XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 108 di Giovedì 6 aprile 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del professor Mario Bertolissi su attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione) :
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Bertolissi Mario , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Bertolissi Mario , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova ... 10 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 14 
Bertolissi Mario , Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova ... 14 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Mario Bertolissi su attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione, del professor Mario Bertolissi, ordinario di diritto costituzionale all'Università degli studi di Padova.
  Il tema è quello che abbiamo cominciato ad affrontare anche alla luce dell'esito del referendum costituzionale: attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica nel conservato testo degli articoli 117, 119 eccetera.
  Do la parola al professor Bertolissi per lo svolgimento della sua relazione.

  MARIO BERTOLISSI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova. Vi ringrazio per l'invito e per essere qui a quest'ora. Vi dirò qualcosa sul tema oggetto dell'audizione odierna, evidentemente in estrema sintesi, cercando di mettere in evidenza il senso, tenuto conto del fatto che io mi occupo di questi argomenti ormai da tempo immemorabile.
  Il tema è: attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica. Io comincio dalla coda, presidente, perché lei ha fatto riferimento alla riconferma del testo costituzionale originario. Non ci interessa adesso il resto.
  Lasciando stare quello che si può fare, vi dico come vedo le cose e come d'altra parte appaiono per quella che è la situazione attuale a regime, cioè una difficoltà enorme di tutte le finanze, in particolare della nostra finanza pubblica. Non stiamo parlando degli anni 1970 del secolo scorso. Bisogna tener conto di come si sono evolute e attestate le cose.
  Io ho fatto questo piccolo ragionamento di pura logica a proposito dell'esito referendario. La riforma del 2001 è stata commentata sempre in questo modo: ha ecceduto sul piano del trasferimento delle competenze e di per sé avrebbe potuto anche eccedere, ove fosse stata interpretata in un certo modo, nel corrispondente trasferimento o messa a disposizione di risorse a favore delle Regioni.
  La riforma del 2001 è stata poi in realtà trasformata in qualcosa di completamente diverso rispetto a quello che il soggetto politico che l'ha allora approvata avrebbe inteso. Questo è fuori discussione. Io ne ho la memoria storica. Non vi faccio perdere tempo, ma sarebbe interessante approfondire anche questo aspetto.
  La Corte costituzionale di per sé declama determinati principi. Dopodiché, viene fuori un sistema che nessuno aveva immaginato. Le materie-funzione, tanto per dirne una, o l'intensità dell'attività del coordinamento posto in essere in assenza del limite dell'interesse nazionale, che esisteva, comportano Pag. 4 in realtà una linea di assoluta continuità tra il prima e il dopo.
  Se ci si deve raccontare bugie è un conto, ma adesso parliamoci chiaro: se guardiamo la realtà per quello che è, è così; dopo possiamo mettere tutte le etichette che vogliamo.
  Questa è stata una scelta della Corte costituzionale, sulla quale non c'è da discutere. Fatto sta che la riforma è stata riportata al giorno in cui è entrata in vigore la legge sulla finanza regionale n. 281 del 1970. Non c'è, quindi e lo Stato praticamente fa quello che vuole. Io non ho nulla da dire sul punto. Voi avete il controllo su questa attività.
  È chiaro, però, che se noi la vendiamo in questo modo, dicendo che la riforma del 2001 avrebbe spalancato le porte, che sono state poi chiuse dalla Corte costituzionale, occorre fare attenzione, perché l'esito referendario riporta, come nel gioco dell'oca, alla prima casella, cioè al giorno in cui è entrata in vigore la riforma del 2001.
  Ho capito che è difficile mandarlo giù, ma l'esito referendario ha detto: «Attenzione che si riparte dal giorno dell'entrata in vigore della legge n. 3 del 2001». Pertanto, travolge anche tutta la giurisprudenza della Corte costituzionale. Non ci sono dubbi su questo punto, perché è chiaro che la consultazione referendaria consiste in un atto di indirizzo politico, non in una sanzione di carattere giuridico e via di questo passo. Bisognerebbe che anche quelli di Palazzo della Consulta capissero queste cose.
  Tuttavia, ci sono i problemi di fronte ai quali ci troviamo. Io mi riferisco solo alla possibilità di controllare i ragionamenti e le soluzioni. Nella giurisprudenza della Corte costituzionale, che è investita delle questioni, le province possono piacere o non piacere, ma se la Corte dichiara la conformità costituzionale della legge, sul presupposto che ci sarà una riforma, è chiaro che io, da studente periferico di materie giuridiche elementari con il secondo anno di giurisprudenza, mi trovo in difficoltà. Significa che si pensa di poter fare quello che si vuole, de albo nigrum e viceversa.
  Io sono uno che ama che ci sia l'etichetta che corrisponde al vino contenuto nella bottiglia. Se è vino bianco, è vino bianco; se è vino rosso, è vino rosso. Non possiamo giocare sul fatto che la bottiglia è scura e, quindi, non vedo di che colore è.
  Io mi sono anche preparato degli appunti, ma ve lo dico in questo modo, visto che voi siete molto più giovani di me, e me la sbrigo molto rapidamente. Che cosa è capitato con il testo originario della Costituzione? Era quello il momento per fare, se si voleva, qualcosa di diverso. Allora più che di rapporto si parlava di un sistema robusto e vitale di autonomie, pur sapendo che c'erano tante differenze nell'ambito del sistema Paese.
  C'è stata anche una grande prova di vitalità: il mio Friuli. Il terremoto del Friuli è forse l'unico luogo e tempo di sperimentazione di una formidabile intesa fra lo Stato, la regione e le amministrazioni locali. Chi ha fatto la ricostruzione sono stati i comuni, chi ha avuto la regia in loco è stata la regione, chi si è fidato è lo Stato.
  Lo Stato era rappresentato da Zamberletti, che ha messo in piedi la protezione civile, non a caso, nell'ambito di un'esperienza di questo genere, che non è stata fallimentare. Lì si è visto quello che forse si sarebbe dovuto fare dando attuazione della Costituzione.
