XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 100 di Giovedì 2 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (U.P.P.I.) sull'attuale distribuzione delle risorse nella fiscalità locale, gli effetti sul sistema perequativo e le prospettive di modifica (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Pucci Fabio , Segretario Generale dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (U.P.P.I.) ... 3 
Mochet Jean-Claude , presidente della Commissione Fiscale dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (U.P.P.I.) ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 7 
Zanoni Magda Angela  ... 7 
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 9 
D'Alì Antonio  ... 9 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 9 
Pucci Fabio , Segretario Generale dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (U.P.P.I.) ... 9 
Mochet Jean-Claude , presidente della Commissione Fiscale dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (U.P.P.I.) ... 11  ... 13 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (U.P.P.I.) sull'attuale distribuzione delle risorse nella fiscalità locale, gli effetti sul sistema perequativo e le prospettive di modifica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione, dei rappresentanti dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (U.P.P.I.) sull'attuale distribuzione delle risorse nella fiscalità locale, gli effetti sul sistema perequativo e le prospettive di modifica.
  Sono presenti il dottor Jean-Claude Mochet, presidente della Commissione fiscale, e l'avvocato Fabio Pucci, Segretario generale dell'U.P.P.I. Naturalmente, il contributo che ci aspettiamo dall'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari è sul sistema di tassazione della proprietà immobiliare e i suoi riflessi sul sistema di fiscalità locale, in particolare sulla capacità fiscale.
  Do la parola all'avvocato Pucci per lo svolgimento della relazione.

  FABIO PUCCI, Segretario Generale dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (U.P.P.I.). Signor presidente, sono il segretario generale dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari e le porto anche i saluti del nostro presidente, che è a Torino e non è potuto intervenire.
  Molto brevemente, l'U.P.P.I. è una delle associazioni più antiche sul territorio nazionale e vanta circa cento sedi su tutto il territorio nazionale, con un numero di iscritti intorno ai 500.000. È una delle pochissime sigle che possono vantare il riconoscimento di sindacato a livello nazionale.
  Detto questo, non mi dilungherei oltre e passerei la parola al collega Mochet, perché tecnicamente potrà illustrare il nostro pensiero e anche le nostre preoccupazioni.

  JEAN-CLAUDE MOCHET, presidente della Commissione Fiscale dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (U.P.P.I.). Signor presidente, egregi senatori, egregi onorevoli, il principio che sottende alla riforma fiscale è un principio fondamentalmente economico, che sacrifica alla logica del pareggio di bilancio importanti aspetti costituzionali, quali l'unità della Repubblica, l'organizzazione democratica dell'ordinamento il principio dell'uguaglianza dei cittadini, realizzata attraverso la concreta attuazione dei diritti previsti dalla Carta costituzionale e intesa come la possibilità, per tutti, di prescindere dalla propria condizione originaria e di avere pari possibilità di realizzazione, ovunque ci si trovi a nascere sul territorio dello Stato italiano.
  Il compito di realizzare i diritti costituzionali, affidato storicamente allo Stato nazionale, oggi sta clamorosamente venendo meno, in un'ottica di traslazione delle responsabilità dallo Stato centrale, appunto, agli enti locali, i quali, all'interno di un Pag. 4progetto di federalismo fiscale non ancora ben chiaro, soprattutto nei suoi aspetti applicativi, dovranno totalmente farsi carico, a livello economico, dello svolgimento delle loro funzioni; dovranno occuparsi, tramite i vari fondi perequativi, di colmare le differenze territoriali; dovranno contribuire alla riduzione del debito pubblico e alla realizzazione del risparmio.
  Seguendo una visione squisitamente economica, le regioni virtuose – sia chiaro, virtuose in termini di pareggio di bilancio – saranno premiate e potranno contrattare con lo Stato margini sempre più ampi di autonomia.
  Ciò porterà – non è difficile immaginarlo – ad un sistema regionale non solo estremamente competitivo, con buona pace del valore di solidarietà intra-territoriale che dovrebbe alimentare il concetto di perequazione, ma anche sempre più differenziato, con buona pace dell'idea di unità economica e politica della Repubblica, che si perderà tra le fratture di un vero e proprio mosaico.
  Tale mosaico richiama alla mente il sistema delineato dal progetto europeo: un assemblaggio di economie diverse, a varie velocità, nelle quali le nazioni più svantaggiate sacrificano diritti e servizi in nome di un allineamento economico imposto dalle nazioni più forti.
  Ed è proprio questo il punto: le valutazioni politiche, di cui lo Stato nazionale era portatore un tempo, oggi, con la cessione della sovranità monetaria e, dunque, con la cessione all'Europa della possibilità di decidere le politiche economiche in sua vece, cedono il passo a valutazioni di carattere economico che non guardano più ai cittadini come a portatori di diritti inalienabili, ma come a meri contribuenti.
  È nostra opinione che tale progetto di federalismo fiscale non solo mini l'unità politica della Repubblica, staccando inevitabilmente il Nord dal Sud, ma non garantisca nemmeno l'efficienza economica complessiva del Paese, efficienza che solo strutture unitarie ed economie di scala ben concepite, intrecciate a strutture ed economie regionali omogenee, potrebbero garantire. Tutto ciò all'interno di un contesto istituzionale in cui lo Stato ritorni a decidere della propria economia tenendo principalmente in considerazione il benessere e la ricchezza dei suoi cittadini.
  Assumere come criterio-guida per valutare l'incapacità degli enti locali il criterio economico del pareggio di bilancio rischia di oscurare importanti cause storiche, sociali, territoriali e culturali alla base delle differenze regionali, cause che necessiterebbero, per essere capite e affrontate, di importanti riflessioni politiche.
