XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 116 di Mercoledì 7 giugno 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del coordinatore della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, Franco Iacop, sul coordinamento della finanza pubblica e la legislazione delle Regioni a Statuto speciale e delle Province autonome (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione) :
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Ganau Gianfranco , presidente del Consiglio regionale della Sardegna ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 6 
Ganau Gianfranco , presidente del Consiglio regionale della Sardegna ... 6 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 7 
Bizzo Roberto , presidente del Consiglio provinciale di Bolzano ... 7 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 8 
Gibiino Vincenzo  ... 8 
Bizzo Roberto , presidente del Consiglio provinciale di Bolzano ... 9 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 9 
Ganau Gianfranco , presidente del Consiglio regionale della Sardegna ... 9 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dai rappresentanti della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome ... 11

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del coordinatore della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, Franco Iacop, sul coordinamento della finanza pubblica e la legislazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del coordinatore della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, Franco Iacop, sul coordinamento della finanza pubblica e la legislazione delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.
  Abbiamo deciso di ascoltare anche i rappresentanti delle assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome, perché normalmente nelle commissioni parlamentari vengono ascoltati in audizione gli organi esecutivi e i presidenti delle Regioni e delle Province autonome; invece è interessante anche ascoltare l'opinione delle Assemblee legislative. Per questo ringrazio i nostri ospiti.
  Do la parola a Gianfranco Ganau, presidente del Consiglio regionale della Sardegna, e per i presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni, per lo svolgimento della sua relazione.

  GIANFRANCO GANAU, presidente del Consiglio regionale della Sardegna. Intervengo per conto del presidente Iacop, impossibilitato a prendere parte all'audizione odierna.
  Innanzitutto ringrazio il presidente e tutti i membri della Commissione che consentono questa audizione. Si rappresenterà in questa sede la posizione di tutte le Assemblee delle autonomie speciali, come da voi richiesto.
  Abbiamo a tal fine lavorato insieme per rappresentare i tratti comuni di esperienze che sono in parte diverse, sia per quanto riguarda le previsioni statutarie, sia per le condizioni economiche e sociali dei territori e i tempi di attuazione. Le singole esperienze sono rappresentate nelle schede allegate, le quali sono state predisposte da ciascuna assemblea regionale e già trasmesse a questa Commissione.
  Il filo che le lega, secondo noi, ha oggi un significato importante per tutto il sistema regionale. Vorremmo porre l'accento sul fatto che, dopo il risultato referendario, occorre tornare senza incertezze all'ordinamento costituzionale vigente e orientare nuovamente il nostro regionalismo verso un'effettiva e rafforzata autonomia in senso federale, secondo le ragioni da cui ha preso avvio la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001.
  Ciò vale, in modo non secondario, per l'autonomia finanziaria delle regioni. Non si può non constatare che il processo impostato con la legge n. 42 del 2009, detto appunto «del federalismo fiscale», si è arrestato, non per la volontà o l'ostruzionismo Pag. 4 delle Regioni, ma per le marcate tendenze centralistiche dello Stato, in parte condizionate dalla crisi economica che ha investito nell'ultimo decennio l'intero continente europeo e in parte imputabili a diffidenza e insofferenza verso le istituzioni locali. Lo conferma il poderoso contenzioso costituzionale.
  La legislazione della crisi ha sacrificato l'autonomia. Lo Stato ha privilegiato e percorso con ruvidezza la via del coordinamento finanziario, utilizzando e interpretando in modo centralistico le norme costituzionali legate al principio di equilibrio di bilancio di derivazione europea.
  Le Regioni tutte e le autonomie in genere hanno pagato un prezzo alto in termini di risorse e, soprattutto, in termini di servizi; tale prezzo, a nostro avviso – ma lo ha attestato a più riprese anche la Corte dei conti – è stato sproporzionato, in particolare se si guarda ai servizi fondamentali che sono venuti meno per i cittadini. Colpire la spesa locale ha infatti significato principalmente colpire la spesa sociale.
