XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Testo del resoconto stenografico



Seduta n. 38 di Mercoledì 10 giugno 2015

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 20.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso nonché mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della dottoressa Laura Tintisona, del dottor Lamberto Giannini, del dottor Eugenio Spina e del dottor Federico Boffi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della dottoressa Laura Tintisona, del dottor Lamberto Giannini, del dottor Eugenio Spina e del dottor Federico Boffi, dirigenti e funzionari della Polizia di Stato, che ringraziamo per la cortese disponibilità con cui hanno accolto il nostro invito a intervenire questa sera in Commissione e anche per il lavoro accurato e meticoloso che hanno svolto in questi mesi.
  La dottoressa Tintisona, primo dirigente, come è noto collabora con la nostra Commissione in qualità di ufficiale di collegamento con la Polizia di Stato e in tale veste ha eseguito numerosi accertamenti istruttori.
  Il dirigente superiore dottor Giannini ricopre l'incarico di direttore del Servizio centrale antiterrorismo presso la Direzione centrale di polizia di prevenzione del Ministero dell'interno.
  Il primo dirigente dottor Spina è direttore della I Divisione del medesimo servizio.
  Il dottor Boffi è direttore tecnico capo del servizio di polizia scientifica.
  L'audizione ha per oggetto l'illustrazione degli esiti di alcuni accertamenti disposti dalla Commissione e affidati alla dottoressa Tintisona e alle competenti strutture della Polizia di Stato, che colgo ancora una volta l'occasione per ringraziare della collaborazione.
  Comunico che, in vista dell'odierna audizione, ho ritenuto di declassificare, rendendole di libera consultazione, alcune relazioni presentate alla Commissione da parte della dottoressa Tintisona. Si tratta, in particolare, dei seguenti documenti: 19/1, 29/0, 54/1, 66/1, 92/1, 88/1 e 156/1. Di altre due relazioni, i documenti 56/1 e 155/1, contenenti dati personali non rilevanti ai fini dell'inchiesta, ho disposto di produrre copie (documenti 56/4 e 155/2) recanti alcune obliterazioni e pertanto di libera consultazione.
  Comunico altresì che in data odierna la dottoressa Tintisona ha presentato due relazioni segrete, concernenti rispettivamente l'ingegner Alessandro Marini e il bar Olivetti, e tre relazioni di libera consultazione riguardanti rispettivamente il fioraio Antonio Spiriticchio, la teste Maria Iannaccone e Carlo D'Adamo, autore del volume Chi ha ammazzato l'agente Iozzino ? Lo Stato in via Fani.
  L'audizione si articolerà in due parti. In una prima parte, che si terrà in seduta segreta, la dottoressa Tintisona e il dottor Giannini svolgeranno relazioni concernenti accertamenti tuttora in corso e che pertanto sono state secretate. Subito dopo la dottoressa Tintisona e il dottor Boffi Pag. 3svolgeranno relazioni riguardanti la dinamica della strage di via Fani e taluni profili connessi.
  La documentazione di interesse riguardante questa parte pubblica sarà messa a disposizione di tutti i componenti, i quali riceveranno due fascicoli: una raccolta di relazioni presentate dalla dottoressa Tintisona e una ricostruzione tridimensionale della dinamica della strage di via Fani predisposta dalla polizia scientifica.
  Ulteriore documentazione di interesse potrà essere consultata presso una postazione video.
  Al termine delle relazioni che saranno illustrate nella prima parte della seduta i componenti che lo desiderano potranno intervenire per porre domande o formulare osservazioni. Anche al termine delle relazioni svolte nella parte pubblica potranno essere fatti interventi per approfondimenti o chiarimenti.
  Dispongo ora la disattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso nonché della trasmissione sulla web Tv della Camera per queste due comunicazioni segrete, dopodiché passeremo alla parte pubblica.
  (La Commissione prosegue in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta pubblica. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e della trasmissione sulla web Tv della Camera.
  Do la parola alla dottoressa Tintisona per l'illustrazione degli esiti di tutti gli accertamenti che noi in termini impropri chiamiamo «via Fani». Non riguardano solo la dinamica, ma anche tutte le questioni sollevate nel corso del tempo su vari elementi che erano stati evidenziati a via Fani.

  LAURA TINTISONA. Come anticipato dal presidente, l'attività espletata in questa prima fase, in esecuzione degli incarichi ricevuti, è stata orientata a ricostruire quanto accaduto in via Fani il 16 marzo 1978.
  A tal fine, in via preliminare, abbiamo analizzato le pregresse attività investigative, abbiamo acquisito atti di polizia giudiziaria dell'epoca, rilievi tecnici, elaborati peritali messi nella disponibilità della Commissione. Sono stati rintracciati e posti nella disponibilità numerosi reperti, tra cui le tre autovetture coinvolte nell'agguato, la gran parte dei reperti balistici sequestrati quello stesso giorno e altro materiale sempre sequestrato quel giorno in via Fani.
  L'esame di questa documentazione, degli atti che abbiamo ritenuto in questo momento più utili per la ricostruzione, ci ha consentito di avere un quadro delle attività che erano già state effettuate e di stabilire quali eventuali ulteriori atti investigativi ovvero tecnico-scientifici potevano essere utili allo scopo di realizzare, se possibile, una ricostruzione di quanto accaduto il 16 marzo. Su talune circostanze, gli approfondimenti, come è già stato anticipato, sono stati effettuati con il supporto del Servizio centrale antiterrorismo della polizia di prevenzione. La ricostruzione virtuale e tecnico-scientifica è stata effettuata dal Servizio centrale di polizia scientifica.
  Preciso per completezza che riferirò brevemente anche di accertamenti in parte già noti e che tutto ciò di cui riferirò in questa sede è comunque documentato in dettaglio nelle relazioni consegnate agli atti della Commissione.
  Passando al dettaglio delle attività, il punto di partenza è stata la visione di come si presentò il 16 marzo del 1978 via Mario Fani agli inquirenti dopo il sequestro dell'onorevole Aldo Moro e l'eccidio dei militari della scorta.
  Che cosa avevamo all'inizio ? Avevamo le autovetture presenti in via Mario Fani. Come già riferito, sono state rintracciate, formalmente acquisite nella disponibilità della Commissione e sottoposte ad attuali rilievi videofotografici. Sono la FIAT 130 blu su cui viaggiava l'onorevole Moro, l'Alfetta 1800 della scorta e la FIAT 128 giardinetta targata Corpo diplomatico utilizzata per bloccare le macchine. Le auto sono state messe a disposizione della polizia Pag. 4scientifica al fine di effettuare accertamenti balistici finalizzati a ricostruire traiettorie e punti di impatto.
  C’è un'altra autovettura, una A 112, che era stata parcheggiata in via Stresa all'altezza del civico 137. È stata rinvenuta e sequestrata quello stesso giorno dall'Arma dei carabinieri; abbiamo chiesto e siamo in attesa di una risposta per conoscere se l'auto sia stata demolita o sia ancora rintracciabile. Tuttavia, quest'auto è stata utilizzata per arrivare ma non è rimasta coinvolta nell'eccidio.
  Per quanto riguarda, infine, le tre autovetture dei brigatisti rinvenute in via Licinio Calvo, sono stati acquisiti i libretti di circolazione da cui risulta la cessata circolazione per demolizione.
  Come da incarico, accertamenti sono stati effettuati sulle autovetture che quella mattina erano parcheggiate in via Mario Fani. Abbiamo la Mini Cooper (Mini Clubman Estate) targata Roma T50354. Sono stati effettuati accertamenti sull'autovettura e ovviamente sul suo utilizzatore, Patrizio Bonanni. La stessa auto, parcheggiata su via Fani, sul lato destro, a ridosso dell'incrocio con via Stresa, all'altezza del punto dove è stata bloccata la FIAT 130, è stata attinta dai colpi esplosi. L'autovettura, demolita, da approfonditi accertamenti è risultata intestata dal 2 settembre 1978 – come dicevo, è stata sequestrata nell'immediatezza ed è stata restituita dalla DIGOS – a Patrizio Bonanni, che aveva riferito di avere la disponibilità di un appartamento in via Mario Fani. Il signor Bonanni, come già è stato anticipato, è stato rintracciato, escusso, sono stati effettuati accertamenti per riscontrare le sue dichiarazioni. Ha riferito che non era mai stato escusso. Soltanto al momento della restituzione dell'auto aveva verbalizzato poche righe. L'auto, seppure intestata alla società Poggio delle Rose, in realtà era nella sua disponibilità; solo talvolta la utilizzava la sua compagna dell'epoca, attuale moglie. In quel periodo aveva disponibilità di un appartamento in via Mario Fani, dove si recava saltuariamente.
  Perdonatemi se procedo velocemente, ma una parte di queste informazioni magari sono...

  PRESIDENTE. Però diamole. Il fatto che lei le abbia consegnate non significa che tutti le abbiamo lette. Dico una cattiveria io, però potrebbe essere vero.

