologico...

  FEDERICO FORNARO . Lei in un'altra parte del libro fa anche un'ipotesi legata alle ricetrasmittenti...

Pag. 18 

  MARCO BENADUSI . Sì, esatto, perché a me sembra abbastanza evidente che sia fondata la possibilità che via Gradoli avesse una base radio; sapete che la vicina dell'appartamento di Moretti sentiva il segnale Morse, quindi è plausibile. Moretti era un esperto di ponti radio, faceva quello di mestiere prima di fare il brigatista, quindi è plausibile che a via Gradoli ci fosse una base radio; le trasmissioni radiofoniche sono più sicure rispetto alle trasmissioni telefoniche. A quel punto io dico: è possibile che la ricetrasmittente trovata nel covo di Vescovio fosse in congiunzione con la radio di via Gradoli? Se così fosse, era un ponte radio...

  FEDERICO FORNARO . A quell'epoca era necessario avere ponti radio molto più ravvicinati rispetto ad oggi...

  MARCO BENADUSI . Io segnalo questa possibilità, cioè che ci fosse un canale di comunicazione tra via Gradoli, la zona del lago della Duchessa e Milano.

  PRESIDENTE . Il nodo era che poteva essere un messaggio di avvertimento...

  FEDERICO FORNARO . Ma mentre questa, nella saggistica, per quanto riguarda via Gradoli è una delle interpretazioni, è un po’ più forte collegare l'uccisione di due persone come segnale di avvertimento, di cui tra i sospettati c'è di fatto la longa manus del SISMI.

  MARCO BENADUSI . Per quello ho fatto la premessa sulle fonti. Fa parte della letteratura sul caso Moro, quando dico che è stata ritrovata una ricetrasmittente nel covo di Vescovio dico un dato di fatto, riporto l'atto in cui c'è scritto.

  PRESIDENTE . Lì invece è una tesi.

  MARCO BENADUSI . Lì invece è una tesi, neanche mia.

  FEDERICO FORNARO . Allora, secondo me in nota andava specificato meglio.
  Un'ultima domanda proprio sul casolare di Vescovio, perché lei ad un certo punto nel suo libro fa un'affermazione che le chiederei di esplicitare meglio in riferimento al coinvolgimento delle UCC nel sequestro Moro, che non è stato accertato: «La questione è delicata perché quel gruppo eversivo si muoveva con particolare scaltrezza lungo la sottile linea di confine che separava la lotta armata dagli ambienti della politica istituzionale». Può chiarire brevemente questo passaggio?

  MARCO BENADUSI . Il gruppo delle UCC, così come tutto il mondo dell'eversione di sinistra a Roma – quindi non solo le UCC, ma tutto il movimento rivoluzionario di estrema sinistra a Roma – era costituito da persone che non di rado appartenevano ad ambienti familiari di un certo tipo, che avevano contatti con ambienti politici di un certo livello, le stesse vicende giudiziarie delle UCC finirono su tutti i giornali perché...

  PRESIDENTE . Una figlia di Giacomo Mancini era sposata con un soggetto... questo lo sappiamo.
  Un'ultima cosa: lei dedica una breve considerazione al militante di Azione rivoluzionaria Enrico Paghera (pagine 147 e 148 del suo libro), indicato da alcuni pentiti come autore del falso comunicato del lago della Duchessa, che sarebbe stato redatto su input brigatista per alleggerire la pressione dell'indagine. Nel 1988 lo stesso Paghera rilasciò un'intervista nella quale sosteneva di aver ricevuto in carcere la visita di un capitano dei Carabinieri che gli aveva appunto suggerito di attribuire ad Azione rivoluzionaria, cioè al suo movimento, sia la responsabilità del falso comunicato numero 7 emesso dalle BR durante il sequestro Moro, sia quella dell'omicidio Pecorelli.
  Paghera, in effetti figura controversa, pare che abbia avuto contanti in carcere con l'americano Stark e il 4 ottobre 1979 fu ferito nel penitenziario di Trani dal catanese Vincenzo Andraous, fascista e killer della mafia specializzato in delitti nelle carceri, che nell'agosto del 1981 ammazzò nel carcere di Nuoro Francis Turatello. Pag. 19 
  Alla luce di tutto quello che scrive, quale valutazione ha tratto sull'episodio raccontato da Paghera?

  MARCO BENADUSI . Io lì, in maniera molto rapida...

  PRESIDENTE . Sembrava che qualcuno volesse dare la paternità di questo...

  MARCO BENADUSI . Anche lì, se vogliamo, tutto ha origine nel memoriale Morucci. Morucci scrive nel memoriale: «Ho sentito dire che il falso comunicato numero 7, fosse stato scritto da Paghera». Questo dice Morucci, quindi c'è questo sospetto, poi invece abbiamo saputo che invece così non è, quindi si trattava di un'informazione errata. Depistaggio? Non lo so, comunque di un'informazione errata, perché l'autore del falso comunicato...

  PRESIDENTE . Però non è indifferente che Morucci, di cui si configura dal 1979 in poi un andamento di un certo tipo, attribuisca quel comunicato ad altri rispetto a quella che poi sembra la verità...

  MARCO BENADUSI . Sì, poi Paghera dice: «Infatti mi hanno indotto ad assumermi la responsabilità di quel comunicato», così come del delitto Pecorelli, che voi sapete essere stato anch'esso oggetto di un depistaggio, Infatti Chichiarelli fa ritrovare le sue schede attraverso le quali lancia messaggi cifrati, e una riguarda il delitto Pecorelli ed è un depistaggio, perché tende ad attribuire il delitto Pecorelli alle BR.

  PRESIDENTE . A me colpisce che Morucci contribuisca a depistare, magari in buona fede, e individui Paghera. Però naturalmente lo individua dopo il 1979, quando viene arrestato o, come diciamo noi, magari si voleva consegnare nel contesto di una trattativa che poi portò al memoriale. Questo quindi è un altro aspetto non indifferente, cioè il fatto che Morucci dica: «Il comunicato non l'abbiamo fatto noi, ma l'ha fatto Paghera»; poi invece si dimostrerà che questi non l'ha fatto. Ci interessava questo discorso, quindi.
  La ringraziamo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.

Pag. 20 

ALLEGATO

Resoconto stenografico dell'audizione di Guido Bodrato, svolta a Torino il 20 marzo 2017 da una delegazione della Commissione(*) .

Fioroni Giuseppe, presidente ...42, 44, 45, 46, 49, 50, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61
Bodrato Guido ...42, 44, 45, 46, 47, 49, 51, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 60, 61
Buemi Enrico (Aut-PSI-MAIE) ...51, 56, 59, 60
Fornaro Federico (MDP) ...47, 49, 50, 52, 54, 55, 57
Lavagno Fabio (PD) ...50, 59
Naccarato Paolo (GAL) ...47, 58, 59, 61

Pag. 21 

  L'audizione comincia alle 12.40.

  PRESIDENTE. Avverto che, come di consueto, l'audizione verrà documentata mediante registrazione audio e predisposizione di un resoconto, che verrà pubblicato ad eccezione delle eventuali parti secretate.
  L'odierna missione è diretta allo svolgimento dell'audizione dell'onorevole Guido Bodrato. Nel periodo del sequestro Moro, l'onorevole Bodrato era membro della segreteria politica della Democrazia cristiana e faceva parte della delegazione che, insieme al segretario Zaccagnini, funse da punto di riferimento del partito in quel periodo.
  Poiché l'onorevole Bodrato ha già fornito in numerose sedi sue valutazioni e testimonianze – ricordo in particolare il volume 1978 Moro, la Dc, il terrorismo (Brescia, 2006), scritto insieme a Corrado Belci – nei quesiti affronterò soprattutto alcune questioni specifiche e il tema più generale delle dinamiche decisionali interne alla Democrazia cristiana.
  La posizione della Democrazia cristiana di fronte al sequestro Moro fu caratterizzata, com'è noto, dalla cosiddetta «linea della fermezza». Vi furono però anche posizioni diverse, ad esempio di esponenti della Democrazia cristiana pugliese e non solo.
  Può riassumere a grandissime linee il dibattito interno al partito, con particolare riguardo agli esponenti che espressero posizioni meno rigide rispetto alla linea ufficiale? In particolare, è stato più volte sollevato da membri della Commissione che oggi non sono presenti l'interrogativo sul perché non fu mai convocato il Parlamento per discutere del sequestro in corso, e non fu convocata neanche una riunione del Consiglio nazionale della Democrazia cristiana.

