XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Resoconto stenografico



Seduta n. 33 di Mercoledì 22 aprile 2015

INDICE

Comunicazioni del presidente:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Audizione del senatore Vincenzo Ruggero Manca:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 
Manca Vincenzo Ruggero  ... 4 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 
Manca Vincenzo Ruggero  ... 9 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 
Manca Vincenzo Ruggero  ... 9 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Manca Vincenzo Ruggero  ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Manca Vincenzo Ruggero  ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Manca Vincenzo Ruggero  ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 
Manca Vincenzo Ruggero  ... 11 
Grassi Gero (PD)  ... 11 
Manca Vincenzo Ruggero  ... 11 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 
Manca Vincenzo Ruggero  ... 11 
Grassi Gero (PD)  ... 11 
Manca Vincenzo Ruggero  ... 11 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 
Manca Vincenzo Ruggero  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Buemi Enrico  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Buemi Enrico  ... 12 
Manca Vincenzo Ruggero  ... 12 
Buemi Enrico  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Buemi Enrico  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Buemi Enrico  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 14.20.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che, nel corso della odierna riunione, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di acquisire le dichiarazioni del generale Nicolò Bozzo in relazione a quanto emerso dalla sua recente intervista concernente il covo di via Montalcini, 8. A tal fine, una rappresentanza della Commissione si recherà a Genova, nei tempi e con le modalità che saranno successivamente definiti.
  Sempre nella medesima riunione, la Commissione ha concordato di rinnovare alla Procura della Repubblica di Roma la richiesta di acquisizione del verbale dell'interrogatorio per rogatoria di Steve Pieczenik e di procedere allo svolgimento di alcune audizioni.
  Il 21 aprile il comandante del ROS ha trasmesso i verbali di sommarie informazioni acquisite da alcune persone informate dei fatti. Al riguardo è stata, altresì, presentata una relazione da parte della dottoressa Giammaria. Nel corso della odierna riunione, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di trasmettere alcuni dei suddetti documenti alla Procura generale presso la Corte d'appello di Roma, in quanto riguardanti materia oggetto di indagini in corso da parte di tale autorità giudiziaria.
  Comunico, infine, che il 15 aprile il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, ha trasmesso una nota di libera consultazione concernente gli esiti di alcuni approfondimenti eseguiti in relazione ai contenuti della sua audizione del 3 dicembre scorso; lo stesso 15 aprile, l'Ufficio di Gabinetto del Ministero della difesa ha inviato ulteriore documentazione relativa al rapimento e alla morte di Aldo Moro; il dottor Donadio ha depositato, in data 15 aprile, una relazione di libera consultazione e, in data 16 e 20 aprile tre relazioni segrete; il comandante del RIS di Roma ha trasmesso, il 15 e il 22 aprile, due comunicazioni riservate concernenti gli accertamenti tecnici delegati dalla Commissione; il colonnello Pinnelli ha depositato il 17 aprile documentazione riservata riguardante Alessio Casimirri; l'Archivio storico del Senato ha trasmesso il 16 aprile un documento segreto richiesto dalla Commissione.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione del senatore Vincenzo Ruggero Manca.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del senatore Vincenzo Ruggero Manca, che ringraziamo per la cortese disponibilità con cui ha accolto l'invito a intervenire oggi in Commissione.
  Il senatore Manca è stato nella XIII legislatura vicepresidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, presieduta dal senatore Pellegrino.Pag. 4
  Ricordo che abbiamo deciso di ascoltare in audizione i presidenti e alcuni componenti delle precedenti Commissioni che si sono occupate del caso Moro, così da disporre di un ampio quadro degli approfondimenti che sono stati condotti e di quelli che restano ancora da effettuare.
  L'audizione del senatore Manca si colloca, pertanto, nel solco di quelle svolte negli scorsi mesi dall'onorevole Gerardo Bianco, dal senatore Giovanni Pellegrino, dal senatore Sergio Flamigni, dall'onorevole Luciano Violante.
  Nella XIII legislatura la Commissione stragi dedicò una parte rilevante dei suoi lavori al caso Moro. Il senatore Manca potrà quindi fornirci ulteriori spunti di riflessione non solo con riferimento ai filoni di indagine che sono stati già approfonditi dalla Commissione della quale era vicepresidente, ma soprattutto con riferimento agli ulteriori filoni che allora, per ragioni diverse, non si è potuto in tutto o in parte esplorare.
  Basandosi sulla sua esperienza nella Commissione stragi, il senatore Manca ha successivamente pubblicato vari volumi. Traggo da uno di essi, dal titolo La verità non voluta, due passaggi relativi al caso Moro che il senatore potrebbe approfondire nel corso della sua relazione.
  Nel primo dei due passaggi il senatore, alla luce dei vari spunti investigativi sviluppati dalla Commissione, con riferimento, tra l'altro, alla cosiddetta «pista fiorentina», afferma che «appare possibile ritenere, in base naturalmente a quanto emerso in Commissione, che la ricostruzione giudiziaria del caso Moro debba essere considerata del tutto incompleta».
  Nel secondo passaggio si sottolinea poi che «resta tuttora oscura l'area di contiguità che caratterizzava le BR dalla quale ad esse pervennero non solo simpatie ma anche appoggi e collaborazioni operative. Area di contiguità che continua a essere protetta dal silenzio dei brigatisti e non solo di questi».
  Faccio presente al senatore Manca che potremo passare in seduta segreta qualora lo ritenesse opportuno.
  Do ora la parola al senatore Manca per lo svolgimento delle sue considerazioni.