  LAURA TINTISONA. Va benissimo.
  Il signor Bonanni ha riferito che aveva parcheggiato l'auto la sera prima dell'agguato, in tarda serata. Nell'occasione si trovava con la sua attuale moglie, con la quale all'epoca appunto era fidanzato, che, formalmente escussa in quella medesima circostanza, ha confermato queste dichiarazioni. Ha poi riferito di non avere un punto abituale dove parcheggiava l'autovettura in via Mario Fani, perché era difficoltoso trovare posto. Non era solito parcheggiare dove l'aveva lasciata quella sera, ma non è escluso che altre volte potrebbe aver parcheggiato nel medesimo punto. Non ha rammentato la presenza solita del furgone di fiori su via Mario Fani.
  Quella mattina, il 16 marzo, Bonanni e la moglie erano stati svegliati da colpi d'arma da fuoco in strada. La circostanza è stata confermata dalla signora. Alle forze dell'ordine aveva riferito che l'auto era di sua proprietà.
  Imprenditore edile, con incarichi in più società, alcune dismesse altre in attività, Bonanni ha riferito che la società immobiliare Poggio delle Rose era servita per realizzare alloggi a Porto Recanati. Interpellato in merito, ha affermato che né lui né le società da lui partecipate avevano rapporti con servizi di sicurezza o forze di polizia, avendo operato sempre nel privato.
  Poi sono stati effettuati accertamenti sulla disponibilità dell'appartamento da parte del signor Bonanni in via Mario Fani 109. All'epoca dei fatti, infatti, lo stesso risiedeva in via Stefano Jacini e in via Mario Fani aveva la disponibilità di un appartamento al primo piano di proprietà dell'ENPAF. Bonanni ha riferito che la palazzina era stata costruita da una società, Pag. 5della quale faceva parte anche il padre, Lanfranco Bonanni. Non ricordava se egli stesso aveva un contratto con l'ENPAF o se l'appartamento gli era stato ceduto da un amico. All'epoca, comunque, abitavano in quello stesso stabile anche la sorella e il cugino.
  L'ENPAF, l'Ente nazionale di previdenza e assistenza farmacisti, è stato formalmente interessato. Dirò maggiormente tra poco, ma ha riferito comunque che gli appartamenti venivano locati anche a soggetti non farmacisti, considerando che all'epoca vi erano difficoltà di locazione a prezzi di mercato, e ha riferito che il palazzo era stato acquistato dalla società Costruzioni edilizie Kiria nell'aprile del 1967, a seguito di offerta presentata nella persona del signor Lanfranco Bonanni. Questi dati risultano da un verbale del consiglio di amministrazione ENPAF del 20 maggio 1966 allegato all'atto di compravendita.
  Sono stati effettuati accertamenti su questa società Kiria Costruzioni edilizie ed è effettivamente risultato che la stessa, costituita nel 1965, è cancellata nel 1969; ne era socia Leda Marchesi, madre di Patrizio Bonanni e moglie di Lanfranco Bonanni. Il nome «Kiria», come riferito dallo stesso Lanfranco, era quello del cane di famiglia, quindi era una società riconducibile ai Bonanni.
  Sono stati poi effettuati accertamenti anche sulla immobiliare Poggio delle Rose. Considerando l'ubicazione della sua sede legale, in piazza della Libertà 10, stabile dove erano presenti anche società riconducibili a servizi di sicurezza, sono stati effettuati ulteriori accertamenti.
  In primo luogo, presso la Camera di commercio la Poggio delle Rose è risultata essere una società immobiliare operante, costituita nel 1971, messa in liquidazione nel 1989. Dal bilancio risultano entrate e uscite per l'anno 1978, quindi all'epoca di interesse era in attività. La sede in piazza della Libertà 10 era presso la Fidrev, società fiduciaria e di revisione s.r.l., che Bonanni ha dichiarato essere la società fiduciaria che svolgeva attività di revisione per loro conto. Già in precedenza la Poggio delle Rose aveva cambiato sede, spostandola presso gli uffici professionali che ne curavano gli interessi. Come ha spiegato lo stesso Bonanni a verbale, la sede della società seguiva la sede del professionista che si occupava della stessa.
  La Fidrev, società fiduciaria e di revisione con sede in piazza della Libertà 10, attiva sin dal 1941, ha come oggetto sociale assumere amministrazione di beni per conto terzi, organizzazione e revisione contabile; socio maggioritario è lo studio associato Palandri, menzionato da Bonanni nella sua escussione.
  In una recente seconda escussione relativa alla riconducibilità alla sua famiglia della società Kiria, che aveva costruito lo stabile di via Fani, Bonanni, oltre a confermare questa circostanza, ha appreso alcuni fatti e circostanze riportati nel libro Chi ha ammazzato l'agente Iozzino ? – di cui gli sono stati letti alcuni passi e di cui parlerò in seguito – relativi alla sua presunta appartenenza a servizi segreti; al suo coinvolgimento nella vicenda Moro, avendo parcheggiato la sua auto per impedire alla FIAT 130 su cui viaggiava l'onorevole Aldo Moro di svincolarsi al momento dell'agguato; a particolari modalità di costruzione, da parte delle sue società, di villaggi turistici, tali da richiamare asseritamente consuetudini militari di costruire finti villaggi per le esercitazioni di reparti speciali e finte basi per ingannare il nemico; all'accostamento del villaggio Sirio da lui costruito a Porto Recanati con il satellite Sirio di Telespazio; all'accostamento presente nel testo tra il nominativo Livia Marchesi e il nominativo della madre Leda Marchesi.
  In merito Bonanni ha riferito che non conosceva tale pubblicazione e che si trattava di informazioni totalmente false, prive di fondamento e calunniose, precisando che i suoi villaggi venivano costruiti secondo quello che era il piano regolatore del posto e che il villaggio denominato «Sirio», in realtà, era in precedenza denominato «Riva Musone» e che sono stati i condomini a cambiare il nome della struttura chiamandola «Sirio».Pag. 6
  Poiché la macchina di Bonanni è stata parcheggiata comunque nel posto dove di solito era parcheggiato il furgone del fioraio Spiriticchio, è stata approfondita la vicenda del furgone, che penso sia nota a tutti. Il 16 marzo il furgone di rivendita di fiori di Antonio Spiriticchio non era riuscito a raggiungere il posto di lavoro perché aveva subito il danneggiamento delle ruote. Nei vari verbali non è specificata la posizione del furgone. È stata acquisita copia della licenza di commercio in forma ambulante del 1978 per la vendita di fiori e piante a braccio, dalla quale risulta solo l'indicazione «via Stresa angolo via Fani». È stato quindi escusso Giuliano Spiriticchio, il quale ha spiegato che, seppur non era assegnato un posto riservato all'attività della vendita fiori, il padre si posizionava sempre in via Fani ove oggi è collocata la lapide dei militari uccisi. Solo successivamente al 16 marzo si spostò di fronte al bar Olivetti. Giuliano Spiriticchio ha precisato che era necessario avere il furgone vicino, anche se magari i fiori venivano messi all'esterno, perché, oltre ad avere all'interno attrezzature per lavorare, veniva anche utilizzato come punto di appoggio dove spesso si rimaneva seduti e che se il «solito posto» (lo definisco così) era occupato – circostanza che poteva capitare e capitava a lui e immagino anche al padre – poiché andavano molto presto la mattina, il furgone veniva messo dall'altra parte e non appena si liberava quel posto il furgone veniva di nuovo spostato per riposizionarlo.
  Dalla visione degli atti è emersa una circostanza particolare, ma anch'essa nota: il 28 gennaio 1978 è stata effettuata una visura della targa del furgone di Spiriticchio e, nella medesima occasione, anche di un'altra targa. La richiesta di accertamenti era fatta utilizzando il nominativo di un praticante procuratore che era solito fare queste richieste. All'epoca furono eseguiti questi accertamenti. La richiesta al PRA effettivamente non venne fatta da questo praticante procuratore legale, quindi allo stato non è stato identificato chi materialmente avesse fatto questo tipo di richiesta. Nell'occasione era stata anche richiesta l'intestazione della targa di un'altra autovettura. In merito, tuttavia, sono ancora in corso accertamenti.
  Sempre partendo dalla scena come si è presentata agli investigatori, sono stati fatti accertamenti sulla Mini Cooper targata Roma T32330 intestata a Moscardi Tullio. L'autovettura, attualmente demolita, era parcheggiata in via Fani dal lato del bar Olivetti. La stessa era intestata a Tullio Moscardi, nato nel 1920 e deceduto nel 1997, residente all'epoca in via del Corso 504, dove aveva sede anche il suo ufficio, coniugato con Maria Iannaccone. È stato accertato che la coppia, all'epoca dei fatti, era domiciliata in via Mario Fani 109, scala B, interno 18, nell'appartamento messo a disposizione da una coppia di amici del marito. Al fine di approfondire talune circostanze di interesse, è stata escussa la signora Iannaccone, che ha fornito dichiarazioni che, anche tenendo conto dell'affievolirsi dei ricordi dato il lungo tempo trascorso, sono state coerenti con quanto già dichiarato all'epoca dei fatti.
  La signora Iannaccone ha riferito, in particolare, che la mattina del 16 marzo lei e il marito erano in casa in via Mario Fani 109. La circostanza che fossero in casa era del tutto occasionale, in quanto di solito uscivano la mattina alle 6; tuttavia, la stessa Iannaccone aveva un impegno lavorativo e Moscardi la doveva accompagnare, per cui alle 9 erano in procinto di uscire. Poco prima di uscire sentono i colpi; la signora ha pensato a mortaretti, il marito invece ha capito subito che si trattava di veri e propri spari (infatti la moglie ci dice che aveva fatto la guerra). Si erano precipitati sul terrazzo; da qui, seppur con una scarsa visuale, aveva visto una o due persone – non ricordava bene – che avevano una specie di calzamaglia nera sul viso con una maschera. Aveva cercato di impedire al marito di scendere. Subito dopo aver sentito le auto allontanarsi sono scesi entrambi. Avevano reso dichiarazioni, presso la loro abitazione e al Palazzo di giustizia, sostanzialmente conformi con quanto tra l'altro è stato Pag. 7dichiarato adesso. Per ragioni di completezza ve ne do lettura. Il marito e la signora dichiararono: «Ho visto un uomo travisato con una specie di passamontagna di colore nero; vestiva abito tipo muta, molto attillato, di colore nero, con una specie di mascherina sugli occhi di colore rosso, armato di mitra». Al giudice istruttore confermano sostanzialmente le medesime circostanze.
  Il marito le aveva, tra l'altro, raccontato – perché scendono entrambi su via Fani, il marito rimane lì, poi lei si allontana per un impegno di lavoro – che sull'auto erano intervenuti anche gli artificieri, poiché vi erano delle cartucce e si trovavano sotto un cuscino. Nella circostanza il Moscardi si era anche rammaricato perché durante la mattina era stato a contatto sul posto con le forze dell'ordine, si era allontanato per risalire a casa qualche minuto ed erano intervenuti gli artificieri sulla sua autovettura.
  Sono state fatte visionare alla signora Iannaccone le foto fatte all'epoca dalla polizia scientifica. La signora ha riconosciuto l'auto, spiegando che veniva usualmente parcheggiata nei pressi di casa, quasi sempre in via Fani, e di non ricordare se vi fosse un garage condominiale.
  Le dichiarazioni della donna sono state effettivamente riscontrate. Sono stati fatti diversi riscontri. È stato accertato che all'epoca dei fatti lei e il marito erano domiciliati in via Mario Fani, in un appartamento messo a disposizione da una coppia di amici, per un periodo compreso tra il settembre 1977 e il gennaio 1981. Questo accertamento è stato fatto acquisendo le dichiarazioni della signora che all'epoca era intestataria dell'appartamento e che dichiara di non ricordare il nome degli amici del compagno, ma che effettivamente l'appartamento era stato loro ceduto per un periodo dal 1977 agli inizi anni Ottanta.
  È stato accertato che effettivamente sull'auto vi era stato un intervento degli artificieri, circostanza che emerge chiaramente dalla visione dei filmati e foto dell'epoca. La conferma dell'intervento è stata poi riscontrata anche da un articolo acquisito dal settimanale Epoca, nonché da ultimo dall'escussione dell'ufficiale dell'esercito con compiti operativi di artificiere antisabotatore. Lo stesso artificiere non ricordava inizialmente l'intervento; dopo la visione ha rammentato che l'intervento relativo alla Mini Cooper di colore verde era stato fatto in quanto vi era un eskimo e, sul pianale posteriore dell'auto, a terra, sembrava esserci una targa. In realtà, si trattava di un cuscino dove la moglie aveva riprodotto il numero di targa della loro prima auto. Null'altro di sospetto era stato notato.
  La signora, da ultimo, ha inteso riferire una circostanza. Durante la prigionia di Aldo Moro, lei e il marito erano andati a pranzo, non ricorda se a Fregene o Fiumicino, e dopo pranzo, mentre passeggiavano in una zona isolata, costeggiando la spiaggia, il marito si era insospettito vedendo un'auto modello Renault 4 rossa parcheggiata, senza persone a bordo, di cui tuttavia non avevano annotato la targa. La circostanza era tornata in mente solo quando venne ritrovato il corpo di Moro. Pensando si trattasse di una coincidenza, non era stata riferita. Seppure non vi sia alcuna certezza in ordine all'effettiva riconducibilità dell'autovettura notata alla vicenda del sequestro è stata esperita comunque un'attività di sopralluogo in località Fiumicino e Fregene con la signora, per cercare di individuare il luogo. Il sopralluogo non ha avuto esito, in quanto non è riuscita a individuare l'esatta località, seppur si è sentita di riferire di escludere la zona di Fiumicino. La signora non ha saputo indicare, in particolare, cosa avesse insospettito il marito, limitandosi a citare lo stato di abbandono dell'auto in una zona particolarmente isolata, sulla spiaggia, vicino a una cabina in muratura, precisando che il Moscardi, che aveva fatto la guerra, a suo dire aveva una particolare sensibilità per situazioni ritenute sospette o pericolose.
  Per quanto riguarda Tullio Moscardi, gli accertamenti effettuati hanno consentito di verificare che operava come agente di commercio, all'epoca, per la vendita di prefabbricati in acciaio. La sede dell'ufficio Pag. 8era in via del Corso 504. Aveva partecipazioni in alcune società del settore e in quello immobiliare. Di fatto questi accertamenti confermano quanto è riportato dalle dichiarazioni della stessa Iannaccone, cioè che suo marito aveva sempre lavorato nel settore dell'edilizia. Accertamenti e riscontri sono stati effettuati agli atti del Servizio centrale antiterrorismo in ordine a Tullio Moscardi e alle sue società, e non hanno evidenziato nulla di particolare e alcun rapporto con servizi di sicurezza né alcuna evidenza in atti.
  La moglie ha riferito che, per quanto a lei noto, non aveva rapporti con servizi segreti e forze di polizia. Interpellata in ordine all'attività del marito nella Seconda guerra mondiale, ha risposto che lo stesso non amava parlarne, ma aveva saputo dalla cognata che aveva fatto parte della X MAS.
  La signora Iannaccone ha infine riferito che di recente era stata contattata da giornalisti, in particolare da tale Carlo D'Adamo, con il quale aveva inteso parlare soltanto dell'aspetto umano del marito.
  In considerazione del fatto che nella palazzina abitavano Bonanni, Moscardi e, come vedremo, Bruno Barbaro, sono stati effettuati accertamenti all'ENPAF, ente proprietario della palazzina di via Mario Fani 109. L'ENPAF ha riferito che l'immobile era stato costruito dalla società che vi ho detto – Costruzioni edilizie Kiria – di cui facevano parte i genitori di Bonanni, ma che non era possibile avere tutti quanti i contratti di affitto dell'epoca perché il carteggio era andato distrutto a causa di un allagamento. Tuttavia, è stato reperito un elenco di sei conduttori al 16 marzo 1978 che erano stati iscritti in archivi informatizzati. Tra questi nominativi c'era quello di Bruno Barbaro, al quale, dal 1o settembre 1969, era stato locato un appartamento in via Mario Fani, scala B, interno 11, di cui dirò meglio adesso.
  Come ho appena accennato, sono stati effettuati accertamenti sul signor Bruno Barbaro, che si è riconosciuto nella persona con un cappotto di cammello presente il 16 marzo in via Fani subito dopo l'eccidio, di cui aveva parlato il teste Alessandro Marini in un'intervista a Il rosso e il nero.
  Bruno Barbaro, di 86 anni, vedovo di Licia Pastore Stocchi, è stato rintracciato ed escusso. In passato, il 16 aprile del 1994, quando avviene la prima escussione, era stato escusso dalla DIGOS di Roma su delega del sostituto procuratore dell'epoca, dottor Antonio Marini, e il successivo 17 maggio direttamente dal predetto magistrato.
  L'individuazione di Barbaro avviene in quanto lui stesso contatta la redazione del programma settimanale di Rai 3 Il rosso e il nero dopo aver visionato la puntata del 21 ottobre 1993 relativa ai fatti del 16 marzo 1978 in via Fani, in quanto si era riconosciuto nella persona che indossava un cappotto di cammello, presente quella mattina subito dopo i tragici fatti, descritta dal teste Alessandro Marini. Il giorno successivo aveva rilasciato un'intervista al giornalista Davide Sassoli trasmessa dal TG3 il 22 ottobre del 1993.
  Prima di procedere a una nuova escussione sono stati effettuati accertamenti in ordine alle attività professionali di Barbaro dai quali è risultato che il predetto ricopre o ha ricoperto cariche in varie società, tutte comunque riconducibili al settore dell'edilizia, per le quali si rimanda alle relazioni.
  Gli accertamenti in atti del Servizio centrale antiterrorismo in ordine a Barbaro e alle sue società non hanno evidenziato alcun elemento di interesse o alcun riscontro in ordine a eventuali rapporti con servizi di sicurezza. Il signor Barbaro, come da incarico, è stato escusso, ha confermato le già descritte circostanze che lo avevano portato a contattare la trasmissione televisiva Il rosso e il nero, l'intervista da lui rilasciata e la successiva escussione presso la DIGOS, spiegando che in precedenza non si era presentato agli inquirenti in quanto, nell'immediatezza dell'agguato, aveva rilasciato, quello stesso giorno, a due giornalisti del settimanale Epoca un'intervista, riscontrata acquisendo Pag. 9copia del citato articolo, in cui appunto aveva riferito circa la sua presenza in via Mario Fani.
  Il signor Barbaro ha poi ricostruito in maniera sostanzialmente coerente con le precedenti dichiarazioni quanto accaduto il 16 marzo, spiegando che quella mattina, intorno alle 9, era uscito a piedi dalla sua casa, sita all'epoca in via Madesimo 40, una strada limitrofa, per recarsi presso il suo ufficio al civico 109 di via Fani, dove si trovavano gli uffici della sede della società Impresandex, della quale era amministratore. Ci indica dunque il percorso. Mentre era ancora in via Stresa aveva sentito degli spari che, in ragione della sua esperienza bellica, ha subito riconosciuto essere colpi di mitra (ha informalmente riferito che era stato nei partigiani, quindi li ha riconosciuti subito come spari). Nelle dichiarazioni rese al pubblico ministero Marini nell'aprile del 1994, Barbaro spiega con maggiore dovizia di particolari che non si precipita lì dove erano stati esplosi i colpi, ma ha un atteggiamento molto cauto. Si ferma anche per più di cinque minuti, incerto se proseguire o tornare a casa. Decide comunque di proseguire; arriva in via Fani e si trova innanzi lo scenario che conosciamo.
  Ha precisato di aver coperto il corpo che si trovava disteso a terra, quello della guardia Iozzino, con un giornale che aveva trovato all'interno dell'ultima autovettura, l'Alfetta, dove, sul sedile anteriore, c'era ancora un uomo vivo che aveva tentato di soccorrere. In questa fase si era accorto che c'era un'altra persona intenta nei soccorsi con cui aveva interloquito. Poco dopo aveva sentito una macchina, un'Alfa definita «di vecchio tipo» in vari verbali – un'Alfa Romeo Giulietta invece di un'Alfetta – che sopraggiungeva dalla stessa via Fani a velocità sostenuta e si fermava «inchiodando» a circa trenta metri da dove egli si trovava. Ne era uscita una persona bassa di statura, con un soprabito chiaro, con in mano una paletta della polizia, che urlava molto agitata e aveva intimato ad alta voce di andarsene subito. Alla replica di Barbaro che c'era un ferito lo aveva spinto, continuando ad urlare di andare via, mandandolo a sbattere contro una ringhiera tanto da ferirsi al dito.
  È stato mostrato a Barbaro il video relativo all'intervista che aveva rilasciato a Davide Sassoli. Sono stati richiesti chiarimenti in quanto, nel corso dell'escussione attuale e in quella resa in precedenza alla DIGOS nel 1994, aveva riferito che mentre si trovava ancora su via Stresa, appena cessati gli spari, aveva visto passare una macchina scura a forte velocità, mentre nell'intervista rilasciata a Sassoli aveva detto di aver visto passare l'autovettura scura e una moto. Barbaro ha preso atto di quanto dichiarato nell'intervista, ma ha ribadito di non ricordare il passaggio di una moto.
  In ordine ai rapporti con il cognato Fernando Pastore Stocchi, fratello della moglie, ha riferito, per quanto a lui noto, che era un militare dei bersaglieri che prestava servizio a Pordenone, che era giunto a Roma negli anni Settanta attraverso anche l'intervento di un altro suo cognato, Nicola Nicolini, generale dell'esercito che conosceva il generale Miceli, nella cui segreteria Pastore Stocchi aveva prestato servizio.
  Nel periodo in cui abitava a Roma, in via Madesimo, Barbaro e il cognato erano vicini di casa, in quanto Fernando Pastore Stocchi abitava in una palazzina di fronte alla sua, il cui civico insisteva su via Stresa. Tuttavia, tra loro due non vi erano rapporti.
  In merito a recenti pubblicazioni – nello specifico al libro Chi ha ucciso l'agente Iozzino ? di D'Adamo – Barbaro ha definito farneticanti le affermazioni relative ai suoi legami con i servizi segreti. Non aveva mai avuto alcun rapporto con gli stessi, meno che mai per tramite del cognato, lamentando che già in passato era stato vittima di quelle che ha definito «assurde farneticazioni», circa i suoi rapporti con i servizi di cui aveva parlato un'altra pubblicazione di Castronuovo. Ha spiegato che all'epoca non aveva agito legalmente poiché la moglie era molto malata e si era dedicato alle sue cure.
  Ha evidenziato che l'appartamento di cui aveva la disponibilità e che ospitava la Pag. 10sua ditta si trovava al primo piano di via Mario Fani 109, ma non affacciava su detta via, bensì dalla parte opposta, circostanza riscontrata anche da accertamenti fatti direttamente sul posto.
  Barbaro poi ha ripercorso la storia e l'attività delle sue società – le sue dichiarazioni hanno trovato riscontro negli accertamenti effettuati attraverso la Camera di commercio – precisando che oltre alla sede di via Mario Fani, per un breve periodo, più o meno dal 1973 al 1975, aveva avuto anche un ufficio in via Fusco, in quanto l'immobile di via Fani era diventato troppo piccolo per le necessità della sua azienda. Con riferimento a via Fusco ha altresì precisato di aver letto su internet delle affermazioni ancora una volta definite dallo stesso «farneticanti», secondo le quali dall'ufficio era in contatto con i servizi segreti a Forte Braschi. Interpellato in merito, ha spiegato che tale Giuliano Proto, persona che ha fatto dichiarazioni sulle sue attività sospette, era stato alle sue dipendenze e poi si era licenziato, e comunque ha definito come destituite di ogni fondamento le sue illazioni.
  È stata riscontrata la riferita disponibilità di appartamenti in via Madesimo e in via Fani. È stato accertato che erano entrambi stati locati dall'ENPAF a Bruno Barbaro. In particolare, dal settembre 1969, come ho già detto, era stato locato l'appartamento di via Mario Fani 109 da cui è stato sfrattato nel 2003 per morosità. Anche il contratto di locazione per l'appartamento in via Madesimo 40 è stato risolto.

  PRESIDENTE. Mentre la dottoressa prende fiato e beve un sorso d'acqua, e noi seguiamo con grande attenzione, io vi pregherei di ricordare perché abbiamo fatto tutto questo lavoro: lo abbiamo fatto perché avevamo una serie di tesi che erano state sollevate in Commissione, la macchina di Tizio, la macchina di Caio, il cugino di Sempronio e tutta una serie di elementi. Tuttavia, visto che molti siamo amanti di lettura e di libri, alla fine di tutto questo, se si nota un'eccessiva discrepanza tra ciò che viene scritto nei libri e le cose che risultano dimostrate, è mia intenzione mandare tutto a chi di competenza.

  LAURA TINTISONA. Adesso parliamo dell'acquisizione delle foto pubblicate nel libro Chi ha ammazzato l'agente Iozzino ? Lo Stato in via Fani di Carlo D'Adamo. Qui c’è una relazione dettagliata...

  PRESIDENTE. Ricordate le tre foto ? Una stessa persona figurerebbe a via Fani, a via Caetani e a via Carini a Palermo. Lo dico per ricordarlo, perché è un dibattito che ci ha occupato, poi sono iniziati gli accertamenti. Se ce ne dimentichiamo, non ricordiamo più perché abbiamo fatto questo lavoro infinito.

  LAURA TINTISONA. In relazione all'incarico che mi è stato affidato di acquisire gli originali ovvero i negativi delle fotografie pubblicate sul testo che ho appena detto, D'Adamo ha formalmente comunicato di non avere né gli originali né i negativi delle stesse, asserendo di averle tutte recuperate da fonti aperte. Circostanza questa riscontrata, in quanto le foto effettivamente sono state rinvenute in rete o su altre fonti aperte. Nella relazione che ho consegnato, datata 8 giugno 2015, c’è un'annotazione di un funzionario che si è occupato di questa ricerca ed effettivamente sono state rintracciate quasi tutte le fotografie.
  Si è quindi proceduto a mirati approfondimenti investigativi su talune sequenze fotografiche riportate nel libro, che secondo l'autore sarebbero la prova del verificarsi di comportamenti illeciti o indizio di coinvolgimento di apparati dello Stato.
  Il primo accertamento ha riguardato il «funzionario dei servizi», così citato nel testo, presente nell'immediatezza dei fatti in via Fani, in via Caetani e a Palermo in via Carini, dove fu assassinato il generale Dalla Chiesa. Abbiamo quindi un soggetto indicato come il medesimo funzionario ripreso in queste tre circostanze. In merito, nel capitolo intitolato «Alcuni funzionari Pag. 11in via Fani», nel commentare le tre foto citate è scritto «Nella foto numero 30 si trova al centro della foto, subito dietro il corpo dell'agente Iozzino che non è ancora stato coperto da un lenzuolo. Lo stesso funzionario è presente il 9 maggio a via Caetani, si trova a fianco al furgone della Croce Rossa militare. Ritroviamo quel funzionario a Palermo il 3 settembre del 1982».
  Queste sono le tre foto pubblicate nel testo. Come bene si può vedere, le immagini non forniscono la certezza che si tratti sempre dello stesso soggetto. L'immagine di via Caetani non è molto visibile. La foto scattata a Palermo, invece, ha dato dall'inizio maggiori possibilità di riconoscere la persona effigiata.
  Su questa persona, che ritiene essere la stessa presente appunto nelle tre circostanze che ho detto, D'Adamo scrive: «Se la sua presenza a Roma, nelle due fasi cruciali del caso Moro, il rapimento e l'assassinio, è giustificabile e comprensibile, il fatto che lo ritroviamo a Palermo, in quel giorno e a quell'ora, con i cadaveri di Dalla Chiesa e di sua moglie non ancora estratti dalla A112, suscita almeno un po’ di inquietudine. Quanto preavviso ha avuto il nostro funzionario per essere già lì a quell'ora ?».
  Detto funzionario, quello di Palermo, è stato identificato per il dottor Antonino Wjan, nato nel 1942, attualmente in quiescenza, all'epoca (nel 1982) dirigente del gabinetto di polizia scientifica di Palermo, che dopo aver visionato alcune immagini speditegli via e-mail che riprendevano il sedicente funzionario dei servizi accanto all'auto del prefetto Dalla Chiesa, si è riconosciuto senza ombra di dubbio, spiegando che nella circostanza stava effettuando il sopralluogo coadiuvato da un agente della polizia scientifica. Ha precisato altresì di essere presente sul posto dell'efferato omicidio proprio in qualità di dirigente del locale gabinetto di polizia scientifica, per specifiche attività di sopralluogo. Ha anche specificato che l'operatore con macchina fotografica, pure presente in foto, è da individuare nell'allora agente di polizia Salvatore Roma. Lo stesso dottor Wjan, peraltro, ha riferito di non aver svolto servizio nel 1978 a Roma né di essere stato presente in via Fani in occasione della strage o in via Caetani al momento del rinvenimento del corpo dell'onorevole Aldo Moro.
  Quindi, abbiamo identificato il soggetto di Palermo. Successivamente, al fine di identificare il sedicente funzionario dei servizi ripreso invece in via Fani, sono state condotte ricerche in rete per ritrovare delle immagini migliori che ne permettessero il riconoscimento.
  Anche il predetto funzionario è stato quindi individuato nella foto sotto riportata, con barba e baffi, vestito di scuro, con soprabito e cravatta, con in mano un borsello, ritratto accanto al pubblico ministero Infelisi, mentre una persona in abiti civili sta facendo una fotografia al corpo dell'agente Iozzino disteso in terra. Questa immagine di migliore qualità ha consentito di identificare anche questo funzionario. Si tratta non di un funzionario dei servizi, ma del dottor Giuseppe Pandiscia, all'epoca dei fatti commissario capo della polizia, dirigente del gabinetto di polizia scientifica di Roma, che nella circostanza ha curato in prima persona il sopralluogo e la redazione dei rilievi tecnici. Tra gli altri, il riconoscimento è stato confermato anche da un appartenente alla polizia scientifica in quiescenza, che oltre al dottor Pandiscia riconosce anche l'appuntato che fa la fotografia, anch'egli un appartenente al medesimo gabinetto di polizia scientifica.
  Sempre con riferimento alle foto pubblicate, sono stati fatti accertamenti anche sulla persona sul terrazzo del primo piano del civico 109 di via Fani, sopra il bar Olivetti. Anche in questo caso, sempre con riferimento all'asserita presenza di alcuni funzionari in via Fani, sono stati effettuati accertamenti riferiti alla presenza della medesima persona effigiata il 16 marzo 1978 in una foto in via Fani vicino all'auto in cui viaggiava il presidente Moro (lì indicata con una freccia), nonché in una foto, sempre secondo il libro, sul terrazzo Pag. 12del primo piano del civico 109, sopra il bar Olivetti, dove aveva sede anche l'ufficio di rappresentanza di Bruno Barbaro.