  Capisco che l'Italia ha aspetti molteplici e che quello che si riesce a realizzare da una parte non si può realizzare dall'altra. Ricordo sempre una considerazione fatta da quell'uomo grandissimo che è stato il professor Aldo Maria Sandulli: «La differenza tra le mie terre e queste risiede in ciò: che qui c'è un'amministrazione locale degna di questo nome».
  È una premessa importante, almeno per quello che mi riguarda, perché altrimenti si finisce per mettere insieme soltanto dei manichini, delle rappresentazioni teoriche delle cose.
  Se ci si chiede perché ci sono stati questi esiti di chiusura, di riforme non fatte, posso ricordare che quando sono state istituite le Regioni c'era anche la delega per la riforma dei ministeri che è stata lasciata cadere. Pag. 5
  Ricordo un saggio strepitoso di Massimo Severo Giannini, che è datato 1978, nella presentazione del volume di commento del decreto n. 616 del 1977, che è stato il momento di maggiore apertura verso il sistema delle autonomie, perché ridefiniva le materie. Giannini sconsolato scrive: «Forse non ho neanche capito che cosa sia accaduto, perché noi politici eravamo d'accordo di farlo». Non parliamo delle università. Giannini presiedeva le commissioni, successivamente è stato Ministro per la funzione pubblica e via discorrendo. Non siamo riusciti.
  Lui, peraltro, scrive: «La conclusione, dunque, è chiara: la classe politica, sia essa addetta allo Stato, sia essa addetta alle Regioni, non è disponibile per agire secondo logiche che non coinvolgano posizioni di potere». Traducetela come volete, però è un problema.
  Vengo al coordinamento della finanza pubblica, perché questo è il tema. La giurisprudenza che si è formata sul testo originario della Costituzione ha affermato che lo Stato, nell'esercizio del potere di coordinamento, può fare quello che vuole, per via dell'interesse nazionale, dell'unità e dell'indivisibilità, perché sono quelle le clausole che entrano in gioco.
  Voi mi direte che ciò avviene perché il testo costituzionale portava a queste conclusioni. Vi faccio un esempio. Prendete il disposto costituzionale che riguarda l'articolo 95, la figura del Presidente del Consiglio dei ministri. Si diceva: «dirige e coordina». Come è stato letto? Non coordina e, quindi, dirige e per di più coordina. Dirige e coordina, è primus inter pares, nel senso che racconta barzellette.
  C'era la preoccupazione di non concentrare un potere rilevante in capo al Presidente del Consiglio e, quindi, si è detto che dirige il traffico, rimane primus inter pares. L'espressione dell'articolo 117 era la stessa, ma la si è voluta leggere diversamente.
  Leggere diversamente significa che ciascuno è condizionato dal disegno generale che ha, da una pregiudiziale, che può essere ideologica, politica, culturale. Ciascuno ha il diritto di avere l'idea che ha, ma è fuori discussione che quel periodo è stato caratterizzato da un'intensa e penetrante giurisprudenza, attraverso la quale, come ha scritto Franco Bassanini, si è provveduto a un ritaglio delle funzioni.
  Sul piano della fiscalità – questo è il discorso – non c'è mai stata partita. Si è persino detto che sulla base del Testo unico della finanza locale degli anni 1930 gli enti locali avevano una potestà impositiva maggiore.
  Naturalmente il discorso sulla potestà impositiva ha una ragion d'essere che è semplicissima: serve alla responsabilizzazione, tant'è vero che il disegno della legge finanziaria del 1970 è stato fatto in linea con la riforma Visentini, che è stata la grande riforma fiscale. Visentini era convinto che si potesse essere autonomi, anche a ragione, soltanto se si ha la libertà di spendere. Tuttavia, se io spendo, ma non so da dove vengono le risorse, spendo a vanvera e, quindi, si sono dovuti mettere dei limiti, come in famiglia: ti do i soldi, però non puoi andare a divertirti, prima pane e companatico. Lo schema è molto semplice, è così.
  Da quella scelta originaria che c'è stata ci si è portati dietro tutto il resto. Qual è stato l'argomento teorico? L'argomento teorico è molto semplice. Se si considerano gli studi di diritto tributario, che sono stati sempre quelli più importanti, la loro idea era che attraverso il principio di legalità di cui all'articolo 23 (prestazioni personali imposte), la legge deve stabilire quali sono gli elementi costitutivi della fattispecie. Si diceva che tutt'al più l'ente può manovrare l'aliquota tra un minimo e un massimo predeterminato. Se poi gli dai delle fattispecie ridicole, evidentemente la materia imponibile è minimale, quello che tu ritrai è poco e, quindi, non ne fai niente.
  È un'idea dura a morire. Un giorno mi sono beccato un rimprovero da Franco Gallo, che citando la sentenza più significativa, la n. 102 del 2008, che ha rifatto il punto vigente la riforma del 2001, mi diceva: «Ma se abbiamo riconosciuto un potere di un certo rilievo, pure i tributi di scopo?» Parliamo dei tributi propri in senso stretto, non di quelli, come l'IRAP o altri, istituiti dallo Stato. Pag. 6
  Gli risposi: «Franco, ma se la materia imponibile è praticamente pari a zero? Vedi che il ragionamento è sempre giuridico-formale e non tiene conto, invece, del dato reale, che è il seguente: che cosa io raccolgo attraverso l'esercizio di questo potere? Posso anche avere un potere enorme, individuare addirittura il presupposto di imposta, la base imponibile, i soggetti passivi e l'aliquota, ma non riesco neanche a estrarre dal prelievo quello che mi serve a pagare le spese di esazione. È anche capitato. Io ho un potere enorme, ma non ho niente».