  GUIDO BODRATO. Io dico quello che ricordo – a trent'anni dai fatti che stiamo analizzando – e che, d'altra parte, in più occasioni ho avuto modo e responsabilità di esprimere.
  Nessuno si attendeva quella vicenda, evidentemente, alla quale non era preparata la politica e non erano preparate nemmeno le istituzioni dello Stato. Credo che abbiate letto in molte delle ricostruzioni storiche che lo stesso vicecomandante dell'Arma dei carabinieri, il generale Ferrara, interrogato sulla situazione, su come avere informazioni, affermò che la risposta non era in grado di darla, perché il sistema, soprattutto quello dei servizi segreti, era stato smantellato e quindi si stava ricostruendo, perciò non avevano elementi sicuri ai quali fare riferimento. Io in quei giorni ho avuto frequenti incontri con il comandante della Legione Carabinieri Lazio, il generale Siracusano, per tenermi un collegamento, per avere informazioni dirette. Lo incontravo quasi ogni giorno lo incontravo e ad un certo punto, di fronte alla situazione, il generale Siracusano consigliò di richiamare in servizio il generale Dalla Chiesa, che ho incontrato in seguito, insieme a quello che era diventato già il Ministro dell'interno, Rognoni.

  PRESIDENTE. Quindi, dopo il sequestro Moro.

  GUIDO BODRATO. Sì, quando è stato. Quindi, una situazione di difficoltà che dal punto di vista del sistema di sicurezza si è rimessa in moto in seguito, ma inizialmente c'era una grande difficoltà ad affrontare questo attacco del terrorismo, che peraltro era già attivo da Pag. 22 parecchio tempo; ad esempio, noi a Torino avevamo già avuto parecchi episodi di terrorismo sia delle Brigate rosse sia di Prima linea.
  Credo, da questo punto di vista, che convenga sottolineare il fatto che in ognuna delle diverse realtà metropolitane (definiamole così, perché è soprattutto in questa realtà che erano presenti i terroristi) c'era l'egemonia di uno dei molti gruppi: a seconda dei casi Potere operaio, Autonomia nel Veneto, mentre in Piemonte e in Lombardia erano più presenti Brigate rosse e Prima linea. Quindi l'impressione immediata era quella che via Fani e il sequestro di Aldo Moro potessero rappresentare l'inizio di una situazione caratterizzata da una violenza più diffusa; c'era stata prima ed è continuata durante il sequestro, e in quel momento era difficile capire cosa potesse significare quell'attacco terroristico.
  La posizione che è emersa immediatamente, fin dal primo incontro che si è svolto a Palazzo Chigi quando è arrivata la notizia di via Fani ed eravamo già praticamente nell'Aula della Camera, è stata una risposta pressoché unanime di rifiuto di qualunque ricatto terroristico, anche perché (e questa è stata un'opinione rimasta ferma anche in seguito) c'era la convinzione, che io continuo a ritenere fondata, che qualunque cosa potesse apparire cedimento nei confronti del terrorismo avrebbe dilatato l'attacco dei terroristi in tutto il Paese.
  Immediatamente non si era posto nemmeno il problema di trattare o non trattare, ma di che giudizio dare e come affrontare questa vicenda. Il dibattito parlamentare (credo sia opinione ormai consolidata degli storici) ha risolto una questione che era ancora in dubbio, cioè come avrebbe votato il Partito comunista, perché c'era all'interno dei partiti, in particolare dei due principali partiti coinvolti in quella stagione politica, un'insoddisfazione (non so come definirla meglio) per come la crisi si era conclusa. Il Partito comunista infatti si attendeva un Governo diverso da quello che si era formato dato, e questa diversità poteva comportare una decisione sul voto di fiducia che, probabilmente, per quanto si poteva temere, avrebbe indotto il Partito comunista a un'astensione; quindi con ogni probabilità si sarebbe andati in direzione di elezioni anticipate e quindi di una probabile, ulteriore polarizzazione o radicalizzazione (definiamola come vogliamo) della situazione elettorale e politica del Paese. Via Fani ha spinto il Partito comunista a superare questo punto di dissenso abbastanza profondo e a votare la fiducia, con un dibattito che è stato fin da allora criticato da chi non era all'interno di questa operazione politica, perché fu considerato un cedimento del parlamentarismo nei confronti del terrorismo (definiamolo così), cioè si è chiusa rapidamente la questione, in qualche misura riducendo il dibattito politico.
  Questo è il dato iniziale, che indica la drammaticità della situazione e le ragioni per le quali la posizione assunta immediatamente anche dalla DC fu: «Diciamo no ai terroristi», tutti uniti. A questa decisione del Parlamento si sono aggiunte le manifestazioni immediatamente organizzate in molte città. Ricordo quella svoltasi a Torino (io ho partecipato successivamente a una manifestazione della DC, perché il primo giorno ero a Roma) svoltasi a Torino, ma ne furono organizzate in molte altre città. Dirò, perché altrimenti rischio di dimenticarmi questo aspetto che può avere una certa importanza, che ero responsabile della stampa e propaganda, quindi avevo i collegamenti con la periferia per quanto riguardava iniziative e manifestazioni. L'orientamento Pag. 23  che subito assumemmo – per cui per parte nostra si sono svolte soltanto le manifestazioni che erano già organizzate, alcune delle quali in previsione delle elezioni amministrative che si sono svolte in quel periodo – fu di consigliare alla periferia di non organizzare manifestazioni per evitare situazioni di possibile terrorismo, ma anche per evitare una esasperazione nello scontro che c'era, perché il terrorismo era l'apice di una situazione di contrasto, di conflitto sociale, di manifestazioni di piazza, e anche della cosiddetta «violenza di massa» allora molto diffusa nel Paese. L'orientamento era quindi quello di evitare di provocare, anche non volendolo, situazioni di inasprimento di quella difficilissima situazione.
  Notiamo che già in precedenza, poco prima, quando c'è stata la convocazione dei gruppi congiunti della DC della Camera e del Senato, quella in cui ha fatto il suo ultimo discorso Moro (discorso notissimo, quindi è inutile che mi soffermi su questo), quella riunione dei gruppi congiunti fu decisa, in alternativa alla convocazione del Consiglio nazionale, perché si riteneva che la difficoltà della realtà politica consigliasse, siccome il problema sarebbe stato il voto di fiducia in Parlamento, di coinvolgere direttamente in una valutazione definitiva sul problema politico i parlamentari anziché il Consiglio nazionale. Si era quindi scelta questa strada, ritenendola più responsabile, poiché era utile evitare una difficoltà di orientamento tra gli organi del partito e la loro rappresentanza parlamentare, difficoltà che in precedenza qualche volta si era già realizzata. Dobbiamo ricordarci che Zaccagnini era stato eletto segretario direttamente dal congresso e aveva una maggioranza congressuale, tuttavia, siccome negli organi della Democrazia cristiana c'era anche una forte rappresentanza diretta dei gruppi parlamentari, quella maggioranza congressuale non si rifletteva negli organi di partito, perché sugli organi di partito contava anche l'influenza di gruppi parlamentari che non a caso avevano come presidenti al Senato...

  PRESIDENTE. Bartolomei.

  GUIDO BODRATO. Faccio fatica a ricordare i nomi. Al Senato Bartolomei e alla Camera Piccoli, quindi erano due esponenti di quella che era stata la minoranza nel congresso: questo dice da solo quale fosse la situazione al vertice del partito.
  Si era quindi scelta quella strada concordemente, senza nessuna obiezione degli organi di partito, perché la si era ritenuta la via che rappresentava meglio il percorso verso una decisione così impegnativa come quella che doveva poi concludersi nel voto di fiducia in Parlamento.

  PRESIDENTE. Dopo il rapimento perché non si riunirono né il Consiglio nazionale né la direzione della DC né vi fu una riunione delle Camere?

  GUIDO BODRATO. La ragione fondamentale era la difficoltà di assumere una posizione che si ritenesse in partenza utile dal punto di vista della situazione. La direzione in realtà si è riunita parecchie volte. Il Consiglio nazionale si è riunito soltanto quando è stato poi formalmente richiesto da Moro con le sue lettere di Presidente del Consiglio nazionale, e non era stato fatto prima perché si riteneva che una Pag. 24 riunione del Consiglio avrebbe inevitabilmente irrigidito ulteriormente la posizione, cioè: «Se ci riuniamo, che cosa decidiamo, qual è l'argomento che emerge?».
  Sì, c'era una parte del partito che era stata più volte ascoltata... Ricordo l'esponente più autorevole di questa parte, il senatore Dell'Andro, che era stato allievo di Moro, quindi aveva con lui un rapporto molto stretto, lo conosceva bene, era della sua stessa realtà politica come rappresentante territoriale, e poi altri... Una persona che aveva qualche incertezza sulla linea da assumere, ad esempio, era anche Misasi, che pure era negli organi di partito, ma altre posizioni sostanzialmente...

  PRESIDENTE. Fanfani?

