XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 115 di Mercoledì 31 maggio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del professor Beniamino Caravita di Toritto su attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione) :
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Caravita Di Toritto Beniamino , professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l'Università ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 6 
Zanoni Magda Angela  ... 7 
Gibiino Vincenzo  ... 8 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 8 
Caravita Di Toritto Beniamino , professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l'Università ... 8 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Beniamino Caravita di Toritto su attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione, l'audizione di Beniamino Caravita di Toritto, professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l'Università La Sapienza di Roma.
  Il tema è quello che abbiamo cominciato a focalizzare subito dopo l'esito referendario: attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica.
  Ringraziamo il professor Caravita di Toritto per la sua disponibilità e do a lui subito la parola.

  BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Grazie, presidente. Ringrazio i membri della Commissione.
  Come sempre succede in questa sede, questa è un'occasione per provare a rimettere in ordine fra i dati e fra gli elementi a disposizione, in una fase estremamente confusa, qual è quella che stiamo vivendo. Certo, il punto di riferimento, anche per questa Commissione, è la legge del 2009 sul federalismo fiscale, ma, da allora, tutto è cambiato, almeno per due fondamentali elementi di rango costituzionale, le cui conseguenze continuiamo a esaminare, a vedere e, in qualche modo, a subire.
  Un primo elemento di rango costituzionale che incide su tutta la nostra analisi è la riforma del 2012 con l'introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione. Il secondo elemento di rango costituzionale che incide sulla nostra riflessione è il tentativo di modifica costituzionale con la riforma approvata dal Parlamento e poi respinta dal popolo con il referendum del 4 dicembre.
  Questi due elementi sono tali per cui, secondo me, oggi tutto è cambiato, per cui, prima di far ripartire una riflessione sull'attuazione del federalismo fiscale, anche sotto specie delle attività e delle prospettive del coordinamento della finanza pubblica, credo che bisogna fare tre fondamentali operazioni, le uniche che ci permettono di dare chiarezza a quello che stiamo facendo, a quello che sta succedendo e a quello che possiamo fare.
  Come prima operazione, occorre recuperare i dati. La mia sensazione è che siamo sommersi da una serie di dati contraddittori, confusi e non chiari, che nascondono realtà che si stanno profondamente modificando.
  In un convegno della settimana scorsa alla Guardia di finanza sul controllo e sull'efficienza della spesa pubblica sono emersi due dati che mi hanno estremamente colpito.
  Il primo dato ci dice che la spesa sanitaria si è sostanzialmente ridotta, nel senso Pag. 4che questa è rimasta ferma a 100 miliardi di euro negli ultimi dieci anni, ma il dato che mi ha colpito è che gli indicatori di efficienza della spesa sanitaria sono migliorati in quasi tutto il Paese, ivi comprese le regioni meridionali. Questo dato emerso in una sede autorevole mi ha sufficientemente colpito perché continuiamo a pensare a una spesa sanitaria che cresce e che è inefficiente.
  Allora, qual è il dato rispetto al quale noi oggi ci muoviamo? Questo è un elemento che va autorevolmente recuperato e, forse, questa è una delle sedi più autorevoli per porsi un obiettivo di questo tipo.
  Il secondo dato emerso in questo convegno è che l'intervento sulle partecipate pubbliche locali ha dato dei risultati: il numero si è ridotto e l'efficientamento di queste società, almeno sulla base dei dati contabili, è aumentato. Anche questo è un dato importante perché siamo sottoposti a un continuo bombardamento per cui le società partecipate pubbliche locali sono tante o troppe eccetera.
  Allora, il primo lavoro che va fatto, secondo me, è recuperare i dati.
  In secondo luogo, la bocciatura del referendum ha bloccato, se non fatto tornare indietro, un processo di riorganizzazione del quadro territoriale italiano che, dalla Delrio in poi, era andato molto avanti, anzi lo aveva fatto già prima della Delrio e in questa legislatura è andato avanti.