  VINCENZO RUGGERO MANCA. Ringrazio il presidente Fioroni per l'invito e rivolgo il mio più cordiale saluto a tutti i membri della Commissione che sono qui presenti.
  Se ciò però è detto in qualità di audito, è vero anche che c’è un altro tipo di ringraziamento che io mi sento di rivolgere come cittadino del nostro Paese. Mi riferisco al fatto che ogni italiano che ami la verità non può non essere grato a questa Commissione per il lavoro che da qualche tempo ha intrapreso, nel tentativo di sciogliere, se non tutti, almeno qualcuno dei nodi che tuttora sono pertinenti al cosiddetto «caso Moro».
  Queste non sono parole di circostanza, signor presidente, in quanto è da anni che chi parla, soprattutto per il caso Moro, ha invocato l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sugli aspetti ancora poco chiari e che conservano più puntini sospensivi.
  Su ciò mi sono soffermato in alcune mie pubblicazioni, una delle quali è stata da lei richiamata. Su ciò ho scritto, nel 2006, all'appena eletto Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Su ciò, inoltre, ho insistito anni dopo con la senatrice Adriana Poli Bortone, alla quale ero legato da conterraneità e soprattutto da una lunga amicizia familiare, affinché presentasse una specifica interrogazione parlamentare, fatto questo che è avvenuto in data 12 maggio 2009, anche se non ha avuto poi esito.
  Detto questo e prima di iniziare a parlare delle mie esperienze in seno alla Commissione stragi della XIII legislatura, ovviamente relativamente al caso Moro, avverto il dovere di precisare anche che io non mi considero un politico ma sono un ufficiale generale dell'Aeronautica militare prestato per cinque anni, per così dire, alla politica; né mi considero uno storiografo, né un politologo, né tanto meno uno storico delle Brigate Rosse.
  Sono lontano da molti anni dai fatti sui quali dovrei riferire, ricordando anche che Pag. 5non mi sono più interessato in profondità del caso Moro dalla fine del novembre 2008, all'epoca in cui pubblicai un mio saggio dal titolo Moro, un profeta disarmato.
  Preciso ancora che la mia testimonianza verterà soprattutto sulla parte della vicenda che mi ha visto più coinvolto e precisamente sul percorso fatto dalla Commissione di cui ero, come lei ha ricordato, vicepresidente, in merito al segmento legato alle cosiddette «altre intelligenze».
  Significo, infine, che, dopo una carrellata su questo segmento, farò dei cenni anche su alcuni fatti correlabili sempre a quest'ultimo caso e che danno, per così dire, colore ad alcune circostanze da me vissute durante il periodo parlamentare e soprattutto dopo.
  L'inizio del percorso al quale prima ho fatto cenno va collocato, a mio avviso, alla sera del 13 maggio 1998, allorquando il presidente della Commissione stragi, il senatore Giovanni Pellegrino – verso il quale mi legavano e mi legano tuttora sentimenti di vera gratitudine e di grande stima, anche per la sua innegabile onestà intellettuale – preannuncia all'Ufficio di presidenza che nella riunione successiva dello stesso Ufficio di presidenza ci si sarebbe interrogati sulle forme e sui modi utili per trovare un raccordo istituzionale con la Presidenza della Repubblica al fine di concordare un incontro con il Capo dello Stato sul caso Moro.
  Ciò a seguito di una specifica richiesta del vicepresidente, cioè di chi parla, scaturita a seguito di un'esternazione del Capo dello Stato, Oscar Luigi Scàlfaro, fatta in occasione del ventesimo anniversario della morte dello statista pugliese, il 9 maggio 1998. Esternazione con la quale il Presidente della Repubblica si poneva e poneva al Paese il problema se, al di là delle responsabilità accertate, vi erano state altre intelligenze che avevano concorso al suo rapimento e/o alla sua morte.
  Come questa Commissione saprà, una delegazione incontra poco dopo il Capo dello Stato, il quale in quell'occasione rende noto che il suo dubbio era fondato soltanto – ripeto, soltanto – sulla valutazione dell'inadeguatezza dei brigatisti conosciuti rispetto all'intensità dell'attacco portato alle istituzioni per quasi un ventennio e di cui l'omicidio Moro costituiva il momento di più alta offensività. Queste sono le parole precise del Capo dello Stato.
  Chiaro è, poi, il suo successivo incitamento alla Commissione affinché la stessa procedesse all'adempimento di un compito fissato dalla legge istitutiva, laddove – ricordo – prescriveva di accertare i nuovi elementi che potevano integrare le conoscenze acquisite sulla strage di via Fani e l'assassinio di Aldo Moro.
  Da questo momento l'organismo presieduto dal senatore Pellegrino di fatto dedica alla tragica vicenda la quasi totalità della propria attività, rilevando anche, per correttezza e verità storica, che su tale indirizzo dei lavori pesano altresì sia i ripetuti appelli dei familiari dell'onorevole Moro sia quelli di un alto esponente politico, l'onorevole Sergio Mattarella, all'epoca Vicepresidente del Consiglio dei Ministri e attuale Capo dello Stato.
  Trascorrono in tal modo gli anni 1998, 1999 e 2000, registrando in totale ben ventotto sedute. Riprendere ora, a distanza di tanti anni, il contenuto – sia pure limitatamente alle parti essenziali – di tutte le audizioni appare sinceramente un lavoro molto arduo se non impossibile.
  Dividendo comunque l'argomento in due capitoli, il capitolo pertinente alla ricerca del sequestrato e alle trattative per la sua liberazione e il capitolo legato più direttamente a quanto specificatamente chiesto dal Capo dello Stato, i punti più significativi del primo capitolo, ovviamente quelli che sovvengono alla mia memoria – cioè alla memoria di una persona che ha già superato gli ottant'anni e che da tempo vive di altri interessi e segue altri casi anomali della nostra tormentata storia giudiziaria, ad esempio il caso Ustica – hanno come riferimento quanto è stato affermato in Commissione dal professor Giovanni Moro, figlio dello statista pugliese, e dall'onorevole Claudio Signorile.
  Il professor Giovanni Moro, in sintesi, ha sostenuto che ciò che rimaneva aperto come una ferita nella coscienza pubblica del nostro Paese era che, nella circostanza Pag. 6del sequestro, l'ostaggio non era stato mai oggetto di una trattativa e nemmeno era stato oggetto di una ricerca.
  Non dissimile da questa posizione è stata poi quella che emerge dalle parole dell'onorevole Signorile, non per ciò che riguardava lui come persona, ma il suo partito, cioè il Partito Socialista Italiano. In sintesi, i problemi sollevati nell'audizione dell'onorevole Signorile riguardavano le attività fatte e soprattutto quelle non fatte, in concreto, da parte del Governo con i rapitori, in forma ovviamente coperta.