  Inoltre, ridurre tale complesso intreccio di fattori al solito luogo comune che individua nell'inefficienza degli amministratori locali la causa principale dell'arretratezza di alcuni territori rischia di alimentare acredine tra le regioni virtuose e quelle meno virtuose, soprattutto in sede di distribuzione perequativa orizzontale. Infatti, il concetto di perequazione nasce ispirato a princìpi di equità e giustizia. Noi dell'U.P.P.I. ci chiediamo se i cittadini delle Regioni virtuose considereranno giusto ed equo il trasferimento di soldi a regioni la cui classe politica e amministrativa è percepita come inefficiente.
  Non è poi meno rilevante, dal punto di vista democratico, il fatto che il Parlamento, attraverso la delega al Governo, si sia definitivamente estromesso dai concreti processi di costruzione del federalismo e ci chiediamo se sia realistico pensare di risolvere tutti i problemi che tale costruzione comporta con Commissioni e Conferenze permanenti dotate del solo potere consultivo.
  All'emarginazione del Parlamento si aggiunge l'assoluta mancanza di rappresentanza dei cittadini nel processo di definizione degli elementi costitutivi del federalismo fiscale: tale processo è, infatti, prerogativa di una società per azioni e non di organi che rappresentino, oltre che gli interessi governativi, anche gli interessi della cittadinanza.
  Per sopperire a tale carenza proponiamo che vengano create delle Commissioni, al pari delle Commissioni censuarie istituite per la riforma, in seguito abbandonata, del Catasto. Queste potrebbero vigilare Pag. 5 sulle definizioni proposte dalla SOSE Spa e sulla coerenza dei dati elaborati.
  Tale rappresentanza è tanto più rilevante se consideriamo quanto è stato segnalato dalla relazione approvata il 30 giugno 2016 proprio da questa Commissione parlamentare: il 50 per cento della capacità fiscale media standard dei comuni delle regioni a Statuto ordinario è dovuto alla tassazione immobiliare, nonostante la capacità fiscale sia diminuita dal 2015 al 2016, passando da 30.593 milioni di euro nel 2015 a 30.068 milioni di euro nel 2016, pari alla flessione della TASI dovuta all'esenzione sulle abitazioni principali.
  Questo dato non può non far riflettere sulla necessità di garantire la presenza dei proprietari immobiliari nel processo decisionale, così come quella dei cittadini nel loro complesso.
  A tale proposito, in nessuno degli aspetti che concorrono a formare la riforma vi è traccia di meccanismi che tengano conto del punto di vista della società civile, né l'orientamento generale lascia ben sperare, considerato proprio che questa Commissione, nella medesima relazione sopracitata, quella del 30 giugno 2016, considerando l'imposizione dell'abitazione principale, scrive: «L'esenzione della prima casa non è giustificabile né dal punto di vista dell'imposta come beneficio, né dal punto di vista della capacità contributiva. È una questione giustificabile solo dal punto di vista del consenso politico, ma non ha una base di tipo economico».
  Rigirando la questione, potremmo affermare che non sempre le decisioni che hanno una base di tipo economico sono giustificabili a livello politico-sociale. Ciò che conta è il punto di vista adottato: dal punto di vista dei cittadini, possiamo dire noi dell'U.P.P.I., la prima casa non è solo fonte di reddito, ma è anche considerata un diritto fondamentale dalla nostra Costituzione.
  Per inciso, l'U.P.P.I. ritiene discutibile anche l'appropriatezza economica di un'eccessiva tassazione immobiliare. Proprio in questi anni abbiamo constatato il progressivo aumento di tale imposizione. Le tasse sulla casa a livello locale sono passate, tra il 2011 e il 2016, a 42 miliardi di euro, con un aumento del 160 per cento.
  L'imposizione ha avuto incontestabili ripercussioni negative in molti ambiti: nel mercato immobiliare, nel mercato edile, sulla manutenzione e sulla messa in sicurezza degli immobili. Si pensi solo agli oneri che graveranno e che stanno già gravando sullo Stato per la ricostruzione di interi centri abitati situati in zone sismiche. Tali spese avrebbero potuto essere evitate incentivando la ristrutturazione e la messa in sicurezza degli edifici, anche abbassando la tassazione immobiliare.
  Forse le imposte sulla casa potranno aumentare il gettito fiscale, ma non genereranno ricchezza. Potremmo citare Winston Churchill, che diceva: «Una nazione che si tassi nella speranza di diventare prospera somiglia a un uomo in piedi in un secchio che cerchi di sollevarsi tirando il manico».
  Tornando alla partecipazione della cittadinanza al processo di riforma, prendiamo atto che non è previsto alcuno strumento che rilevi la soddisfazione del cittadino per la qualità dei servizi offerti dalle regioni. Valutare tale soddisfazione ci sembra importante, in quanto lo stesso concetto di livelli essenziali delle prestazioni evoca l'elargizione di un contenuto prestazionale minimo, essenziale appunto, e, inoltre, anche standardizzato. Quindi, è più che mai auspicabile che il cittadino percepisca tale livello come esaustivo rispetto alle sue specifiche esigenze.
  Ci sembra corretto e civile che, a fronte del dovere di contribuzione, il cittadino abbia il diritto di valutare i servizi di cui usufruisce, sia sul piano dell'efficienza economica, sia sul piano del raggiungimento degli obiettivi politici e sociali, in una prospettiva, per gli amministratori locali, di duplice responsabilizzazione, altrimenti, dietro una giustificazione di bilancio si potrebbero nascondere fallimenti politici e sociali inaccettabili in uno Stato moderno.
  Vale la pena, a questo punto, ricordare un dato che apre la strada a un'ulteriore problematica: al finanziamento del Servizio sanitario nazionale sono state sottratte, tra il 2015 e il 2016, risorse per complessivi Pag. 62.352 milioni di euro che provenivano dal totale delle regioni, comprese quelle a Statuto speciale, per consentire loro sia di realizzare il risparmio, sia di contribuire alla riduzione del debito.
