XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 23 di Mercoledì 17 giugno 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catania Mario , Presidente ... 3 

Audizione del Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma, Agnello Rossi:
Catania Mario , Presidente ... 3 
Rossi Agnello , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 3 
Catania Mario , Presidente ... 5 
Cenni Susanna (PD)  ... 6 
Catania Mario , Presidente ... 6 
Mongiello Colomba (PD)  ... 6 
Catania Mario , Presidente ... 6 
Rossi Agnello , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 7 
Catania Mario , Presidente ... 8 

Audizione del Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Michele Prestipino Giarritta:
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 8 
Catania Mario , Presidente ... 10 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 10 
Catania Mario , Presidente ... 11 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 11 
Catania Mario , Presidente ... 12 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 12 
Catania Mario , Presidente ... 16 
Cenni Susanna (PD)  ... 17 
Mongiello Colomba (PD)  ... 18 
Catania Mario , Presidente ... 19 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 19 
Catania Mario , Presidente ... 19 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 19 
Catania Mario , Presidente ... 19 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 19 
Catania Mario , Presidente ... 19 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 19 
Catania Mario , Presidente ... 19 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 19 
Catania Mario , Presidente ... 19 
Rossi Agnello , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 19 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 21 
Catania Mario , Presidente ... 21 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 21 
Catania Mario , Presidente ... 21 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 21 
Rossi Agnello , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 21 
Catania Mario , Presidente ... 21 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 22 
Catania Mario , Presidente ... 22 
Rossi Agnello , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 22 
Catania Mario , Presidente ... 22 
Rossi Agnello , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 22 
Prestipino Giarritta Michele , Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 22 
Catania Mario , Presidente ... 22

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO CATANIA

  La seduta comincia alle 14.05.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma, Agnello Rossi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca le audizioni del Procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma, Agnello Rossi, e del Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Michele Prestipino Giarritta.
  Lascio la parola al Procuratore Rossi, che ci parlerà soprattutto dei reati informatici.

  AGNELLO ROSSI, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Ringrazio lei, presidente, e tutta la Commissione per l'invito ad affrontare questi temi, sui quali ho potuto constatare avete già un certo quadro del fenomeno nella sua estensione e nella sua drammaticità.
  Per quanto riguarda i reati su Web, ci troviamo di fronte a due diverse categorie. La prima è quella dei reati informatici veri e propri, alle cui spalle abbiamo una normativa che consente la persecuzione dei reati stessi; l'articolo 11 della legge 48 del 2008 ha aggiunto all'articolo 51 del Codice di procedura penale il comma 3-quinquies, stabilendo il principio della distrettualizzazione dei reati informatici, ovvero della competenza delle procure site nel capoluogo del distretto giudiziario.
  Si tratta di reati come la violazione di sistemi, apparecchiature o programmi informatici o di reati relativi all'utilizzo o il danneggiamento di intercettazioni o comunicazioni informatiche, oppure di frode informatica.
  La seconda categoria di reati su Web riguarda invece i diversi reati non di natura strettamente informatica, ma che nel Web trovano un mezzo, un supporto per la loro effettuazione.
  Tali reati possono contemplare, ad esempio, la diffamazione, la truffa, o, appunto, la contraffazione; su questo non abbiamo nessuno strumento specifico.
  È vero che possiamo intervenire su singoli casi di contraffazione o illecita riproduzione o uso di testi e immagini, relativamente ad un singolo sito oppure su un blog; per quanto riguarda la vendita di prodotti contraffatti è anche possibile ricorrere al sequestro preventivo del sito.
  Naturalmente, la cosa diventa molto più complessa nel caso in cui entriamo in quelle forme mediate, l’hosting, l’access provider, cioè tutti soggetti che diffondono non una, ma decine di migliaia di informazioni, immagini e messaggi. Oltretutto, c’è giurisprudenza alla Cassazione, che in una serie di casi ha ritenuto esenti i provider, i fornitori del servizio, per i contenuti immessi.Pag. 4
  La giurisprudenza ha riguardato un caso, ma molto limite, ossia quello di Google – non si trattava, comunque, di un prodotto contraffatto – che, appena ha avuto cognizione che sul motore di ricerca erano presenti delle immagini negative per down, le ha subito eliminate. In ogni caso, un'intera giurisprudenza, o almeno alcune sentenze fanno salva da responsabilità dirette questa serie di soggetti che forniscono servizi. Peraltro, in un eventuale giudizio penale la loro consapevolezza dell'offerta tramite loro di prodotti falsi sarebbe molto difficile da provare.
  Fermo restando che per la gamma di reati esistenti non bisogna far riferimento solo al 473 e al 474, ma anche alle frodi contro le industrie nazionali, al 514, alla frode in commercio e ad altre norme più specifiche, comunque in questo i profitti illeciti derivano da meccanismi di vendita, che, essendo abbastanza diffusi, dovrebbero facilitare, in presenza di uno sforzo investigativo, l'individuazione delle reti di vendita, quando naturalmente questo avvenga sul territorio nazionale e non si ripropongono, come dirò di qui a un attimo, alcuni problemi proprio di rapporto con altri Stati.
  Sarò molto breve su una serie di truffe on line. eBay ha un atteggiamento collaborativo per i prodotti falsi, ma un sacco di gente su quella piattaforma truffa il potenziale acquirente. Si tratta, però, di truffe ordinarie. Allo stesso modo, ci sono dei falsi on line. Anche false dichiarazioni per ottenere contributi possono essere oramai ospitate nell'ambiente della Rete.
  Detto questo, per fare alcune considerazioni conclusive anche su alcuni problemi aperti su questo terreno, naturalmente la Rete è compressione di tempo e di spazio, nel senso della velocità di diffusione e, spesso, dell'incapacità di individuare il luogo da cui arriva un messaggio. Noi abbiamo costantemente il limite dell'ordinamento nazionale. A ogni momento in questo campo dovremmo varcare i confini nazionali. Da questo punto di vista, così come c’è stata a suo tempo una convenzione a Budapest sui veri e propri reati informatici, forse una convenzione internazionale potrebbe essere utile.
  Se dovessi indicare un obiettivo ideale, è che si prenda atto che il Web è diventato un nuovo ambiente in cui si moltiplicano i fenomeni criminosi, come è naturale, e si possa immaginare che i vari Stati si mettano d'accordo almeno su alcune linee guida, su alcune regole di cooperazione, su alcune ipotesi che vogliono contrastare in un certo modo. Come ho detto, la dimensione sovranazionale è fondamentale sul piano, appunto, dell'omogeneizzazione delle norme incriminatrici.
  Molti ordinamenti in alcuni casi non riconoscono neppure ipotesi per noi criminose. Servirebbe un minimo di omogeneità delle sanzioni, il coordinamento dei soggetti che operano sul terreno dalla repressione, ossia Forze di polizia e magistratura sul versante delle misure cautelari e personali, una disciplina dei sequestri preventivi dei siti e delle merci, delle sanzioni economiche definitive, come le confische. Nel nostro Paese esiste anche la confisca per equivalente, ma molto spesso all'estero il problema si pone in termini diversi. Mi rendo conto che si getta il cuore oltre l'ostacolo, perché una convenzione internazionale non si immagina dall'oggi al domani. Se, però, c’è un campo in cui questo sarebbe serio, auspicabile e desiderabile, è sicuramente quello dei reati commessi sul Web, sulla falsariga di quello che è avvenuto per i veri e propri reati informatici.
  Sul fronte nazionale credo che siano decisive le misure cautelari reali, appunto il sequestro preventivo, come le sanzioni economiche dissuasive nei confronti dei soggetti ritenuti responsabili. Come ho detto, noi operiamo molto già con questi sequestri. In alcuni casi è un po’ sfrangiato il tessuto anche con le confische per equivalente.
  La procura di Roma ha cominciato a battere una nuova frontiera in altri campi: se troviamo dei soggetti istituzionalmente dediti a quest'attività di contraffazione sul Web e fuori dal Web, potremmo anche rientrare nelle ipotesi introdotte relativamente Pag. 5di recente nella disciplina delle misure di prevenzione in cui si dice che possono essere adottate, appunto, le misure di prevenzione anche nei confronti di soggetti che vivono abitualmente dei proventi di attività illecite. Non escluderei in alcuni casi limite neppure il ricorso alle misure di prevenzione, laddove ci siano proprio dei soggetti per cui sia dimostrato che di questo vivono. Allo stesso modo si può agire contro il bancarottiere di professione, contro coloro che vivono di attività illecite, i cosiddetti colletti bianchi, anche in questo campo con cautela.
  Vengo ad alcune considerazioni finali anche su operazioni sotto copertura e agenti provocatori, di cui pure si parla o si è parlato. Se si vende la droga sul Web, è giusto che ci sia un'operazione sotto copertura, al limite anche un potenziale acquirente, ma in quel caso soccorrono le norme generale proprio sul contrasto. In questo caso, invece, è possibile essere un acquirente civetta senza bisogno che ci sia una particolare autorizzazione legislativa. Tu mi offri un prodotto e, se voglio verificare se è contraffatto, mi presento come acquirente. Siccome non c’è un inizio illecito dell'attività, forse potrebbe essere ultroneo.
  Farò poi un cenno alla tenuità del fatto, ma siccome mi occupo anche di criminalità economica oltre che di quella informatica, vorrei che si riflettesse anche su come se ne vanno da questo Paese gli enormi proventi della contraffazione. Abbiamo svolto un'indagine a Roma di grande rilievo, ma che ha fatto seguito a indagini in altri posti in Italia, in cui abbiamo individuato numerosi money transfer come un canale di enorme deflusso di proventi della contraffazione.
  In realtà, nei money transfer si facevano sistematicamente operazioni sotto la soglia della tracciabilità: quando era 5.000 euro, si facevano operazioni a 4.999 euro, quando 3.000, a 2.999. Adesso la soglia è 999 euro, tutto è più complicato, ma praticamente sette money transfer a Roma hanno trasferito un miliardo di euro nell'arco di due anni. Le cifre, quindi, sono enormi.
  Che via prendono i proventi della contraffazione ? In quel caso, la platea dei money transfer erano tutti commercianti cinesi che erano a Roma in varie zone. Abbiamo anche messo sotto osservazione un money transfer: entravano in una giornata tre persone e alla fine della serata, se si andava a fare la perquisizione, si trovava che avevano fatto 2.000 operazioni, avremmo dovuto avere 2.000 clienti, posto che quella disciplina è fatta per singoli.
  Direi che è necessario un ragionamento anche su questo. Altro è parlare di enormi proventi ed enormi danni per i consumatori e per l'impresa nazionale; altro è porsi il problema del deflusso e di come impedire che da questo Paese, per effetto delle congiunte evasione fiscale e contraffazione, se ne vadano certe somme.
  Quello della tenuità del fatto è un discorso molto interessante, su cui stiamo lavorando e, tra l'altro, ci sarà un convegno con le camere penali. Possiamo ragionare. Faccio una sola considerazione. Secondo me, non è il fattore di deflazione di cui si è parlato per anni. Perché fosse un potente fattore di deflazione, per permettere alle procure della Repubblica, leggendo una serie di denunce, di dire che in certi casi il gioco non vale la candela ed è inutile condurre le indagini perché il fatto, per come lo stesso denunciante lo presenta, è di estrema tenuità, avremmo dovuto costruire la tenuità stessa del fatto come una condizione di procedibilità. Avremmo dovuto dire alle procure di chiedere al gip – non deve farlo solo la procura – che non vale la pena andare avanti per la tenuità del fatto, a volte anche per la gravosità delle indagini per un fatto così tenue.
  Non è così. È una causa di non punibilità e diventa automaticamente anche un diritto dell'imputato farla valere in tutte le sedi. Forse tale causa potrà determinare un'accelerazione dei giudizi, ma non sarà il potente fattore di deflazione di cui speravamo di poter essere dotati.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il procuratore.Pag. 6
  Come avete colto dalle parole del dottor Rossi, la sua competenza come procuratore aggiunto gravita nell'ambito dei reati informatici ed economici, e quindi per quanto ci riguarda la contraffazione che passa via Web, mentre la restante contraffazione è di competenza del dottor Prestipino, nel riparto della procura di Roma. Se desiderate chiedere qualcosa al dottor Rossi, suggerirei che lo facciate adesso.
  Ho anch'io una domanda, ma cedo prima la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SUSANNA CENNI. Proprio per la competenza sui reati economici, possiamo anche informalmente chiedere un suo parere sullo stato un po’ più avanzato anche della relazione su Prato ? Lì andiamo a insistere su alcuni fenomeni su cui magari anche il suo contributo può essere interessante. Ovviamente, non in questo momento.