  A latere di questo specifico aspetto, va ricordato che anche in sede di gruppo degli esperti – quel gruppo informalmente costituito dal Ministro dell'interno onorevole Cossiga – si era pervenuti a consigliare l'adozione di una strategia che offriva al Governo la massima flessibilità tattica in una complessiva logica di temporeggiamento, nell'ambito della quale andava valutata anche la possibilità di stabilire canali di comunicazione con le Brigate Rosse.
  Venendo ora al secondo capitolo, che attiene alle cosiddette «altre intelligenze», e riducendo il tutto all'essenziale, ritengo che a questo riguardo vada rilevato, in primo luogo, che i lavori della Commissione hanno avuto come faro principale la specifica richiesta del Capo dello Stato cui prima ho fatto cenno e che in sintesi e concettualmente hanno registrato i seguenti punti.
  Primo punto. Moretti ha certamente portato la documentazione sull'interrogatorio del rapito nel luogo o nei luoghi in cui il comitato esecutivo delle Brigate Rosse si riuniva nei cinquantacinque giorni della prigionia di Moro. Luogo sul quale lo stesso Moretti aveva fornito, in un'intervista a Mosca e Rossanda, ulteriori particolari e cioè che detto posto era stato messo a disposizione dal comitato rivoluzionario della Toscana e che si trovava alla periferia di Firenze, aspetto, questo, mai emerso – lo sottolineo – fino ad allora, e ciò nonostante cinque processi.
  Secondo punto. Morucci, in sede di audizione, ha sollecitato l'interesse della Commissione sul luogo di cui sopra, prospettando nel contempo la possibilità che Moretti potesse rivelare chi altro partecipava a queste riunioni, se c'era un anfitrione oppure no, chi era il padrone di casa, chi erano gli irregolari e chi batteva a macchina i comunicati del comitato esecutivo delle Brigate Rosse, che poi erano distribuiti in tutta Italia.
  Terzo punto. La Commissione, sia pure nella parte finale dei suoi lavori, ha avuto l'opportunità di accertare che le modalità con cui si era pervenuti alla scoperta del covo brigatista di via Monte Nevoso a Milano presentavano una stretta connessione con la città di Firenze e soprattutto con il luogo delle riunioni del comitato esecutivo delle Brigate Rosse; questa circostanza, purtroppo, non parla a favore dell'auspicabile coordinamento, che dovrebbe essere comunque assicurato, tra organi e organismi preposti alle indagini e alle investigazioni di un caso così articolato e complesso come è stata la vicenda Moro.
  Quarto punto. È molto probabile, per non dire certo, che almeno un mese prima del rapimento dell'onorevole Moro un'unica base fosse a disposizione del comitato rivoluzionario della Toscana e quindi del comitato esecutivo delle Brigate Rosse. Si tratta, in particolare, di un appartamento acquistato dall'architetto Paolo Barbi e dalla moglie, posto in una zona periferica di Firenze, dietro all'ospedale di Careggi, in direzione Rifredi e Sesto Fiorentino, particolari questi ultimi emersi chiaramente in sede di audizione del magistrato dottor Gabriele Chelazzi.
  Quinto punto. Esistono sufficienti indicazioni – ovviamente nell'ambito delle audizioni del dottor Chelazzi e di Morucci e anche nell'ambito dell'intervista di Moretti e di altri ancora – per ritenere che il sequestro Moro e l'omicidio dello statista siano stati «gestiti» da Firenze, circostanza questa che, per la prima volta dal 1980, farebbe vedere i brigatisti toscani come parte integrante del quadro delle responsabilità giudiziarie.
  Sesto e ultimo punto. Le indicazioni fornite alla Commissione stragi dal dottor Gabriele Chelazzi, al tempo dei fatti in Pag. 7servizio presso la Procura di Firenze e alla data dell'audizione, cioè il 7 giugno 2000, sostituto procuratore nazionale antimafia, configurano l'esistenza di un accertamento giudiziario relativo alla partecipazione al comitato rivoluzionario della Toscana del professor Giovanni Senzani sin dal 1977 e non, come si è sempre creduto, dal 1979, cioè dopo il rapimento e l'uccisione di Moro.
  Nella stessa audizione è risultato anche che detto personaggio, cioè Senzani, sarebbe stato il leader, il capo, il vertice del citato comitato, e che per tali ragioni sia stato poi anche processato e condannato dalla Corte d'assise di Firenze.
  Signor presidente, signori parlamentari, a corredo dei punti che ho appena esposti, purtroppo nelle loro linee essenziali, credo opportuno fornire qualche ulteriore elemento che, prelevando il tutto dai miei ricordi, possa completare alcuni aspetti che attengono al caso Moro.
  Innanzitutto devo riferirmi all'impressione che ricevetti durante e dopo l'audizione del dottor Gabriele Chelazzi. A questo proposito, e così come peraltro rilevato dallo stesso presidente Pellegrino, devo dire che l'audizione in argomento è apparsa fin dal suo inizio una delle più interessanti che si erano fino a quel momento svolte nella nostra Commissione.
  Va detto anche che a un certo punto della stessa audizione non ebbi difficoltà a rilevare che ci si trovava di fronte a un grande esperto in materia di Brigate Rosse, essendosene egli occupato per ben sedici anni di fila, cioè dal 1977 al 1992. È per questo che non potei sfuggire alla tentazione di chiedere al dottor Chelazzi, immaginando così che una simile domanda potesse interessare qualsiasi uomo della strada, se, in nome della sua alta competenza, con conoscenze inedite sulle Brigate Rosse, fosse stato mai interpellato dagli inquirenti e se i suoi colleghi magistrati si fossero mai serviti della sua esperienza.
  Ricordo benissimo che a questo proposito il presidente Pellegrino, allo scopo di togliere lo stesso Chelazzi da un imbarazzo istituzionale, non dette la parola all'interessato dicendo testualmente, rivolto a me: «Rispondo io a questa domanda. Il problema non riguarda il dottor Chelazzi, il problema riguarda questa Commissione che non approvò la proposta del presidente che tendeva ad affermare che sarebbe stato opportuno affidare le indagini sul terrorismo a una struttura centralizzata, o sul modello della Procura nazionale antimafia, o alla stessa Procura nazionale antimafia, attraverso una piccolissima modificazione della legge che avrebbe investito la Procura nazionale antimafia anche nei reati di terrorismo in un paese come questo, dove il confine fra criminalità organizzata e terrorismo non è poi mai così netto».
  Ho citato questo episodio sia per sottolineare lo spessore di quanto il dottor Chelazzi ci aveva riferito, incalzato spesso dalle nostre domande, sia per una considerazione che io feci il giorno dopo l'audizione, forte del fatto che quanto ci aveva detto il magistrato si presentava del tutto nuovo nel panorama delle conoscenze nostre e anche della stessa magistratura.
