XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 118 di Giovedì 6 luglio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del professor Massimo Bordignon su attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione) :
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Bordignon Massimo , professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 
Zanoni Magda Angela  ... 12 
Marantelli Daniele (PD)  ... 12 
Gibiino Vincenzo  ... 13 
Rubinato Simonetta (PD)  ... 14 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16 
Bordignon Massimo , professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ... 17 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 18 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal professor Massimo Bordignon ... 19

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante trasmissione diretta attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e diretta streaming sperimentale sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Massimo Bordignon su attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5, comma 5 del Regolamento della Commissione, l'audizione di Massimo Bordignon, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che è storicamente un cultore della materia del federalismo e del federalismo fiscale, su attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica.
  Do quindi la parola al professor Massimo Bordignon per lo svolgimento della relazione.

  MASSIMO BORDIGNON, professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Grazie dell'invito, presidente. Ho deciso di fare una cosa un po'diversa da una presentazione di tipo accademico, perché, essendo professore, viene spontaneo presentare le cose da un punto di vista teorico, concettuale, individuare i vantaggi e gli svantaggi, invece qui cerco di portare direttamente le conclusioni, come quando si lavora per il Fondo monetario internazionale, una delle mie esperienze, in cui uno scrive malloppi, ma arriva mettendo giù alcuni punti fondamentali.
  Ho dato anche una sorta di titolo, vi presenterò alcune slide, partendo direttamente dalle conclusioni, e vi ho portato anche molto materiale, visto che i professori tendono a scrivere o a fare conferenze, ho messo a disposizione una cartella in cui queste informazioni possono essere riviste. Ho quindi dato un titolo: «Il federalismo fiscale nell'età della crisi». Parte di questo materiale è stato raccolto anche nel gruppo di ricerca, il Cif, di cui sono direttore e in cui si fanno lavori sulla finanza locale, quindi vanno ringraziati, e questa è la parte finale.
  Credo (penso che ci sia accordo su questo) che l'attuale quadro dei rapporti politici e finanziari tra livelli di governo, che è quello che gli economisti pubblici definisco federalismo fiscale, in Italia non rifletta più un disegno razionale, ma sia piuttosto il risultato del sovrapporsi di eventi e legislazioni contraddittori.
  Siamo partiti da una base di tipo costituzionale e normativo nella direzione dell'autonomia e della difesa degli spazi di manovra a livello territoriale, dopodiché su questo si sono innestati necessità, spinte forti di controllo della spesa, riduzione della pressione fiscale, tentativi di semplificazione nei rapporti di Governo.
  Se si dovesse stilare una lista, questi sono i passaggi fondamentali, perché guardando all'Italia degli ultimi 20-25 anni, c'è stato prima un forte decentramento fiscale con legge ordinaria a partire dai primi anni ’90, in cui sono stati attribuiti nuovi tributi e nuove funzioni ai livelli locali, sono state cambiate le leggi elettorali, modificati i Pag. 4trasferimenti. Questo processo raggiunge il suo apice con la riforma costituzionale del 2001, la famosa riforma del Titolo V, a cui fa seguito però un processo di attuazione molto complicato soprattutto all'inizio degli anni 2000, che riallontana, rivede, reinterpreta la riforma costituzionale.
  Si aggiunga quello che ho sempre definito «il compromesso della legge 42 del 2009», la legge delega, e negli anni successivi vengono emanati i decreti attuativi. Mentre tutto questo va avanti con un suo percorso, c'è la crisi economica, prima quella del 2008-2009, quindi la caduta dei livelli generali di produzione e la crisi internazionale, e poi, molto più grave per noi, a partire dalla seconda metà del 2011, l'Italia entra in una crisi finanziaria e c'è un fortissimo intervento, viene tagliata la spesa pubblica di 2 punti percentuali e aumentata la pressione fiscale di altri 2 punti, quindi c'è una correzione di quasi 4 punti percentuali di PIL, che è fortissima.
  Anche a seguito di questo, il Paese entra in forte recessione e all'interno di questo processo di riorganizzazione e di controllo della spesa pubblica si innescano processi di centralizzazione, sia centralizzazione della spesa, sia blocco dell'autonomia, sia utilizzo di vincoli e patti per cercare di controllare le varie forme di spesa a livello locale, che è anche un modo per far fare agli enti locali da esattore nei confronti dello Stato. Succede una cosa di questo tipo.
  L’austerity è terminata in Italia e in Europa a partire dal 2014-2015, c'è stato un qualche lieve allentamento dei vincoli, a cui si sono aggiunte, soprattutto nella fase finale, alcune innovazioni tramite la revisione delle province, le città metropolitane, la nuova legislazione che riguarda le unioni dei comuni, che dovevano preparare una riforma costituzionale, cioè erano dei primi passi che avrebbero dovuto essere rimessi a posto con una riforma costituzionale, su cui il Parlamento è stato impegnato per oltre due anni. Come tutti sapete, la riforma costituzionale non c'è stata, ed è questo il punto in cui noi ci troviamo, questa è la situazione.
  Dal mio punto di vista la situazione è chiaramente insoddisfacente, sicuramente bisognerebbe rimetterci le mani, però sospetto (ma voi lo sapete meglio di me) che il quadro economico e politico del Paese non sia in grado di consentire delle riforme molto ambiziose, cioè non si possa riprendere in mano tutto dall'inizio.
  Non solo, ma (qui parla non solo il professore, ma il membro dell'European Fiscal Board a Bruxelles) la situazione delle finanze pubbliche è ancora molto delicata, quindi l'obiettivo del controllo delle finanze pubbliche continuerà a essere pesante nei prossimi anni, qualunque Governo ci sia.
  Rispetto a questo penso che sarebbe utile fare (invito la Commissione, ma mi rendo conto che ci potranno essere difficoltà politiche di tutti i tipi) una piccola opera di manutenzione, prendere il quadro così com'è, non tentare di fare cose gravi, ma tentare almeno di reintrodurre alcuni elementi di razionalità che in questo percorso confuso si sono andati perdendo.
  Le mie proposte, data questa struttura, consistono in una serie di interventi che ho messo in fila, evidenziando cosa farei per ogni livello di Governo e per le riforme costituzionali.
  Per quanto riguarda le riforme costituzionali, cosa si potrebbe fare modificando la Costituzione (non in questa legislatura, ma forse nella prossima)? Ci sarebbero tante cose (credo che i colleghi già auditi ve ne abbiano parlato) su cui si vorrebbe poter ridiscutere, per esempio c'è sicuramente il problema di un numero eccessivo di regioni, quindi da un punto di vista di efficienza sarebbero auspicabili forme di accorpamento, c'è il tema delle funzioni concorrenti o esclusive delle regioni che potrebbe essere rivisto, c'è il tema delle regioni a statuto speciale, c'è il tema del Senato delle regioni, un altro dei pezzi su cui siamo andati avanti in una discussione da vent'anni e non siamo riusciti a cogliere l'obiettivo.
  Vi dico onestamente la mia percezione da cittadino: ci abbiamo provato non una volta, ma due volte e il Parlamento è stato impegnato per due anni, prima nel 2005- Pag. 52006 e poi negli ultimi due anni, per portare avanti una riforma costituzionale che poi è finita nel nulla, quindi francamente sono un po'alieno da grandi riforme costituzionali.
  Ci sono però alcuni interventi, su cui il consenso è più ampio, che si potrebbero fare abbastanza facilmente. Per prima cosa eliminerei definitivamente le province. Siamo rimasti a metà con questo pasticcio, quindi a questo punto cerchiamo di chiudere questa vicenda. Per eliminare le province, la riforma costituzionale che si richiede è togliere una parola, quindi non è una cosa particolarmente complicata.
  Una seconda cosa che si potrebbe fare, su cui secondo me c'è accordo, è una revisione delle funzioni concorrenti. Lasciamo pure questa struttura, ma tra le funzioni concorrenti che vengono definite a vantaggio delle regioni nell'articolo 117 della Costituzione ce ne sono molte (i servizi di scala, le banche) che non verranno attivate, ma rischiano di creare una forma di intoppo nel processo decisionale, con ricorsi da parte delle regioni nei confronti dello Stato e viceversa, che possono essere usati anche come una forma di contrattazione.