  Tali tagli non potranno non ricadere sui servizi sanitari ed è lecito pensare che, vista la generale situazione di crisi, ulteriori tagli dovranno essere pensati in altri settori. Ciò aprirebbe la strada, e di fatto la sta già aprendo, all'iniziativa privata: molte regioni, per tenere sotto controllo le spese e non incorrere negli imprevisti che conseguono alla gestione diretta dell'erogazione delle prestazioni, sceglieranno di esternalizzare i servizi, limitandosi a garantire l'essenziale. Ciò comporterà un costo aggiuntivo per il cittadino, il quale, dopo aver pagato le tasse, dovrà anche pagare il conto che gli presenterà il settore privato.
  Vorremmo, in ultimo, esprimere alcuni dubbi sui concetti operativi della riforma.
  Il concetto di livelli essenziali delle prestazioni non sembra avere molto in comune con il principio di uguaglianza. Questo, infatti, rimanda a un progressivo superamento delle disuguaglianze economiche e sociali. Quello, il livello essenziale delle prestazioni, sembra in grado appena di contenerle. Ci chiediamo se tali livelli essenziali riusciranno a rispondere alle esigenze di una società in evoluzione. Ci chiediamo anche se questi livelli essenziali delle prestazioni riusciranno a recepire bisogni peculiari di determinati territori e a farvi fronte.
  Passando, invece, al concetto di capacità fiscale, ci chiediamo se sia sufficiente a descrivere le varie situazioni di squilibrio presenti nel territorio. Per esempio, ci chiediamo se due cittadini di due regioni diverse, affini per capacità fiscale, godano o godranno della stessa qualità di vita, se abbiano le medesime chance e se usufruiscano, nelle medesime condizioni, di uguali beni e servizi.
  Lo stesso calcolo dell'ammontare dei trasferimenti genera dubbi, perché sembra lontano dal recepire le reali condizioni di vita dei cittadini. Infatti, tale ammontare verrà definito sulla base dei costi standard calcolati a livello nazionale e in relazione alla capacità di rendimento dimostrata dalla regione benchmark, cioè la regione più efficiente, perché dotata di una capacità fiscale tale da finanziare tutte le spese fondamentali, il tutto, se si esclude il settore della sanità, nella totale assenza di definizione dei livelli essenziali delle prestazioni.
  Positiva per noi, come U.P.P.I., è la riforma rivolta a un'utile semplificazione, quella sull'armonizzazione dei bilanci degli enti locali. Tale misura va nella direzione di una progressiva omogeneità degli strumenti contabili, offrendo al legislatore nazionale e agli amministratori la possibilità di leggerli in maniera comparata, accelerando l'individuazione di soluzioni.
  Per concludere, ci pare ragionevole ipotizzare, per il futuro della tassazione locale, la creazione di una service tax, animata dal principio del beneficio che lega assieme, indissolubilmente, la figura del contribuente, quella del fruitore del servizio e quella del soggetto al quale gli amministratori pubblici devono rendere conto. Ciò, si spera, ridurrà l'utilizzo delle imposte legate ai patrimoni.
  Tali imposte, secondo l'ultima edizione del rapporto della Tax Foundation, prestigioso think tank statunitense, «aumentano le distorsioni economiche e hanno effetti di lungo periodo negativi sull'economia e sulla sua produttività». Nello stesso rapporto la Tax Foundation mette in fila i 35 sistemi fiscali dei Paesi OCSE, misurandone la competitività in relazione alle imposte sui patrimoni: in tale graduatoria l'Italia è, purtroppo, penultima.
  Passando alle imposte sulla casa e in relazione al recupero di una maggiore competitività, non possiamo non far osservare che proprio il decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, sul federalismo fiscale municipale aveva introdotto la cedolare secca sugli affitti per le locazioni abitative, riequilibrando la tassazione sulla casa e calmierando il mercato della locazione abitativa.
  Con soddisfazione apprendiamo, dalle notizie di ieri, del gettito della cedolare secca, che ha toccato 1,7 milioni di soggetti i quali hanno indicato in sede di dichiarazione dei redditi l'opzione per la cedolare Pag. 7secca. Ciò comporta un imponibile riferito alla cedolare secca pari a 11,2 miliardi di euro, 21 per cento in più rispetto al 2014, e 2,1 miliardi di euro di gettito incassati dallo Stato nel 2016, 17 per cento in più rispetto al 2015. Nell'ottica dell'emersione del nero credo sia molto importante il trend di crescita, soprattutto nelle regioni meridionali, pari al 26,9 per cento di crescita rispetto all'anno precedente e al 29 per cento nelle isole rispetto al 2014, un incremento decisamente molto importante.
  Oggi l'U.P.P.I. intende richiedere al legislatore l'introduzione della cedolare secca anche per le locazioni ad uso diverso da quello abitativo. Il settore è particolarmente in crisi. Tutte le locazioni riguardanti le attività commerciali, alberghiere, artigianali, già fortemente in crisi a causa della recessione economica, sono ulteriormente penalizzate da una legislazione non più adeguata ai tempi e da un'eccessiva tassazione.
  Sarebbe auspicabile, secondo l'U.P.P.I., introdurre un sistema di cedolare secca anche per tali locazioni, applicando una cedolare fissa pari al 23-25 per cento riservata alle persone fisiche, ad esempio per i canoni di locazione non superiori a 2.500 euro. Ciò consentirebbe di dare una spinta al piccolo commercio calmierando i canoni di locazione e consentirebbe l'emersione del sommerso nelle locazioni commerciali.
  Vi ringraziamo per averci coinvolto.