  PRESIDENTE. Che è all'interno e non ha nessun affaccio su via Fani.

  LAURA TINTISONA. In particolare, D'Adamo scrive (riporto testualmente): «Quel signore è presente anche sul terrazzo del primo piano al civico 109, sopra il bar Olivetti, dove aveva sede anche l'ufficio di rappresentanza di Bruno Barbaro, il cognato del gladiatore Pastore Stocchi,» e che «l'uomo con eskimo presente sul terrazzo del primo piano di via Fani, dov'era l'ufficio di rappresentanza di Bruno Barbaro, probabilmente ha a che fare con il cognato di Pastore Stocchi e con la sua ditta».
  Come detto, è stato accertato presso l'ENPAF, e anche con un sopralluogo fatto lì, che l'appartamento di Bruno Barbaro affacciava unicamente su un cortile interno. Tra l'altro, escluso che si tratti appunto del balcone di Barbaro, anche la segnalata presenza sul balcone non sembra vera; infatti, da un esame di altre immagini estrapolate sempre da fonti internet, la persona indicata si trova non su un balcone, ma all'esterno, e sembra appoggiata alle strutture delle tende del bar Olivetti.
  Altri accertamenti sono stati fatti sull'Alfasud targata Roma S88162. Si tratta di accertamenti oggetto di uno specifico incarico che mi è stato affidato, finalizzato ad approfondire la presenza in via Fani, nei minuti immediatamente successivi alla strage, della citata auto. Gli esiti degli accertamenti effettuati si riportano in questo contesto in quanto nelle immagini del testo sono riportate una serie di foto che ritraggono l'Alfasud in questione la mattina del 16 marzo sul marciapiede di via Fani lato bar Olivetti, tanto che l'autore dedica alla citata auto un capitolo del suo libro, mettendo in evidenza almeno due circostanze quanto meno sospette che riguardano l'Alfasud, cioè l'orario di arrivo e le manovre effettuate asseritamente per coprire reperti o mettere in atto altre non meglio specificate attività improprie. Vi leggo soltanto una parte: «L'Alfasud beige arriva in via Fani sulla scena del crimine pochi secondi dopo la strage, prima che le chiamate telefoniche dei cittadini si traducano in ordini operativi; l'Ucigos è già lì, forse è stata mandata lì in tempo reale» (pagine 59 e 60).
  Sono stati effettuati accertamenti da cui è emerso che l'Alfasud in questione era un'autovettura della polizia con colori civili, in dotazione all'epoca dei fatti alla DIGOS della questura di Roma. È stato rintracciato e formalmente escusso l'appartenente alla Polizia di Stato Emidio Biancone, già in servizio alla DIGOS di Roma, che la mattina del 16 marzo era l'autista della citata auto.
  Biancone ha riferito che quella mattina svolgeva le mansioni di autista del dirigente della DIGOS dottor Domenico Spinella; si trovavano in questura e, non appena il dottor Spinella aveva avuto notizia di quanto accaduto, erano partiti e avevano raggiunto via Fani. L'Alfasud in questione non era l'auto che normalmente utilizzava il dottor Spinella, ma era in uso ad un altro funzionario della DIGOS, il dottor Giancristofaro. Quella mattina avevano preso quell'auto perché quella del dirigente, parcheggiata nel cortile della questura, era chiusa da altre auto della polizia in sosta. Dalla questura sino a via Fani, a bordo dell'autovettura c'erano quindi l'autista Biancone, il dottor Spinella e il funzionario della DIGOS dottor Giancristofaro, che era andato con loro. Erano giunti in via Mario Fani da via Trionfale dopo pochi minuti dall'agguato, tanto che sul posto era presente solo una volante della polizia.
  Dalle fotografie che ho appena mostrato, la persona che si nota in piedi accanto all'Alfasud e indossa un maglione con collo a V è Emidio Biancone. Nel testo è ipotizzata – però non so bene sulla base di quali circostanze – una sequenza delle fotografie in cui l'auto sta prima tutta sul marciapiedi e dopo sta parzialmente sul manto stradale. Comunque, Biancone riferisce che effettivamente è possibile che fosse arrivato lì sul posto con la macchina Pag. 13e l'avesse lasciata quando non era stata ancora chiusa la strada e quindi immagina che per favorire i rilievi della scientifica l'abbia successivamente spostata.
  Biancone è stato nuovamente escusso, come da incarico, per avere maggiori chiarimenti sulle modalità e la tempistica con cui il 16 marzo ha raggiunto via Fani. Sul punto non è stato possibile procedere all'escussione né di Spinella né di Giancristofaro, entrambi deceduti.
  Di seguito riporto testualmente alcuni passi delle dichiarazioni di Biancone che, nel confermare quanto già dichiarato, ha aggiunto altri particolari. Testualmente ha riferito: «Ricordo che quella mattina eravamo da poco giunti in ufficio ed avevamo provveduto a parcheggiare l'autovettura del dottor Spinella nel posto auto assegnato. Io ero rimasto nel cortile a parlare con altri colleghi. A un certo punto, da una finestra della DIGOS che affacciava sul cortile, il collega, che era segretario di Spinella, mi chiamò a gran voce, urlandomi di fare in fretta a prendere l'autovettura di servizio poiché stava scendendo il dirigente. Intuii subito che doveva essere successo qualcosa di serio, perché percepii grande concitazione. Cercai subito di spostare le auto che bloccavano quella del dirigente, ma nel frattempo giunse Spinella insieme a Giancristofaro e mi disse di smetterla e di prendere la prima auto disponibile. Era presente nel cortile anche l'autista del dottor Giancristofaro, che mi passò le chiavi dell'autovettura Alfasud solitamente utilizzata dal predetto. Immediatamente quindi partimmo a sirene spiegate».
  Biancone ha ricordato che il dottor Spinella nella circostanza gli aveva detto di prendere la direzione di via Trionfale, di correre e di fare il più in fretta possibile: «Subito dopo, durante il tragitto, Spinella mi disse che bisognava andare in via Fani. Contestualmente la sala operativa della questura coordinava le auto dicendo che non tutte dovevano andare sul posto. Ritengo, ma non lo ricordo con precisione, che si stesse attuando una sorta di coordinamento per circoscrivere la zona. Ero appena uscito dalla questura, ero all'altezza della caserma dei pompieri – per chi conosce la questura sono praticamente attaccate: via Genova e via San Vitale – e stavo per immettermi in via Nazionale, che alla radio si sentivano comunicazioni relative a quanto accaduto in via Fani».
  Circa l'itinerario e la tempistica – ha rammentato – «uscendo dalla questura percorremmo via Nazionale, piazza Venezia, corso Vittorio Emanuele. Superato il Tevere, imboccammo via della Traspontina; superato il quartiere Prati, giungemmo a piazzale Clodio. Quindi imboccai la panoramica fino alla via Trionfale, poi via Igea e via Fani. Andammo molto veloci, ritengo di aver impiegato circa quindici minuti o poco più. Rammento che il dottor Giancristofaro, nella stessa giornata, mi confidò che si era molto spaventato per la mia guida e l'alta velocità. Durante il percorso, però, si era tranquillizzato perché aveva rilevato che guidavo bene. Quando arrivammo in via Fani c'era già, come ho detto nei precedenti verbali, una volante all'angolo con via Stresa e numerose persone. Solo dopo venne chiusa la strada con transenne e non venne più permesso ad alcuno di entrare. L'auto da me condotta era già all'interno delle transenne e non venne più spostata, ad eccezione di piccoli movimenti, come già specificato nella precedente verbalizzazione, allo scopo di agevolare le attività della polizia scientifica, sino al termine delle operazioni compiute. Il dottor Spinella dovette rientrare in questura con un'altra auto perché quella da me guidata non si poteva spostare in quanto erano in corso i rilievi».
  In sintesi, dalle dichiarazioni del Biancone si evince che l'auto parte dalla questura appena arriva la notizia, tanto che appena usciti da via San Vitale, davanti alla caserma, si sentono le note radio. Giunge sul posto nell'immediatezza; trasportava, tra gli altri, l'allora dirigente della DIGOS Spinella. Quando arriva sul posto, l'unico mezzo delle forze di polizia presente era una volante nei pressi dell'incrocio tra via Fani e via Stresa, che si può vedere in svariate foto sia di sopralluogo sia in fonti aperte.Pag. 14
  Per completezza, si riportano alcune testimonianze rilasciate da persone sia civili sia militari intervenute sul posto. Paolo Pistolesi, testimone oculare dell'eccidio, è l'edicolante che con riferimento all'arrivo delle forze dell'ordine sul posto – è un verbale del 2 giugno 1994, reso all'allora sostituto procuratore dottor Marini – dopo aver descritto le fasi dell'agguato, riferendo che uno degli attentatori gli aveva intimato di allontanarsi, l'arrivo delle prime persone sul posto e la richiesta di soccorsi, precisa che sino ad allora non aveva visto poliziotti e riferisce testualmente: «Infatti, solo dopo, quando sono tornato all'incrocio tra via Fani e via Stresa, ho visto arrivare una volante con a bordo due agenti, uno dei quali da me conosciuto con il nome di Nunzio. La volante proveniva da via della Camilluccia ed è arrivata all'incrocio tra via Stresa con via Fani qualche minuto dopo. Io l'ho fermata prima dell'incrocio, ai due agenti ho detto quello che era successo. Se non ricordo male, uno dei due è sceso al volo dalla macchina, mentre l'altro si è lanciato all'inseguimento».
  Effettivamente, dalla lettura degli atti, risulta che la prima volante sul posto è l'autoradio del commissariato Montemario, con a bordo le guardie Nunzio Sapuppo e Marco Di Bernardino, che, avuta disposizione dalla sala operativa, da via Bitossi hanno raggiunto via Fani.
  Nella loro relazione è scritto: «Dopo sono giunte altre auto della polizia con a bordo personale di questo ufficio e funzionari della DIGOS». Entrambi furono escussi dal giudice Imposimato il 6 novembre 1978. Sapuppo ha confermato quanto riportato in relazione e ha dichiarato: «Siamo stati i primi ad arrivare sul posto. Quando siamo giunti sul posto abbiamo visto molta gente attorno alle auto di Moro e alla sua scorta; abbiamo visto anche una guardia di Pubblica sicurezza in borghese che si è messa a piangere quando ha visto i carabinieri uccisi». Di Bernardino riferisce, tra le altre cose: «Io e Sapuppo siamo i primi ad arrivare sul luogo dell'attentato. Poi sono arrivate molte altre auto della polizia. Ricordo che assieme a noi arrivò anche un agente di PS in borghese che si mise a piangere dopo aver visto gli agenti e i carabinieri uccisi».
  Ci sono le dichiarazioni di Renato Di Leva, guardia di Pubblica sicurezza in borghese, libero dal servizio, che incrocia la volante, la segue e arriva in via Fani insieme ai colleghi. Egli racconta: «Abbiamo visto due auto tamponate con i vetri rotti, la prima, una FIAT 132 o 130», spiegando che si era avvicinato all'auto che trasportava l'onorevole Moro, cercando anche di parlare con l'autista che era ancora vivo, senza riuscirci «mentre il collega della volante ha ispezionato l'altra auto che si trovava dietro».
  Nella relazione di Di Bernardino e Sapuppo effettivamente il primo scrive di essersi fatto largo tra la folla, di essersi avvicinato all'Alfetta; il suo collega ha fatto richiesta via radio della Croce Rossa.
  Dall'esame delle testimonianze dell'epoca e di quelle rilasciate da Biancone si evince che la prima auto della polizia ad arrivare sul posto è la volante del commissariato Montemario, in servizio a via Bitossi, con a bordo le due guardie Nunzio Sapuppo e Marco Di Bernardino. Appare quindi in contrasto il fatto che l'Alfasud beige arrivi in via Fani sulla scena del crimine pochi secondi dopo la strage, prima che le chiamate telefoniche di cittadini si traducano in ordini operativi.
  Da ultimo, nel volume di D'Adamo ci sono alcune fotografie che dimostrerebbero che i villaggi di Bonanni sarebbero stati costruiti con caratteristiche simili a strutture di tipo militare. Su questo ho già detto cosa ha riferito Bonanni, cioè che le costruiva secondo quello che era il piano regolatore.
  Un altro argomento da trattare è l'acquisizione dei reperti sequestrati in via Mario Fani. Si è già riferito, nella fase iniziale, sulle autovetture coinvolte nell'agguato, che quindi sono state messe a disposizione della polizia scientifica per gli accertamenti. Per quel che riguarda gli altri reparti in sequestro, parte sono stati rintracciati presso l'ufficio corpi di reato del Tribunale di Roma e presso la Corte di assise. Sono risultati però mancanti nell'elenco Pag. 15i reperti balistici relativi all'eccidio di via Fani e all'omicidio dell'onorevole Moro, oggetto di più perizie.
  Pertanto, sono state effettuate ulteriori ricerche. Parte del materiale sequestrato è stato rinvenuto a Gardone Val Trompia, presso il Banco nazionale di prova armi. Sono state rinvenute e acquisite la pistola mitragliatrice marca FNA sequestrata presso il covo di Cinisello Balsamo, colonna Walter Alasia, e la pistola semiautomatica Smith & Wesson sequestrata a Prospero Gallinari. Tra le armi utilizzate a via Fani e sequestrate, allo stato non è ancora stata rintracciata la pistola mitragliatrice MP12 che dovrebbe tuttavia essere andata distrutta.
  Altro materiale è stato consegnato dal perito Pietro Benedetti, autore di più relazioni peritali sul caso Moro, che ha consegnato bossoli e proiettili, già oggetto di perizie, che egli aveva recuperato presso l'abitazione del suo collega professor Salza, deceduto.
  In particolare, sono stati recuperati tutti i bossoli rinvenuti in via Fani e parte dei proiettili e frammenti. Il perito Benedetti, più volte escusso, consultando le sue perizie redatte all'epoca, confrontandole con il materiale consegnato, ha fornito dettagliate indicazioni sui proiettili, i frammenti e le cartucce mancanti.
  In sintesi, mancano i proiettili rinvenuti in sede autoptica sul corpo del maresciallo Leonardi, due proiettili dell'Alfetta di scorta, dei proiettili rinvenuti all'interno della 130, quello rinvenuto nella Mini e alcuni proiettili e frammenti rinvenuti sempre sul luogo dell'attentato.
  Tali reperti, tuttavia, come precisato dallo stesso Benedetti, sono stati dallo stesso e dal professor Salza esaminati e fotografati in quanto oggetto della perizia effettuata nel procedimento penale n. 15621 del 1993 a carico di Germano Maccari e altri.
  Tutti i reperti balistici acquisiti e nella disponibilità della Commissione sono stati consegnati alla polizia scientifica. Ora riferirò di accertamenti che in questa fase prescindono da questo. Il collega poi spiegherà gli accertamenti effettuati per accertare la dinamica. Abbiamo comunque effettuato anche accertamenti che potremmo definire di natura merceologica.
  In sintesi, precisando che gli accertamenti balistici veri e propri sono stati delegati alla polizia scientifica, per accertare se i bossoli e le cartucce sequestrati in via Fani avessero caratteristiche particolari si è proceduto ad acquisire il materiale balistico disponibile, a escutere il perito Pietro Benedetti e i funzionari della Fiocchi, l'azienda produttrice, a porre con corrispondenza scritta ulteriori specifici quesiti alla Fiocchi e ad effettuare la sommaria verifica delle caratteristiche (data e nichelatura fondello) di otto cartucce sequestrate presso i vari covi BR, consegnate dal perito Benedetti e da lui utilizzate per svolgere gli accertamenti di natura balistica.

  PRESIDENTE. Se siete d'accordo, questa parte la possiamo anche leggere da soli. Andiamo a introdurre il caricatore rinvenuto. Poi passiamo alla polizia scientifica, perché su questa materia abbiamo già fatto relazioni e relazioni.

  LAURA TINTISONA. Sì, è tutto riferito in relazioni.

  PRESIDENTE. Non vorrei che arrivassimo tardi alla ricostruzione.

  LAURA TINTISONA. Va bene. Apro soltanto un inciso relativo all'ultima frase che ho descritto sui reperti consegnati, ossia sugli otto bossoli consegnati dal perito Benedetti in una seconda escussione. Praticamente, succede questo: Benedetti spiega che, per fare gli accertamenti di natura balistica, ha bisogno di cartucce assolutamente simili ai bossoli che sono stati rinvenuti, proprio per verificare se un bossolo sia stato sparato con un'arma o con un'altra. In questo caso, poiché aveva la disponibilità di numerose cartucce che erano state sequestrate nei vari covi BR, si è fatto autorizzare a prendere le cartucce che erano in sequestro per fare poi la prova e, quindi, spararle. Praticamente Pag. 16dichiara che una parte dei bossoli, quelli nichelati e senza data, erano stati rinvenuti anche in altri covi BR.
  Questa è la parte di novità per la quale io ho fornito una relazione soltanto oggi.

  PRESIDENTE. Vorrei concludere questa parte, prima di passare alla ricostruzione della polizia scientifica.
  Come ho detto in premessa, così come noi approfondiremo in maniera serrata gli indirizzi che abbiamo detto nella seduta segreta, che riguardano le vicende di cui abbiamo appena parlato, così sarà mia cura trasmettere al procuratore Pignatone i risultati degli accertamenti effettuati, insieme con le affermazioni, più volte pubblicate, con essi discordanti, affinché veda se ritiene di approfondire.
  Io credo che dobbiamo separare le cose vere da quelle non vere, inviando un segnale di serietà. Noi abbiamo lavorato sei mesi per ricostruire ciò che non c'era e per trovare una parte che, invece, non era stata mai approfondita in questi trentasette anni dall'omicidio degli uomini della scorta e dell'onorevole Moro.