  Non sappiamo prevedere che cosa ci riserva l'incerta fase attuale e se la crisi economica e la legislazione che l'ha caratterizzata siano destinate a durare. Certamente è difficile pensare che vi sia un margine ulteriore per governare la crisi in termini centralistici.
  Le autonomie speciali hanno provato a percorrere, anche se in modi e fasi diverse, la via segnata dall'articolo 27 della citata legge n. 42 del 2009, quella dell'accordo diretto a calare i princìpi della legge nei singoli ordinamenti e secondo le rispettive condizioni ed economie.
  Sono tre gli aspetti comuni tipici di tale percorso. Il primo è l'accordo con lo Stato, in parte tramite le norme di attuazione degli statuti e, in parte, attraverso accordi fra Esecutivi, poi recepiti nella legislazione statale secondo un procedimento ammesso dai singoli statuti per la disciplina dell'autonomia finanziaria.
  Il secondo è la definizione delle quote di compartecipazione ai tributi erariali percepiti sul proprio territorio, già riconosciute dagli statuti ma per lungo tempo in parte disapplicate e in parte controverse.
  Il terzo è la partecipazione al rientro del debito pubblico mediante l'assunzione di nuove e rilevanti funzioni con costi a proprio carico e/o contribuzione a favore del bilancio statale.
  Questo metodo è stato seguito sia nella fase iniziale di attuazione del federalismo fiscale (e in qualche caso anche prima) sia in quella successiva segnata dalla crisi finanziaria, dal contenimento della spesa pubblica e dal rigido coordinamento finanziario statale, col sostanzioso abbandono del federalismo fiscale.
  In tutti i casi è stato un percorso lungo, difficile e contrassegnato da ripensamenti e violazioni da parte dello Stato. Da un lato, infatti, è parso possibile in certe fasi arrivare a una qualche certezza in ordine alle entrate a vantaggio dell'autonomia regionale, estesa a nuove onerose funzioni. Dall'altro, i ritardi, le interpretazioni restrittive, nonché i mancati versamenti da parte dello Stato, sino ai pesanti accantonamenti che sono in realtà decurtazione dei trasferimenti, hanno penalizzato le autonomie.
  Lo Stato ha disatteso frequentemente gli accordi per poi rinnovarli e disattenderli, da ultimo con la legge di bilancio, che ha rinnovato e riconfermato gli accantonamenti per i prossimi anni. Le funzioni sono, invece, già interamente a carico delle autonomie.
  Da ultimo, i patti hanno incluso aspetti ordinamentali, vincolando le autonomie all'adozione del nuovo sistema di contabilità previsto dal decreto legislativo n. 118 del 2011, sistema che tutte le autonomie hanno adottato, facendo propri i princìpi di trasparenza, chiarezza e omogeneità e dando corso alla revisione dei residui ai fini della veridicità e verificabilità dei saldi di bilancio.
  Si è usciti così definitivamente dal sistema del patto di stabilità, per muovere verso quello dell'equilibrio di bilancio, di controllo e responsabilità della spesa.
  Non si tratta, dunque, come con faciloneria si sente dire, di un sistema di privilegio, né sotto il profilo strettamente economico dell'entità delle entrate né sotto quello del procedimento. Alle maggiori entrate, peraltro da verificare in concreto Pag. 5volta per volta a ogni manovra statale, si accompagna sempre un maggior carico di funzioni, sia acquisite in fasi precedenti, sia assunte in sede di accordi e conseguenti norme di attuazione – diverse per ogni autonomia ma sempre rilevanti (sanità, trasporto locale, ammortizzatori sociali, personale) – sia anche sviluppate con politiche proprie dalle regioni sotto il profilo del procedimento.
  Infatti, il patto, mentre attua previsioni statutarie, non garantisce da violazioni e ritrattazioni e non esclude l'applicazione di discipline di sistema omogenee al resto delle regioni.
  Perché, dunque, le autonomie speciali riaffermano con forza il principio dell'accordo, pur con i limiti descritti?
