XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 88 di Giovedì 10 novembre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del Direttore generale dell'Agenzia per la coesione territoriale, Maria Ludovica Agrò, sui trasferimenti finanziari ai sensi dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, e sui conti pubblici territoriali (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione) :
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 ,
Agrò Maria Ludovica , Direttore generale dell'Agenzia per la coesione territoriale ... 3 6 ,
Volpe Mariella , Coordinatore del settore sistema dei conti pubblici territoriali. Analisi e monitoraggio degli investimenti pubblici del Nucleo verifica e controllo (NUVEC) ... 7 ,
Agrò Maria Ludovica , Direttore generale dell'Agenzia per la coesione territoriale ... 8 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 8 ,
Guerra Maria Cecilia  ... 8 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 9 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 9 ,
Agrò Maria Ludovica , Direttore generale dell'Agenzia per la coesione territoriale ... 9 ,
Volpe Mariella , Coordinatore del settore sistema dei conti pubblici territoriali. Analisi e monitoraggio degli investimenti pubblici del Nucleo verifica e controllo (NUVEC) ... 10 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 11 ,
Guerra Maria Cecilia  ... 11 ,
Volpe Mariella , Coordinatore del settore sistema dei conti pubblici territoriali. Analisi e monitoraggio degli investimenti pubblici del Nucleo verifica e controllo (NUVEC) ... 11 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 11 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dal Direttore dell'Agenzia per la coesione territoriale, Maria Ludovica Agrò ... 12

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Direttore generale dell'Agenzia per la coesione territoriale, Maria Ludovica Agrò, sui trasferimenti finanziari ai sensi dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, e sui conti pubblici territoriali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Direttore generale dell'Agenzia per la coesione territoriale, Maria Ludovica Agrò, sui trasferimenti finanziari ai sensi dell'articolo 119, quinto comma, della Costituzione, e sui conti pubblici territoriali.
  Ringrazio per la disponibilità la dottoressa Agrò, che è accompagnata dalla dottoressa Mariella Volpe, coordinatore del settore sistema dei conti pubblici territoriali. Analisi e monitoraggio degli investimenti pubblici del Nucleo verifica e controllo (NUVEC).
  Do la parola alla direttrice Maria Ludovica Agrò per lo svolgimento della sua relazione.

  MARIA LUDOVICA AGRÒ, Direttore generale dell'Agenzia per la coesione territoriale. Grazie, presidente.
  L'Agenzia per la coesione territoriale, di cui sono direttore generale, è un ente di nuova istituzione. Infatti, è stata istituita con il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 ed è diventata operativa il 20 dicembre 2014, quindi sono poco meno di due anni che è in attività.
  L'istituzione di questa Agenzia segna in modo marcato il cambio di governance sulle politiche di coesione dell'Italia, perché crea un focus molto forte sull'attuazione di queste politiche.
  Segnatamente nasce dalle criticità che sono state per lungo tempo sottolineate sull'utilizzo dei fondi strutturali. Avendo questi fondi una programmazione molto precisa e coerente, si finiva per focalizzarsi molto sulla rendicontazione di questi fondi all'Unione europea, mentre venivano saltati totalmente l'attenzione e l'accompagnamento sull'attuazione e sulla progettazione, cioè su quello che questi fondi avrebbero dovuto produrre. Questi fondi hanno prodotto sicuramente molti risultati, però utilizzarli è stato sempre molto affannoso, anche perché si era concentrati unicamente sull'assorbimento della spesa.
  L'Agenzia nasce da queste esigenze e incorpora dalla divisione dell'ex Dipartimento delle politiche di sviluppo e coesione, che teneva insieme tutta la programmazione, una parte del nucleo che allora operava, che era appunto il nucleo di valutazione e verifica, e il sistema dei conti pubblici territoriali.