  LAURA TINTISONA. Passiamo direttamente alla parte della polizia scientifica. Prima di passare la parola al funzionario della scientifica, rammento che è stato acquisito il materiale in formato digitale e cartaceo, comprendente i fascicoli dei rilievi tecnici dell'epoca, ossia del 16 marzo, e la pianta planimetrica del tratto di via Fani. Sono state reperite e messe a disposizione della Commissione in formato cartaceo e digitale le perizie balistiche effettuate su incarico dei magistrati che si sono occupati del caso Moro.
  Tutti questi atti, comprese le prime informative della DIGOS e le testimonianze più significative, sono stati consegnati al servizio di polizia scientifica, al fine di realizzare con l'ausilio delle più moderne tecnologie una ricostruzione virtuale della dinamica di quanto accaduto in via Mario Fani, con particolare riferimento alla ricostruzione delle traiettorie, che, come è noto, non era mai stata effettuata in precedenza.
  Passo la parola al dottor Boffi, funzionario del servizio di polizia scientifica, già direttore della sezione di balistica e microscopia elettronica, autore di diverse pubblicazioni, con notevole esperienza nell'attività di ricostruzione di dinamiche della scena del crimine.

  PRESIDENTE. Ringraziamo la dottoressa Tintisona, che ha fatto questo grande lavoro, insieme a tutti i suoi collaboratori, anche per la fatica a cui l'abbiamo sottoposta, che per lei è particolarmente gravosa.

  FEDERICO BOFFI. Buonasera. Presento il lavoro che abbiamo svolto, che è stato quello di ricostruire la dinamica dell'agguato a via Fani. Nel fare questo noi abbiamo certamente tenuto conto degli atti a disposizione, ma abbiamo agito come se il fatto fosse avvenuto poche settimane fa. Ovviamente, non ci siamo fatti influenzare dai risultati delle attività precedenti e abbiamo agito come se si trattasse di un caso attuale.
  Abbiamo letto gli atti a disposizione, abbiamo fatto un sopralluogo e perizie medico-legali balistiche, abbiamo effettuato sopralluoghi sulle autovetture e anche sul luogo dell'agguato, abbiamo ricostruito graficamente tutti gli elementi presenti sulla scena del crimine e, infine, abbiamo fatto un'analisi e realizzato la ricostruzione della dinamica. Soltanto alla fine abbiamo effettuato un confronto con le testimonianze per verificarne l'attendibilità sulla base dei dati ottenuti da noi.
  Gli atti presentano tutti alcune criticità. Partiamo dall'attività di sopralluogo. Da queste immagini vi fate già un'idea di come si sia presentata la scena del crimine agli operatori di polizia scientifica dell'epoca e di come questa moltitudine di persone sulla scena del crimine rappresenti, in realtà, un punto critico, soprattutto sulla scena di un crimine compiuto con armi da fuoco, ossia con oggetti sul terreno assolutamente non fissi, come bossoli e proiettili.
  Proietto questo filmato dell'edizione speciale del telegiornale dell'epoca – dura Pag. 17un minuto; io lo ricordo anche se avevo undici anni e anche qualcuno di voi forse lo ricorderà – a ulteriore conferma di questo problema. È Frajese che parla.

  (Segue la proiezione di un filmato, durante la quale si sentono le voci di Paolo Frajese e di un'altra persona:
  «Voce di Paolo Frajese: “Siamo in una zona residenziale di Roma, dietro la Camilluccia, e sono le dieci meno dieci. Siamo appena arrivati sul luogo dove è avvenuto l'assalto. I Carabinieri e la polizia stanno girando. Ci sono molte cose. Ecco la macchina con i corpi degli agenti che facevano parte della scorta dell'onorevole Moro. Ecco per terra ancora – andiamo qui a destra, per piacere – i bossoli. Con una panoramica ancora a destra vediamo la borsa di Moro e il cappello... Non si capisce che cosa sia. Sembra di un pilota. Forse è il cappello di un metronotte”.
  Altra voce: “Sembra un cappello dell'Alitalia”.
  Voce di Paolo Frajese: “No, l'Alitalia non ha quei gradi. Non ha quei gradi l'Alitalia sopra il berretto. Ci sono i caricatori di un mitra. Forse gli attentatori erano mascherati – può darsi – con strane divise. Questa è la scena. C’è ancora un altro corpo più a destra. Puoi guardare, per piacere ? Vieni di qua. Scusa, hai ragione. Stavo pestando inavvertitamente i bossoli”»).

  FEDERICO BOFFI. Soprattutto quest'ultima frase vi fa capire che cosa poteva essere la scena del crimine. Io non saprei dire oggi, in un caso analogo, che cosa potrebbe accadere. Sicuramente la questione è ormai di pubblico dominio e, quindi, ci sono un'attenzione e una sensibilità maggiore alla scena del crimine da parte anche del comune cittadino. Immagino che avverrebbe qualcosa di differente. In ogni caso, questo rappresenta per noi un punto critico.
  Già di per sé la posizione di bossoli e dei proiettili in una scena non inquinata è, come vedremo successivamente, trattandosi di punti non fissi, da valutare con molta attenzione. Ciò è valido a maggior ragione in una scena così inquinata.
  Altri aspetti critici derivano dalle perizie balistiche. Le principali furono quella redatta nell'immediatezza dai consulenti e dai periti Jadevito, Ugolini e Lopez e quella successiva, l'ultima, del 1993, redatta da Benedetti e Salza, che è stata citata anche dalla dottoressa Tintisona.
  Faccio un piccolissimo accenno a cosa si intende quando si effettuano delle comparazioni balistiche. Si associano dei reperti balistici, ossia dei bossoli o dei proiettili, tra loro per capire se siano appartenuti alla stessa arma oppure si associano gli stessi a un'arma specifica. Questo viene fatto attraverso delle comparazioni con dei microscopi comparatori tramite la valutazione soggettiva dell'operatore di microsegni presenti o sui fondelli dei bossoli, o sulle microstrie dei proiettili. Chiaramente questa soggettività è parziale, nel senso che ci sono dati oggettivi e osservazioni evidenti, ma la valutazione finale è dell'operatore che le osserva.
  Nel 1978 la positività o negatività di queste valutazioni si basava su una scala di tre valori: positivo, negativo o non idoneo alla comparazione. Negli anni l'esperienza comune, non solo della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri, ma anche di tutte le polizie europee, messa in comune da organismi e organizzazioni che consentono studi interforze e anche internazionali, ha aumentato questa scala di valutazione e l'ha portata a cinque valori. Si sono aggiunti due valori intermedi, per i quali non si può essere certi che il valore sia positivo e non si può essere certi che sia negativo. Ci sono, quindi, due livelli ulteriori. Questo per dirvi che la differenza dei risultati delle due perizie va interpretata in questo modo.
  La primissima perizia, svolta proprio all'epoca dei fatti, aveva associato i 93 bossoli repertati sulla scena a sei armi differenti, di cui una era certamente quella del collega Iozzino. Solo successivamente, nel 1993, analizzando anche i proiettili, Salza e Benedetti hanno aumentato il numero di armi presenti sulla scena da sei a sette. Tutto quello che hanno fatto, in buona sostanza, è stato valutare che un gruppo di otto bossoli che Ugolini, Pag. 18Lopez e Jadevito avevano associato a un'unica arma, comprendeva, in realtà, bossoli appartenuti a due armi differenti, cinque a una e tre all'altra.
  Questa non è una cosa clamorosa. Capita in tutti i processi in cui vengono effettuate comparazioni balistiche tra consulenti di parte e compagnia bella che ci siano delle interpretazioni leggermente difformi. L'unico problema che questo aumento di armi ci ha creato è stato la perdita di collegamento con questi bossoli rilevati sulla scena del crimine.
  O meglio, il gruppo di otto bossoli è ben definito da Jadevito, Ugolini e Lopez come un gruppo di bossoli distribuiti sulla scena secondo le numerazioni della scientifica. Nel momento in cui Salza e Benedetti separano questi gruppi, però, non ci dicono quali di questi tre bossoli esattamente siano quelli sulla scena del crimine. Per noi essi rimangono, quindi, un gruppo unico, pur sapendo che sono due le armi che li hanno esplosi.
  Nella ottava slide è indicato il numero di bossoli per arma. C’è da dire che l'attività balistica attuale è quasi terminata. Posso anticipare che sostanzialmente il risultato è concorde con quello della perizia Salza-Benedetti.
  La nona slide si vede molto male – e me ne scuso – sullo schermo. Si tratta semplicemente della planimetria dell'epoca, in cui sono riportati tutti i 93 bossoli, i 28 proiettili repertati, le borse, il cappello, il caricatore, i baffi e il bottone.
  A questo punto, abbiamo riassunto le perizie medico-legali.
  Su queste dobbiamo fare un po’ di attenzione, perché poi ci forniranno informazioni sulla dinamica.
  La decima slide riporta le traiettorie dei proiettili che hanno attinto il maresciallo capo Oreste Leonardi. È stato attinto da nove colpi, di cui quattro ritenuti. In realtà, due sono ritenuti nel corpo e due tra il corpo e la camicia. L'hanno attraversato, ma non hanno avuto l'energia sufficiente per superare anche gli indumenti. Sono tutti proiettili provenienti da colpi esplosi, per quanto riguarda la perizia medico-legale, dalla destra. In sede autoptica il corpo messo sul tavolo settorio ha mostrato queste ferite tutte sul lato destro del maresciallo Leonardi.
  Analogamente, l'undicesima slide evidenzia le ferite riportate dall'autista dell'autovettura, della FIAT 130, su cui era presente l'onorevole Aldo Moro. L'appuntato dei Carabinieri Domenico Ricci ha ricevuto sette colpi, di cui nessuno ritenuto, tutti sul suo lato sinistro.
  L'autista dell'Alfetta, il brigadiere di PS Francesco Zizzi, ha ricevuto tre colpi, di cui nessuno ritenuto. Io vorrei che poneste un attimo l'attenzione sulle traiettorie riportate nella dodicesima slide. Era l'autista dell'Alfetta e, quindi, era certamente seduto sull'autovettura. L'esame autoptico ha rilevato, però, che queste traiettorie sono tutte dal basso verso l'alto. È evidente che è impossibile che questi colpi siano provenuti dal basso verso l'alto. In questo caso è talmente evidente che già vi immaginate che sicuramente il brigadiere aveva assunto una posizione diversa. Si era probabilmente piegato all'interno dell'autovettura per evitare i colpi, che l'hanno comunque attinto.
  Non solo, questo ci fa anche capire che probabilmente i primi colpi che sono stati esplosi sull'Alfetta non hanno colpito il brigadiere, ma hanno colpito gli altri, o comunque l'autovettura. Questo particolare è importante e lo vedremo successivamente. Se vi è chiaro, possiamo andare avanti, fermo restando che potete fare domande quando volete.
  Il capomacchina dell'Alfetta, Giulio Rivera, è stato attinto da sei colpi, di cui due ritenuti, in varie posizioni. Aveva assunto una posizione particolare. Probabilmente si era rannicchiato sul suo sedile. Poi lo vedremo.
  Per ultimo, la guardia di Pubblica sicurezza Raffaele Iozzino, l'unico che sia riuscito a uscire dall'autovettura e a esplodere dei colpi contro il gruppo di fuoco, è stato attinto, anzi crivellato, di colpi. È stato attinto da 17 colpi, di cui sette ritenuti, da tutte le posizioni. È impossibile capire esattamente le posizioni di provenienza di questi colpi.Pag. 19
  Abbiamo fatto un breve riassunto degli atti a disposizione. Adesso noi iniziamo a fare la nostra attività di sopralluogo e ricostruiamo questa dinamica. Bisogna fare attenzione, però: quando le traiettorie vengono ricostruite su una scena del crimine, non vengono mai ricostruite in maniera assoluta. Non c’è praticamente mai la possibilità di individuare un'unica traiettoria relativa a un impatto, per una serie di ragioni. Le principali sono le incertezze di misura, ossia la misurazione dell'impatto con lo strumento di misura che si utilizza e, quindi, l'incertezza dello strumento. Non è un errore dell'operatore. Ogni strumento di misura porta con sé un errore che, per quanto lo strumento possa essere sensibile e preciso, è insito in esso. L'altro aspetto è quello della morfologia dell'impatto. Anche nei casi migliori, in cui il proiettile rimane ritenuto all'interno della superficie, su un muro o su un'autovettura, l'impatto è più grande del proiettile e, in genere, ha anche una morfologia un po’ distorta.
  Nei casi migliori noi riusciamo a inserire all'interno di questi fori dei tramiti, come vedremo successivamente, ossia delle piccole aste che hanno un diametro analogo a quello del proiettile, ma quasi mai le aste riescono a essere fissate perfettamente su questi fori. In genere hanno una leggera oscillazione, che fa sì che noi non riusciamo a determinare un'unica traiettoria, ma un insieme di traiettorie, che in genere partono da questo punto e si allontanano in forma conica e hanno come apice il punto finale.
  Vengono considerati nella ricostruzione delle traiettorie soltanto i punti fissi, cioè i colpi che finiscono su superfici rigide, autovetture o muri. Il motivo per cui non vengono considerate le traiettorie intrasomatiche, se non in una fase successiva, l'abbiamo appena visto, ossia perché noi dalla sede autoptica abbiamo traiettorie dal basso verso l'alto, quando in realtà sono esattamente all'opposto, cioè dall'alto verso il basso.
  Bossoli e proiettili repertati sulla strada, come abbiamo già detto, in genere vengono trattati con le molle, se non quando si riesce ad avere una distribuzione di bossoli molto concentrata. Se abbiamo un numero elevato di bossoli in un unico punto – sette, otto o nove bossoli – possiamo verosimilmente pensare che siano stati tutti proiettati dall'espulsione dell'arma che li ha separati in maniera naturale, cioè senza secondi rimbalzi o spostamenti. Se quei bossoli fossero arrivati lì casualmente, per un calcio dato dallo stesso sparatore o da chi è intervenuto successivamente, è impensabile immaginare che un numero elevato di bossoli possa essere stato portato in maniera casuale in quel punto. Non so se mi sono spiegato, ma penso di sì: soltanto gruppi di bossoli numerosi vengono presi come dati certi nella ricostruzione di una traiettoria; bossoli singoli vengono valutati caso per caso.
  Quando determiniamo la distanza dello sparo, una volta individuata la traiettoria, dobbiamo procedere a ritroso per capire esattamente da che punto. Se la traiettoria non è perfettamente parallela al terreno, in quel caso si procede definitivamente fino a che non finisce l'orizzonte... (scherzo, ovviamente). Le traiettorie in genere hanno una determinata angolazione rispetto al piano. Dobbiamo andare all'indietro fino al punto in cui ci fermiamo.
  Noi non possiamo sapere in che modo imbracciasse l'arma lo sparatore nel momento in cui ha esploso quel colpo, a prescindere dal fatto che avesse un'arma corta o lunga. Le armi possono essere imbracciate in tanti modi. Il vivo di volata dell'arma, nel momento in cui il proiettile esce, può avere delle oscillazioni che non sono corrispondenti alla posizione di chi l'ha esploso e, quindi, si fa una stima. In genere, per una persona alta mediamente 1,75 m si stima che il vivo di volata dell'arma sia intorno a 1,60. È una stima. C’è un margine di errore e, quindi, c’è un'incertezza nella posizione che verrà considerata.
  Per ultimo, abbiamo appena detto che le posizioni di chi esplode i colpi e delle vittime vengono sempre inserite nella ricostruzione in maniera totalmente qualitativa, Pag. 20perché non potremmo mai sapere quale fosse esattamente la posizione della persona che ha ricevuto il colpo e di chi l'ha esploso.
  A questo punto passiamo alla descrizione dei sopralluoghi fatti sulle due autovetture. Nella sedicesima slide è raffigurata la FIAT 130, ancora perfettamente conservata, sia dalla parte esterna, sia dalla parte interna, presso la Motorizzazione civile. La patina chiara che vedete è del borotalco che noi abbiamo messo e poi rilavato per poter consentire la scansione dell'autovettura, come vedremo successivamente. Sono ancora molto evidenti l'impatto sul paraurti posteriore e la rientranza del fanale anteriore sinistro. Questi sono segni di due urti che l'autovettura ha certamente ricevuto.
  Nella slide successiva sono stati indicati all'interno dell'autovettura dodici impatti, che però non corrispondono a dodici traiettorie. In realtà, corrispondono a sette traiettorie. Per farvi capire, per esempio, l'impatto D è ripetuto tre volte. L'impatto T è relativo a un proiettile che ha colpito il montante del deflettore anteriore sinistro e l'ha attraversato. Quindi, è partito da sinistra, ha colpito il sedile anteriore destro, dov'era seduto il maresciallo Leonardi, e ha finito la sua corsa sulla parte dello sportello anteriore destro. Questo proiettile ha certamente attinto il maresciallo Leonardi e proveniva da sinistra. Allo stesso modo il proiettile E, relativo all'impatto E, ha passato il sedile dov'era seduto il maresciallo Leonardi e ha finito la sua corsa anch'esso sulla parte interna dello sportello anteriore destro.
  Altre traiettorie sono state ricostruite. Ce n’è una che non ha colpito nessuno, ma che ha colpito il parabrezza anteriore della 130 e ha finito la sua corsa sulla parte posteriore destra in alto, dove c’è il poggiamano. Ha attraversato in diagonale l'autovettura senza colpire nessuno.
  Altri punti non hanno consentito di individuare delle traiettorie, come l'impatto H e l'impatto G, in quanto ci sono dei fori di proiettile, ma non è stato possibile proprio inserire tramiti o valutare la provenienza, così come questo foro, che in realtà non è un foro (impatto F). All'interno di questo foro sono stati repertati due proiettili, che poi sono stati associati alla Smith & Wesson. Non siamo stati in grado di capire la provenienza di questi proiettili, se venissero da destra o da sinistra, perché per repertarli è stato tagliato il sedile. Tuttavia, non hanno certamente attinto il maresciallo Leonardi.
  Allo stesso modo, abbiamo effettuato un sopralluogo sull'Alfetta, che è in condizioni un po’ meno perfette. La parte esterna è ancora conservata, mentre nella parte interna i sedili sono completamente divelti. Abbiamo individuato ventuno impatti. Poiché sono solo sulla parte esterna, sono tutti appartenenti a traiettorie differenti e si possono individuare immediatamente due gruppi.
  Mi scuso, ma aggiungo una piccola considerazione che noi facciamo, guardando questa immagine. Questi colpi visibili nella diciottesima slide sono stati esplosi certamente a raffica. La stessa cosa non la possiamo dire di questi altri, riportati nella slide precedente, ma lo vedremo poi quando faremo la dinamica.
  Sull'Alfetta riferiamo due curiosità. Abbiamo individuato un impatto, l'impatto H, che non era stato osservato nell'immediatezza. Questo perché il proiettile non ha attraversato lo sportello. Probabilmente è un proiettile di rimbalzo, che ha colpito e deformato lo sportello e che, quindi, ha scrostato un po’ la vernice. Negli anni la ruggine ha peggiorato il lavoro e l'ha reso più evidente. Questo impatto non era stato caratterizzato all'epoca.
  Non solo, se contiamo i fori sullo sportello posteriore sinistro – sono cinque, abbiamo detto che quello relativo all'impatto H non l'ha attraversato – e andiamo a vedere quelli che l'hanno attraversato, notiamo che sono soltanto quattro. In effetti, noi abbiamo ritrovato un altro proiettile all'interno dell'intercapedine dello sportello, un proiettile assolutamente deformato e non utile per le comparazioni. Queste sono comunque due curiosità che noi abbiamo rilevato e che abbiamo riportato nella relazione.Pag. 21
  A questo punto, noi abbiamo iniziato a effettuare le ricostruzioni, ossia la ricostruzione grafica di tutta la scena. Chiaramente abbiamo ricostruito la vettura e anche l'incrocio.
  Faccio un breve cenno alla tecnica utilizzata. Si tratta di un laser scanner, ossia di un sistema che emette un fascio laser e misura il tempo che impiega questo fascio a colpire un bersaglio specifico. Il tempo che impiega è direttamente proporzionale alla distanza e, quindi, poi di fatto misura la distanza di questo punto. Questi strumenti sono in grado di misurare milioni di punti a 360 gradi. Scansionano tutta la zona che uno vuole scansionare con vari tipi di risoluzione in funzione delle necessità.
  Brevemente, anche qui, come risultato dello strumento viene fuori esattamente una riproduzione perfetta del reale, rappresentato da questa cosiddetta «nuvola di punti», raffigurata nella ventunesima slide. Questi sono i milioni di punti scansionati dallo strumento. Questa immagine, che è in tre dimensioni, anche se qui la vediamo soltanto fissa, è sicuramente sovrapponibile con il reale, ma non è utilizzabile per i nostri scopi.
  Noi non possiamo, cioè, utilizzando direttamente questo dato, lavorarci sopra e inserire altri oggetti. Dobbiamo elaborarlo con dei software dedicati che cambiano un po’, ma soltanto all'apparenza, l'immagine. Essa diventa un po’ meno realistica, ma mantiene esattamente le stesse posizioni, le stesse distanze e le stesse misurazioni.
  Tanto per farvi capire, questa raffigurata nella parte alta della ventiduesima slide è la mappa di Google Maps e questa nella parte bassa è la ricostruzione vista dall'alto dell'incrocio di via Fani.
  Allo stesso modo, abbiamo ricostruito le autovetture e abbiamo cominciato a inserire anche le traiettorie graficamente. Come vedete, questa indicata come A-I nella slide successiva è la traiettoria che colpisce il parabrezza e attraversa diagonalmente l'autovettura senza colpire nessuno e le altre sono le traiettorie di cui abbiamo parlato, quelle che siamo riusciti a determinare.
  La considerazione che possiamo fare è che, con ogni probabilità, questi colpi non sono stati esplosi a raffica. Lo vedremo ancora meglio dopo.
  Allo stesso modo, abbiamo ricostruito l'Alfetta con tutte le traiettorie. Vediamo chiaramente due posizioni di sparo differenti, due raffiche esplose da punti e da distanze sicuramente differenti.
  Abbiamo posizionato poi queste autovetture sulla strada ricostruita. Nella venticinquesima slide abbiamo messo a confronto delle fotografie d'agenzia con la nostra ricostruzione grafica. Ce ne sono tantissime di queste immagini e almeno io – non so voi – ho difficoltà a capire quale sia l'immagine fotografica e quale l'immagine ricostruita. Le abbiamo riposizionate esattamente come erano rappresentate.
  Questa riportata nella slide successiva è un'altra osservazione. Queste sono tutte le autovetture presenti sulla scena del crimine anche durante il sopralluogo. Quelle numerate 1, 2 e 3 sono le autovetture usate dal gruppo di fuoco, che noi abbiamo inserito in posizioni indicative in base ad alcune dichiarazioni testimoniali. Chiaramente, però, non sappiamo se fossero esattamente in quei punti precisi. Nella ventisettesima slide è riportato un altro punto di osservazione.
  A questo punto, abbiamo inserito tutti i reperti. Nelle due slide successive è riportata la planimetria della scena del crimine ricostruita in tre dimensioni, con tutti i bossoli e tutti i reperti presenti.
  Noi abbiamo rinominato le armi. Abbiamo chiamato come arma 1 la prima arma, che sarebbe una FNA, che ha esploso i colpi contro la 130. Abbiamo nominato come arma 2 la seconda arma, che dovrebbe aver esploso dei colpi contro la 130 – ma non abbiamo alcuna evidenza di questo – e che sarebbe l'M12. Questa è una di quelle due armi che, secondo Salza e Benedetti, sono due armi e, invece, secondo Ugolini e Lopez è un'arma sola. Non sappiamo, quindi, i bossoli di queste due armi quali siano effettivamente. Pag. 22L'arma 3 e l'arma 4 sono due armi a raffica che hanno colpito l'Alfetta. L'arma 5 e l'arma 6 sono le due armi corte che sono state utilizzate dal gruppo di fuoco e che hanno comunque sparato nell'occasione.
  A ciascuna di queste armi abbiamo associato un colore. I gruppi di bossoli relativi sono questi, come potete vedere. Il numeretto che leggete tra parentesi è il numero di bossoli presenti in quell'area.
  Questi nella trentesima slide e nelle successive sono dei particolari di come abbiamo riposizionato tutti i reperti e i bossoli. Qui c’è il bottone – non si vede chiaramente, ma era qui – con l'effigie dell'Arma dei Carabinieri e i baffi nel punto in cui sono stati ritrovati.
  A questo punto, noi abbiamo prolungato le traiettorie per capire la distanza di sparo, con l'approssimazione che abbiamo detto prima, fino a raggiungere 1,60 m, sapendo che la distanza potrebbe essere un po’ differente.
  Le posture degli sparatori nella trentaseiesima slide sono del tutto aleatorie, ossia solo indicative, e servono solo per far capire come stavano messi. Nella slide successiva è raffigurato come sarebbe stato posizionato il gruppo di fuoco se i colpi fossero stati esplosi con le autovetture in questa posizione. In realtà, non è così. Questi sono i coni delle traiettorie.
  Adesso concentriamoci sull'Alfetta. Se i colpi fossero stati esplosi con l'autovettura in questa posizione e con gli sparatori in questi punti, non avremmo avuto il raggruppamento di bossoli in questo punto. Qui siamo a una distanza superiore a due metri. Qui sono concentrati 27 bossoli. Certamente questi sono arrivati in maniera naturale, non casuale, ossia non per rimbalzi o per calci dati nelle fasi successive. L'espulsione proietta questi bossoli al massimo a un paio di metri. Qui siamo oltre. Pertanto, dobbiamo presumere che questi bossoli siano stati espulsi con l'arma posizionata in un punto differente, il che corrisponde anche all'autovettura in un punto differente. Infatti, se spostiamo l'Alfetta di un paio di metri, non di tanto – stiamo parlando veramente di un paio di metri – all'indietro, la corrispondenza torna. Dobbiamo pensare che l'Alfetta sia stata attinta ancora in movimento. Questo, in effetti, posto in relazione anche con la posizione successiva di Zizzi, che si piega e viene colpito in quel modo, ci spiega anche il perché poi abbia urtato la 130.
  Se questo è un dato che per noi è praticamente certo, il fatto che anche la 130 fosse in movimento è una considerazione che deriva da queste strane traiettorie, ossia da questi strani colpi. Se la 130 fosse stata attinta nella posizione indicata nella trentanovesima slide, questa traiettoria, ossia quella che non ha colpito nessuno, quella che attraversa in maniera diagonale partendo dal parabrezza, avrebbe dovuto avere come sua origine un punto in prossimità della 128. Questo potrebbe anche essere verosimile, ma dovremmo parlare di un unico colpo esploso che non ha colpito nessuno, di un colpo esploso così.
  Adesso faccio un piccolo giochino mostrandovi la quarantesima slide. Vedete la posizione di questo personaggio, di questo sparatore, la traiettoria che non ha colpito nessuno e le altre traiettorie. Noi pensiamo che chi ha esploso questo colpo, che, a questo punto, dovrebbe essere stato anche il primo colpo in assoluto esploso contro il convoglio, abbia esploso anche gli altri senza muoversi. Noi immaginiamo, quindi, che, molto verosimilmente, anche la 130 fosse in movimento. Nel momento in cui sono stati esplosi i primissimi colpi, l'autista probabilmente ha sterzato e ha tamponato la 128 e gli spari hanno continuato.