  Proposi subito dopo al presidente Pellegrino di inviare il tutto alla Procura di Roma, sotto forma di relazione/elaborato, valutando il punto particolarmente probante, anche perché riferito e particolareggiato non da una persona comune ma da un insigne magistrato.
  Come al solito la sintonia tra me e il presidente della Commissione ebbe un'ulteriore conferma. L'elaborato fu predisposto e fu spedito al procuratore capo della Repubblica, dottor Salvatore Vecchione, in data 29 maggio 2001. Ho con me il documento e potrei farlo vedere, se desiderate.
  Al tutto devo aggiungere che, sciolte le Camere per fine legislatura nella primavera del 2001, della vicenda non mi sono più interessato fino al giorno in cui ho letto sul Corriere della Sera del 15 novembre 2007 un'intervista al senatore Pellegrino. In questa occasione egli, riferendosi all'indagine giudiziaria sul caso Moro, dice: «L'indagine, benché approfondita, si fermò», per poi chiedersi «perché ?». Anch'io in quel momento mi chiesi la stessa cosa, però non mi fermai lì; feci dei passi ufficiali e in ciò fui spinto anche da Pag. 8precisi consigli di alti magistrati e di notissimi avvocati. Scrissi, in data 23 luglio 2009, alla Procura della Repubblica del Tribunale di Roma, chiedendo in sintesi notizie sull'esito della segnalazione che la Commissione aveva inviato sul caso Moro e specificatamente sul ruolo del professor Senzani. Copia della lettera alla quale mi sto riferendo è con me e se volete posso esibirla, precisando anche che il suo contenuto era stato condiviso da alti magistrati ai quali prima ho fatto cenno.
  In data 22 ottobre 2009 ricevetti una lettera a firma del procuratore della Repubblica dottor Giovanni Ferrara con la quale mi si comunicava che, con riferimento alla mia istanza e con un provvedimento di cui si allegava copia (che poi non era altro che la fotocopia della mia lettera con un piccolissimo timbro in basso a destra), il presidente aggiunto della Sezione GIP aveva rigettato l'istanza medesima trattandosi di soggetto non legittimato.
  Ci rimasi male e a ciò si è riferito il senatore Pellegrino quando, in occasione della sua audizione, l'11 novembre 2014, ha detto che di quell'archiviazione io ho fatto una malattia. Se il presidente Fioroni o qualcuno dei signori parlamentari presenti vogliono sapere il perché io ci sia rimasto tanto male, sono pronto a rispondere a specifiche domande, così come sono pronto, se lo desiderate, a esporre le ragioni di alcune mie forti perplessità sia sul fatto che, a quanto poi ho saputo, il colonnello dei Carabinieri Umberto Bonaventura ha ritrattato in Procura ciò che aveva circostanziato alla Commissione stragi in data 23 maggio 2000, circa l'invio al generale Dalla Chiesa di copie delle carte trovate nel covo delle Brigate Rosse in via Monte Nevoso a Milano, sia su un altro episodio non molto chiaro e comunque inquietante.
  Esso riguarda, a quanto riferitomi – al tempo in cui era ancora in vita la Commissione stragi – dal noto giornalista Francesco Damato, le confidenze dell'onorevole Nicola Lettieri, Sottosegretario all'interno all'epoca del sequestro Moro, fatte allo stesso giornalista circa il ruolo avuto dal professor Giovanni Senzani tra i consulenti del Viminale dopo il rapimento dello statista pugliese.
  Tali confidenze furono fatte dall'onorevole Lettieri al primo comparire di notizie riguardanti la figura del criminologo Senzani nella vicenda Moro (ovviamente le notizie che uscivano dalla Commissione stragi) e così come stava emergendo nei lavori di detta Commissione, sui quali ci siamo prima soffermati, seppure in sintesi. Invitato poi dal dottor Damato a confermare le stesse in una causa intentata dal professor Senzani nei suoi riguardi, egli si dichiarò indisponibile.
  Perché tutto ciò ? È quello che mi chiedo e credo ci si dovrebbe chiedere tutti, nella speranza che, mercé il lavoro di questa Commissione e nella consapevolezza che sulla vicenda Moro ci sia ancora molto da fare, si creino presto le premesse per riprendere il discorso su eventuali responsabilità non ancora giudiziariamente accertate per quindi porre fine, anche e soprattutto nell'interesse dei coinvolti, ai tanti «si dice» e ai tanti sospetti.
  Sempre a proposito del ruolo o dei ruoli svolti dal professor Senzani, a parere di chi parla, approfondendo l'argomento si fornirebbe un rilevante contributo alla chiarezza dei fatti ove si sottoponesse al vaglio anche l'opinione espressa in Commissione stragi in data 18 ottobre del 2000 da un alto funzionario della polizia, il dottor Arrigo Molinari.
  Quest'ultimo infatti riferì, in quella circostanza, che il menzionato professore fosse protetto dai servizi deviati del Sismi, quelli cioè legati alla P2. A parere di chi parla, una parola definitiva su questi interrogativi sarebbe di grande giovamento su tanti e delicati aspetti della vicenda, non escluso quello prospettato da un autorevole personaggio della Commissione stragi della XIII legislatura, che ha indicato Senzani addirittura come agente della CIA, fatto a mio avviso non verosimile ma che andrebbe comunque chiarito.
  Ciò senza dimenticare che negli Stati Uniti d'America, così come constatai di persona nel corso della presentazione del mio libro su Aldo Moro alla New York Pag. 9University, nel 2009, c'era più di uno dei convenuti che sosteneva la tesi del delitto in appalto, non escludendo responsabilità d'Oltreoceano, così come peraltro indicato dal dottor Guerzoni, collaboratore dell'onorevole Moro, in un'audizione della XII legislatura.
  A proposito di quest'ultimo episodio, quello di New York, non posso non ricordare che il tutto scatenò una furente reazione dell'ambasciatore Richard Gardner, presente tra il pubblico, il quale non solo ebbe parole di deciso contrasto a quella tesi, ma non esitò neppure a definirsi un convinto assertore della inesistenza certa di elementi che potessero far ritenere fondata l'affermazione di una eterodirezione delle Brigate Rosse rispetto alla vicenda di cui ci stiamo occupando oggi.
  È chiaro, in definitiva, e a parere di chi parla, che, contrariamente a quanto qualcuno sostiene, la parola «fine» non possa essere messa sul caso Moro.
  Io mi auguro, anzi sono sicuro che tale convincimento non solo trova sostegno nelle ragioni che hanno portato il nostro Parlamento a istituire la Commissione presieduta dall'onorevole Fioroni, ma soprattutto riceverà sicura conferma nei lavori che la stessa ha fatto e farà in futuro, così come peraltro è testimoniato dalle audizioni già portate a termine che io ho avuto il piacere di leggere, almeno in piccola parte.
  Vi ringrazio per la vostra attenzione.
  Credo di avere implicitamente risposto alle domande; dovrei dire qualcosa in più sull'area di contiguità.