  C'è una ricerca cui lavora il gruppo di ricercatori della rivista che io dirigo, Federalismi. Si tratta di una ricerca che stiamo facendo con Unioncamere e che probabilmente uscirà nelle prossime settimane.
  Il dato di fondo è che il sistema amministrativo italiano era basato sul livello provinciale, che era il livello di strutture del decentramento dello Stato ed era il livello di accentramento dei servizi comunali, diventando anche un livello cui facevano riferimento le regioni per decentrare servizi e funzioni. Quello provinciale era un livello di autonomia perché, con la riforma del testo della Costituzione, le province sono anche soggetti di autonomia. Il vecchio articolo 128 diceva che i comuni e le province sono «anche enti» di decentramento e con il termine «anche» si faceva riferimento all'esser soggetti di autonomia, come poi fissato nell'articolo 114.
  Questo ruolo «pivotale» del livello provinciale è, nel corso della diciassettesima legislatura, scomparso. A livello statale, si è assistito a un processo di riorganizzazione degli apparati centrali dello Stato in maniera estremamente diversificata. Doveva scomparire la provincia sostituita dalle aree vaste. Le regioni hanno riorganizzato e stanno riorganizzando i propri servizi e le proprie funzioni, non facendo più riferimento sul livello provinciale, ma riportandole a livello regionale ovvero creando soggetti di diversa area e di diversa entità.
  Questo è un altro processo che va esaminato approfonditamente per capire come si sta riorganizzando il livello territoriale dello Stato. Naturalmente, il rigetto del referendum ha bloccato questo processo, che, ancorché in maniera confusa, stava andando avanti. Adesso, il rigetto del referendum ci ha riportato su un livello provinciale inserito in Costituzione, con l'abbandono della prospettiva della possibilità per le regioni di costituire aree vaste.
  Che cosa succede nel processo di riorganizzazione territoriale dello Stato? Questo è un elemento tutto da verificare.
  In terzo luogo, occorre ridare efficienza alla spesa pubblica. Nel nostro sistema, la spesa pubblica è circa la metà del Prodotto interno lordo. In un sistema in cui la spesa pubblica costituisce la metà del prodotto interno lordo, o si rida efficienza alla spesa pubblica o il sistema è destinato a implodere e a non funzionare.
  Permettetemi, con qualche prudenza e con qualche timore, di essere controcorrente. Il tema del ridare efficienza alla spesa pubblica non riguarda solamente fenomeni di corruzione: il tema profondo è semplificare i procedimenti amministrativi e rendere organico e coerente, quindi non più fonte di sovrapposizione e di contraddizione, il sistema dei controlli pubblici.
  Io ho contezza di quello che succede nel mio piccolo mondo universitario, dove, se devo invitare un professore universitario da Londra e ottenere che il suo sia un biglietto Londra-Roma-Milano, devo chiedere Pag. 5 il piacere ai funzionari amministrativi perché il funzionamento amministrativo mi dice che, se quel professore viene da Londra, deve tornare a Londra. Inoltre, se devo fare un buffet di 500 euro, devo andare sul MEPA e aprire un procedimento i cui costi amministrativi sono il triplo dei costi del buffet che devo preparare. Il costo del buffet sarà di 500, 600 o 700 euro, mentre il procedimento amministrativo che devo aprire costa il triplo.
  Si tratta di alcuni esempi concreti di piccola vita universitaria perché – ahimè! – le somme che nelle università possiamo gestire sono di 500 o 600 euro o quelle per un biglietto Londra-Roma-Londra, ma occorre semplificare i procedimenti amministrativi.
  Sto disperatamente tentando di chiedere alla mia Università di farmi un pamphlet di tutti questi florilegi, in modo da poterne parlare con il presidente della Sezione di controllo regionale della regione Lazio alla Corte dei conti, dicendo: «trova il modo per rimettere ordine a un sistema che impedisce la piccola spesa».