  GERO GRASSI. L'ha tamponata ? A noi risulta che non l'abbia tamponata.

  FEDERICO BOFFI. Torniamo un po’ indietro alla sedicesima slide. Abbiamo visto che la vettura ha un faro assolutamente rientrato. Questo faro è assolutamente rientrato.

  PRESIDENTE. La domanda dell'onorevole Grassi si riferisce a una questione di cui abbiamo più volte dibattuto. Quando Pag. 23lei arriverà alla fine dell'illustrazione... Io ho letto, ma la domanda il collega gliel'ha fatta adesso, ragion per cui bisogna spiegarla.
  Lei dice che è stato il tamponamento, ma bisogna capire se il tamponamento sia stato quello che ha bloccato, oppure, se alla vettura si spara mentre è in movimento per cui sobbalza e si accosta, come riferito da un testimone. È la stessa procedura, ma è questo il modo in cui va addosso.

  FEDERICO BOFFI. Noi a questo punto non abbiamo ancora neanche considerato le testimonianze.

  PRESIDENTE. Sì, ma, poiché l'onorevole Grassi ha corso, vi volevo fornire la risposta.

  GERO GRASSI. Chiedo venia, mi è uscita dal cuore. Le altre le ho trattenute, ma questa mi è uscita dal cuore.

  FEDERICO BOFFI. Può interrompere quando vuole e fare tutte le domande che vuole. Non c’è alcun problema.
  Torniamo al punto. Poiché siamo certi che l'Alfetta fosse in movimento, è verosimile che lo fosse anche la 130.
  Vediamo nel dettaglio le traiettorie dei colpi che hanno sicuramente attinto il maresciallo Leonardi. Ci ricordiamo che le ferite sono tutte sul suo lato destro. Abbiamo visto che certamente due colpi l'hanno attinto provenendo da sinistra e l'hanno attraversato. Non solo, ma i proiettili ritenuti all'interno del corpo del maresciallo sono della stessa arma che ha esploso i colpi che sono rimasti nell'intercapedine dello sportello anteriore destro, tutti esplosi comunque dalla parte sinistra.
  Non c’è alcuna possibilità, per l'assenza totale di impatti di proiettili provenienti dalla destra, che il maresciallo sia stato colpito da colpi esplosi da destra. Certamente si è mosso nell'immediatezza, probabilmente subito dopo il primo colpo esploso, che non ha colpito nessuno, anche se qui la posizione è del tutto aleatoria, come dicevo. I colpi l'hanno attinto tutti sul lato destro, ma con il maresciallo ruotato rispetto alla sua posizione originaria. Di nuovo, noi non abbiamo alcuna evidenza di colpi esplosi dalla destra, perché non abbiamo alcun impatto all'interno e all'esterno dell'autovettura. Abbiamo impatti provenienti da sinistra che hanno certamente attinto il maresciallo. Soltanto due colpi di fatto sono ritenuti nel suo corpo, perché gli altri due l'hanno attraversato senza superare gli indumenti. Questi due colpi sono certamente mortali. Uno ha colpito la testa ed è finito sul cuore e l'altro ha colpito altre parti vitali. Se questi due colpi ritenuti, gli unici che potremmo immaginare non provenienti dalla sinistra, l'avessero attinto all'inizio, non avrebbe neanche avuto la possibilità di muoversi successivamente.
  C’è da dire che tutti i colpi che hanno attinto l'autista non sono stati ritenuti, ma l'hanno attraversato. Molti di questi hanno colpito successivamente anche il maresciallo, che quindi era già girato.
  A questo punto, però, noi dobbiamo spiegare anche la presenza di bossoli sul lato destro, evidentemente. Noi abbiamo potuto ricostruire un'unica traiettoria di un colpo esploso dal lato destro. Si tratta di un colpo esploso con una delle armi corte, la 7,65, che ha attinto il capomacchina dell'Alfetta, Rivera, sulla spalla destra ed è rimasto trattenuto. Questa è l'unica traiettoria che noi siamo stati in grado di ricostruire.
  In realtà, più colpi sono stati esplosi dal lato destro del convoglio, di cui certamente due con la 7,65, all'indirizzo di Rivera, di cui uno è rimasto ritenuto e l'altro l'abbiamo trovato all'interno dell'Alfetta, molto probabilmente i due con la Smith & Wesson che hanno preso il sedile, che però non ha colpito il maresciallo Leonardi, e certamente i due esplosi dal collega Iozzino.
  Quindi, abbiamo già definito almeno sei bossoli, ma in realtà anche gli altri della 7,65 sono stati esplosi certamente dal lato destro. La guardia di Pubblica sicurezza Raffaele Iozzino è stato attinto, ricordiamo, da diciassette colpi, di cui sette trattenuti. I sette trattenuti sono stati Pag. 24esplosi probabilmente a una distanza maggiore. Forse sono quelli che sono stati esplosi nella prima fase, nel momento in cui è uscito dall'auto. Tutti gli altri l'hanno attraversato, quindi sono stati esplosi a distanza più breve.
  In buona sostanza, noi abbiamo ventidue bossoli e riusciamo a spiegare la provenienza di questi bossoli dai colpi esplosi su questo lato per almeno una quindicina di essi. Per gli altri dobbiamo tener conto anche dei movimenti del gruppo di fuoco, che si è mosso sulla scena del crimine anche con le autovetture, di chi è intervenuto sulla scena del crimine e anche di eventuali rimbalzi. La scena è molto affollata di oggetti. Se qualcuno esplode colpi, per esempio, da questa posizione, con l'espulsione a destra, uno o due bossoli possono avere avuto anche dei rimbalzi particolari.
  C’è da dire che noi abbiamo definito questa come seconda fase. Perché ? Perché esplodere dei colpi in concomitanza con le raffiche esplose dal lato sinistro e dal lato destro avrebbe messo certamente a rischio di vita chi li avesse esplosi. Se uno si posiziona in questo punto mentre gli altri sparano a raffica... Molti colpi hanno attraversato le autovetture e alcuni hanno attinto anche gli appartamenti di fronte. Chiunque avesse sparato in quella fase nello stesso momento, quindi, sarebbe certamente stato colpito, o comunque avrebbe corso un rischio enorme di essere colpito.
  Se i colpi fossero stati esplosi prima – abbiamo detto che le autovetture erano ancora in movimento; stiamo parlando di colpi esplosi con armi corte, di colpi singoli – avrebbero messo immediatamente in allarme la scorta, che avrebbe avuto modo di reagire in maniera più pesante. Noi escludiamo assolutamente che questi colpi possano essere stati esplosi all'inizio dell'agguato.
  A questo punto, vediamo le testimonianze e che cosa ci dicono. Ci sono undici testimonianze. Non ricordo i nomi, li abbiamo riportati nella relazione, ma tutti concordano sul fatto che siano stati sentiti prima colpi singoli e successivamente raffiche. Probabilmente i colpi singoli sono stati molti di più dei due o tre sentiti, ma, nel momento in cui sono iniziate le raffiche, diventava poi indistinguibile per il testimone se fossero singoli. Questo dato è coerente con i colpi singoli esplosi contro la 130.
  Il fatto che fossero in quattro a sparare, per noi, se non l'avessimo saputo dai testimoni, sarebbe stato un po’ difficile interpretarlo. Perché ? Intanto perché una delle armi ha esploso soltanto tre colpi. Una delle armi usate in quella che noi abbiamo definito come prima fase, ossia l'M12, ha esploso soltanto tre colpi. Poi evidentemente si è inceppata. Come abbiamo poi saputo dai memoriali, effettivamente si è inceppata. Non abbiamo evidenza di impatti riconducibili a quest'arma. Per noi, quindi, se non sapessimo nulla, i punti di fuoco principali sarebbero tre. Poiché un'arma ha esploso così pochi colpi, ciò non è in contraddizione con la presenza di quattro che abbiano esploso dei colpi in questa fase.
  È stata osservata la frantumazione del vetro anteriore sinistro della 130 utilizzando il calcio di uno dei mitra e poi il fatto che siano stati esplosi dei colpi successivamente. Anche questo particolare osservato noi non potremmo ricostruirlo. Non potremmo dire, cioè, se il finestrino fosse stato frantumato dai colpi esplosi o dal calcio dell'arma utilizzata. Tuttavia, possiamo certamente dire che dei colpi sono stati esplosi a breve distanza in maniera pressoché perpendicolare al piano del finestrino. Questo è coerente con la presenza di una persona che ha esploso colpi ravvicinati praticamente all'interno dell'autovettura.
  Della distribuzione dei bossoli abbiamo già parlato.
  In ultima analisi, passiamo alle osservazioni dei principali testimoni. L'immagine riportata nella quarantottesima slide è già stata riportata dalla dottoressa Tintisona. È l'osservazione del testimone Marini e di quello che avrebbe dovuto vedere in base alla nostra ricostruzione. Questo è quello che lui avrebbe dovuto vedere. Quello che lui riporta, però, non è del Pag. 25tutto coerente con i dati in nostro possesso. La presenza di un'altra persona che esplode dei colpi qui per noi non è compatibile.
  Questa nella slide seguente è l'osservazione di Pistolesi, che riporta dati coerenti con i nostri.
  Poi c’è l'osservazione del benzinaio Samperi, che poteva effettivamente vedere la 130 dalla posizione in cui stava e, quindi, poteva anche distinguere un movimento particolare come quello del sobbalzo della Fiat 130.
  La cinquantunesima slide riporta il punto di vista del civico 123 e degli appartamenti che sono stati attinti.
  Questo per noi è quanto. Per qualunque domanda siamo a disposizione.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FEDERICO FORNARO. Io ho solo una domanda. Qual è l'arma da cui risultano essere stati esplosi quarantanove colpi ?

  FEDERICO BOFFI. È quella che noi abbiamo ricatalogato come FNA 2, cioè quella che ha attinto l'Alfetta, in buona sostanza. Non so quale immagine farvi vedere. Diciamo questa qui. È l'arma utilizzata dall'elemento che era in questa posizione, che inizialmente era qui e poi si è spostato.

  GERO GRASSI. Io ho una mozione d'ordine. Poiché stasera abbiamo sentito quasi tre ore di relazioni, frutto di lunghi mesi di lavoro, noi gradiremmo avere qualche giorno per studiare la documentazione, in modo tale da porre domande non sulla base empirica, ma sulla base di quello che ci è stato riferito stasera. Io auspico, quindi, che il dibattito si faccia postumo fra dieci giorni o una settimana. Dedichiamo una seduta, se basta...

  PRESIDENTE. Io non userei il termine «postumo» perché non amo la necrofilia, ma, se lei ritiene, possiamo anche dire «postumo».

  GERO GRASSI. Io dico «postumo». Poiché mi sforzo di giungere alla verità, dico «postumo». Presidente, credo che questo sia più un problema di superstizione sua. Comunque io al posto suo farei la stessa cosa.