  PRESIDENTE. Grazie a voi. Come avete visto, anche se non è previsto esplicitamente nel procedimento legislativo, la nostra Commissione crea degli spazi attraverso i quali i cittadini, in modo filtrato e intermediato dalle associazioni, possono presentare il loro punto di vista.
  Chiedo ai colleghi presenti se c'è qualcuno che vuole fare domande o precisazioni. Per rompere il ghiaccio, faccio due osservazioni. La prima è che gli ultimi dati relativi al gettito della cedolare secca ci dovrebbero far riflettere più complessivamente rispetto al fatto che forme di prelievo semplificate e chiare aiutano effettivamente a combattere l'elusione e l'evasione.
  La seconda è una «provocazione» che faccio ai nostri ospiti ed è quella della tassazione della prima casa. In questa Commissione abbiamo audito, ovviamente, tanti soggetti e tanti esperti, che ci hanno spiegato come l'esclusione totale della prima casa in ogni circostanza, anche per dimensioni, classe e via elencando, sia sostanzialmente prevista, oltre che in Italia, in due o tre piccoli Paesi in tutto il mondo. In tutto il mondo la prima casa è tassata, evidentemente differenziando la prima casa fino a un determinato livello di valore e in modo connesso alla dimensione e alle caratteristiche del nucleo familiare, rispetto alla mega villa o al castello.
  Voi vi chiamate – è questa la provocazione – Unione dei Piccoli Proprietari Immobiliari. Volevo capire se i piccoli proprietari immobiliari difendono comunque l'esclusione tout court e per definizione della tassazione sulla prima casa. Questo, ovviamente, vuole essere uno stimolo, una provocazione per tornare su un argomento intorno a cui noi abbiamo girato abbastanza.
  Ho rotto il ghiaccio. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Buongiorno. Ringrazio i nostri ospiti. Devo dire che dovrò leggermi con un po’ di attenzione questa relazione, perché ha portato un contributo sicuramente utile e anche piuttosto controcorrente rispetto a tanti altri contributi che abbiamo ricevuto.
  Vediamo i due o tre problemi più grossi. Quello sulla prima casa è sicuramente uno. Una cosa che noi stiamo chiedendo ormai da tempo, come Commissione, è di rivedere la legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale. Delle due l'una: o si prosegue nella non tassazione della prima casa, come io credo – questo a voi sicuramente farà piacere; io credo che nessuno, nei prossimi anni, politicamente saprà reggere la reintroduzione della prima casa, per dirla in modo molto semplice e persino un po’ brutale; quindi, i cittadini possono stare tranquilli – oppure occorre assolutamente rivedere tutta l'impostazione del federalismo fiscale. Pag. 8
  Personalmente credo che questa sia l'unica vera imposta di tipo federale, perché viene prodotta in loco. I comuni, se vogliono, possono fare il recupero dell'evasione perché hanno tutti gli strumenti per poterlo fare, mentre la partecipazione al recupero dell'evasione dell'IRPEF dei comuni è una cosa di cui si può parlare, ma che tanto non dà alcun gettito. I comuni non hanno in mano alcuna leva per poter fare i controlli di quel tipo, mentre su questo fronte lo possono fare.
  Questa imposta attribuisce il gettito immediatamente ai comuni e, quindi, non si creano problemi di liquidità. È la vera e propria imposta di tipo federale. Al di là del fatto che uno possa essere d'accordo o non d'accordo, c'è un'incongruenza fra quello che si fa e quello che dice la legge. Quindi, bisogna fare sicuramente un ripensamento.
  Da questo punto di vista, mi par di capire che ci sia contrarietà da parte dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari – vorrei averne conferma – nei confronti, in generale, del federalismo. Mi pare di capire che un po’ tutta la relazione – poi la rileggerò con più attenzione – sia contraria alla competizione fra enti. C'è anche una teoria in Italia, abbastanza seguita dal professor Giorgio Brosio titolare della cattedra di economia pubblica presso l'università di Torino, sulla competitività degli enti, che garantisce livelli di servizi più alti e costi più bassi.
  Sulla vigilanza sulla SOSE non potete che trovarmi concorde. Questa Commissione ha più volte richiamato il fatto che la SOSE svolge un compito di tipo molto tecnico. Lo svolge anche bene, con grande capacità, ma è sicuramente un compito tecnico. Ma è necessaria anche una valutazione politica sui risultati e sulle politiche che vengono messe in atto.
  Da questo punto di vista non condivido molti dei dati che avete portato, perché, secondo me, alcuni sono vecchi. La relazione fa riferimento a dati dal 2011 al 2014. Negli ultimi due o tre anni le cose sono profondamente cambiate nei confronti degli enti locali e dei servizi.
  Per quanto riguarda il Servizio sanitario nazionale, che mi pare un tema non proprio pertinente per l'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari – comunque, accogliamo, ovviamente, tutte le osservazioni – mi pare che tutto il lavoro svolto sui livelli essenziali di assistenza sia un lavoro estremamente importante, che ha dato grandi risultati. Sono stati, tra l'altro, appena ridefiniti i livelli essenziali di assistenza, anche con riferimento ai presìdi sanitari, che credo sia davvero un fiore all'occhiello dell'Italia.
  Se guardiamo al dibattito che in questo momento c'è in America su questi aspetti, non possiamo non valutare positivamente le modalità di erogazione dei servizi sanitari in Europa. All'interno dell'Europa l'Italia eroga prestazioni di alta qualità. Abbiamo alcuni problemi di malasanità, ma questo è un problema della giustizia, non dell'organizzazione dei servizi e comunque si tratta di casi.
  Mi fa piacere, perché è una cosa che di solito non viene notata da nessuno, che sia stata rilevata l'importanza del lavoro fatto in questi anni sull'armonizzazione dei bilanci locali. Credo che questo sia importante, perché per i comuni, ma anche per le regioni e tutti i livelli, ha voluto dire davvero tanto lavoro e ci ha portato in Europa.