  PRESIDENTE. Mi impegno, non appena sarà pronta, a farle avere la bozza del lavoro svolto dalla collega che ha come focus tutta la vicenda pratese e tutta la fenomenologia della contraffazione, compreso il problema del money transfer presente anche lì.

  COLOMBA MONGIELLO. Dottore, lei ha illustrato una relazione veramente interessante su tipologie di contraffazione a noi fino a qualche tempo fa sconosciute. Al di là della contraffazione del prodotto, conoscevamo questo mondo veramente poco. Oggi ci ha offerto un quadro abbastanza completo.
  Sul money transfer già da diverso tempo, con le interlocuzioni che ci sono state qui in Commissione, emerge un intero mondo, che è anche una sottrazione di economia legale a questo Paese. Non saprei dirlo diversamente. Poi c’è il money transfer che ovviamente crea un altro fenomeno, ma alla base c’è un'economia legale in questo Paese, ormai ramificata in tutta Italia, ma produce reddito e ricchezza non certamente per questo Paese. Questo è il tema.
  Rispetto a tutta questa nuova fenomenologia, a parte che sul prodotto, di cui forse sapevamo qualche altra cosa, ma sulla produzione a monte il nostro codice è attrezzato ? I nostri strumenti normativi sono attrezzati perché possiamo intervenire su questi fenomeni ?
  Spesso andando in giro mi chiedono, come credo anche al presidente, come possiamo intervenire relativamente ai wine kit e a tutte le tipologie tecnologie di prodotto, ma la domanda più frequente riguarda i prodotti on line: se si acquista un prodotto in e-commerce, come si può intervenire se ciò che viene consegnato non risponde ai requisiti iniziali ?
  Inoltre, c’è una parte del flusso di commercio e di comunicazione di tipo economico su cui possiamo intervenire in maniera da tutelare sia l'azienda sia il consumatore ? Questa è una domanda che mi pongono spesso e io gliela riporto.

  PRESIDENTE. Aggiungo anch'io, in modo che risponda una volta sola, una riflessione/domanda, che in realtà poi si snoda nel solco di quanto osservava la collega Mongiello. Nel lavoro che abbiamo svolto in quest'anno di attività ci è parso abbastanza chiaro sin dai primi mesi che la problematica più difficile da affrontare è proprio quella della contraffazione che viaggia via Web.
  Mentre di fronte alle fenomenologie più tradizionali abbiamo uno strumentario perfettibile, ma comunque esistente, di norme penali e un'attività delle Forze di polizia, in larga parte anch'essa teoricamente migliorabile, ma comunque sostanziosa e adeguata, nei confronti del Web c’è un problema di diritto, cioè di norme applicabili, e uno anche di proiezione internazionale. Ci troviamo, infatti, il più delle volte di fronte ad autori del reato che stanno dall'altra parte del pianeta.
  Lei ha fatto un accenno al tema – riassumo – della convenzione internazionale come soluzione, che mi pare obiettivamente totalmente condivisibile, ma le propongo un altro paio di piste di lavoro su cui mi piacerebbe ascoltarla. Oggi si parla molto dell'approccio follow the money, Pag. 7per cui per aggredire questo tipo di fenomenologie va seguìto il denaro, che, nel caso della contraffazione che viola il diritto d'autore, è collegato normalmente alla pubblicità che sul Web si fa, come ricordava; per quanto riguarda la vendita di beni contraffatti via Web, non c’è una pubblicità da inseguire, ma il provento del reato è il pagamento stesso del bene.
  Ha senso lavorare su soluzioni di questo tipo ? A suo avviso, sono praticabili ? Quale quadro giuridico dovremmo costruire per renderle praticabili, cioè per aggredire, da un lato, la pubblicità fatta via Web come profitto per chi viola il diritto d'autore e, dall'altro, i compensi che viaggiano a riscontro della spedizione del bene contraffatto ? Ha senso ? È praticabile ? Lei è un esperto di criminalità economica essendo a capo di questa branca nella procura di Roma: è plausibile immaginare che un Paese come il nostro costruisca un quadro giuridico tale da consentirgli di aggredire questi flussi finanziari, che hanno poi appunto caratteristiche diverse ?
  Do la parola al procuratore per la replica.

