XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 107 di Mercoledì 5 aprile 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del professor Guido Rivosecchi su attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione) :
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Rivosecchi Guido , Professore ordinario di diritto costituzionale presso dell'Università degli studi LUMSA di Palermo ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 9 
De Menech Roger (PD)  ... 9 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Rivosecchi Guido , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi LUMSA di Palermo ... 10 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal professor Guido Rivosecchi ... 13

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 08.05

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Guido Rivosecchi su attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione, del professor Guido Rivosecchi, ordinario di diritto costituzionale e di istituzioni di diritto pubblico, su attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica. Abbiamo già cominciato le nostre riflessioni su questo tema e oggi ascolteremo la testimonianza di Guido Rivosecchi, che ringraziamo per la sua disponibilità.
  Do la parola al professor Rivosecchi per lo svolgimento della sua relazione.

  GUIDO RIVOSECCHI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso dell'Università degli studi LUMSA di Palermo. Ringrazio il presidente e gli onorevoli deputati e senatori membri di questa Commissione. Per me è un grande onore essere qui con voi oggi e confrontarmi su un tema centrale nei rapporti tra unità e autonomie territoriali.
  Oggi, a oltre quindici anni dall'entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, la riforma del Titolo V, e a diversi anni dall'entrata in vigore della legge n. 42 del 2009, che ha costituito il momento più qualificante, come ben sapete, di attuazione dell'autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali, cercheremo di comprendere qual è lo stato dell'arte su questi temi, alla luce della funzione di coordinamento della finanza pubblica costituzionalmente prevista, che negli ultimi anni ha visto una considerevole espansione.
  Io ho anticipato un testo scritto, in cui cerco di sviluppare meglio le considerazioni che adesso proverò a sintetizzare, sottolineando innanzitutto come per il coordinamento della finanza pubblica nella legislazione degli ultimi dieci anni ormai (la legislazione della crisi economico-finanziaria) siano passati i tentativi del legislatore, poi avallati dalla giurisprudenza costituzionale, di assicurare il conseguimento degli obiettivi di governo dei conti pubblici, che in larga parte discendono dal diritto dell'Unione europea o da trattati esterni al diritto dell'Unione europea.
  Pensiamo al Trattato sul coordinamento e la governance economico-finanziaria dell'Unione europea, il cosiddetto «Fiscal compact», che è un trattato esterno al diritto dell'Unione, che è volto ad assicurare gli obiettivi di stabilità dei conti nel quadro dell'ordinamento composito dell'assetto integrato nell'Unione europea. Si ravvisa, però, nel contempo quasi l'insufficienza dei trattati stessi ad assicurare questi obiettivi. È necessario stringere altri trattati per garantire questi obiettivi di stabilità.
  Il coordinamento della finanza pubblica riflette in larga parte queste esigenze, che discendono dal diritto dell'Unione europea e dalle reazioni delle istituzioni europee Pag. 4oggi davanti alla perdurante crisi economico-finanziaria.
  Tutto questo, però, va coordinato con i princìpi costituzionali sulle autonomie territoriali. Io ricordo anzitutto a me stesso che l'articolo 119 della Costituzione costituisce un presidio diretto posto a garanzia dell'autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali.
  Il coordinamento stesso, per come è concepito dalla Costituzione, presuppone l'autonomia degli enti territoriali. Infatti, possiamo ricordare che tra soggetto coordinante e soggetto coordinato c'è un rapporto di pari ordinazione, non c'è un rapporto di sovraordinazione, altrimenti dovremmo parlare di enti territoriali ordinati rispetto allo Stato in un rapporto di gerarchia, prospettiva estranea alla Costituzione italiana e al Titolo V.
  Il coordinamento deve, quindi, essere rispettoso dell'autonomia, deve conciliare principio unitario e principio autonomistico, e i princìpi costituzionali riflettono questa prospettiva.
  Ciascun ente territoriale è chiamato all'autosufficienza per l'esercizio delle funzioni già dall'articolo 119: ciascun ente territoriale con i tributi propri, la quota di compartecipazione ai tributi erariali sulla base del principio della territorialità delle imposte e le risorse che derivano dal fondo perequativo, deve essere posto in condizione di svolgere integralmente le funzioni amministrative che gli sono affidate.
  Questo principio della correlazione tra funzioni e risorse, che poi è svolto coerentemente dalla legge n. 42 del 2009, è giustiziabile davanti alla Corte costituzionale. Se il legislatore statale o regionale adotta delle misure di finanziamento delle funzioni di un livello territoriale di governo, per esempio accollando alle regioni il finanziamento di funzioni amministrative che sono dello Stato, la Corte costituzionale dichiara incostituzionale questa legge. Potremmo fare molti esempi, ma rinvio in larga parte al testo scritto.
  Allo stesso modo, una legge regionale che non assicuri l'adeguato finanziamento delle funzioni amministrative affidate alle province o ai comuni può essere parimenti dichiarata incostituzionale, e anche su questo ci sono vari esempi. C'è, quindi, una correlazione tra funzioni e risorse.
  All'indomani dell'entrata in vigore del Titolo V, però, la Corte costituzionale ha ravvisato delle peculiarità della materia «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». Ricordiamo che questa materia è ascritta alla potestà legislativa concorrente, ma che ha delle peculiarità.
  Infatti, in estrema sintesi, la Corte ci dice in varie sentenze, all'indomani dell'entrata in vigore del Titolo V, che il sistema dei tributi è talmente incorporato nella legislazione statale – la Corte si trova davanti tutta la disciplina delle leggi tributarie degli anni 1970 – è talmente governato dal centro e talmente ancorato al centro stesso che per poter attuare l'autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali è necessaria la legge di coordinamento della finanza e dei tributi. È necessaria, cioè, una legge statale che fissi i princìpi di coordinamento e gli ambiti e i limiti della potestà impositiva di entrata e della potestà di spesa di ciascun ente territoriale.
  La Corte costituzionale, nella sua giurisprudenza, dal 2001 al 2009, all'indomani dell'entrata in vigore del Titolo V, viene a sollecitare più volte il Parlamento ad adottare questa legge, che è la precondizione per l'attuazione dell'articolo 119 e conseguentemente per l'attuazione dell'intero Titolo V.
  Si arriva finalmente alla legge n. 42 del 2009, che tenta di contemperare autonomia e coordinamento, una legge che innanzitutto – questo va ricordato – ha il grande merito di restituire al Governo e soprattutto al Parlamento il processo di attuazione dell'articolo 119 del Titolo V, che era rimasto «congelato» da quella funzione, che ho appena richiamato, di supplenza della Corte costituzionale, che diceva: «Finché il legislatore non fissa i princìpi fondamentali non si può procedere all'attuazione del Titolo V».
  La riforma del 2009 tenta di procedere in questa prospettiva, assicurando la correlazione tra funzioni e risorse, quindi svolgendo un po’ i princìpi dell'articolo 119, Pag. 5ponendo, però, anche delle importanti novità.
  La prima è il potenziamento dei tributi propri derivati, ossia lo «sdoganamento» dei tributi propri il cui gettito va agli enti territoriali, che però sono disciplinati da legge statale. Questo è un primo versante importante, oltre al rapporto tra funzioni e risorse e, quindi, alla necessità di assicurare il finanziamento delle funzioni.
  Si introducono sul piano delle entrate anche forme premiali di fiscalità di vantaggio e l'ulteriore principio fondamentale della legge n. 42. Mi riferisco alla transizione dalla spesa storica ai costi standard come criterio di calcolo del costo delle funzioni amministrative affidate ai livelli territoriali di governo, al fine di individuare degli strumenti più omogenei nel calcolo delle funzioni, potenzialmente idonei a neutralizzare le inefficienze allocative che si manifestano tra i diversi contesti territoriali.
  Il processo di attuazione della legge n. 42, la stagione in cui più intensamente si è manifestata la funzione di coordinamento della finanza pubblica, è stato difficile. Anche se l'iter di emanazione dei decreti legislativi è stato completato, come ben sapete, l'attuazione della riforma sconta dei problemi.
  Il primo problema di sistema è un problema che l'attuazione del Titolo V si porta dietro, in realtà, dalla sua entrata in vigore, forse anche per dei limiti nella stessa riforma costituzionale del 2001. Si trovano difficoltà di attuazione perché non hanno avuto completa attuazione alcune categorie del Titolo V, che sono forse in qualche modo preliminari rispetto all'attuazione dell'autonomia finanziaria e tributaria e, quindi, al tentativo di costruire un sistema di federalismo fiscale.
  Mi riferisco innanzitutto alla mancata o tardiva attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, su cui la legge n. 42 costruisce lo strumento di finanziamento delle funzioni, distinguendo il finanziamento delle funzioni collegate ai livelli essenziali da quelle non collegate ai livelli essenziali.
  Questi livelli essenziali, in realtà, non hanno sempre avuto una tempestiva attuazione. Per esempio, nel fondamentale comparto in materia sanitaria un aggiornamento di questi livelli essenziali è avvenuto pochi mesi fa. In altri comparti l'aggiornamento è stato tardivo o incompiuto. Sono delle categorie fondamentali su cui costruire il federalismo fiscale.
  Un altro elemento è la determinazione delle funzioni fondamentali degli enti locali. L'articolo 117, secondo comma, lettera p), riserva questa funzione a un titolo di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Il cosiddetto «disegno di legge sulla Carta delle autonomie» si è trascinato per anni. C'era addirittura una forma embrionale di individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali già nella delega contenuta nella legge La Loggia del 2003. Questo disegno di legge viene presentato in ogni legislatura, ma non è mai stato approvato.
  L'individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali sarebbe uno dei presupposti su cui poi costruire e attuare il disegno autonomistico.
  Questo processo di attuazione della riforma ha incontrato soprattutto grandi problemi che sono sopravvenuti per effetto della crisi economico-finanziaria, che ha prodotto profonde torsioni nell'attuazione della riforma e anche nella stessa attuazione della legge n. 42 del 2009, riportando larga parte delle decisioni in materia di finanza pubblica al centro, riaccentrando il governo dei conti pubblici.
  In quel momento si sviluppa tutta quella legislazione che possiamo definire «di emergenza», che si basa sul coordinamento della finanza pubblica, con quella lunga serie di decreti-legge. Peraltro, quelle disposizioni di coordinamento della finanza pubblica in larga parte sono dettate mediante il ricorso alla decretazione d'urgenza, su cui, quindi, il Parlamento può intervenire, come ben sapete, limitatamente.
  A partire in particolare dal decreto-legge n. 78 del 2010 si susseguono una lunga serie di decreti-legge, soprattutto quelli adottati dal Governo Monti nella fase della crisi, che contengono misure di coordinamento Pag. 6 sulla finanza delle autonomie particolarmente puntuali e pervasive.
  Sostanzialmente lo Stato realizza il coordinamento della spesa delle sue amministrazioni con disposizioni di legge statale e, nel contempo, come dice la giurisprudenza costituzionale, queste disposizioni di coordinamento fungono da princìpi opponibili al legislatore regionale e, quindi, valgono anche per le regioni, che si devono adeguare.
  Quelli che sono limiti puntuali, vincoli, norme di coordinamento per le amministrazioni statali, nel contempo, sono norme di principio che impongono alla regione di ridurre la spesa, il finanziamento delle proprie amministrazioni e delle proprie funzioni, spesso attraverso tetti, limiti e vincoli alla spesa delle regioni e degli enti locali commisurati in riduzioni percentuali rispetto alla spesa dell'esercizio finanziario precedente.
  Queste operazioni del legislatore statale sono largamente avallate dalla giurisprudenza costituzionale. La Corte fino al 2009-2010 fa salve queste disposizioni statali di coordinamento della finanza pubblica nella misura in cui queste norme pongono dei tetti e dei vincoli all'entità del disavanzo di parte corrente o alla crescita della spesa corrente degli enti territoriali. Il legislatore statale, quindi, costruisce dei limiti in termini di tetti e di vincoli di spesa alla spesa corrente o alla crescita della spesa corrente entro i quali e le autonomie sono libere di allocare le risorse facendo scelte di autonomia politica, che sono sempre centrali per verificare la misura concreta dell'autonomia.
  Dal 2010-2011, invece, quando la crisi mostra il suo volto più aggressivo, la Corte costituzionale cambia un po’ giurisprudenza e consente al legislatore statale di fissare puntuali limitazioni delle singole voci di spesa dei bilanci degli enti territoriali e, quindi, il coordinamento diventa sempre più pervasivo e vincolante nei confronti della capacità di spesa degli enti territoriali.
  Ci sono vari filoni della legislazione statale, che corrispondono a filoni della giurisprudenza costituzionale, che spiegano come si è sviluppata questa funzione di coordinamento, che ha limitato la spesa corrente delle regioni e degli enti locali con particolare riguardo alla spesa per il personale e ha attribuito carattere vincolante sempre più intenso agli accordi sui piani di rientro dal disavanzo in materia sanitaria.