  Su questo sono state avanzate proposte, c'era la larga convergenza tra le forze politiche, quindi è una cosa che farei. C'è onestamente una terza cosa che farei, perché penso che la gente non abbia percepito chiaramente i guasti che ha provocato: rivedrei anche il comma 3 dell'articolo 119 della Costituzione, quello che definisce le forme di finanziamento. Tra quelle forme di finanziamento non ci sono i trasferimenti erariali, gli unici trasferimenti possibili sono di tipo perequativo, perché era sottesa l'idea di un mondo in cui tutti questi enti sarebbero stati completamente autonomi, completamente separati e non ci sarebbe stato bisogno di alcun trasferimento.
  Credo che questo articolo, o meglio l'interpretazione che ne è stata data poi dalla Corte Costituzionale, sia stata una tragedia, nel senso che, siccome non esiste Paese al mondo in cui non ci siano trasferimenti, perché ovunque il prelievo è più accentrato della spesa, per ottemperare a questo abbiamo pensato a delle cose di una grandissima complicazione, introducendo finti tributi che abbiamo finto pienamente perequati, per ottenere la stessa distribuzione che avremmo dovuto ottenere con i trasferimenti precedenti. Questa sarebbe quindi una necessaria semplificazione.
  Penso che nel passaggio dell'autonomia si dovrebbe riprendere in mano l'articolo 116 della Costituzione, quello sul federalismo differenziato. Su questo fronte, oltre dieci anni fa io ho lavorato con l'allora ministra Lanzillotta e con alcuni esponenti regionali per mettere giù un testo o qualche tipo di ragionamento che consentisse di attuare in maniera più seria l'articolo 116, introducendo dei prerequisiti, perché non è che qualunque regione, anche se in condizione disastrata, possa chiedere maggiore autonomia, ma è necessario introdurre dei meccanismi con possibilità di ragionamento sulla reversibilità delle funzioni.
  Si era in presenza già di un orientamento su cui c'era accordo con le regioni, su cui con gli esponenti regionali ai tempi (non ho idea di come sia la situazione adesso) eravamo già partiti con un processo che poi si è interrotto completamente. Questa è un'altra di quelle cose dalle quali penso si dovrebbe ripartire.
  Questo è quello che mi limiterei a fare da un punto di vista di riforma costituzionale, perché anche la revisione del comma 3 richiederebbe di aggiungere che tra i sistemi di finanziamento ci sono i tributi propri e le compartecipazioni e i trasferimenti legali, quindi è una riforma minima, però ci semplificherebbe enormemente la vita.
  Cosa facciamo allora per i diversi livelli di governo? Dove intervenire? Spero di avere il tempo di spiegarvelo nel dettaglio, se non l'ha già fatto qualcuno. Un esempio del pasticcio che vi sto dicendo è il finanziamento della funzione della sanità. Se uno legge le carte sul finanziamento della sanità, ci sono dei tributi propri delle regioni che vengono allocati per il finanziamento della sanità, poi c'è un meccanismo perequativo basato sulla compartecipazione all'IVA, che tiene conto anche dei Pag. 6fabbisogni e dei costi standard della produzione del servizio.
  Tutta questa architettura è totalmente finta, quella che abbiamo adottato per giustificare le norme legislative che ci siamo dati, mentre il finanziamento della sanità in Italia funziona in questo modo: lo Stato definisce quanti soldi vuol mettere nella sanità, i tributi delle regioni, oltretutto ora completamente bloccati, sono soltanto un meccanismo d'acconto rispetto a questo. Per quanto riguarda il riparto del Fondo sanitario esistono dei costi standard che vengono definiti con un meccanismo delle tre regioni migliori, il Governo ne sceglie tre, una piccola, una grande e una del sud, si mette dentro una formula perequativa che è fatta in modo tale che poi tutto scompare.
  Se quindi la domanda è come viene ripartito questo Fondo sanitario, la risposta è su un pro capite pesato, pesato sulla base delle caratteristiche della popolazione moltiplicate per sistemi di incidenza, quelli che vengono calcolati dall'ISTAT, quindi l'età della popolazione, per cui più vecchio è uno e più ha bisogno di servizi.
  C'è poi qualche aggiustamento per quanto riguarda la mobilità passiva e attiva, ma non appare così, allora chiaramente verrebbe da proporre di risistemare, però va dato atto che, pur in questo meccanismo perverso, sembra ultimamente (è una discussione aperta) aver funzionato, nel senso che, se guardate i dati, il tasso di crescita della spesa sanitaria era molto elevato, invece è stato messo sotto controllo, è un servizio che è stato protetto, sono scomparsi i disavanzi sanitari, una volta grande problema di ripiano.
  In tutto ci sono stati processi di riorganizzazione industriale, molto gestiti dal centro, soprattutto nelle regioni deficitarie. Se andate a vedere i risultati in termini di misure che chiamiamo exit voice, ossia di soddisfazione dei cittadini, e l’exit, la mobilità passiva, non ci sono stati grandi effetti, quindi siamo riusciti a risistemare questa componente nonostante i sistemi peculiari di finanziamento, quindi non so se varrebbe la pena di reintervenire di nuovo su questo.
  Per il momento siamo riusciti, pur nell'assurdità di tutto il sistema, con i patti sulla sanità e quant'altro a rimetterlo in ordine, quindi starei attento a intervenire su quelle funzioni.
  Se uno guarda le regioni, non sono state fatte alcune cose previste nella legge delega, che prevedeva che si sarebbero introdotti i LEP, livelli essenziali delle prestazioni, per un'altra serie di funzioni, prevedeva che si sarebbero fiscalizzati i trasferimenti residui, il fondo trasporto più una serie di trasferimenti per circa 1 miliardo di euro, e poi che questi si sarebbero di nuovo perequati.
  Devo dire la verità: tutto questo non è stato fatto ma, visto quello che vi ho detto prima, forse non lo farei nemmeno, perché la spesa delle regioni, a differenza della sanità, è stata sostanzialmente massacrata, perché è stata garantita la spesa sanitaria, ma tutto il resto è stato distrutto. In particolare, è rimasto il fondo di finanziamento del trasporto locale, quindi è stato cambiato il meccanismo di funzionamento, ma in termini di risorse non è cambiato nulla, naturalmente i fondi europei sono rimasti invariati, ma, se togliete questi, la riduzione è dell'ordine del 70 per cento, quindi sono state completamente annullate tutte le spese per l'ambiente, il turismo, il commercio.
  In una situazione di questo tipo mettersi a perequare quello che resta a me sembra francamente una perdita di tempo, casomai bisognerebbe discutere come viene allocato il Fondo trasporti, quali sono davvero i criteri di riparto.
  L'unica cosa che farei sulle regioni, perché penso sia importante, è reintrodurre un minimo di autonomia. In questo momento, dopo la legge finanziaria, dopo essere intervenuti sull'IRAP si è bloccata completamente perché le regioni non hanno alcuno spazio di manovra sui tributi, e questo è un problema che va affrontato.
  Siccome l'IRAP è stata snaturata rispetto al tributo originale, perché aver sottratto, almeno per alcuni tipologie di lavori, il costo del lavoro l'ha un po'snaturata, a questo punto sinceramente non so se avrebbe senso dare di nuovo l'autonomia Pag. 7alle regioni, perché credo che l'IRAP dovrebbe tornare ad essere un tributo nazionale piuttosto che regionale.
  Sull'IRPEF, invece, che è diventata una parte importante perché quasi il 7 per cento delle entrate delle regioni sono entrate tributarie che in parte molto maggiore derivano dall'addizionale dell'IRPEF, mi sembrerebbe che spazi possano essere reintrodotti.
  Fatemi dire anche che (onestamente è più una preoccupazione da professore di scienza delle finanze) parte integrante dell'autonomia, siccome ci deve essere un meccanismo di controllo da parte dei cittadini, è anche la possibilità che uno modifichi le imposte e si assuma delle responsabilità, perché può aumentarle o ridurle, ma in questo momento questa volontà da parte dei politici di prendersi responsabilità sulle entrate non la vedo da nessuna parte, cioè i miei contatti mi dicono che meglio le compartecipazioni, non far nulla, però penso sia una cosa importante.