  AGNELLO ROSSI, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Per quello che riguarda la prima domanda, distinguevo prima tra reati informatici e quelli di cui abbiamo parlato, cioè i reati comuni commessi sul Web. Qui c’è un ambiente, ma i reati e le ipotesi criminose a cui facciamo riferimento sono quelle tradizionali, che cambiano a seconda dei casi.
  Cito adesso un esempio che prima non ho citato. Tra le altre cose contraffatte che si vendono sul Web, ci sono anche i servizi finanziari, offerti però da soggetti che non ne hanno l'autorizzazione. Nel nostro ordinamento, infatti, per offrire servizi finanziari e bancari, bisogna avere requisiti di onorabilità, essere iscritti agli albi e così via. Lei assiste al proliferare di offerta sul Web per i servizi bancari o finanziari da parte di soggetti non abilitati.
  In quel caso, applichiamo la norma su abusiva attività finanziaria o abusiva attività bancaria, ma tutto questo avviene sul Web. Per quello che riguarda le merci, lei mi parlava di un consumatore a cui può arrivare un aliud pro alio, ovvero un bene contraffatto: lo strumento è la frode in commercio, quindi il 515. Abbiamo tutti gli strumenti tradizionali per cose che vengono fatte sul Web. Si può immaginare che sulla Rete tutto questo diventi più insidioso ?
  Si può immaginare una sorta di circostanza aggravante che dica che, in caso di frode in commercio, di offerta abusiva durante un'attività finanziaria, siccome avviene sul Web, più a distanza, in qualche modo è minorata la difesa del soggetto che accede, per cui questa diventa una circostanza aggravante specifica ? Potrebbe esserlo, come potrebbe essere una circostanza aggravante ordinaria o di quelle che fanno aumentare la pena.
  Si può ragionare in questi termini, avendo presente che per questa serie di reati si fa riferimento ai reati comuni tradizionali, tanto che non abbiamo, come ho detto all'inizio, delle statistiche specifiche, perché questi reati sono tutti incasellati in maniera indistinta nei reati tradizionali. Forse l'unico elemento unificante potrebbe essere un prevedere, almeno per alcune categorie di reati, la circostanza aggravante che rispecchi la maggiore insidiosità più che la maggiore gravosità. In realtà, possono essere molto insidiosi. Diversamente, discutiamo se, per esempio, oggi le norme tradizionali, il 473 e il 474, siano adeguate o meno, ma allora diventano tanti discorsi per tutte le norme, che forse è un po’ ampio rispetto al tema di oggi.
  Ho visto, per esempio, che la Confcommercio ha lamentato che ci sia il dolo intenzionale nelle due norme specifiche sulla contraffazione. Si può discutere di questo. Hanno anche chiesto dei giudici specializzati, ma noi abbiamo sempre difficoltà ad averne, e che oltretutto vedrei poco in questo campo. Capisco di più un giudice specializzato di impresa, di cui avremmo bisogno. In ogni caso, diventa un discorso molto ampio. Forse ragionare su una circostanza aggravante applicabile a Pag. 8tutti i reati quando sono commessi sul Web e diventano più insidiosi potrebbe essere una prospettiva.
  Voglio essere sintetico sulla seconda domanda. Non c’è dubbio che la pista giusta sia sempre quella di seguire i flussi di danaro. Io opero in due campi in cui – prima l'ho detto a proposito dell'informatica, ma potrei dirlo a maggior ragione nel campo dell'economia – i confini nazionali non esistono più. Abbiamo diritti nazionali e realtà sovranazionali, per cui certamente la Guardia di finanza è arrivata a livelli molto sofisticati nel ricostruire passaggi economici, piste di danaro. Paradossalmente, però, quando si tratta di realtà più grosse, è più facile, perché molto spesso si adottano certi schermi.
  Gli afflussi dei prezzi pagati per comprare dei beni che poi si riveleranno contraffatti, ad esempio, magari sono indicati in alcuni soggetti, che sono poi dei prestanome, dei poveretti a cui possono aver offerto, a volte ingannevolmente, altre rendendoli complici, di non fare niente altro che ricevere dei soldi, tenere il 10 per cento e trasferire gli altri. Una serie di meccanismi rende molto difficile seguire il danaro, un po’ per gli artifici usati, un po’ perché questo danaro si sfrangia in molti rivoli. Spesso, infatti, si usano delle reti di agenti ricettori, per cui il gioco comincia a diventare molto costoso rispetto alla candela che si conquista.
  La via è sicuramente quella, ma anche qui tenendo presente che abbiamo molte difficoltà, forse addirittura maggiori, perché poi questo diventa un problema enorme. Naturalmente, così come esiste un mandato di arresto europeo, che ha superato per esempio in ambito europeo il confine della libertà personale, si potrebbe immaginare che anche in ambito europeo si arrivi a misure di sequestro emanate dall'autorità ed eseguite in un altro Paese. Questo renderebbe tutto molto più snello.
  In ambito europeo, per esempio, abbiamo messo in comune la libertà delle persone, forse il bene più importante, mentre ancora abbiamo delle difficoltà a mettere in comune o a far riconoscere automaticamente da uno Stato all'altro delle misure anche cautelari ed economiche. Il generale Capolupo vi ha parlato anche di un euroconfisca, ma immaginare per esempio qualcosa di simile al mandato di arresto europeo nel campo delle misure cautelari reali mi sembra tutt'altro che immaginifico.
  Il ragionamento è che, se gli Stati hanno un tale livello di fiducia che riconoscono che si può arrestare qualcuno sulla base di un ordine emanato da un altro Stato, non si vede perché non si possa facilitare questo lavoro di sequestro per realizzare quello che lei diceva, che sicuramente è la direttrice principale quando si tratta di reati di questo tipo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Rossi e do la parola al dottor Prestipino.

Audizione del Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Michele Prestipino Giarritta.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. La ringrazio, presidente, soprattutto di quest'invito.
  Mi pare che siano state dette e segnalate moltissime cose anche in occasione delle precedenti audizioni, quindi mi limiterò anch'io ad alcune osservazioni sulla base dell'attività che coordino in due settori un po’ diversi.
  Da lato, infatti, c’è il settore della DDA, quando la contraffazione arriva a livelli più sofisticati, dal punto di vista sia della struttura organizzativa che ne gestisce la commissione, sia di tutti gli aspetti consequenziali; dall'altro lato, mi occupo anche come coordinatore di uno degli uffici centralizzati della nostra procura, in cui trattiamo in modo veloce una serie di affari semplici, ovviamente con la finalità di sveltire le procedure e di ottenere un vistoso effetto di deflazione dei carichi di lavoro. In una di queste strutture centralizzate trattiamo soprattutto quei reati a trattazione seriale, che non richiedono indagini particolarmente complesse, e quindi la violazione nell'ipotesi degli articoli Pag. 9474 e 648 del Codice penale, per capirci, il livello più prossimo al consumatore e alla strada della contraffazione.
  Da questo punto di vista, l'attività complessiva della procura di Roma, anche per le cose che ha già detto il collega Rossi, offre uno spaccato fortemente dimostrativo di quello che già è emerso nel corso di precedenti audizioni. Penso, per esempio, all'evoluzione del fenomeno della contraffazione sia sotto il versante dei cosiddetti profili produttivi, sia sotto quello dell'oggetto dell'attività di contraffazione, che ovviamente pone una serie di problemi.
  Oggi non c’è più la contraffazione soltanto di quelle merci o beni di consumo per cui si può porre un problema di falso grossolano, per cui, se acquisto per 20 euro una borsa con un marchio particolare, è chiaro che sto comprando consapevolmente un'imitazione. Se consideriamo la condotta di reato come offensiva del bene della pubblica fede, ovviamente abbiamo qualche problema dal punto di vista della stessa tipizzazione della condotta come fatto di reato, e consequenzialmente della punibilità.
  La situazione è cambiata. Possiamo testimoniare in concreto che non c’è solo questo tipo di merci e beni. Penso, per esempio, a tutto il mercato dei prodotti farmaceutici contraffatti o dei giocattoli, che sono lesivi o potenzialmente dannosi, per esempio, per la salute o per i materiali utilizzati o per le modalità di confezionamento. Di fronte a un prodotto contraffatto ma anche pericoloso ovviamente si pone un altro problema rispetto al prodotto semplicemente contraffatto che non ha delle potenzialità di pericolo per l'integrità fisica, per la salute del consumatore. Tutto questo emerge dalle nostre attività, dai nostri procedimenti.
  Fornirò alcuni numeri e alcune indicazioni su come ci siamo organizzati. Faccio riferimento a numeri raccolti per l'anno solare 2014, quindi dal 1o gennaio al 31 dicembre. Nella struttura centralizzata in un anno sono pervenute oltre 700 segnalazioni di reato per le ipotesi di accertamento di contraffazione – per capirci – da strada. Oltre 700 violazioni significa una media di due al giorno, e sono il frutto dell'attività di controllo del territorio da parte delle diverse Forze di polizia operative su questo tipo di settore, che a Roma sono svariate: polizia municipale, Guardia di finanza, in alcune zone della città anche singoli commissariati e così via.
  Un primo problema che si pone è quello della diversità dell'approccio nell'intervento da parte delle diverse Forze di polizia. Noi ci siamo trovati di fronte alla necessità di offrire una soluzione a una serie di problemi e di proporci come soggetto del coordinamento a livello investigativo, di accertamento dei reati attraverso una circolare con la quale abbiamo affrontato problemi sia di carattere operativo nell'accertamento del fatto reato per facilitare la definizione spedita del procedimento che scaturisce da queste segnalazioni, sia dal punto di vista della procedura per evitare le spese di custodia – parliamo di procedimenti dove c’è il sequestro – e l'accumulo di prodotti, che a volte occupano anche spazio notevole, con problemi dal punto di vista logistico.
  All'inizio del 2014, abbiamo cercato di uniformare le modalità operative di queste diverse Forze di polizia sotto questo punto di vista, in qualche modo suggerendo – vorrei dire imponendo – una serie di scelte operative, a partire dall'effettuare immediatamente il sequestro, laddove possibile perché c’è una persona fisica nei confronti della quale operare, quindi previa compiuta identificazione del soggetto stesso, con l'elezione di domicilio e la nomina del difensore. Questo ci mette in condizioni di definire immediatamente il procedimento.
  Dall'altro lato, su questo abbiamo dovuto forzare determinate prassi, soprattutto di alcune di queste Forze che operano sul territorio, sollecitando un'attività di campionatura delle merci contraffatte, soprattutto dove queste merci sono in quantità notevole, significativa. Non ha senso, infatti, conservare il sequestro di 5.000 prodotti tutti eguali, che costano tantissimo, sono un onere fortissimo per le Pag. 10casse dello Stato. Effettuare una campionatura, però, significa anche farlo con le garanzie del contraddittorio, ovviamente per salvaguardare i diritti della difesa. Abbiamo, quindi, imposto una prassi operativa che tenga conto dell'esigenza di garanzia del contraddittorio, di tutela del diritto alla difesa, di presenza del difensore.
  Questo ha rappresentato per le Forze di polizia un aggravio di lavoro che non sempre è stato digerito e metabolizzato con sufficiente grado di adesione, ma per noi ha significato una fortissima velocizzazione e, soprattutto, l'abbattimento degli oneri da custodia. Nell'arco di meno di un anno siamo arrivati dall'esborso di cifre particolarmente esose nei confronti dei titolari dei depositi giudiziari ad azzerarlo completamente attraverso questo meccanismo di campionatura. Una volta effettuata in contraddittorio la campionatura ed effettuata una sorta di accertamento tecnico sul prodotto, ordiniamo la distruzione della restante parte di beni oggetto del sequestro, e quindi eliminiamo in radice il problema e non abbiamo quasi più nulla nei depositi giudiziari.
  D'altro canto, a Roma è stato sottoscritto un protocollo d'intesa sotto l'egida della prefettura tra le varie Forze di polizia e la procura la Repubblica in direzione della soluzione di questo problema, con l'acquisizione, che è in itinere, di alcune strutture dismesse di carattere militare, che sono collocate nel centro della città, perché le Forze di polizia utilizzassero queste strutture, che hanno delle aree enormi al momento completamente inutilizzate, come luogo dove depositare tutto ciò che non si può distruggere per motivi processuali o per altro tipo di motivi.
  Ovviamente, queste scelte di tipo organizzativo ci hanno favorito nella definizione di questi procedimenti che riguardano, ovviamente, il livello più basso. Su questo abbiamo un buon tasso di definizione. Per capirci, abbiamo iscritto oltre 700 nuovi procedimenti su questo livello investigativo e ne abbiamo definiti ben oltre la metà. I ritardi derivano da due fattori, uno dei quali è che, soprattutto per l'accertamento della contraffazione di alcuni marchi, c’è scarsa collaborazione da parte dei titolari dei marchi stessi, se non quasi disinteresse. Non ci indicano consulenti utilizzabili, non ci offrono collaborazione, e quindi lì abbiamo qualche difficoltà.
  Nella circolare che abbiamo varato, abbiamo attribuito alle Forze di polizia, una volta effettuata la campionatura, un termine di 60 giorni per definire l'accertamento tecnico sull'avvenuta contraffazione del prodotto. Nella maggior parte dei casi, riusciamo a farlo rispettare, in altri no, perché le Forze di polizia, dopo aver metabolizzato la scelta operativa, incontrano difficoltà nel reperimento, per mancanza di collaborazione da parte dei titolari dei marchi, di consulenti in grado di effettuare questo lavoro.
  Il secondo fattore da ritardo è che su questo tipo di reati, che sono delitti – contestiamo il 474 e il reato di ricettazione, 648 – ci sono termini di prescrizione «comodi», piuttosto lunghi, e quindi vanno abbastanza in coda tra quelli per i quali il tribunale in funzione di giudice monocratico deve fissare l'udienza. Da questo punto di vista, la situazione a Roma è particolare. Come tutti sanno – l'anno scorso c’è stato anche un momento di pubblicità su questo problema – ci sono diverse migliaia di procedimenti in attesa di essere fissati, tra cui ovviamente ci sono anche questi procedimenti. Va risolto questo problema. Nonostante tutti i nostri sforzi dal punto di vista organizzativo, infatti, se non si arriva a una sentenza, siamo di fronte a una sorta di depenalizzazione di fatto, strisciante.

  PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo, ma altrimenti non capisco. Quando dice che, di quei 700, poco più della metà sono definiti, cosa intende esattamente ?

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Definiti nel nostro ufficio, nel senso che abbiamo fatto Pag. 11tutto ciò che è necessario per esercitare utilmente l'azione penale, non che c’è stata la sentenza, perché molti di questi vanno a citazione diretta, non in udienza preliminare. Andando a citazione diretta, chiediamo al tribunale di darci una data.

  PRESIDENTE. Sono definiti nel senso che avete trasmesso gli atti al giudice monocratico ?

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. No, non ci siamo riusciti. Abbiamo chiesto al giudice di dirci per quale udienza convocare l'imputato. Nel giudizio monocratico c’è questo problema: il pubblico ministero chiede l'udienza; se il tribunale non fornisce una data per l'udienza, il pubblico ministero si tiene le carte, ma fa anche pendenza. In questo momento credo di essere il magistrato in Italia con più procedimenti non evasi.
  Ovviamente, questo è un aspetto importante, perché è uno dei livelli di intervento investigativo, probabilmente quello più basso, ma è anche un livello a forte percezione. È, infatti, il livello più percepito dall'utente, dal cittadino, dal consumatore, un po’ perché ci sono certi meccanismi, dall'altro perché ovviamente è un fenomeno che contribuisce alla gestione dell'ordine pubblico e della sicurezza così come percepita in un contesto cittadino.
  Naturalmente, abbiamo un altro livello investigativo, che appartiene alla Direzione distrettuale antimafia. Molte cose sulle indagini che abbiamo condotto anche nel corso del 2014 sono state dette dal comandante della Guardia di finanza, il generale Capolupo.
  Mi permetto di aggiungere che abbiamo svolto due indagini partendo da uno spunto investigativo e abbiamo sequestrato diverse migliaia di capi contraffatti. Soprattutto, siamo risaliti lungo la filiera produttive, e quindi fino al luogo di produzione dei capi contraffatti, e nell'ottobre dello scorso anno, del 2014, abbiamo sequestrato, oltre a 10.000 capi contraffatti, una cinquantina di strumenti e macchinari utilizzati per la contraffazione dei capi stessi, tra cui appunto macchinari, personal computer, plotter da stampa, tutta quell'attrezzatura che serve per l'attività. Abbiamo effettuato questi sequestri, partendo da Roma – lo dico perché poi mi ricollegherò a uno dei temi che sono sul tappeto dal punto di vista delle soluzioni – in parte a Prato e in parte in Puglia, a Barletta.
  Grazie a un'altra indagine, nel corso di due anni abbiamo sequestrato oltre 10.000 capi e, soprattutto, individuato una sorta di struttura organizzativa che produceva e distribuiva questi capi contraffatti, che faceva capo alla zona del frusinate. Siccome mi offre lo spunto per una serie di considerazioni ulteriori, sottolineo che questa struttura organizzativa era a composizione mista, cioè di persone legate al territorio del frusinate, ma anche con soggetti di provenienza napoletana, in particolare delle organizzazioni criminali di stampo camorristico.
  In questa struttura organizzativa, quindi, c'era una sorta di fusione tra le «risorse», ovviamente criminali, del territorio e risorse di esportazione, quindi con know how professionali sviluppati. Questo non significa – parliamo del livello investigativo più alto – che questa struttura organizzativa era controllata dalla camorra o da qualche gruppo di camorra, ma semplicemente che alcuni camorristi, sostanzialmente in conto proprio, vi erano aggregati per lo svolgimento di quest'attività criminale.
  Dico questo perché, quando spostiamo le nostre investigazioni dal livello più basso e risaliamo verso il livello più alto, possiamo constatare che l'interferenza, il condizionamento delle organizzazioni criminali di tipo complesso, soprattutto di quelle mafiose, sul fenomeno della contraffazione non ha un unico un segno distintivo. È un'incidenza, un condizionamento, un'interferenza che si realizza secondo modelli diversificati. Non c’è sempre lo stesso modello.
  L'esperienza giudiziaria, almeno la nostra e quella che ho maturato prima in Direzione distrettuale antimafia da coordinatore Pag. 12a Reggio Calabria, e prima ancora a Palermo da sostituto – sempre alla Direzione distrettuale antimafia – è quella che siamo in presenza di modelli di intervento diversi. Dobbiamo uscire dall'idea che ci troviamo di fronte a un unico schema di intervento, cioè che camorra, ’ndrangheta o Cosa nostra, ognuna per le parti di rispettiva competenza, gestiscano in modo immediato, diretto, in proprio l'attività di contraffazione. Risalendo alcune filiere, non necessariamente si arriva dentro la casa di queste organizzazioni di tipo mafioso. Possiamo arrivare in luoghi diversi, in cui operano strutture che hanno una composizione, appunto, mista, diversificata.
  Da questo punto di vista, l'esperienza più significativa è quella che ho maturato in un'indagine che ho coordinato come aggiunto a Reggio Calabria e che ha portato a una serie di arresti sul finire del 2009. Mi permetto di prendermi due minuti in più, perché quest'indagine dà la misura del modulo di intervento e condizionamento di una delle organizzazioni mafiose, probabilmente in questo momento la più ricca, la più dinamica dal punto di vista finanziario, la ’ndrangheta, su un fenomeno come la contraffazione.
  Quest'indagine si conclude con il processo, al termine del quale sono stati tutti condannati, per cui i fatti sono già stati oggetto di accertamento giudiziario definitivo. Parliamo di un'attività in cui ci sono tre poli dal punto di vista del protagonismo soggettivo: da un lato, la ’ndrangheta; in mezzo, un imprenditore colluso con la ’ndrangheta, in senso penalmente rilevante, perché è stato condannato non ricordo se per concorso esterno o partecipazione, che non è affiliato, ma che comunque è «organico» alla ’ndrangheta e opera in una posizione privilegiata come spedizioniere, ed è in grado di sdoganare le merci nel porto di Gioia Tauro; infine, un'organizzazione molto agguerrita, fortissima, di cinesi che importano merci contraffatte di vario genere, dai giocattoli fino alle Nike, attraverso la via marittima.
  Quest'indagine mette in evidenza che ognuno di questi tre soggetti rimane autonomo rispetto all'altro. Sostanzialmente, stipulano una sorta di accordo, in cui tutti guadagnano qualcosa, anche l'imprenditore dal suo punto di vista privato, ma senza che ci sia una confusione. La ’ndrangheta non diventa protagonista della contraffazione.
  Qual è l'aspetto più rilevante e più preoccupante ? Noi intercettiamo delle comunicazioni telefoniche tra questo imprenditore colluso e una giovanissima donna cinese, rappresentante legale di una società della Repubblica popolare cinese, che opera nel settore del trasferimento di merci varie. Lo fanno attraverso container. Noi abbiamo una conversazione telefonica in chiaro straordinariamente dimostrativa.
  La ragazza cinese e l'imprenditore colluso fanno un patto tra «imprenditori criminali» che più o meno suona così: la ragazza cinese dice che si impegna a portare tutti i container che muove dal porto di Napoli a Gioia Tauro.