  La funzione di coordinamento ha inoltre garantito il rispetto della veridicità e dell'attendibilità delle leggi regionali di bilancio e il processo progressivo di armonizzazione dei bilanci, che già era individuato dalla legge n. 42 del 2009 e che poi, con la legge costituzionale n. 1 del 2012, transita dalla potestà concorrente alla potestà esclusiva dello Stato.
  Adesso, quindi, lo Stato può fissare e limitare e ha un titolo di competenza esclusiva in materia di armonizzazione dei bilanci, il che, però, non ha impedito alla Corte costituzionale nella giurisprudenza più recente di preservare comunque uno spazio per la contabilità regionale.
  Infatti, posto che gli schemi di bilancio devono avere una struttura comune, anche per garantire la raffrontabilità dei conti, il bilancio è strumento di realizzazione delle politiche degli enti territoriali, quindi l'ente territoriale deve disporre, come dice ad esempio la Corte nella sentenza n. 184 del 2016, di una propria autonomia, perché il bilancio riflette queste scelte di governo dell'ente locale.
  Inoltre, il coordinamento della finanza pubblica è stato utilizzato dalla Corte costituzionale per avallare l'ampliamento dei controlli affidati alla Corte dei conti sulla generalità degli enti territoriali, spesso svolti anche in forma concomitante rispetto all'esercizio finanziario, che discendono anch'essi dai vincoli del diritto dell'Unione europea e dalla necessità di conseguire gli obiettivi di finanza pubblica.
  È un'interpretazione sotto diverso profilo – rinvio in larga parte al testo scritto – sempre più puntuale del coordinamento della finanza pubblica, che diventa una clausola trasversale al riparto di competenze tra Stato e regioni, anche mediante la valorizzazione del parametro dell'unità economica della Repubblica. Pag. 7
  Tutto questo ha prodotto, sia sul lato delle spese che sul lato delle entrate, un forte accentramento delle decisioni di finanza pubblica. Considerate ciò che è stato richiesto agli enti territoriali sul lato delle spese in questi anni, nelle manovre della crisi e del risanamento dei conti dal 2009 in poi. Pensiamo in particolare alle diverse versioni del patto di stabilità interno, che, come sapete, è la norma che definisce l'apporto annuale degli enti territoriali agli obiettivi di coordinamento della finanza pubblica.
  La riduzione della spesa pubblica per circa il 20 per cento, senza considerare la spesa per la sanità, che assorbe larga parte della spesa regionale, è stata garantita dalle autonomie territoriali.
  Alle autonomie territoriali, quindi, si sono chiesti sacrifici molto consistenti in queste manovre di risanamento per garantire gli obiettivi di finanza pubblica, spesso utilizzando il potere impositivo degli enti territoriali, in contrasto con il principio autonomistico, perché funzionale a garantire oneri finanziari che derivano dai livelli di governo superiori, che non sono quelli che riflettono gli interessi della comunità dei governati.
  Peraltro, spesso ciò è avvenuto con il metodo dei tagli lineari, che perseguono delle finalità opposte rispetto alla spending review e al miglioramento della qualità della spesa.
  Anche la legislazione che è intervenuta dal 2010 in poi sul lato delle entrate ha fortemente ridimensionato – lo dico in estrema sintesi, anche perché credo di dovermi avviare alla conclusione – il potere impositivo degli enti territoriali. La novità dei tributi propri, che pure era prevista dalla legge n. 42, non ha avuto una significativa attuazione. In larga parte la finanza degli enti territoriali è ancora una finanza da trasferimento o da tributi propri derivati.
  Nella stagione della crisi torna addirittura il meccanismo del finanziamento con vincolo di destinazione. Per esempio, per la sanità nelle ultime due o tre leggi di stabilità ci sono fondi addirittura con vincolo di destinazione che non erano considerati sintonici con lo sviluppo dell'autonomia dalla stessa giurisprudenza costituzionale.
  Da questo punto di vista, anche sul lato delle entrate, pur prevedendo uno dei decreti legislativi attuativi della legge n. 42, il decreto n. 68 del 2011, l'abbandono dei presupposti d'imposta da parte del legislatore statale a far data dal primo gennaio 2013, con la possibilità di istituire tributi propri, per questa sorta di ritrazione dello Stato dai presupposti d'imposta riservati alla potestà impositiva degli enti territoriali, purtroppo il coordinamento della finanza pubblica ha poi assorbito larga parte di questi tributi, riconsegnandoli, quindi, a una disciplina statale.
  Faccio soltanto un esempio. Fra i pochi e poco significativi tributi propri, per una ricognizione dei quali rinvio al testo scritto, l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili civili, che sia il legislatore che la Corte in una sentenza del 2013 avevano qualificato come tributo proprio, è poi tornata in una sentenza del 2015 della Corte a essere disciplinata dalla legge statale di coordinamento della finanza pubblica.
  L'altro aspetto su cui il coordinamento ha agito è quello della finanza delle autonomie speciali. Non posso svilupparlo compiutamente, ma sottolineo che si tratta di un nodo molto importante, che sottopone a forti tensioni il rapporto tra il principio unitario e il principio autonomistico, nonché le istanze di solidarietà e di eguaglianza, che dovrebbero in parte essere informati a uno statuto comune di cittadinanza. La finanza delle autonomie speciali non sempre garantisce la correlazione tra funzioni e risorse.
  Il nodo delle autonomie speciali è un nodo importante. Gli accordi del 2009-2010, che hanno condotto alla riforma degli statuti speciali e a una seconda stagione di accordi nel 2014, tentano da questo punto di vista di adottare misure di coordinamento idonee a contemperare il principio unitario e le esigenze di solidarietà, anche interregionale (in molti casi si tratta anche di questo) con l'autonomia speciale, che dovrebbe fungere da stimolo per le autonomie ordinarie a non arroccarsi in Pag. 8una posizione a volte più difensiva che propositiva.
  Provo a tirare brevemente le fila delle premesse di questi diversi versanti che ho toccato di sviluppo del coordinamento della finanza pubblica, per ravvisare nelle tendenze del legislatore degli ultimi due anni e nella giurisprudenza costituzionale degli ultimi due anni qualche segnale positivo.
  Questa tendenza abbastanza pervasiva delle norme di coordinamento della finanza pubblica, che poi sono state doppiate dall'introduzione dell'equilibrio di bilancio esteso agli enti territoriali, che ha richiesto prestazioni molto rigorose in termini di governo dei conti pubblici agli enti territoriali, sembra trovare un allentamento.
  La morsa che negli anni della crisi ha stretto gli enti territoriali tra coordinamento della finanza pubblica e pareggio di bilancio sembra allentarsi nelle più recenti tendenze, che cercano, sia nella legislazione che nella giurisprudenza costituzionale, di assicurare una dimensione maggiormente collaborativa ai fini del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica.
  Troviamo ciò in una serie di sentenze della Corte e innanzitutto in iniziative del legislatore che cercano, da un lato, di valorizzare le intese in conferenza per assicurare una maggiore condivisione degli obiettivi di finanza pubblica e, dall'altro, di bilanciare la tutela degli equilibri finanziari con la garanzia delle autonomie territoriali e dei diritti costituzionali.
  Dal primo punto di vista, quello della dimensione maggiormente collaborativa nelle linee del coordinamento della finanza pubblica, vorrei citare tutta quella giurisprudenza degli ultimi due anni sulle autonomie speciali, che mi sembra molto significativa, a partire dalla sentenza n. 19 del 2015 della Corte.
  Sostanzialmente afferma che lo Stato fissa unilateralmente gli obiettivi di governo dei conti pubblici che le autonomie speciali devono garantire in termini di saldo, ma questo non impedisce alle autonomie speciali di individuare degli accordi di riparto fra di loro per assicurare questi obiettivi, con una certa libertà di scelta fra le autonomie stesse, pur mantenendo fermo il limite del saldo che deve essere conseguito.
  Sempre su questo filone della collaborazione, ci sono una serie di sentenze in cui la Corte dice che il coordinamento della finanza pubblica deve essere rispettoso delle autonomie e deve assicurare una certa gradualità e una certa proporzionalità delle misure di coordinamento, che devono intervenire in via sussidiaria quando le regioni non garantiscono questi vincoli o quando non si raggiungono gli accordi in conferenza.
  C'è, quindi, una certa tendenza, soprattutto in qualche sentenza del 2016, a proporre forme di coordinamento maggiormente «virtuoso» anche per le autonomie ordinarie.
  Dall'altro lato, invece, quanto al bilanciamento fra l'equilibrio di bilancio e la tutela dei diritti costituzionali, ci sono altre sentenze della Corte che fanno seguito peraltro a una legislazione che è volta a far sì che sia rispettata la correlazione tra funzioni e risorse.
  Ci sono alcune sentenze importanti anche con riguardo alla travagliata sorte delle province, in base alle quali, a diritto costituzionale vigente, dopo il fallimento della riforma costituzionale, le province, che sono enti intermedi di secondo grado tra regioni e comuni, finché hanno le funzioni, che svolgono in attesa che sia completata l'attuazione della riforma Delrio, devono essere poste in condizione di avere le risorse. La Corte costituzionale avverte questa preoccupazione, che è funzionale a garantire i diritti che sono tutelati dall'erogazione di questi servizi.
  In conclusione, c'è un segnale che viene dalla legislazione e dalla giurisprudenza della Corte, volto negli ultimi anni ad affermare la collaborazione. Uno dei grandi problemi del Titolo V è la mancanza di sedi e istituti idonei ad assicurare la collaborazione fra i diversi livelli territoriali di governo.
  Quando la collaborazione funziona con questi accordi, valorizzandole le intese in conferenza, anche il coordinamento della finanza pubblica diventa più rispettoso delle autonomie. Quando questa collaborazione Pag. 9non funziona, le misure di coordinamento della finanza pubblica rischiano di ricadere pesantemente sulle autonomie stesse.
  Mi riallaccio anche ai significativi risultati dell'indagine conoscitiva che è stata condotta dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali, che dimostra proprio come la mancanza di sedi e istituti di collaborazione rende spesso difficile per le autonomie attuare le leggi statali, perché sono leggi sempre più eteronome rispetto alle esigenze dei territori. Il coordinamento della finanza pubblica è la ricaduta più evidente di questi processi.
  Alla luce di questi segnali in parte positivi che possiamo ravvisare nel più recente periodo, una soluzione che potrebbe essere prospettata – mi rendo conto che a distanza di tempo non è di facile attuazione, però a diritto costituzionale vigente delle autonomie territoriali è prevista – potrebbe essere l'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con i rappresentanti delle autonomie territoriali, come prevede l'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, per assicurare un maggiore coinvolgimento degli enti territoriali soprattutto sulle scelte di finanza pubblica e di coordinamento della finanza pubblica.
  Infatti, quella norma, l'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, prevede un significativo aggravamento procedurale per le materie di potestà concorrente e per l'articolo 119, cioè le materie relative alla finanza e ai tributi degli enti territoriali. Il parere contrario della Commissione sarebbe superabile soltanto con un voto a maggioranza assoluta dell'Assemblea. Questo potrebbe essere un tentativo di reinserire gli enti territoriali nel processo di produzione normativa.
  Molto dipenderà, se il Parlamento deciderà di procedere in questa direzione, dai regolamenti parlamentari, che sono vincolati fino a un certo punto dall'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001. Tuttavia, le Camere possono decidere in autonomia di valorizzare il contributo degli enti territoriali ai processi di produzione normativa, al fine di favorire forme di coordinamento della finanza pubblica virtuose. Infatti, le autonomie sarebbero coinvolte nel procedimento di formazione delle leggi statali che incidono sulla loro autonomia politica, che si esprime anzitutto nell'autonomia finanziaria e tributaria.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROGER DE MENECH. Credo che tutta la relazione sia centrata sul rapporto fra le sentenze, i pareri o le opinioni della Corte rispetto all'attività, legittima o meno, dello Stato centrale nei confronti delle autonomie.
  Su questo tema si avverte oggi una situazione di difficoltà. Noi abbiamo citato alcune situazioni di emergenza rispetto al mantenimento dei livelli minimi dei servizi sui territori. Lei ha citato la questione delle province. Oggi le province hanno fatto delle azioni anche eclatanti da questo punto di vista.
  La domanda che le pongo è molto diretta. Su questo argomento, cioè sul rapporto fra lo Stato centrale e i livelli territoriali, rispetto all'interesse superiore dello Stato di mantenere l'equilibrio della finanza pubblica la sentenza è stata molto netta in alcuni casi. Cito i contributi di solidarietà pensionistica. La Corte li ha definiti incostituzionali e ha obbligato lo Stato alla restituzione, anche se parziale.
  Secondo lei, una sorta di spirito simile a questa impostazione ci potrà essere nel futuro nei confronti del rapporto fra le autonomie territoriali e lo Stato centrale? Arriveremo al fatto che la Corte deciderà in maniera cogente, puntuale e precisa il livello minimo per il mantenimento di alcune tipologie di servizio, visto che si è presa questa responsabilità?
  Infatti, anche la norma sul contributo di solidarietà era costruita per garantire l'equilibrio della finanza pubblica. Eppure, in quel caso la sentenza è stata molto chiara e ha obbligato, anche se in parte, anche se con la libertà del legislatore centrale, alla restituzione di una quota di quel contributo.
  Dico questo perché il rapporto fra lo Stato centrale e i territori rispetto ai trasferimenti Pag. 10 e al mantenimento del servizio è arrivato a un punto di rottura in questa fase, ovviamente dovuto alla crisi, non tanto alle intenzioni.
  Questa è una cosa interessante, che credo nei prossimi mesi vedremo in maniera molto pratica.