  PRESIDENTE. Io non sono superstizioso.
  Tengo presente quello che ha detto, ma c’è un solo modo per farlo. Se non ci sono altre domande, aggiorniamo. Se ci sono domande, si va avanti. Poiché comunque non finiremo, avremo modo di aggiornarci, tenendo presente, però, che potremo farlo con la scientifica, ma che, per motivi legali, non potremo farlo con la dottoressa Tintisona, la quale, come credo avrete notato, rientra nel periodo che prevede l'astensione obbligatoria.

  GERO GRASSI. È un metodo che non funziona.
  È in linea con le relazioni fatte sinora questo metodo da me proposto, presidente, mi dispiace.

  PRESIDENTE. L'astensione obbligatoria è una legge dello Stato che prevede che prima del parto ci si debba astenere dalla prestazione del lavoro. Come lo devo dire ? Lo dico in termini corretti..

  GERO GRASSI. Ho capito.

  MIGUEL GOTOR. Vi ringrazio molto per questo sforzo e per questo contributo di intelligenza. Io non ho una domanda, ma cercavo una conferma, perché ero appena arrivato. Tornando nella proiezione alla questione Marini...

  FEDERICO BOFFI. Scusi, la domanda a chi è rivolta ?

  MIGUEL GOTOR. Forse alla dottoressa Tintisona. Ripeto, non è una domanda, ma la richiesta di una conferma.

  PRESIDENTE. Se è sulla parte riguardante Marini, dobbiamo passare in seduta segreta.
  Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso nonché della trasmissione sulla web Tv della Camera.

Pag. 26

  (La Commissione prosegue in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica)(*)

  PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e della trasmissione sulla web Tv della Camera.

  MIGUEL GOTOR. Ho un'ultima domanda, cui potrete rispondere anche in altro momento. L'arma che ha sparato la maggioranza dei colpi, secondo la perizia...

  FEDERICO BOFFI. Tutte e due dicono la stessa cosa, ossia che c’è un'arma che ha esploso quarantanove colpi.

  MIGUEL GOTOR. Di questo io avevo un diverso ricordo. Ricordavo che Ugolini fosse più minimalista. Comunque va benissimo. L'arma che entrambe le perizie concordano abbia sparato la stragrande maggioranza dei colpi è stata mai trovata o no ? Io questo non lo ricordo, ma sarebbe interessante.

  FEDERICO BOFFI. No. È quella non in sequestro.

  MIGUEL GOTOR. Quindi, l'arma più importante, quella determinante e decisiva per l'evento omicidiario, a tutt'oggi non c’è. Grazie.

  FEDERICO BOFFI. Sono state tutte determinanti, più o meno.

  MIGUEL GOTOR. No, no, adesso...

  FEDERICO BOFFI. Ho capito che cosa intendeva dire.

  MIGUEL GOTOR. Il lato quasi divertente di questa vicenda – quasi divertente – è che, ascoltando le testimonianze dei protagonisti sparatori, si nota che sono loro stessi, nelle memorie che hanno scritto nei decenni successivi o nelle deposizioni che hanno fornito alla magistratura, che testimoniano, quasi come se fosse un discarico di coscienza, che le armi che avevano in pugno non funzionavano, che si sono inceppate, che le hanno dovute cambiare.
  Se uno mette in fila queste testimonianze, le testimonianze del gruppo di fuoco, alla fine della lettura, dice: «Benissimo. Allora chi ha sparato a via Fani ?»
  Emerge poi il fatto che un'arma, secondo le due perizie, come lei mi riferisce, ha sparato quarantanove colpi, ossia una grandissima percentuale dei proiettili. Io mi permetto di definirla, dunque, determinante e, di conseguenza, registro che a tutt'oggi, come lei mi sta confermando, manca. Questo è un dato interessante e rilevante, direi.

  FEDERICO FORNARO. Chiedo di passare in seduta segreta. Vorrei fare una domanda alla dottoressa Tintisona.

  PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso nonché della trasmissione sulla web Tv della Camera.

  (La Commissione prosegue in seduta segreta)(*).

  FEDERICO FORNARO. Ha risposto il presidente, ma vorrei avere una conferma. Rispetto al lavoro che lei ha fatto, sostanzialmente di verifica di alcune affermazioni, in alcuni casi lei ha puntualizzato la fonte, in particolare il libro di D'Adamo, ma non altre fonti.
  Cito un caso concreto, che riguarda il tema dell'Alfasud: non è D'Adamo il primo a rilevare questa cosa, perché nel libro di Bianco e Castronuovo Via Fani ore 9.02 ci sono cinque pagine interamente dedicate al tema. C’è un punto che io chiederei – non so in che modo – di approfondire, poiché c’è una discordanza...

(*) Su conforme avviso dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella seduta del 17 giugno 2015 la Commissione, visti gli articoli 12 e 13 del Regolamento interno, ha convenuto la desecretazione della seguente parte segreta del resoconto stenografico dell'audizione.

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  PRESIDENTE. Perché in segreta questa parte ? Questa è la parte pubblica.

  FEDERICO FORNARO. La parte pubblica era relativa a Marini...

  FABIO LAVAGNO. La parte segreta era Marini.

  FEDERICO FORNARO. Allora può essere in seduta pubblica. Chiedo scusa, ho confuso.

  PRESIDENTE. Riprendiamo in seduta pubblica.
  (La Commissione riprende in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e della trasmissione sulla web Tv della Camera.

  FEDERICO FORNARO. Prima c’è un problema metodologico. Nel lavoro c’è una verifica di affermazioni contenute in libri, sostanzialmente. Per alcuni è citata la fonte con rilievo di pagina e per altri no. Ci ritornerò.
  In particolare, con riferimento all'Alfasud, come dicevo, D'Adamo non è il primo che cita l'Alfasud. La citano anche Bianco e Castronuovo nel libro Via Fani ore 9.02, anno di pubblicazione 2010, in cui c’è un aspetto un po’ difforme anche dalle dichiarazioni. I testimoni che vengono citati da Bianco e Castronuovo riportano, infatti, un arrivo dell'Alfasud, se non proprio qualche istante dopo, qualche minuto dopo, prima dell'arrivo della volante. Nella ricostruzione che viene fatta attraverso le vostre escussioni si dice esattamente l'opposto e soprattutto qui sono citati quindici minuti come tempo di arrivo dalla questura.
  Questa mi sembra una divergenza piuttosto significativa tra l'escussione del teste e quello che rileverebbero i testimoni. Ovviamente, si tratterebbe di andare a fare un lavoro, non fidandomi della fonte. È un lavoro che, se potesse essere fatto... Occorrerebbe, cioè, andare a rileggere le testimonianze e controllare questo, perché ciò cambierebbe molto. Se l'Alfetta è partita, nella ricostruzione, è un conto. Se era già in zona, evidentemente la questione sta in altri termini.
  Passo alla seconda questione. Il tema è: o citiamo sempre le fonti o non le citiamo mai. Per esempio, lei fa un'analisi molto dettagliata e una verifica rispetto al tema dei bossoli (colore dei bossoli, anno di produzione e via elencando) relativa alla questione della Fiocchi, con il banco di prova. Questa è una delle tesi fondamentali di un altro libro appena uscito, che però non viene citato. Dovremmo capirci.

  PRESIDENTE. No, altrimenti qui sembra che facciamo... Noi siamo una Commissione d'inchiesta, non i gestori di una biblioteca.

  FEDERICO FORNARO. O si cita sempre o non si cita mai.

  PRESIDENTE. Io, però, a differenza di lei, non ho letto quei libri e non mi sfiora l'idea di leggerli. Sulla Fiocchi e tutto il resto per noi fa testo quello che dibattete voi in questa sala. Quando è uscito fuori il dibattito, per essere chiari... Il libro viene citato perché taluni in Commissione hanno portato le foto e hanno detto che a pagina X c’è questo. Prendete i vostri verbali.
  Il fatto dei bossoli è stato citato non perché c’è un libro che ha citato i bossoli, ma perché è nato un dibattito e gli accertamenti, come ha detto la dottoressa Tintisona, non sono finiti. Se voi leggete le relazioni agli atti, vedete che c’è chi ha chiesto di fare ulteriori accertamenti nati dal rilievo su quei bossoli di un colore particolare e della mancanza di una data...

  FEDERICO FORNARO. Scusi, presidente, ma non capisco il suo tono polemico.

  PRESIDENTE. Non è polemico. È una constatazione.

Pag. 28

  FEDERICO FORNARO. Io ho fatto semplicemente un'osservazione e chiedevo una linea metodologica. Glielo segnalo io. C’è un libro di Stefania Limiti che individua nel tema dei proiettili una delle questioni esattamente nei termini definiti dalla relazione. Lo segnalo, a questo punto, perché, se si fa lo stesso lavoro su D'Adamo... Io non conosco, per essere chiari, né la Limiti, né D'Adamo. Ho semplicemente letto...
  Il problema è che lei ha appena finito di dire che tutte queste cose verranno poi inviate a chi di dovere. O le inviamo tutte, o non ne inviamo nessuna.

  PRESIDENTE. A chi di dovere non verrà inviata la copia del libro, ma verranno inviati gli atti della nostra relazione, perché è bene che la procura ne abbia atto. Ciò che fa testo è ciò che chiedete voi.
  Poiché io non ho l'attitudine a leggere i libri, a meno che non mi invitino a presentarli, vi faccio presente – forse siamo presenti un po’ a macchia di leopardo – che la constatazione della verità non è mai polemica. È la constatazione dei fatti.
  Noi siamo andati avanti su un appunto «segretissimo» – lo rammento a voi – che era in due versioni, relativo all'evidenziazione della presenza di proiettili con una colorazione particolare e di proiettili che non avevano alcune caratteristiche rispetto ad altri, partendo da fatti esposti da coloro che sono venuti a riferire in Commissione e dai documenti delle precedenti Commissioni. A quelli abbiamo cercato di fornire una risposta. Poiché un magistrato consulente di questa Commissione ha fatto anche una serie di altri quesiti, in base a quei quesiti adesso si faranno ulteriori accertamenti su quei proiettili.
  Se studiosi privati hanno deciso di approfondire e di sostenere una tesi o un'altra... Scusatemi, ma vediamo tra di noi di mantenere almeno un minimo di rispetto reciproco del lavoro che viene fatto. Qui non si tratta di condividere o meno i contenuti di un libro. Gli unici libri sono stati citati da chi ha sostenuto di voler sapere una cosa perché l'ha letta lì. A quel punto si assume la responsabilità del libro che ha citato e della cosa che ha detto e, quando arriva la risposta, si tiene la risposta.
  Non c’è un libro che ha parlato dei proiettili. Ci sono decine di pagine scritte dai nostri consulenti su questi proiettili. Ci sono anche pagine di dichiarazioni, quando noi abbiamo sentito una serie di magistrati che di quei proiettili avevano parlato. Questo è. Se poi ci sono altri che hanno studiato il fatto, hanno fatto bene a studiarlo. Lo scenario di via Fani – non è polemica, è solo per ricordarlo a noi stessi – ha visto un nostro dibattito e una serie di domande poste a Infelisi, a Ionta, a Imposimato, a una serie di personaggi che abbiamo chiamato e a cui noi abbiamo chiesto perché ci fosse questa o quest'altra macchina. Abbiamo riportato tesi che erano state formulate. Chi ha fatto gli accertamenti ha preso quello che noi abbiamo detto e l'ha verificato.
  Noi non abbiamo fatto cento libri. Noi prendiamo atto di quello che chiedete voi e di quello che ci dicono i testimoni. Chi scrive libri si assume la responsabilità di quello che scrive e delle prove che cita. Tuttavia, se noi facciamo degli accertamenti, poi abbiamo il dovere – non il piacere, ma il dovere – di comunicare alla procura della Repubblica quello che abbiamo trovato e la procura della Repubblica poi farà il suo mestiere. A noi non spetta dire se ciò che viene scritto sia vero o falso. Ci spetta riferire alla procura della Repubblica. Poi chi fa il magistrato deciderà che cosa fare.
  D'altronde, se voi ricordate – lo dico solo per memoria – quando noi abbiamo audito il pubblico ministero Imposimato, nonostante le pressioni di notevoli (in termini di quantità) membri di questa Commissione che volevano fare domande, abbiamo dovuto prendere atto che quelle domande non si potevano fare. Lo dico solo per precisare.
  Adesso, da qui in poi, se noi andiamo a scoprire tutti quelli che hanno scritto libri, ne troveremo tanti. I libri fanno testo solo se oggi – mi scuserà il senatore Cucca Pag. 29– il senatore Cucca si alza in piedi e dice: «Io ho qui la foto pubblicata a pagina 127 del libro pubblicato da Fioroni che dice che c’è questo signore». È chiaro che poi, preso a verbale, esce fuori che viene fatto l'accertamento. Quando si risponde a Cucca, si risponde a Cucca e a quello che ha scritto, di cui Cucca è la fonte. Se Cucca pone la domanda senza dire chi è la fonte, il problema non si pone.
  Noi non facciamo un accertamento sui testi dei libri. Noi facciamo un accertamento sulle cose che chiediamo e sulle audizioni che abbiamo fatto. Io vorrei che questo fosse chiaro, altrimenti si apre un dibattito infinito. In ogni indagine che noi facciamo funziona così, altrimenti non sarebbe corretto per i colleghi che vengono e che pongono le domande, a cui poi nessuno risponde. Le domande vengono fatte. Chi lavora – gratuitamente – per la Commissione prende quelle domande, ci studia sopra e ci lavora, ma non fa un'indagine sul libro (mi spiego ?) o non cita i libri.
  Per quanto riguarda i bossoli, io non sapevo neanche che esistesse un libro che parla dei bossoli. Esistono alcuni dibattiti fatti in Commissione che nascono da due appunti che noi abbiamo chiamato «segretissimo 1» e «segretissimo 2». Io questo vorrei che lo ricordassimo. Ci sono agli atti della nostra Commissione relazioni e relazioni di consulenti, tant’è vero che questo accertamento per alcuni consulenti necessita ancora di ulteriore approfondimento. Noi faremo gli ulteriori approfondimenti, ma non perché ci sia un libro che ne ha parlato.
  Non era polemica, la mia. Intendevo solo evitare che qui facessimo un dibattito infinito. Quando noi parliamo, essendo una Commissione d'inchiesta, chiunque dice una cosa, pone una domanda e cita una fonte, si assume la responsabilità di avere la risposta, che è una risposta anche alla fonte che ha citato. Funziona così, non è un optional per me far rispettare questa regola. Funziona così.
  Senatore Fornaro, non so se sono stato chiaro. Questo è per spiegarci. Quando audiremo i vari soggetti sui libri...
  Per esempio, anche su ciò che riguarda la moto Honda mi sembrava di essere stato chiaro. Essendoci un'indagine in atto con avocazione, noi abbiamo trasmesso tutto quello che abbiamo fatto e quello che ancora ci arriverà. Noi ne discutiamo e approfondiamo, ma trasmettiamo tutto alla procura perché c’è un fascicolo aperto. Questo per essere chiari. Non lo facciamo perché c’è un libro o un altro, ma perché i membri della Commissione, che sono gli unici titolati, hanno posto delle domande su quelle questioni.
  Lo dico per capirci tra noi. Dopodiché anche all'onorevole Grassi, che adesso è rientrato, riferisco che io sono ben lieto di poter continuare il dibattito ed approfondire. Ho dovuto solo spiegare che, se le domande sono rivolte alla polizia scientifica o al dottor Giannini, noi possiamo affrontarle e avere l'interlocuzione. Se le domande riguardano, invece, la dottoressa Tintisona – mi dispiace di violare la privacy – che non dovrebbe esserci, perché è in astensione obbligatoria per maternità, no. Non credo che si possa fare una violazione dell'astensione obbligatoria. Era solo per questo.
  Tutte le domande le potremo fare agli altri, anzi, credo che dovremmo ringraziare la dottoressa Tintisona, che tra mezz'ora inizierà l'astensione obbligatoria.
  Dico questo per precisione di tutti noi, perché altrimenti alla fine ci accapigliamo uno con l'altro, da fan delle nostre idee, e non mettiamo neanche il minimo di rispetto umano.

  FABIO LAVAGNO. Credo che dobbiamo andare in segreta per un attimo.

  PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso nonché della trasmissione sulla web Tv della Camera.
  (La Commissione prosegue in seduta segreta)(*).

  (*) Su conforme avviso dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, nella seduta del 17 giugno 2015 la Commissione, visti gli articoli 12 e 13 del Regolamento interno, ha convenuto la desecretazione della seguente parte segreta del resoconto stenografico dell'audizione.

Pag. 30

  GERO GRASSI. Allora abbiamo deciso che...

  PRESIDENTE. Abbiamo deciso che chi vuole parlare stasera, parla stasera. Onorevole Grassi, mi sembra di essere chiaro, ma provo a ripeterlo con delicatezza. Noi possiamo fare altri approfondimenti. Coloro che possono approfondire sono tutti meno la dottoressa Tintisona.

  GERO GRASSI. Presidente, questo lo abbiamo capito. Vogliamo la certezza che il dibattito si faccia stasera o si faccia in seguito. Se si fa in seguito, noi studiamo la documentazione. Questo è tutto. Credo che sia legittimo.

  PRESIDENTE. Ma non c’è problema. Se l'onorevole Lavagno vuole fare la domanda pure stasera...

  GERO GRASSI. Questo non c'entra nulla con l'astensione obbligatoria della dottoressa Tintisona, che nessuno mette in discussione.

  PRESIDENTE. Scusi, onorevole Grassi, siccome lei vuole studiare le carte e siccome per due ore la relazione l'ha fatta la dottoressa Tintisona, le dico che, qualora lei volesse farle domande, la dottoressa Tintisona dalla prossima volta non ci sarà. Mi sembra di essere chiaro. Comunque, ci sarà un'altra seduta in cui...
  Onorevole Grassi, le do un consiglio: se ha qualche domanda per la dottoressa Tintisona, se la fa stasera è meglio. Tutte le altre cose le potrà chiedere la prossima volta, poiché tutti gli altri saranno presenti alla prossima convocazione.

  FABIO LAVAGNO. Presidente, capisco anche quanto dice l'onorevole Grassi, che ha un fondamento di verità. Tuttavia, credo dobbiamo dare seguito anche alla discussione fatta questa sera.
  Molto brevemente, ho chiesto di andare in segreta perché la domanda riguarda implicitamente Marini e la moto Honda. Quindi, mi permetto di farla nonostante lei mi dirà che mandiamo tutto alla procura.
  Attestato, dalla relazione della Polizia scientifica, che i colpi provengono da un lato, ovverosia quello sinistro rispetto alle auto, rispetto alla ricostruzione fatta, rispetto alla relazione segreta della dottoressa Tintisona relativa al teste Marini, – e mi assumo la responsabilità di quello che dico –, rivolgo una domanda in particolare al responsabile della scientifica. Una grande assente della teoria rispetto a via Fani e ad alcune testimonianze, per quanto molto contraddittorie, è la moto Honda. Quindi, chiedo: è assente ed è verosimile che vi possa essere con quelle traiettorie che voi avete verificato ?
  Inoltre, quale tipo di arma ipotizzate abbia sparato i quaranta e oltre colpi ?
  Infine, rivolgo un ultimo quesito alla dottoressa Tintisona, di natura metodologica: alla pagina 3 della relazione si dice che è stata acquisita copia della perizia balistica da un giornalista anziché da una sede preposta.

