XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 63 di Giovedì 10 novembre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catania Mario , Presidente ... 3 

AUDIZIONI IN MATERIA DI CONTRASTO DELLA CONTRAFFAZIONE VIA WEB E IN SEDE INTERNAZIONALE

Audizione di rappresentanti di Google.
Catania Mario , Presidente ... 3 ,
Bellini Enrico , Public Policy Senior Analyst, Italia e Malta di Google ... 3 ,
Catania Mario , Presidente ... 7 ,
Staccioli Marta , Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google ... 7 ,
Catania Mario , Presidente ... 11 ,
Baruffi Davide (PD)  ... 12 ,
Gallinella Filippo (M5S)  ... 12 ,
Mongiello Colomba (PD)  ... 12 ,
Pastorelli Oreste (Misto-PSI-PLI)  ... 13 ,
Garofalo Vincenzo (AP)  ... 13 ,
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 13 ,
Catania Mario , Presidente ... 13 ,
Bellini Enrico , Public Policy Senior Analyst, Italia e Malta di Google ... 14 ,
Staccioli Marta , Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google ... 15 ,
Catania Mario , Presidente ... 17 ,
Staccioli Marta , Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google ... 17 ,
Catania Mario , Presidente ... 17 ,
Staccioli Marta , Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google ... 17 ,
Catania Mario , Presidente ... 17 ,
Staccioli Marta , Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google ... 18 ,
Garofalo Vincenzo (AP)  ... 18 ,
Staccioli Marta , Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google ... 18 ,
Gallinella Filippo (M5S)  ... 19 ,
Staccioli Marta , Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google ... 19 ,
Catania Mario , Presidente ... 19 

ALLEGATO: documentazione prodotta dai rappresentanti di Google ... 20

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MARIO CATANIA

  La seduta comincia alle 14.30.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di Google.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca un'audizione importante nell'ambito dell'approfondimento tematico in materia di contrasto della contraffazione via web e in sede internazionale. Avremo il piacere di ascoltare i rappresentanti di Google, nella fattispecie il dottor Enrico Bellini, responsabile delle relazioni istituzionali di Google, e l'avvocato Marta Staccioli, dell'ufficio legale di Google stesso. Interverranno ambedue i nostri auditi.
  Do la parola al dottor Bellini per lo svolgimento della sua relazione.