  PRESIDENTE. Svolgo una riflessione di tipo generale. Da quello che abbiamo ascoltato, da quello che vediamo, parlare di coordinamento della finanza pubblica mi sembra un'immagine quasi fantascientifica rispetto a una situazione in cui c'è la Corte costituzionale che sembra quel vigile che normalmente sta in piazza Venezia a dirigere il traffico e decide di volta in volta di far defluire da destra e da sinistra per cercare di sbrogliare la situazione. È difficile parlare di coordinamento; oggettivamente mi sembra che sia esattamente il contrario del coordinamento.
  La vicenda attuale delle province dimostra come alla fine, con tutta questa legislazione di emergenza o non di emergenza, siamo arrivati a una situazione assurda per cui, come documentato dalla SOSE (Soluzioni per il sistema economico) in questa Commissione, le province non hanno nemmeno le risorse (non discutiamo se di trasferimento, proprie, derivate o di qualsiasi natura), per garantire le funzioni essenziali che in base alla legge – e anche la Costituzione a questo punto lo conferma – le sono affidate.
  A mio avviso, c'è la necessità di riprendere le fila del discorso e di guardarlo in modo astratto dall'alto per cercare veramente di mettere ordine, prima ancora del coordinamento, perché qui la situazione, secondo me, oltre che di deresponsabilizzazione complessiva, è di difficoltà per taluni enti di svolgere funzioni pubbliche, anche quelle essenziali.
  Do la parola al professore Rivosecchi per la replica.