  Come ho detto, sulle regioni soprattutto l'articolo 116 della Costituzione dovrebbe essere in qualche modo rimesso in discussione.
  Cosa succede con le città metropolitane e le province? Onestamente dopo l'introduzione della legge Delrio e i tagli di bilancio, le province non funzionano più in questo Paese, sono bloccate, a malapena sono rimaste le risorse per pagare il personale, a macchia di leopardo alcune funzioni sono state riportate in mano allo Stato, altre sono state date alle regioni, e continua a esserci confusione. Naturalmente il personale provinciale è completamente demotivato.
  La cosa più semplice da fare a questo punto sarebbe eliminarle, trasferire le funzioni residue del personale agli altri livelli di Governo, quindi trasferire ai comuni la manutenzione delle scuole che è sotto il controllo delle province, l'ambiente alle regioni e le strade all'ANAS. Questo è quello che bisognerebbe fare, perché abbiamo eliminato le province di fatto, però il problema di manutenzione delle strade provinciali e di manutenzione delle scuole continua ad esserci, e queste cose vanno affrontate.
  In alcune regioni sta già succedendo questo, quindi o diciamo che le province restano e va loro trovata qualche funzione oppure (secondo me è la cosa più semplice) usiamo la riforma, eliminiamole dal punto di vista costituzionale e trasferiamo le risorse. Ci potrebbe essere qualche rimbalzo di costo all'inizio, perché il contratto del personale provinciale è meno generoso di quello regionale, ma è un problema che si potrebbe rapidamente riassorbire. Questa sarebbe la cosa che farei.
  Per quanto riguarda le città metropolitane, questo è un esperimento che abbiamo tentato, ma che per il momento non funziona. In questo momento tutte le città metropolitane sono vicine al tracollo finanziario, c'è una riunione a Milano in questi giorni, la provincia di Milano presenterà i libri in tribunale se non arriva un trasferimento di 50 milioni di euro nel giro di pochi mesi. Questa è la situazione.
  Secondo me sono state mal costruite, e ho allegato del materiale per chi è interessato, perché ad esempio per Carlo Cottarelli mi ero occupato della parte della spending review relativa alla finanza locale, insieme a un gruppo di lavoro ho scritto un rapporto di più di 100 pagine che vi ho messo a disposizione e già allora avanzavo una serie di critiche.
  Le città metropolitane non funzionano perché sono troppe, molte non hanno caratteristiche da città metropolitana, le dimensioni non sono ben definite, perché coincidono con quelle delle province anche se in alcuni casi le province sono troppo piccole o troppo ampie, non sono ben definiti neanche i meccanismi di allargamento o di riduzione di queste province e ho scoperto che un comune molto lontano o che non c'entra nulla potrebbe decidere di far parte della città metropolitana di Milano e a decidere non sarebbe la città di Milano, ma la regione e poi il Parlamento, cosa che non ha senso. Non sono chiari gli obiettivi e le risorse sono insufficienti.
  Ritengo onestamente che qui sarebbe molto utile ragionare di nuovo sulle città metropolitane e offrire loro un obiettivo Pag. 8unico, chiaro e ben definito. Nel contesto delle città metropolitane (penso al caso di Milano, dove vivo) ci dovrebbe essere una sorta di autorità metropolitana sui trasporti e la mobilità. Oggi il Comune di Milano garantisce questo a tutti gli altri e decide però sulla base delle preferenze dei propri residenti, per cui istituisce l'Area C e poi, se questo ingolfa il traffico da altre parti, è un problema degli altri, la metropolitana serve tutti, però per qualche ragione le tariffe appena si esce da Milano aumentano dell'80 per cento. Queste sono le problematiche.
  Secondo me una soluzione integrata tra trasporti, mobilità, aeroporti sarebbe il tema che bisognerebbe affrontare, e francamente non mi farei scrupolo, siccome adesso c'è la discussione su come li finanziamo, come trovare un tributo proprio, le tariffe; ho fatto una ricerca che fa parte del pacchetto di informazioni che vi ho dato, con un mio collega e coautore abbiamo guardato come sono finanziate le città metropolitane in giro in Europa e nella maggior parte dei casi sono finanziate con trasferimenti da parte dello Stato, e non mi farei alcun problema, perché piuttosto che inventarsi il nuovo, ennesimo tributo, le finanzierei con un trasferimento.
  Per i comuni mi rendo conto che anche questa è di nuovo una battaglia persa, ma francamente bisogna riprendere in mano questo tema dell'autonomia e del finanziamento. Abbiamo costruito un sistema un po'assurdo, per via di tutto questo dibattito e discussione politica, personalmente (non conosco la vostra collocazione politica, ma sono convinto che molti di voi non siano d'accordo con me) avrei mantenuto l'ICI, non mi sarei fatto nessun problema, ma adesso invece è stata abolita, poi è stata abolita l'IMU rivista, poi è stata abolita la TASI.
  A questo punto siamo rimasti in una situazione un po'assurda, contraria a tutto quello che leggete su qualunque libro di scienza delle finanze e federalismo fiscale, capitolo 1, paragrafo 1, in cui il comune può tassare i non residenti e le imprese in un modo o nell'altro, ma non può tassare i propri residenti, che sono quelli che votano.
  Qui una soluzione va trovata e mi appello a voi, non so bene come, perché mi rendo conto che politicamente è diventato estremamente difficile, se c'è un problema di equità com'era del resto con l'IMU e con l'ICI uno può trovare una soluzione esentando quelli che stanno al di sotto di un certo livello, ma inventiamoci una service tax, una local tax, ci sono tanti studi su questo (Pedretto ne ha fatti diversi), però come base imponibile di questo tributo un qualche riferimento al patrimonio immobiliare ci vuole, per tutte le ragioni che abbiamo detto e ridetto trecento volte, il patrimonio immobiliare se funziona naturalmente, se cattura il valore dell'immobile, c'è un principio del beneficio e ha un elemento anche redistributivo.
  Siccome abbiamo un sistema fiscale che tassa molto il reddito, molto il lavoro, poco la proprietà, questo aiuterebbe a riequilibrare. Dato che il patrimonio immobiliare è immobile, non si muove, quindi non ha questi problemi di concorrenza fiscale, io reintrodurrei l'autonomia tributaria, non penso che si debba ridurre il numero dei tributi locali, perché c'è molta differenziazione.
  Sono molto meno convinto dell'addizionale IRPEF o delle possibilità di manovra che sono state date negli anni ai comuni sull'addizionale IRPEF, perché abbiamo 8000 comuni in Italia, sono molto piccoli e questo può introdurre distorsioni molto forti, incentivando anche possibilità di mobilità, perché la mia IRPEF può essere molto diversa se vivo in questa strada o nella strada accanto, e mi sembra francamente eccessivo.
  C'è poi un problema anche di complicazione, la mia Università paga 2000 dipendenti e quando fa la busta paga introduce anche l'addizionale IRPEF comunale, deve calcolarla per tutti i dipendenti a seconda di dove vivono, e questa è un'altra complicazione che si potrebbe evitare. Se la manteniamo per lasciare questi spazi, dovrebbe essere mantenuta ad aliquota uniforme, oppure una compartecipazione. Pag. 9
  L'altro tema è che il Catasto va rimesso a posto. C'era una delega, siamo partiti e quindi risistemiamo, facciamo queste Commissioni censuarie che sistemino il Catasto, perché ovviamente un'altra delle aberrazioni della tassazione patrimoniale è che in molti casi, soprattutto nelle grandi città, soprattutto nel centro, il valore immobiliare non tenga conto di questo, quindi è chiaro che è una forma di tassazione sperequata.
  Io sono andato dal mio sindaco anni fa chiedendo perché pago così poco anche se la casa è grande, e mi hanno spiegato che pago poco perché dove vivo non c'era la metropolitana, quindi il Catasto tiene ancora conto del fatto che questa era una periferia, poi è arrivata la metropolitana (non ora, ma vent'anni fa), i prezzi sono lievitati e io mi trovo nella situazione di pagare meno tasse di quelli che stanno in una situazione peggiore! Queste cose vanno rimesse a posto.