  PRESIDENTE. Anziché, cioè, farli sbarcare a Napoli, li farebbe sbarcare a Gioia Tauro.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Esatto. Proprio nel corso della telefonata all'imprenditore calabrese ’ndranghetista, la ragazza cinese gli dice: «Come si dice in italiano ? Tu non devi tradirmi». Che cosa vuole lei ? Vuole su Gioia Tauro il monopolio rispetto agli altri suoi concorrenti cinesi.
  Lui accetta e si determina una situazione per cui, anzitutto, questa società che trasferisce e movimenta beni attraverso i container lavora in regime di assoluto monopolio nel porto di Gioia Tauro, convogliando su quel porto tutti i container che riesce a spedire, e quindi ne trae un vantaggio. In quel porto, infatti, che è cruciale, le altre organizzazioni cinesi non entrano. Dall'altro lato, aumenta in modo esponenziale la movimentazione di affari sul porto da questo punto di vista. Il patto programmatico che registriamo effettivamente Pag. 13comporta – è analisi dell'Agenzia delle dogane – nei mesi a seguire un aumento incredibile, un picco nell'arrivo delle merci nel porto di Gioia Tauro e, al contrario, una caduta verticale a Napoli.
  Ovviamente, anche gli altri ci guadagnano: la ’ndrangheta, perché più volume d'affari c’è e più guadagno ha sulle movimentazioni; l'imprenditore colluso con la ’ndrangheta, perché tutta la merce che arriva nel porto di Gioia Tauro, una volta a terra, viene trasferita e sdoganata da lui, dalla sua impresa, che vede aumentare significativamente il volume dei suoi affari rispetto a quello degli altri trasportatori che lavorano nel suo stesso settore all'interno del porto di Gioia Tauro.
  Così, in questo schema trilaterale si realizza un profitto, ovviamente attraverso la violazione di tutte le regole, soprattutto di quelle della concorrenza a più livelli, compreso quello criminale, cioè delle attività dei cinesi che lavorano alla contraffazione, che consente a quest'organizzazione di cinesi, appunto, di importare sul territorio dello Stato un'enorme quantità di merci, milioni e milioni di capi contraffatti, singoli pezzi, tra paia di scarpe, giocattoli, merci varie. Queste erano indirizzate, da una parte, alla piazza romana, all'epoca nella zona di piazza Vittorio, uno dei cuori delle attività dei cinesi e, se non ricordo male, dove insistevano anche i sette money transfer che operavano proprio con commercianti cinesi; dall'altra all'Europa, in particolare alla Repubblica Ceca, quindi oltrepassavano i confini nazionali.
  Perché è importante quello che vi sto raccontando ? Perché dobbiamo partire da questo dato empirico per riflettere sui rimedi. Prima il presidente chiedeva, come tutti noi ci chiediamo ogni volta, se gli strumenti di cui disponiamo siano idonei, sufficienti, se ci consentano di intervenire efficacemente a contrastare un fenomeno che ha queste caratteristiche.
  Noi dobbiamo avere presenti le caratteristiche del fenomeno – questa volta non parlo del livello più basso, ma soprattutto di quello più alto delle investigazioni – e come interagiscono i suoi soggetti protagonisti per cercare di capire quali siano i rimedi giusti. Diversamente, rischiamo di sparare al passero con un cannone o di utilizzare il bisturi contro un carrarmato.
  Qui ho un compito ingrato, perché mi trovo nella necessità, avendo letto un po’ le audizioni degli altri e le proposte contenute nella relazione del presidente, di precisare un po’ il tiro dei rimedi. Lo faccio sotto due particolari profili, che ci stanno particolarmente a cuore anche come uffici.
  Devo, però, spendere alcuni minuti, e me ne scuso, per una premessa. Noi viviamo un momento un po’ particolare in cui siamo tornati su altri versanti in una sorta di logica emergenziale. Quando un fenomeno criminale assume determinati connotati di visibilità e riconoscibilità, scatta una sorta di allarme sociale e si lavora sull'emergenza, nel qual caso bisogna sempre alzare il tiro. Se un fenomeno criminale diventa grave, si alza il tiro e si dice che il fenomeno è gravissimo, enorme, si sta verificando per la corruzione, e che si deve pensare a dei rimedi forti, ossia alla Direzione distrettuale antimafia.
  Su questo voglio davvero proporvi delle riflessioni e invitarvi a tenerne conto. Noi non abbiamo bisogno di assimilare o di dire che determinati fenomeni sono più pericolosi della mafia. Mi rendo conto che l'argomento è un po’ scivoloso e anche delicato. Evocare la mafia significa evocare i morti, le stragi, tutto ciò che nella coscienza degli italiani viene immediatamente percepito come non solo riprovevole, ma proprio eticamente insopportabile. Se si parla di corruzione, allora lo spirito è quello per cui in fondo non si tratta che di aver preso una tangente.
  Credo che anche la corruzione sia un fenomeno eticamente riprovevole e censurabile quanto l'associarsi dal punto di vista mafioso. Credo che anche alterare gli equilibri e i conti della nostra economia nazionale con un mercato nazionale – il tema veniva sollecitato dalla domanda della vicepresidente – con questa sorta di numeri sia non soltanto un danno economico, ma anche eticamente riprovevole e Pag. 14censurabile. Dico che, però, su ognuno di questi fenomeni dobbiamo pensare ai rimedi giusti.
  C’è un filo conduttore comune che mette insieme sia il livello che vi ho raccontato all'inizio, quello degli oltre 700 procedimenti, della contraffazione da strada e così via, e il livello più alto ? Personalmente, avverto come esigenza principale quella di avere un sistema che consenta in modo armonioso di risalire, ricostruire le filiere, accertare le responsabilità verso l'alto. Questo è un fenomeno criminale che non si può contrastare a valle.
  Dobbiamo andare verso monte. A valle significa che si possono sequestrare in una città come Roma mille borse – ma potrebbero essere le cinture, le sciarpe, quello che volete – mille o diecimila prodotti ogni giorno, ma il giorno dopo ne spunterebbero altri diecimila. Sarebbe come cercare di contrastare il traffico internazionale della droga semplicemente sequestrando le dosi che il singolo spacciatore vende sulle singole piazze di spaccio. Noi abbiamo l'esigenza di avere strumenti forti, incisivi, che ci consentano di risalire la china delle responsabilità. Questo, però, significa che parto da Roma – per questo vi ho citato quegli esempi – e arrivo a Barletta, a Trani, a Prato; che parto da Gioia Tauro e arrivo a Roma, nella Repubblica Ceca.
  Dobbiamo trovare una soluzione che eviti il pericolo della frammentazione delle indagini, cioè della frammentazione delle singole attività, che impedisce a un'autorità giudiziaria di dare una lettura complessiva del fenomeno e di mettere insieme tutti i pezzi per risalire, individuare e accertare le singole responsabilità in ordine a un segmento di fenomeni più complessivo, più importante. Nel caso della contraffazione, risalendo dal punto più basso verso il punto più alto non si trova la cupola, ma i poli produttivi sì, ed è lì che voglio arrivare e intervenire.
  Questo ci pone innanzitutto un problema di competenza. Se lavoro su Roma, sono la procura di Roma; se arrivo a Prato, devo misurarmi con la procura di Prato; se arrivo a Barletta, devo misurarmi con un'altra procura e così via. Ho visto che sia il Comandante generale della Guardia di finanza sia la relazione del presidente auspicano un rafforzamento e un allargamento di competenze delle direzioni distrettuali antimafia. Dico subito che questa è una soluzione sbagliata.
  Questo non significa che non dobbiamo puntare – scusate se uso questo termine – a centralizzare la direzione delle indagini, ma dobbiamo farlo non ricorrendo alle direzioni distrettuali antimafia, bensì tecnicamente usando l'altro strumento, cui accennava anche il collega Rossi, della competenza delle procure site nel capoluogo del distretto. Per capirci, l'articolo 51 del Codice di procedura penale prevede, sostanzialmente, tre competenze diverse: il comma 3-bis, il comma 3-quater e il comma 3-quinquies dell'articolo 51 del Codice di procedura penale.
  Il comma 3-bis prevede i reati di competenza delle direzioni distrettuali antimafia, mentre i commi 3-quater e 3-quinquies prevedono la competenza delle procure che hanno sede nel capoluogo del distretto. Intendiamoci, fisicamente sono le stesse procure, ma c’è una fortissima differenza in questa scelta tecnica. Qual è il punto ?
  Il punto è che nell'organizzazione delle risorse umane all'interno delle procure il nostro modello organizzativo prevede la divisione dei procedimenti per materia e l'attribuzione delle materie a dei gruppi di lavoro. Abbiamo un sistema flessibile di ingressi e di uscite nei gruppi di lavoro, che però vale per tutti i gruppi tranne che per uno, quello della Direzione distrettuale antimafia, che ha una struttura, se mi è consentito il termine, che mi scuso perché è assai poco tecnico, molto ingessata.
  Secondo le regole interne, per passare dal gruppo dei reati contro l'economia a quello dei reati contro il patrimonio, si fa un interpello interno all'ufficio di procura e i colleghi passano da un gruppo all'altro secondo criteri oggettivi, dopodiché il procuratore stabilisce con una propria deliberazione, sentiti i procuratori aggiunti, questa movimentazione. Il sostituto procuratore Pag. 15che fa parte di un gruppo di lavoro può far parte anche di un altro gruppo di lavoro, come accade nel nostro ufficio a molti colleghi. Soprattutto, a questi colleghi sono attribuiti anche i procedimenti residuali, la materia del cosiddetto generico, che in un ufficio come la procura di Roma sono la stragrande maggioranza.
  Tutto questo non riguarda i magistrati della Direzione distrettuale antimafia, che fanno e devono fare soltanto quello, non diventano assegnatari della materia generica. È una scelta di tipo ordinamentale che è stata fatta per una serie di motivi sui quali non vi tedierò.
  Se aumentiamo le competenze della Direzione distrettuale antimafia, creiamo un ingorgo che si può risolvere soltanto aumentandone l'organico. In questo modo, però, indeboliamo gli altri gruppi di lavoro. A Roma abbiamo una serie di problemi di equilibrio tra questi diversi gruppi perché non è Reggio Calabria né Palermo.
  Quando ero aggiunto a Reggio Calabria, per esempio, con il procuratore Pignatone avevamo portato l'organico della DDA a metà dell'ufficio: 24 sostituti, 12 componenti della Direzione distrettuale antimafia. La ragione è che quell'organizzazione rispecchiava il numero dei procedimenti di reati di competenza della Direzione distrettuale antimafia, in particolare procedimenti per associazione mafiosa e per traffico di stupefacenti, reati tipici della competenza della Direzione distrettuale antimafia.
  A Roma la Direzione distrettuale antimafia è una delle componenti dell'ufficio, senza alcun dubbio non la più importante, che nel nostro ufficio, almeno secondo il mio punto di vista, è quella diretta dal collega Rossi sui reati contro l'economia. Un'altra articolazione importante del nostro ufficio è quella sui reati contro la pubblica amministrazione, che, se mi è consentito, in una città come Roma dovrebbe essere una struttura particolarmente forte.
  Ora, se dobbiamo rafforzare e allargare l'organico della Direzione distrettuale antimafia in danno degli altri gruppi, non facciamo un buon lavoro, ma un lavoro che non va bene. Noi riusciamo a soddisfare quell'esigenza di evitare la frammentazione, sulla quale siamo tutti d'accordo e consapevoli, ma mettendo le competenze in materia di contraffazione, che devono essere in qualche modo centralizzate – uso questo termine solo per comodità – non nella Direzione distrettuale antimafia, ma nella procura che ha luogo nel distretto.
  Questo consente, nell'attribuzione dei procedimenti di contraffazione, una maggiore flessibilità, la possibilità di creare gruppi di lavoro più larghi e anche una maggiore professionalità. Oggi, infatti, le direzioni distrettuali antimafia sono destinatarie di una serie di competenze, sempre sulla base della logica emergenziale, che ci impongono delle scelte particolari dal punto di vista organizzativo. Ve ne illustro una.
  Il traffico di rifiuti è di competenza della Direzione distrettuale antimafia, ma il sostituto che si occupa «professionalmente» di reati di mafia e, ad esempio, di traffico di stupefacenti non ha alcuna conoscenza e spesso ha difficoltà nell'affrontare tematiche specifiche che richiedono conoscenze tecnico-specifiche anche da un punto di vista normativo delle leggi speciali che regolano la materia dell'ambiente.
  Quella del traffico di rifiuti è una fattispecie che non è soltanto la Terra dei fuochi cosiddetta e la camorra. Nel Lazio abbiamo come DDA una serie di procedimenti per traffico di rifiuti che vanno dalla discarica di Malagrotta fino allo – scusate la volgarizzazione – smaltimento sistematico e organizzato dei pneumatici di risulta di un gommista di Viterbo, con tutto il rispetto per il gommista di Viterbo – parlo di un caso vero e concreto – che tecnicamente è di pertinenza della DDA, articolo 260. Io devo applicarvi un soggetto del gruppo ambiente. Al collega di questo gruppo devo dire che lo applico alla DDA per trattare un certo procedimento, perché non può che trattarlo un sostituto del gruppo ambiente.Pag. 16
  Da un punto di vista organizzativo, questo significa che devo fare un provvedimento organizzativo applicando un collega da un gruppo di lavoro alla DDA, che questo provvedimento deve andare al Consiglio superiore della magistratura, che deve approvarlo. Negli ultimi tempi, il Consiglio superiore si è dotato di provvedimenti di natura regolamentare rigidissimi sull'applicazione alla DDA. Ovviamente, infatti, hanno anche lì problemi di parità di trattamento, di trasparenza, c’è la questione del perché si applichi un sostituto anziché un altro.
  Per capirci, l'implementazione a dismisura della competenza della DDA, soprattutto per materie che non hanno omogeneità con i reati originari di competenza della DDA, è una soluzione che non funziona. Io vi suggerisco di ricorrere all'articolo 51, comma 3-quinquies del Codice di procedura penale, perché riusciamo a raggiungere lo stesso effetto e lo stesso risultato senza i danni collaterali.
  Allo stesso modo, ho una serie di fortissime perplessità in merito al fatto che dobbiamo trovare un criterio diverso di risoluzione di radicamento della competenza per territorio su questi reati in cui, ricostruendo le filiere, lavoriamo su territori diversi. È giusto, nel senso che parto da Roma e arrivo in Puglia, arrivo in Toscana, in Umbria e così via.
  In parte, risolviamo il problema se attribuiamo questi reati alla competenza delle procure «semplicemente» distrettuali, non antimafia. Ho letto di una proposta che stabilisce che la competenza per territorio su questi reati si determina sulla base della prima notizia di reato iscritta. La procura che iscrive per prima sarebbe competente su tutto.
  Anche in questo caso vi invito a riflettere su questa soluzione, perché produce danni e non ci porta nessun beneficio. È una soluzione che attribuisce alla casualità la competenza per territorio su una questione così delicata. Che significa la procura che iscrive per prima ? Può essere qualsiasi procura. Va contro l'esigenza di razionalizzazione e di evitare la frammentazione nelle indagini in questo settore.
  Ci sono procuratori della Repubblica che coltivano questo valore del coordinamento e noi ci coordiniamo continuamente su molte attività di indagine che riguardano le competenze di territori di diverse procure. Penso che si possa fare anche in questo settore. Se centralizziamo, per un verso, i reati di contraffazione sulle procure distrettuali, poi lasciamo i criteri ordinari di attribuzione della competenza per territorio e poi mettiamo le procure distrettuali in collaborazione e in coordinamento tra loro, penso che risolviamo molti problemi. A monte, infatti, i problemi del coordinamento in questo settore devono essere risolti a livello di Forze di polizia. Se distinguiamo ruoli e posizioni delle diverse Forze di polizia su questo settore, credo che facciamo un passo avanti significativo.
  Perché mi permetto di sollecitare queste riflessioni e muovere queste perplessità ? Noi dobbiamo superare le conseguenze delle logiche emergenziali, che nel nostro Paese proprio storicamente non hanno prodotto mai nulla di particolarmente esaltante. Certe cose sono valori. L'armonia e l'unitarietà del sistema penale sono dei valori. Non possiamo costruire tanti sistemi penali quante sono le categorie dei reati. Già oggi abbiamo problemi. La dottrina penalistica è molto critica sull'esistenza di un doppio binario processuale, uno per i reati ordinari e uno per quelli di competenza delle direzioni distrettuali antimafia.
  È chiaro che questo doppio binario ha un suo fondamento, una sua ragion d'essere, delle sue giustificazioni profonde, e peraltro ha dato buona prova e funziona, ma non possiamo andare oltre e stabilire lo statuto per i reati della contraffazione, quello per i reati contro la violenza sessuale, quello per i reati con regole e sistemi propri. Non possiamo moltiplicare i princìpi generali del nostro sistema penale, che debbono rimanere necessariamente unici e validi per tutti i reati.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Prestipino.Pag. 17
  Le dico subito: sia certo che le argomentazioni che ci ha prospettato su questi ultimi due problemi in particolare, cioè lo «scenario» DDA e l'ipotesi di attribuzione della competenza alla prima procura che iscrive il procedimento, che ha esposto con molta passione e documentazione, saranno ben meditate dalla Commissione. Le assicuro che avranno la massima attenzione.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SUSANNA CENNI. Intervengo anzitutto per ringraziare, perché trovo le audizioni di questo pomeriggio particolarmente utili per i lavori che stiamo tentando di portare avanti e, ovviamente, anche per mettere a punto meglio le indicazioni che tenteremo come Commissione di dare all'Aula e al Governo per migliorare il sistema, come avete detto anche voi nelle vostre relazioni.
  Rivolgerò qualche domanda in ordine sparso, perché le relazioni sono state davvero esaurienti, e quindi ad alcune domande che mi ero appuntata sono già arrivate le risposte. Ho trovato forte conferma di quello che ci diceva, dottor Prestipino, con grande chiarezza, e cioè che fondamentalmente la sfida più grande è quella di tentare di risalire le filiere e aggredire i vertici o, comunque, gli snodi fondamentali. Sento di sottolinearlo, perché un po’ troppo spesso ci fermiamo al tema della vendita su strada, e quindi anche dell'azione della polizia municipale, importantissimo – per l'amor del cielo – ma se da lì non si risale a ciò che c’è dietro, a chi organizza i terminali finali, diventano sicuramente elementi poco rilevanti.
  Lei ci ha rappresentato con grande chiarezza alcuni esempi di come siete risaliti proprio attraverso i sequestri alla filiera: l'esempio che ci ha riportato è abbastanza comune, anche se ha teso a precisare che non c’è un modello, ma che ce ne sono tanti di attività illecita diretta alla contraffazione o meno ? Mi riferisco alla vicenda di Gioia Tauro, commistione con la criminalità organizzata e così via. Il grosso dei risultati di alcune indagini ci dice che questa è un po’ la fenomenologia ?
  L'altra domanda che vorrei porle è riferita al passaggio della sua relazione in cui ha parlato del disinteresse da parte dei titolari dei marchi. Non è la prima volta che sentiamo questo rilievo: si tratta dei grandi marchi ? Lo abbiamo sentito anche in altre occasioni. Inoltre, qualche volta ci sembra di constatare anche delle resistenze a venire a confrontarsi con noi, e vorrei comprendere bene le ragioni di questa resistenza anche a essere parte di un'azione di contrasto con un protagonismo attivo.
  Mentre alcuni soggetti della produzione, come quelli che abbiamo incontrato anche nelle audizioni svolte proprio a Prato, ci hanno rappresentato una grande determinazione nel dotarsi di strumenti anti-contraffazione, microchip e simili, c’è un po’ di evasione dal confronto nel merito di alcune realtà. Vorrei capire che idea vi siete fatti su questo tema.
  Ho ascoltato con grande interesse i suoi approfondimenti anche sulle ipotesi di lavoro del presidente Catania e della Commissione a cui stiamo lavorando, anche relativamente all'assegnazione, alla primaria soggettività dell'avvio delle indagini e così via: da questo punto di vista, è forse necessaria anche un'ulteriore specializzazione di alcune procure, o perlomeno del personale nuovo che arriva a svolgere questo lavoro. Uno dei temi emersi anche nei mesi passati, su cui c’è un qualche impegno del CSM a ragionare, è quello della scuola di formazione per una certa specializzazione in materia di contraffazione.
  L'ultima domanda è questa: giudicate soddisfacente il livello di collaborazione della Polizia a livello internazionale, dall'Interpol ad altre forze di questo tipo ? Mi pare di sentire anche dalle cose che ci dite che comunque c’è una sicuramente una connessione per quanto riguarda i reati sul Web, anche con spostamenti continui, ma probabilmente anche nell'approfondimento sulle filiere che riguardano l'arrivo Pag. 18di merce nel nostro Paese o anche la partenza dal nostro Paese verso altri mercati.