  Chiudo con un'ultima osservazione. Mi ha abbastanza stupito tutto questo «livore» nei confronti del pareggio di bilancio. Io lo trovo, invece, una cosa naturale e ovvia. In qualunque famiglia – l'Italia può essere considerata una famiglia grande – non si può fare a meno di pensare al pareggio di bilancio. Poi si può transitoriamente spendere di più. Si fa un mutuo, che però deve essere pagato.
  In qualunque famiglia il pareggio di bilancio è la normalità, anzi, mi stupisco che se ne debba parlare. È ovvio che i bilanci debbano essere in pareggio ed è ovvio che lo Stato controlli che in tutti gli enti ci sia il pareggio di bilancio, ma questo è a tutela dei cittadini. È veramente a tutela dei cittadini.
  Quindi, mi stupisco un po’. Quello delle risorse erogate mi sembra un concetto che appartiene ancora di più a chi ha delle Pag. 9proprietà e a chi ha una funzione imprenditoriale, che dovrebbe averlo connaturato. Torno a ripetere, mi rileggerò con calma la relazione, perché alcune cose mi hanno piuttosto stupita.

  GIOVANNI PAGLIA. Rispetto alla questione del giudizio positivo sull'esenzione della prima casa dall'imposta immobiliare osservo solo che questa – lo si ammetterà – crea un forte effetto distorsivo all'interno di un'imposta patrimoniale, un effetto distorsivo e anche potenzialmente problematico sotto il profilo dell'equità. Si esclude un pezzo del patrimonio non in virtù del suo valore, ma in virtù della sua funzione d'uso, lo si fa in modo uguale per tutti e si tassa poi, invece, in modo molto forte il patrimonio dalla seconda casa in su, anche in questo caso, di fatto, pesando molto di più in proporzione su chi abbia due immobili piccoli e di scarso valore, piuttosto che su chi abbia, invece, un unico immobile di grandissimo valore. Dal mio punto di vista, la prima casa, anche con una franchigia, in quanto elemento facente parte del patrimonio della famiglia, dovrebbe rientrare all'interno dell'imposta.
  Detto questo, quello che volevo chiedervi è di chiarire se escludete la prima casa dalla base imponibile. A un certo punto, infatti, lei dice che andrebbe bene introdurre una service tax, ma mi chiedevo quale base imponibile pensiate di utilizzare per una service tax, se escludete la possibilità di tassare anche la prima casa.

  ANTONIO D'ALÌ. Volevo chiedere alcune impressioni. Sulla riforma del catasto il vostro osservatorio che quadro ci dà in questo momento, ci sono delle proposte? Mi pare che sia una questione un po’ al palo. Sono stati fatti alcuni esperimenti, ma tutti hanno comportato la non osservanza del mantenimento dello stesso livello di imposizione, almeno stando ai dati delle rilevazioni in nostro possesso.
  Le perplessità che voi avete espresso sui meccanismi di federalismo fiscale sicuramente possono anche essere meglio sviluppate. Comunque, con riferimento al concetto che avete espresso dell'impossibilità per il cittadino di vigilare su questo tipo di tassazione, mi permetto di osservare che questo ha a sua disposizione lo strumento del rinnovo delle Istituzioni. Quindi, può esprimere periodicamente, e molto spesso anche in maniera anticipata rispetto alle scadenze naturali, il suo parere su questo tema.
  Ho una domanda specifica. Come Unione Piccoli Proprietari, vi occupate anche del settore agricolo? Avete una sezione dedicata al settore agricolo? Se è così, vorrei capire se avevate osservato, in relazione all'abolizione della tassazione IMU solamente per i coltivatori diretti iscritti all'INPS e gli imprenditori agricoli professionali, una certa distorsione penalizzante proprio nei confronti dei piccoli proprietari, che molto spesso non sono riconducibili alla categoria degli imprenditori agricoli professionali. Sono rimasti fortemente penalizzati, secondo me, in maniera più ingiusta di quanto non lo siano stati, invece, gli imprenditori agricoli professionali che hanno un bilancio aziendale d'impresa e, quindi, hanno una motivazione in più per iscrivere un'eventuale imposta a bilancio rispetto a chi questo non può farlo e, quindi, rimane penalizzato.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  FABIO PUCCI, Segretario Generale dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (U.P.P.I.). Provo a fornire prima una risposta – sono forse il meno competente su questo tema dal punto di vista fiscale – a livello forse più politico-sindacale, perché il collega è l'autore della relazione e si assumerà la responsabilità di quanto ha scritto.
  Detto questo, cercherei di fare un chiarimento e di dividere e isolare il tema «prima casa-consenso». Dice bene il senatore: noi abbiamo un'arma per chi rappresentiamo, perché, a un certo punto, possiamo sostenere un programma di una forza politica che prevede «fino alla morte» l'impossibilità di reintrodurre la tassa sulla prima casa, che è un problema di carattere elettorale in quanto riguarda i piccoli proprietari. Noi siamo una cassa di risonanza, Pag. 10siamo tecnici fino a un dato punto, ma abbiamo il contatto con quella che viene chiamata volgarmente «la base».
  Culturalmente, il fatto della prima casa è probabilmente un concetto che non riguarda tante altre nazioni ricche e opulente. Noi abbiamo avuto sempre e comunque il concetto che la prima casa fa parte della famiglia e su questo concetto si è sviluppato un patrimonio immobiliare che gli altri Paesi non hanno e non avranno mai.