  L'esperienza apre la via a un'attuazione del coordinamento finanziario, della compartecipazione al rientro del debito pubblico e alla razionalizzazione della spesa rispettosa delle specificità degli ordinamenti e dei territori. È una declinazione del principio di differenziazione, coessenziale a ogni vero sistema autonomistico.
  In questo senso, l'esperienza delle autonomie speciali è utile esempio anche per le Regioni ordinarie, specie qualora si sviluppi il principio di ulteriori condizioni di autonomia, di cui all'articolo 116, comma 4, della Costituzione.
  Allo stesso tempo sono evidenti i limiti, comuni anch'essi con le altre regioni, della fase attuale: un'autonomia finanziaria incompiuta anche rispetto ai princìpi della legge n. 42 del 2009.
  Infatti, la certezza in entrata è affermata in principio ma non sempre praticata. Non sempre è verificabile quanto spetta alle autonomie mediante accesso ai dati della riscossione operata dallo Stato. Non è assicurata l'invarianza rispetto agli effetti delle politiche statali, che spesso sfuggono alla logica dell'accordo. Non è assicurata la piena autonomia dal lato della spesa, per effetto di vincoli e limitazioni. Non sono assicurati meccanismi stabili e certi di perequazione fra i vari territori. Prevale, al contrario, la logica dell'intervento straordinario e dei patti territoriali rimessi a distinti accordi fra Esecutivi, i quali costituiscono un canale parallelo e talora alquanto aleatorio. Non è ancora attuata, se non timidamente e per aspetti del tutto minori, una vera autonomia tributaria regionale.
  Le autonomie speciali, come già per l'omogeneizzazione dei sistemi contabili, non temono e non si oppongono alla piena attuazione di altri aspetti del federalismo fiscale volti ad assicurare una valutazione unitaria e condivisa dei costi e delle spese nei territori – quali la disciplina dei costi standard e il sistema di monitoraggio e valutazione delle spese territoriali – a patto che i predetti aspetti sappiano tener conto di tutte le funzioni svolte dal livello locale con propri oneri, oltre che di quelle statali.
  Come Assemblee legislative ci sentiamo, invece, di avanzare una preoccupazione legata alla natura di molti accordi, i quali, condotti spesso in via esclusivamente interna agli Esecutivi, vengono poi riversati nei bilanci statali e regionali, senza che sia possibile effettuare una reale verifica delle decisioni assunte e dei riflessi che comportano sugli equilibri complessivi di bilancio.
  Tali rimedi sono evidentemente da ricercare nella forma di governo regionale e in una corretta dialettica dei rapporti fra organi.
  Tuttavia, la centralità che ha assunto lo strumento del patto, a scapito delle norme di attuazione, assorbendo i contenuti più vari, compreso il trasferimento di competenze, desta più di una perplessità, sia per l'instabilità delle normative, soggette a facili ritrattazioni in via unilaterale da parte dello Stato, sia per l'esigenza, che spesso comportano, di ulteriori norme attuative, nonché per i ritardi e il contenzioso che ne scaturisce.
  Il sistema delle norme di attuazione, fermo restando il ruolo svolto dai patti per la determinazione delle entrate – che ha indubbiamente maggiore agilità e tempestività – è invece quello che, più di tutti, può dar luogo a norme stabili e a discipline compiute, frutto di vera composizione di normative locali e statali. Non a caso, tale sistema è espressamente richiamato dalle leggi statali, sia per l'attuazione del federalismo fiscale sia per l'omogeneizzazione Pag. 6dei sistemi contabili. Ha inoltre il pregio di coinvolgere, nella più parte dei casi, le Assemblee legislative delle autonomie speciali.
  In conclusione, le Assemblee delle autonomie speciali auspicano un credibile percorso verso un'autonomia finanziaria compiuta che, uscendo nei tempi più rapidi dalla legislazione della crisi, garantisca insieme omogeneità di strumenti, equilibrio dei parametri e rispetto della particolarità dei territori, degli ordinamenti e della specialità, oltre che ulteriori particolari condizioni di autonomia eventualmente riconosciuta.