  COLOMBA MONGIELLO. Anch'io ringrazio per quest'audizione. Ringrazio il presidente Catania, che ha voluto oggi avere a disposizione due autorevoli esponenti di una procura importante.
  È ovvio che qui a volte sembra quasi di scoprire un mondo, quasi sotterraneo, di cui si ha scarsa conoscenza se non per il prodotto finale falso. Ci rendiamo conto che dietro c’è tantissimo e ricostruire tutti i passaggi non è molto semplice. Credo che anche da parte dei grandi marchi – vi faceva riferimento la collega – ci sia una specie di ostilità a che se ne parli, proprio perché si pensa di danneggiare il prodotto, assurdamente dico. Meno male che negli ultimi tempi la camera della moda ha compreso quanto sia importante il fenomeno nei diversi passaggi.
  Lei ha citato una cosa che mi ha ricordato le fabbriche di Barletta e di Margherita di Savoia, che in subappalto producevano pezzi per una grande griffe. Tutto è stato scoperto perché lì c'era lavoro nero, purtroppo c'erano limiti di sicurezza sui luoghi di lavoro, ci fu un grosso incendio e morirono tre dipendenti. Così il tutto fu scoperto. Io ero già deputato, e quindi me ne sono occupata. Quello che, però, mi ha colpita molto è stato vedere che queste signore e giovanissime ragazze producevano per una griffe molto famosa, che sembrava non interessarsi di «mettere insieme», perché c'era solo la griffe che si occupava dell'assemblaggio.
  Capisco come sia difficile interloquire con i diversi passaggi, e quindi riuscire nella ricostruzione delle filiere su come i grandi marchi intervengano. Ci sono anche i marchi non grandi, coi quali penso sia anche più difficile creare un'interlocuzione. Questa mattina c'era una bella bancarella dalle mie parti dove si vendano scarpe comode famosissime. La cosa mi ha colpita molto, ho scattato anche una foto e per poco non mi hanno picchiata.
  Si vendono queste scarpe comode di grande marca e io sono rimasta colpita dal prezzo, come tutti, ma sulla stessa bancarella c'erano scarpe originali, quindi civetta, e scarpe false dello stesso marchio con la stessa scatola. Ci si avvicinava, si guardava il capo e ci si accorgeva che era veramente falso.
  Capisco quale sia il danno anche per un consumatore, che non so se in quel caso sia consapevole o meno, dottor Prestipino. Me lo sono chiesto stamattina. Si ha di fronte, infatti, la stessa marca con due prodotti completamente diversi. Devo dire che è stato anche bravo chi ha fatto questo tipo di assemblaggio. Non parliamo poi di altri prodotti, a partire dal cibo.
  Mi ha colpito molto, però, che lei abbia detto no alla frammentazione delle indagini. È una cosa a cui ho spesso pensato visto che nelle varie audizioni vi chiediamo se esista una banca dati unica, se comunichiate le vostre esperienze, le vostre indagini: se la ditta Mongiello è stata controllata, e quindi ha dato vita a un'indagine, il procuratore di Roma sa che sono stata già attenzionata da un'altra procura per lo stesso reato ? Riusciamo a capire se tutti lavoriamo per lo stesso obiettivo ?
  Questo è un fenomeno complesso. Molto spesso non sono sufficienti le norme nazionali e facciamo riferimento a norme internazionali, poi su quelle andiamo a impattare e ci rendiamo conto che anche da parte nostra ci sono scarse comunicazioni che rendono difficile poter intervenire.
  Concludo sulla questione, già sollevata dalla collega, della specializzazione dei magistrati. So che c’è una sensibilità da parte del ministro Orlando e da parte del CSM perché i magistrati si specializzino su questo tipo di reati di contraffazione, pirateria, pirateria Web. Oggi avete parlato di un mondo complesso, enorme, molto spesso anche di scarsa conoscenza. Sottoscriviamo tanti contratti con eBay, con i motori di ricerca, poi scopriamo che non possiamo neanche cancellarli, quindi è un mondo davvero complesso. Pensiamo di avere le procure specializzate in tal senso o siete favorevoli anche a una maggiore specializzazione ?