  Non faccio un riferimento alla Costituzione, perché si tratta di un concetto tecnico. Faccio riferimento a un concetto più sociale, più umanitario. La piccola proprietà immobiliare rappresenta quella parte di Italia che si è fatta garante di una situazione che non riguarda solamente la famiglia di origine: «mi compro la casa, vivo in questa casa e morirò in questa casa». Il problema è anche un altro, ossia che questa forza sociale è quella che ha creato e ha dato la possibilità, da settant'anni a questa parte, di fornire un'abitazione anche a famiglie che non hanno avuto la possibilità dal punto di vista economico, perché non aiutate nemmeno dallo Stato, di avere una casa in cui abitare.
  È su questo concetto che si è sviluppata la proprietà immobiliare. Non facciamo distinzioni banali sulle ville. Le ville sono già fuori, non riguardano l'IMU. Noi parliamo delle abitazioni. Non possiamo pensare di tutelare un'abitazione di 200 o 300 metri quadrati, ma questo è già previsto tecnicamente.
  Il problema sociale è quello di difendere la prima casa, e noi lo faremo «fino alla morte», perché riteniamo che questo concetto non possa essere cancellato da chi non vive in questo Paese, ma vive in un altro Paese, con altre regole e con altre situazioni. Stiamo cercando di mettere insieme – mi permetto di usare un termine abusato – quest'accozzaglia di Paesi senza riuscirci, perché ognuno ha le sue regole. Non possono gli altri dirci o imporci delle regole, non conoscendo il nostro retroterra. Non lo conoscono, non lo sanno. Non possiamo noi paragonare in modo freddo la legislazione francese – sempre sulla casa, naturalmente – o la legislazione tedesca con quella italiana. Non c'entrano nulla. Sono situazioni completamente diverse, che lo Stato deve tutelare.
  Non è calzante il discorso sulle automobili. L'ho sentito in un convegno: tutti pagano il bollo sull'automobile. Che vuol dire? Io all'automobile posso anche rinunciare. Prendo la metropolitana. Alla casa non posso rinunciare. Non posso andare ad abitare sotto il ponte. Quindi, il contributo che lo Stato deve dare e che deve riconoscere a chi ha fatto un sacrificio per comprarsi la prima casa, non, naturalmente, a chi si può permettere la villa, deve essere un fiore all'occhiello dell'Italia, una protezione.
  Probabilmente non è stato capito il rinvio alla sanità. È chiaro che siamo, forse, il primo Paese nella graduatoria dei servizi sanitari e che tutti ci hanno copiato, ma ci è costato e ci costa ancora. Va benissimo, figuriamoci se noi diciamo che deve essere abolito il Servizio sanitario nazionale. Forse, però, deve essere regolato un po’ meglio. Forse tutta una serie di situazioni possono essere riviste. Non parlo degli scandali che vengono fuori, della gente che non va a lavorare all'ospedale, dei macchinari che vengono comprati e non vengono usati. Il principio è sano e, se quel principio è sano e socialmente tutelabile, io non sono contrario, perché è giusto che sia così. Tutti devono avere una giusta possibilità di cura.
  Io ho vissuto per tre-quattro-cinque mesi una situazione mia particolare. Non funziona niente. Ve lo dico non perché ne sono testimone, ma perché ho partecipato a questa vicenda. Se uno va a chiedere una cosa, al di là della scortesia che si può trovare, non funziona niente. Tanto per dire – poi chiudo, altrimenti cado in una polemica sterile che non mi appartiene e non ci appartiene, come sindacato – è possibile che, nel 2017, un verbale di un direttore sanitario, che può essere scannerizzato (credo che questo sia il termine giusto) e con un clic può essere inviato in cinque secondi, ci metta un mese e mezzo? Questo è possibile? Non è possibile. Il cittadino chiede efficienza. Chiudo, perché sto esulando dal problema. Pag. 11
  È giusto quello che la senatrice dice, vale a dire che è una situazione per la quale siamo il terzo Paese al mondo. Non va bene. Questo ragionamento non va bene. Non va bene la ricerca del consenso e non va bene che ci sia una specie di ricatto da parte dell'elettore nei confronti del partito che dice no. Deve essere, secondo me, un principio socialmente tutelato dai rappresentanti del nostro Parlamento.
  Ci sarebbero tante altre risposte, ma forse mi sto dilungando troppo. Cedo la parola al collega Mochet, che è il nostro tecnico e autore di questa relazione.

  JEAN-CLAUDE MOCHET, presidente della Commissione Fiscale dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (U.P.P.I.). Cercherò di rispondere alle numerose domande che sono state fatte.
  Con riguardo alla tassazione sulla prima casa, in questi anni abbiamo vissuto un momento molto particolare, perché sono state introdotte l'IMU e la TASI. In definitiva, c'è stato un cambiamento, perché la TASI avrebbe dovuto essere una tassazione più sui servizi comunali, con la massima partecipazione (coinvolgendo anche gli inquilini) e una base imponibile differente. Oggi è diventata una duplicazione dell'IMU. Oggi, infatti, l'IMU e la TASI sono la stessa cosa. Si tassa la stessa cosa con due imposte diverse. Questo non può essere assolutamente accettato da parte del contribuente.
  Come diceva prima il segretario, non tutte le prime case – dovremmo parlare di abitazione principale – sono assoggettate all'IMU e alla TASI. Alcune sono esentate dall'IMU e dalla TASI. Gli immobili di lusso sono tra quelli che continuano ad essere assoggettate ad entrambe, giustamente, anche secondo l'U.P.P.I. Poi si può ragionare sul criterio di individuazione degli immobili di lusso.
  Cosa sono gli immobili di lusso? Non c'è solo il criterio dell'accatastamento in A1. Ci sono immobili che sono accatastati in D1, ma che sono, effettivamente, immobili di lusso, così come ci sono immobili che sono accatastati in A1, ma che non rispettano più la caratteristica di lusso. Sicuramente una differenziazione sull'abitazione principale normale e quella di lusso è giusto che venga mantenuta. Non ripeto quanto detto su cosa gli italiani pensano riguardo al ruolo della casa.