  Conosco bene il problema, era stata introdotta l'invarianza di gettito, ma secondo me l'invarianza di gettito a livello comunale è un'assurdità, perché a questo punto ci troveremmo ad avere centinaia di ICI diverse. L'invarianza di gettito va benissimo, però facciamola a livello nazionale e poi eventualmente troviamo un modo di compensare i comuni tramite i trasferimenti, tramite il Fondo di solidarietà comunale, così come abbiamo tolto adesso la TASI e l'abbiamo compensata potremmo fare la stessa cosa, se vogliamo.
  Veniamo al sistema di riparto. Vi dico la verità, molta gente sarà venuta qui e vi avrà raccontato cose diverse, io non sono un entusiasta di tutto questo meccanismo che è stato messo insieme dalla SOSE con l'IFEL sul calcolo dei fabbisogni standard, perché la trovo francamente una cosa estremamente complicata, non trasparente e, siccome sono un economista e lo faccio di mestiere, ho anche dei dubbi su tutta una serie di meccanismi interni, perché avrei preferito dei sistemi di riallocazione dei fondi o dei trasferimenti basati su alcuni semplici parametri oggettivi.
  Sappiamo tutti che buona parte di quello che succede in un comune dipende da poche cose, tipo la dimensione demografica, se è piccolo o grande, la colonizzazione, bastano quattro variabili per tener conto di molte cose. È stato creato invece un meccanismo molto complicato, però se andate a vedere i risultati, la montagna produce il topolino, nel senso che le variazioni sono minime, e giustamente, perché se uno non tiene conto di questi fattori, rischia di trovarsi a dire che stai offrendo questo servizio perché politicamente ti ci sei impegnato, ma te lo tolgo perché quegli altri...quindi devo tener conto di questo aspetto, pertanto questi fabbisogni devono tener conto non solo delle potenziali esigenze di spesa sulla base dei parametri oggettivi, ma anche di quello che storicamente hai fatto, quindi li riaggiusto. Poi logicamente c'è questo vincolo del 50 per cento.
  Qui dico soltanto che ormai l'abbiamo fatto, onestamente va dato atto che per costruire questi fabbisogni in Italia noi abbiamo raccolto una quantità di informazioni sulla struttura produttiva dei comuni che non esiste in nessun mondo, per i professori va benissimo perché possiamo finalmente fare delle ricerche, quindi questa enorme quantità di informazioni può essere utile ed è stata utilizzata proprio per questa ipotesi di benchmarking, per far vedere la funzione di produzione dove è possibile, per metterlo sulla rete, quindi queste cose sono utili e non sto dicendo (sarebbe assurdo) di buttare tutto e ricominciare daccapo.
  Vorrei però trovare il modo di introdurre dei trasferimenti verticali, per poter finanziare politiche di rilevanza nazionale condotte a livello municipale. Supponiamo che domani ci sia questo programma e vogliamo dare dei trasferimenti eccezionali ai comuni del sud per gli asili nido, perché uno potrebbe dire che c'è un problema di bassa partecipazione della forza lavoro femminile nel sud per cui bisogna trovare una soluzione e un modo è incentivare gli asili nido; se voi provaste a farlo ora, non potreste dare questi soldi direttamente ai comuni, ma dovreste metterli nel Fondo orizzontale tra comuni, questo verrebbe ripartito sulla base dei fabbisogni e la perequazione Pag. 10 e quindi per riuscire a dare soldi a Caltanissetta dovreste redistribuirli tra tutti i comuni.
  Considero questa una cosa folle, quindi troviamo un modo di dire (come ho detto prima, sarebbe semplicissimo se introducessimo questa riforma costituzionale, altrimenti troviamo un altro modo di farlo) che ci sono delle politiche di rilevanza non comunale, ma nazionale, per cui il Governo vuol fare degli interventi, dà dei soldi a livello municipale per farli, quindi trasferimenti non solo specifici, ma vincolati a un certo servizio, e non vedo perché non si possa fare. Si fa in tutto il mondo, perché noi non possiamo farlo?
  L'altro problema che abbiamo è l'eccessiva pluralità dei comuni troppo piccoli, cioè abbiamo una frantumazione eccessiva. Una soluzione potrebbe essere la fusione, ci abbiamo provato tante volte, se guardate i miei studi per Cottarelli, ci sarebbero anche notevoli risparmi di scala nel lungo periodo, però mi sembra che questa soluzione, anche se delle unioni ci sono state, non funzioni politicamente, non sia fattibile. Non a caso sta funzionando nelle regioni a statuto speciale, Trentino e Friuli Venezia Giulia, dove hanno il controllo della finanza locale e allora lì stanno fondendo i comuni, perché o ti fondi o non prendi i soldi.
  Nelle regioni a statuto ordinario non si può fare un'operazione di questo tipo, politicamente è difficile, quindi la soluzione è quella dell'unione, e c'è un lavoro che abbiamo fatto abbastanza bene (non credo sia mai stata fatta una cosa del genere in Italia prima), in cui abbiamo cercato di studiare il fenomeno delle unioni e abbiamo ricostruito un'Anagrafe delle unioni in Italia. Infatti ho scoperto che non esiste un'Anagrafe, per cui non è possibile sapere quanti comuni siano in unione, anche perché ci sono delle unioni che si formano con un comune che entra, fa un servizio, poi esce, poi rientra, quindi abbiamo dovuto fare una fatica tremenda per costruirla.
  Avendo ricostruito quello, siamo riusciti a fare degli esercizi di tipo econometrico più robusto, cioè abbiamo consolidato i bilanci tra l'unione e i comuni sottostanti, abbiamo ripartito la spesa delle unioni anche ai singoli comuni e ci siamo potuti porre una domanda, ossia prendo un comune che ha queste caratteristiche, ma che non è in un'unione, prendo un altro comune che ha le stesse caratteristiche ma è in unione, spende di più, offre migliori servizi? Questo è un primo esercizio, che in Italia non era stato fatto.
  Le conclusioni non sono molto positive, perché osserviamo un aumento delle unioni soprattutto in alcune regioni del nord (Piemonte, Lombardia, Toscana), che però in molti casi non sembrano dare servizi migliori e spendono di più, cioè c'è un forte incentivo che le spinge a mettersi insieme, ma i risultati sembrano ancora limitati.
  Ritengo che questa cosa vada gestita meglio e proverei a ragionare avendo in mente il modello francese e, siccome c'è tutta questa difficoltà politica a mettere insieme comuni di diverse dimensioni, lascerei ai singoli comuni l'autonomia e l'azione politica, cercando però di centralizzare nelle unioni a livelli più alti tutta l'attività amministrativa, cioè il bilancio, l'Ufficio tecnico, le paghe, la gestione dei servizi, cioè, piuttosto che dire semplicemente l'unione serve per il servizio che ha dei rendimenti di scala, tutte quelle attività di tipo amministrativo dovrebbero essere riportate a un livello più alto, a cui poi il comune si rivolge. Questa per esempio è stata l'esperienza del Trentino con le comunità di area, a un certo punto hanno detto che tutte queste funzioni spettano alla comunità di area e il comune vi si rivolge.
  Credo che questo sia necessario, perché in questi anni con il blocco del turnover c'è stato un forte crollo del personale soprattutto nei comuni più piccoli, per cui adesso il geometra non c'è più, le procedure sono diventate più complicate anche sui bilanci e questi non sono più in grado di erogare il servizio.
  Lo Stato italiano ha ottenuto da parte della Commissione europea delle clausole di flessibilità per aumentare gli investimenti, ma questi investimenti ex post sono non aumentati, ma diminuiti, e una delle ragioni è anche questa; almeno a livello Pag. 11locale manca la struttura amministrativa che una volta c'era, l'ufficio tecnico del comune che metteva in piedi queste cose. La soluzione è questa: dobbiamo andare in questa direzione.