  Mi rispose: «Sì, effettivamente». Gli dissi: «Ma certo che è così. Gli studi di scienza delle finanze hanno sempre spiegato che nei sistemi di finanziamento ci sono una serie di tributi propri, compartecipazioni, addizionali e via di questo passo, ci può essere più o meno autonomia, però bisogna dare un minimo di equilibrio. Se tu non lo dai, li finanzi e puoi dare anche molti soldi, però, se non responsabilizzi, la partita è persa».
  Questo è il discorso che chiude sulle scelte che sono state compiute in quel periodo. Ripeto che in quel caso c'è stata l'abbinata tra riforma regionale e riforma fiscale. La riforma di allora ha seguito i convincimenti di quello che è stato sicuramente un personaggio di grande profilo come Bruno Visentini.
  Visto che siete tutti venuti dopo l'entrata in vigore, vi ricordo che c'è stato un clima di studi eccezionale. Tra i grandi del diritto pubblico, tra i costituzionalisti, io potrei parlare del mio maestro, anzi cito quello e non mi interessa di nessun altro. Tutti gli studi erano stati fatti.
  Ha scritto il manuale di diritto regionale subito dopo l'attuazione delle Regioni. È stato un discorso generale sullo Stato, con il senso di equilibrio che aveva lui. In seguito ha dato il suo contributo come giudice costituzionale. Ricordo che ha auspicato mille volte che ci fosse la possibilità di modificare il regime originario.
  Tuttavia, bisogna anche dire che le Regioni ci hanno messo del loro per non meritarsi l'ipotesi che era stata fatta: le Regioni per la riforma dello Stato. Quello che girava allora era questo. Magari dopo metterò giù qualche appunto.
  Il tema del coordinamento della finanza pubblica è stato sempre un discorso che è rimasto nelle mani – faccio una sintesi poderosa, per intenderci – della Ragioneria generale dello Stato.
  Io ho fatto parte per un po’ di tempo della commissione paritetica del Friuli Venezia Giulia e ho sentito questioni assurde direi. Comunque, quando arrivavano loro, la lite era in realtà sullo stampato, se si poteva barrare in un modo o nell'altro.
  Non c'è spazio. Naturalmente quello è il compito della Ragioneria, che deve far quadrare i conti. Sono delle esigenze che non metto in discussione, anzi io non metto in discussione nulla, però c'è un interrogativo di fondo che bisogna farsi.
  «Supponiamo che si tratti di creare una nuova scuola: i selectmen convocano in un certo giorno, in un luogo prestabilito, tutti gli elettori, espongono il bisogno che si fa sentire, fanno conoscere i mezzi per soddisfarlo, il denaro occorrente, il luogo conveniente. L'assemblea, consultata su tutti questi punti, adotta il principio [si fa la scuola] fissa il luogo [dove], vota l'imposta e rimette l'esecuzione delle sue volontà ai selectmen». Sapete che cos'è questo? È Della democrazia in America di Tocqueville.
  Io capisco che è tutto superato, però non vorrei che fosse superato dal «Bignami». Noi sappiamo che dovrebbe essere così, ma dopo lo si può fare in molti modi. Se non è così, è cosà e, se è cosà, non c'è la partecipazione vissuta alla vita che si sviluppa innanzitutto nell'ambito delle collettività locali e poi sale. Si mette il germe del risentimento, che dopo si trasforma in indifferenza, che è la cosa più grave che ci sia. Questa è la dinamica.
  Su che cosa bisognerebbe coordinarsi? Bisognerebbe coordinarsi su questa parola (è una dizione tecnica): rapporto giuridico di imposta. Se il rapporto giuridico di imposta è creato imperativamente e autoritativamente, il prelievo fiscale non è una forma di partecipazione alla vita associata, non è il contributo dell'azionista alla vita della Repubblica, ma è invece un'espropriazione Pag. 7 di qualcosa, che io intendo come un'attività non fondata.
  C'è un'espressione di Piero Gobetti ne La rivoluzione liberale. Lui scrive che gli italiani pagano l'imposta «bestemmiando lo Stato», perché sentono l'imposta come qualcosa di imposto. Lo scrive in corsivo. Io ho commentato più volte che da allora non abbiamo fatto un passo avanti. Quelli sono stati gli anni persi. Io lo dicevo anche a lui.
  Oggi ci troviamo in una situazione drammatica. Su questo aspetto faccio solo qualche breve considerazione, perché credo che non posso intrattenervi più di tanto, altrimenti mi perdo nelle memorie passate. Io mi sono occupato anche del contenzioso costituzionale (sono passati quasi trent'anni), quindi ho visto anche le cose nel loro divenire. Mi ricorderò sempre quando abbiamo discusso, sulla base della nuova Costituzione, alcune questioni minimali, in modo particolare quando è arrivata l'IRAP (imposta regionale sulle attività produttive). C'è addirittura in un passaggio della Corte, nella sentenza n. 296 del 2013, lo sconcerto dell'Avvocatura generale dello Stato, che era rappresentata da Giancarlo Mandò, che era stato un illustre tributarista – forse lo avete conosciuto – e anche capo dell'avvocatura nel Veneto e che era un grande conoscitore di queste questioni.
  Nella sentenza c'è scritto che ha sbagliato anche l'Avvocatura, quando riteneva che l'imposta regionale sulle attività produttive fosse regionale. Se è regionale, sarà regionale. La Corte dice (ecco de albo nigrum e viceversa): «Guarda che ti sei sbagliato, non è tua, è statale». È chiaro che è statale in senso formale, perché è istituita dallo Stato, ma il gettito è della regione e, quindi, è come se tu tenessi i soldi ma non sono tuoi. Non so se mi spiego. Anche se tu hai il diritto di dirmi dove mettere l'auto, tanto per intenderci, l'auto è mia.
  Questo tipo di operazioni di carattere concettuale rappresentano una sorta di falsificazione della realtà; dopo si paga il conto, perché significa che anche il linguaggio non è più comprensibile. Denominiamo con parole che dovrebbero sottintendere certi risultati qualcosa che dopo, invece, si dissolve.