  PRESIDENTE. Sì, prego.

  VINCENZO RUGGERO MANCA. Sull'area di contiguità, secondo le risultanze finali della Commissione stragi della XIII legislatura, rimasero tanti interrogativi.
  L'unico elemento che io ricordo che abbia una certa rilevanza – se si riferiscono tanti altri particolari secondari si fa perdere tempo a questa Commissione – è quello che ci disse Maccari quando affermò che a fronte di tremila, quattromila brigatisti c'erano trentamila, quarantamila italiani che fiancheggiavano le Brigate Rosse e che erano i loro paladini, per non scendere nei particolari anche di rapporti con le famiglie, con le signore, eccetera eccetera.
  Questo basta per dire che abbiamo accertato poco o pochissimo. Così come ha detto il presidente Pellegrino quando è venuto in audizione, la matassa del caso Moro è immensa. Allora, buonsenso vuole che si prendano alcuni dei settori, altrimenti non si chiarisce nulla.
  Credo che in sintesi io possa dire questo con una certa esattezza sull'area di contiguità delle Brigate Rosse a quel tempo.

  PRESIDENTE. Senatore Manca, noi siamo più che curiosi di sapere, in primo luogo, perché lei sia rimasto male dell'archiviazione, in secondo luogo se rammenta le vicende che avrebbe voluto fossero approfondite prima di quell'archiviazione che, se non ricordo male, dovrebbe essere quella del 2001, fatta dalla Procura di Roma su tutta la vicenda Senzani.