  Faccio dei salti da un argomento all'altro. Dove si può andare a colpire? Con riferimento alla tassazione comunale ricordo l'addizionale comunale. L'addizionale comunale non è mai stata molto applicata in tutta Italia. Ci sono dei comuni che ne hanno fatto uso, ma la maggior parte dei comuni non la utilizza. È sicuramente un criterio che va a colpire, in linea con l'articolo 53 della Costituzione, i redditi più alti.
  Noi non consideriamo ciò come una cosa negativa, in quanto si può sostituire alla tassazione sul patrimonio. Oggi le imposte che gravano sugli immobili sono, per la maggior parte, imposte di natura indiretta. Abbiamo visto che, ormai, sono le imposte indirette a generare la stragrande maggioranza del gettito derivante dalla tassazione della casa e della proprietà immobiliare. In realtà, l'addizionale comunale può essere uno strumento che noi riteniamo più equo e più corretto in termini di politica impositiva da portare avanti.
  Per quanto riguarda il federalismo fiscale, la senatrice dice che bisogna rivedere la legge n. 42 del 2009. Personalmente non sono contrario a questa impostazione. Io sono stato tra i primi che, col presidente La Loggia, hanno fatto diversi convegni in Italia sull'argomento. Era il 2011, però. Oggi siamo nel 2017 e, ahimè, sono cambiate le situazioni. È cambiata la congiuntura economica. Sono cambiate le regole imposte dall'Unione europea. Oggi siamo in un mondo diverso da quello del 2011. Nel 2011 questa legge era sicuramente più coerente con il periodo. Oggi viviamo in un mondo totalmente diverso. Concordo con la senatrice: bisogna rivedere la legge e adattarla alla realtà di oggi.
  Cos'è che noi vediamo di negativo di questa riforma? È il concetto puramente economico. Quando parliamo di livelli essenziali di prestazioni, non si può pensare solo al punto di vista economico, al punto di vista del bilancio. Ci sono dei servizi troppo importanti, che vengono erogati in Pag. 12questo momento nelle varie regioni in maniera diversa. Sicuramente bisogna fare un lavoro di indirizzo politico in questo campo.
  Ci deve essere, secondo noi, una regia dello Stato. Non possiamo lasciarla alle singole regioni, altrimenti si creano delle grosse disparità e chi poi viene penalizzato è l'utente, il cittadino, che, per lo stesso servizio, in una regione ha determinati livelli di erogazione e, in altre regioni, ha livelli diversi. Facciamo attenzione, perché questa indicazione puramente economica crea grandi problematiche.
  Il discorso sulla sanità che lei ha segnalato – l'ho riguardato – non voleva essere assolutamente una considerazione negativa nei confronti del sistema sanitario. Oggi in sanità abbiamo i livelli essenziali di assistenza e i costi standard. Noi giudichiamo questo positivamente, ma nell'ambito della riforma mancano, per esempio, i costi standard su altri servizi. Abbiamo quelli della sanità, ben vengano, ma per tutti gli altri servizi che sono collegati alla riforma del federalismo fiscale non abbiamo alcun elemento, oggi, per poterne individuare i costi. Manca ancora tanto da fare. Non abbiamo elementi. Anche dalle relazioni della Commissione bicamerale non emergono gli elementi necessari ad individuare i costi standard di determinati servizi.
  Sul discorso della vigilanza sull'operato della SOSE sono contento che la senatrice sia d'accordo.
  Quanto al discorso della mancanza di dati aggiornati, noi utilizziamo i dati che ci vengono forniti. Immagino che voi possiate avere dei dati più attendibili e aggiornati.
  Quanto alla tassazione, è stato citato il dato dell'incremento del gettito dal 2011 al 2014, ma, a parte il gettito relativo alla TASI, che si è ridotto, il resto del gettito della tassazione locale sulla casa oggi è sempre in linea con il dato di 40 miliardi. Anche se abbiamo citato i dati del 2014, non mi risulta che il gettito relativo al 2015 sia molto inferiore a quello del 2016. Siamo in linea con il gettito degli anni precedenti.
  Ben venga, invece, il risultato del gettito della cedolare secca. Credo che conforti molto il legislatore. Quando nel 2011 questa stessa Commissione se ne occupò, voi siete stati i precursori. Vi siete assunti anche dei rischi, io lo so per certo, e avete portato avanti una grande riforma. Del decreto legislativo n. 23 del 2011, sul federalismo fiscale municipale, i cittadini ricordano la cedolare secca. Si ricordano quello, perché tutto il resto è ancora un po’ in fase embrionale. Non tutto, ma molte cose sono rimaste ancora in fase embrionale.
  Quella è stata una grande vittoria e una grande conquista per il nostro Paese, perché è una tassazione che dà allo Stato certezza di gettito, ma dà certezza anche al cittadino, che sa quanto gli costa l'imposizione. Il cittadino vuole sapere, vuole certezza. Vuole semplificazione e vuole una tassazione regolare negli anni, non un anno l'IMU, che poi viene tolta, un anno la TASI, che poi viene tolta, e adesso c'è quest'altro spauracchio. Il cittadino oggi ha paura del ritorno alla tassazione sulla prima casa. Basti vedere le raccomandazioni dell'Unione europea, che in qualche modo stanno spingendo l'Italia per il ritorno a tale imposizione fiscale.
  Siamo persone serie e capiamo che un gettito di più di 4 miliardi di euro dalla tassazione della prima casa cambia le cose. Questa riforma, però, è stata pensata nel 2011 ed era stato quantificato quel gettito. Ecco perché dico che c'è un grosso lavoro da fare. Questa riforma è sempre stata giudicata dall'U.P.P.I. positivamente. Nei convegni del 2011 noi esprimevamo un giudizio molto positivo su questa riforma, ma eravamo nel 2011 e i comuni incassavano il gettito della tassazione della prima casa. Oggi non l'hanno più e bisogna rivedere le cose, perché, secondo noi, è venuto meno uno dei pilastri della capacità fiscale dei comuni.