  La seconda questione è mettere ordine nei controlli della spesa. Il legislatore si è posto questo problema e vi faccio due esempi: quando il legislatore ha detto con la legge Madia che i provvedimenti di autotutela non possono intervenire nei diciotto mesi successivi al provvedimento e quando, sempre nella legge Madia, ha detto che la Corte dei conti in sede giurisdizionale deve tener conto dei provvedimenti della Sezione di controllo.
  Vi faccio, anche per questo caso, qualche esempio, di cui l'ultimo tocca un tema che a voi può esser caro: la questione dibattuta della sottoposizione delle unioni di comuni al Patto di stabilità.
  L'orientamento di molte Sezioni di controllo è stato lungamente quello di ritenere che le spese fatte nelle unioni di comuni non cadessero nel Patto di stabilità, quindi potessero essere inserite nei bilanci sotto la voce «trasferimenti» e non sotto la voce «investimenti». Improvvisamente, la Sezione di controllo di una regione ha deciso di bocciare il bilancio di un comune importante perché queste spese erano state inserite nei trasferimenti e non già negli investimenti.
  Le conseguenze di una bocciatura del bilancio di un comune di 20 mila abitanti sono drammatiche perché questo significa il blocco degli investimenti e il blocco delle spese.
  Per fortuna, in quel caso, un rimedio che è stato introdotto, prima in maniera pretoria e poi nel codice contabile, ha permesso di porre rimedio a questa situazione, quindi il provvedimento negativo è stato impugnato nelle Sezioni riunite della Corte dei conti, per cui la Corte dei conti ha – ancora la sentenza non è uscita – annullato il provvedimento di questa Sezione di controllo.
  Gli esempi di questo tipo potrebbero essere centinaia. C'è stato il caso di un segretario comunale citato per danno erariale per un processo di cartolarizzazione che era stato approvato dalla Sezione di controllo della Corte dei conti. Questo segretario comunale e tutti i segretari comunali faranno più partire processi di cartolarizzazione con il rischio di un danno erariale? Stiamo provando a dire che, siccome c'è stato un provvedimento positivo della Sezione di controllo, il procedimento per danno erariale si deve bloccare.
  Per continuare, posso riportare altri esempi. Lo spacchettamento degli appalti pubblici per andare sotto soglia è un'indicazione preferenziale per gli enti pubblici, perché così ci dice il codice degli appalti, o è una turbativa d'asta? L'inserimento nelle licitazioni private di criteri di favor per cooperative sociali o cooperative locali è una linea preferenziale data anche sulla base di indicazioni normative o si tratta di turbativa d'asta e traffico di influenza?
  Potremmo continuare su esempi di questo tipo e costruire un panorama lunghissimo degli esempi che vi ho fatto. Basta leggere con un po’ di attenzione nella filigrana dei giornali e soffermarsi su quanto scritto sotto il titolo «Corruzione» o «Arresti» per rendersi conto che spesso ci sono meccanismi di inefficienza della spesa pubblica provocata da una eccessiva complicazione ovvero ci sono elementi contraddittori Pag. 6 negli esponenti, nelle strutture e nelle istituzioni di controllo.
  Vi dicevo prima che il Parlamento ha fatto un tentativo e vi facevo due esempi con cui il Parlamento ha tentato di porre rimedio a questa situazione: i due interventi sulla legge Madia.
  In merito, penso che occorra una vigilanza attenta perché ci sono meccanismi di aggiramento delle due previsioni normative citate, che qui sono state effettuate e che la politica ha approvato. Tali scelte vanno nel senso della razionalizzazione dei meccanismi di controllo, ma vengono facilissimamente aggirate in sede di attuazione amministrativa e di attuazione giurisdizionale.