  È, quindi, dotata di un nucleo che dipende dal direttore generale, ma è a sé rispetto all'organizzazione dell'Agenzia, che è costituito da una parte che fa accompagnamento, da una parte che fa verifiche, audit, e da una parte che si occupa di conti pubblici territoriali. Pag. 4
  Tutto questo sistema dei conti pubblici territoriali, di cui la dottoressa Mariella Volpe è la creatrice, avendolo implementato a partire dagli anni 2000, è passato nel patrimonio dell'Agenzia.
  So che presso questa Commissione il focus è sul comma 5 dell'articolo 119. Questo comma, come sapete, parla delle politiche aggiuntive. L'articolo in generale parla della perequazione che può essere data ai territori in due modi diversi, attraverso il comma 3, di cui l'Agenzia non si occupa ma che i dati, invece, indagano (dopo vedremo come), e attraverso il comma 5, che è quello relativo alle politiche aggiuntive.
  Le politiche aggiuntive sono rimaste molto ancorate agli indirizzi della politica fatta dalle amministrazioni centrali e dal Governo. C'è un grande potere centrale anche sulle politiche di coesione, che si è forse accentuato con questa nuova governance, dove il Dipartimento per le politiche di coesione è incardinato alla Presidenza del Consiglio, mentre l'Agenzia è un ente autonomo che è concentrato sull'attuazione.
  È chiaro che le regioni e, in questa stagione, le città sono titolari di risorse importanti delle politiche di coesione, negoziate anche direttamente con Bruxelles, però per il tramite di un accordo di partenariato – parlo in particolare dei fondi strutturali – che è negoziato dallo Stato e che indica le linee e gli indirizzi per gli investimenti, gli obiettivi strategici e i risultati attesi da conseguire soprattutto con gli investimenti strutturali.
  Oltre ai fondi strutturali, ci occupiamo anche, sempre nell'ottica dell'attuazione, del Fondo sviluppo e coesione, ex Fondo delle aree sottoutilizzate (FAS), creato nel 1997. Da quando l'Agenzia è nata, crea una forte sinergia fra l'utilizzo delle risorse nazionali aggiuntive e quello delle risorse comunitarie aggiuntive.
  Io vorrei fare un punto proprio sulla spesa ordinaria, sulle risorse aggiuntive e su come dal nostro sistema dei conti pubblici territoriali risulta attuato il federalismo fiscale. Da contatti informali abbiamo saputo che vi può interessare anche quello che si è fatto sui costi standard. Su questo, però, passerei la parola alla dottoressa Volpe, che ha fatto anche parte della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF) e che, quindi, meglio di me può aiutare a comprendere cosa emerge da questa banca dati.
  Teniamo presente che dalla banca dati dei conti pubblici territoriali, che è stata ricostruita con una disponibilità di dati a partire dal 1996, possono essere tratte molte informazioni, che sono articolabili per anno, categoria economica, settori d'intervento, soggetti finali di spesa e livelli di governo.
  Questa banca dati rileva sia dall'universo della pubblica amministrazione sia dal settore pubblico allargato e al tempo stesso ha una grande flessibilità e una grande capacità di incrociare il dato territoriale con ogni altra informazione. Di conseguenza, risulta uno strumento di elezione per gli approfondimenti che interessano questa Commissione.
  Tutti i temi che costituiscono gli aspetti fondamentali di qualsiasi modello di federalismo fiscale e incidono anche sul conferimento delle funzioni conseguenti alla riforma del Titolo V sono indagabili attraverso questa banca dati dei conti pubblici territoriali, di cui ho portato qui alcune copie del rapporto annuale.
  Mi riferisco, per esempio, al livello di decentramento della spesa pubblica consolidata, al livello di decentramento del gettito tributario, al ruolo delle entrate tributarie nel finanziamento corrente degli enti territoriali, all'autonomia di entrata di questi enti, all'equalizzazione della capacità fiscale, al ruolo delle regioni nel finanziamento degli enti locali. Si tratta di componenti che ci possono restituire un quadro abbastanza ordinato e preciso del federalismo e di come questo si configura a livello territoriale.