  Che cosa è accaduto con la riforma del 2001? Con la riforma del 2001 c'è stata una soluzione di continuità, per quello che tutti sappiamo, perché la Corte ha letto quella riforma preoccupata.
  D'altra parte, io ricordo che la I Commissione Affari costituzionali del Senato ha cominciato delle audizioni. Leggendo il testo delle audizioni, dove sono stati sentiti ex presidenti della Corte, il Consiglio di Stato, illustri studiosi, grandi commis de l'État, tutti cominciavano così: «Vi pare che sia possibile che l'interesse nazionale sia scomparso dalla Costituzione? È scomparso, ma non può essere scomparso».
  Eppure, la scelta che era stata fatta era di eliminarlo, ma – attenzione – non di eliminarlo come categoria, bensì di eliminarlo come limite di merito, cioè come una chiave per imporre comunque una scelta che nel pensiero del costituente non era così.
  Lo sanno tutti: il limite di merito doveva essere valutato dalle Camere, non dalla Corte costituzionale, invece si è trasformato un limite di opportunità in un limite di legittimità, combinato con il limite territoriale, e la festa era finita, perché la partita era sempre vinta. Il coordinamento poi ha negato l'interesse... Chi è che definiva l'interesse? La legge dello Stato.
  Peraltro, io qui parlo in una sorta di «casa» dello Stato. Io dico solo come sono stati i percorsi. La conclusione è questa: lo Stato può fare assolutamente tutto quello che vuole, non c'è nessun limite, non c'è partita davanti alla Corte, salvo, lo sapete bene, quando si interviene sui limiti di spesa, quando magari ti dice che tu detti il limite quantitativo, dopodiché su come risparmiare lo decidi tu.
  Che cosa si è consolidato in quegli anni, che forse è una delle più grandi questioni? Che coordinamento ci può essere quando si applica il criterio della linearità? Io l'ho detto mille volte, ma è meglio fare degli esempi.
  Se abbiamo una linea di produzione di un bene che va a ruba per cui non riusciamo a far fronte agli ordini e abbiamo una linea di produzione di beni per cui abbiamo tutti i capannoni e i piazzali di Pag. 8invenduto, come fai a dirmi che si taglia il 10 per cento di qua e di là?
  Voi potete chiedermi: «Perché si fa così?» Si fa così per una ragione molto semplice: perché io non sono in grado di stabilire quale linea è produttiva e quale linea non è produttiva, oppure non posso intervenire, altrimenti creo dei problemi molto gravi di equilibrio fra zone differenti del Paese. Sono problemi dal punto di vista politico e dal punto di vista istituzionale che non si possono superare con superficialità.
  Io posso anche concludere dicendo «non si può che fare così», però il tempo passa e le cose si aggravano, non sono diventate più semplici. Io potrei citarvi tante sentenze, ma non importa, le conoscete meglio di me. Anche le ultime che ci sono state hanno concesso qualcosa. La Corte ha detto: «Se tu effettivamente sei già stato virtuoso e hai già fatto economia, non ti poniamo un'altra economia». Tuttavia, queste sono tutte questioni di virgole e virgolette, non sono questi i punti; non sono neanche le vittorie davanti alla Corte, ammesso che se ne possano ottenere, che risolvono i problemi.
  Che cosa intendo dirvi con questo discorso? Questo discorso porta a delle conclusioni molto semplici: lo Stato ha sempre avuto in mano la funzione di indirizzo e coordinamento e il potere di fissare i princìpi della fiscalità. Li ha avuti secondo il testo originario e li ha avuti secondo il testo del 2001.
  Io capisco che l'affermazione che ho fatto prima sconfessa anche la Corte. Vale quello che vale, vale più che altro come discorso di carattere molto generale, perché dopo in realtà ci sono i problemi da affrontare.
  Ne parlavamo un momento fa. Abbiamo letto su Il Corriere che le imprese hanno il 25 per cento in più di prelievo. Dove volete che andiamo? Dovrebbero essere tutte fallite. Come si fa a competere?
  Sì, direbbe che sono come Capaneo: «In ciò che non s'ammorsa la tua superbia, se’ tu più punito». Era il più grande bestemmiatore.
  Questo è il problema. Il coordinamento certamente dovrebbe essere attivato. Coordinamento cosa vuol dire? Per le entrate, ad esempio, vuol dire delle basi imponibili, tanto per intenderci. Si tratterebbe di mettere ordine nella fiscalità. Noi sappiamo, però, che quando devi cambiare la ruota mentre corri non è come quando è bella ferma, chiami il meccanico e fai i lavori. Anche qui c'è stato il tempo, ma il tempo è passato e non torna.
  Io mi rendo conto che le emergenze di carattere finanziario, che sono costanti, creano grandissimi problemi. In una visione di carattere prospettico, nell'interesse dello Stato, bisognerebbe dare agli enti locali una fiscalità.
  Voi sapete che quella che hanno oggi e che manovrano, in realtà, non è espressione di autonomia, perché siamo in un'emergenza. Praticamente fa il gabelliere. Cosa volete che faccia? Deve cercare di sopravvivere e non ci sono le disponibilità. Conosciamo i tagli delle prestazioni, soprattutto di carattere sociale, su sanità e assistenza sociale, che sono nervi scoperti, sull'istruzione e via discorrendo.
  Manzoni riferendosi a Renzo Tramaglino dice: «Le tribolazioni aguzzano l'ingegno». Ha detto che quella di Renzo era stata una levata degna di un giureconsulto. Io spero che ci sia un giureconsulto con queste qualità.
  Se è vero che quando eravamo belli tranquilli e stavamo da Dio – negli 1970 la lira vinceva l'Oscar tra le monete, io ricordo anni di stabilità eccezionale – non si è fatto nulla, nel tempo delle difficoltà può darsi che si riesca a fare qualcosa.