  Mi rendo conto che sto scivolando forse su un terreno a voi gradito, quello dell'esaltazione della capacità della politica di porre rimedi. Lo vorrei evitare perché sono consapevole dei limiti, dei rischi e dei difetti della politica, ma forse bisogna rendersi conto che alcuni processi che bloccano il sistema italiano hanno, secondo me, la loro radice profonda in un mutamento non controllato del sistema politico istituzionale di cui non riusciamo a renderci consapevoli e in una carenza di dati che non riusciamo ad avere e a elaborare nonché in una continua contraddizione dei meccanismi di controllo, che, secondo me, porta il Paese a un blocco dell'attività amministrativa, riguardando – insisto – il 50 per cento della spesa pubblica e il 50 per cento del PIL.
  In tal senso, o riusciamo a ridare efficienza alla spesa pubblica, facendolo, secondo me, con due passaggi, ossia semplificare i procedimenti amministrativi e rendere coerenti gli strumenti di controllo, oppure, se non riusciamo in questa operazione di rendere efficiente la spesa pubblica, temo che tutti gli sforzi, sia sul coordinamento della spesa sia sulla lotta alla corruzione, siano destinati a essere pagliette di facciata che non permettono di raggiungere l'obiettivo del dare un senso a quanta spesa pubblica il Paese effettua.
  Mi fermerei qui e riprodurrei una serie di dati e di elementi nel testo di una relazione scritta. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, professore.
  Io vorrei fare una riflessione: forse il cuore del processo del federalismo fiscale risiedeva nell'auspicio che un principio di responsabilizzazione a livello politico avrebbe indotto, per la spesa, a processi di efficienza e di efficacia nelle decisioni, per cui avvicinare il decisore politico al cittadino, quindi alla domanda pubblica, avrebbe dovuto innestare un processo virtuoso. Questa è la filosofia del federalismo, così come, in qualche modo, è stata applicata.
  Questo processo è stato più teorico che effettivo perché poi, come giustamente lei ha osservato, ci sono stati tentativi più o meno disordinati e organici nonché contraddizioni ed enunciazioni normative cui non hanno fatto seguito applicazioni pratiche. Come lei ha osservato, speriamo che le decisioni della politica e del Parlamento vengano effettivamente attuate, ma potremmo fare un elenco lunghissimo di decisioni e di indirizzi che la politica e il Parlamento hanno dato e che lo stesso Governo ha dato nonché di decreti che non sono mai stati in qualche modo attuati o neppure emanati, a dir la verità.
  A questo stallo sotto il profilo della responsabilizzazione, quindi a un processo di deresponsabilizzazione a livello istituzionale, si sommano i problemi che lei ha, in qualche modo, richiamato: c'è un procedimento amministrativo sempre più burocratico, su cui i controlli si intensificano in modo disordinato per assicurare una presunta correttezza, e c'è la nascita di autorità, per cui, oggettivamente, la situazione diventa sempre più complicata.
  Oltre al funzionario che applica rigorosamente la norma per cautelarsi da qualsiasi tipo di contestazione, ci troviamo oggi, se pensiamo al caso delle province che abbiamo in qualche modo evidenziato e su cui acceso i riflettori, nella situazione in cui ci chiediamo se questa competenza è della regione, della provincia o del comune.
  Il comune e la provincia dicono: «la competenza è nostra, ma non ci sono le risorse associate, quindi non possiamo farlo». Le province sono venute a dirci questo e, adesso, stanno andando ad autodenunciarsi rispetto al fatto che non sono in grado di assicurare servizi indispensabili, Pag. 7 quindi, in qualche modo, chiamano in correità altri livelli istituzionali.
  Sicuramente non lo potrà fare questa legislatura e l'obiettivo che ci siamo dati è di lasciare una specie di cahier de doléances, cioè dei punti aperti su cui abbiamo riflettuto.
  Certo, il problema è che bisogna rimettere in ordine tutta la macchina politica e amministrativa dello Stato e delle istituzioni locali perché, altrimenti, si fa veramente fatica a riprendere il filo, anche del risparmio sulla finanza pubblica.