  Si auspica altresì un riequilibrio del coordinamento finanziario centrale, compatibile, nel rispetto degli impegni e vincoli europei e internazionali, con un effettivo sistema autonomistico, la cui compressione ha provocato gravi ricadute per la spesa sociale e per i servizi ai cittadini.
  Per le Regioni e le autonomie speciali si auspica il rafforzamento del percorso previsto dagli statuti costituzionali, dalla legge n. 42 del 2009 e dal decreto legislativo 118 del 2011; un percorso che è stato confermato, a più riprese, dalla Corte costituzionale, basato sugli accordi e, preferibilmente, sulle norme di attuazione, come strumento più idoneo all'adeguamento degli statuti e del principio di specialità.
  Per una migliore disciplina di tale procedimento si rimanda alle esaustive conclusioni dell'indagine svolta dalla Commissione bicamerale per le questioni regionali, a cui anche le Assemblee regionali hanno concorso con proprie proposte che sono state recepite.

  PRESIDENTE. Vorrei fare alcune riflessioni. La prima concerne il riferimento ai cosiddetti «patti» tra le Regioni a statuto speciale e lo Stato, in particolare per quanto riguarda il contributo agli obiettivi di finanza pubblica.
  Abbiamo ascoltato in audizione il dottor Bilardo del Ministero dell'economia e delle finanze – Ragioneria generale dello Stato, che ci ha fatto un quadro preciso, e anche impietoso, rispetto al fatto che alcune sentenze della Corte costituzionale hanno messo in dubbio che possa ancora tenere, da un punto di vista costituzionale, il continuo rinnovarsi dei patti che alcune autonomie speciali non riconoscono più, o che comunque non hanno innovato.
  In questo momento ci sono situazioni in cui il patto resta in vigore nell'interpretazione governativa, ma non è in vigore, o comunque non può essere reiterato automaticamente come in passato, nell'interpretazione che viene data dell'autonomia speciale.
  È evidente che questo sistema di patti non può continuare all'infinito. Ha funzionato in una situazione emergenziale ma attualmente, anche alla luce delle decisioni della Corte costituzionale, non può andare avanti. Questo è un primo tema.
  L'altra cosa che mi interessa capire è come questi patti, negoziati dagli Esecutivi, e cioè dai presidenti delle Giunte, vengano poi recepiti all'interno delle Assemblee legislative: le Assemblee legislative hanno un compito di ratifica? Arrivano «a giochi fatti» o partecipano al percorso ascendente?
  Questo è un altro argomento di interesse, poiché le Assemblee hanno competenze, in relazione all'approvazione del bilancio preventivo e del conto consuntivo, su cui il patto ha inevitabilmente effetti. Questi sono i primi aspetti che vorrei mi chiariste.
  Vorrei inoltre una vostra valutazione rispetto ai meccanismi e alle procedure di cui all'articolo 116, comma terzo, della Costituzione, cioè alla possibilità, da parte delle Regioni a statuto ordinario, di chiedere ulteriori forme di autonomia; si tratta di una questione entrata nel dibattito politico, grazie all'iniziativa referendaria di alcune regioni.
  Come viene valutato questo processo? A vostro avviso esso mette in pericolo la specialità delle Province e delle Regioni autonome, oppure ritenete sia un processo che, in qualche modo, può rafforzare la posizione delle autonomie speciali rispetto all'atteggiamento dello Stato che, negli ultimi anni, si è fatto sempre più invasivo e invadente?

  GIANFRANCO GANAU, presidente del Consiglio regionale della Sardegna. Inizio Pag. 7dal tema degli accantonamenti. Il sistema degli accantonamenti è un accordo che viene contrattato dagli Esecutivi.