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  PRESIDENTE. Dottor Prestipino, vorrei acquisire in copia la circolare che menzionava, se non ha nulla in contrario o a meno che non ci siano motivi ostativi...

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. No, gliela posso lasciare.

  PRESIDENTE. Eventualmente, serve per valutare se inserirla nella relazione come indicazione di lavoro e come esperienza utile nella tematica.
  Le confermo, senza soffermarmici ulteriormente, che sulle cose che ha detto in punto di diritto relative alla competenza rifletteremo non attentamente, ma in maniera estremamente attenta. Tra l'altro, abbiamo avuto anche manifestazioni al riguardo anche da parte di altri vostri colleghi, quindi non mi coglie impreparato.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Presidente, mi scusi se la interrompo, ma bisognerebbe correggere. In questo momento ci sono 416, 473 e 474 del Codice penale, collocati nell'articolo 51 comma 3-bis del Codice di procedura penale, di competenza delle direzioni distrettuali antimafia, mentre secondo me bisognerebbe scorporare queste competenze previste dal comma 3-bis, estenderle anche al 474-ter del Codice penale e portarle all'articolo 51, comma 3-quinquies del Codice di procedura penale.

  PRESIDENTE. Va bene. Questo è il suo pensiero. Ripeto che è un tema su cui stiamo lavorando. Naturalmente, il collegio può e deve esprimersi.
  Ho solo una domanda al volo, fermo restando che è chiaro che non è questo il fenomeno che dobbiamo aggredire. Dobbiamo aggredire la contraffazione a monte. Per capire, però, mi sbaglio nel ritenere che quei 7-800 fascicoli di contraffazione da strada non arriveranno mai a giudizio nemmeno di primo grado, non dico definivo ?

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Le rispondo subito su questo. Mi rendo conto che è una forzatura, che può sembrare un azzardo, ma secondo me, se si potesse ipotizzare su questo tipo di livello un buon sistema di sanzioni amministrative...

  PRESIDENTE. Depenalizzare ?

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Sicuramente.