  VINCENZO RUGGERO MANCA. Io ci sono rimasto male perché credo di aver fatto un'opera buona nel rilevare l'importanza dell'audizione del dottor Chelazzi, quindi nell'averne parlato subito dopo con il presidente Pellegrino e nell'averlo convinto che era opportuno dire il tutto alla magistratura.
  Io parto dal presupposto – che peraltro è stato raccomandato tante volte dalla Consulta – che fra le istituzioni ci debba essere massima collaborazione. Allora, per collaborare noi elaborammo, attraverso un consulente, una relazione dettagliata per inviare al procuratore della Repubblica tutti i particolari che erano emersi soprattutto dall'audizione di Chelazzi (le altre sono corollari). Se uno legge oggi, a distanza di tempo, quell'audizione, vedrà che è di una chiarezza estrema; Chelazzi chiarisce quasi tutti i punti.
  Allora, avuta questa soddisfazione, non come parlamentare ma come cittadino, mi aspettavo che si valorizzasse questo. Siccome subito dopo è finita la legislatura, non mi sono più interessato finché non ho Pag. 10parlato con Pellegrino e finché lui non ha rilasciato quella intervista al Corriere della Sera. Egli ha notato, da grande giurista, che quel fatto voleva significare che si era colpito quasi nel segno. Non mi disse molto di più.
  Io, che non ero un giurista, ma un uomo della strada, mi chiesi se come cittadino avrei potuto sapere perché avevano archiviato. Mi rivolsi al Presidente emerito della Corte costituzionale, professor Cesare Ruperto, con cui ero entrato in buoni rapporti perché lo avevo conosciuto ai tempi in cui era vivo ancora il mio consuocero, che era il Presidente emerito della Corte costituzionale e già Ministro della giustizia Enzo Caianiello, e prospettai questo episodio. Egli mi disse che avevo il diritto di sapere perché avessero archiviato.
  Ma non basta. In un'occasione in cui fui invitato a un concerto alla Casa del Mutilato dal mio amico presidente – adesso non mi viene il nome – mi disse che dovevamo attendere il Procuratore capo presso la Corte d'appello di Roma, anch'egli invitato. Ho visto arrivare il Procuratore capo della Repubblica, Vecchione. Mi sono avvicinato, mi sono presentato e ovviamente ho esposto la stessa situazione. Il dottor Vecchione ha chiamato un suo collaboratore, il suo sostituto, il dottor Alberto Cozzella, e gli ha chiesto di aiutarmi a scrivere la lettera spiegandogliene le ragioni (non ripeto i particolari).
  In più, ero amico allora, e lo sono tuttora, di un grande penalista, l'avvocato Enzo Musco. Ne parlai con lui e anch'egli conveniva con Pellegrino che, conoscendo le motivazioni della chiusura o comunque tutto il fascicolo (non basta avere solo le motivazioni), si poteva sapere se effettivamente si era colpito o meno nel segno.
  Tutto questo conforto mi portò a scrivere, ma in pratica avevano scritto queste tre persone. Passavano i mesi e nessuno rispondeva. Nel frattempo sono andato di nuovo dal dottor Cozzella, quindi da Vecchione, a chiedere notizie. Infine, mi hanno risposto con la fotocopia della mia...