  Scusate se vi porto indietro, citandovi un pezzo di Tolstoj. Forse l'ho già raccontato. È bellissimo quando a un certo punto di Guerra e pace si parla delle varie nazionalità: il tedesco, il francese, l'inglese, il russo e l'italiano. Dice che l'italiano dà il meglio di sé quando è agitato.
  Adesso non sto scherzando. Dobbiamo pure augurarci qualcosa. Studi ci sono. Voi avete un'infinità di relazioni e di rapporti di tutti i generi e soprattutto potete partire da dati veri che conoscete circa lo stato delle cose, le criticità che ci sono nei vari Pag. 9settori riguardo al prelievo fiscale, alla sua distribuzione, quello che conosciamo e anche quello che non conosciamo e la distribuzione delle risorse. Ci sono i dati della Ragioneria generale dello Stato e della Corte dei conti.
  Sottolineo quello che, secondo il mio modesto punto di vista, è un problema: la distribuzione non razionale della fiscalità e della spesa pubblica nell'ambito del territorio nazionale. È il problema del residuo fiscale.
  Questo problema è stato portato dalla regione Veneto davanti alla Corte dei conti. Naturalmente abbiamo stravinto, nel senso che la Corte ha affermato che è un'ipotesi di lavoro non suffragata da dati. Questo mi convince una volta di più che non si può falsificare la realtà. Dimmi quello che vuoi, ma non dirmi questo, perché è dal 1970 che i dati lo dicono. Ho avuto la soddisfazione che il sostituto avvocato generale mi ha detto: «Dopo che ho letto i suoi atti, sono diventato nordista». Ci torno tra un istante.
  Dicevo che qui c'è un problema di coordinamento sul versante delle entrate. È chiaro che la delega fiscale, la sua attuazione e il riordino della fiscalità centrale e della fiscalità locale è l'argomento nevralgico, perché è attraverso questi interventi che si può cercare di correggere tutti i fenomeni che ci sono di ingiustizia fiscale. È un discorso che non può che stare nelle mani dello Stato. Voi sapete che prendersela con l'imposta e tutto il resto è il riflesso proprio di queste situazioni. Mi si può chiedere: «Adesso?» Prima o poi bisognerà pur cercare di porre le premesse, quantomeno magari uno dice: «Son convinto che sia così, dopo vedremo».
  Riguardo alle doppie imposizioni, che qui entrano in gioco, io mi sono sempre domandato perché non possono esserci le doppie imposizioni. Nei sistemi federali, che non c'entrano niente, ci sono. Dipende da dove resta la sovrapposizione. Se la sovrapposizione resta in capo all'ente che la pone, non è doppia, è semplicemente un altro prelievo.
  I tributi di scopo, ad esempio, sono stati sempre limitati. Io non ho mai capito perché. C'è stata qualche norma che è stata adottata per consentire la realizzazione di alcune opere, però si diceva: «Ti dico io».
  Riflettiamo un secondo, se io ho dieci campi da tennis e me ne voglio fare altri dieci, perché da noi si gioca a tennis, oppure voglio fare i velodromi, come dalle nostre parti, cosa c'entra la regola fissata che non si può averne più di 2 per 10 mila abitanti? Non ho capito. Come si chiamano queste cose? Sono manifestazioni di intelligenza secondo voi? No.
  Se a me piace portare i pantaloni scampanati come andavano quarant'anni fa, porto quelli e lasciatemi in pace. No, bisogna che io abbia la drop come quando ero militare. Metà di noi aveva la caviglia fuori e metà, invece, li trascinava, perché erano fatti in quel modo.
  È questa la rovina, secondo me: siamo incapaci di lasciare che il plurale si manifesti. Noi diciamo che cos'è plurale. Capito il punto? È tutto fasullo.
  Volete che vi dica da dove escono questi ragionamenti? Dalle facoltà di giurisprudenza. Noi insegniamo il nominalismo. Chi l'ha fatto sa che è così. Si insegnano la procedura civile e la procedura penale semplicemente come attività che servono a paralizzare il processo, non a consentire che si arrivi alla decisione. Eccepisco tutto, andrà in prescrizione il penale, non arriviamo mai alla sentenza di merito e nessuno viene a investire in Italia. Questo è evidente. Scusate, uno che va nelle aule giudiziarie vede questo.
  Non parliamo del processo amministrativo. So che faccio inorridire i miei colleghi quando dico questo, ma io sono convinto che il diritto amministrativo sia la rovina delle rovine, perché è un discorso puramente formale. Anche quando si riempie la bocca di risultati, di storie di efficienza, è un discorso formale. Il risultato è il risultato, lo devo vedere; non è che c'è perché io scrivo una mezza pagina di cose straordinarie e motivo secondo quello che prevede l'articolo 3 della legge n. 241. Non è così. La motivazione è soprattutto collegata al fatto che parla. Quella è la motivazione, non le altre storie che racconto. Pag. 10
  Me ne ero dimenticato, ma ve lo dico adesso per dare il senso di queste operazioni e del punto di partenza. C'è un commento che ebbe a fare Francesco Tesauro, un illustre tributarista, nel 1987 (trent'anni fa) alla sentenza...
  Per me, presidente, è come se fosse in presa diretta trent'anni fa...

  PRESIDENTE Purtroppo comincia a diventarlo anche per me.

  MARIO BERTOLISSI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova. Faceva parte del collegio anche il mio maestro. Mi ricordo che mi disse: «Sai, non sono riuscito a convincere Gabriele Pescatore ad accedere a una soluzione diversa da quella che poi è venuta fuori nella sentenza».
  Gabriele Pescatore era un illustre giudice, un personaggio di primordine, un giurista di grandissima caratura. È stato anche presidente del Consiglio di Stato e poi è diventato giudice costituzionale ed era un amministrativista.
  Allora si è discusso della fiscalità. Si potrebbe dire «il coordinamento». Come affronta il problema di un prelievo fiscale? Non esiste una parola che faccia comprendere il fatto che lui si occupa di qualcosa di reale, ossia di soldi, di risorse. È un discorso sulle parole: «forme», «limiti», «coordinano» eccetera.