  ENRICO BELLINI, Public Policy Senior Analyst, Italia e Malta di Google. Grazie, presidente. Io, per accelerare i tempi, leggerò un intervento, cercando di andare il più possibile sul punto e lasciando poi la parola alla collega Staccioli. Io mi concentrerò sulle tematiche di antipirateria e di tutela del diritto d'autore, mentre la collega si soffermerà sulla lotta alla contraffazione. Queste sono sicuramente tematiche di fondamentale importanza su cui Google è attivamente impegnata, quindi per noi quella che ci date oggi è un'importante occasione.
  Nel mio intervento mi soffermerò su tre punti, strettamente legati l'uno con l'altro: l'impegno di Google nel supportare lo sviluppo dell'industria dei contenuti e dei creator italiani ed europei, l'impegno di Google nella lotta alla pirateria on line e la gestione dei contenuti protetti dal copyright all'interno dei prodotti di Google. Aggiungerò anche alcune osservazioni in merito alla recente proposta di riforma europea del copyright presentata dalla Commissione europea il 14 settembre.
  Penso che quando si parla di protezione del diritto d'autore e di lotta alla pirateria non ci si debba soffermare soltanto sulle azioni volte a scoraggiare le violazioni del copyright, bensì anche su quelle mirate a valorizzare tale diritto.
  In tal senso, l'impegno di Google si focalizza su tre principali obiettivi: far sì che vi siano sempre più contenuti disponibili per gli utenti europei, contribuire all'aumento della remunerazione per i detentori dei diritti d'autore europei e impegnarsi attivamente e sempre di più nelle attività di contrasto alla pirateria.
  I servizi di Google sono innumerevoli e moltissimi di questi sono a favore della creatività. Uno su tutti, che immagino conoscerete, è YouTube, che serve a stimolare le persone a creare e condividere contenuti. Pensate che oggi, infatti, ogni minuto che passa vengono caricate su YouTube più di 800 ore di video da milioni di canali YouTube in oltre 80 Paesi nel mondo.
  Tra questi vi sono sempre più contenuti di quelli che noi chiamiamo «creator», cioè giovani creativi che grazie a YouTube Pag. 4hanno potuto esprimere la propria creatività, essere seguiti da milioni di persone e costruire una vera e propria carriera.
  Per essere breve e non perdere troppo tempo, allegherò agli atti alcune di queste storie, ma mi piace ricordare che abbiamo esempi in tutta Italia di questi giovani creativi. Ad esempio, in Puglia abbiamo un gruppo di cinque ragazzi, i Nirkiop, che sono partiti caricando alcuni video da Taranto e ormai sono diventati famosissimi; l'anno scorso hanno addirittura girato un film di grande successo.
  Vi sono esempi anche in Toscana. Una ragazza, il cui nome d'arte è Fraffrog, è partita dalla sua cameretta e ora ha costruito una carriera.
  Nel nord c'è un duo di ragazzi, che si chiamano iPantellas. Si sono conosciuti facendo gli animatori in piscina e avevano una passione per l'intrattenimento. Grazie ai loro video pian piano sono cresciuti e sono ormai seguiti da milioni e milioni di persone in tutt'Italia e oltre.
  YouTube, però, non è soltanto uno spazio per chi si affaccia per la prima volta al mondo della creatività, bensì anche per quei detentori di diritti che hanno una storia più tradizionale. Abbiamo tantissimi partner che collaborano con YouTube, come LA7, l'Istituto Luce e tutte le principali case discografiche.
  Anche con la RAI abbiamo sviluppato dei progetti legati a YouTube. Soltanto un paio di mesi fa, a settembre, abbiamo realizzato uno YouTube Pop-up Space qui a Roma, ossia per tre giorni YouTube e RAI hanno collaborato per predisporre corsi di videomaking e di strategia online per i giovani creator italiani, mettendo assieme e in sinergia le forze e i migliori talenti di RAI e di YouTube.
  Inoltre, va considerato che nella cifra che vi dicevo prima vi sono anche una grandissima parte di contenuti caricati da utenti che possono essere, però, monetizzati col sistema Content ID, su cui tornerò dopo, da parte dei detentori dei diritti d'autore.
  Pensiamo, ad esempio, ai video musicali. Grazie a YouTube le case discografiche possono, non solo far conoscere i loro talenti e tenere sotto controllo eventuali violazioni di copyright nei loro confronti, ma anche generare ricavi con quello che un tempo era un mero costo.
  Infatti, il videoclip una volta aveva dei costi per la realizzazione e per la messa in onda, mentre ora, una volta fatto questo, quando è su YouTube, con il sistema Content ID che vi spiegherò, è possibile per i detentori di diritti monetizzare, anche quando viene caricato da un fan.
  Pensate a un fan che decide di mettere come sottofondo del filmino delle proprie vacanze che carica su YouTube una canzone di successo. Il nostro sistema Content ID la riconosce e, se il detentore di diritti ha deciso di monetizzare quella canzone, i ricavi pubblicitari di quel video su YouTube vengono destinati alla casa discografica.
  Cito ancora alcuni numeri per farvi capire l'importanza sempre crescente che questi servizi stanno assumendo per favorire lo sviluppo dell'industria di contenuti. I creator europei attraggono il 25 per cento del tempo di visualizzazione globale su YouTube. In totale, il numero di canali che guadagnano più di 100.000 dollari all'anno su YouTube cresce del 50 per cento di anno in anno. YouTube ha pagato più di 3 miliardi di dollari all'industria musicale, 2 dei quali grazie al sistema di Content ID.
  Vi ho fatto questo discorso perché penso che quando parliamo di antipirateria sia fondamentale pensare agli strumenti per combattere le violazioni, ma sia altrettanto fondamentale valorizzare il più possibile il diritto d'autore stesso.
  Per questo pensiamo che quando si parla direttamente di lotta alla pirateria in primis ci si debba riferire all'aumento della messa a disposizione di contenuti legali.
  Un report del luglio di quest'anno dell'Intellectual property office del Regno Unito ha riscontrato come la percentuale di utenti che accedono illegalmente a film, musica e altri contenuti coperti da copyright è scesa al punto minimo mai registrato proprio quando l'istituto stesso ha rilevato l'utilizzo massimo di piattaforme legali come YouTube, Spotify e Netflix.
  Pertanto, è assolutamente fondamentale rendere il più possibile presenti alternative Pag. 5legali, per far sì che l'utente possa scegliere quelle invece che andare su scelte illegali.
  Accanto a questo, secondo noi, è molto importante avere approcci di tipo follow the money (seguire il denaro). Infatti, i siti illegali specializzati in pirateria sono ormai delle vere e proprie aziende e il modo migliore per mettere fuori uso queste aziende è interrompere il flusso di denaro che le supporta, che è costituito nella massima parte da introiti pubblicitari.
  In questo senso, Google è molto attiva ed efficiente nell'escludere quei siti dai suoi programmi pubblicitari.
  A tal proposito, nel 2014 l'associazione IAB Italia, che rappresenta l'industria della pubblicità on line, di cui noi facciamo parte, ha sottoscritto un memorandum of understanding per incrementare tale approccio anche in Italia assieme alla Federazione per la tutela dei contenuti audiovisivi e multimediali (FAPAV) e alla Federazione dell'industria musicale italiana (FIMI). Noi abbiamo fortemente incoraggiato la nostra associazione a sottoscrivere tale memorandum.
  Il nostro impegno in ambito follow the money è rigoroso. Abbiamo annullato oltre 670.000 annunci su AdWords per violazione del copyright solo nell'ultimo anno. Abbiamo escluso dal programma AdSense, che è un altro programma che fa monetizzare i siti, 91.000 siti e chiuso 11.000 account perché alcuni dei loro contenuti violavano il copyright. Dunque, ci impegniamo e lo facciamo in prima persona.
  Ovviamente essere efficienti ed efficaci e utilizzare una strategia scalabile significa innovare e investire in soluzioni antipirateria che possano tenere il passo con lo sviluppo del web. Per questo il nostro impegno caratterizza anche il nostro motore di ricerca Google Search e, come vi dicevo prima, YouTube.
  Per quanto riguarda Google Search, i titolari di copyright possono segnalare risultati di ricerca che rimandano a pagine con contenuti in palese violazione del loro diritto d'autore attraverso un form apposito creato secondo le disposizioni del Digital millennium copyright act, che è la normativa statunitense in merito, che permette loro l'autocertificazione della titolarità. Ciò comporta un'azione più tempestiva da parte dei provider.
  A tale proposito è importante sottolineare come, nonostante le richieste siano più che raddoppiate nel corso degli ultimi anni, il tempo standard medio che Google impiega per gestire queste richieste è di sole sei ore. In altre parole, quando un detentore di diritti segnala che c'è un link su un risultato del motore di ricerca che rimanda a una pagina dove c'è un contenuto in violazione di copyright, rispondiamo in sole sei ore. Soltanto nell'ultimo anno, tra novembre 2015 novembre 2016, abbiamo rimosso più di 898 milioni di risultati dal motore di ricerca.