  PRESIDENTE. Credo che possiamo ritornare in seduta pubblica, perché l'onorevole Lavagno non ha posto domande su Marini ma sulla moto Honda.
  Riprendiamo in seduta pubblica.
  (La Commissione prosegue in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e della trasmissione sulla web Tv della Camera.
  Riassumo: l'onorevole Lavagno ha posto domande sulla moto Honda. Io, per quanto mi riguarda, dovendo garantire la correttezza sostanziale, ricordo che non abbiamo posto alla scientifica il tema della moto Honda, perché è oggetto di indagine della procura. Questo non toglie che il dottor Boffi un'opinione personale, se intende, la può fornire.

  FABIO LAVAGNO. Riformulo, per chiarezza, la domanda: la moto Honda è compatibile rispetto ai rilievi fatti dalla scientifica ?

Pag. 31

  PRESIDENTE. Ricordiamoci che la moto Honda è una verità processualmente accertata con sentenza definitiva passata in giudicato.

  FEDERICO BOFFI. Se posso rispondere, chiaramente noi abbiamo messo tutto ciò di cui abbiamo evidenza. La moto può essere passata, ma non ha lasciato per noi tracce evidenti. Per noi, per la ricostruzione della dinamica, è impossibile posizionare questa motocicletta. Rispetto alle traiettorie che abbiamo determinato non c’è alcuna traiettoria che potrebbe essere compatibile con dei colpi esplosi veicolo in movimento rispetto alle posizioni che abbiamo già identificato.
  Voglio aggiungere una piccola cosa in risposta ad un'osservazione che è stata formulata. Il fatto che quest'arma abbia esploso quarantanove colpi non significa che sia la più importante. Di fatto noi abbiamo certezza che l'arma che ha esploso quarantanove colpi ha certamente colpito la guardia di Pubblica sicurezza Raffaele Iozzino, ma non abbiamo alcuna altra evidenza.
  Per esempio, l'arma che ha esploso meno colpi ha certamente colpito e ucciso i due occupanti della 130, così come le due armi che hanno esploso i proiettili che hanno determinato queste traiettorie hanno colpito anch'esse gli altri due occupanti dell'Alfetta.
  In realtà, quindi, è vero che è un'arma che ha esploso molti colpi, ma, paradossalmente, è anche la meno efficace di tutto il gruppo. Volevo dire questo.

  FABIO LAVAGNO. Questo è corretto. Faccio solo un'interlocuzione. C’è chi sostiene che questa sia un'arma che viene identificata come FNA 43.

  FEDERICO BOFFI. Sì, noi facciamo riferimento alle perizie precedenti. Potrebbe essere una FNA.

  FABIO LAVAGNO. Per voi è compatibile.

  FEDERICO BOFFI. Io non ho fatto gli accertamenti balistici, ragion per cui faccio riferimento a quanto riportato.

  LAURA TINTISONA. Con riferimento alla perizia che è stata consegnata, io, in accordo con la Commissione, sono stata contattata dal giornalista che mi ha consegnato questo atto, che tra altro è un atto pubblico. Pertanto, l'ho acquisito formalmente e l'ho messo nella disponibilità della Commissione.
  Peraltro, copia di questa perizia l'abbiamo acquisita anche direttamente in Corte d'assise ed è nella disponibilità della Commissione in formato sia cartaceo, sia digitale. Era un atto che mi sembrava utile. Erano proprio i primi giorni. Non sapevo ancora che cosa ci fosse nella disponibilità della Commissione, ragion per cui l'ho formalmente acquisito.

  MIGUEL GOTOR. Interloquisco su due aspetti, ma lo faccio con uno spirito di confronto. I protagonisti dell'evento, Gallinari e Bonisoli, ci hanno detto che riuscirono a utilizzare soltanto le pistole di scorta, non quelle «ufficiali» che avevano pensato di utilizzare.
  Morucci ci dice che sostituì il caricatore del mitra: «Avendo impiegato del tempo per disinceppare l'arma, esplodo una seconda raffica quando la macchina era già ferma».
  Anche Fiore è costretto, ci dice, a cambiare il caricatore e non spara alcun colpo, perché l'arma si blocca una seconda volta.
  Sottolineo questo aspetto perché sulla vicenda di via Fani si è costruita una mitologia che è molto interessante e che ha un'origine, un nome e un ideologo, Franco Piperno, il quale parlò di «geometrica potenza di fuoco».
  Rispetto a questa mitologia c’è stato un sotterraneo dibattito fra Franco Piperno, l'ideologo di via Fani come momento di alta geometrica potenza di fuoco, e Moretti. Moretti ha sempre parlato, invece, quando ha dovuto testimoniare della sua esperienza – Moretti era lì – di una capacità e precisione militare molto approssimativa; secondo le sue parole, «con una preparazione che avrebbe fatto ridere un caporale di qualsiasi esercito». Aggiunge sempre Moretti di essere convinto Pag. 32che neppure Bonisoli sappia «come ha fatto a sparare con tanta precisione» verso Iozzino.
  Un altro brigatista, che non era presente, a quanto sappiamo, Alfredo Bonavita, dice: «A via Fani, in soldoni, avevamo quattro armi scassate e quattro persone, di cui qualcuno se la faceva pure sotto».
  La perizia ci dice che l'armamento utilizzato dai brigatisti era composto da residuati bellici. Questa notizia è confermata anche da Moretti, il quale ha parlato di un mitra «Zerbino, un residuato della Repubblica di Salò, ereditato da qualche partigiano» e ha dichiarato che l'unica arma moderna ed efficiente in mano agli assalitori era il mitra M12 in dotazione di Fiore, che però non ha sparato, perché si inceppa.
  Il punto è che i brigatisti, a quanto ci dicono, avrebbero preventivato di utilizzare soltanto quattro uomini, per loro stessa ammissione, non particolarmente addestrati e male armati per bloccare e uccidere cinque agenti delle Forze dell'ordine in movimento dotati di pistola e di mitra di ordinanza, di cui non potevano conoscere il grado di preparazione e neppure il grado di allerta.
  Il tutto potevano farlo, peraltro, contando su un effetto sorpresa che, di per sé, è un effetto imponderabile – tu puoi sperare che ci sia un effetto sorpresa, ma poi, nel momento della sorpresa, puoi anche scoprire che gli altri sono, invece, preparatissimi e allertati alla reazione – e con la necessità, e questo poi è il punto, di raggiungere un obiettivo direi quasi militare, in modo selettivo, cioè di fare fuori cinque agenti e militari armati e salvare e lasciare intonso il sesto, che stava loro accanto.
  Io vedo, ma non sono un esperto di queste cose dal punto di vista tecnico, ossia militare e balistico, un eccesso di contraddizione tra le mitologie e le ideologie che all'interno del partito armato sono state sollevate per interpretare quest'azione militare, gli effettivi reperti, la qualità delle armi utilizzate, le testimonianze degli stessi protagonisti, i quali dicono di aver avuto problemi nel dispiegare la loro azione, e poi effettivamente un'operazione che io credo, pur non essendo un esperto, fosse di una qualche efficacia, di una qualche difficoltà, tant’è che stupì l'intero mondo per questa sua qualità d'azione. Si tratta di precisione.
  Aggiungo un'ultima questione. È una considerazione che vi offro. Sul tema della moto Honda ha detto giustamente il presidente Fioroni che c’è una sentenza passata in giudicato. Noi possiamo anche metterci a ridiscutere le sentenze passate in giudicato, ma, a quel punto, il nostro lavoro diventa veramente scalare una montagna.
  Una sentenza passata in giudicato ha ritenuto che la moto Honda fosse un fatto, un ente, presente nello scenario del delitto. Io a memoria posso ricordare che ci sono almeno tre o quattro testimoni oculari, che pure valgono nel peso di una ricostruzione della realtà...

  PRESIDENTE. Ci sono anche nelle nostre relazioni testimoni che hanno confermato la presenza.

  MIGUEL GOTOR. Certo, inevitabilmente. Vanno a memoria. Uno è Intrevado, ma non è che...

  PRESIDENTE. Ci sono anche quelli aggiuntivi che non erano stati ascoltati e che abbiamo ascoltato noi, come la ragazza alla pari del giornalista De Chiara. Dico questo per ricordarci.

  MIGUEL GOTOR. A maggior ragione.

  PRESIDENTE. La domanda di Lavagno non era se ci fosse o non ci fosse, ma se ci sia traccia di dove ha sparato. È una cosa diversa.

  MIGUEL GOTOR. Posto che siamo certi con verità giudiziaria, per una serie di testimoni oculari, anche aggiuntivi, come lei giustamente ricorda, che la moto Honda lì c'era, dov’è il problema che si incrina ? C’è qualcosa che noi stiamo, secondo me, scoprendo questa sera.
  Forse devo passare in seduta segreta.

Pag. 33

  PRESIDENTE. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso nonché della trasmissione sulla web Tv della Camera.
  (La Commissione prosegue in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso e della trasmissione sulla web Tv della Camera.

  FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Mi inserisco sulla scorta delle considerazioni e delle domande che faceva il collega Gotor per una puntualizzazione ulteriore e – spero – definitiva a proposito della vicenda della moto Honda.
  Al di là del parabrezza, che abbiamo chiarito grazie alla foto essere un elemento importante, io vorrei sapere se nelle vicende relative alla ricostruzione delle dinamiche e dei bossoli ritrovati, su cui sono state fatte le valutazioni, si possa comunque evincere la possibilità che siano stati sparati dei colpi dalla moto.

  FEDERICO BOFFI. No. Consideri che tutte le armi utilizzate hanno espulsioni verso destra. Se la moto, come sembra, anzi come è, si muoveva in direzione di via Stresa venendo da via del Forte Trionfale, l'espulsione dei bossoli a destra li avrebbe dovuti mandare verso le autovetture ferme, se dalla moto avessero sparato in direzione di Marini.
  In realtà, abbiamo visto come i bossoli sono distribuiti. Appartengono a queste sei armi. Innanzitutto, se un'arma è stata utilizzata sulla moto, doveva essere una di queste sei, perché non ci sono bossoli estranei e comunque la distribuzione di questi bossoli è compatibile con queste posizioni.

  FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Benissimo, è chiaro. L'altra domanda che volevo fare riguarda la posizione... Quella che vediamo è la ricostruzione, come possiamo immaginare, della fase 1.

  FEDERICO BOFFI. No, in realtà no. Questa è la fase 1. La fase 1 inizia così e finisce così.

  FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. La fase 2 prevede anche la possibilità che qualcuno abbia sparato anche dal lato destro.

  FEDERICO BOFFI. Certamente. C’è la certezza di questo.

  FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Non c’è un'immagine ?

  FEDERICO BOFFI. Sì, si tratta dell'unica traiettoria che abbiamo ricostruito, dell'unica che è stato possibile ricostruire.

  FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Vorrei capire, a proposito dei componenti del gruppo di fuoco...

  FEDERICO BOFFI. Mi scusi, ma i colpi esplosi a destra sono più di uno. Questa è l'unica traiettoria che noi abbiamo potuto ricostruire.

  FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Quanti sarebbero gli sparatori e sarebbero gli stessi appartenenti ai quattro o ai tre ? Se non sbaglio, lei ha detto che, se non ci fossero state le testimonianze, sarebbe propenso a immaginare che gli sparatori fossero tre e non quattro.

  FEDERICO BOFFI. Sì. Mi riferivo alle posizioni di sparo della prima fase. Un'arma ha certamente esploso colpi sia da sinistra, sia da destra. È la Smith & Wesson. Un'arma ha esploso colpi soltanto a destra, la 7,65. Un'arma, un FNA, quella che ha esploso i quarantanove colpi, probabilmente ha esploso colpi sia a destra, sia a sinistra. Le altre le abbiamo elencate. Chi avesse in mano queste armi...

  FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Potrebbero essere anche più di quattro ?

  FEDERICO BOFFI. Io non lo so.

Pag. 34

  FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. È una valutazione che le chiedo.

  FEDERICO BOFFI. Questo non lo posso dire. Non lo possiamo dire da questa ricostruzione.

  ALFREDO BAZOLI. A me pare che una delle questioni interessanti che sono emerse stasera, oltre alla vicenda Marini, riguardi – torno sul tema che ha sollevato Gotor – il famoso sparatore che ha sparato quarantanove bossoli. In una ricostruzione piuttosto accreditata costui viene considerato come uno sparatore professionista, quello che di fatto avrebbe contribuito molto più di altri alla buona riuscita dell'attentato e su cui, quindi, si sono ipotizzate anche identità particolari. C’è una grande letteratura su questo aspetto.
  Poiché mi è parso di capire, invece – in parte lei ha già risposto – che dai vostri accertamenti voi avete potuto appurare chi effettivamente colui che ha sparato quei quarantanove colpi abbia attinto, ossia quali vittime sia riuscito a colpire, io volevo che ci fosse maggiore chiarezza sul punto. Siamo in grado di capire di quei quarantanove colpi quanti sono andati a segno e, in particolare, chi hanno colpito ? Questo potrebbe forse aiutare, su questa vicenda, che è particolarmente rilevante nella ricostruzione, a ridimensionare alcune questioni sulle quali è stata fatta una grande letteratura.

  FEDERICO BOFFI. Fermo restando che le comparazioni balistiche sono quelle relative alle perizie precedenti – non le abbiamo fatte noi e, quindi, le prendiamo come buone – e che le posizioni dei bossoli, come abbiamo detto, sono molto significative per i gruppi numerosi di bossoli e un po’ meno significative per i bossoli singoli, fermi restando dunque questi aspetti, dall'analisi delle traiettorie, tenendo conto di queste informazioni, si evince che chi ha esploso i quarantanove bossoli ha colpito soltanto uno degli elementi della scorta.
  In più, l'ha attinto certamente con sei colpi – sono sei i colpi ritenuti, ma probabilmente in tutto sono molti di più – dei quarantanove esplosi e ha dovuto esploderne successivamente, dopo che l'agente Iozzino si era mosso. Non ha neanche avuto la possibilità di ucciderlo nell'immediatezza, tanto per intenderci.
  Cosa osserviamo sugli altri che hanno esploso meno colpi, invece ? Osserviamo che, pur esplodendo meno colpi, sono stati più efficaci. C’è poco da fare. Questa è una considerazione forse anche molto semplicistica, ma è un dato di fatto.
  La selettività ce la conferma il fatto che sulla 130 i colpi, almeno inizialmente, siano stati esplosi a colpo singolo, proprio per evitare errori e per evitare di colpire il passeggero. Questo è coerente con le testimonianze e anche con la distribuzione delle traiettorie differente rispetto a quelle sull'Alfetta.
  Dire esattamente quanti colpi abbiano attinto chi e cosa non lo possiamo fare, perché quasi tutti i colpi sono passanti. Diciamo che dalle traiettorie i colpi che hanno attinto l'autista dell'Alfetta sono compatibili con un'altra posizione, che non era quella della FNA, ma era piuttosto quella del TZ45 e della Smith & Wesson. Il passeggero Rivera era ancora vivo, peraltro, all'arrivo delle prime persone dopo l'attentato. Non era neanche stato ucciso sul colpo ed è stato attinto anche dalla 7,65, dal lato destro.
  Non so se ho risposto.

  GERO GRASSI. Faccio una premessa. Io ho grande rispetto per tutti coloro che lavorano. Nel mio ruolo il porre dubbi, il formulare domande e l'evidenziare anomalie non significa mettere in discussione la bontà e la buona fede di chi ha lavorato. Se fosse così, io non potrei porre domande. Trentasette anni ci hanno insegnato, però, che noi non abbiamo oggi la verità. Ci sono state decine di magistrati e centinaia di uomini delle forze dell'ordine che hanno indagato su questa vicenda.
  Vi dico un'altra cosa ancora. La versione che ci viene prospettata stasera non è identica a quelle prospettateci nei trentasette anni, perché ci sono alcuni elementi che si discostano, per alcuni versi. Pag. 35Ovviamente, la relazione di stasera e i grafici ci inducono, seppure sulla base di elementi di riflessione molto ridotti nello spazio ed elaborati mentre vi si ascoltava, ad alcune riflessioni, che io faccio per flash.
  Parto da una considerazione positiva, molto positiva. Stasera è la prima volta che io sento parlare scientificamente del bar Olivetti. È la prima volta, perché il bar Olivetti...

  PRESIDENTE. Dobbiamo proseguire in seduta segreta.

  GERO GRASSI. No, non parlo del bar Olivetti. Sto parlando del bar Olivetti, ma... Il fatto che stasera per la prima volta si sia parlato in quei termini del bar Olivetti, avendo io fatto una ricerca da artigiano della materia...
  Per favore, onorevole Piepoli, non mi disturbi. Se deve parlarmi dietro, credo che non sia corretto. Se mi deve fare il rimbombo, non è corretto.

  PRESIDENTE. Onorevole Piepoli, lasciamolo parlare senza disturbare.