  I tentativi di spending review, che più volte si sono affacciati anche in questa Commissione, sono stati puntualmente rimbalzati, quindi si fa semplicemente retorica o demagogia, senza incidere veramente su processi che possano condurre all'efficienza.
  Io la vedo, da un lato, come una specie di matrice sul procedimento amministrativo e sui controlli in termini orizzontali, ma, in verticale, la vedo come un processo di confusione istituzionale assai profonda, su cui lo stop del processo di revisione costituzionale ha contribuito in certi aspetti negativamente e in altri, a mio giudizio, positivamente. Oggettivamente, da qualche mese, la politica non dà risposte e sarebbe il caso che qualcuno, in un senso o nell'altro, sappia dare un indirizzo perché, altrimenti, la fase di stallo non aiuta nessuno. Questa è la mia riflessione.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Grazie, presidente. Ho trovato molto interessante questa relazione e ringrazio il professor Caravita della sua disponibilità.
  Credo che uno degli aspetti messi in evidenza che, secondo me, è cruciale sia il tentativo di questi anni di risolvere problemi che avrebbero dovuto essere risolti in via giudiziaria per le parti malavitose, senza colpire tutti. Dall'altro lato, il tentativo di ridurre e omogeneizzare la spesa pubblica ha portato a spazi di discrezionalità e responsabilità negli enti pari a zero, o quasi.
  Adesso, forse, bisognerebbe cominciare ad avere il coraggio di invertire l'ordine. Non dovremmo spaventarci se, per importi piccoli o limitati, questi spazi di autonomia debbano essere, di nuovo, dati.
  L'esempio che faceva lei è emblematico: anche nei nostri enti locali, se dobbiamo organizzare un piccolo buffet, ci costa molto meno affidarlo all'ENGIM piuttosto che a qualche associazione nostra di volontariato – peccato che non riusciamo a dargli 300 euro, neanche morti – e ci costa infinitamente meno rispetto a seguire la prassi normale, quindi è evidente che siamo arrivati a un livello di distorsione.
  Il problema è che in questo periodo storico, con tutta la ventata di populismo per cui i dirigenti pubblici e i politici sono tutti corrotti e non sanno fare nulla e non si capisce in virtù di che cosa quei dirigenti siano lì, comunque non per le loro capacità, diventa difficile innescare un processo, come quello che sostanzialmente tutti noi facciamo con i nostri figli. Si danno spazi di autonomia ridotti, anche perché questi non possono neanche essere indotti a fare delle cose: se tu gli spazi di autonomia per lavorare fino a 2.000 euro, nessuno fa grossi danni.
  Si dovrebbe invertire questo processo, cominciando a dire che la maggior parte della gente impiegata nelle strutture pubbliche lavora a testa bassa, prendendosi un sacco di responsabilità e lavorando anche oltre l'orario. Certo, ci sono anche i quattro furbetti del cartellino che impazzano sui media, quindi quella è l'immagine che viene restituita, ma noi sappiamo bene che non è così.
  Forse la politica dovrebbe cominciare a assumersi la responsabilità di individuare i margini di discrezionalità e la conseguente responsabilità. Questo non vuol dire che, se uno usa lo spazio di discrezione, lo stesso viene immediatamente perseguitato dalla Corte dei conti, anche perché è questa la linea di confine che dobbiamo tracciare: se c'è uno spazio di discrezionalità, vuol dire che si tratta di uno spazio di discrezionalità, compreso il fatto che uno possa sbagliare, ma la valutazione dello sbaglio è politica e non è una valutazione di responsabilità civile e penale. Pag. 8
  Credo che dovremmo davvero cominciare a porre questo problema sul piatto perché, altrimenti, non andiamo da nessuna parte.