  GUIDO RIVOSECCHI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi LUMSA di Palermo. Presidente, la ringrazio perché l'osservazione, unita a quella di chi l'ha preceduta, coglie uno degli aspetti centrali che stiamo oggi vivendo. Mi permetterei di dire che è un po’ difficile, perché, come cercavo di dire in apertura, il coordinamento presuppone l'autonomia dei soggetti coordinati e presuppone il rispetto di questa autonomia, proprio perché il coordinamento è esattamente il contrario della gerarchia.
  Dunque, l'autonomia degli enti territoriali si esprime anzitutto con scelte di autonomia politica, di autogoverno, che sono garantite soltanto nella misura in cui l'autonomia finanziaria e tributaria è in una certa misura, nei limiti dei princìpi costituzionali e dei princìpi di coordinamento che siano rispettosi di questa autonomia, garantita.
  Da questo punto di vista, rispetto alla materia «coordinamento della finanza pubblica», che ha assunto nella giurisprudenza costituzionale questa portata trasversale e particolarmente pervasiva, io non ritengo che il problema sia se è potestà esclusiva o potestà concorrente.
  Per esempio, il testo di legge costituzionale respinto dal referendum del dicembre scorso faceva transitare la potestà di coordinamento dal titolo di competenza concorrente al titolo di competenza esclusiva dello Stato. Certamente questo potenzierebbe ulteriormente questo titolo di competenza, però già così, pur essendo concorrente, la giurisprudenza costituzionale che abbiamo ricordato consente al legislatore statale di dettare disposizioni anche dettagliate di coordinamento.
  Il coordinamento, proprio perché presuppone che i soggetti siano autonomi, deve essere rispettoso dell'autonomia, perché non si esprime tanto nel fatto che le autonomie si devono conformare ai princìpi fondamentali dettati dallo Stato, ma nel fatto che il soggetto coordinante (lo Stato) e i soggetti coordinati (le autonomie) devono convergere verso obiettivi condivisi.
  Gli obiettivi devono essere condivisi con le autonomie, non perché la potestà è concorrente, ma perché nelle attribuzioni costituzionali originarie, costituzionalmente garantite alle autonomie, c'è questo loro grado di autonomia politica che il coordinamento, sia esso ascritto alla potestà concorrente Pag. 11 sia esso ascritto alla potestà esclusiva, deve comunque rispettare.
  Io condivido appieno che il coordinamento non può essere strumento di eterodirezione dell'autonomia, pur dovendo salvaguardare le esigenze di raccordo fra Stato e autonomie territoriali. La questione delle province dimostra proprio questo: finché le province sono enti intermedi e svolgono funzioni amministrative, queste funzioni devono essere garantite.
  La Corte costituzionale tende a dichiarare incostituzionali le leggi regionali che non garantiscono l'adeguato finanziamento delle funzioni delle province. Per esempio, ci sono state un paio di sentenze significative sul Piemonte. Come diceva giustamente il presidente, in materia di istruzione secondaria, di viabilità, di strade, ci sono funzioni amministrative fondamentali ancora affidate alle province. Quando la legge regionale taglia questi finanziamenti, come nel caso del Piemonte, la legge regionale è dichiarata incostituzionale dalla Corte. Mi pare una giurisprudenza condivisibile, perché deve essere garantito il finanziamento di queste funzioni fondamentali.
  Tuttavia, la Corte non fa la stessa cosa quando è la legge statale a tagliare i finanziamenti delle province. Quando la legge statale pone vincoli o limiti, anche pervasivi, sui tagli alle risorse o al personale delle province, la Corte costituzionale tende a fare salvi questi tagli. Su questo ci sono varie sentenze del 2016.
  Se questo orientamento fosse confermato, ci sarebbe un problema per assicurare i servizi, com'era giustamente osservato, e sarebbe uno stimolo per il legislatore regionale che deve attuare la legge Delrio ad attrarre larga parte delle funzioni a livello regionale, quando invece, se governate secondo sussidiarietà e adeguatezza, dovrebbero essere allocate in certi casi a livello di ente intermedio.
  Il problema del finanziamento rispetto alle funzioni, com'era giustamente osservato, ha risvolti molto pregnanti, che incidono pesantemente sul rispetto delle autonomie, tutte quelle costituzionalmente previste, finché la Costituzione prevede che ci siano tre livelli di governo.
  Questa osservazione mi consente di rispondere anche alla prima domanda che coglieva uno degli aspetti centrali, che si lega al coordinamento: l'equilibrio di bilancio. A me pare che i nodi centrali sul piano redistributivo e, quindi, sul piano del finanziamento delle funzioni da un lato e della tutela dei diritti dall'altro non debbano essere garantiti dalla Corte costituzionale, ma debbano essere garantiti dalle scelte politiche del Parlamento.
  Io credo che i grandi nodi sulla riallocazione delle risorse, sul bilanciamento fra l'equilibrio di bilancio e la tutela dei diritti debbano spettare al Parlamento e alla politica. La Corte interviene soltanto quando queste scelte eccedono dai limiti costituzionali.
  È chiaro che l'equilibrio di bilancio, il pareggio di bilancio, le esigenze poste dalla crisi consentono anche alla giurisprudenza costituzionale di fare operazioni maggiormente volte a tutelare gli equilibri di bilancio rispetto a come poteva essere un tempo. D'altra parte, la stessa costituzionalizzazione dell'equilibrio di bilancio offre alla Corte un parametro più forte per tutelare gli equilibri di bilancio.
  Tuttavia, contemporaneamente, il bilanciamento sul lato dei diritti deve essere garantito. Io sono d'accordo con quanto osservato rispetto a queste sentenze e alla necessità di assicurare questo bilanciamento con la tutela dei diritti.
  Per esempio, a me ha colpito, per dare un segnale positivo – qualche volta anche la Corte riesce a fare questo tipo di bilanciamento in modo efficace – una sentenza abbastanza recente, la n. 275 del 2016, su una legge regionale dell'Abruzzo che disponeva il finanziamento del contributo per lo svolgimento del servizio di trasporto di studenti portatori di handicap nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalla legge annuale di bilancio regionale.
  La Corte dichiara incostituzionale questa legge, con delle importanti affermazioni di principio, perché dice: «Quando c'è un servizio essenziale collegato alla tutela di un diritto fondamentale di questo tipo, le esigenze di equilibrio di bilancio recedono Pag. 12a fronte della necessità di tutelare questo diritto fondamentale».
  Nella stagione della crisi non è sempre facile realizzare bilanciamenti di questo tipo, però io credo che la Corte costituzionale debba presidiare la Costituzione in tutte le sue parti, quindi realizzare il contemperamento tra tutela dei diritti e ruolo delle autonomie da un lato e equilibrio di bilancio dall'altro. In certi casi qualche segnale positivo nella giurisprudenza degli ultimi due anni arriva.
  Tuttavia, penso che sia soprattutto compito del legislatore risolvere questi grandi nodi, specie in momenti così difficili, in cui la crisi è così aggressiva e perdurante.
  Da un lato, se muoviamo dal presupposto che per uscire dalla crisi bisogna assicurare lo sviluppo, stringere troppo le autonomie può essere una strategia non felice, anche dal punto di vista della politica economica, perché è più facile attrarre investimenti a livello locale in una prospettiva di sviluppo economico. Pertanto, assoggettare le autonomie a vincoli così rigorosi può dimostrarsi non felice rispetto alla ripresa.
  Le autonomie adesso non vanno più così di moda, però da questo punto di vista c'è stato veramente un rovesciamento nella prospettiva dell'attuazione del Titolo V della legge n. 42 del 2009 che desta quantomeno delle notevoli perplessità, perché le autonomie realizzano il principio democratico e possono essere utili anche alla ripresa economica.
  Dall'altro lato, questo tipo di bilanciamento tra equilibrio di bilancio e diritti deve essere risolto anzitutto dalle scelte di governo della politica, quindi dal Parlamento e dal legislatore, perché non si può pensare che siano le corti costituzionali o sovranazionali ad assicurare delle funzioni redistributive che sono quelle che a mio parere devono essere assicurate e garantite dalla sede propria, che è quella della rappresentanza politica e della rappresentanza dei territori.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Rivosecchi per il suo intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.

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ALLEGATO

Guido Rivosecchi

(Professore ordinario di Diritto costituzionale – LUMSA, Dipartimento di Giurisprudenza di Palermo)

Audizione presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale su «Attualità e prospettive del coordinamento della finanza pubblica»
Roma, 5 aprile 2017
Camera dei deputati e Senato della Repubblica – Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