  Inoltre, le segnalazioni valide nei confronti di un sito producono anche quello che noi chiamiamo un «segnale», che viene analizzato dagli algoritmi nel motore di ricerca e riconosciuto come indicatore di scarsa qualità del sito, che risulterà conseguentemente declassato nel ranking dei risultati per le ricerche future.
  Queste sono solo alcune delle cose che facciamo per aggredire il fenomeno della pirateria con Search.
  Ora, invece, mi concentrerò su YouTube. Per quanto riguarda YouTube, uno strumento molto efficace per la tutela del copyright e per combattere la pirateria è il Content ID, che citavo prima.
  Il Content ID è un sistema scalabile e automatizzato grazie al quale i titolari di copyright possono identificare i video di YouTube che includono contenuti di loro proprietà. Questo sistema è stato creato nel 2007. Google ha investito oltre 60 milioni di euro per svilupparlo e continua a dedicarvi attenzione e ricerca, affinché diventi sempre più efficace.
  Per farvi capire quanto sia in evoluzione e quanto sia sempre più apprezzato dalla stessa industria dei contenuti, ricordo che nel 2013 Content ID ha ricevuto un Emmy award, che è un premio della televisione americana. Dico questo per farvi capire che anche da parte dell'industria dei contenuti si apprezza questo tipo di impegno.
  Come funziona Content ID? È molto semplice e una volta raccontato rende bene Pag. 6l'idea. Ogni volta che un utente carica un qualsiasi video, prima che sia messo on line questo viene analizzato e confrontato con i milioni di file di riferimento (se fossero messi in fila, sarebbero circa 600 anni di contenuti). Ovviamente questi file di riferimento ci vengono dati dai detentori dei diritti, che stringono un accordo di partnership con noi, e non vengono visti dal pubblico, ma rimangono soltanto a noi per fare questo confronto.
  Ogni volta che un utente prova a caricare un contenuto, viene fatto questo confronto automatico e sono gli stessi partner che ci indicano se vogliono bloccare quel contenuto del tutto, se vogliono ricevere informazioni sulla sua visualizzazione, oppure se vogliono monetizzarlo. Possono fare tutto questo, non solo pianificando in anticipo le proprie decisioni, ma anche differenziandole per Paese, per periodi di tempo e per durata.
  Vi faccio un esempio molto semplice per chiarire. Pensate alla Lega calcio, che è uno dei partner di YouTube e di Content ID, e ai gol della serie A. Molto probabilmente la Lega calcio vorrà bloccare in Italia i video caricati da utenti con i gol dell'ultima giornata di serie A, finché non avrà provveduto lei stessa a caricarli su YouTube. Pertanto, avrà dato indicazione di bloccare il video quando il sistema Content ID fa il match e l'utente singolo Enrico carica un filmato del gol prima che lei stessa lo ha caricato. Di conseguenza, il video non andrà on line.
  Una volta messo on line, però, la Lega avrà probabilmente interesse a far sì che ci siano più video caricati dagli utenti e messi a disposizione, perché in questo modo, per esempio, c'è una maggiore condivisione, i gol vengono visti da più persone e si crea più interesse intorno a questo fenomeno. Pensate, ad esempio, a tutti i video che vedete con «i migliori dieci gol di...». Metto i puntini perché non voglio offendere le simpatie calcistiche di nessuno.
  È importante sottolineare come grazie a Content ID ora viene gestito circa il 98 per cento del materiale coperto da copyright su YouTube, con il 90 per cento delle richieste dei detentori di diritti che va verso la monetizzazione. È esattamente il punto che vi dicevo prima: dalla tutela e, quindi, solo blocco alla tutela e, quindi, ricavo di valore da questo.
  Siamo molto orgogliosi di tutto questo lavoro che stiamo facendo e siamo molto orgogliosi di riuscire a farlo, anche perché continuiamo a farlo confrontandoci con altre aziende, con l'industria dei contenuti, ma anche con le istituzioni, per migliorarci.
  Proprio per questo, come ultimo argomento mi preme condividere con voi alcune riflessioni sulla recente proposta di direttiva sul copyright presentata dalla Commissione lo scorso 14 settembre.
  Infatti, a nostro avviso, è importante trovare un punto di equilibrio che permetta, da un lato, ai titolari del diritto d'autore di gestire e trarre profitto dal proprio lavoro, e, dall'altro, lo sviluppo della creatività e dell'innovazione sul web.
  Secondo noi, purtroppo, con l'attuale proposta della Commissione questo equilibrio non è ancora stato trovato. Mi riferisco in particolare a due articoli della proposta di direttiva.
  Il primo è l'articolo 11 sulla protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale, che introduce un nuovo diritto per gli editori, che è la cosiddetta «link tax» o «ancillary copyright».
  Questa norma, a nostro avviso, è un tentativo della Commissione di rispondere alla crisi dell'industria dei contenuti, ma riteniamo che purtroppo non aiuterà a rilanciare il settore né a favorire una transizione al digitale.
  Lo riteniamo in primis perché la stessa soluzione è stata già tentata in Germania e in Spagna con risultati insoddisfacenti. Ad esempio, in Spagna la legge ha portato alla chiusura di diversi aggregatori, incluso Google News, ma soprattutto ha causato una riduzione del traffico per i siti di notizie pari al 6 per cento in media e in particolare al 14 per cento per gli editori più piccoli. Uno studio di NIRA, una società di consulenza, ha fatto una stima di circa 10 milioni di perdite annue.
  Questo dimostra che pagare per fornire link che sono gratuiti non è una soluzione Pag. 7possibile, porta a un minore pluralismo e a meno innovazione nell'ecosistema digitale.
  La vera soluzione, secondo noi, per facilitare la transizione al digitale dell'editoria è quella di puntare sull'innovazione e sulla collaborazione e non su sussidi e regolamentazione.
  Per questo, per esempio, abbiamo sottoscritto un accordo strategico in Italia con la Federazione italiana editori e giornali (FIEG) per promuovere un approccio innovativo per la stampa italiana nell'era digitale. Questo accordo prevede anche un investimento di base di 12 milioni di euro da parte di Google nel triennio dal 2016 in avanti, che verrà realizzato in collaborazione con gli editori associati FIEG.
  Per questo, abbiamo creato la Digital news initiative (DNI), una collaborazione a livello europeo tra Google e inizialmente un piccolo gruppo di organizzazioni europee operanti nel campo dell'informazione. Pian piano l'iniziativa è cresciuta ed è arrivata a contare oltre 1.000 organizzazioni che collaborano insieme.
  Grazie a DNI sono state sviluppate nuove soluzioni innovative open source. Non mi soffermerò nel dettaglio, ma ovviamente in fase di domande sarei più che felice di approfondire. Vi dico solo che anche in questo settore è stato istituito un fondo di 150 milioni per tre anni per sostenere progetti innovativi in ambito giornalistico aperti a tutti gli editori europei.
  Infine, aggiungo un ultimo appunto sull'articolo 13 della proposta di riforma del copyright, che obbliga le piattaforme con user generated content, come YouTube che citavamo prima, a concludere accordi preliminari con i titolari di diritti, allo scopo di impedire la diffusione illecita di materiali protetti sulle piattaforme.
  In pratica, si chiede alla piattaforma di monitorare preventivamente internet alla ricerca di possibili contenuti illeciti, in violazione del principio sancito dalla direttiva e-commerce, secondo cui non può essere imposto agli internet service provider un obbligo generale di sorveglianza.
  La norma, come formulata ora nella proposta di direttiva, non è solo di difficile applicazione, ma rischia anche di essere molto dannosa, perché, da un lato, incentiva le piattaforme a oscurare o bloccare tutti quei contenuti per i quali non vi è un accordo commerciale e, inoltre, costituisce una barriera all'ingresso nel mercato di nuove piattaforme o un ostacolo per la loro espansione.
  Anche questo è un risultato quasi paradossale, se si pensa che si vorrebbe cercare di favorire una sempre maggiore presenza di player, e costituisce un disincentivo all'implementazione di partnership e accordi di co-regolamentazione.
  In conclusione, riteniamo il confronto tra i diversi attori in gioco, che siano essi creator, titolari di diritti, rappresentanti dell'industria e istituzioni, come la soluzione preferibile a ogni altra strada. L'autoregolamentazione e gli accordi fra le parti sono la via in grado di preservare l'importante bilanciamento fra la tutela dei frutti della creatività e l'innovazione.
  Rimango a disposizione per approfondire questi temi in seguito, ma passerei la parola alla collega Staccioli.