  PRESIDENTE. Della sua richiesta, dicendole che non aveva titolo.

  VINCENZO RUGGERO MANCA. Con un timbrino. Quando la mandai a Pellegrino, mi chiese se gli avessi inviato solo la mia richiesta; io lo invitai a guardare bene, soprattutto in fondo a destra dove c'era, invisibile, questo timbrino.
  Quindi, ci rimasi male, ma non per me. Abbiamo fatto tanto lavoro in Commissione stragi, che era la sintesi di anni di lavoro. Io poi non sapevo chi era, a me non interessano i particolari; non sapevo nulla, ecco perché ci rimasi male. Da allora ho covato dentro di me questo grande dispiacere.
  Adesso ho saputo che le motivazioni sono arrivate, ma non ho voluto prenderne conoscenza perché voglio parlare rimanendo nella stessa situazione in cui mi trovavo prima, senza essere deviato dalla lettura.

  PRESIDENTE. Non le abbiamo ancora lette per intero neanche noi.

  VINCENZO RUGGERO MANCA. Più che la motivazione bisogna leggere il fascicolo. Secondo i giuristi – non lo dico io – è da lì che si ricava se quel fascicolo che abbiamo mandato noi è stato ritenuto inopportuno o inadatto. Ripeto, se fosse un fascicolo fatto da uno qualsiasi, da me, ci si potrebbe chiedere chi sono io per scriverlo, ma è stato firmato da Pellegrino ed è stato ricavato da un grande magistrato, a mio avviso. Peccato sia morto.

  PRESIDENTE. Due ultime precisazioni telegrafiche. Tornando alle varie affermazioni di questo signor Arrigo Molinari o altri, circa i rapporti tra Senzani e qualcuno che lo proteggeva, il senatore Flamigni parla molto, nei suoi scritti e anche nelle audizioni, di un possibile rapporto tra Senzani e il capo centro del Sismi di Firenze, Federico Mannucci Benincasa.
  In qualche modo, altri parlano di un rapporto di natura collaborativa tra Senzani e l'autorità giudiziaria. Rammenta niente al riguardo ?

  VINCENZO RUGGERO MANCA. Io dico solo cose di cui ho un sicuro ricordo. Mi Pag. 11sovviene, a questo proposito, quello che ha detto Molinari, ma soprattutto un altro riferimento, che credo sia stato fatto da Pellegrino in uno dei suoi libri: un terrorista, mi sembra Buzzati, aveva riferito di aver visto alla stazione ferroviaria di Ancona...

  PRESIDENTE. Quello che ha cambiato altezza in corso d'opera ? Parlava con un terrorista che doveva essere prima alto 1.70, poi divenne 1.60.

  VINCENZO RUGGERO MANCA. Aveva visto Senzani con uno del Sismi, che mi sembra si chiamasse...

  GERO GRASSI. Musumeci.

  VINCENZO RUGGERO MANCA. Musumeci. Ecco, al di là di questo non vado perché non ho certezza.
  A pensare a Senzani in qualità di agente della CIA fu un membro della nostra Commissione. D'altra parte, quando andai a New York, avvenne quello che ho raccontato – sebbene non si riferissero alla CIA ma a vertici Oltreoceano – con quella reazione che ricordo ancora a memoria. Sono dovuto intervenire per mettere pace tra una serie di professori e Gardner, che era ambasciatore in Italia durante il rapimento Moro, non un ambasciatore qualsiasi.