  1. Porgo anzitutto i miei più sentiti ringraziamenti al Presidente e agli onorevoli deputati e senatori per l'invito a partecipare a questo ciclo di audizioni che costituisce per me un onore e una rilevante opportunità di confronto su uno dei temi fondamentali mediante il quale è declinato il rapporto tra principio unitario e autonomie territoriali. Specie negli anni della crisi economico-finanziaria, è infatti attraverso il coordinamento delle finanza pubblica che sono tutelate larga parte delle istanze unitarie, nonché delle esigenze di adeguamento al diritto dell'Unione europea.
  Occorre anzitutto ricordare che il coordinamento presuppone l'autonomia e un rapporto di pariordinazione tra soggetto coordinante e soggetto coordinato, come quello che si desume dall'articolo 114 Cost., posto a presidio degli enti territoriali. Il tema oggetto dell'audizione consente quindi di interrogarsi sulle sorti del disegno autonomistico ad oltre quindici anni dall'entrata in vigore della legge cost. n. 3 del 2001, di riforma del Titolo V Cost.
  È infatti appena il caso di ricordare che l’autonomia finanziaria e tributaria degli enti territoriali, già insita nei principi fondamentali della Carta costituzionale, è scolpita nell'articolo 119 Cost., indefettibile presupposto per assicurare l'autogoverno e la differenziazione. In effetti, ad oggi, l’«autonomia finanziaria di entrata e di spesa», affermata dall'articolo 119 Cost., non ha ancora trovato attuazione. Pur delineando un modello sufficientemente «aperto» di finanza territoriale, suscettibile di oscillazioni ora in favore del principio autonomistico, ora a tutela delle imprescindibili istanze unitarie, le norme costituzionali sono poste direttamente a presidio degli enti locali, affermando, tra l'altro, la facoltà di stabilire «tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». Ne consegue che il profilo maggiormente qualificante dell'autonomia, qui preso in esame, dovrebbe consentire di disporre dell'indirizzo di spesa e della potestà impositiva, sia pure secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario che discendono dall'articolo 117, terzo comma, Cost., nonché dagli obblighi di solidarietà e di perequazione, funzionali ad attenuare le asperità fiscali e gli squilibri territoriali (articoli 2, 5 e 119, Cost.).
  Dal complesso dei mezzi di finanziamento previsti dall'articolo 119 Cost. segue che ciascun ente territoriale è chiamato all'autosufficienza per l'esercizio delle funzioni che sono ad esso affidate mediante tre strumenti: tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali secondo il criterio della territorialità dell'imposta e risorse derivanti dal fondo perequativo. Le tre componenti devono soddisfare integralmente il fabbisogno dell'ente, secondo il principio del finanziamento integrale delle funzioni, idoneo ad assicurare la necessaria correlazione quantitativa tra funzioni e risorse, giustiziabile davanti alla Corte costituzionale (ad esempio: sentt. n. 22 del 2012; n. 82 e n. 188 del 2015; n. 151 del 2016).
  Già all'indomani dell'entrata in vigore del Titolo V del 2001, la giurisprudenza costituzionale ha confermato tale impostazione, ravvisando nella legge statale di coordinamento della finanza pubblica la necessaria premessa ai fini dell'attuazione del disegno costituzionale tanto per l'individuazione dei principi fondamentali per il legislatore regionale, quanto per la determinazione delle grandi linee del sistema tributario, con riguardo agli ambiti e ai limiti Pag. 14della potestà impositiva degli enti territoriali (tra le tante, la fondamentale sent. n. 37 del 2004). Pertanto, nella fase immediatamente successiva alla legge cost. n. 3 del 2001, la Corte si è costantemente mossa lungo la direttrice di armonizzare i poteri di spesa (ad esempio: sent. n. 289 del 2008) e la potestà impositiva di regioni ed enti locali (tra le tante, sentt. n. 296, n. 297 e n. 311 del 2003) con le imprescindibili esigenze di coordinamento, soprattutto in ragione della perdurante inerzia del legislatore statale. È stata così accertata la conformità a Costituzione di disposizioni contenute prevalentemente in leggi finanziarie, e, dal 2009, in leggi di stabilità, incidenti anche in modo penetrante sulle autonomie, spesso ritenute necessario riflesso del coordinamento finanziario alla stregua dei vincoli posti dal diritto dell'Unione europea (ex plurimis, sentenze n. 4, n. 17 e n. 36 del 2004).
  In quella fase, e negli anni seguenti, non sono stati comunque sollevati dubbi sulla disciplina contenuta nell'articolo 119 Cost., pacificamente assunta come fondamentale presupposto ai fini della realizzazione del disegno autonomistico. Al riguardo, occorre tra l'altro ricordare che né il testo di legge costituzionale approvato dal centro-destra nella XIV legislatura e respinto dal corpo elettorale nel 2006, né quello approvato nella corrente legislatura e bocciato dal referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 mettevano in discussione i principi costituzionali sull'autonomia finanziaria e tributaria, pur disponendo, il secondo testo di legge richiamato, l'adeguamento delle norme costituzionali in parola alla soppressione delle province.
  2. Con la legge n. 42 del 2009, dichiaratamente rivolta all'attuazione dell'articolo 119 Cost. e all'introduzione di forme di federalismo fiscale, sembrava essere finalmente colmato il vuoto ripetutamente lamentato dalla giurisprudenza costituzionale, così mettendo in moto il processo di realizzazione del disegno autonomistico. Infatti, quella legge aveva anzitutto il merito di «restituire» a Governo e Parlamento il processo di attuazione dell'articolo 119 Cost., e, per il suo tramite, dell'intero Titolo V, sino a quel momento necessariamente «congelato» dalla funzione di supplenza della Corte costituzionale. Ciò a partire dalla valorizzazione delle sedi parlamentari di raccordo e di monitoraggio nell'attuazione del disegno riformatore di cui questa Commissione costituisce la più evidente testimonianza.
  Significativo, inoltre, il tentativo della riforma in parola di contemperare le spinte egualitaristico-redistributive, proprie di ogni sistema di Welfare, con la naturale tendenza alla differenziazione, coltivata da ogni sistema autonomistico, bilanciando così principi fondamentali compresenti nella Carta costituzionale. Ciò passa, sul lato delle spese, per la valorizzazione della necessaria correlazione tra funzioni e risorse allocate ai diversi livelli territoriali di governo, e, su quello delle entrate, per il largo ricorso alle compartecipazioni al gettito di tributi erariali secondo il principio della territorialità dell'imposta, nonché per lo «sdoganamento» dei tributi propri derivati, messi in maggiore disponibilità degli enti territoriali rispetto al passato. Il quadro è opportunamente completato dall'introduzione di forme «premiali» di fiscalità di vantaggio e dalla transizione dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard nella determinazione delle risorse finanziarie necessarie allo svolgimento delle funzioni amministrative affidate a ciascun ente territoriale. Tale principio costituisce uno dei profili maggiormente qualificanti e condivisi della riforma, volto a introdurre criteri di misurazione omogenea del costo delle funzioni per l'erogazione dei servizi, potenzialmente idoneo a neutralizzare le inefficienze allocative che si manifestano nei diversi contesti territoriali.
  La legge n. 42 del 2009 e i relativi provvedimenti attuativi hanno poi trovato una difficile attuazione anche in ragione della sopravvenuta e perdurante crisi economico-finanziaria che ha indotto a riaccentrare larga parte delle decisioni in materia di finanza pubblica. A tali difficoltà, che hanno indotto il legislatore e la giurisprudenza costituzionale a rafforzare le misure di coordinamento della finanza pubblica, si aggiungono ulteriori limiti nel processo di Pag. 15attuazione dell'articolo 119 Cost., dovuti al fatto che molte categorie del Titolo V Cost. non hanno ancora trovato piena attuazione. Basti pensare ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, in alcuni comparti ancora non sufficientemente determinati, o tardivamente individuati rispetto a quanto presupponeva la riforma costituzionale del 2001, come nel caso del fondamentale comparto della spesa sanitaria, aggiornato soltanto da pochi mesi. O, ancora, si pensi all'annosa questione dell'individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali, giusto il disposto dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), Cost., ancora rimasta incompiuta, non essendo mai stato approvato il disegno di legge sulla c.d. Carta delle autonomie, pur presentato alle Camere in ogni legislatura dalla riforma del Titolo V del 2001 ad oggi. Sicché dall'incertezza dell'assetto dei livelli essenziali e delle funzioni amministrative affidate ai diversi livelli territoriali di governo discende la difficoltà di assicurare adeguate forme di finanziamento, garantendo la necessaria correlazione tra funzioni e risorse, da ritenersi costituzionalmente necessaria, come ricorda la più recente giurisprudenza della Corte, anche con riguardo alla travagliata sorte delle province (sentt. n. 188 del 2015 e n. 10 del 2016).
  3. Negli ultimi anni, la perdurante crisi economico-finanziaria ha prodotto profonde torsioni sull'attuazione del disegno autonomistico che, pur con alterne vicende, si andava prefigurando, determinando, all'opposto, un forte accentramento delle decisioni di finanza pubblica.
  Quanto ai poteri di spesa, il coordinamento della finanza pubblica può ormai esplicarsi mediante la predisposizione di vere e proprie limitazioni frapposte allo svolgimento dell'autonomia, allorché si tratti di determinare il bilancio degli enti territoriali: nel suo complesso, nel rapporto tra entrate e spese, nelle singole voci che lo compongono e nelle riduzioni di spesa annualmente commisurate rispetto all'esercizio finanziario precedente, imposte da norme statali sempre più puntuali e dettagliate.
  Al riguardo, occorre ricordare che la progressiva espansione del coordinamento della finanza pubblica tanto nella legislazione statale quanto nella giurisprudenza costituzionale costituisce in larga pare il riflesso della crisi e della conseguentemente rinnovata configurazione dei vincoli sovranazionali al governo dei conti pubblici, sia interni al diritto dell'Unione europea, sia esterni ad esso, come nel caso del Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell'Unione economica e monetaria (cosiddetto Fiscal Compact) o del Meccanismo europeo di stabilità (MES, cosiddetto Fondo «salva-Stati»), che deriva dalle modifiche al Trattato di Lisbona, o, ancora, del Fondo europeo di stabilità finanziaria (FESF), appositamente istituito dagli Stati dell'Eurozona per assicurare adeguato sostegno finanziario agli Stati membri. Al fine di garantire gli obiettivi di stabilità posti dai richiamati Trattati, il legislatore statale ha posto sistematicamente in essere misure di coordinamento della finanza pubblica, spesso mediante il ricorso alla decretazione d'urgenza, soprattutto a partire dal decreto-legge n. 78 del 2010, il primo di una lunga serie di decreti-legge cosiddetto anticrisi, i quali, costituiscono dapprima l'oggetto dei giudizi di costituzionalità instaurati dalle regioni che impugnano le norme statali di coordinamento, definiti con pronunce di infondatezza, nelle quali la Corte afferma che il legislatore statale può agire direttamente sulla limitazione della spesa delle proprie amministrazioni con norme puntuali e, nel contempo, qualifica le stesse norme come principi di coordinamento della finanza pubblica opponibili al legislatore regionale. Nel contempo, questi stessi decreti-legge diventano poi le fonti da cui sono tratte le norme interposte nei giudizi promossi dallo Stato avverso leggi regionali, che sono spesso definiti con dichiarazioni di incostituzionalità per il superamento dei limiti di spesa in esse contenuti. In una prima fase, però, la giurisprudenza costituzionale precisa che il legislatore statale può stabilire solo limiti complessivi all'entità del disavanzo di parte corrente o alla crescita della spesa corrente degli enti territoriali, in relazione a tetti e Pag. 16limiti generalmente commisurati rispetto all'esercizio finanziario dell'anno precedente, in maniera tale da lasciare alle autonomie ampia libertà di allocazione delle risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa. Ciò nel presupposto che il legislatore non possa fissare vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa, perché così esorbiterebbe dal compito di formulare soltanto i principi di coordinamento della finanza pubblica limitando gli enti territoriali nella loro autonomia (sentt. n. 36 del 2004; n. 417 del 2005; n. 169 del 2007; n. 120 e n. 159 del 2008; n. 237 del 2009). Successivamente, invece, la giurisprudenza costituzionale estende l'ambito del coordinamento finanziario anche a norme necessarie ad assicurare il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica che discendono dai vincoli europei e che possono pertanto tradursi anche in puntuali limitazioni delle singole voci di spesa dei bilanci delle autonomie territoriali, ricavabili dalla legislazione statale (tra le tante, sentt. n. 139 del 2012; n. 236 del 2013; n. 44 del 2014; n. 64 del 2016).
  Tale espansione del coordinamento della finanza pubblica ha consentito, ad esempio, di:

   limitare la spesa corrente delle regioni e degli enti locali, con particolare riferimento alla spesa per il personale (tra le tante, sentt. n. 310 del 2010; n. 68, n. 69, n. 108 e n. 155 del 2011; n. 262 del 2012);

   attribuire carattere vincolante agli accordi sui piani di rientro dal disavanzo in materia sanitaria (ex plurimis, sentt. n. 98 e n. 193 del 2007; n. 52, n. 100 e n. 141 del 2010; n. 163 del 2011; n. 32 del 2012);

   garantire il rispetto della veridicità e dell'attendibilità delle leggi regionali di bilancio, nonché assecondare il processo di armonizzazione dei bilanci (sentt. n. 51 e n. 138 del 2013), sino a quando la materia non è transitata dalla potestà concorrente al titolo di competenza esclusivo dello Stato con la legge cost. n. 1 del 2012 (sent. n. 184 del 2016);

   assicurare il «ridimensionamento» del «peso» degli enti locali sulla finanza pubblica, anche con riguardo alla gestione associata di funzioni degli enti locali e alle «unioni di comuni» (sentt. n. 22 e n. 44 del 2014);

   garantire l'ampliamento dei controlli affiati alla Corte dei conti introdotti sulla generalità degli enti territoriali svolti, anche in forma concomitante all'esercizio finanziario, in relazione ai parametri costituzionali relativi al buon andamento e all'equilibrio di bilancio, distinti dai controlli successivi sulla gestione, in quanto volti a prevenire squilibri di bilancio o danni irreparabili all'equilibrio di bilancio, in relazione agli obiettivi di coordinamento della finanza pubblica (tra le tante, sentt. n. 60 del 2013, n. 39 e n. 40 del 2014);

   ridimensionare la portata delle clausole di salvaguardia in favore delle regioni a statuto speciale, contenute nelle leggi e nei decreti-legge volti a garantire gli obiettivi di coordinamento della finanza pubblica, che escludono l'applicabilità della disciplina a cui si riferiscono se non nelle forme e nei limiti degli statuti speciali e delle norme di attuazione; clausole che possono oramai ritenersi derogabili allorché dalle disposizioni a cui esse si riferiscono si desume l'intento del legislatore di applicare la disciplina stessa alle autonomie speciali (sentt. n. 141 del 2015; 1 e n. 51 del 2016).