  Quello che è più grave è che, nella legge di bilancio dello scorso anno, è stata modificata la quota di accantonamento, in modo arbitrario e unilaterale, da parte dello Stato. Di conseguenza, la regione Sardegna, che aveva concordato accantonamenti per 537 milioni, ne ha ora 840 milioni, ovvero 300 milioni in più, che corrispondono a una diminuzione, in percentuale, di due unità dei trasferimenti dallo Stato alla Regione. È una quota importante: due decimi dei trasferimenti.
  Su questo c'è stata un'impugnativa davanti alla Corte costituzionale da parte della Regione, perché non è un accordo, ma è un'imposizione da parte dello Stato, quindi evidentemente non può essere accettata.
  Gli Esecutivi non hanno un ruolo durante la fase di trattativa. Semplicemente, durante la fase di discussione consiliare, trovano stabilita, nei bilanci, la quota di accantonamento.
  Sugli aspetti che riguardano, invece, la possibilità di estensione dell'autonomia alle Regioni a statuto ordinario, il coordinamento delle autonomie speciali ha espresso un parere favorevole; noi riteniamo, infatti, che questa sia la strada giusta per andare verso un vero federalismo e, quindi, verso una delega di funzioni a favore delle Regioni e una piena gestione delle funzioni da parte delle Regioni stesse.
  Valutiamo positivamente, come abbiamo affermato in un documento di circa un mese fa, la proposta di referendum delle regioni Veneto e Lombardia, perché essa apre la strada a un vero regionalismo federalista.

  PRESIDENTE. Ho recuperato il contributo dato dal dottor Bilardo durante la sua audizione in Commissione. Egli faceva riferimento alla sentenza n. 125 del 2015, che riguarda la Valle d'Aosta ma che, introducendo il principio per cui si riconosce la transitorietà dei vincoli pattizi, dà a tutte le Regioni a statuto speciale la possibilità di invocare la transitorietà di quegli interventi e, quindi, in qualche modo di metterli in discussione.
  Dalla testimonianza del dottor Bilardo ho tratto l'impressione del senso di precarietà della tenuta complessiva di questo sistema dei rapporti finanziari, in cui il Governo usa qualunque strumento per intervenire. A questo punto la Corte costituzionale ha dato la possibilità di un gancio alle autonomie speciali, per mettere in qualche modo in discussione quello che è sembrato pacifico per almeno quattro o cinque anni di logica emergenziale.

  ROBERTO BIZZO, presidente del Consiglio provinciale di Bolzano. Anch'io ringrazio il presidente Giorgetti e la Commissione per questa occasione importante.
  Quando sento nominare il dottor Bilardo torno indietro di qualche anno, ai tempi in cui facevo l'assessore alle Finanze della Provincia autonoma di Bolzano. Erano gli anni della crescita, in termini politici, del concetto di federalismo fiscale. Erano gli anni in cui il federalismo fiscale era un obiettivo di questo Paese durante i quali è stato definito l'accordo di Milano, nonché molte altre cose.
  La domanda di fondo che bisogna porsi prima di affrontare qualsiasi tipo di ragionamento, secondo me, è una ed è molto semplice: i territori a regime differenziato (così entrarono nella Costituzione) rappresentano un costo o un risparmio per lo Stato? Questo è il problema al quale noi dobbiamo dare una risposta.
  Per noi l'autonomia è, innanzitutto, responsabilità ed è la dimostrazione di come si riescono a dare risposte più efficaci e più efficienti ai cittadini a un costo inferiore rispetto a quello che sarebbe sostenuto dallo Stato. È tutto lì.
  Si parla di nove decimi, ma in realtà sono un po’ meno di otto decimi. Parlo della nostra realtà. Posso fare riferimento a quella, a noi vicina, del Trentino. Per competenza, e soprattutto per mia conoscenza, mi limito alle nostre autonomie, ma questa è, più o meno, la storia di tutte le autonomie.
  Noi abbiamo tutte le competenze che vengono esercitate dallo Stato – tranne la giustizia ovviamente, ma non l'amministrazione del personale della giustizia, e la difesa – e tratteniamo sul territorio un po’ Pag. 8meno degli otto decimi delle risorse prodotte dal territorio; con i restanti due decimi contribuiamo alla solidarietà e alla perequazione statale.