  PRESIDENTE. Si legge anche che il 3 marzo del 1993 – glielo chiedo solo se le riporta alla mente qualcosa – a Firenze, in un monolocale di via Sant'Agostino 3, vennero casualmente trovate armi da guerra e munizioni. Il marchese Alessandro Pianetti Lotteringhi della Stufa, molti anni prima, aveva concesso il godimento dell'immobile a Federico Mannucci Benincasa, capo centro del Sismi di Firenze dal 1987 al 1991.
  Premesso ancora che accertamenti giudiziari avrebbero evidenziato che il centro Sismi di Firenze stabilì un collegamento con una fonte informativa brigatista all'epoca della preparazione del sequestro Moro, potrebbe trattarsi, secondo lei, del criminologo Senzani che, guarda caso, abitava in Borgo Ognissanti, poco distante da quel monolocale in uso al capo centro del Sismi Benincasa ?

  VINCENZO RUGGERO MANCA. Io ricordo vagamente solo la prima parte del suo discorso, cioè che Musumeci aveva avuto in prestito questo appartamento, però non mi ricordo il notabile eccetera eccetera.

  GERO GRASSI. Benincasa, non Musumeci.

  VINCENZO RUGGERO MANCA. Per quanto riguarda il ruolo di Senzani raccomando a tutti i signori membri di leggere e rileggere – almeno, io la dovrò rileggere – l'audizione Chelazzi, che dice molto di più di quanto uno sospetti.
  Addirittura, sorprende il fatto che il dottor Tindari Baglione avesse minimizzato le conoscenze di Chelazzi sul caso specifico, quando invece il dottor Chelazzi se ne è interessato moltissimo e da anni, con una precisione e una meticolosità rare. A lui è mancato solo – ed è quello che io ho lamentato – il fatto che non sia stato interrogato, utilizzato dagli altri magistrati, e soprattutto il fatto macroscopico che non ci sia stata la collaborazione fra un dipartimento giudiziario e l'altro.

  PRESIDENTE. Prima di passare la parola ai colleghi per le domande, per sua conoscenza, ricordo che il giornalista che ha riferito di Lettieri e l'ha scritto in un articolo, qualche mese prima dell'ordinanza di archiviazione è stato rinviato a giudizio per diffamazione presso la Procura di Monza, con una rapidità e una solerzia molto interessante (lì funziona molto bene la giustizia, in tre mesi !) e poi ha patteggiato la pena per 200 euro. Successivamente è intervenuto il provvedimento di archiviazione riguardante Senzani.
  Lo dico non per creare nessi di causalità ma semplicemente perché nella sequenza logica dei fatti nel 2001 c’è stata una sentenza emessa in cui l'onorabilità di Senzani era stata diffamata dal fatto che Pag. 12avesse collaborato con le organizzazioni dello Stato, essendo invece stato già condannato per omicidi e atti eversivi contro lo Stato.

  VINCENZO RUGGERO MANCA. A questo proposito, signor presidente, se mi permette, ma non vi sembra che siamo un Paese strano, visto che non si riesce a interrogare – adesso è libero, peraltro – Senzani, io dico nel suo interesse...
  Il fatto che non si riesca o non si tenti, almeno che io sappia, ma può anche darsi che si sia tentato...

  PRESIDENTE. Non mettiamo limiti alla Provvidenza.

  ENRICO BUEMI. Mi scuso, ma purtroppo c’è un'altra attività di Commissione che preme. Intanto chiedo di acquisire le documentazioni del generale Manca e la lettera. Vorrei che fosse approfondita, dal punto di vista giuridico, la questione della carenza di legittimazione del generale ad acquisire il provvedimento di archiviazione richiesto. Questa questione, su un delitto di tale portata e a fronte...

  PRESIDENTE. Ritiene anche lei che ci sia un interesse generale e diffuso... ?

  ENRICO BUEMI. Non soltanto come membro della Commissione che una qualche ufficialità sulla questione ce l'aveva, ma anche come privato cittadino, di fronte a fatti di questo genere, credo anche nei confronti di un reato che non mi pare possa essere considerato prescritto.

  VINCENZO RUGGERO MANCA. La risposta che è stata data a me è stata commentata ad altissimo livello ridendo. Ricordo l'occasione in cui il professor Cesare Ruperto ha riferito ad altri suoi colleghi questo episodio.
  Il problema è che io non posso fare niente, ma ci sono persone che hanno le vesti e anche gli attributi morali e professionali per poter chiedere spiegazioni.
  Io non mi sono fermato lì e sono andato avanti, finché ho potuto. Certamente lei ha ragione. A parte il fatto che ero stato vicepresidente della Commissione, ma non c’è nulla di segreto in questa roba.

  ENRICO BUEMI. Da questo punto di vista chiederei di identificare il magistrato che ha formalmente e sostanzialmente emesso il provvedimento...

  PRESIDENTE. Il provvedimento di archiviazione o il provvedimento di diniego ? Il diniego è dell'ufficio del GIP, la proposta di archiviazione...

  ENRICO BUEMI. Acquisiamoli tutti e due. Poi approfondiamo eventualmente anche con audizioni in questa sede.

  PRESIDENTE. Uno l'abbiamo già audito, ritengo.

  ENRICO BUEMI. Va bene, grazie.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il senatore Manca per la disponibilità.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.10.