  Devo dire che la sua prestigiosa e utile rivista sottolinea sovente, con articoli molto interessanti, anche come cominciare a procedere da adesso in poi, posto che la legge n. 42 in questi anni non è stata realizzata, se non in modo molto marginale e su aspetti più di carattere generale e di facciata che di contenuto. Da un lato, abbiamo perso il principale obiettivo, ossia l'autonomia finanziaria degli enti, perché, cammin facendo, abbiamo perso ICI, IMU eccetera, quindi una parte consistente del finanziamento diretto, e margini di discrezionalità perché, ormai da anni, sono bloccate anche le aliquote della tassazione locale. Sostanzialmente, tutta la parte del finanziamento e dell'autonomia finanziaria è stata disattesa, per cui sicuramente un ripensamento dopo il referendum va fatto.
  Mi è sembrato interessante lo spunto sulla riflessione dei dati perché mi è parso di capire che forse, nonostante tutto, qualcosa si è fatto, anche solo per aver fatto di necessità virtù, come si suol dire. Essendoci state tutte queste ristrettezze sulle risorse, è evidente che la parte sana e prioritaria del Paese ha lavorato per aumentare margini di efficienza e per cercare di evitare di ridurre i servizi. Lo dico perché, comunque, a livello locale questo si fa e perché, fortunatamente, questa è la situazione, però bisogna cominciare ad avere il coraggio di dire che ci sono situazioni virtuose dove la riduzione delle risorse ha portato all'aumento dell'efficienza, anziché alla riduzione dei servizi.
  Da questo punto di vista, siccome la sua relazione mi è sembrata più di analisi del passato, mi piacerebbe capire, molto brevemente, quale secondo lei, al di là dell'analisi corretta dei dati che mi sembra giusto ricordare, soprattutto alla nostra Commissione, dovrebbe essere la strada per affrontare nei prossimi mesi un'eventuale applicazione della legge n. 42 oppure una sua modifica?
  Grazie.

  VINCENZO GIBIINO. Vorrei porre una domanda breve.
  Mi ha colpito che nella sua relazione – la ringrazio di essere venuto stamattina – abbia usato, accanto a «spesa pubblica», la parola «efficienza» e che abbia detto che la spesa pubblica, per metà, incide sul Prodotto interno lordo piantato a zero nel nostro Paese.
  Le chiedo se possa fornirci dati relativi all'incidenza della spesa pubblica sul PIL negli altri Paesi europei, al di là del tipo di efficienza e della spesa, ma anche del prodotto reale che si ottiene negli anni per la collettività e lo sviluppo nel Paese dove tale spesa viene effettuata.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Caravita per la replica.

  BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Ho cercato di evitare il tema del referendum e l'ho fatto apposta. Avendo questo tema diviso il Paese ed essendomi personalmente impegnato per il «sì», ho cercato di fare la mia relazione non toccando questo tema, però le domande e le riflessioni del presidente mi spingono, ancorché in maniera molto breve, a riprenderlo.
  È evidente che, per quanto riguarda il sistema regionale degli enti locali, abbiamo subito la confusione che deriva dal testo riformato nel 2001 dell'articolo 117.
  Sono sempre un po’ preoccupato nel raccontare questa cosa perché il testo dell'articolo 117 nasce in un modo molto preciso: due presidenti di regione chiedono agli assessori, che, a loro volta, chiedono a due esperti di scrivere un testo dell'articolo 117 per andare alle trattative con il Governo.
  Come mi insegnate, quando si va a una trattativa, lo si fa chiedendo 120 perché si otterrà 60, 70, 80 o, se va male, 50, quindi fra il 50 e l'80 per cento di quello che si è chiesto. I due esperti scrissero un testo in cui chiedevano 120, pensando che quel testo, andando in Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle regioni e delle province autonome, si sarebbe ridotto a 110 e, nella discussione con il Governo, si Pag. 9sarebbe ridotto a 90, quindi, andando in Parlamento, si sarebbe ridotto a 80.
  In tal senso, si sarebbero razionalizzate alcune richieste eccessive dell'articolo 117, ma – ahimè! – questo non è successo perché quel testo scritto da due esperti chiedendo 120 rimase a 120 in Conferenza, rimase 120 con il Governo e rimase a 120 in Parlamento.