  Su questo orientamento della giurisprudenza costituzionale si è poi innestata la legge cost. n. 1 del 2012 sull'equilibrio di bilancio, esteso agli enti territoriali mediante la revisione non soltanto dell'articolo 81 Cost., ma anche dell'articolo 117 Cost., nella parte in cui l'armonizzazione dei bilanci transita dalla competenza ripartita a quella esclusiva dello Stato, e soprattutto per effetto del comma premesso all'articolo 97 Cost., il quale richiama tutte le pubbliche amministrazioni, incluse le autonomie speciali, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, ad assicurare l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico (sentt. n. 60 del 2013 e n. 88 e 188 del 2014). Ciò ha finito per intensificare l'interpretazione finalistica ed espansiva del coordinamento della finanza Pag. 17pubblica, come clausola trasversale nel riparto di competenze tra Stato e regioni, anche mediante la valorizzazione del parametro dell'unità economica della Repubblica (ex plurimis, n. 28, n. 51, n. 79 e n. 104 del 2013). Sicché la giurisprudenza costituzionale, pur affermando che gli effetti «emergenziali» della perdurante crisi economico-finanziaria non possono determinare l'alterazione dell'ordine costituzionale delle competenze (tra le tante, sentt. n. 148 e n. 151 del 2012 e n. 99 del 2014), ha favorito la progressiva espansione del parametro costituzionale in parola, imponendo forti limitazioni di spesa degli enti territoriali (ex plurimis, sentt. n. 169 e n. 179 del 2007; n. 289 del 2008; n. 69 del 2011; n. 139 del 2012; n. 88 del 2014; n. 143 del 2016).
  Gli effetti di questi orientamenti della legislazione e della giurisprudenza costituzionale hanno pesantemente inciso l'autonomia politica degli enti territoriali. Soltanto per dare la dimensione quantitativa delle tendenze della c.d. legislazione della crisi, basti pensare che i «tagli» imposti alle autonomie territoriali dal 2010 ad oggi oscillano tra il 17 e il 20 per cento del risparmio sulla spesa pubblica complessiva, a seconda delle diverse fasi e dell'entità delle manovre, senza tenere conto, per di più, della spesa sanitaria, che assorbe larga parte di quella regionale. Anche quest'ultima, peraltro, è stata recentemente disciplinata in maniera sostanzialmente accentrata, essendo ormai privilegiato il ricorso a fondi con vincolo di destinazione. Quindi, negli anni in cui la crisi mostra il suo volto più aggressivo, agli enti territoriali è addirittura richiesto di conseguire un vero e proprio surplus di bilancio, spesso utilizzato non tanto a fini di spending review, quanto per risanare i conti pubblici: i bilanci degli enti territoriali sono stati destinatari di «tagli lineari» che perseguono finalità opposte al miglioramento della qualità della spesa e all'affinamento delle priorità allocative.
  4. Sul versante delle entrate, le tendenze più recenti esprimono analogo disfavore nei confronti dell'autonomia. Il legislatore e la giurisprudenza costituzionale hanno anzitutto fornito un'interpretazione complessivamente svalutativa dei tributi propri, istituiti dalle regioni con proprie leggi in relazione ai presupposti non già assoggettati ad imposizione erariale, in favore di quella dei tributi propri derivati, istituiti e regolati da legge statale, i quali, pur consentendo margini di manovrabilità nei limiti massimi stabiliti, hanno determinato la prevalenza di elementi di continuità nella legislazione tributaria nel passaggio dall'originario al vigente Titolo V Cost..
  Il consistente contenzioso costituzionale tra Stato e regioni, che si è sviluppato anche in materia tributaria, ha consentito di confermare il novero dei tributi propri derivati, a cui, ad esempio, sono state ricondotte: l'imposta regionale sulle attività produttive (sentt. n. 241, n. 381 del 2004, n. 216 del 2009 e n. 30 del 2012); la tassa automobilistica regionale (sent. n. 196 e n. 297 del 2003, n. 311 del 2003; n. 142 del 2012 e n. 288 del 2012), la tassa speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (sent. n. 335 del 2005), il credito di imposta per imprese datrici di lavoro (sent. n. 123 del 2010), la tassa regionale per il diritto allo studio universitario (ord. n. 98 del 2012). All'opposto, il quadro normativo segna un significativo sottodimensionamento dei tributi propri sotto il profilo non soltanto quantitativo, ma anche qualitativo, incidendo, questi ultimi, sin dai primi tentativi del legislatore regionale, in maniera pressoché irrisoria sull'autonomia dell'ente territoriale (si pensi all'imposta sulla raccolta dei tartufi della Regione Veneto, istituita da una legge regionale del 1988, peraltro successivamente abrogata a causa dell'esiguità dell'introito rispetto ai costi di gestione amministrativa). Né, sotto questo profilo, le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 68 del 2011, in materia di autonomia tributaria regionale, pur prevedendo la trasformazione di alcune forme di prelievo statale in tributi propri regionali, hanno prodotto l'effettivo incremento di tali tributi. Infatti, anche quando, a far data dal 1° gennaio del 2013, si è effettivamente compiuto l'abbandono dei relativi presupposti di imposta da parte dello Stato, sui tributi divenuti a tutti gli effetti propri Pag. 18dell'ente territoriale (tassa per l'abilitazione all'esercizio professionale, imposta regionale sulle concessioni statali dei beni del demanio marittimo, imposta regionale sulle concessioni statali per l'occupazione e l'uso dei beni del patrimonio indisponibile, tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche regionali, tasse sulle concessioni regionali, imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili) è stato comunque consentito allo Stato di legiferare. Emblematico, al riguardo, il caso del tributo da ultimo menzionato, l'imposta sulle emissioni sonore degli aeromobili civili, che non soltanto dal legislatore, ma anche dalla stessa Corte costituzionale era stato qualificato come tributo proprio regionale (sent. n. 18 del 2013), la cui disciplina è stata invece successivamente ricondotta alla potestà statale di coordinamento della finanza pubblica, nonché ad ulteriori titoli di competenza esclusiva dello Stato (sent. n. 13 del 2015).
  5. Discorso a parte meriterebbe l'assetto della finanza delle autonomie speciali, recentemente oggetto di profonde modificazioni per una duplice stagione di accordi: i primi, intercorsi tra lo Stato e le autonomie speciali dell'arco alpino tra il 2009 e il 2010, che, trasfusi in nome di legge, hanno modificato la disciplina statutaria, secondo quanto previsto dagli stessi statuti speciali; i secondi, sottoscritti tra lo Stato e le Regioni ad autonomia differenziata nel 2014, i quali, pur non incidendo sui rispettivi statuti ed avendo una portata prevalentemente transattiva, hanno comunque concorso alla ridefinizione dell'autonomia finanziaria e tributaria delle autonomie speciali, nonché ad assicurare il loro necessario apporto rispetto agli obiettivi di finanza pubblica. Gli accordi in parola hanno garantito, da un lato, un più solido presidio dell'autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni speciali, e, dall'altro, nel corso dell'ultimo biennio, un considerevole effetto deflattivo sul contenzioso costituzionale, perché le autonomie territoriali, mediante questi strumenti, possono trovare l'intesa con lo Stato sul riparto degli oneri finanziari per conseguire gli obiettivi di finanza pubblica, senza «subire» i vincoli posti da norme puntuali di coordinamento o dover attendere le pronunce della Corte.
  Nondimeno, il nodo dell'autonomia finanziaria speciale appare tutt'altro che risolto. Esso chiama anzitutto in gioco il difficile bilanciamento delle garanzie speciali dell'autonomia con gli obblighi costituzionali di solidarietà, imprescindibili nel richiamato contesto complessivo della finanza pubblica. Infatti, la disciplina della finanza e dei tributi delle autonomie speciali, non sempre idonea ad assicurare la corrispondenza tra funzioni e risorse, se per un verso discende dal modello asimmetrico prefigurato dall'articolo 116 Cost., per l'altro sottopone a forte tensione il rapporto tra principio unitario e principio autonomistico (articolo 5 Cost.), nonché le istanze di solidarietà e di eguaglianza (articoli 2 e 3 Cost.), che dovrebbero informare lo statuto costituzionale comune di cittadinanza, come si desume dal più recente orientamento della giurisprudenza costituzionale (sentt. n. 221 del 2013, n. 23 e n. 88 del 2014; n. 19 e 141 del 2015).
  Quanto alle fonti di finanziamento, sebbene le norme statutarie speciali consentano di stabilire tributi propri, gli enti ad ordinamento differenziato non hanno fatto un cospicuo utilizzo della loro capacità impositiva, preferendo il ricorso alle compartecipazioni ai tributi erariali. La prima componente delle entrate corrisponde infatti soltanto al 12 per cento del totale (contro il 25 per cento circa delle regioni a statuto ordinario), mentre le compartecipazioni rappresentano circa il 60 per cento del totale delle entrate delle autonomie speciali (contro il 30 per cento circa del totale delle entrate delle regioni di diritto comune). Permane, inoltre, una certa dipendenza della finanza delle autonomie speciali dai trasferimenti dalle amministrazioni centrali, anche se con diversi gradi di intensità, poco sintonica con il loro statuto costituzionale di autonomia.
  A tutto ciò si aggiungono le specifiche questioni pendenti nel mondo, assai composito e articolato al suo interno, della specialità. Basti pensare alla c.d. «vertenza entrate» tra la Regione Sardegna e lo Stato, come definita dalla Corte costituzionale Pag. 19nella sent. n. 231 del 2008, in ordine ai criteri di calcolo delle compartecipazioni tributarie sulle imposte sui redditi e sull'imposta sul valore aggiunto, che ha fatto seguito al mancato adeguamento del sistema delle entrate regionali alla modifica dell'articolo 8 dello statuto speciale risalente al 2006, e che ha ormai alimentato un cospicuo contenzioso costituzionale (sentt. n. 99 del 2012, n. 118 del 2012 e n. 95 del 2013). O si pensi ancora al recente accordo in materia di finanza e tributi, sottoscritto tra lo Stato e la Regione siciliana, in relazione l'articolo 11 del decreto-legge n. 113 del 2016 in materia di enti locali, che segna il superamento del parallelismo tra funzioni e risorse e il passaggio dal gettito «riscosso» a quello «maturato», così prefigurando un superamento – ancora però ben lungi dal compiersi – del modello statutario, che dovrebbe anzitutto richiedere un più incisivo ricorso alle norme di attuazione.
  Da quanto detto segue che, in estrema sintesi, il processo di attuazione dell'autonomia finanziaria e tributaria delle autonomie speciali, soprattutto nella fase più recente, potrebbe definirsi prevalentemente «difensivo» e non sempre propositivo, contribuendo così al declino di un modello che non sembra più fungere da stimolo all'autonomia.
  6. Provando a tirare le fila degli scenari in atto, occorre osservare che ai progressivi limiti imposti all'indirizzo di spesa degli enti territoriali, corrisponde la tendenza del legislatore statale a utilizzare il loro potere impositivo in contrasto con il principio autonomistico, al fine di fronteggiare gli oneri finanziari che discendono da livelli di governo superiori, e, segnatamente, dalla necessità di conseguire gli obiettivi di governo dei conti pubblici concertati in sede europea. Anche da ciò discende la richiamata difficoltà di assicurare il necessario parallelismo tra funzioni e risorse, come emerge dalle più recenti tendenze della legislazione e della giurisprudenza costituzionale.
  Esemplificativi, al riguardo, i nodi pendenti attorno alla sorte delle province, tanto più dopo il risultato del referendum costituzionale del 4 dicembre scorso. Al riguardo, si registra la tendenza ad attrarre funzioni amministrative di livello intermedio prevalentemente in favore delle regioni. Bisogna però ricordare che le province sono enti di area vasta con legittimazione democratica di secondo grado: è sulla base di questo presupposto che la Corte costituzionale ha potuto dichiarare infondate le questioni sollevate in relazione alla legge n. 56 del 2014 (sent. n. 50 del 2015). Nondimeno, le prevalenti scelte della legislazione regionale di attuazione riforma Delrio sembrano andare nel senso di attrarre a livello regionale larga parte delle funzioni amministrative provinciali (e non soltanto quelle fondamentali). Basti pensare, ad esempio, al già significativo riordino realizzato dalle leggi regionali della Toscana n. 22 del 2015, dell'Umbria n. 10 del 2015, e del Lazio n. 17 del 2015, che esprimono la tendenza ad attrarre a livello regionale l'esercizio di funzioni in materie quali agricoltura, caccia e pesca e formazione professionale.