  PRESIDENTE. Colleghi, come vi è stato già detto, abbiamo appena ascoltato la parte relativa alla pirateria e al diritto d'autore. Su questa parte vi è stato distribuito anche un corposo documento di Google, che integra la relazione che abbiamo ascoltato. Adesso l'avvocato ci parlerà della parte relativa alla contraffazione di beni.
  Do la parola all'avvocato Staccioli per lo svolgimento della sua relazione.

  MARTA STACCIOLI, Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google. Vorrei ringraziare anch'io il presidente e la Commissione per l'opportunità che abbiamo oggi di illustrare l'impegno di Google sia nella tutela del diritto d'autore che nella lotta alla contraffazione.
  Il mio intervento sarà focalizzato sulle attività poste in essere da Google per contrastare la contraffazione on line, includendo anche una breve analisi sui punti di sovrapposizione tra anticontraffazione e protezione dei diritti d'autore e anticontraffazione e violazione dei marchi.
  In primo luogo, mi sembra utile rilevare che l'impegno di Google rivolto al contrasto Pag. 8delle attività illecite sulla rete e in particolare all'esclusione di operatori e contenuti illeciti dai propri servizi è indirizzato a offrire la migliore esperienza possibile agli utenti, fornendo servizi più sicuri e di qualità.
  Ovviamente gli sforzi di Google sono indirizzati a creare un rapporto di fiducia, che deve essere guadagnata e meritata nei confronti degli utenti e senza la quale non potrebbe avere il successo che ha, crescere e innovarsi.
  Quello che racconterò in realtà è tutto pubblicamente accessibile, perché sono nozioni offerte agli utenti sulle pagine di supporto dei vari servizi che prenderò in considerazione.
  L'approccio all'anticontraffazione da parte di Google è e deve essere necessariamente diverso a seconda della natura del servizio offerto. Si parla di tre diversi tipi di servizi: piattaforme di hosting pubblicitario, che sono rappresentate da AdWords e Shopping, due servizi di Google; piattaforme di hosting non pubblicitarie, quali prevalentemente YouTube, Blogger e Google+; e altri tipi di piattaforme non di hosting, che includono prevalentemente il motore di ricerca web Search.
  Le prime sono piattaforme meramente commerciali, attraverso le quali i soggetti terzi promuovono i propri beni e servizi. Rispetto a esse Google applica misure di tutela aggressive, che sono sia proattive sia reattive, nei confronti di eventuali annunci e inserzioni che promuovano o tentino la vendita di beni contraffatti.
  Nel caso di piattaforme di hosting non pubblicitarie, invece, l'impegno di Google si concretizza nel vietare l'utilizzo di queste piattaforme per promuovere o vendere beni contraffatti. Sono state sviluppate delle policy anticontraffazione ed esistono degli strumenti messi a disposizione di tutti, prevalentemente dei titolari dei marchi interessati, per segnalare condotte contraffattive, a seguito delle quali Google procede a rimuovere i contenuti ospitati o addirittura a chiudere l’account nei casi più gravi.
  Infine, nel caso del motore di ricerca il servizio è meramente una riflessione di quello che c'è già in rete, a prescindere dall'esistenza del motore di ricerca, il quale non ha l'opportunità e il potere di controllare i siti che si limita a indicizzare. Ovviamente, qualora segnalati secondo le normative applicabili, deindicizza siti che permettono attività illecite.
  Per ciò che concerne nello specifico le piattaforme di hosting pubblicitarie, quelle commerciali di cui parlavamo prima, che sono le più targettizzate dai contraffattori per effettuare le proprie attività, essendo quelle che permettono un più diretto contatto con l'utente, Google applica delle policy molto aggressive, sia di azione che di reazione. Le cito brevemente.
  AdWords è un servizio che permette il posizionamento on line, quindi consente a chiunque abbia interesse a pubblicizzare un proprio bene o servizio di creare e pubblicare on line degli annunci. Questo è il motivo per cui è il veicolo di più facile accesso per il contraffattore per raggiungere gli utenti.
  Google ha dedicato ingenti risorse umane e tecniche all'ideazione e sviluppo di misure indirizzate a impedire e a eliminare la contraffazione sulla piattaforma di AdWords. Secondo le policy di AdWords, che devono essere accettate da tutti gli inserzionisti nel momento in cui aprono un account, sono assolutamente vietate la vendita e la promozione di articoli contraffatti, intendendo per tali quelli che contengono un marchio o un logo identico o stanzialmente non distinguibile da un marchio esistente e che imitano le caratteristiche dei prodotti di marca per essere confusi con i prodotti originali.
  Il divieto si applica sia rispetto ai contenuti dell'annuncio (quindi, non potranno essere pubblicati annunci che rimandano alla vendita dei prodotti descritti come repliche, falsi, imitazioni eccetera) sia rispetto al sito web di destinazione (quindi, non potranno essere promossi, anche se il testo dell'annuncio rimane neutro, siti in cui si effettua la vendita di beni contraffatti).
  Questo significa che inserzioni di questo genere non saranno approvate ab origine, ossia ne verrà impedita la pubblicazione dall'inizio. Pag. 9
  Questo tipo di protezione proattiva viene effettuata da parte di Google attraverso l'utilizzo di un sistema di machine learning, ovvero un sistema di intelligenza artificiale che permette l'identificazione di comportamenti contraffattori che siano posti in essere da inserzionisti o potenziali inserzionisti di AdWords.
  Il sistema funziona sulla base di modelli di rischio, che sono molto sofisticati e continuamente aggiornati sull'esperienza dei vari casi che vengono individuati e che identificano comportamenti contraffattori degli inserzionisti, in modo da mettere in luce le situazioni che dimostrano che c'è un'attività illecita in corso o tentata.
  Quando il sistema identifica una condotta contraffattoria, automaticamente l’account del relativo inserzionista viene chiuso e così ogni altro account connesso allo stesso dominio, ossia allo stesso sito.
  Il sistema funziona in maniera talmente veloce e precisa che nella maggior parte dei casi le inserzioni collegate a tutti gli account che vengono chiusi non vedono mai la luce, non sono mai pubblicate e non sono mai viste dagli utenti.
  Peraltro, ogni volta che c'è una chiusura di questo genere, il sistema raccoglie le informazioni sugli inserzionisti identificati come contraffattori, per prevenire e impedire loro tentativi futuri di riaprire un account sul servizio.
  Come ho detto, il sistema funziona in maniera automatica, ma ovviamente esistono dei casi in cui il sistema stesso non è in grado di definire completamente se effettivamente si sia verificata una violazione o meno. In quei casi, che sono rari ma esistono, c'è una revisione manuale da parte di esseri umani, che permette di verificare se effettivamente la violazione esiste o meno e, nel caso in cui esista, di chiudere l’account secondo il sistema automatizzato.
  Il sistema è davvero molto efficiente. Considerate che il 99 per cento degli account che sono stati chiusi per violazione delle norme anticontraffazione di Google lo sono stati a seguito dell'applicazione di questo sistema.
  Nel 2012 sono stati chiusi 82.000 account di Adwords per violazione di norme anticontraffazione e nel 2015 solo 18.000. In realtà, questo è un buon risultato, perché dimostra che i contraffattori o comunque i soggetti che intendevano fare attività illecite e promuoverle su AdWords hanno dovuto scegliere un mezzo diverso, perché non riuscivano ad aggirare il sistema di protezione applicato da Google.
  Ovviamente, però, questo non significa che i contraffattori non perseguano un processo di sviluppo e miglioramento delle loro tecniche. Ciò comporta che anche Google deve stare al passo e continuare a sviluppare e migliorare i propri sistemi.
  Oltre alle misure proattive che ho appena descritto, esistono delle misure reattive, che si concretizzano in un sistema di segnalazione e rimozione successivo, attraverso una procedura on line che è facilmente accessibile e fruibile ed è disponibile sulle stesse pagine di cui parlavo prima di supporto del servizio.
  A seguito di una segnalazione che sia valida, Google interviene nel giro di 24 ore. Ciò significa che anche in questo caso si ha una chiusura dell’account dell'inserzionista e l'esclusione del relativo sito dal sistema di AdWords.
  Ancora una volta, le informazioni raccolte vengono immesse nel sistema, per permettere che i modelli di cui dispone il machine learning aumentino e, quindi, ci siano sempre più elementi che consentano un'identificazione più efficace e precisa.
  Le segnalazioni manuali ex post sono ovviamente residuali, considerato che il sistema di machine learning opera veramente bene.
  Rispetto ad AdWords è interessante segnalare che, essendo la piattaforma che meglio permette a chi fa attività illecite di raggiungere gli utenti, c'è una sovrapposizione tra la lotta alla contraffazione, la lotta alla pirateria e la lotta alla violazione di marchi. Google, in realtà, si impegna in tutti e tre questi ambiti.
  Della lotta alla pirateria ha già parlato il dottor Bellini. Con riferimento ad Adwords forse non ha approfondito questo punto. Comunque, esiste un sistema di segnalazione simile a quello della segnalazione per contraffazione, basato anch'esso sul Digital Pag. 10millennium copyright act, una norma statunitense che richiede al titolare di un diritto di mandare una segnalazione che riporti una serie di dati, che permettono al provider di intervenire tempestivamente senza dover richiedere continuamente informazioni per capire qual è e com'è l'attività illecita.
  Quanto, invece, alla protezione dei marchi, AdWords ha delle norme per la tutela dei marchi stessi, che devono essere accettate dagli inserzionisti al momento dell'apertura dell’account.
  Tali norme sono state redatte anche sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia europea, in particolare dei casi Louis Vuitton e L'Oreal contro eBay, che hanno definito i limiti e l'ampiezza della violazione di marchi nel caso di servizi di posizionamento pubblicitario on line.
  Queste norme disciplinano l'utilizzo dei marchi sia nel testo dell'annuncio che quali parole chiave per far comparire l'annuncio stesso.
  Google offre un sistema ai titolari di marchi per poter rivendicare direttamente il proprio trademark rispetto al servizio di AdWords. In caso di marchi rivendicati, questi non possono essere utilizzati nel testo dell'annuncio e possono essere utilizzati come keyword solo qualora non si crei confusione nell'utente rispetto all'origine del prodotto che viene promosso.
  Peraltro, il titolare di marchi, non solo può rivendicare preventivamente il proprio marchio dicendo «Questo è il mio marchio e nessun altro può utilizzarlo nelle proprie inserzioni», ma può anche dire «Questo è il mio marchio e non lo può utilizzare nessun altro, tranne i miei rivenditori autorizzati, di cui vi fornisco una lista». In alternativa, può agire ex post: identificando degli annunci che ritiene in violazione del proprio marchio, li può segnalare dimostrando di essere il titolare e successivamente rivendicare automaticamente il marchio per il futuro, facendo sì che non si abbiano più annunci di quel genere.
  Rimanendo nell'ambito delle piattaforme di hosting pubblicitarie e, quindi, meramente commerciali, è interessante anche parlare di Google Shopping, che è un'evoluzione di AdWords che permette agli inserzionisti di pubblicare annunci con i dettagli del singolo prodotto che offrono in vendita. Di fatto, si tratta di piattaforme di e-commerce che pubblicizzano direttamente il prodotto che è in vendita sul loro sito anziché il sito stesso, e, quindi, il link è direttamente a quel prodotto piuttosto che all'intero sito.
  Anche le policy di Shopping vietano la vendita e la promozione di articoli contraffatti, come nel caso di AdWords. In questo caso i filtri per diventare inserzionisti e per poter pubblicare un'inserzione sono molto più alti, perché per permettere inserzioni in Google Shopping il venditore deve dare un feed costante sull'articolo, in cui siano indicate una serie di informazioni sull'articolo stesso. È evidente che questo elimina tutti quei venditori che siano di bassa qualità, che non abbiano abbastanza informazioni o che mandino semplicemente delle foto poco chiare, tra cui sono inclusi anche i contraffattori.
  Qualora sia identificato dal sistema di machine learning un prodotto contraffatto, né è impedita la promozione su Shopping e all'inserzionista viene chiesto di rimuovere quell'articolo e articoli simili. Se non lo fa entro un tempo prestabilito (di solito, sono sette giorni) ovvero qualora ci siano più segnalazioni o Google si accorga che ci siano più tentativi di pubblicizzare prodotti contraffatti, l’account è chiuso e la riapertura dello stesso è impedita per il futuro.
  Oltre alle azioni proattive, anche in questo caso abbiamo azioni reattive, ossia c'è la possibilità di fare una segnalazione, cui Google darà risposta entro 24 ore chiudendo l’account dell'inserzionista o eliminando i prodotti contraffatti.
  È da segnalare che questo diventa un po’ più difficile nel caso in cui gli inserzionisti siano dei marketplace o degli aggregatori di siti di e-commerce, come, per esempio, eBay o Amazon. In quel caso, si chiuderà l’account del sub-dominio, ovvero del negozio virtuale che si trova su eBay o su Amazon, oppure verranno rimosse e bloccate anche per il futuro tutte le inserzioni provenienti da quel determinato venditore. Pag. 11
  Passando alle piattaforme di mero hosting, non commerciali e non pubblicitarie, tra cui le più rilevanti sono YouTube, Blogger e Google+, il social network di Google, anche in questo caso ovviamente l'impegno alla lotta alla contraffazione è molto forte, sempre per lo stesso motivo: gli utenti non vogliono vedere contenuti di scarsa qualità o non vogliono essere raggirati mentre utilizzano un servizio di Google e quest'ultimo non ha nessun interesse a fornire un servizio di così scarsa qualità ai propri utenti.
  Pertanto, anche con riferimento alle piattaforme di hosting, che sono quelle piattaforme che si limitano a fornire uno spazio virtuale che l'utente può riempire di propri contenuti – YouTube, come abbiamo visto, ne è un esempio eccellente – ogni attività di violazione di diritti di terzi, inclusa la promozione della contraffazione, è assolutamente vietata.
  Esistono, dunque, e ne è richiesta l'accettazione da parte degli utenti di questi servizi, policy anticontraffazione che vietano la promozione e vendita tramite questi servizi di beni contraffatti.
  In questo caso, tuttavia, l'approccio alle violazioni può essere solo di tipo reattivo, perché esiste un gran numero di variabili rispetto ai contenuti che possono essere ospitati. Pensiamo, per esempio, a un servizio di giornalismo d'inchiesta in cui si vedono vari prodotti contraffatti che sono venduti nelle strade di Roma. In quel caso, la presenza di un prodotto contraffatto probabilmente è necessaria ai fini del diritto di cronaca e di informazione, circostanza di cui il sistema automatico non è in grado di tenere conto. In questo caso, quindi, le variabili sono troppe, per cui nemmeno il machine learning riuscirebbe a identificare con una precisione ragionevole o sostenibile cosa andrebbe rimosso e cosa no.
  Di conseguenza, la tutela è fatta in maniera reattiva. Anche in questo caso, deve essere l'utente o il titolare di diritti contraffatti che segnala al provider, che ovviamente interviene in maniera tempestiva, attività illecite che vengano promosse attraverso il servizio.
  Per ciascuno dei servizi citati (YouTube, Blogger e Google+), Google offre la possibilità di segnalare l'illegittima offerta dei prodotti contraffatti, attraverso procedure di segnalazione accessibili direttamente on line dalle stesse piattaforme.
  Su YouTube, quindi, possono essere segnalati video o commenti ai video che promuovono o rimandano a siti che vendono beni contraffatti, su Blogger possono essere segnalati post, commenti o anche solo immagini e video che rimandano a prodotti contraffatti e su Google+ possono essere segnalati post, video o commenti di beni contraffatti.
  Passando alle piattaforme non hosting e, quindi, ai servizi di web search, come anticipavo, purtroppo in questo caso è impossibile applicare un sistema di controllo preventivo, perché i contenuti non sono nemmeno ospitati da una piattaforma, ossia non esiste una piattaforma su cui vengono trasportati i contenuti, che sono solo su siti terzi.
  Il motore di ricerca si limita a fare una scansione di quello che c'è on line e a riportarne uno specchio in un ordine che segue dei criteri di pertinenza rispetto alla ricerca effettuata dall'utente. In quel caso è impossibile per il motore di ricerca identificare cosa c'è oltre il link del risultato di ricerca.
  Ovviamente questo non impedisce – in questo Google è assolutamente virtuoso – di applicare tutte le normative possibili, ovvero il Digital millennium copyright act (DMCA) da un lato e il decreto legislativo n. 70 del 2003, che ha implementato la direttiva e-commerce, dall'altro, e, su segnalazione valida, di deindicizzare i siti che siano ritenuti illeciti o in violazione di norme di legge.
  Purtroppo, questo non significa rimuovere il sito, che rimane in rete anche se non è visibile tramite il motore di ricerca. Per questo, la deindicizzazione ha un effetto un po’ meno forte rispetto a quello che ha su contenuti su cui Google ha il controllo.