  PRESIDENTE. Forse depenalizzare è problematico sul piano della politica legislativa e anche nell'ottica politica delle dinamiche di sistema, ma eventualmente si potrebbero percorrere altre strade, come quella dell'applicazione di misure collaterali che prescindono dalla sentenza definitiva. Non voglio appesantire, ma era questo il senso.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Sono perfettamente d'accordo.

  PRESIDENTE. Vi prego ora di dare risposta alle colleghe.

  AGNELLO ROSSI, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Innanzitutto, sono d'accordo sulla possibilità di distrettualizzare le indagini, perché questo va anche nella direzione della creazione delle procure capoluogo di gruppi specializzati, e quindi risponde anche a una domanda.
  Bisogna, però, intendersi. Ho anche accennato in esordio al fatto che abbiamo fatto una distrettualizzazione che assomiglia a quella della Direzione distrettuale antimafia, sia pure più flessibile, come è stato detto, ma non l'abbiamo dotata di un mezzo in più. Allora, io ho un magistrato specializzato che conduce le indagini a livello centrale, per esempio per tutti i Pag. 20reati informatici lo abbiamo già e a Roma conduce le indagini per tutto il distretto capoluogo.
  Quando, però, devo celebrare il processo a Latina, non abbiamo i mezzi per mandare il magistrato specializzato e abbiamo dovuto elaborare un faticoso protocollo per far applicare presso Latina, magari dal procuratore generale presso la Corte d'appello, un magistrato per seguire un processo. Abbiamo, quindi, una specializzazione a metà. Ne abbiamo una per le indagini, ma non avendo mezzi per mandare, come fa la Direzione distrettuale antimafia, un magistrato della DDA a seguire un processo importante nel distretto, abbiamo questa frattura, questo iato, che bisogna tener presente. Se si fa una distrettualizzazione senza accompagnarla con dotazione di mezzi, bisognerà sostanzialmente accettare questa frattura. Naturalmente, si possono creare delle competenze per il magistrato d'udienza, che possono essere diverse da quelle del magistrato che coordina le indagini, ma avremo quest'indicazione.
  Sicuramente la specializzazione dei pubblici ministeri è fondamentale in tutti i campi, in questo a maggior ragione. Tra l'altro, è una specializzazione che viene ottenuta anche nel rapporto complesso con le Forze di polizia, e naturalmente lavorando sistematicamente su determinati campi.
  Per quello che riguarda la specializzazione dei giudici, che pure nel nostro sistema è possibile, mi accontenterei di un giudice che sapesse più di reati economici o di economia più di quanto non accada oggi. Riporterei quest'idea del tribunale delle imprese in campo civile in campo penale, perché avere delle sezioni fortemente specializzate per reati economici o per reati informatici, per esempio, come per altre grandi categorie di reati, non proprio per settori specifici, eviterebbe anche qualche clamoroso errore che pure è stato commesso.
  Accadono delle cose perché la materia dei reati economici è molto sofisticata. Se il giudice penale che normalmente si occupa di ricettazione, quando arriva la manipolazione del mercato, il reato molto sofisticato, l’insider trading, non ha una competenza specifica, può trovarsi in grossa difficoltà. L'idea di costruire, ancora una volta, presso i capoluoghi di distretto delle sezioni specializzate per grandi comparti, economia e informatica, a mio avviso sarebbe straordinariamente interessante. Anche partendo da un'angolazione specifica, si potrebbe andare in questa direzione.
  Aggiungo un'ultima considerazione sulla depenalizzazione, un tema sul quale rifletto spesso. Il 316-ter del Codice penale è una norma secondo la quale, quando si consegue con documenti falsi un'erogazione da parte della pubblica amministrazione, si viene puniti in un certo modo, ma è una norma a doppiofondo. Dice, infatti, che quando la prestazione conseguita è da ritenere in un anno al di sotto dei 4.000 euro, allora c’è una sanzione amministrativa. Parliamo di indebita percezione in danno dello Stato.
  Io ho sempre considerato che questa norma abbia in sé anche un futuro. In alcuni casi, non si può depenalizzare tout court interi settori. Calibrando, naturalmente, sui diversi tipi di reato, si potrebbe dire che per le ipotesi maggiori rimaniamo sulla sanzione penale e, quando invece il profitto del reato rimane a un livello di soglia modesto, al di là delle considerazioni sulla tenuità del fatto, si passa a sanzioni amministrative.
  Facendo ricorso a questa norma, la Guardia di finanza ha sistematicamente denunciato una serie di persone che avevano commesso a volte anche errori nel dichiarare la loro posizione rispetto ad alcune erogazioni, e siamo riusciti a incanalare tutta questa microconflittualità, che non era neppure microcriminalità, verso il canale delle sanzioni amministrative. Ripeto che a me pare uno schema fecondo. Naturalmente, molto del coordinamento è affidato al regime di coordinamento delle polizie.
  Da ultimo, permettetemi di esprimere una lieve perplessità: altro è il disinteresse dei grandi marchi nella fase di fornitura di ausilio per le consulenze, se c’è, io non lo Pag. 21so; che, però, i grandi marchi siano disinteressati alla contraffazione a me non risulta assolutamente, al contrario. Credo che svolgano utilmente una funzione molto importante di sottolineatura dell'importanza di questi reati.
  Concludo davvero con un'ultima parentesi. Se dovessi indicare un fenomeno enorme su cui i soggetti interessati tacciono totalmente, sono le carte di credito falsificate. Sono numeri schizzati in una maniera impressionante. Anche questi rientrano oramai nella competenza informatica, perché la Cassazione ha detto che un esempio di frode informatica è un certo uso dei badge. Anzitutto, i grandi distributori di carte di credito non hanno interesse a generare il panico; in secondo luogo, hanno dei meccanismi assicurativi che permettono il rimborso ai singoli. Quel fenomeno, però, ha una progressione geometrica impressionante. È la vera frontiera critica dei reati di criminalità informatica.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Pongo una domanda anche se non è la sede più adatta. Relativamente a quanto diceva il collega Rossi sulla necessità di arrivare a un giudice distrettuale, che vale anche per i reati di competenza proprio per i reati stretti della Direzione distrettuale antimafia, noi abbiamo già un giudice distrettuale, ossia il giudice dell'udienza preliminare.
  Perché possiamo avere un giudice delle indagini preliminari, un giudice dell'udienza preliminare in sede distrettuale per cui, se l'imputato dice che preferisce essere giudicato con rito abbreviato, il processo è celebrato dal giudice distrettuale, mentre se dice di volere il dibattimento, lo celebra il tribunale, per esempio, di Frosinone ? Questa è una discrasia, una rottura di sistema che non ha alcuna giustificazione. E non è soltanto un problema di risorse, di mezzi, di assicurare lo spostamento di un sostituto da Roma a Frosinone, a Viterbo o ovunque sia.
  L'applicazione del collega di Frosinone, Cassino, Velletri e così via, tanto per rimanere nel Lazio – in Calabria avevamo casi ancora più eclatanti, perché lì gli spostamenti sono ancora più complicati – determina una situazione di disagio del processo: a livello di verifica dibattimentale, il processo viene seguìto da un sostituto che non ha coordinato le indagini e, quindi, non conosce il processo. Andiamo in una direzione esattamente inversa a quella che, invece, sarebbe preferibile, in cui un pubblico ministero coordina le indagini, le dirige, prende le sue conclusioni, partecipa all'udienza preliminare e alla fase del rinvio a giudizio e poi anche al dibattimento.
  Avere un giudice distrettuale anche per i reati di competenza stretti della Direzione distrettuale antimafia – non è questa, ovviamente, la sede – ha una sua logica, un suo fondatissimo motivo.

  PRESIDENTE. Lei lo ipotizza in relazione ai reati di competenza della DDA ?

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. No, a tutti e due i tipi: sia a quelli «distrettuali» sia a quelli di competenza della DDA.

  PRESIDENTE. Comunque, laddove la competenza è della procura distrettuale, sia essa DDA sia ordinaria, dovrebbe specularmente sussistere un giudizio che si esprime in tutto il suo procedimento nella stessa sede.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Nella sede distrettuale.

  AGNELLO ROSSI, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. (fuori microfono) Sarebbe anche quello giudice naturale.

  PRESIDENTE. Questo è molto al di là del nostro perimetro.

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  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Ponevo una domanda. Bisogna trovare una giustificazione al fatto che, se vengo giudicato con rito abbreviato, mi giudica il gup di Roma, mentre se...

  PRESIDENTE. Immagino che questo sia il frutto di una legislazione stratificata nel tempo in modo non razionale.

  AGNELLO ROSSI, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. (fuori microfono) Sui reati informatici in un primo momento il gip era a livello locale, cioè avevano fatto la distrettualizzazione per il pubblico ministero, ma gip e gup erano a livello locale, poi hanno rimediato con almeno il gip a livello distrettuale.

  PRESIDENTE. Eventualmente, possiamo incidentalmente rammentare una problematica di questo tipo nella relazione.

  AGNELLO ROSSI, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Al di là, però, del fatto che rimane distrettualizzata l'indagine, poi però arriva un non specializzato e non il coordinatore delle indagini in provincia.

  MICHELE PRESTIPINO GIARRITTA, Procuratore aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Questo è un problema serissimo. Qui si ha una disparità all'inverso: il difensore è sempre quello, indagine, udienza preliminare, dibattimento, secondo grado, ma il pubblico ministero cambia continuamente.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.05.