  GUIDO BODRATO. Fanfani assolutamente mai, nemmeno nell'ultima riunione della direzione. Era «alla ricerca di...», ma «alla ricerca di...» erano tanti, però quando agli stessi socialisti che erano alla ricerca di una posizione diversa si chiedeva «Allora che fare?», rispondevano: «Certo non si possono dare riconoscimenti al terrorismo». Quindi la difficoltà di passare da uno stato d'animo ad una posizione politica è la difficoltà che ha caratterizzato quella situazione.

  PRESIDENTE. Quindi – scusa se ti interrompo – quello che Leone dichiara nell'intervista al «Foglio» mai smentita, e le tracce che noi abbiamo trovato di un ufficiale dei Carabinieri che va a cercare faticosamente, senza la collaborazione del DAP, la brigatista Paola Besuschio, e il fatto che Leone e il Guardasigilli Bonifacio erano pronti a dare una grazia come gesto umanitario, perché la terrorista era malata, anche senza richiesta di grazia...

  GUIDO BODRATO. Questa non è una novità. Questo si è saputo, lo scrivevano già i giornali allora, ma il problema è che questo non risolveva niente perché...

  PRESIDENTE. Ma non era legato all'atteggiamento di Fanfani?

  GUIDO BODRATO. ... perché per quello che risultava a noi, gli atti umanitari non erano quello che chiedevano le Brigate rosse. Le Brigate rosse chiedevano un riconoscimento politico e non a caso si rivolgevano, immaginandola proprietaria dello Stato, principalmente alla Democrazia cristiana, ma il problema che ci siamo sempre posti era: «Che significa riconoscimento politico?».
  Tenete conto che il 3 maggio c'è stata una direzione informale, cioè un incontro del gruppo che seguiva questa vicenda, nel quale si disse: «Se voi assumerete una posizione umanitaria rispettosa verso Moro, le forze politiche che sono oggi in contrasto con voi ne terranno conto». Era un modo per dire: «Imbocchiamo una strada che ponga fine al terrorismo». Era una posizione che peraltro era già stata commentata in modo molto critico dal «Corriere della Sera» e a questa posizione nel primo dibattito svoltosi alla Camera dopo l'uccisione di Moro, il 19 maggio, si è riferito direttamente Almirante, dicendo: «Se non è trattativa questa, cosa è la trattativa?». Pag. 25 
  La questione era: un atto attraverso il quale si esce da questa stagione o un atto attraverso il quale questa stagione viene legittimata ad estendersi?
  Ricordate, al riguardo, che una delle polemiche finali tra Prima linea e le Brigate rosse era su chi avesse avuto più morti, chi avesse colpito di più, chi fosse la guida militare dell'insurrezione. Questa discussione va collocata all'interno di questo contesto e di quello che qualche anno dopo, dal punto di vista del puro cinismo, i brigatisti avrebbero avuto interesse a dire («Noi eravamo pronti, voi non siete stati pronti»). Eppure anche dopo, Curcio e Franceschini, in un notissimo libro che sicuramente avete conosciuto, ma anche tutti gli altri, quando le Brigate rosse hanno ripreso azione e hanno cominciato a colpire in seguito, hanno sempre rivendicato come obiettivo della lotta armata fosse l'insurrezione.

  PRESIDENTE. Quindi, sostanzialmente, le iniziative, ossia la grazia alla Besuschio (Leone e Bonifacio) e le altre iniziative umanitarie, come quelle portate avanti dal Vaticano e altre, non venivano da voi né ostacolate, né promosse, né seguite perché l'idea era che tanto non era quello che volevano le BR?

  GUIDO BODRATO. Noi non le abbiamo ostacolate, perché non erano un problema della Democrazia cristiana ma di chi era al Governo. Quello è un atto di Governo, non era un atto di partito. Non le abbiamo ostacolate, ma non le abbiamo mai ritenute la strada che avrebbe portato a superare la minaccia terroristica, perché questo era il problema.
  Io ho letto uno degli ultimi libri, molto ampi, che si propongono giustamente di superare il riferimento a Moro soltanto per i 55 giorni e di collocare la sua strategia, la sua scelta politica, la sua visione della storia all'interno di un arco di tempo più ampio; a un certo punto nel libro di Massimo Mastrogregori si afferma che la differenza decisiva tra Moro e Zaccagnini era che Moro aveva fiducia nelle Brigate rosse e Zaccagnini no. Si può anche dire così. Zaccagnini non riteneva... Credo abbia sofferto più di tutti in quella vicenda, in quella stagione, ma come si poteva credere che un riconoscimento politico (rimango a questa formula più che alla vicenda fermezza o non fermezza, perché è un'alternativa che non ha senso) avrebbe determinato la fine e l'uscita da quella stagione? In quei giorni infatti hanno sparato all'ex sindaco Picco, hanno colpito a Savona, a Genova, a Roma, a Napoli, nel Veneto. Era impossibile immaginare che quei comportamenti potessero essere frenati, attenuati, cancellati da un riconoscimento; e immaginare che questo volessero le Brigate rosse!
  D'altra parte, Sergio Segio, in quel libro autobiografico di cui non ho visto la nuova edizione ma ricordo la prima, ad un certo punto, in polemica con i suoi amici e in particolare con quelli che se ne erano andati in Francia, ha affermato: «Noi adesso dobbiamo riconoscere che abbiamo perso e che il problema nostro e dei nostri compagni che sono in galera è quello dell'amnistia», cioè ha posto il problema come problema che chiude la questione, non come un «poi la guerra continua», perché molti di quelli che hanno fatto esempi di questo genere lo fanno rispetto a situazioni storiche nelle quali si trovava un accordo per scambiarsi i prigionieri e poi la guerra continuava. Pag. 26 
  Il problema del terrorismo non poteva essere posto in questi termini; io credo ancora oggi che non potesse essere posto in questi termini.
  Questa strada era stata offerta da quella dichiarazione della DC sulla quale è grave che non uno degli storici che hanno affrontato questo problema abbia speso una parola per verificare l'utilità o meno di quella disponibilità annunciata a tener conto di un comportamento umanitario, per quanto di conseguenza riguardava il comportamento dello Stato rispetto a questo fenomeno.

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio l'onorevole Bodrato per averci dato una spiegazione molto precisa e puntuale sulle ragioni della scelta della fermezza, che ha aiutato tutti noi a inquadrare quei 55 giorni all'interno di un contesto.
  C'è un punto, però, che per chi si è occupato successivamente della vicenda risulta stridente: la linea della fermezza, per come si è caratterizzata e come è stata descritta ha una sua linearità; si può discutere o meno ma ha una sua linearità. Il problema è che tre anni dopo, nel 1981, invece con il sequestro Cirillo, avviene esattamente il contrario.

  GUIDO BODRATO. Perché hanno accettato i soldi. Da questa parte non li hanno mai accettati, ma non hanno nemmeno accettato un qualunque tipo di incontro. Quando io sono stato convocato, il 22 aprile, come «portavoce della Dc» non c'è stato alcun rapporto...

  FEDERICO FORNARO. C'è un punto, però: tre anni dopo persone si muovono per conto degli apparati dello Stato per aprire una trattativa. Questo è un punto che è apparso a molti stridente, però la risposta mi sembra molto chiara.

  PAOLO NACCARATO. Non è mai stato chiarito se fossero deviati.

  FEDERICO FORNARO. Io ho detto «apparati dello Stato», quindi che fossero deviati o meno non... Io non credo al termine «apparati deviati», ma qui apriremmo una disquisizione storica.
  C'è un altro punto che volevo approfondire. C'è la linea della fermezza che viene tenuta; le ragioni politiche sono chiare. Per quel che vale, vivevo a Torino in quegli anni e quindi credo che non ci fossero alternative, ma questa è una valutazione politica che lascia il tempo che trova. Il problema è questo: siccome la Democrazia cristiana ha sempre avuto canali privilegiati con l'ambasciata e con la diplomazia americana, in quella fase fu richiesto un aiuto in quella direzione? Nella speranza di un'azione militare e di un'attività di intelligence che andasse oltre quella italiana e mettesse in campo il meglio dell’intelligence dei nostri alleati storici? Chi aveva tra voi, all'interno del nucleo ristretto della segreteria dell'epoca, canali con la diplomazia americana? Quei canali furono attivati?