  Adesso, è inutile ripercorrere le cause perché si tratta di ragioni della storia politica del Paese. Quello è un testo sbilanciato, per cui c'è poco da dire e poco da fare. Un testo che dice che le regioni hanno competenza concorrente in materia di produzione, trasporto e distribuzione dell'energia, è un testo sbilanciato. Un testo che non permette allo Stato di intervenire e che attribuisce la potestà regolamentare alle regioni in tutte le materie di potestà concorrente è un testo sbilanciato. Un testo che non permette allo Stato di intervenire puntualmente con l'espressione di principi che chiedano necessariamente un'immediata attuazione su tutte le materie di potestà concorrente e residuale è un testo sbilanciato.
  Che cosa è successo in questi quindici anni? Il gravissimo sbilanciamento di cui siamo tutti consapevoli è stato risolto con gravi distorsioni istituzionali: da un lato, la Corte costituzionale ha assunto il ruolo di dominus totale dell'interpretazione dell'articolo 117, per cui oggi, per sapere che cosa c'è scritto nell'articolo 117, bisogna guardare la giurisprudenza della Corte, anche se, spesso, nemmeno così lo si riesce a capire, anche perché quella è una giurisprudenza estremamente varia.
  Vi ricordo un banale esempio istituzionale. A voi saranno capitate sottomano i decreti ministeriali aventi natura non regolamentare, dentro i quali viene inserito di tutto. La riforma dei teatri è stata fatta in un decreto ministeriale avente natura non regolamentare, quindi c'è una contraddizione in termini. Lo dico perché, se riformo il teatro, il testo ha natura regolamentare.
  Ciò è stato fatto per aggirare il divieto della potestà regolamentare dello Stato nelle materie di potestà legislativa concorrente.
  Quel testo è stato – ahimè! – una fonte di distorsione e di confusione e siamo tutti consapevoli di ogni limite di quel testo. Ora, non dico che tutti quei limiti erano risolti dalla riforma, ma molti limiti erano affrontati, offrendo, in qualche modo, una soluzione, sia sotto il profilo della riscrittura contenutistica dell'articolo 117 sia sotto il profilo di uno sballato o non piacevole o fatto male Senato con una composizione diversa.
  In quel caso, siamo fermi e non so se sia immaginabile riuscirci. Non credo che ciò accadrà in questa legislatura e non so nemmeno chi si prenderà il rischio nei prossimi anni di rimettere le mani sull'articolo 117, dopo che, per due volte, c'è stato un tentativo di riscriverlo, dal centrodestra prima e dal centrosinistra poi.
  Faccio parte di una categoria di costituzionalisti che non si vergognano di essere riformisti e di pensare che la Costituzione sia il testo più bello del mondo. Tuttavia, anche i testi più belli del mondo hanno bisogno di aggiornamento, di revisione e di continua manutenzione, quindi ero favorevole alla riforma presentata dal centrodestra e sono stato favorevole alla riforma presentata dal centrosinistra per ragioni di impianto culturale: ci sono alcune cose su cui bisogna rimettere mano.
  Non so chi se la sentirà e questo mi sembra, oggi, un difficile pronostico da fare, ma sappiamo perfettamente quali sono i limiti: in materia sanitaria, per operare, non basta lo strumento della potestà statale in tema di determinazione dei Livelli essenziali di assistenza, ma occorre introdurre un elemento che faccia prevalere l'interesse pubblico nazionale e che permetta allo Stato di dettare disposizioni puntuali, come espressione di un interesse generale che si concentri su quella singola disposizione. Occorre permettere allo Stato di intervenire non solo con i principi, ma anche con disposizioni puntuali.
  L'esperienza di questi quindici anni ci dimostra che sarebbe meglio riuscire a introdurre una cosa di questo tipo in Costituzione che affidarci a una giurisprudenza della Corte, necessariamente vagante, episodica eccetera, quindi – ahimè! Pag. 10– questo è un punto su cui non so come si riuscirà a intervenire.