  Io vi dico solo qual è stato il commento finale di Francesco Tesauro: «La Corte costituzionale ha tracciato nella sentenza n. 271 del 1986 il quadro costituzionale dell'autonomia tributaria delle Regioni a statuto ordinario. Nel modello tracciato dalla Corte questa autonomia significa potestà normativa assolutamente vincolata, sostanzialmente vuota di capacità di determinazione di scelte autonome. È insomma [questo è straordinario] un'autonomia inautonoma».
  Io ho concluso un libro di quasi 500 pagine, pubblicato nel 1983. Rebus sic stantibus, non ha senso parlare. È una perdita di tempo dire così. Io, commentando gli ultimi indirizzi, ho parlato di federalismo napoleonico. È questo, perché l'impronta – non lo dico io, posso citare Augusto Barbera – del nostro diritto costituzionale su questo versante è quella giacobina di stampo napoleonico.
  Come dicevo prima, «ti dico io che cos'è il plurale». Provate a pensarci. Pensare al plurale vuol dire non muoversi all'interno di una dottrina generale dello Stato, perché la dottrina dello Stato è di matrice tedesca, dove funziona il Führerprinzip, non c'è niente da fare. Lo traduco in una banalità, ma non è una banalità, è il meccanismo. Il diritto amministrativo, che deriva dalla Francia giacobina, ha le stesse caratteristiche.
  L'interesse pubblico, come sapete, viene definito attraverso operazioni puramente lessicali, combinazioni di frasi. Ci può essere o non ci può essere. Il sindacato del giudice è un sindacato esterno, come si dice. È vero? Perché non usiamo la frase «non impinge nel merito»? Tutto questo vuol dire che noi stiamo fuori da...
  Io ti pongo una domanda: sai perché esistevano le imposte sulle finestre nei tempi in cui non erano civili, come si diceva? C'erano le imposte sulle finestre perché il fisco riteneva di non poter entrare nelle case e colpiva la tua ricchezza guardando... Ci siamo capiti: più numerose e più grandi sono più...
  Che cosa significa? Il problema è l'atteggiamento. Si possono usare le stesse parole, ma hanno un differente significato. Scusate se mi cito. Guardo lei, perché voi siete di più, allora bisogna che le quote rosa siano incise per essere valutate. Ho detto che autonomia e responsabilità sono un punto di vista, cioè corrispondono a una concezione di base. Io posso pensare che sia così e lo declino in un modo che è quello che intendiamo oppure è diverso.
  In conclusione, si è pensato in qualche momento della storia della Repubblica che il coordinamento della finanza pubblica potesse essere veramente il coordinamento di un molteplice, che è collocato in una posizione diversa ex articolo 114, prima versione e seconda versione, perché è inimmaginabile che i comuni siano stati...Stiamo scherzando? Non si discute. Pag. 11
  Forse il coordinamento non è stato così, le biblioteche sono piene di libri che lo spiegano. Non è stato così sulla base di ragionamenti giuridico-formali che ci hanno portato a dire che lo Stato ha questo potere, che può esercitare come vuole. Basta che osservi l'intesa forte, tanto per intenderci, delle modalità procedurali.
  Fuori dalle modalità procedurali oserei dire che è inevitabile che ci sia qualcuno che alla fine ha il potere di troncare e di dire come stanno le cose. Tuttavia, dovrebbe fare, valorizzando tutto quello che si è detto e scritto in passato e tutti gli studi che avete voi, un ragionamento generale sulla fiscalità. Non ci sono santi.
  Voi sapete da cosa è stata indotta la fiscalità locale. Prendiamo ad esempio l'IMU. Non mi interessa chi ha ragione e chi ha torto – non spetta a me dirlo, specialmente qua – però è fuori discussione che quell'imposta era quella che avrebbe potuto di per sé consentire un minimo di controllo della collettività sugli amministrati. Voi sapete che le seconde case rovesciano il rapporto.
  Su questo bisogna fare una sorta di esame di coscienza. È chiaro che nell'immediato sgombro il campo. Se io fossi stato in quelle condizioni, avrei fatto così, quindi nessuno reputi che io qui devo dire che avrei fatto diversamente, però so anche che in questo modo finisco per rinviare dei problemi. Se ho un piccolo problema, come un'unghia incarnita, e me ne disinteresso, domani mi viene fuori qualcosa di più preoccupante. È tutto qua.
  Pensando a tutto questo, indipendentemente dall'emergenza, io credo questo (ci ho pensato tante volte): se noi stiamo fermi ai problemi di fronte ai quali ci troviamo tutti – voi siete il luogo che deve cercare di risolverli – non ne veniamo fuori, perché l'emergenza è il dato strutturale. C'è poco da fare.
  Tuttavia, mi chiedo: è impossibile che un Parlamento non metta in cantiere un altro binario? Ci vuole un altro binario, assolutamente. Voi vi scannate dalla mattina alla sera su cosa fare. Dopo, però, fate come faceva la Costituente quando lavorava: la mattina aveva i problemi del Governo e allora succedeva l'ira di Dio; il pomeriggio, invece, discuteva della Costituzione e allora se ne stavano tranquilli, ragionavano, discutevano.
  Bisognerebbe pensare anche al medio e al lungo periodo, che passa attraverso più di una legislatura, non soltanto al breve, perché queste cose non si fanno in cinque minuti. Io ne sono convinto ormai. Non sono Matusalemme, ma è il buonsenso che ci dice che è così.
  Su quel binario non si va la sera dopo e si dipingono i vagoni. Dall'altra parte si va a fare queste cose, mentre qui siamo tutti d'accordo che non si scherza. Ciascuno è interessato perché a casa avrà un figlio o un nipote. Guardate che io sto distruggendo il futuro di quelli che ho qui.