  GUIDO BODRATO. Come partito, non c'erano canali particolari è una critica che io in passato ho fatto alla Democrazia cristiana, dicendo che non esiste soltanto il Pentagono, esistono in America anche i partiti; ma noi non abbiamo avuto un rapporto con le posizioni politiche Pag. 27 americane al di fuori di quelle di Governo. Probabilmente questo è stato un limite, ma allora i rapporti erano rapporti tra Stati e non c'era questo. Parlo di quello che ho conosciuto e sperimentato allora; io non ero nel vertice della segreteria, però partecipavo in quanto avevo la responsabilità di tenere informato il partito e di tenere in qualche modo conto delle opinioni del partito, quindi le mie conoscenze sono quelle, ma non credo che ci fossero...
  Dirò (vi farà anche sorridere) che quando c'era l'ambasciatore Volpe, aveva un giovane collaboratore di origini siciliane, un siculo-americano, Vincent Cannistraro, che poi è diventato capo dipartimento della CIA per un breve periodo (ma è accaduto vent'anni dopo); Vincent veniva ogni settimana a trovarmi per uno scambio di opinioni sulla realtà politica, e quando poi ho letto che le opinioni della CIA sul centrosinistra non erano le più negative, mi è venuto in mente che i rapporti li faceva questo personaggio. Ma allora, in quel momento non credo che fosse in grado di... Mentre c'erano posizioni che avevano collegamenti con le realtà internazionali – basta vedere le persone che erano state impegnate immediatamente, da Lazzati ad altri – collegamenti tutti volti a sollecitare qualche intervento, ma nessuno di questi è arrivato ad una situazione utile, sia quelli verso Israele sia verso i palestinesi, cioè le due forze in contesa nel Medio Oriente. Erano tutti formalmente aperti a collaborare, ma non c'è stato nessun risultato concreto di questa disponibilità.
  La mia opinione, anche rispetto a tante voci che ci sono state e in qualche misura ci sono ancora, è che un fenomeno fondato sulla clandestinità com'era quello terrorista è un fenomeno che è possibile infiltrare e che Dalla Chiesa ha infiltrato notoriamente, ma che aveva una sua radice e una sua originalità assolutamente nazionali.
  Io ho incontrato uno di questi terroristi, quello che ha fatto insieme alla figlia di Moro questa iniziativa per la distensione tra le posizioni sul rapporto «tra le vittime e i responsabili della lotta armata», e ho avuto un dibattito con lui due o tre mesi fa, e a un certo punto, mentre eravamo a cena insieme (non avrei mai immaginato allora che sarei stato una sera a cena assieme con un ex terrorista), gli ho chiesto: «Ma insomma, questo personaggio che vi ha aiutato a sparare, che era il più bravo a sparare in via Fani c'era o no?». E lui, quasi ridendo, mi ha detto: «Ero io. Io so sparare benissimo, io ho colpito Leonardi e le dico anche che con il corpo ha cercato di riparare l'onorevole Moro, che era dietro» (*) . Ora quando uno che è lì...

Pag. 28 

  PRESIDENTE. Chi era questo soggetto?

  GUIDO BODRATO. Io i nomi non li ricordo, ma ho il libro che mi ha dato alla fine dell'incontro, che non era ancora in diffusione, ma lui l'aveva già... Era Franco Bonisoli.

  FEDERICO FORNARO. Questa è una bella novità, una grande novità. Nella ricostruzione del memoriale Morucci, Bonisoli non colpisce Leonardi.

  GUIDO BODRATO. Era in un dibattito a Susa, quindi non ero mica solo. «Io sono quello che sa sparare meglio» ha detto.

  FEDERICO FORNARO. È molto interessante questo.

  PRESIDENTE. Io non ho dubbi che abbia detto in un dibattito pubblico che ha sparato lui, che era bravo a sparare e che Leonardi ha coperto Moro.

  FEDERICO FORNARO. Ma rispetto a tutte le ricostruzioni questa è una novità.

  GUIDO BODRATO. Io ho incontrato un po’ prima, a Domodossola, la Braghetti, in una riunione per presentare il suo libro, e mi ha colpito che in quel dibattito la Braghetti per descrivere il clima che c'era attorno a Moro e all'interrogatorio abbia detto: «Devo dire che quello era l'unico uomo in quel luogo», cioè un riconoscimento di Moro come «l'unico uomo», mentre i brigatisti erano gente che si era attribuita un ruolo superiore a quello che era in grado di gestire, cioè alla fine si sono dimostrati inferiori all'obiettivo che si erano dati.
  Ho incontrato questi due terroristi – la donna una decina d'anni fa – ed erano già in libertà vigilata, ma comunque in libertà. Non erano passati nemmeno tanti anni, adesso ne sono passati quasi quaranta...
  Vorrei dire ancora una cosa; non so se vi interessi o meno, a me interessa: io ho chiesto un giurì d'onore alla Camera rispetto ad un'accusa che venne formulata in Parlamento da Pinto, che allora era un parlamentare di Democrazia proletaria e poi passò ai radicali. Pinto portò in Parlamento quello che in quei giorni si poteva leggere su «Lotta continua», che accusava me e altri di essere intervenuti in Vaticano per far cambiare le posizioni della Santa Sede, in particolare di Paolo VI.

  PRESIDENTE. La famosa parola cambiata («senza condizioni»), però quello lo fece Andreotti...

  GUIDO BODRATO. Ma io non mi riferisco a quello; la polemica su Andreotti viene dopo, allora (il 25 ottobre) avvenne direttamente nell'Aula del Parlamento, e chiesi il giurì d'onore. Quello che è importante è fu costituita una Commissione che indagò e dopo tre o quattro riunioni, durante circa due mesi, decise che era stato un errore, Pag. 29 un'errata interpretazione, affermando che erano notizie che erano circolate all'interno di ambienti politici, in particolare – lì si disse (non so quanto fosse vero) – all'interno di alcune posizioni socialiste in Italia.
  Notate che non si può escludere che coloro che sostenevano che si poteva trattare finissero per avere al loro interno delle posizioni come quelle che poi sono emerse in quel giornale che è durato poco tempo, «Metropoli», di rapporto tra alcuni politici (io dico le cose che penso, molti non le dicono, ma io non ho nessuna difficoltà a dirle)... Poi vengono fuori Pace e Piperno, poi vengono fuori i rapporti con Signorile, che tuttavia si fermano quando a Signorile si chiede: «Ma lei doveva parlarne con qualcuno?» e Signorile risponde: «Sì, con il generale Ferrara», ma il generale Ferrara è morto!

  PRESIDENTE. A questo arriviamo con calma, è una parte cui arriveremo.

  FABIO LAVAGNO. Solo una precisazione, presidente, se posso: il Parlamento nei 55 giorni si riunì per la propria attività ordinaria, fece anche una notevole azione, soprattutto su insistenza dei Radicali e attraverso vari atti, ci fu discussione rispetto al rapimento Moro e ci furono anche dibattiti particolarmente accesi tra i gruppi.

  PRESIDENTE. Però di una seduta del Parlamento dedicata a Moro non ho trovato traccia.

  FABIO LAVAGNO. E a questo punto chiedo che senso avrebbe una seduta del Parlamento dedicata al rapimento Moro.

  PRESIDENTE. Bodrato ci ha già risposto.

  FABIO LAVAGNO. Appunto. Altrimenti continuiamo a dire che il Parlamento non si riunì, mentre si riunì parecchie volte!

  FEDERICO FORNARO. Chiederei però di acquisire agli atti le parti che ricordava il collega Lavagno.

  FABIO LAVAGNO. Ci sono gli stenografici. C'è un parlamentare missino che ricorda l'album di famiglia, erano anche ben documentati...

  FEDERICO FORNARO. Non è per mettere in dubbio, ma, visto che abbiamo tutta la documentazione, vale la pena aggiungere anche questa.

  PRESIDENTE. Nel periodo dei 55 giorni il vertice del partito e i capigruppo con il Governo, il Presidente del Consiglio e il Ministro dell'interno avevano una fluidità di rapporti? Eravate aggiornati sui progressi dell'indagine, avete discusso se si poteva salvare Moro? Chi era il tramite di questi rapporti tra Andreotti e Cossiga da una parte, e dall'altra Zaccagnini e i capigruppo?

  GUIDO BODRATO. C'era la segreteria che insieme ai due presidenti dei gruppi parlamentari era praticamente riunita in continuità, nel senso che ci si vedeva, se non tutti i giorni, quasi tutti i giorni. Pag. 30 Cossiga è venuto una volta, perché c'erano dei lavori (ci sono delle cose strane che capitano) a piazza del Gesù e una perforatrice è esplosa ed è sembrata una raffica; la radio ha direttamente dato notizia che c'era stato un attentato a piazza del Gesù, noi abbiamo subito telefonato e nel giro di pochi minuti hanno smentito la notizia alla televisione. Nel frangente tra lo scoppio e la nostra telefonata alla televisione è arrivato di corsa Cossiga, perché evidentemente gli era stato comunicato che c'era stato qualcosa ed è venuto a vedere. Che io ricordi è l'unica volta che è venuto a piazza del Gesù durante quei giorni.