  PRESIDENTE. Grazie, avvocato. Da ciò che abbiamo ascoltato, ci sono moltissime cose su cui riflettere. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  DAVIDE BARUFFI. Ringrazio i nostri ospiti per le ricche informazioni. Esamineremo con attenzione anche il dossier che ci hanno consegnato.
  Io vorrei portare l'attenzione su due questioni che sono state richiamate, in particolare nella prima relazione. La prima è relativa alla questione del cosiddetto «value gap», cioè il divario che si è creato nella distribuzione del valore in particolare nel mercato degli audiovisivi.
  Noi condividiamo l'approccio secondo cui occorre trovare delle intese condivise. Questa è la nostra idea su tutto quando si parla di contraffazione, pirateria eccetera, però mi pare che questa sia la questione che ancora una volta anche le associazioni che lei ha richiamato (FIMI, FAPAV eccetera) rimettono sul piatto come tema decisivo per la creazione di valore per i titolari dei diritti, i produttori o comunque in generale gli aventi diritto.
  Lamentano in particolare che rispetto ad altri tipi di piattaforme, che pure vivono con regole diverse e con licenze – lei ne ha ricordato qualcuna, come Spotify –, in questo caso collettori come voi non abbiano accondisceso a trovare modalità di distribuzione del reddito che siano sufficientemente sostenibili per loro.
  Noi crediamo che questo sia uno degli elementi importanti. Non è di stretta pertinenza della Commissione, però lo abbiamo ritrovato molte volte nelle audizioni che abbiamo svolto con le associazioni che ho richiamato.
  L'altra questione che queste e altre associazioni rappresentano con forza è la capacità di tenere fuori dalla rete contenuti piratati. Ho ascoltato con attenzione quanto ci è stato raccontato rispetto al Content ID. Lo guarderemo meglio, ma è una cosa non molto nuova. Mi pare che abbia generato obiettivamente una soddisfazione e una sua efficacia.
  Registriamo la necessità di un ulteriore salto di qualità, che diventi la garanzia che un contenuto riconosciuto come non lecito e come piratato rimanga effettivamente fuori dalla rete una volta che viene segnalato e rimosso.
  Mi riferisco anche all'osservazione che è stata fatta rispetto alla bozza di direttiva europea e all'articolo 14. Noi non crediamo che si possa arrivare per via normativa a un obbligo generale di sorveglianza per parte vostra e di altri. Tuttavia, riteniamo che probabilmente uno spazio in più per un passo avanti su una più forte responsabilizzazione, anche per sistemi che consentano di tenere giù (stay down e non solo take down) contenuti riconosciuti come illeciti, sia un elemento molto importante. Mi pare che questa sia la seconda questione dirimente che viene sollevata da parte delle associazioni con le quali avete anche sottoscritto accordi.

  FILIPPO GALLINELLA. Io vorrei un chiarimento e poi porrò una questione relativa a un impegno di Google col Ministero delle politiche agricole di qualche anno fa.
  Chiaramente sul motore di ricerca non scriverò mai «voglio una borsa contraffatta», ma magari scriverò «borse economiche». Una volta che viene caricata una serie di siti, che sono indicizzati forse in base al traffico utente (magari me lo spiegate meglio), se uno di questi siti si scopre essere un contenitore di vendita di prodotti contraffatti, voi intervenite in due modi. In primo luogo, intervenite se ve lo segnala il titolare del marchio o del diritto d'autore. Non ho capito qual è l'azione preventiva su questo tipo di configurazione.
  Due anni fa alle politiche agricole c'era il Ministro De Girolamo. Vorrei sapere come sta andando o se è morto il progetto Google Made in Italy e eccellenzeindigitale.it, che era stato promosso come un contenitore di prodotti registrati italiani che dovevano essere sponsorizzati nel mondo. Chiaramente tutti i prodotti che entrano dentro questo canale sono certificati, visto che l'accesso non è aperto ma è su richiesta.
  Vorrei sapere se questo tipo di struttura porta qualche risultato positivo.

  COLOMBA MONGIELLO. Ringrazio gli ospiti che oggi ci hanno fornito una relazione piuttosto dettagliata.
  Io, come sempre, sarò diretta e farò alcune domande, che ho posto anche agli Pag. 13altri ospiti, riguardanti la pirateria via web. Quando avete presentato questo lavoro il primo luglio di quest'anno, da molti osservatori è stato detto che c'erano solo enunciazioni di principio e non effettivi strumenti per prevenire e reprimere tale fenomeno. Come rispondete a questa accusa?
  La seconda domanda che vi pongo è la seguente: quanti sono gli accordi che avete siglato con i marchi e con quali marchi? Quali sono i prodotti più contraffatti e a quali filiere ci stiamo riferendo?
  Ho letto attentamente questo protocollo che avete presentato, dove c'è la possibilità di rimuovere dal web prodotti piratati. Nel caso in cui non ve lo segnali l'azienda o il marchio, ma altri osservatori sul web, come intervenite e quanto tempo passa dalla segnalazione alla rimozione dalla rete?