  Ultimo punto, gli investimenti. Penso che si debba trovare una soluzione strutturale per la spesa in conto capitale. Scusate, io anticipo e non vi faccio vedere niente. Nella slide a pagina 17 potete vedere, per l'amministrazione pubblica italiana, quali sono i tassi di crescita nominali medi nei periodi 1995-2000, 2000-2009, 2009-2015 divisi per le diverse categorie (la spesa corrente, la spesa corrente primaria, il reddito da lavoro dipendente, i consumi intermedi, le prestazioni sociali in denaro, quindi le pensioni, la cassa integrazione e quant'altro, e poi gli investimenti).
  Che cosa vedete da quella figura? Che la crescita della spesa corrente negli anni 2000 è stata elevata, la spesa corrente primaria è cresciuta intorno al 4 per cento in media all'anno, con il 2009 c'è stata una fortissima riduzione, la spesa corrente primaria è cresciuta (qui stiamo parlano in termini nominali, quindi in termini reali anche meno) dello 0,5 per cento l'anno, i redditi da lavoro dipendente si sono ridotti in media dello 0,5 per cento l'anno, perché i salari sono bloccati da sette anni e non è stato fatto il turnover, quindi la spesa si è ridotta.
  Siamo riusciti a controllare anche la spesa per i consumi intermedi, che nel periodo 2000-2009 crescevano a un ritmo del 4 per cento all'anno, tutti gli anni lo Stato spendeva il 4 per cento in più in termini nominali rispetto all'anno precedente per questo aspetto, mentre adesso i consumi intermedi sono cresciuti pochissimo.
  Quelle che non siamo riusciti a controllare sono le prestazioni sociali in denaro, che continuano a crescere sia per la crisi, sia perché la popolazione continua a invecchiare, quindi c'è l'aspetto pensionistico, e ciò che ha sofferto di più sono stati gli investimenti, perché in media abbiamo ridotto gli investimenti pubblici del 6 per cento per ogni anno, quindi questo vuol dire che c'è stata una riduzione di 30 punti percentuali.
  Questo è quello che è successo a livello locale, così almeno vi dà un'idea di cosa sto parlando. Qui abbiamo diviso la spesa delle regioni, delle province, dei comuni e degli enti sanitari, quindi abbiamo tolto la spesa delle ASL dalla spesa delle regioni, e qui ci sono gli effetti, ci sono spesa corrente netta, spesa capitale netta, spesa complessiva netta.
  In tutti i casi la spesa in conto capitale è collassata, con tassi anche del 40 o del 50 per cento, nel campo della sanità la spesa in conto capitale è molto piccola, per cui non ha avuto grandi effetti per quanto riguarda la spesa totale, che infatti è rimasta più o meno invariata, invece per quanto riguarda le province, i comuni, la spesa regionale fuori dalla spesa sanitaria, c'è stato un collasso e, se toglieste trasporti locali e i soldi che arrivano dall'Europa, non resterebbe nulla.
  Questo è quello che è successo. Nelle slides 36 e 37 c'è la spesa per investimenti, la parte sopra è il totale degli investimenti rispetto al PIL e quella sotto delle amministrazioni locali, quindi vedete che c'è stato un crollo rispetto al PIL, nel 2004 le amministrazioni locali spendevano il 2 per cento del PIL in investimenti e adesso ne spendono molto meno. All'inizio degli anni 2000 le amministrazioni locali facevano l'80 per cento degli investimenti dell'amministrazione pubblica, adesso sono ridotti a meno del 60.
  Questo è un problema di crescita, ma soprattutto di crescita futura, e oltretutto questi non sono investimenti netti, sono investimenti che servono per mantenere il capitale che funziona, quindi servono per mantenere le scuole, i ponti, le strade.
  Dietro questo collasso ci sono aspetti politici (è molto più facile bloccare gli investimenti e la spesa in conto corrente, perché rimane un progetto), c'è stato anche l'effetto dei patti di stabilità così come erano stati inseriti e rafforzati a partire dal Governo Monti, quindi lì era previsto a livello locale un patto sia in termini di cassa, sia di competenza, sia in termini di preventivo di consolidato. Pag. 12
  Adesso è stato modificato in maniera strutturale il vincolo di bilancio, basato sulle entrate e le spese finali, questo ha dato un contributo perché poi il Governo ha consentito ai comuni che avevano un avanzo di amministrazione di finanziare gli investimenti, quindi è stato fatto uno sforzo in questa direzione, ma ancora a regime non è previsto, cioè un comune a regime come una regione può finanziare un investimento solo se fa una dismissione patrimoniale.
  Come sapete, ci sono questi patti verticali e orizzontali previsti prima dalla legge ordinaria, adesso costituzionale, per cui una regione, purché mantenga l'equilibrio finanziario, può consentire ad alcuni comuni di indebitarsi e ad altri no, però questo sistema non funziona, cioè funzionano pochissimo i patti verticali, per nulla i patti orizzontali, perché le regioni a statuto ordinario non hanno abbastanza soldi e il potere di intervenire.
  Qui credo che si debba fare qualcosa e avanzo delle ipotesi: reintrodurre la golden rule, che vuol dire che un comune deve essere in equilibrio sulla parte corrente, ma, dato che fa dei surplus di parte corrente, può finanziare gli investimenti. La seconda potrebbe essere che lo Stato lascia spazio finanziario nel proprio bilancio, tutti gli anni si prevede che nel bilancio dello Stato il 2 o 3 per cento venga allocato agli enti locali trovando dei meccanismi attraverso i quali viene allocato (bandi competitivi); l'altra è rivedere il comma 3 dell'articolo 13 e reintrodurre i trasferimenti in conto capitale, per cui se vuoi fare un investimento, ci metti dei soldi tu e poi li metto io.
  Secondo me, qualche spazio qui c'è, perché facendo parte dello European Fiscal Board dove si discute anche del funzionamento delle regole, ho l'impressione che ci sia una disponibilità maggiore a rivedere le regole di bilancio europeo per dare più spazio agli investimenti, quindi questa è una battaglia che si potrebbe tentare di combattere.
  Mi scuso di aver preso troppo tempo.

  PRESIDENTE. La ringraziamo per aver delineato il quadro e, diversamente da altre situazioni, aver anche avanzato qualche proposta di soluzione ad hoc. Lascio subito la parola alla collega Zanoni perché poi deve scappare.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Chiedo scusa e ringrazio moltissimo il professor Bordignon per questa relazione davvero molto interessante, leggerò in modo attento tutto il materiale che ci ha fornito. Mi sentirei di fare una proposta al presidente, se il professore fosse disponibile, ossia di poter realizzare una seconda audizione una volta che avremo letto tutto, perché le sollecitazioni sono tantissime e mi piacerebbe poter intervenire su molti punti.
  Certo mi ha reso la giornata decisamente gradevole sugli aspetti dei fabbisogni standard, tema sul quale abbiamo lavorato molto e che anch'io considero uno strumento molto utile, perché ha fornito un quadro, ha dato tante informazioni, però forse le modalità di finanziamento vanno ripensate, forse non è lo strumento idoneo, serve per altro, è molto importante, ha dato tanti contributi, ma bisogna avere il coraggio di dire che alcune cose servono per lo studio, per impostare alcuni ragionamenti, per avere il benchmark, ma che il sistema di finanziamento deve seguire un altro canale.
  Al di là di questo, il tema degli investimenti mi sembra molto utile e credo che gli ultimi anni, a parte il 2017, abbiano visto un incremento o almeno un'inversione di tendenza. Grazie.

  DANIELE MARANTELLI. Anch'io ringrazio il professor Bordignon per la profondità e anche la schiettezza con cui ci ha illustrato non solo lo stato dell'arte del federalismo fiscale, ma anche alcune proposte concrete per fare dei passi avanti.
  Che sul federalismo fiscale, come ci ha detto nella sua valutazione iniziale, non ci sia un disegno razionale è un fatto del tutto condivisibile, che la sua attuazione costituisca un vantaggio per i cittadini onesti è un punto altrettanto fermo almeno per me, perché l'alternativa a questo è la confusione e l'opacità, e in un Paese nel quale la cultura del controllo, diversamente dai Paesi anglosassoni, Pag. 13 è molto debole, la conseguenza è facilmente individuabile: piccole e grandi corruzioni che continuano a permanere nel Paese, nelle istituzioni anche regionali e locali.