  PRESIDENTE. E i contatti chi li teneva?

  GUIDO BODRATO. I contatti credo che li tenessero personalmente i capigruppo e il segretario del partito o Galloni che era vicesegretario. Si ritrovavano sempre, avevano le informazioni, si sentivano...

  PRESIDENTE. C'era circolazione degli esiti delle indagini...

  GUIDO BODRATO. Sì, si sentivano sicuramente, non è che ci fosse qualcuno che non sapeva cose che qualcun altro sapeva, questo penso proprio di no.

  ENRICO BUEMI. Un giorno ho incontrato in treno, dopo l'istituzione della nostra Commissione d'inchiesta, l'onorevole Zanone, anch'egli torinese, con cui ci conoscevamo da anni. Mi ha chiesto cosa stessi facendo, gli ho detto di questa Commissione e abbiamo parlato per quattro ore di seguito del periodo e della vicenda del sequestro e dell'uccisione di Aldo Moro. Zanone espresse un suo giudizio rispetto a una riunione che si era tenuta alla presenza del Ministro dell'interno Cossiga con le forze politiche della coalizione di centrosinistra presso il Ministero dell'interno, in cui furono convocati tutti i segretari. Forse non c'era il segretario della Democrazia cristiana.

  GUIDO BODRATO. Può darsi. Scusa se ti interrompo, ma sottolineo «presso il Ministero degli interni». Io dico che non c'erano riunioni con lui a piazza del Gesù. Non dico che non ci fossero.

  ENRICO BUEMI. No, ma non ricordo se mi disse che per la Democrazia cristiana c'era il segretario, ma forse no, c'era un rappresentante della segreteria. Però mi disse che ebbe la netta impressione che, pur se la riunione era stata convocata riunione per affrontare le problematiche relative alla vicenda del sequestro, alla ricerca del luogo dov'era tenuto Aldo Moro e alla sua liberazione, lui ebbe la netta sensazione che non fosse questo l'argomento che, invece, si voleva trattare, tant'è vero che quella riunione non trattò niente.
  Io gli ho detto, tra l'altro, se voleva venirne a parlare in Commissione e lui mi disse: «No, ormai è finita eccetera». Però, io ho tratto la sensazione – che lui mi confermò – che l'obiettivo della liberazione di Aldo Moro non fosse l'obiettivo che interessava perseguire in quel momento alle istituzioni repubblicane.

  GUIDO BODRATO. È un'opinione che non capisco, nel senso che il problema di quei giorni era come liberare Moro, più che come trattare per liberare Moro. Era come liberare Moro, in una situazione Pag. 31 nella quale poi si è ricorsi a Dalla Chiesa, che io ho conosciuto bene; l'ho incontrato prima che fosse incontrato da Rognoni, perché, attraverso Siracusano...

  FEDERICO FORNARO. Siamo sempre dopo i 55 giorni.

  GUIDO BODRATO. Sì, esatto, però c'è una cosa che indica la difficoltà di... Ho detto: «Generale, la vedo in televisione sempre con dei Carabinieri con i capelli bianchi». Era il reparto che lui aveva ricostruito di quelli che erano stati con lui prima. Mi ha risposto così, con una battuta: «Sa, quando si scopre la lepre, finché non la si è presa, bisogna inseguirla, e i giovani si stancano troppo presto.» Questo per dire che si era preso degli uomini di fiducia per fare quello che, secondo lui... E Dalla Chiesa è quello che ha infiltrato frate Mitra. Evidentemente c'erano delle falle.
  Si può anche dire – è quello che ho scritto più volte, l'ho detto e lo riconosco – che c'erano anche persone che erano interessate alla fine di Moro, che erano interessate alla fine della politica di Moro o che non erano in grado di svolgere in modo adeguato la responsabilità che era stata loro affidata. Questo è assolutamente possibile.
  Questo ci dice che ci sono dei «buchi neri», se questi sono i «buchi neri», e che era difficile e diventa sempre più difficile trovare la spiegazione. Tra qualche tempo dovremo dire tutti: «Quello mi ha detto... ma è morto. Ferrara... ma è morto. L'altro è morto». Certo, fra un po’ saranno tutti morti e, quindi, diventerà difficile avere dei testimoni, a meno che non si debba andare, come è già accaduto ad alcuni professori, a far ballare il tavolo, ma sono cose a cui io non mi affido.

  PRESIDENTE. Un'altra domanda: una questione di cui si è lungamente dibattuto è quella del rapporto tra il PCI e la DC durante i 55 giorni e dal momento della fiducia del Governo Andreotti. In particolare, quale fu il peso che ebbe la posizione del PCI, alla quale hai già accennato, di poter non dare la fiducia al Governo? Chi teneva i rapporti con il PCI e quant'era intenso e frequente il rapporto?

  GUIDO BODRATO. Chi teneva il rapporto col PCI ed era un po’ delegato a questo era Galloni. Io avevo dei rapporti ogni tanto, ma erano casuali.

  PRESIDENTE. Leggo questo brano del tuo libro, che a me ha colpito. Nel volume scritto insieme a Corrado Belci, a pagina 186, è citato il fatto che quando Zaccagnini, il 26 aprile, si recò da Craxi presso la sede del Partito socialista, i capigruppo Piccoli e Bartolomei vennero a protestare a piazza del Gesù, esprimendo il timore che simili passi aprissero una crisi.
  Sempre in questo ambito, nel 2008 Bartolo Ciccardini rievocò in questo modo una sua visita a piazza del Gesù: «L'anticamera della stanza del segretario Zaccagnini era affollata e rumorosa. Le persone vi stavano accampate molte ore in attesa di notizie, andando e venendo, portando impressioni, pareri, emozioni. Ebbi l'impressione che la stanza fosse “presidiata” da Tatò, collaboratore di Berlinguer, che aveva il compito di tenere i contatti tra la segreteria della DC e il Partito Pag. 32 comunista. L'atmosfera di un ridotto militare assediato era evidente e la caratteristica allarmante era data dalla presenza di Tina Anselmi. Tina Anselmi riferiva dei comportamenti, peraltro giustificatissimi, della famiglia, con grande comprensione per la loro angoscia, ma senza la necessaria riservatezza, specialmente nei confronti di Tatò» (La DC e il terrorismo nell'Italia degli anni di piombo, a cura di V. V. Alberti, pubblicato nel 2008, pagine 106-107).
  Perché ti leggo questo brano? Per capire se c'era un rapporto così stretto e così attento. Quando tu scrivi che i due capigruppo di Camera e Senato della DC si recarono lì perché erano preoccupati che Zaccagnini che parlava con Craxi fosse un elemento di crisi, è una cosa che mi ha colpito.

  GUIDO BODRATO. Io me lo ricordo bene quel periodo!

  PRESIDENTE. No, non metto in dubbio che siano arrivati i capigruppo.

  GUIDO BODRATO. Sai, i leader storici della Democrazia cristiana consideravano Zaccagnini una bravissima persona; qualcuno usò un termine che potrebbe essere considerato offensivo, ma vi dice come era considerato: un «santo di cartone». «Sì, è bravo eccetera, ma poi, alla fine...». Consideravano che non avesse l'energia necessaria. Tra quelli che ritenevano che Zaccagnini non avesse l'energia necessaria c'erano i due capigruppo. «Se si muove senza dircelo, bisogna stare attenti. Deve dircelo. Dobbiamo anche noi esserci»: io lo interpreto così, non in altro modo, cioè per questa preoccupazione che non fosse «in grado di...» Poi fatevi spiegare da uno psichiatra cosa significa questo, ma la mia interpretazione è quella che vi ho detto: «Lui non ha l'energia sufficiente. Bisogna esserci. Se non ci siamo noi, chissà cosa fa».
  D'altra parte, aggiungo che, quando Zaccagnini tornò dall'incontro col segretario socialista, gli abbiamo chiesto: «Craxi ti ha detto qualche cosa?» e lui ha fatto il gesto di soffiare sulla mano: cioè, un soffio. In quei giorni i socialisti avevano già rapporti, è questo il problema vero. In quei giorni avevano già rapporti, attraverso Pace e Piperno. Qualcuno aveva già rapporti; noi non abbiamo mai avuto la possibilità di avere rapporti.

  PRESIDENTE. Su questo poi arriveremo ad alcune cose che hanno detto a noi in Commissione.
  Tatò era sempre così presente?

  GUIDO BODRATO. No. Secondo me...

  PRESIDENTE. O è un'esagerazione di Ciccardini, magari basata sull'unica volta che ci è andato? Questa è l'unica cosa che aggiungo, avendo qualche conoscenza personale: c'è andato un'unica volta e quella volta c'era Tatò.
  Per quanto attiene ai rapporti con la Santa Sede chi tra gli esponenti della DC ha tenuto i rapporti durante il sequestro Moro? Cosa seppe, in particolare, Zaccagnini, ma anche tutti voi, dei tentativi effettuati da parte di esponenti della Chiesa, in particolare di monsignor Curioni, che era il cappellano capo delle carceri?