  Ricordo, per inciso, che i due terzi della spesa pubblica sono rappresentati dalle spese dei ministeri e un terzo della spesa pubblica in Italia è rappresentato da Regioni, Province ed enti locali. Anche questo probabilmente ha un senso.
  Uscendo al di fuori della nostra realtà regionale uno degli elementi qualificanti, che contraddistinguono il nostro Paese, è la sanità. È l'esempio di come una competenza, totalmente regionalizzata, che occupa, secondo i dati dell'OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) di qualche tempo fa, il quarto posto a livello europeo per qualità e l'undicesimo posto per quanto riguarda i costi.
  Che cosa significa una visione moderna del federalismo? Dare tutto a tutti? Io credo che non sia questo lo spirito. Una visione moderna del federalismo significa ritornare all'applicazione dell'articolo 116, comma quarto, della Costituzione, cioè dare la possibilità ai territori di esercitare le competenze per le quali sono più vocati e più momentaneamente attrezzati, lasciando sui territori le risorse.
  Questo è anche un modo per permettere ai cittadini di valutare l'operato dei loro amministratori.
  Vengo rapidamente al regime pattizio. Sappiamo che tutti gli accordi sono validi salvo revoca, fino a quando non ne vengono fatti di migliori, o di peggiori. Il nostro statuto di autonomia e quello del Trentino Alto Adige, che è unico – salvo poi distinguersi per le due province per alcuni aspetti applicativi – prevede che il Titolo VI, quello relativo alla parte finanziaria, possa essere modificato, previa intesa, con legge ordinaria.
  Il motore dell'intesa sono gli organi Esecutivi; tuttavia anche gli organi legislativi, quando l'intesa si trasforma in atto legislativo, hanno una propria competenza.
  Non lo dico da presidente del Consiglio, ma da cittadino: forse sarebbe meglio se in questo processo vi fosse una maggiore presenza e incisività da parte degli organi legislativi, e ciò per un motivo molto semplice, e cioè perché spesso i nostri cittadini non ne sono a conoscenza se tutto avviene nel chiuso dei rapporti tra Esecutivi e Governo. Una maggiore influenza delle Assemblee legislative, invece, significherebbe aprire alla portata e alla conoscenza dei cittadini tutti questi meccanismi che, altrimenti, rimangono lontani dalla loro percezione.

  PRESIDENTE. Ringrazio Roberto Bizzo, presidente del Consiglio provinciale di Bolzano.
  Per quanto riguarda la Sicilia abbiamo affrontato il tema delle comunità provinciali. Qualche problema in più c'è. Non sempre le autonomie speciali – lo dico anche se sono un cultore del federalismo – sono modelli di riferimento.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZO GIBIINO. Visto che mi ha chiamato in causa facendo riferimento alla Sicilia, intervengo, ricollegandomi alle parole dell'ultimo intervento del presidente Bizzo: una maggiore presenza del legislativo e una maggiore presenza delle attività parlamentari.
  Riguardo agli accordi tra Esecutivi, porto l'esempio di un accordo che la Sicilia fece con la transazione di un contenzioso molto rilevante, che fu discusso tra i due Esecutivi e i loro uffici competenti.
  Questo ha determinato una ricaduta negativa per la Sicilia stessa e l'impossibilità a intervenire da parte del parlamento regionale, che voi rappresentate, e dei cittadini stessi.
  Sottolineo inoltre, con grande interesse, la valutazione fatta nel vostro intervento della necessità di rispettare il principio di sussidiarietà. Se riuscissimo ad applicare il chilometro zero alle somme che i cittadini pagano in tasse per ottenere servizi, piuttosto che mandare le risorse a Roma, trattenendole per i due terzi, rispedirle indietro per poi chiedere agli enti locali e alle regioni di essere virtuose e, quindi, di dare il miglior servizio Pag. 9 con un minor costo, probabilmente questa sarebbe la soluzione migliore.