  GERO GRASSI. Io non interrompo mai e, quando l'ho fatto con la dottoressa Tintisona, ho chiesto scusa.
  Quanto al fatto di aver parlato in quei termini del bar Olivetti, io, che ho fatto un'indagine artigiana, so che nei due milioni di pagine del caso Moro – non parlo dei libri, ma degli atti della magistratura e delle Commissioni d'inchiesta – il bar Olivetti è sempre stato citato perché era un luogo fisico vicino al quale c'erano alcuni che avevano sparato.
  Stasera, per la prima volta, sento cose, che non commento ovviamente, che sono di grande difformità rispetto al passato. Questa situazione rafforza quello che ho detto in premessa, cioè che noi dobbiamo sforzarci sempre di arrivare alla verità.
  Quali sono i punti di debolezza, per me ? Nei due milioni di pagine del caso Moro, da un determinato anno in poi, viene sancito che si è sparato da ambo i lati e stasera si è parlato dell'ubicazione delle quattro persone che – attenzione – sono la versione brigatista iniziale, non sono nemmeno la versione brigatista finale. Basti pensare all'interrogatorio di Franceschini, quando paragona il rapimento Moro a quello Sossi. Già questa ipotesi minimale io non so voi dove l'abbiate presa, perché è proprio l'ipotesi minimale, di quattro più i due cancelletti. È la corrispondenza della prima impostazione dei brigatisti.
  Secondo punto di debolezza: non ho sentito una parola – eppure sono agli atti della magistratura – delle dichiarazioni fatte dal signor Eugenio Proto. A me non risulta che le abbia ritirate. Voi non le avete considerate nella dinamica della società Impresandex. Può essere una dimenticanza, al che io chiedo scusa, la faccio notare e finisce qui.
  Le diverse versioni giudiziarie, che possono essere lette come un work in progress, dal 1978 in poi, contraddicono la schematicità della ricostruzione di stasera. A me piacerebbe capire, per esempio, se questa io la devo intendere come ultima versione, che annulla le precedenti, seppur non stiamo in tribunale, oppure se è un'ipotesi da aggiungere alle precedenti.
  Curcio dice: «Non avevamo grande dimestichezza con le armi e ci sparavamo sui piedi, molte volte». Moretti dice: «Le nostre armi sparavano da sole», oltre a quello che ha detto il senatore Gotor. Franceschini dice: «L'omicidio di Leonardi è stato un colpo di grazia», forse perché aveva riconosciuto chi gli sparava.
  Non c’è nella ricostruzione alcun riferimento al graffio della porta sinistra della 128. Evidentemente a voi questa cosa è sfuggita. Che cosa ci dice questo graffio ? C’è un poliziotto privato che la mattina del 16 marzo, intorno alle sei, con la testimonianza legale, vede passare la 128 di Moretti – riconosce Moretti – con altre tre persone da via del Forte Trionfale 79.
  Quel graffio è sulla 128 bianca, che sta lì. Voi non avete detto niente su questo. Per carità, potrebbe essere anche questa una dimenticanza, ma, se quella perizia giurata non viene smentita e poiché gli altri tre che stavano con Moretti non sono Pag. 36riconosciuti da questa guardia giurata nei brigatisti di via Fani, il dubbio cresce.
  Aggiungo un'altra cosa ancora. Se io non ho capito male, il che mi capita spesso, voi avete alternato la posizione di Zizzi con quella di Rivera. Nell'ubicazione dell'Alfetta non era Zizzi che guidava. Se io non ho capito male, ma può essere, a me sembra che voi abbiate alternato fisicamente la posizione di Zizzi con quella di Rivera.
  Come ultima cosa, tra le testimonianze del 16 marzo 1978 depositate agli atti della magistratura ci sono dichiarazioni che non combaciano con questa ricostruzione. Per esempio, voi avete dato per scontato – io mi auguro che abbiate ragione, ma credo che abbiate torto marcio – che da quell'altra parte non ci fosse nessuno che sparava.
  Questa è la tesi brigatista, ma non è una tesi suffragata in trentasette anni di indagini e processi, perché nelle dichiarazioni del 16 marzo c’è già qualcuno che dice che c'era qualcuno dall'altra parte e voi sapete che le divise in alcuni processi vengono indicate come un mezzo per riconoscersi tra persone che non si conoscevano. Ciò significa che con i brigatisti ci può essere qualcuno che i brigatisti non conoscono.
  A me – ma questo non conta, fino a quando le persone non hanno il coraggio o la dignità umana di andare a parlare a un magistrato – questa scena è stata ricostruita in maniera completamente diversa. Questo non conta, però. Io mi auguro che chi l'ha ricostruita abbia il coraggio civile di andarlo a fare nelle sedi opportune, ma nella ricostruzione fatta a me – a differenza di ciò che dice qualche amico, io non ero presente in via Fani – la persona che spara i quarantanove colpi sta dall'altra parte e non è italiana, né è europea, ma sta dall'altra parte. Non è italiana e non è europea, ma sta dall'altra parte.
  Io mi chiedo come fate voi ad escludere scientificamente... Se voi mi dite, invece, che la ricostruzione è scientifica, allora io devo rivedere alcune mie non convinzioni, bensì supposizioni. Nello stesso tempo, però, non c’è da interrogarsi sulla sentenza passata in giudicato della moto Honda, problema posto dal senatore Gotor e dal presidente Fioroni. C’è da interrogarsi su trentasette anni di processi e di ricostruzioni, se questa scena è una scena che io devo prendere come verità al 100 per cento.

  FEDERICO BOFFI. Fermo restando che il coraggio civile di dire queste cose in qualsiasi altra sede c’è...

  GERO GRASSI. Non stavo parlando di lei.

  PRESIDENTE. Non lo dice a lei, dottor Boffi.

  FEDERICO BOFFI. A chi ha fatto la ricostruzione...

  PRESIDENTE. No, l'onorevole Grassi ha una fonte privata che lo riguarda e che stasera cortesemente ci...

  FEDERICO BOFFI. Allora ho capito male.

  PRESIDENTE. ...senza dire chi è la fonte e senza dire chi ha le prove. Noi, che abbiamo fiducia nell'onorevole Grassi, sappiamo che ha una sua personale ricostruzione.

  FEDERICO BOFFI. Mi scuso.

  GERO GRASSI. Mi dispiace che lei abbia esordito così.

  FEDERICO BOFFI. Ho frainteso.

  GERO GRASSI. Mi dispiace che lei abbia esordito così perché io non parlavo di lei e non pensavo minimamente a lei, anche perché le affiderei un ruolo che mi auguro lei non abbia.

  PRESIDENTE. Onorevole, se posso interloquire – lei finirà poi la seconda parte della domanda – solo per precisione, la differenza è che un commissario può riferire Pag. 37quello che gli hanno detto in segreto senza comunicarci la fonte e senza fornirci le prove. Chi è chiamato alla tutela dello Stato e a fare a noi da consulente e da braccio operativo deve dissertare sui fatti.
  Se ci sarà chi non ha parlato che parlerà e ci svelerà cose straordinarie, noi saremo ben lieti di ascoltarlo. Questo lavoro è stato fatto sulla base delle verità processuali accertate, delle perizie balistiche che sono state fatte e dei dati di fatto esistenti.
  Per essere chiari, non possiamo chiedere al dottor Boffi se, secondo lui, è possibile che quella macchina sia passata lì sotto e che ci fossero tre persone. Ciò non esclude questo fatto, se noi lo riusciremo a dimostrare. Hanno ricostruito, in base ai bossoli trovati e ai reperti che sono stati esaminati [oppure, invece che di reperti, intende parlare delle perizie ?] nei vari processi, quello che è stato detto.
  Vorrei ricordare che c’è un magistrato che abbiamo audito per primo e che è quello che aveva sancito la verità istruttoria, anzi prima del completamento della fase istruttoria – non so come dire – sulla provenienza dei proiettili. In sede di audizione costui ha detto poi che i proiettili venivano da destra, da sinistra e da davanti. Lei, onorevole Grassi, dovrebbe ricordare questo passaggio. Noi abbiamo detto: «Ma come, la verità processuale che quel magistrato ha accertato è un'altra !»
  Questo per spiegare che nei trentasette anni queste cose capitano. A loro noi abbiamo chiesto di indagare e di ricostruire sulla base di ciò che c’è, di ciò che esiste. Adesso glielo spiegheranno. Questo non toglie che, se la 128 è passata con altri tre lì... Noi non abbiamo chiesto loro di accertare se sia passata.

  GERO GRASSI. Presidente, noi abbiamo avuto anche due magistrati in due giornate diverse. Il primo, quello della sentenza passata in giudicato, ha auspicato di morire dopo aver individuato i nomi e i cognomi dei due della moto Honda. Il secondo ha detto che la moto Honda non c’è.
  Io da questo punto di vista non imputo nulla a nessuno. Io ho evidenziato, sulla base dei trentasette anni...

  PRESIDENTE. Solo per curiosità, non ha avuto il tempo di leggere – la prossima volta possiamo ritornarci sopra – che nella relazione c’è il riferimento a Proto. Su questo sono stati interrogati anche Barbaro e gli altri. Dico questo solo per memoria storica di chi ci ascolta.

  GERO GRASSI. Non l'ho letta.

  PRESIDENTE. L'ho già scusata.

  FABIO LAVAGNO. Intervengo per una mozione d'ordine, presidente. Faccio presente, a lei e, per suo tramite, all'onorevole Grassi, rispetto a quello che ci ha detto, che, se si è in possesso di una fonte anonima, non ce la si cava con un invito alla dignità personale. Se lei, onorevole Grassi, è a conoscenza di questi fatti, o li riferisce e ci dice anche chi è la fonte anonima, oppure evitiamo di utilizzarli.
  Se qui stiamo a una verità fattuale o processuale e stiamo a una perizia che ha dei dati oggettivi, non possiamo stare su un sentito dire, fintanto che rimane anonimo. Le fonti anonime sono fonti anonime e, quindi, non si dichiarano neanche.
  Mi rivolgo al presidente perché questo diventi un fatto di metodo, altrimenti non ci capiamo più.

  PRESIDENTE. Io ho già detto quello che penso. Poi è nella libertà di ogni commissario... Io sono certo che l'onorevole Grassi, quando ne avrà modo, comunicherà a noi e anche alle autorità.

  FEDERICO BOFFI. Mi scuso ancora per aver frainteso.

  PRESIDENTE. Avevo frainteso anch'io, per la verità, perché mi è mancato...

  FEDERICO BOFFI. Comunque vale tutto il resto e, quindi, adesso rispondiamo a tutto il resto.Pag. 38
  Nell'ordine, per quanto riguarda i colpi esplosi da sinistra sulla 130, gli impatti ci sono. Questi due impatti hanno sicuramente attinto il maresciallo Leonardi, perché era seduto lì, e vengono certamente da sinistra.
  Il maresciallo Leonardi ha colpi tutti sulla destra. Mi spieghi lei il perché. L'unico modo è che lui si fosse girato. Era l'unica possibilità. Quando si è girato ? Dopo aver subito già dei colpi da destra ? I colpi da destra o sono passanti, ma non abbiamo alcun impatto proveniente da destra all'interno della vettura, o sono ritenuti. Come ho detto prima, gli unici due colpi ritenuti sono mortali. Uno attraversa la testa e colpisce il cuore. È impossibile pensare che, dopo aver ricevuto quel colpo, si possa essere girato in quel modo.
  Questo è un dato che non può essere discusso. Non mi risulta che in passato, in questi trentasette anni, siano mai state fatte analisi delle traiettorie o delle dinamiche in questo senso. Questa è la prima volta. Noi abbiamo anche ritrovato un proiettile in più all'interno dell'Alfetta, ma questo non significa nulla.
  Il fatto che nessuno abbia sparato da destra non è vero. Hanno sparato da destra. Noi siamo in grado di ricostruire un'unica traiettoria. Sono stati sparati più colpi, ma non certamente in concomitanza delle raffiche. L'abbiamo detto: molti colpi delle raffiche hanno attraversato la strada e hanno colpito addirittura l'abitazione di fronte. Chi si fosse posizionato in quel punto avrebbe corso il rischio di essere colpito, anzi sicuramente sarebbe stato colpito.
  L'ipotesi sui quarantanove bossoli esplosi da destra è impossibile, perché abbiamo detto che gruppi numerosi di bossoli tutti circoscritti in un'unica zona non possono essere spostati casualmente. Mi riferisco ai gruppi di ventisette, sette e nove. Non possono essere finiti casualmente lì, se qualcuno li avesse esplosi da questa parte. Sono stati certamente esplosi dal lato sinistro e da una posizione differente rispetto alla posizione in cui è stata rinvenuta la vettura, ossia l'Alfetta. Stiamo parlando del movimento.
  Credo di aver risposto a tutto. Se lo sparatore fosse italiano o svedese, sinceramente nella dinamica non possiamo dirlo. Questi sono dati scientifici, sono dati tecnici, a disposizione di chiunque, di qualunque perito o consulente, per discuterne. Non so se questa spiegazione possa averla convinta un po’ di più.

  PRESIDENTE. Credo che l'onorevole Grassi approfondirà e che la prossima volta faremo un ulteriore approfondimento. Il punto che ritengo di dover sollecitare, prima di dare la parola al senatore Lucidi, è che nella ricostruzione fatta sulle carte e sul posto c’è una differenza rispetto all'idea che mi ero fatto io leggendo una serie di cose, ossia che fosse il tamponamento ad aver bloccato l'auto.
  Qui emergono dalla ricostruzione con le traiettorie... Non so, sarà un mio limite, ma io avevo letto solo le perizie balistiche e non avevo letto da nessuna parte delle verità giudiziarie e delle Commissioni studi, come quello che è stato fatto stasera, che studiavano le traiettorie e da dove venissero i colpi. Sarà un mio limite, ma io non l'ho trovato da nessuna parte. Se voi siete in grado di dimostrarmi che c’è da qualche parte, l'andiamo a leggere.

  GERO GRASSI. È nell'autopsia.

  PRESIDENTE. No, nell'autopsia... Questo è stato tutto consultato ed è compatibile con quello che viene detto nell'autopsia. Le traiettorie e le perizie non sono state fatte.
  Ci sono tre elementi, per ricordarceli tutti: dalla ricostruzione emerge che sparano prima ancora che le auto si fermino; che contro la 130 ci sono soggetti che sparano, con capacità a colpo singolo di fare il loro servizio e di togliere di mezzo i due che stavano lì, tant’è vero che questo è coerente con la ricostruzione dell'edicolante che dice che la 130 va a cozzare contro la 128, con sobbalzi che nessuno aveva capito.Pag. 39
  Ricostruendo, con riferimento a quello che diceva Grassi prima – lo dico per memoria di tutti noi – perché si tratta di un tamponamento diverso ? Io ero rimasto con Infelisi, il quale dice che c’è il tamponamento. Poi andiamo a vedere e notiamo che c’è un fanalino rientrato. Perché ? Perché sparano mentre la vettura è in movimento e senza autista, già ferito mortalmente, e a sobbalzo, con la marcia ingranata, va a cozzare contro.
  Questa è la ricostruzione che emerge questa sera, che è diversa – ahimè – da tante cose che sono state dette, ma non scritte.
  Si spara in movimento. Lì sparano con colpi singoli, di precisione. Io sono d'accordo con il senatore Gotor quando dice che c’è uno che ha sparato quarantanove colpi, ma non me ne faccio un trauma se dovessi alla fine rendermi conto che le verità che hanno riferito i brigatisti non sono vere, perché quello che hanno detto il signor Franceschini, il signor Moretti o il signor Pasquale non è per noi verità giudiziaria. È verità dichiarata acquisita giudiziariamente. Questo dimostra, con riferimento a coloro che hanno sparato tanti colpi, che non è detto che siano stati quelli sparati sulla 130.
  C’è un altro aspetto che mi colpisce. Non so se colpisce anche voi. Questi fanno il giro per dare il colpo di grazia. È una cosa ignobile. Girano dall'altra parte. Ci sono due proiettili sparati da destra che si ficcano nel sedile del maresciallo Leonardi già bell'e morto. Vanno di là e ammazzano quello che sta dall'altra parte, sparandogli addosso un'altra volta.
  Iozzino reagisce e c’è una reazione rabbiosa, in cui si sparano diciassette colpi. Sette sono trattenuti e dieci non sappiamo dove vanno a finire. È la prima volta che si è fatto questo lavoro.
  Poi ci si chiede quanti siano, se quattro o cinque ? Noi qui ragioniamo, non di persone, ma di armi e di traiettorie rispetto a quello che abbiamo trovato sulle auto e sui morti. Poi, se ci sono altri, che, come diceva il senatore Gotor, si sparavano sui piedi o sparavano agli uccelli, lo verificheremo in un altro momento.
  La moto Honda c'era ? Nulla toglie che la moto Honda potesse esserci. Sicuramente ci sarà stata la moto Honda, perché nessuno la mette in discussione. Tuttavia, se dalla moto Honda hanno sparato... La moto Honda può essere passata. Questo fatto non lo toglie nessuno.

  FEDERICO FORNARO. Non ha un ruolo.

  PRESIDENTE. Sì, ma da tutto quello che ho letto nessuno dice che dalla moto Honda siano partiti colpi che hanno ammazzato qualcuno. L'unica cosa che si dice è che dalla moto Honda dovrebbe essere partito qualche colpo che ha rotto il parabrezza di Marini. Purtroppo, ahimè, abbiamo trovato una foto che non potevamo fare finta che non ci fosse.
  Io credo che queste siano le verità che escono di più stasera. Non ci dobbiamo inquietare se rappresentano qualcosa di nuovo. Se non avessimo avuto da scoprire nulla di nuovo, non ci sarebbe stato bisogno di approfondire, perché avrebbero già scoperto tutto gli altri. Io credo che per noi aver recuperato scientificamente questo rappresenti un passaggio di un qualche significato.
  Hanno ragionato sui fatti. Se poi c'erano altri tre, cinque o sette, ciò non esclude che ci potessero essere. Avete visto prima che, parlando del bar Olivetti, abbiamo trovato in un posto solo tutto quello che avevamo messo da tutte le parti, ma che nessuno aveva detto che stava al bar Olivetti. Se sarà vero o non sarà vero sono tutte cose che verificheremo.
  Le questioni che a me sembrano fondamentali stasera sono, quindi, che sparano con la macchina in movimento; che quelli che sparano sulla 130 sono quelli più capaci, perché devono evitare di ammazzare Moro; che quelli dietro sparano sull'Alfetta con un mitra, grazie al quale finalmente si spiega il rinculo che manda i proiettili sugli appartamenti davanti; che fanno il giro per dare il colpo di grazia e sparano sette od otto colpi anche all'indirizzo di quelli che erano già morti; che si arrabbiano con Iozzino e sparano diciassette Pag. 40colpi, di cui sette restano dentro Iozzino.
  Questo non vuol dire che non ci possa essere altra gente che ha sparato da destra, a un certo punto. Questi sono i colpi che abbiamo ricostruito con i bossoli che c'erano per terra, le armi che abbiamo trovato, le perizie balistiche che si sono trovate e le perizie autoptiche che ci sono state. Questo non inficia null'altro, ma, credetemi, questa cosa non era mai stata fatta. Io vi rammento le nostre audizioni che dicevano che c'era stato un tamponamento e che poi è stata ingranata la marcia per tentare di fuggire via.
  Io vi dico questo. Poiché queste erano parole fuggite dal cuore di Grassi, io vorrei rimarginargli la ferita ricordandogli che il tamponamento di cui si parlava era il tamponamento descritto da Infelisi: noi abbiamo scoperto che siccome, in realtà, il guidatore era già morto, la 130 è andata a sobbalzi a tamponare la 128, come aveva detto quello dell'edicola. Qualcuno dice che può averlo o non averlo detto. Io vi invito solo a sapere che ciò che abbiamo fatto non l'abbiamo fatto per prendercela con qualcuno o con qualcun altro.
  È come ha detto il senatore Gotor: se ci innamoriamo di quello che ci hanno raccontato, finisce che è inutile per noi stare qui. Se facciamo l'una di notte, innamoriamoci anche di qualche cosa di nuovo che stiamo verificando che c’è. Io credo che questo sia un contributo alla verità, anche togliendo dalla scena, lo ribadisco, cose finte che non ci stanno e ritrovando sulla scena cose che non vi erano mai state messe e che forse è bene che andiamo a vedere. Io credo che questo sia già un contributo di utilità.
  Se non ci sono altre domande, ci riaggiorniamo. Vi ringrazio e ringrazio tutti coloro che ci hanno dato questa opportunità.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 0.30.

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ALLEGATO

RICOSTRUZIONE DELLA DINAMICA DELL'AGGUATO DI VIA FANI DEL 16 MARZO 1978 (**)

(**) Documento pervenuto dalla Direzione centrale della polizia di prevenzione il 15 giugno 2015 in versione corretta ed in sostituzione del documento proiettato nel corso della seduta. Le correzioni apportate riguardano i ruoli e le posizioni all'interno dell'Alfetta del brigadiere Zizzi (caposcorta) e della guardia Rivera (autista), che erano stati erroneamente invertiti sia nel documento proiettato sia nella relazione svolta durante l'audizione.

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