  ORESTE PASTORELLI. Vorrei fare velocemente una domanda, relativa a quanto detto, quando si parlava di apertura di account, perché ho ascoltato attentamente le relazioni. Su quest'aspetto, vorrei sottolineare, visto che tutti quanti stiamo lottando contro la pirateria, che, nel momento in cui un individuo si registra e chiede un account, lo fa mettendo i dati della persona e inviando il codice fiscale, senza nessun documento a sostegno, perché li scrive semplicemente, per cui può prendere anche dei dati falsi di altre persone, che non sanno assolutamente nulla.
  Si potrebbe in qualche maniera invertire questa tendenza, nel momento in cui si inviano i dati? Lo chiedo perché, successivamente la richiesta potrebbe essere inviata in cartaceo, ma, prima che il cartaceo venga inviato, l'utente può aver fatto tutta la parte della contraffazione, che voleva fare sull’account. Si può chiedere a sostegno il documento di riconoscimento, nel momento in cui uno crea un account?

  VINCENZO GAROFALO. Intanto grazie perché ci avete fornito una documentazione molto corposa, che tra l'altro cercheremo di esaminare, e anche perché le vostre relazioni erano dense di informazioni. Ho qualche domanda da tempo da sottoporre alla vostra attenzione.
  La prima domanda è: ritenete che le politiche di contrasto alla pirateria, che voi avete messo in campo, siano armonizzate con quelle nazionali dei vari Stati o con quelle comunitarie e quali sarebbero eventualmente le modifiche da adottare, se l'attuale cooperazione internazionale non fosse sufficiente?
  Sul diritto d'autore, vedo che voi utilizzate il sistema del take down e che lo fate rapidamente. Voi rapidamente escludete dal vostro motore di ricerca e dalla vostra attività coloro i quali, a giudizio vostro, violano il copyright, però mi chiedo come mai non siate altrettanto solleciti per quanto riguarda segnalazioni su diffamazioni oppure su violazione di concorrenza sleale. Questo francamente mi sembrerebbe un tema che riguarda anche la contraffazione e sul quale credo che ci sia anche l'esigenza di avere un chiarimento, perché in questi casi, almeno se ho ben capito, voi rinviate a una sentenza, quindi vorrei sapere perché avete un differente comportamento. Grazie.

  PAOLO RUSSO. Vorrei meglio capire qual è il rapporto di collaborazione che voi avete in Italia con le Forze dell'ordine, e chiedervi se magari ci fornite anche qualche esempio concreto di collaborazione utile. Inoltre, mi interessa capire qual è l'elemento discrezionale che vi pone nella condizione di attivarvi o attendere sentenze passate in giudicato.
  C'è un'ultima questione. Vorrei sapere se, nel rilevare da tutte le forme di contraffazione, avete individuato che trattasi sempre e solo di singoli episodi contraffattivi o se in qualche maniera si possa valutare anche una condizione di rete strutturata che agisce attraverso sistemi più o meno tradizionali di criminalità organizzata.

  PRESIDENTE. Aggiungo anch'io una considerazione, che è anche una domanda. Ci sarebbero molte cose da dire, ma non voglio essere debordante rispetto ai tempi, già abbastanza lunghi, che abbiamo dedicato a quest'audizione. C'è un punto, su cui vorrei tornare e che riguarda la parte dei Pag. 14prodotti contraffatti, non quella del diritto d'autore, e in particolare la funzione del motore di ricerca. Lo dico perché, oggi, abbiamo ascoltato molte dichiarazioni di principio e molti impegni apprezzabili, ma c'è da vedere poi in concreto come funzionino le cose, com'è stato già sollevato dai colleghi. Abbiamo anche sentito sostanzialmente, sul versante della funzione del motore di ricerca, che c'è stata un'alzata di spalle, per dire che praticamente non c'è niente da fare.
  In merito, io vi faccio una domanda molto diretta: è possibile che ci si assuma, non solo da parte di Google, ma da parte anche della pubblica autorità, la responsabilità del fatto che non c'è nulla da fare per evitare che la contraffazione venga proposta attraverso i motori di ricerca, cioè è possibile che si accetti una conclusione di questo tipo? È nell'esperienza comune che, se io metto un prodotto qualsivoglia su Google, quale motore di ricerca, chiedendo di fornirmi una serie di informazioni al riguardo, vengono fuori, nelle prime dieci posizioni, almeno cinque con offerta di prodotti contraffatti. Questo è nell'esperienza comune, quindi mi chiedo se è ammissibile – è una domanda a un certo tasso di provocazione – che si dica Google non può far niente o meglio i motori di ricerca non possono far niente. Allora, che facciamo? Dobbiamo accettare che questo avvenga così? Grazie.
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  ENRICO BELLINI, Public Policy Senior Analyst, Italia e Malta di Google. Grazie mille. I vostri sicuramente sono stimoli molto interessanti. Andrei in ordine cronologico, partendo dal primo punto, il tema del value gap, sollevato dall'onorevole Baruffi.
  Sicuramente tutta l'industria tradizionale dei contenuti sta attraversando quello che noi definiamo come transizione al digitale. La musica, una delle principali voci che in questo momento stanno sostenendo la tematica del value gap, è stata una delle prime industrie a cominciare questa transizione. Sul punto sollevato sull'esistenza di una distanza e di una mancanza di remunerazione, mi permetto di fare due osservazioni.
  Il primo punto è che, da dati della FIMI e della sua capofila, è emerso che, in dieci anni, si è passati da 0 a 3 miliardi annui di revenue generate dallo streaming on line. Le stime di diversi istituti di ricerca dicono che, nei prossimi dieci anni, si arriverà a 27 miliardi di revenue generate dallo streaming, quindi la fotografia al momento è una, perché si tratta di un mercato in transizione.
  Il secondo punto molto importante riguarda il fatto che, grazie a piattaforme di user-generated content, come YouTube, è possibile per l'industria musicale monetizzare qualcosa che un tempo era ascrivibile soltanto a un costo. Fino a venti anni fa, dire la parola «pubblicità» in una casa discografica significava comprare le pagine sui giornali, mentre, ora, significa monetizzazione su YouTube, per esempio. Oltre a questo punto molto importante, grazie a YouTube le case discografiche possono monetizzare una tipologia di utente, definita «non hard user», che non ha mai acquistato musica prima e probabilmente non l'acquisterà mai, perché, grazie a questo, è possibile monetizzare anche questo tipo di utente. Ovviamente i servizi di subscription e quelli chiamati «premium» sono molto importanti e, da questo punto di vista, anche Google è molto impegnato con il servizio di Google play All Access, per esempio, però bisogna dire che si tratta appunto di un mercato in transizione.
  Sempre su quest'aspetto, è importante quello che ricordavo prima nel mio intervento, cioè che, grazie a piattaforme di user-generated content, le case discografiche possano monetizzare la passione dei propri fan anche su contenuti completamente diversi. Come ricordavo prima, il video delle vacanze con la colonna sonora della propria canzone preferita consente alla casa discografica di generare delle revenue, cosa che, fino a qualche anno fa, sarebbe stato impensabile. Sarà poi la collega Staccioli ad approfondire la tematica del take down e dello stay down relativamente a YouTube. Pag. 15
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Gallinella sulle eccellenze in digitale e sul Made in Italy, posso dire che il progetto continua e, in realtà, si è evoluto da diversi punti di vista, quindi sulla parte dei digitalizzatori, che sono continuati a crescere negli anni, e sulla collaborazione insieme alla Camera di commercio, che è continuata per digitalizzare le piccole e medie imprese in tutta Italia. In particolare, per le tematiche più di interesse forse della Commissione, una parte del progetto prevedeva la realizzazione di una serie di mostre virtuali sulla piattaforma del Google Cultural Institute, dedicata ai prodotti tipici e all'artigianato locale. Anche in questo caso, sono diventate centinaia le mostre virtuali andate on line. Si tratta, secondo me, di una bellissima dimostrazione di collaborazione pubblico-privato, che è importante, perché queste mostre virtuali sono state create insieme ai Consorzi di tutela dei prodotti tipici, alle Camere di commercio e alle associazioni esperte dell'artigianato, per poter mettere in evidenza e far conoscere in tutto il mondo le bellezze e le ricchezze del Made in Italy.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Mongiello sulla mancanza di effettività di questi strumenti, posso dire che, in realtà, ormai attraverso Content ID passa il 98 per cento delle richieste di rimozione di copyright sulla nostra piattaforma. Come vi accennavo prima, sono più di 800 milioni i link, che rimuoviamo dal motore di ricerca su richiesta dei detentori dei diritti, e il numero di richieste continua ad aumentare, ma, nonostante questo, continuiamo a impegnarci, affinché i tempi di risposta siano sempre più bassi. Ovviamente, questo è un compito difficile ed è necessario continuare a impegnarsi, ma noi riteniamo di essere un operatore responsabile e per questo motivo continuiamo a dedicare risorse per farlo.
  Per quanto riguarda l'onorevole Garofalo, che chiedeva quali possano essere le politiche di contrasto alla pirateria su scala internazionale per una maggiore collaborazione, sicuramente penso che un maggiore sforzo e un maggior coordinamento da parte di tutti gli attori, per mettere in atto esempi di co-regolamentazione e di autoregolamentazione in ambito follow the money, sarebbero sicuramente la scelta e la strada giusta. Come citavo prima, secondo me è un esempio importante quello tra IAB, FIMI e FAPAV nonché un esempio da portare più a livello europeo, su cui lavorare tutti insieme, perché davvero, nel momento in cui si tagliano ai siti pirata le principali fonti di approvvigionamento, si toglie la linfa vitale, che permette loro di svilupparsi.
  Ho un ultimo richiamo da fare, per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Russo sul rapporto con le Forze dell'ordine italiane. Ovviamente, abbiamo degli ottimi rapporti, che sono dimostrabili dal fatto che, per esempio, con la polizia italiana collaboriamo su ben due iniziative. Collaboriamo ormai da tre anni per il progetto «Una vita da social», l'iniziativa della Polizia nelle postale e delle comunicazioni che è dedicata ai più piccoli e più giovani, per educarli su come navigare on line in maniera sicura.
  Inoltre, la Polizia postale e delle comunicazioni ha deciso di patrocinare un nostro progetto «Vivi internet, al sicuro», che è arrivato al secondo anno e che Google, insieme ad Altroconsumo e da quest'anno anche con la Polizia postale e delle comunicazioni, fa in diverse piazze italiane, anche in questo caso per promuovere un uso consapevole e più sicuro del web.