  Sul tema della legge n. 42, la logica era quella che diceva il presidente: l'idea è che, avvicinando la spesa ai livelli locali, ci sarebbe stato un livello di responsabilizzazione.
  Ora, anche su quest'aspetto, penso che siamo sommersi da input giornalistici, ma temo che non abbiamo i dati.
  Sono rimasto molto colpito dall'affermazione fatta in un convegno da un professore che mi sembra fosse Spandonaro. In maniera totalmente contraddittoria a quello che sta uscendo, quel professore partiva dall'assunto che il federalismo in materia sanitaria ha funzionato, dicendo – questo è interessante – che la sanità ha funzionato anche nelle regioni meno efficienti, grazie all'accoppiata di riduzione della spesa e commissariamento.
  Il commissariamento della regione messo in mano ai Presidenti, cioè a chi conosce la struttura socio-istituzionale della propria regione, ha offerto strumenti in più per superare le resistenze politiche, le lentezze e i processi complicati, per cui un soggetto che conosce la realtà locale, con strumenti istituzionali extra ordinem, quelli basati sul commissariamento, è riuscito a produrre dei risultati di efficienza.
  Vi riporto la posizione che ho sentito nel convegno della Guardia di finanza. Non posso dire se ciò sia vero e non ho gli strumenti per dirlo perché non abbiamo bisogno di più dati e di più informazioni, però probabilmente è vero che una riflessione più attenta ci può permettere di cogliere elementi positivi anche sul versante del coordinamento della finanza pubblica, ossia quelli su cui bisogna lavorare per ricostruire un processo diverso. Insomma, è evidente che la prossima legislatura dovrà ricostruire un processo diverso sul controllo e sull'efficienza della spesa pubblica e ripensare i meccanismi di ripartizione delle risorse e delle spese fra centro e periferia.
  Per farlo, abbiamo bisogno, secondo me, degli elementi che dicevo prima: conoscenza dei dati, ricostruzione del quadro territoriale e introduzione di meccanismi di efficienza nella spesa pubblica.
  Per quanto riguarda il rapporto fra spesa pubblica e PIL, l'Italia è uno dei Paesi con il livello di spesa pubblica sul PIL più elevato: siamo oltre il 50 per cento, mentre gli altri Paesi hanno un impatto della spesa pubblica intorno al 40 per cento, quindi siamo il Paese dove la spesa pubblica è una componente molto grande del PIL e la mancanza di efficienza della spesa pubblica ha degli effetti negativi sul PIL.
  Adesso, non voglio fornire cifre perché non sono economista, quindi qualsiasi cifra dicessi non sarebbe confermata da nulla, ma posso immaginare che, con una spesa pubblica del 10-15 per cento in più degli altri Paesi europei, se avessimo una spesa pubblica efficiente, come detto nei discorsi che, ancorché episodicamente, citavamo prima, probabilmente questo significherebbe anche un incremento della capacità di crescita del PIL, che sostanzialmente da noi sta crescendo, anche se in maniera molto minore rispetto ad altri.
  Partendo dalla sua osservazione, mi chiedo se non possa essere interessante fare una verifica fra la quota della spesa pubblica sul PIL, il livello di efficienza della spesa pubblica e la capacità di crescita annuale. Forse potrebbe venire fuori una riflessione interessante: cresciamo di meno perché abbiamo troppa spesa pubblica, ma soprattutto perché abbiamo una spesa pubblica poco efficiente.

  PRESIDENTE. Penso di interpretare tutti i colleghi ringraziando il professor Caravita di Toritto per la sua presenza, per il suo contributo e per le sue riflessioni.
  È chiaro che il nostro proposito di lasciare una testimonianza o una specie di riassunto dovrà, a questo punto, accelerarsi, visto anche il clima che si sta creando all'interno del Parlamento e l'approssimarsi della fine della legislatura.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.50.