Pag. 33 

  GUIDO BODRATO. Zaccagnini aveva rapporti diretti e personali attraverso monsignor Silvestrini. Credo che non avesse bisogno di avere altri rapporti. Quelli normali, quotidiani anche allora li teneva Maria Eletta Martini, che aveva questo incarico specifico. Non credo ci fosse qualcuno in particolare che aveva rapporti con il Vaticano.
  Quelli che sono stati decisi all'inizio erano quelli con i quali si sono mossi Lazzati e l'ex ambasciatore Gaja... Non certamente la segreteria politica.

  PRESIDENTE. Quindi, non avete mai avuto neanche rapporti con Curioni?

  GUIDO BODRATO. Che io sappia, no. Se c'erano, non li conosco.

  PRESIDENTE. Arriviamo a un altro punto, la vicenda dell'abbé Pierre, che sarebbe venuto a piazza del Gesù.

  GUIDO BODRATO. La vicenda?

  PRESIDENTE. Dell'abbé Pierre.

  GUIDO BODRATO. No, non so niente.

  PRESIDENTE. Sarebbe venuto a piazza del Gesù a scagionare Innocente Salvoni. Lo racconta Carlo Fortunato al giudice Mastelloni: dice che ci sarebbe stato questo incontro, il 28 marzo 1983, tra l'abbé Pierre e Zaccagnini, mentre Zaccagnini al giudice Calogero il 20 maggio 1979 smentì di aver avuto contatti con l'abbé Pierre.
  A te risulta che l'abbé Pierre sia arrivato o no a piazza del Gesù?

  GUIDO BODRATO. No, non mi risulta niente.

  PRESIDENTE. Do la parola al senatore Fornaro, che ti può dare altri elementi.

  GUIDO BODRATO. Non l'ho nemmeno letta, è una notizia un po’ nuova.

  FEDERICO FORNARO. La domanda è precisa e credo che la risposta sia precisa su questo. Diciamo che ci sono due divergenti versioni. C'è una versione in cui l'abbé Pierre sarebbe venuto in Italia per cercare di scagionare Innocente Salvoni, che aveva sposato la nipote del religioso. Nel primo bollettino dei ricercati era stato inserito tra quelli che avevano partecipato all'eccidio di via Fani, con due testimoni che avrebbero fatto il suo identikit. Però è altrettanto vero che non ce ne è traccia e Zaccagnini ha sempre negato.

  GUIDO BODRATO. Devo dire che è la prima volta che sento parlare di questo. Non l'ho nemmeno mai letto. Sono stato distratto, si vede.

  PRESIDENTE. All'inizio di aprile del 1978 si colloca il noto episodio della seduta spiritica, dove emerse il nome di Gradoli. Non ti chiediamo una valutazione sulla seduta spiritica. Diciamo che, un po’ Pag. 34 per colpa di alcuni, non siamo in grado di farla. Ma voi ne foste messi al corrente? Fu fatta una qualche valutazione? Ci rifletteste sopra o fu solo una notizia giornalistica appresa?

  GUIDO BODRATO. Ci abbiamo riflettuto quando è diventata una notizia giornalistica. Prima non ne sapevamo niente, assolutamente.

  FEDERICO FORNARO. Cavina non vi informò?

  PRESIDENTE. Qualcuno venne da Cavina e Cavina la portò a Zanda.

  GUIDO BODRATO. Può darsi... Non ci ho mai dato particolare peso. È una curiosità che ho anch'io, ma non so aiutarvi su questo.

  PRESIDENTE. La cosa arrivò a te quando era diventata già giornalisticamente...

  FEDERICO FORNARO. Neanche successivamente, in incontri successivi, è mai venuta voglia di chiedere agli interessati di capire?

  GUIDO BODRATO. No.

  PRESIDENTE. Arriviamo adesso all'episodio che iniziavi ad accennare prima. Il 22 aprile 1978 le BR chiamano la Caritas Internationalis e dicono di voler parlare con te.

  GUIDO BODRATO. Sì.

  PRESIDENTE. Tu vai insieme a Cavina e, secondo alcuni, steste lì per tre ore e non arrivò nessuna telefonata che vi riguardasse, mentre nella tua ricostruzione dici di aver parlato due volte con un soggetto.

  GUIDO BODRATO. Chi era al telefono, una voce maschile, ha chiesto due volte se c'era l'onorevole Bodrato e ha detto di aspettare, e io due volte ho aspettato. Ma nemmeno in seguito, perché lì c'era Berloffa, un senatore molto serio, che era alla Caritas presso questo telefono per eventuali comunicazioni. Quindi, lui ci è rimasto ancora, ma mi ha sempre detto che non hanno più cercato.

  PRESIDENTE. Però quei due colloqui telefonici a te davano l'idea che l'interlocutore poteva essere qualcuno che aveva anche il telefono delle BR.

  GUIDO BODRATO. Secondo chi rispondeva al telefono, che era una signorina della Caritas, era la stessa voce che aveva «convocato» prima. Però su questa vicenda mi è stato chiesto dal presidente della prima Commissione d'inchiesta, il senatore Schietroma, di scrivere una lettera in cui raccontavo la cosa, cosa che io ho fatto in una lettera di otto o dieci righe, non di più, che gli ho mandato. Basta; non mi hanno sentito o altro.
  Su quell'episodio ho fatto una domanda al terrorista di cui abbiamo parlato prima, ma lui mi ha detto: «È una cosa di cui non ho mai avuto notizia». È così. Lui era nella direzione strategica. Pag. 35 
  È possibile che all'origine della telefonata fosse quella parte dei terroristi che voleva trattare e che gli altri non...

  PRESIDENTE. Visto che i socialisti non funzionavano.

  GUIDO BODRATO. È possibile; però è quello che vi ho detto, non c'è stato...

  ENRICO BUEMI. Purtroppo devo tornare sulla questione di prima, perché anche questo fatto mi conferma che ci siano stati, almeno dalla mia valutazione...

  PRESIDENTE. Scusami, ti riferisci a via Gradoli?

  ENRICO BUEMI. No, a quello che ho detto prima sull'incontro con Zanone e la riunione al Ministero dell'interno dei segretari dei partiti o dei loro rappresentanti per discutere della situazione del sequestro di Moro e gli sviluppi. Non posso dire che era per valutare come arrivare alla liberazione di Moro, perché questo poteva essere sullo sfondo, ma non è stato esplicitato in nessuna riunione. Zanone mi confermava di aver avuto la sensazione netta che, pur nel coinvolgimento delle forze politiche, l'obiettivo non era esplicitato. Non arrivavano messaggi che dicessero: «Attiviamo questo piuttosto che quest'altro». Come se quello status quo fosse funzionale...- «Lasciamo fare gli altri», in sostanza.

  PRESIDENTE. Bodrato ti ha dato una risposta... L'ha detto prima: questa sensazione può essere il frutto del fatto che le riunioni venivano fatte per liberare Moro, ma non per mettere in piedi la trattativa che lo potesse liberare. Ho capito bene?

  GUIDO BODRATO. Sì, penso così.

  ENRICO BUEMI. Ma in quei momenti ci doveva essere un passaggio di informazioni e, invece, Zanone mi diede la conferma, in maniera molto chiara, esplicita e ferma, dell'inutilità di quella riunione. Il convocatore, cioè il Ministro dell'interno, si occupò per due ore e mezza di altro, presenti i segretari dei partiti o i loro rappresentanti, come se l'argomento per cui era stata convocata la riunione non fosse argomento da trattare.

  GUIDO BODRATO. Non so dire.