  MARTA STACCIOLI, Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google. Inizio rispondendo alla richiesta relativa al take down e stay down. In realtà, il take down e stay down, attraverso strumenti come il Content ID viene fatto, ma è necessario anche l'intervento dei titolari dei diritti per poter fare un'attività che sia sostenibile, corretta e lecita. Soprattutto nel caso di diritti d'autore, è molto difficile identificare il limite ovvero uno stesso diritto può essere in capo a più soggetti, che possono utilizzarlo entro determinati limiti. In merito, l'esempio più facile da capire riguarda soggetti che hanno diritto d'autore su uno stesso film per diversi Paesi.
  Lasciare, quindi, in mano a soggetti privati e terzi, come un internet service provider, Pag. 16 la possibilità di decidere, valutare e capire quando e come un contenuto possa e debba stare sui propri servizi e possa essere visto da un determinato pubblico o meno evidentemente è un rischio paradossalmente maggiore, che corre il titolare del diritto, quindi la soluzione in questo caso è una maggiore collaborazione. Inoltre, se mi posso permettere, forse anche nell'ambito del value gap, la soluzione è sempre una maggiore collaborazione fra gli operatori del mondo digitale e gli operatori del mondo dei contenuti tradizionale. L'immissione nel mondo digitale è un valore anche per loro e la tutela migliore viene fatta fornendo le informazioni necessarie agli operatori del web.
  Passando alle altre domande, che credo siano rimaste un po’ aperte, in particolare mi pare che sia tornato il discorso del motore di ricerca per sapere che cosa si può fare sul motore di ricerca e perché operare su un motore di ricerca è così difficile. Il motivo è rappresentato dalla natura del motore di ricerca del servizio rispetto ai servizi di hosting e dall'impossibilità del soggetto, che gestisce i motori di ricerca, di sapere che cosa fanno i siti terzi. Purtroppo o per fortuna, Google non è internet e, se si elimina Google, i siti che perpetrano attività illecite e che vendono beni contraffatti, continuano ad esistere. Inoltre, il fatto che questi siti non abbiano rapporti diretti con il motore di ricerca, che appunto si limita riportarli, e il fatto che, per come opera e per la natura tecnica del sistema, sia sufficiente modificare una lettera nell'URL del dominio o cambiare semplicemente contenuti, da un giorno all'altro, di un determinato sito rendono impossibile un intervento che sia effettivamente efficace.
  È necessario che si identifichi il vero responsabile dell'attività illecita e si blocchi all'origine di tale attività, altrimenti è vano qualunque intervento, che pure viene effettuato ai sensi delle normative vigenti. In tal senso, rispondo alla richiesta sull'effettiva armonizzazione tra le policy di Google e le leggi applicabili. Le policy di Google sono fatte sulla base delle leggi applicabili, quindi, laddove si tratta di copyright, esiste la Digital Millennium copyright act, che permette a un internet service provider di fidarsi di una serie di informazioni, che sono per legge definite e che il titolare del diritto d'autore deve fornire, per cui è sicuro che quel contenuto è di titolarità del titolare del diritto o meglio il titolare del diritto autocertifica di avere il potere di richiedere la rimozione e di ottenerla.
  In casi di diverse violazioni, l'esempio secondo me più chiaro in tal senso è la diffamazione, perché la diffamazione – ahimè! – è una cosa rispetto alla quale si va di fronte a un tribunale e che è difficile, soprattutto considerata l'ampiezza e l'operatività globale di un operatore, qual è Google, da gestire. Bisognerebbe avere un team di legali, che siano in grado di farlo e, tra l'altro, un avvocato può ritenere una frase diffamatoria e un altro avvocato può non ritenerla tale, ma anche lo stesso giudice può identificare un'immagine o uno scritto come diffamatorio e un altro giudice può non farlo, quindi figuriamoci tra Paese e Paese cosa può accadere. Si tratta veramente di un argomento molto difficile, quindi mi chiedo perché lasciare il potere di giudicare a un operatore privato.
  Anche in questo caso, il rischio di lasciare in mano a un soggetto privato delle decisioni così importanti è maggiore del rischio che, oggi, si corre ad avere la presenza di contenuti, che non sono leciti, on line.
  La normativa europea, in effetti, tiene conto e considera quest'aspetto e la normativa italiana ancor meglio, perché la normativa italiana impone agli internet service provider di agire, rispetto a contenuti illeciti, solo quando hanno comunicazione dell'illiceità da parte di un'autorità competente. L'esempio più chiaro è il regolamento AGCOM sul copyright, che in parte emula il DMCA. Lo dico perché, qualora ci fosse un soggetto con il potere di decidere, ovviamente non ci sarebbe nessun interesse dell’internet service provider a non ottemperare alle proprie responsabilità, per cui la richiesta di farsi giudice di una parte non sua, perché quelli non sono contenuti che fornisce, forse va contro gli interessi degli utenti stessi e degli stessi titolari dei diritti, Pag. 17che si assumono lesi. Questo è anche il motivo per cui effettivamente, rispetto al motore di ricerca, non ci sono, a oggi, strumenti di contrasto preventivo, ma esclusivamente appunto, nel rispetto delle leggi applicabili, solo strumenti di contrasto reattivo.

  PRESIDENTE. Resto sul motore di ricerca, intanto perché il collega Gallinella aveva fatto una domanda, cui non mi pare sia stata data risposta, vale a dire se ci può illustrare sommariamente in base a quali criteri il motore di ricerca fornisce la lista degli illeciti.
  Sempre sul motore di ricerca, oggi qui parliamo di contraffazione e lei ci ha detto queste cose, ma vorrei sapere se lei si sente di affermare che il motore di ricerca faccia qualsiasi tipo di attività di filtro per qualsiasi tipologia di illecito, cioè è così oggi?

  MARTA STACCIOLI, Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google. Certo che no.

  PRESIDENTE. E allora parliamone.