  Credo che non ci debbano essere dubbi sul fatto che invece dobbiamo imprimere un impulso per fare dei passi avanti, bisogna riconoscere che la legge n.42 del 2009 non è stata attuata in maniera coerente e conseguente anche per l'irrompere di una crisi economica che ha condizionato tutto, però è anche vero che è stata anche un'occasione per inutili e pericolosi ritorni di politiche centraliste che non hanno nulla a che vedere con la razionalità.
  L'esempio della sanità mi ha colpito molto perché è suggestivo e certamente fa riflettere, laddove lei sostiene che un eccesso di sofisticazione produce un meccanismo sostanzialmente finto, se ho capito bene, e credo che in grande misura abbia dimostrato la fondatezza di questo giudizio. Mi convince meno, professore (lo dico con molta franchezza) la sua valutazione sui Livelli essenziali delle prestazioni, quando dice che la loro mancata definizione anche sui temi dell'istruzione, dell'assistenza e dei trasporti alla fine è meglio così. Preferirei avere un quadro chiaro sul quale prendere decisioni.
  Per questa ragione le pongo una domanda che non vorrei sembrasse una provocazione, perché non lo è. Condivido la sua proposta di ripartire dall'articolo 116 della Costituzione per restituire un minimo di autonomia, ma le chiedo da cultore della materia se il referendum previsto in alcune regioni del nord (nella mia, ad esempio, in Lombardia) strumento deciso per calcoli politici probabilmente, non possa essere l'occasione per riprendere un minimo di filo riformista, che costituisca una spinta per far ripartire una politica di modernizzazione su questi temi, perché altrimenti, come vediamo in questa Commissione, siamo sulle gambe, come si direbbe in gergo ciclistico.
  Questa è una domanda, io ho la mia opinione, però ovviamente la sua conta molto di più, ed è per questa ragione che, pur essendo politicamente lontano da chi ha pensato, ispirato e organizzato il referendum, sono convinto che si debba votare sì, che si debba sostenere, poi uno può dire che è inutile, costoso e già previsto, però credo che per riprendere un dialogo serrato tra Governo e sistema delle autonomie e delle regioni occorra una scossa.
  Condivido le valutazioni di fondo e il giudizio su province, città metropolitane e sulle vie d'uscita e gli strumenti legali, e condivido quanto diceva la collega perché una volta studiato il materiale sarebbe opportuno che lei tornasse per riflettere su questi strumenti. Lei diceva che l'ambiente lo diamo alle regioni, le scuole ai comuni, e sarebbe oltremodo produttivo tornare su quella riflessione.
  Naturalmente condivido il giudizio espresso sul crollo degli investimenti, strumento prezioso anche di politica economica anticiclica, che dovrebbe essere assolutamente ripreso in mano. Certo è che senza il patrimonio come base imponibile è difficile costruire un sistema, in tutta Europa è così, quindi quel tema va ripreso, così come va fatta una riflessione su una riforma del Catasto che da molti lustri non viene realizzata, obiettivo da perseguire per criteri di trasparenza e di rigore anche finanziario, oltre che di giustizia sociale.
  La ringrazio e spero di non essere stato troppo invadente nella domanda, ma mi solleticava molto, perché siamo alla vigilia di un appuntamento che avremo in Lombardia nei prossimi mesi e tenevo ad avere la sua opinione al riguardo. Grazie ancora.

  VINCENZO GIBIINO. Anch'io sono qui a ringraziare il professor Bordignon per una serie di suggestioni e anche per alcune verità che ci ha trasferito con grande schiettezza. In effetti, quello che raccogliamo in questa Commissione dai vari interventi e dalle audizioni è una serie di preoccupazioni, laddove a questo Paese non viene data una direzione da anni.
  Ho perso i suoi primi venti minuti, quindi faccio un intervento solamente sulla parte che ho ascoltato. Non si ha il coraggio di dire che il sistema della tassazione sulla prima casa andrebbe riproposto. Abbiamo avuto in audizione il presidente della Confedilizia, so che chi rappresenta i proprietari degli immobili non può venire a dichiarare Pag. 14 di rimettere la tassa sulla prima casa, ma al termine dell'audizione, quando provocatoriamente gli ho chiesto se una tassa di servizio, una local tax tarata ai servizi all'immobile e quindi percepita dal proprietario come un servizio agli immobili, una tassa funzionale come quella della spazzatura, potrebbe essere una soluzione per il futuro, a denti stretti ma con gli occhi che sorridevano ha detto sì.
  Il tema che abbiamo già affrontato è infatti quello che i comuni si sorreggono su tasse che non sono quelle dei residenti, cioè sulle seconde case, quindi nei comuni grossi o piccoli, ma soprattutto in quelli turistici rivieraschi impatta in maniera impressionante. C'è poi anche il rapporto tra il bravo amministratore e il pessimo amministratore, perché alcuni amministratori a Milano o Roma fanno fatica, mentre la vita è più semplice per quelli che hanno i comuni piccoli e di natura turistica.
  Molto interessante la parte riguardante la possibilità di saltare un sistema estremamente farraginoso consentendo dei trasferimenti diretti alle città del sud dal centro alla periferia, finanziamenti mirati, altrimenti il sistema si ingabbia, il cane inizia a mordersi la coda e non si riesce a raggiungere, se non dopo 3, 4 o 5 anni con dispendio di risorse economiche, la finalità perseguita.
  Sulle province ha sfondato una porta aperta, abbiamo visto questa vicenda della riforma delle province definitivamente morta il 4 dicembre trascinarsi per anni, l'abbiamo vissuta con partecipazione al bilancio dello Stato, mancanza di trasferimenti, difficoltà nell'erogazione di servizi. Oggi addirittura con la difficoltà a pagare gli stipendi dei dipendenti delle province.
  Per quanto concerne la tassa sulla prima casa, visto che Berlusconi e Renzi l'hanno tolta, è un cavallo di battaglia spiegare agli italiani in campagna elettorale che bisognerebbe ripristinarla, e mi sembra cosa molto ardua, probabilmente il prossimo Governo, se sarà saggio, dovrà mettere mano a tutto l'impianto di finanziamento degli enti locali e quindi anche a questo sistema.
  Sulla vicenda del Catasto ci conforta il fatto che le città, soprattutto quelle più grandi, sono intervenute nelle micro zone, la classica condizione di Piazza della Rotonda al Pantheon è stata rivista, magari in altre città si è più disattenti, però la riforma del Catasto, considerata dai cittadini con grande paura, se viene sempre annunciata produce semplicemente il blocco degli acquisti, perché l'annuncio di riforma si traduce non in «è giusto che paghino tutti quello che è giusto pagare», ma in «compro un immobile ma vuoi vedere che mi metto il doppio delle tasse e rimango ingabbiato in questa condizione?», quindi per 6 o 7 mesi non si fanno più acquisti.
  Quando le cose si pensano bisogna farle in maniera corretta, con buonsenso, e non annunciarle, perché altrimenti si genera panico nella popolazione.
  Sicuramente approfondiremo con attenzione il testo del suo intervento, ma solleciterei anche noi tutti e il presidente a produrre una sintesi della summa di tutte queste audizioni, perché questa Commissione ha una funzione fondamentale per un Paese sostanzialmente allo sbando, quindi come parlamentari dobbiamo tradurre il lavoro di questi anni in un pensiero, non dico unico, ma in un pensiero. Grazie.

  SIMONETTA RUBINATO. Sono preoccupata perché mi sembra che ormai ci sia una sorta di rassegnazione, bisognerebbe avere la forza di provare a cambiare le cose, ma, anche parlando con gli amministratori, sembrano lontane le stagioni in cui dai territori arrivavano forti impulsi anche a cambiare la Costituzione, che nel 2001 è stata cambiata anche sulla base di un movimento che veniva dai territori e chiedeva il federalismo da più parti politiche, perché il sistema è completamente saltato.
  Che la spesa nel nostro Paese sia sotto controllo è una cosa positiva, però una domanda che ci dovremmo fare è se siano adeguate le risorse a livello locale per garantire i servizi ai cittadini, visto che i servizi non si servono nei palazzi ministeriali, ma sui territori.