  Come detto, farò un approfondimento su spesa ordinaria e risorse aggiuntive, che è il punto che interessa maggiormente l'azione dell'Agenzia per la coesione territoriale, che monitora gli investimenti soprattutto delle risorse aggiuntive.
  Nei compiti di monitoraggio che il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 ci affida c'è anche una parte relativa a investimenti Pag. 5pubblici supportati da fonti ordinarie di finanziamento.
  Infatti, monitorando in generale tutti gli strumenti di investimento, come, per esempio, gli accordi di programma quadro, che sono delle intese tra le regioni e le amministrazioni centrali, possiamo trovare investimenti che sono finanziati da diverse fonti di finanziamento, ovvero sia dai fondi strutturali e dal Fondo di sviluppo e coesione, fondi e risorse che monitoriamo in prima battuta per nostra competenza, sia da fondi ordinari che compongono magari il quadro di quell'investimento complesso.
  La componente di spesa in conto capitale è esplicitamente finalizzata allo sviluppo territoriale. Questa è la specificità del comma 5. Infatti, mentre il comma 3 dell'articolo 119 crea questo fondo, che però non ha vincoli di destinazione, il comma 5 ha vincoli di destinazione, che sono appunto quelli della coesione. Sono, quindi, tutte risorse che devono far crescere i territori.
  Questa è la base della politica di coesione indicata all'articolo 174 del Trattato in materia di fondi strutturali, cioè fondi che devono lasciare il loro valore aggiunto sui territori e che sono fatti anche per far crescere le regioni in ritardo di sviluppo ed eliminare il gap che le affligge.
  Essenzialmente, però, quello che emerge indagando l'ultimo periodo, dal 2012 al 2015, è che queste risorse aggiuntive non sono state realmente aggiuntive, ma sono state piuttosto sostitutive.
  Sia i fondi strutturali che il Fondo di sviluppo e coesione hanno svolto una funzione essenziale di sostegno allo sviluppo del Mezzogiorno, perché rappresentano più della metà (circa il 53,4 per cento nel triennio 2012-2014) delle risorse in conto capitale complessive.
  Pertanto, i 684 euro pro capite di cui ha usufruito il cittadino del Mezzogiorno nel triennio 2012-2014 si ridurrebbero a 320 euro, pari a meno del 50 per cento di quello che ha a disposizione, mentre i 655 euro del cittadino del centro-nord resterebbero più o meno invariati, se le politiche di coesione cessassero di essere erogate.
  L'effetto sostitutivo, quindi, è molto evidente e lo è ancor più nel 2015, perché questi cicli di programmazione comunitaria, che sono settennali, ma che in realtà chiudono in una decina d'anni, nel 2015, quando bisognava terminare l'assorbimento della spesa per 45 miliardi, hanno registrato un aumento importantissimo di rendicontazione.
  Ovviamente il dato del 2015 è fortemente influenzato da questa prassi di gestione dei fondi strutturali che abbiamo avuto finora, che non ha consentito, per vari motivi, di spalmare nel corso degli anni di programmazione i risultati di questi investimenti.
  Nel 2015 per le politiche aggiuntive nel Mezzogiorno raggiungiamo addirittura una quota del 67 per cento sulla spesa totale in conto capitale. Ciò garantisce un incremento notevole, però in realtà si capisce che è rimasto praticamente un terzo in capo alle politiche ordinarie e, quindi, l'aggiuntività si è andata diluendo e perdendo.
  Nel centro-nord, come abbiamo già evidenziato, c'è stata una caduta delle risorse ordinarie, che non è stata sufficientemente compensata dalla politica aggiuntiva. Tuttavia, restano valide le riflessioni iniziali che ho espresso: per il centro-nord, in realtà, le politiche aggiuntive sono assolutamente meno rilevanti.
  Un'altra riflessione da fare tra spesa ordinaria e risorse aggiuntive è la seguente. Sebbene rappresentino la parte preponderante della spesa destinata allo sviluppo del Mezzogiorno, le risorse aggiuntive per la politica regionale costituiscono una quota ridotta della spesa pubblica totale. È questo il punto vero, che sottolinea l'importanza del complesso delle politiche di spesa pubblica ordinaria.