  PRESIDENTE. Adesso arriviamo al punto del quale prima ho detto che avremmo approfondito successivamente. Noi abbiamo ascoltato, in audizione, Claudio Signorile e anche il direttore di «Critica sociale» del tempo, Umberto Giovine, che è stato poi parlamentare di Forza Italia.
  Signorile dà un quadro di questa natura: il Partito socialista – Craxi – decide di avviare una ricerca di contatto con i terroristi per vedere se c'è la possibilità di trattare per liberare Moro. Presenta se stesso come l'incaricato e il filtro rispetto a Craxi. Questa è la trattativa romana. I suoi incontri avvengono da dopo via Gradoli fino all'ultimo del 5 o 6 maggio, quando Signorile comprende, sostanzialmente, che Pace, Piperno e i loro contatti Morucci e Faranda tirano la palla in alto perché la trattativa per la liberazione della terrorista eccetera non si Pag. 36 può concretizzare, o perché loro non hanno più Moro nella loro disponibilità, o perché è Moretti che decide. Adesso schematizzo molto. Questa è la trattativa descritta da Signorile.
  L'elemento di novità che Signorile ci fornisce consiste in questo: dice di aver parlato di questa trattativa non solo con il vicecomandante generale dell'Arma, generale Ferrara, ma anche con esponenti del Partito comunista e con esponenti della Democrazia cristiana – mi sembra che abbia fatto anche i nomi, adesso io non ricordo a chi facesse riferimento – e, quindi, dice che in qualche modo anche il Governo forse poteva saperlo... Quindi, una trattativa non ostacolata, se non condivisa.
  Signorile racconta di questa sua trattativa, fino all'epilogo in cui viene – lui dice – convocato da Cossiga, e lì abbiamo disquisito se fosse un caffè o un aperitivo. Alla fine Signorile dice che l'incontro con Cossiga avvenne verso le 10.

  FEDERICO FORNARO. Tra le 10 e le 11.

  PRESIDENTE. Tra le 10 e le 11, quando arriva la telefonata (molto prima delle 12.30, quindi) che avverte Cossiga che Moro è morto. Signorile dice, in sostanza: «Io ho avuto la sensazione che ero stato convocato lì perché si aspettava un esito diverso». Questo è sostanzialmente quello che lui dice del suo incontro con Cossiga. Non riferisce che Cossiga gli ha detto di attendersi un esito positivo, però era come se stesse aspettandosi un esito positivo, che è un po’ la stessa idea che si era fatta il segretario di Paolo VI, che anch'egli aspettava qualcosa di positivo. Questo è il filone trattativa che ci viene raccontato da Signorile.
  C'è poi un altro filone, che per noi era completamente nuovo, che vede Craxi partecipe in qualche maniera più o meno diretta della circolazione di dattiloscritti di lettere scritte da Moro, che Craxi avrebbe avuto, stando a quello che racconta Giovine, prima della diffusione pubblica. In ciò c'è un ruolo della libreria Calusca di Milano e di Bonomi ed altri nella circolazione di questi dattiloscritti che poi arrivano a Craxi.
  Questo è un inedito assoluto, perché non è stato mai tirato fuori. Ciò sempre al fine di una trattativa. Sembrerà una domanda che è ripetitiva, ma di tutto questo voi non ne sapevate niente?

  GUIDO BODRATO. No. Conoscerete sicuramente che qualche anno fa, nel marzo del 2008, c'è stato un convegno di studio organizzato da Acquaviva e Covatta al quale ho partecipato, nel quale io ho detto queste cose qua. Insomma, nella macchina che precedeva quella che ha portato il cadavere di Moro c'era Morucci. Morucci aveva rapporti, attraverso Piperno e Pace, con i socialisti. Allora, se c'era questa notizia, evidentemente si poteva arrivare dove era Moro.
  Possono raccontare tutto, ma raccontano tutti il fallimento della trattativa. La sostanza che dicono è che con le BR non trattavano perché loro avevano trattato con un gruppo che aveva...

  PRESIDENTE. La cosa che emerge è che sembra che abbiano trattato con la parte sbagliata. La parte che era disponibile a trattare...

  PAOLO NACCARATO. Non quello che sembra, quello che cercano di accreditare.

Pag. 37 

  PRESIDENTE. Che hanno trattato con la parte sbagliata.

  GUIDO BODRATO. Quando le BR hanno votato... Il problema è che hanno deciso, prima di dare esecuzione alla sentenza, e, salvo i tre o quattro con i quali avevano rapporti, tutti gli altri hanno detto di uccidere Moro. Non solo, ma Curcio lo scrive, qualche tempo dopo. Ripeto quello che avevo accennato all'inizio. Bisogna chiedersi come mai i leader storici delle Brigate rosse, quelli che seguono anche dal carcere tutte le vicende, scrivono poi che era il più alto atto di carità che si poteva compiere quello di uccidere Moro, e che solo la borghesia non lo capiva. Non hanno forse scritto queste cose, più o meno così?
  Questo dice che l'idea che bisognava chiedere a loro un atto di umanità e non pretendere che, se tu cedevi alle loro richieste, loro sarebbero stati umani era un'idea fondata, che aveva radici profonde, che aveva radici nel fatto che il terrorismo continuava in quei giorni. Non hanno smesso di colpire e di uccidere, in quei giorni. E dopo hanno detto: «Dovevamo farlo e continueremo a farlo».
  Io credo che in questo Paese forse sarebbe utile una Commissione d'indagine sul terrorismo: quali sono le radici, perché, le convinzioni, i comportamenti, la disponibilità a trattare o a non trattare, quando trattare e quando non trattare, su chi trattare e su chi non trattare, perché altrimenti, secondo me, non arriviamo al nodo fondamentale.
  Perché? Perché avevano deciso che Moro doveva morire.
  O lo si liberava, grazie a qualche informazione che ti permetteva... E lì indubbiamente ci sono state delle debolezze profonde nella struttura dello Stato, indubbiamente, e – ripeto – anche probabilmente qualcuna voluta. Questo non si può pregiudizialmente negare, e io non lo nego. Anzi, se vado a cercare comportamenti e giudizi prima, durante e dopo, argomenti a sostegno di chi ritiene che ci fossero molti che volevano Moro morto li trovo; ma non trovo argomenti che possano sostenere la tesi che erano disposti a trattare se gli liberavi uno.

  PRESIDENTE. Quindi, per capire, Guido, quello che dici è che il problema era che, alla fine, pure trattando, scambiavi i prigionieri, ma la guerra sarebbe andata avanti e non risolvevi.

  GUIDO BODRATO. Infatti, si è chiesto di liberare Moro – ripeto – in quella riunione della delegazione del partito, il 3 maggio, che nessuno storico ricorda, che però ha prodotto delle reazioni. Ricordo il discorso di Almirante del 19 maggio: «Avete trattato, era trattativa. Questa non era trattativa?». Ma non fu l'unico.

  PRESIDENTE. Mentre l'idea di individuare il covo era un obiettivo che veniva perseguito.

  GUIDO BODRATO. Questo sì.

  PRESIDENTE. A noi ha colpito, poi vero o non vero, che banda della Magliana, mafia e ’ndrangheta a diverso titolo... Non so, tu ricorderai l'attivazione di Benito Cazora in riferimento a una foto di uno, sulla quale noi abbiamo fatto svolgere accertamenti. Di fatto le attivazioni ci sono state, ma non hanno prodotto risultati. Ora io non so dire di Buscetta, perché non ne ho la minima idea, se sapeva o non Pag. 38 sapeva. Non so dire di altri, ma l'ipotesi che la banda della Magliana potesse sapere dove stava Moro può essere verosimile.
  Quei riscontri lì non ci sono stati. Non ci sono stati perché i Servizi erano smantellati. Non ci sono stati perché i contatti erano magari con chi non aveva interesse, però questa carenza c'è stata.

  GUIDO BODRATO. Sì.

  PAOLO NACCARATO. Ma era un'ipotesi.

  PRESIDENTE. Era un'ipotesi. Sono tutte ipotesi. Seguo quello che diceva lui. Non è che il Ministro degli interni andava a cercare la banda della Magliana, però informatori ci saranno stati.

  PAOLO NACCARATO. Se tu parli con i terroristi, ti diranno: «Noi con la banda della Magliana? Per carità, eravamo due cose opposte, lontanissime!». Questo giustificherebbe il fatto che la banda della Magliana poteva non sapere nulla, o comunque ambienti criminali calabresi, ’ndranghetisti, camorra, quello che volete. Dal loro punto di vista i terroristi...

  PRESIDENTE. Dal loro punto di vista è disdicevole averci rapporti. Io però mi riferivo non tanto all'ipotesi che ci fossero rapporti, ma alla circostanza che la banda della Magliana un po’ il controllo del territorio ce l'aveva.

  FABIO LAVAGNO. Vedo che c'è grande stima della banda della Magliana, superiore a quella delle capacità della politica dell'epoca! È un dato che segnalo.

  PAOLO NACCARATO. Ma era anche molto finalizzata, però.

  ENRICO BUEMI. Tu dici che c'è una parte delle Brigate rosse o dei terroristi che – almeno da quello che hai riferito, riferito da terroristi sui loro scritti successivi e affermazioni successive – era disponibile all'atto unilaterale umanitario?

  GUIDO BODRATO. No. Noi speravamo che chi aveva in mano l'operazione fosse disponibile.

  ENRICO BUEMI. Anche se, però, l'atto doveva essere richiesto?

  GUIDO BODRATO. Noi abbiamo offerto una disponibilità.