  Noi abbiamo costruito tutta la macchina dei fabbisogni, ma la facciamo funzionare, nel senso che ci sono anche le risorse adeguate per erogare servizi ai cittadini? La Costituzione dà dei diritti, ci Pag. 15sono competenze e responsabilità a carico di chi deve garantire i servizi, però se non hanno gli strumenti, che sono non solo le risorse, ma anche l'impianto normativo che consenta di farlo, gli amministratori locali rischiano di essere chiamati a responsabilità che effettivamente non hanno, e credo sia uno dei problemi per cui molti oggi scelgono di non candidarsi per gestire un comune o fare il sindaco che governa una provincia, perché ci sono le norme di responsabilità civile e penale.
  Siamo quindi in una situazione molto difficile, inutilmente complicata, la mole di dati a cosa ci serve se ieri ho appreso di due sindaci della mia provincia stanno litigando per una persona in mobilità, che deve andare da una parte all'altra perché comuni che hanno una media del rapporto dipendenti/abitanti che è la metà della media nazionale non possono assumere una persona per il blocco del turnover? A che mi serve la mole di dati che abbiamo se non mi assicura questa flessibilità necessaria, perché poi è il capitale umano che eroga i servizi?
  O ci rassegniamo o cominciamo a buttare per aria il tavolo, e mi pare che a livello centrale questa sia una gran fatica, qui si fanno riforme ma non si cambia il Paese sul serio (mi sono fatta questa idea dopo dieci anni in Parlamento), quindi confido molto sul passaggio referendario del Veneto e della Lombardia (io sono del Veneto), credo che possa far bene a tutto il Paese se le parti politiche lo gestiscono non come un problema di lotta politica, cosa che si intravede e che mi dispiace, addirittura qualcuno mi chiede di andare a spiegare perché va bene votare sì al referendum perché vogliono votare no ed è il presidente della regione!
  Se lo affrontiamo da una parte e dall'altra come se fosse un plebiscito a proprio favore, sbagliamo tutto, perché è un'occasione straordinaria che, attraverso la sentenza del giugno 2015, la Corte costituzionale ha dato al Veneto di sentire finalmente che il popolo dà una scossa al tavolo, e credo che si chiedano perché debbano andare a votare il sindaco, che poteri abbia e che potere di controllo abbiano loro sull'operato del sindaco.
  La gente fa ormai comitati sul singolo problema, perché manca il meccanismo che dà peso alla volontà del cittadino attraverso quelli che elegge. La sfida grande nella riforma dell'articolo 119 del 2001 oggi è rafforzata dal passaggio referendario negativo, come ci è stato spiegato in altre audizioni, perché siccome la riforma del Titolo V, che pure io ho sostenuto per motivi di sistema, ma prendo atto del risultato, serviva per mettere in Costituzione i paletti delle sentenze della Corte Costituzionale, cioè come era stato interpretato, mi convince la tesi per cui se la riforma è stata bocciata bisogna che la Corte Costituzionale rilegga quegli articoli e non interpreti più in modo così restrittivo.
  Quell'articolo 119 con alcuni limiti ha una grande potenzialità, che è quella di provare a restituire (almeno il tentativo era quello, passando da una finanza derivata a una finanza autonoma) sovranità al cittadino contribuente, che è sovrano soltanto se alla fine dell'anno ha un bilancio che gli permette di capire quanto abbia pagato di imposte, a chi le abbia pagate e per cosa.
  In questo Paese il cittadino contribuente non è sovrano, perché non sa quante tasse paga in un anno, a chi le paga e per cosa le paga, un po'il tentativo del 119 secondo me andava in questa direzione e quindi io sarei per provare ad attuare questo articolo 119. Lei giustamente però ha rilevato la necessità di tornare a trasferimenti più semplici, a prendere atto che il sistema gira così, semplificandoci la vita. La mia domanda è: secondo lei nelle regioni che chiedono maggiore autonomia attraverso lo strumento del 116, terzo comma, cioè l'autonomia differenziata, possiamo provare a sperimentare un'applicazione più solida di questo benedetto articolo 119?
  Le regioni attraverso un negoziato (si discute tra Governo e regione, si mettono dei numeri sul tavolo, giustamente, come diceva lei, si mettono anche dei princìpi di responsabilità, si vedono i numeri, se sei in grado di gestire questa competenza primaria, se hai una base imponibile, anche perché poi la cultura di Governo è una cultura anche collettiva Pag. 16 di una società, la classe dirigente è anche espressione di una cultura collettiva di Governo) vanno a verificare che le risorse erogate per gestire determinate funzioni come competenza primaria vengano fiscalizzate il più possibile, cioè venga dato un pezzo di base imponibile chiaro.
  I cittadini di quella regione cominceranno quindi a sperimentare l’accountability, cioè il fatto che qualcuno per fare quelle cose, che poi vedo come le fa, mi chiede i soldi e io poi lo misuro al momento elettorale, altrimenti purtroppo in questo Paese nessuno è mai responsabile di nulla e alle elezioni assistiamo a tribune elettorali in cui c'è la gara (faccio l'esempio dell'IMU) a chi la spara più grossa perché, anziché copiare i pregi, si copiano i difetti, si è partiti dalla parte vostra, si è arrivati alla mia, io da sempre dico che era una grande presa in giro quella di togliere l'IMU, però la prima casa sembra sacra, non si tocca, mentre se stai in un comune, devi contribuire al pagamento dei servizi quel comune, punto.
  Qui ci vorrebbe però la responsabilità, e, siccome andiamo in campagna elettorale adesso, che qualcuno non lo minacciasse come clava, poi ci inventiamo parole, nomi diversi, la local tax perché non si può più dire ICI o IMU, però questa non è la classe dirigente di un Paese.
  Faccio un esempio di una norma folle che incide sugli investimenti. Incentivi per le funzioni tecniche: nei comuni c'è una norma che vincola il comune a dare l'incarico all'ufficio tecnico, se è in grado di farlo (prima di tutto deve verificare questo) per fare la progettazione di un marciapiede o della pista ciclabile, un'opera che poi è un investimento effettivo. A parte i problemi di personale, deve comunque darlo all'interno, fanno questa verifica e i comuni anche per il contenimento della spesa quindi con un intento molto virtuoso, utilizzano il personale interno, perché comuni di media dimensione, per fare il progetto.
  Cosa succede? Che da una recente interpretazione della Corte dei conti la remunerazione al dipendente, cioè l'incentivo per la funzione tecnica, per il progetto tecnico che ha realizzato adesso viene conteggiato dentro il tetto del Fondo produttività per il personale, per cui se, come devi, dai da fare il progetto all'interno, per remunerare il responsabile tecnico che ha fatto il progetto devi ridurre il Fondo produttività per tutti gli altri dipendenti, innescando un meccanismo all'interno folle. In questo modo altro che incentivare gli investimenti, e questo è solo un esempio di dove siamo andati a finire!
  La domanda è: nell'autonomia differenziata lei come vedrebbe la possibilità di sperimentare una forma di autonomia di entrata e di spesa di quella regione e degli enti locali di quella regione, in modo da dare maggior potere al cittadino contribuente, perché diventi un laboratorio minimo di federalismo e di responsabilità che possa innescare meccanismi che si possono estendere anche alle altre regioni, per provare a cambiare dal basso il Paese?

  PRESIDENTE. Grazie. Come abbiamo detto in Ufficio di Presidenza, noi abbiamo messo in cantiere una relazione che cercherà di fare sintesi dei contributi ricevuti, di fare il punto della situazione, perché da questa Commissione abbiamo un punto di vista privilegiato, perché siamo gli unici che cercano di capire cosa sta succedendo o cosa potrebbe succedere, perché altrimenti si va avanti per inerzia, in particolare dopo la fine del processo costituente, con la caduta della riforma è evidente che tutti sono in attesa di un'altra fase politica, che non si sa quale sia.
  Quello che valuto io, ovviamente da posizioni politiche diverse da quelle di chi è intervenuto prima, è che i due referendum in cantiere per l'autunno quantomeno avranno un effetto di scossone e porranno le basi per chiunque andrà a governare nella prossima legislatura per riprendere in mano questa questione, perché davanti a un responso popolare non si può far finta di nulla, riprendendo anche alcuni temi forti.