  In conclusione, sono molto preoccupato per il futuro del nostro Paese, che pure ha straordinarie capacità. Ogni mattina, non si capisce come, riesce ad andare avanti bene e alcuni servizi, come ricordato, sono erogati in maniera eccellente e con costi non eccessivi.
  Tuttavia, abbiamo perso tanti anni in riforme che non avevano nessun senso e oggi ci concentriamo sulla legge elettorale come se dovesse risolvere i nostri problemi o come se i prossimi parlamentari e i prossimi Governi dovessero risolvere i problemi dell'Italia. Non sarà la legge elettorale e non saranno i prossimi parlamentari a risolvere i problemi, perché altrimenti li risolveremmo noi oggi stesso.
  Probabilmente, quindi, va rivisto totalmente l'impianto, e va fatto adesso, perché non possiamo più reggere gli attuali costi del sistema, non avendo un reddito pro capite né una capacità finanziaria tale da mantenere una macchina dello Stato così costosa.

  ROBERTO BIZZO, presidente del Consiglio provinciale di Bolzano. D'altra parte, l'inventore del regionalismo solidale era quel don Sturzo che nasceva in Sicilia e che ha portato nella Costituzione della Repubblica italiana questo concetto, che poi è stato mediato dal regionalismo. Il federalismo solidale era questo: lasciare i servizi vicino ai cittadini, in modo da spendere meno e meglio di quanto sarebbe stato in grado di fare lo Stato. Tutto qui.

  PRESIDENTE. Ci vorrebbero anche grandi uomini politici come quelli testé citati.
  Lo scopo di questa Commissione e di queste audizioni è quello di «scuotere» le coscienze, perché anche sui temi del federalismo e del federalismo fiscale a noi sembra che, dopo una fase in cui si era tutti federalisti e una successiva fase di restaurazione, durante la quale il federalismo sembrava il responsabile di tutti gli scempi della finanza pubblica e di tutti i reati, siamo in un momento, per così dire, di risacca. C'è una sorta di palude per cui nessuno parla più di federalismo e c'è una situazione di grandissimo imbarazzo istituzionale.
  Quello delle Province mi sembra il caso più eclatante. Non si capisce esattamente quali siano le intenzioni del legislatore, poiché una riforma è stata mandata avanti nell'ipotesi che una riforma costituzionale le desse copertura, ma la riforma costituzionale non ha ottenuto l'avallo del voto popolare. Peraltro, non ci sono le risorse e i presidenti delle regioni vanno ad autodenunciarci in procura rispetto all'impossibilità di svolgere le proprie funzioni.
  Rispetto a queste situazioni – questa è la più eclatante, ma ce ne sono tante altre – quello che ci pare di poter affermare è che la politica non ha le idee chiare, né in un senso né in un altro. Si vuole andare verso la restaurazione? Qualcuno proponga ipotesi restauratrici. Si vuole ritornare a un percorso federalista? Occorre riordinare le idee e modificare la legge n. 42 del 2009, che aveva come pilastro la fiscalità immobiliare, ma che ovviamente è stata smontata pezzo per pezzo, con responsabilità allargate, a destra e a sinistra. L'unica cosa che non si può fare è rimanere in questo stato di totale incertezza e inoperosità.
  La legislatura volge al termine e il nostro obiettivo è anche quello di dare un quadro il più completo possibile delle diverse opinioni sul campo. Sarà poi il futuro legislatore a riprendere le fila della vicenda e, in funzione della volontà del corpo elettorale, prendere in mano la situazione, attraverso una modifica della Costituzione o della citata legge n. 42. In questo momento siamo nella totale incertezza.

  GIANFRANCO GANAU, presidente del Consiglio regionale della Sardegna. Non l'ho fatto all'inizio, quindi vorrei portarvi i saluti del presidente Franco Iacop, coordinatore della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome.

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  PRESIDENTE. Ringrazio per l'intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.40.

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