  Ho scritto dei diritti quesiti cinque, sei o sette anni fa che non esistono. Infatti, i diritti quesiti hanno senso solo in uno specifico momento in cui c'è la corrispondenza tra beneficio e sacrificio. Se io mangio le aragoste e poi le paga quell'altro, che oggi non ha neanche la scatoletta, voi capite che non funziona. Ci sono delle premesse. Non serve mica essere dei grandi giuristi per capire che non posso aver acquisito qualcosa alle spalle degli altri. È il divieto di patto leonino questo. Infatti, io e mio figlio ci guardiamo sempre...Per fortuna che mi sono creato le credenziali per non avere la guerra in casa. Queste sono tutte grandi questioni.
  Dunque, su quell'altro binario si dovrebbe cominciare a mettere un punto. Peraltro, ci possono essere dei riflessi di ciò che si compie lì a bocce ferme, che può influire anche sulle decisioni quotidiane, perché tu puoi prenderne una o un'altra, ti può essere indifferente, ma se hai lo sguardo lungo, cominci a correggere la rotta piano piano, perché pensi: «Io fra dieci anni arriverò a una convergenza».
  Idem, pensate a cos'è la spesa, pensate a quanto è difficile. Prendiamo l'università, così non parlo degli altri. Nonostante tutto, ci sono ancora delle cose che sono prive di senso. Volete che ve le dica? I buffet quando si fanno i convegni. Io li faccio e non do neanche un caffè, neanche l'acqua e quando comincio chiarisco: «Non vorrei che poi Pag. 12doveste andare anche alla farmacia dell'ULSS per chiedere qualche pozione magica perché avete gli sbalzi interni, la glicemia. Belli asciutti, perfetti, non si consuma niente. Se noi vi diamo un po’ di cose, sapete che cosa non possiamo fare? Non possiamo pubblicare un volume della collana della facoltà e in questo modo noi umiliamo un ragazzo che può aver lavorato per anni». Vi pare che sia giusto? È vita quotidiana. Parlo delle cose nostre. Parlo di Padova, che ha i conti a posto e li ha sempre avuti. Tuttavia, si può all'infinito.
  Qui bisogna per forza di cose incidere sulla linearità. Sono scelte che peraltro alla lunga diventano anche nell'interesse di chi oggi... A me è capitato più di qualche volta nella difesa, nell'argomentazione davanti alla Corte, di dire questo, perché so benissimo che stando dalla parte dell'avvocato si può dire quello che vuoi, mentre quando si è dalla parte dei giudici. Io cerco di essere onesto e lo dico: «Certo che nei vostri panni non so mica cosa farei, perché devo preoccuparmi della ricaduta delle sentenze». Non ditemi che non sono onesto nel rappresentare le cose. Ne sono consapevole.
  Ricordo che qualche volta è saltato in questo modo. Un giorno dissi: «Guardate che questo capitolo di spesa che riguarda la sanità è messo nelle mani dei vertici della dirigenza del Ministero della sanità e possono essere dati così, senza un controllo neanche del ministro o della politica. Vi faccio questa domanda: la sanità in Calabria nelle mani di chi è?» Avevo in mano le risultanze della Commissione antimafia, che diceva che la sanità calabrese era nelle mani della ’ndrangheta. Adesso magari lo sarà anche quella nostra al Nord. Ecco perché i problemi sono giganteschi. Mi hanno risposto: «Allora cosa facciamo? Il principio di leale collaborazione non è stato rispettato».
  In questa prospettiva, guardate che la politica, se non ha l'aiuto di una sentenza della Corte, può non riuscire a farcela. C'è bisogno di poter dire anche: «È stata la Corte che ha preso questa decisione». Capite cosa intendo dire? È necessario, perché ci sono i condizionamenti.
  Il problema della spesa, dei tagli e della linearità naturalmente è una questione che riguarda l'impiego. Non uso l'espressione «virtuoso» o «non virtuoso», perché non porta a nulla. Diciamo così: spesa meno produttiva, spesa più produttiva, spesa che genera un valore aggiunto oppure no, spesa che ha come termine di riscontro un sistema di servizi che sono più accettabili.
  Questo è il dato. Tuttavia, non c'è mai stato un precedente. È anche un problema tecnico. Non c'è una sentenza della Corte che possa deliberare stabilendo che gli effetti della sua pronuncia valgono per alcune Regioni e non per altre, quindi è una scelta che deve essere fatta dal Parlamento.
  Naturalmente ci sono tutte le prestazioni di servizi essenziali, ci sono i livelli, la lettera m) del terzo comma dell'articolo 117. Non ci sono dubbi.
  Concludo – dopo in caso vi manderò un documento scritto più ordinato – sulla questione del residuo fiscale, di cui mi sono occupato. Io sono rimasto colpito da questo fatto. Mi pare che sia incontestabile che ci sono territori che producono un avanzo e altri che non lo producono. C'è qualche regione del Centro, come Toscana e Marche.
  La domanda alla quale rispondere è la seguente: l'attuale drenaggio di risorse dai territori che producono questo surplus è compatibile ove ci si ponga il rapporto solidarietà-sviluppo oppure no?
  È la domanda che ci si pone, perché, se io sottraggo risorse, invece di reinvestirle, per sostenere un ramo d'impresa che non va bene, posso dare l'aiuto fino a un certo punto, ma se vado oltre finisce che porto i libri in tribunale pure io.
  La dizione che viene utilizzata in questo contesto è la seguente: giustizia territoriale. È chiaro che qui vengono fuori anche le Regioni speciali. Sono dei problemi che riguardano... È inutile che lo diciamo.
  Avete presente che cosa prevedeva il testo che poi è stato censurato? Io grazie ai contatti che ho avuto durante quel periodo ho avuto la percezione che il potenziamento del regime speciale per le Regioni speciali sia stata una concausa anche dalle nostre parti del risultato che è venuto fuori. Pag. 13Faccio riferimento all'argomento specialità. Io ho avuto la percezione che anche coloro che erano orientati per l'approvazione della riforma abbiano avuto non poche remore quando si sono trovati di fronte addirittura a...