  MARTA STACCIOLI, Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google. Rispondo prima alla domanda sul ranking. L'algoritmo di Google, per effettuare il ranking, ovvero l'ordine dei risultati di ricerca, tiene conto di migliaia di elementi. All'origine dei motori di ricerca, l'elemento più facile era il meta tag, quindi il termine ricercato compariva nel sito indicizzato. Questo ha significato che moltissimi siti includessero delle parole, che sapevano essere molto ricercate, anche se non c'entrano niente col contenuto, per cui la pertinenza veniva assolutamente meno.
  La «rivoluzione» e forse anche la ragione del successo è nell'algoritmo PageRank, che è, in realtà, oramai obsoleto, perché è stato migliorato, sviluppato e integrato moltissimo, per cui è pressoché impossibile, oggi, descrivere quali sono i criteri oggettivi, visto che sono troppi e sono troppo variabili, ma possiamo dire che tendenzialmente il PageRank, che era appunto l'idea di base dell'algoritmo di Google, è basato sulla popolarità di un sito, cioè più siti rimandano a quel sito più probabile che quel sito sia pertinente per l'argomento in questione. Tuttavia, ovviamente per gli elementi, che si stratificano, sono migliaia i segnali presi dal motore di ricerca.
  I filtri esistono per illeciti che sono ictu oculi, come, per esempio, la pedopornografia. In merito, ci sono dei sistemi, che sono stati sviluppati, e Google, come diceva il dottor Bellini, ritiene di essere un operatore eticamente responsabile, anche perché, d'altra parte, non ha nessun interesse ad offrire agli utenti contenuti, che non siano gradevoli né opportuni e soprattutto illeciti; questo è evidente. Ci sono dei contenuti che, purtroppo, è impossibile non identificare come illeciti e rispetto ai quali, quindi, è possibile applicare dei filtri. I filtri sulla pornografia e sulla pedopornografia sono fatti attraverso dei sistemi completamente automatici, che riconoscono la quantità, per esempio, di color pelle all'interno di un video, quindi ovviamente esistono dei filtri, ma sono appunto applicabili solo qualora non ci sia il rischio di filtrare – per essere molto banali – altre cose. Tra l'altro, verrebbe meno la natura e lo scopo del motore di ricerca, se filtrasse qualunque cosa, e questa sarebbe una scelta, che così non è oggi.

  PRESIDENTE. Queste ultime considerazioni, che ho voluto far dire a lei per non dirle io, ci portano su un terreno diverso, perché passiamo da un tipo di affermazione, in base alla quale non è possibile filtrare, a un'affermazione, in base alla quale è possibile, però bisogna vedere cosa si vuole filtrare. È chiaro che la pedopornografia ha un tasso di gravità e un impatto su valori profondi della nostra società e di tutte le società umane, quindi è facile dire che, essendo in cima a una scala di valori, sia giusto filtrare la pedopornografia, mentre per il resto si può ragionare.
  Tuttavia, io credo che tecnicamente si dovrebbe affrontare meglio questo tema e ragionarci. Le faccio un solo esempio: la commercializzazione di farmaci contraffatti, fenomeno che sta crescendo in rete, anche degli antitumorali, a suo avviso si Pag. 18colloca in una scala di gravità, che meriterebbe una riflessione a riguardo o no?

  MARTA STACCIOLI, Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google. Intanto vorrei precisare che credo che purtroppo non c'è una questione di scala di valori, ma di quello che è tecnicamente possibile. Riportando la situazione off line, quindi nel mondo moderno, anche distinguere una borsa contraffatta da una vera non è un esercizio quasi facile, nemmeno per un essere umano, figuriamoci per una macchina, quindi non stiamo parlando di mancanza di volontà, ma stiamo parlando di impossibilità tecnica, altrimenti le nostre parole non avrebbero senso e appunto rimarrebbero semplicemente delle discussioni di principio, ma così non è. Veramente, senza voler portare acqua al nostro mulino, Google si impegna anche economicamente nella lotta alle attività illecite.
  Sul punto dei prodotti farmaceutici, per esempio, nel 2011 Google ha creato, insieme a delle organizzazioni internazionali, il Center for safe Internet Pharmacies, che permette agli utenti di trovare una serie di informazioni su cosa è possibile e cosa non è possibile vendere e pubblicizzare on line. Tra l'altro, su tutti i servizi pubblicitari di Google non è possibile promuovere la vendita di farmaci di nessun tipo e questo è un divieto assoluto, per il rischio che una cosa del genere comporta e per la difficoltà di identificare eventuali attività illecite anche in quel campo. Google è membro della Alliance for Safe Online Pharmacies, che appunto opera per creare un ambiente on line rispetto ai prodotti farmaceutici, che sia più sicuro e più sano per tutti gli utenti.

  VINCENZO GAROFALO. Vorrei dire che, se ho ben capito, lei ha fatto l'esempio della diffamazione, che non è una cosa da sottovalutare, perché può essere uno strumento di una gravità assoluta. Io credo che un'azienda come la vostra, che un'azienda leader nel settore, così come utilizza regolamenti di politica interna, possa essere un apripista rispetto a una normativa, che è sicuramente carente.
  Tuttavia, siccome lo strumento è così potente, dire «noi pubblichiamo, finché qualcuno non ci dice che quello pubblicato è diffamante», francamente – poi, ripeto che ci ragioneremo e penso che ognuno di noi farà l'attività che gli compete – non è una bella risposta, per lo strumento che voi possedete. Anche sulla stampa si può diffamare, però già c'è un codice deontologico che utilizzano gli informatori e che è ben diverso, quindi credo che la sua sia una risposta un po’ preoccupante e avrei preferito che lei avesse detto «non abbiamo ancora affrontato compiutamente la questione, anche se è sotto l'attenzione di tutti».
  Lo dico perché io, tra l'altro, quando le ho chiesto: nel momento in cui viene fatta una diffida per rimuovere un contenuto, perché è diffamante – ci sono fatti recenti, che non voglio citare espressamente – voi avete sostanzialmente risposto «finché non c'è una sentenza che ci dice che quel contenuto è diffamante, non siamo tenuti a farlo». In merito, secondo me dovreste adottare delle politiche differenti.

  MARTA STACCIOLI, Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google. Vorrei rispondere brevemente, perché forse mi sono espressa male nella mia risposta precedente. Esistono delle policy interne, per cui avviene, anche senza segnalazioni, la rimozione di contenuti ritenuti offensivi. Tuttavia, i criteri oggettivi, per identificare questo tipo di contenuti, sono evidentemente molto pochi e riguardano situazioni in cui è possibile per chiunque riconoscere la lesività del contenuto.
  Ci sono anche dei criteri identificati all'interno delle nostre policy, come l'assoluto divieto per tutti i soggetti, che operano sui nostri servizi hosting, di postare contenuti diffamatori, come il cosiddetto «hate speech», che ridicolizzino o offendano la razza o la religione, per cui questo non è assolutamente un tema che viene preso sotto gamba.
  Purtroppo, ci sono anche situazioni, in cui il singolo operatore privato non è in grado di riconoscerlo, per cui sarebbe grave assumersi l'onere e l'onore o meglio l'arroganza di decidere se una cosa è lecita o non lo è. Inoltre, è altrettanto pericoloso anche il contrario, cioè la segnalazione a detrimento di chi ha postato i contenuti. Vi Pag. 19posso fare un esempio, senza parlare dei servizi di Google: se una persona denuncia una violenza o maltrattamento tramite un social network e il maltrattatore chiede che venga rimosso il post o il commento, come fa il provider del social network a sapere chi ha torto o chi ha ragione? Questo è un problema oggettivo.

  FILIPPO GALLINELLA. Non ho capito un passaggio sulla questione della vendita dei farmaci. Da altre audizioni, è venuto fuori che il farmaco più venduto sul canale digitale è il Viagra, quindi io ho scritto «comprare Viagra» e ho visto che vengono indicati dai motori di ricerca i negozi, che lo vendono, per cui viene messa in vendita un sacco di roba. Per esempio, per un sito sono arrivato già all'area di pagamento, quindi vorrei sapere come funziona il controllo della vendita dei farmaci, visto che è un tema sensibile. Lo chiedo perché in merito non ho capito tutti i passaggi.

  MARTA STACCIOLI, Litigation Counsel, Italia e Grecia di Google. È impedita la pubblicità a siti che effettuano la vendita di farmaci.

  PRESIDENTE. Abbiamo avuto una interessante audizione, densa, come era ovvio, di temi delicatissimi. Ringrazio molto gli auditi, il dottor Bellini e l'avvocato Staccioli, dispongo che la documentazione trasmessa sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.

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