  ENRICO BUEMI. No, mi riferisco a un atto unilaterale umanitario nei confronti di Moro. Hai fatto un passaggio prima di questo tipo, non su uno scambio, ma semplicemente come un appello da parte delle istituzioni o di...

  GUIDO BODRATO. Ho detto che è quello che noi abbiamo fatto. Ho detto anche la data di quello che noi avevamo fatto.

  ENRICO BUEMI. E che c'era una parte dei terroristi disponibile.

Pag. 39 

  GUIDO BODRATO. Non lo sappiamo. Non ha avuto nessun riscontro. Secondo me, sarebbe potuto esserlo quella parte che aveva rapporti con Signorile e che poi, invece, non è riuscita a concludere nulla, perché la grandissima maggioranza non solo del gruppo della strategia, ma anche di quelli che loro consultavano, non so in quale modo, ha detto di no.
  Su questo mi riferisco a quello che i terroristi hanno scritto prima, durante e dopo e che dicono ancora adesso. Se glielo chiedete, dicono la stessa cosa. Allora, lo dicono per mascherare che avevano un altro vertice che nessuno conosce e che c'era un altro grande vecchio, non so dove, del KGB o della CIA, che continua ad avere potere su di loro, per cui non parlano, o lo dicono perché questa è una loro convinzione?
  La mia convinzione – credo di aver conosciuto abbastanza da vicino come è nato il movimento terrorista e le persone che lo costituiscono – è che era un fenomeno nato nel contesto culturale, politico e sociale di questo Paese. Poteva essere infiltrato, ed è stato infiltrato, ma era un'operazione diversa. Non è che avessero un punto di comando estraneo a loro e loro fossero i killer.

  PRESIDENTE. Ultima domanda, sulla vicenda dei palestinesi. Noi abbiamo trovato una serie di documenti. Giovannone, che era un amico di Moro, il 17 febbraio scrive al capo del SISMI in Italia e gli dice, sostanzialmente: «Habbash» – che non era proprio un'anima candida – «mi ha preannunciato che ci può essere un attentato in Italia fatto da terroristi italiani insieme con quelli stranieri». BR-RAF, questa era l'idea. C'è un'attivazione su questo. Il 15 marzo, cioè la sera avanti il rapimento, Moro vede Parlato. Poi c'è tutto un balletto. Parlato va da Rana, non si sa se c'è Moro. Magari Moro lo chiama perché ha paura. Questa è la convinzione che noi ci siamo fatti. Ha paura non perché pensa che gli capiti qualcosa la mattina dopo, ma perché ha questa notizia di un possibile attentato, tanto è vero che, secondo alcuni, la mattina dopo il capo della DIGOS forse esce dalla Questura per andargli incontro, non sapendo che c'è stato già l'attentato.
  Moro scrive le lettere del 23 aprile a Dell'Andro e Pennacchini, che poi vengono consegnate alcuni giorni dopo, il 29 aprile. Negli stessi giorni, il 24 e il 25 aprile, Giovannone invia due messaggi, nei quali dice: «Habbash mi dice che hanno trovato un contatto con le BR. Si può produrre un risultato», grossomodo – adesso la banalizzo – e comunica che prenderà un aereo il giorno stesso della SNAM.
  Che cosa dice in sostanza Moro in quelle lettere, coeve come giorni? «Io vorrei qui Giovannone, perché credo che per il mio caso si possa fare quello che noi abbiamo fatto nel caso dei terroristi palestinesi che poi abbiamo liberato a seguito di una trattativa politica». Quindi, questo dà anche l'idea che ci sono messaggi che arrivano a Moro, perché la coincidenza è troppo forte per dire che è solo una coincidenza. Questa trattativa salta. Forse salta perché Moretti non è d'accordo e, quindi, le BR non la vogliono fare. Forse salta, anche perché, un conto è sapere dai palestinesi dove sta Moro per poter intervenire, un conto è spiegare ai nostri alleati che ci mettiamo seduti con Habbash and company, che quotidianamente fanno atti di terrorismo a danno degli altri.
  Addirittura c'è poi un altro messaggio di Giovannone che, nel giugno del 1978, comunica che le BR, per riallacciare i rapporti con i palestinesi, che erano saltati, molto probabilmente, a seguito della Pag. 40 vicenda Moro, mandano a loro copia di ciò che Moro ha detto sui rapporti tra l'Italia e i palestinesi.
  A noi questa dei palestinesi è sembrata una pista credibile di una trattativa, poi abortita, che era nata per i rapporti di buon vicinato che esistevano da tempo tra Italia e palestinesi. Voi cosa avete saputo quando c'è stata l'attivazione del maresciallo Tito, di questo filone palestinese, che produce anche un'attivazione di Arafat e Nemer Hammad direttamente su Cossiga, chiedendogli addirittura un tavolo comune. Voi ne avete mai saputo niente di questa vicenda dei palestinesi?

  GUIDO BODRATO. No, in modo specifico riferita a queste vicende no. Che ci potesse essere un rapporto utile coi palestinesi perché potevano avere rapporti coi terroristi, questo sì. Infatti, all'inizio si cercò in quella direzione, perché c'era una notizia che girava che, per addestrarsi a sparare, i terroristi andavano in Palestina. Questa era una notizia di quelle generali che riguardavano il terrorismo. Quindi, era importante, ma poi nel caso specifico no, per quello che ne so. Sono cose che ho letto anch'io dopo, quelle con Giovannone eccetera, ma allora, che io sappia, per le mie conoscenze personali, no.

  PRESIDENTE. Io ho finito. Volete aggiungere altro?
  Quella cosa che ci hai detto di Bonisoli ci colpisce particolarmente.

  GUIDO BODRATO. Ma non l'ha detto a voi? Non l'avete sentito? A me lo ha detto quasi sorridendo: «Sono io quello che sparava, io so sparare benissimo. Quel “tedesco” ero io».

  PAOLO NACCARATO. La notizia è già nota, presidente. Ti assicuro che è già nota ed è uscita anche su un giornale.

  GUIDO BODRATO. D'altra parte, io ricordo – perché l'ho sentito – frate Mitra, a un'assemblea studentesca, vestito da frate, che diceva: «Io ero figlio di un carabiniere, però sono andato in un carcere minorile. Voi mi sembrate un esercito in disfatta: avete tutti lo zainetto e il giubbotto grigio-verde, ma i mitra dove sono? Perché io sono stato nella Legione straniera, però poi sono passato con i partigiani algerini e, se sono vivo, è perché sparavo meglio dei miei camerati dell'OAS». L'ho sentito dire da lui questo. Poi è andato in America Latina. Là ha partecipato alle insurrezioni, è stato ferito, è tornato ed era un eroe, e Dalla Chiesa ha avuto un modo semplice per infiltrarlo.

  PRESIDENTE. Grazie. Dichiaro conclusa l'audizione.

  L'audizione termina alle 14.

(*)  La pubblicazione del resoconto stenografico dell'audizione è stata disposta, su conforme avviso dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, espresso nella riunione del 23 marzo 2017 e comunicato, in pari data, alla Commissione.

(*) La bozza del resoconto è stata inviata, come di consueto, all'audito per la revisione. L'onorevole Guido Bodrato ha chiesto di modificare la frase nel modo seguente: «Ero io. Io so sparare benissimo, io ho visto Leonardi che con il corpo ha cercato di riparare l'onorevole Moro, che era dietro». Trattandosi di una correzione che incide in modo sostanziale su quanto dichiarato, non si è ritenuto – alla luce dei criteri indicati nella circolare del Presidente della Camera del 7 luglio 1987 – di poterla accogliere. Si riporta, comunque, la comunicazione scritta inviata dall'onorevole Bodrato al presidente della Commissione il 31 marzo 2017: «Restituisco, in allegato, la revisione del testo della mia audizione, con pochi ritocchi formali. L'unica mia correzione riguarda il riferimento a Franco Bonisoli: “Ho ucciso Leonardi”, poiché quanto ho detto su Bonisoli l'ho ascoltato solo da lui. E Bonisoli, dopo aver letto l'articolo de “Il Fatto quotidiano” ha smentito di avere detto quelle parole. Mi sono chiesto se ho capito bene ciò che mi ha detto o se, a quasi quarant'anni di distanza da quella tragedia – che rinnovava in me emozione e dolore – le ho interpretate male. In realtà in via Fani i brigatisti hanno sparato e hanno ucciso; in via Fani ha sparato anche Bonisoli. Tuttavia, di fronte alla smentita sull'uccisione di Leonardi, non posso, in coscienza, ripetere ciò che – su quel punto – è registrato nell'audizione. Se la Commissione parlamentare non ritiene di accettare la mia correzione al resoconto dell'audizione, di cui assumo piena responsabilità, Le chiedo di dare conto – nella forma più opportuna – di questa mia dichiarazione».