  Passo alle altre risposte. Sull'armonizzazione sono contento. Per quanto riguarda il pareggio di bilancio, l'U.P.P.I. non è assolutamente contraria, perché non lo si può essere. Al pareggio di bilancio non siamo contrari ed è giusto che i comuni lo rispettino, perché poi, se si producono dissesti comunali, qualcuno li deve ripianare. Non possono fallire i comuni. Giustamente crea anche problemi sociali dover pagare per gli altri, perché oggi c'è una forte Pag. 13competizione, ma non tra i comuni. C'è una forte competizione tra le cittadinanze diverse, tra la popolazione. Noi vediamo questo e diamo un alert, un allarme.
  Parlando con i nostri iscritti in tutta Italia, vogliamo portare all'attenzione di questa Commissione le problematiche emerse. Il proprietario di casa che sta al Nord ha gli stessi diritti del proprietario che sta al Sud. Si può trovare una soluzione tutti insieme. Dobbiamo fare attenzione, in un'ottica di federalismo fiscale corretto, che rispecchia i principi del 2011, che noi condividiamo, perché oggi il sistema è venuto meno. Oggi il sistema contabile di tipo privatistico ha ampliato il suo spazio. Non possiamo limitarci solo al problema del pareggio di bilancio, quando, in realtà, è stata introdotta la possibilità del fallimento i degli amministratori.
  Non si può dire che un amministratore non abbia amministrato bene perché non ha raggiunto il pareggio del bilancio. Oggi sentiamo dire questo. Il pareggio di bilancio non può essere la scusa di tutto. La buona amministrazione deve prescindere dal pareggio del bilancio.
  Noi volevamo portare questo problema alla vostra attenzione. Molto spesso sentiamo amministratori che dicono: «Dobbiamo aumentare l'IMU. Non vogliamo aumentare l'IMU, ma dobbiamo farlo. Siamo costretti, altrimenti non chiudiamo i bilanci in pareggio». Questo non crediamo sia corretto.

  JEAN-CLAUDE MOCHET, presidente della Commissione Fiscale dell'Unione Piccoli Proprietari Immobiliari (U.P.P.I.). Con riferimento ai servizi comunali, alcuni comuni hanno aumentato le tariffe di asili nido e via elencando.
  Continuando con le altre domande, rispondo al senatore D'Alì sulla riforma del catasto. Come U.P.P.I., siamo stati subito coinvolti dal Parlamento per la riforma del catasto. Non siamo mai stati contrari e l'abbiamo sempre detto. Abbiamo sempre partecipato e siamo stati tra quelli che hanno chiesto alla Commissione competente, la Commissione finanze del Senato, per esempio, di rivedere il discorso della composizione censuaria. La Commissione ci ha ascoltato, in quanto rappresentanti dei cittadini. È stata fatta la modifica chiesta ed è stata accolta la nostra osservazione.
  Questo, però – attenzione – a invarianza di gettito. Perché è fallita la riforma del catasto? È molto semplice, e lei l'ha detto chiaramente: non è stata rispettata la volontà del Parlamento. La legge delega prevedeva l'invarianza di gettito, che noi abbiamo sempre sostenuto non poter essere possibile. Noi l'abbiamo sempre sostenuto. Da parte dell'Agenzia delle entrate ci venivano date ampie rassicurazioni che non era vero. In realtà, poi, come anche il Governo ha detto, non è stato possibile assicurare l'invarianza di gettito.
  Quindi, perché la riforma ha fallito? Per questo motivo, perché non si è stata rispettata l'invarianza di gettito. La riforma del catasto è importante e va fatta in Italia, perché la riforma del catasto è positiva laddove cancella le storture di accatastamenti sbagliati e perché l'attuale struttura è obsoleta. È sicuramente molto impopolare una riforma del catasto, ma credo che in un Paese serio sia importante mettere mano a una riforma, pensata però veramente a invarianza di gettito, senza mettere le mani nelle tasche del proprietario di casa, perché, se si farà quello, non si potrà mai fare nessuna vera riforma. Sicuramente occorre rivedere il sistema catastale italiano e renderlo più adatto ai nostri tempi.
  Quanto al settore agricolo, noi non ci occupiamo di settore agricolo, se non marginalmente. Crediamo che le novità legislative che l'hanno riguardato nell'ultima legge di bilancio possano essere più che positive. Vanno anche nella direzione della semplificazione. Direi che dal nostro piccolo osservatorio abbiamo percepito un buon interesse per l'esenzione di cui lei parlava.
  Sulla partecipazione dei comuni condivido assolutamente quanto detto dai parlamentari intervenuti. I comuni non hanno neanche le strutture per poter fare quello che, in realtà, avrebbero dovuto fare nell'ottica del federalismo fiscale, cioè recuperare maggior gettito con il contrasto all'evasione e con la normativa premiale che Pag. 14era stata prevista. Abbiamo visto che questo è stato un vero fallimento, ma i comuni dicono di non avere le risorse.
  Con riguardo alla tassazione locale, in territori piccoli e comuni piccoli non è sempre facile e soprattutto i comuni si giustificano molto spesso con l'insufficienza del personale e con le complicazioni normative. Sicuramente pensiamo che le tasse vadano pagate e vadano pagate correttamente, ragion per cui è giusto che i comuni si attrezzino per recuperare l'evasione. Crediamo assolutamente che sia necessario potenziare questa forma di recupero.

  PRESIDENTE. Grazie del vostro contributo. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.