  Penso che non si possa ragionevolmente discutere di federalismo o anche soltanto di tassazione a livello comunale senza parlare del Catasto e dell'imposta comunale. L'ICI nasce senza che ci siano ambizioni federaliste, nasce in una fase precedente perché in tutto il mondo funziona così, Pag. 17l'importante è semplificare e capire chiaramente a livello comunale, a livello regionale qual è l'imposta che finanzia quel tipo di prestazioni erogate dagli amministratori, in uno sforzo di semplificazione e di responsabilizzazione, che genera fenomeni di efficienza, sindacata poi magari attraverso il dato elettorale. Se non si fa questo, ci avviamo in una fase in cui la deresponsabilizzazione collettiva genera effetti che inducono a perdersi per strada.
  Darei la parola al professor Bordignon per le repliche sui punti che sono stati toccati. L'ultimo accenno ai paradossi: partiamo dal dato per cui non si può fare il federalismo fiscale perché non abbiamo i costi e i fabbisogni standard, ci avventuriamo nella vicenda dei costi e fabbisogni standard creando un mostro, abbiamo appreso (lei ce l'ha confermato oggi) che siamo gli unici al mondo ad avere questa banca dati informativa, nemmeno i Paesi più federalisti del mondo hanno una sofisticatezza di rilevazione e di elaborazione dati di questa natura, poi il problema è cosa ne facciamo di questi dati, se producono lo scopo per cui sono stati raccolti, e questo credo che sia un tema a cui non ci si possa sottrarre. Prego, professore.

  MASSIMO BORDIGNON, professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Grazie mille per le sollecitazioni, naturalmente resto a disposizione nei limiti del possibile se c'è un altro invito per parlare in maniera più puntuale di alcune cose, perché l'invito era molto vasto e quindi ho coperto tanti temi, ma si può fare una cosa più puntuale con i miei collaboratori, tra l'altro io ho tanti cappelli, sono anche nel Comitato scientifico dell'IFEL, per cui ho contatti diretti anche con un certo tipo di mondo.
  Rispondo in termini generali. Chi conosce la mia storia e la mia biografia sa che io sono sempre stato un autonomista convinto, il Paese è molto lungo, ha una tradizione culturale molto diversa, e cercare di bloccarlo e centralizzarlo non ha funzionato in passato, quindi io sono favorevole.
  Non so giudicare, può darsi che il referendum effettivamente abbia questa funzione, ma io penso che vada ripreso in mano comunque questo aspetto dell'articolo 116 e vada fatto in maniera seria. Come ho detto prima, ho lavorato su questo tema quando Padoa Schioppa era Ministro del tesoro e facevo parte della Commissione tecnica sulla spesa pubblica e c'era anche la Lanzillotta, abbiamo fatto un lavoro abbastanza strutturato su come questi meccanismi di autonomia differenziata potevano essere messi in funzione, cioè con quali criteri e meccanismi.
  Qui si parla di federalismo e di enti locali, ma più in generale una cosa che manca molto nella logica dell'amministrazione pubblica italiana e che invece è molto presente in altri contesti è l'idea della sperimentazione, cioè tu non fai la riforma e vale per tutti, perché nessuno ha l'idea di come funziona o non funziona, quindi tu fai un'operazione di sperimentazione, cioè la assegni da qualche parte, fai un'ipotesi, controlli cosa è successo verificandola rispetto a quelli che non sono stati fatti e se funziona la fai.
  Nelle mie molte vite ho anche questo rapporto con la Cina e, se uno si domanda perché la Cina sia cresciuta, pur essendo il Paese più decentralizzato del mondo, dove il 70 per cento di tutte le spese viene fatto a livello locale, e province, città, prefetture e contee hanno un'enorme capacità di gestire il loro territorio, se mi si chiede come abbia fatto la Cina che è un Paese socialista, non ha la regola della legge, non ha protezione dei diritti di proprietà, a crescere così tanto, una grande risposta è stato proprio il decentramento, perché hanno utilizzato questo meccanismo per provare delle riforme.
  Siccome lì poi il meccanismo è completamente centralizzato, uno fa le riforme e cresce perché questo permette di far carriera e dà l'incentivo, però fai delle riforme a livello locale, è anche politicamente rischioso per qualcuno tentare una riforma, però se funziona la estendiamo ovunque.
  Questo è quanto sta dietro il miracolo cinese, noi siamo in un mondo totalmente diverso, però la logica dovrebbe essere sempre quella della sperimentazione in un Paese serio, e noi lo facevamo in passato, non so perché a un certo punto abbiamo perso questa capacità. Pag. 18
  Vedo l'attuazione dell'articolo 116 in questa direzione, cioè noi dobbiamo mettere giù una cosa, guardare quali sono le funzioni su cui si potrebbe ragionare e su questa base fare le cose, quindi per me sfondate una porta aperta, purtroppo non sono io quello da convincere, però credo che si debba fare un'operazione di questo tipo. Se il referendum rimette in piedi una discussione, tanto meglio. Questa è la mia posizione molto semplice su questo.
  In questo contesto di decentramento, l'autonomia tributaria è parte essenziale di questo meccanismo di responsabilizzazione democratica. Tra l'altro, io non vi ho mandato tutti i miei lavori ma, se qualcuno si vuol divertire, vi mando anche un articolo scientifico fatto con l'econometria e la matematica, in cui ho studiato cosa è successo dal momento in cui è stata introdotta l'addizionale dell'IRPEF a livello comunale.
  Prima c'era l'ICI e i cittadini sapevano benissimo che la pagava il comune, quindi pagavi, ti arrabbiavi, ma era il comune; poi nel 1999 è stata introdotta l'addizionale dell'IRPEF e soprattutto all'inizio la gente non aveva idea esattamente, inoltre è molto piccola e non la osservava. Allora io mi sono domandato se questo ha avuto un effetto sulla responsabilizzazione dei politici.
  È venuto fuori che i sindaci al primo turno, quelli che potevano essere rieletti, hanno ridotto tutti l'ICI e aumentato l'IRPEF, quindi c'è anche qualche evidenza empirica rispetto a questo. Se vogliamo creare questo meccanismo di responsabilizzazione, ci vuole un'autonomia tributaria basata su questo, e quindi io penso che l'ICI o qualcosa del genere vada reintrodotta, discutiamo come farla, io capisco anche tutte le difficoltà e francamente non avevo pensato a questa idea della reazione dei cittadini sul Catasto, è chiaro che questa cosa spaventa, quindi bisogna ragionare.
  In generale io penso che tutta questa tassazione immobiliare andrebbe rivista, secondo me la tassazione sulle seconde case è troppo elevata e poi dobbiamo decidere se vogliamo fare la tassazione al momento della proprietà, al momento del passaggio, prendiamo una decisione, perché tra l'altro, in un momento come questo di grande difficoltà economica, magari qualcuno vorrebbe anche vendere la seconda casa, ma non puoi mettere delle aliquote così elevate nel momento della transazione!
  L'impressione che ho (poi voi mi direte che sbaglio) da professore di scienza delle finanze, per cui la razionalità dei tributi fa parte del mestiere, è che siamo entrati in questa logica un po'folle dal punto di vista politico per cui le tasse si possono solo ridurre, non si può mai ri-ragionare, ridiscutere se ristrutturarle anche se hanno delle funzioni positive in termini di efficienza, invece questa capacità va ricostruita.
  Secondo me tutta l'imposizione immobiliare andrebbe ragionata, perché è eccessiva su alcune fonti, troppo bassa su altre, va introdotta sulle residenze. Troviamo un modo per non spaventare i cittadini, cerchiamo di spiegare, questo dovrebbe essere lo scopo, diciamo che per un certo periodo di tempo tutte le transazioni avvengono con il vecchio Catasto, troviamo un modo con cui affrontare questa problematica, ma andiamo in questa direzione.
  La paura di perdere consenso politico, la paura di generare queste cose non può essere tale da bloccare la capacità innovativa e di riorganizzazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Bordignon per il suo intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.

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