  Come sapete, si dice per tutte le altre che avevano avuto troppo, mentre alle speciali si dice che avevano preso di più già dal 2001: «Vi tenete tutto questo e dopo si fa come con i tacchini nel giorno del ringraziamento. Per passare a miglior vita, bisogna che... La festa del ringraziamento si fa se voi siete d'accordo».
  Questo è stato un messaggio di una negatività straordinaria per come l'ho percepito io. Come vedete, c'è una straordinaria attenzione da parte dell'opinione pubblica sui risultati. Non mi interessano i poteri formali, anche perché le Regioni non hanno dato un grande esempio di virtù.
  Da questo punto di vista, io credo che sia un'occasione felice, perché tutte le rivendicazioni lasciano il tempo che trovano quando si arriva al dunque.
  Pertanto, occorre mettere in ordine alcune voci sul versante delle entrate (ecco la fiscalità e il suo riordino), trovando un equilibrio in funzione dell'affermazione del principio di responsabilità sostanziale, non formale, che è quello che obbliga alla resa dei conti e consente la buona amministrazione, indipendentemente dai controlli. Infatti, il controllo è fatto dall'elettore quando ti presenti per la conferma, quindi tutte le altre cose, come i controlli degli atti, lasciano il tempo che trovano, o comunque possono essere importanti ma forse non sono decisive.
  La fiscalità genera la compartecipazione all'attività. Naturalmente presuppone un'educazione. Io pago una x tassa per asporto rifiuti, dopodiché, se vedo che è tutto sporco, si pone qualche problema. Se, invece, non so neanche che cosa pago...
  Sono delle cose estremamente stupide, però è il discorso di Tocqueville, è il discorso di qualsiasi studioso di finanza pubblica, non ci sono santi. È nell'interesse dello Stato, che adesso, come avete visto, ha dovuto mandare in periferia una serie di gabelle perché divenute impopolari o comunque perché tutto sommato si arrangi l'ente locale cui ha dato dei compiti per cercare di provvedere.
  Voi avete visto anche che con le province si è realizzato il federalismo alla rovescia, perché gli hanno preso le risorse. Si è detto che si è diminuita la spesa. Peccato che il povero Variati sia sull'orlo di fare la fine di Jan Palach, di bruciarsi, perché gli manca circa un miliardo e non riesce a erogare le prestazioni, che – attenzione – sono per la parte marginale della società. Infatti, non si tratta di dare contributi a non so chi. Anche questo è un problema.
  Tutta questa serie di questioni dovrebbe dare dei punti di riferimento, perché riguarda capisaldi di scelte di politica istituzionale da definire sul piano locale e sul piano centrale.
  Sul versante delle entrate, occorre calibrare bene. Se uno mettesse ordine nel fissare i princìpi... Voi sapete l'imposta regionale sulle attività produttive che caratteristiche ha e che cosa ha colpito. Ci sono stati problemi enormi anche di compatibilità col sistema costituzionale. Voi sapete che la politica economica di base prescelta è: «Favorisco gli investimenti in capitale e non in forza lavoro». Lo sapete?
  Esatto. Ricordo che era emerso. Il discorso di fondo è il seguente: se noi la mettiamo in mano alle Regioni, vedete bene i presupposti d'imposta e il resto, perché dopo diventa manovrabile. L'economia nostra, del Nord-Est, fatta di piccole e medie imprese, non è l'economia di... Si sarebbero potuti fare degli interventi importanti, anche favorendo piuttosto che scoraggiando. Sono le cose che naturalmente diventano possibili se c'è un occhio prospettico. I tributaristi hanno studiato tutto.
  Inoltre, come vi ho detto prima, sul versante delle spese, bisogna favorire la spesa produttiva, che però è condizionata dal fatto di avere un minimo di responsabilità nell'acquisizione delle risorse, perché quello a mio avviso – mi hanno convinto quelli che sostengono questa tesi – è il vero deterrente.
  Dall'altra parte, occorre intervenire sulla linearità, creando i presupposti. Non mi Pag. 14riferisco a premi e sanzioni ex post, perché premi e sanzioni ex post sono dolorosi e soprattutto non rimediano.
  Quando c'è stato lo sforamento di cinque Regioni, soprattutto del Lazio, nel campo della sanità, con circa 18-20 miliardi di euro di spese extra bilancio, è accaduto che lo Stato ha dato un po’ di soldi e poi c'è stato l'inasprimento della fiscalità regionale, per cui qui comparativamente pagano di più. È un rimedio doloroso. Si interviene dopo, una volta che il male si è procurato, e bisogna sottoporre a intervento.
  Comunque, voi potete fare tutto quello che volete. Dico sul serio. Il coordinamento è un potere che spetta allo Stato. Io spero che riusciate a combinare qualcosa; soprattutto l'unica l'idea di fondo è questa: i due binari. Su quelli dove passano ogni giorno i treni non c'è spazio, ogni momento...
  Bisogna viaggiare sull'altro binario oppure di notte come le merci, altrimenti non è possibile, sono due logiche diverse: un pensiero denso da una parte e agitati dall'altra.
  Vi faccio tanti auguri. Scusate se vi ho inflitto questa penitenza.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Bertolissi per la sua visione e per la franchezza con la quale ha introdotto anche delle provocazioni e delle suggestioni.
  Credo anch'io che gli affanni quotidiani della politica impediscano di avere una visione... Non so se ci vorrebbe una Camera costituente, un'Assemblea costituente o qualcosa del genere, però è chiaro che le vicende di questo tipo richiedono un respiro e una riflessione che non sono quelli propri della politica che viviamo tutti i giorni.
  Se volete fare delle riflessioni, fatelo rapidamente, perché poi in Assemblea alla Camera si comincia a votare.

  MARIO BERTOLISSI, Professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova. Vi ho rubato tempo. Non me ne sono neanche accorto.

  PRESIDENTE. No, il tempo, come si suol dire, è investito. Grazie ancora, professore.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.05.