  Quando, invece, in rari casi, le leggi regionali (come nel caso della legge della Regione Veneto n. 19 del 2015) si sono orientate nel senso di confermare l'assetto delle funzioni provinciali previsto dalla legislazione previgente alla legge n. 56 del 2014 – che è poi quello desumibile dalla legislazione attuativa delle cosiddetto leggi Bassanini – gli enti territoriali hanno subito un ridimensionamento piuttosto cospicuo delle risorse e del personale per lo svolgimento delle funzioni ancora affidate all'ente intermedio per effetto di disposizioni contenute nelle leggi di stabilità per il 2015 e per il 2016. In taluni casi questi tagli sono stati dichiarati incostituzionali, quando disposti da leggi regionali (come nel caso della riduzione degli stanziamenti previsti dalla legge finanziaria del Piemonte per l'anno 2014, dichiarati incostituzionali dalla sent. n. 10 del 2016). Al contrario, quando la riduzione della spesa e del personale delle province è prevista da norme statali, la Corte tende a fare salvi i divieti di spesa e i tagli lineari del personale imposti all'ente intermedio (tra le tante, sentt. n. 159 e n. 176 del 2016), a volte anche con motivazioni Pag. 20 quantomeno discutibili, come quando, ad esempio, con la sentenza n. 143 del 2016, è dichiarata la conformità a Costituzione di questi vincoli di spesa e di queste norme di coordinamento finanziario «in vista della futura soppressione delle province».
  Qualora venisse consolidato, anche il richiamato orientamento della giurisprudenza costituzionale potrebbe rivelarsi un ulteriore incentivo per il legislatore regionale ad attrarre funzioni di ambito provinciale all'amministrazione regionale, perché se le Regioni scelgono di perpetuare l'assetto delle funzioni previgente alla legge Delrio devono poi garantirne il finanziamento. Ciò, però, rischia di pregiudicare l'esercizio di funzioni che, se integralmente governate secondo sussidiarietà e adeguatezza, potrebbero essere invece ricondotte all'ente intermedio.
  7. Negli ultimi due anni, la morsa che ha stretto le autonomie territoriali tra la progressiva espansione del coordinamento della finanza pubblica, da un lato, e il pareggio di bilancio, dall'altro, sembrerebbe attenuarsi alla luce recente tentativo da parte del legislatore e – soprattutto – della giurisprudenza costituzionale, di fornire una rinnovata valorizzazione degli istituti di cooperazione tra Stato e regioni specie mediante il sistema delle Conferenze, come è emerso dai risultati della recente indagine conoscitiva svolta sul tema dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali. Ciò soprattutto per effetto della ricerca delle intese tra Stato e autonomie sugli accordi di riparto delle risorse finanziarie necessarie ad assicurare l'adeguato svolgimento delle funzioni affidate ai diversi livelli territoriali di governo e della già ricordata rinnovata stagione degli accordi tra Stato e autonomie speciali.
  Di quanto detto vi è traccia significativa nella giurisprudenza costituzionale dell'ultimo biennio, almeno sotto due profili. La Corte ha anzitutto tentato di assicurare una dimensione maggiormente cooperativa nel conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, valorizzando sedi e istituti della leale collaborazione tra Stato e regioni. In secondo luogo, il Giudice delle leggi ha perseguito il difficile bilanciamento tra tutela degli equilibri finanziari, da un lato, e garanzia delle autonomie territoriali e dei diritti costituzionali, dall'altro.
  Al primo obiettivo possono essere ricondotte le pronunce che, pur confermando che spetta soltanto al legislatore statale fissare la determinazione del contributo degli enti territoriali, ordinari e speciali, al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica che discendono dagli obblighi europei (sentt. n. 19, n. 65, n. 77, n. 82 e n. 89 del 2015), ha affermato che il legislatore statale deve limitarsi a fissare il quantum del suddetto contributo sotto forma di saldo complessivo che le autonomie speciali devono necessariamente conseguire, ben potendo esse, da un lato, stringere accordi orizzontali per variare l'apporto di ciascuna, purché il saldo complessivo non muti, e, dall'altro, richiedere la riallocazione dei saldi, a seguito di accordi, anche a esercizio finanziario inoltrato (sentt. n. 19 e n. 155 del 2015). Sicché agli obiettivi fissati unilateralmente dallo Stato, funzionali a rispondere agli obblighi richiesti in sede europea, può successivamente corrispondere l'apertura di una trattativa, sul piano interno, ai fini del riparto degli oneri e la verifica della sostenibilità degli obiettivi e degli strumenti finanziari e tributari per realizzarli, in maniera coerente con il paradigma cooperativistico per il quale la leale collaborazione non implica un obbligo di risultato, bensì di metodo. Sulla base di questi presupposti, la Corte è giunta, ad esempio, a significative declaratorie di incostituzionalità di norme statali recanti previsioni attuative e complementari al meccanismo di riserva del maggior gettito dell'imposta municipale propria (IMU), applicabili ai comuni della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, poiché lo Stato non può ritenersi esonerato dall'obbligo di rendere ostensibili e confrontabili i dati necessari per una corretta attuazione del precetto costituzionale, inerente alla salvaguardia delle risorse spettanti all'autonomia speciale (sent. n. 188 del 2016).
  In questa stessa prospettiva, possono richiamarsi le recenti pronunce della Corte volte a tutelare le autonomie territoriali Pag. 21sotto il profilo della necessaria conoscibilità dei dati e delle grandezze finanziarie rappresentate nei rispettivi bilanci secondo principi di trasparenza, il rispetto dei quali consente di verificare il rapporto tra il prelievo tributario locale e il suo impiego, così ribadendo l'imprescindibile nesso tra autonomia finanziaria e principio democratico (sentt. n. 184 e n. 188 del 2016). Si conferma così un significativo spazio riservato alla contabilità delle regioni, anche quando la materia relativa all'armonizzazione dei bilanci è transitata al titolo di competenza esclusiva statale, stante il carattere funzionale del bilancio dell'ente territoriale, quale strumento di rappresentazione e verifica dell'operato dei pubblici amministratori, alla cui mancata approvazione si riconnette il venir meno del consenso della rappresentanza (sent. n. 184 del 2016).
  Una dimensione maggiormente collaborativa e la ricerca di un armonico coordinamento finanziario tra Stato e regioni si esprime anche nelle recenti sentenze che tentano di valorizzare la proporzionalità e la gradualità nelle misure previste dal legislatore statale a fini di coordinamento, tanto più costituzionalmente apprezzabili quando attivabili soltanto in via sussidiaria in caso di mancato conseguimento dell'intesa in sede di Conferenza o di inerzia delle regioni nella riduzione delle spese richieste o a fronte di norme statali di coordinamento puntuale che non assicurano il necessario coinvolgimento delle autonomie imponendo riduzioni di spesa che possono riflettersi sull'erogazione di servizi al cittadino (v., in particolare, sentt. n. 65 e n. 129 del 2016).
  La giurisprudenza costituzionale ribadisce così che, quando la collaborazione è effettivamente perseguita da Stato e regioni rispetto alla definizione degli obiettivi di finanza pubblica e le intese relative al riparto degli oneri finanziari sono condotte secondo il principio di lealtà, vengono pienamente soddisfatte le esigenze collaborative tra i diversi livelli territoriali di governo presupposti dal Titolo V Cost., con l'effetto di deflazionare il contenzioso costituzionale.
  Anche nel difficile bilanciamento tra tutela degli equilibri finanziari e garanzia dei diritti e delle prestazioni fornite dagli enti territoriali la recente giurisprudenza costituzionale sembra fornire qualche significativo spiraglio circa l'affermazione di inderogabili principi di sistema. Si pensi, soltanto a titolo di esempio, alle pregnanti affermazioni circa la necessaria correlazione tra funzioni e risorse affidate all'ente territoriale ai fini della garanzia di determinati servizi (sentt. n. 188 del 2015 e n. 10 del 2016). O, da ultimo, alla significativa declaratoria di incostituzionalità di una legge della regione Abruzzo nella parte in cui disponeva il finanziamento del contributo per lo svolgimento del servizio di trasporto degli studenti portatori di handicap o di situazioni di svantaggio soltanto «nei limiti della disponibilità finanziaria determinata dalle annuali leggi di bilancio e iscritta sul pertinente capitolo di spesa»; osserva infatti la Corte che il legislatore regionale, pur essendosi assunto l'onere di concorrere, al fine di garantire l'attuazione del diritto, alla relativa spesa, ha poi contraddittoriamente adottato una previsione che lasci incerta nell’an e nel quantum la misura della contribuzione, rendendo così aleatoria previsione stessa, che si traduce negativamente sulla possibilità di programmare il servizio e di garantirne l'effettività, in base alle esigenze presenti sul territorio (sent. n. 275 del 2016).
  Nella difficile attuazione del Titolo V Cost. tra legislatore e giurisprudenza costituzionale la progressiva espansione del coordinamento della finanza pubblica palesa le esigenze di contemperamento tra istanze unitarie e principio autonomistico. Quest'ultimo non presuppone tanto che gli enti territoriali debbano conformarsi a principi fondamentali di coordinamento volti a inquadrare i profili sostanziali della loro autonomia politica (finanza e tributi), quanto, piuttosto, che la funzione di coordinamento sia esercitata nel rispetto delle loro attribuzioni originarie costituzionalmente garantite, in un processo di convergenza tra soggetto coordinante e soggetto coordinato verso il conseguimento di obiettivi comuni e condivisi. Pag. 22
  A tali fini dovrebbe essere assicurata una maggiore partecipazione delle autonomie territoriali ai procedimenti legislativi, muovendo anzitutto dall'articolo 5 Cost., che contiene una disposizione poco valorizzata, per la quale la Repubblica «adegua i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento».
  A diritto costituzionale vigente, si potrebbe ripartire dall'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con i rappresentati delle autonomie territoriali, secondo quanto previsto dall'articolo 11 della legge cost. n. 3 del 2001. Ciò consentirebbe di introdurre istituti di cooperazione tra Stato ed enti territoriali non necessariamente deboli, se adeguatamente valorizzati dai regolamenti parlamentari e dai rappresentanti dell'organo di raccordo, perché la norma costituzionale richiamata dispone un significativo aggravamento procedurale nell’iter dei disegni di legge in materia di potestà concorrente e di quelli relativi all'art. 119 Cost., in caso di parere contrario della Commissione stessa, superabile soltanto con un voto a maggioranza assoluta dei componenti dell'Assemblea.
  La soluzione prefigurata potrebbe favorire un primo inserimento degli enti territoriali nei procedimenti legislativi statali che maggiormente incidono in ambiti di competenza regionale, assicurando, in tal modo, la realizzazione di formule cooperative idonee a evitare che la legislazione statale sia prodotta in maniera eteronoma rispetto al necessario confronto con la rappresentanza dei territori. È stato infatti a più riprese dimostrato come lo scarso rendimento della riforma del Titolo V del 2001 sia anzitutto riconducibile alle lacune del testo costituzionale, nella parte in cui non è stata prevista una Camera delle autonomie, nonché alla scarsa valorizzazione di strumenti ulteriori di cooperazione nella formazione delle leggi e nella realizzazione delle politiche pubbliche.
  In questa cornice, entro il grado di omogeneità necessaria nella tutela dei diritti costituzionali, le autonomie potrebbero costituire strumento di sviluppo e stimolo di decisioni responsabili, idonee a fornire un rilevante contributo ai fini della ripresa economica. Se infatti si muove dal presupposto che l'uscita dalla crisi non presupponga un rafforzamento del vincolo di bilancio in sé, quanto piuttosto la necessità di unire al rigore finanziario l'introduzione di misure volte a favorire la crescita economica, mantenere limitazioni di spesa così rigide per gli enti territoriali rischia di impedire che l'attività di investimento sia gestita dalle autonomie, quando, in realtà, è proprio a livello locale che è più facile attrarre investimenti e favorire la ripresa economica.
  Pertanto una maggiore flessibilità potrebbe essere sintonica con i principi della democrazia locale, della sussidiarietà e con le ragioni costituzionali della differenziazione, spezzando il circolo vizioso che negli ultimi anni ha troppo spesso visto imporre vincoli talvolta irragionevoli agli enti territoriali, tagliando non soltanto la spesa improduttiva ma anche quella per i servizi, e incidendo l'autonomia finanziaria e tributaria, spessa utilizzata per fronteggiare oneri finanziari che derivano dai livelli di governo superiori, senza garantire adeguamenti meccanismi di compensazione e di perequazione.