  Infatti, dai conti pubblici territoriali emerge un dato abbastanza evidente: nel periodo 2012-2014 il 4 per cento della spesa pubblica primaria destinata al Mezzogiorno e l'1,7 di quella italiana complessiva è rappresentato dalle politiche di sviluppo regionale.
  Questo significa che globalmente queste ultime pesano poco e che è proprio la spesa di investimento in conto capitale complessiva Pag. 6 che si è fortemente ridotta e che, quindi, non ci ha consentito di attuare quel rilancio delle regioni in ritardo di sviluppo che avremmo dovuto raggiungere sia con i fondi strutturali che con il Fondo di sviluppo e coesione.
  La stima del 2015, come dicevo prima, rafforza molto questo rischio, perché fa capire come si concentra nell'ultimo triennio la spesa da effettuarsi, anche nelle difficoltà che ci sono nel lungo periodo di programmazione. Questo evidenzia ancor di più come le politiche ordinarie non rispondano all'appello e come le politiche aggiuntive non siano aggiuntive, ma siano di fatto sostitutive. In seguito vi verranno forniti dei dati e delle tabelle su questo.
  Per ciò che concerne l'attuazione del federalismo fiscale, i dati sui conti pubblici territoriali (CPT) possono essere costruiti, come dicevo prima, attraverso diversi indicatori.
  Noi, in questa breve relazione, che poi vi invierò – ho visto che ci sono alcuni piccoli refusi e, quindi, non ve la lascio – abbiamo scelto tre indicatori semplici ma di grande evidenza. Il primo è l'autonomia di entrata degli enti territoriali, che è misurabile dal confronto tra l'andamento delle entrate tributarie degli enti territoriali e quello dei trasferimenti statali. Il secondo è il livello di decentramento del gettito tributario, espresso dal peso percentuale delle entrate tributarie di ogni livello di governo sul totale delle entrate tributarie della pubblica amministrazione. Il terzo è il livello di decentramento della spesa pubblica complessiva, che è calcolabile come peso percentuale della spesa dei diversi livelli di governo della pubblica amministrazione sulla spesa totale erogata.
  Quali sono le principali evidenze che scaturiscono da questi indicatori? In primo luogo, cresce effettivamente l'autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali. Tra il 2000 e il 2014 le entrate tributarie delle regioni sono passate da 1.189,39 pro capite a 2.018,86 euro, mentre quelle degli enti locali sono passate da 484 a 593. In secondo luogo, diminuiscono i trasferimenti statali nel periodo considerato da 879,51 a 353,34 euro per le regioni e da 389 a 84,66 euro addirittura per gli altri enti locali.

  MARIA LUDOVICA AGRÒ, Direttore generale dell'Agenzia per la coesione territoriale. Lì avete il complesso, che però è un rapporto più complicato, ma anche nelle tavole che vi invieremo e che adesso non lascio queste cose sono evidenti. Possiamo eventualmente arricchirle con un'altra tavola che le metta in evidenza, ma credo che già ci sia, perché abbiamo diviso in regioni ordinarie e regioni a statuto speciale sia per il nord che per il sud.
  Per quanto concerne il decentramento del gettito tributario, diminuisce la percentuale del gettito spettante allo Stato, che va dall'80,2 per cento nel 2000 al 67,8 nel 2014, e aumenta la quota di gettito percepita dagli enti territoriali, in particolare dal 14 al 24 per cento per le regioni e dal 5,7 al 7,3 per cento per gli enti locali.
  C'è da segnalare anche il fatto che, sebbene cambino la combinazione e la distribuzione dell'imposizione fiscale, non sembra invece cambiare la pressione, che in realtà si è un po’ trasferita sul cittadino ed è leggermente aumentata. Infatti, si passa dal 28,5 del 2005 al 34 per cento del 2013, con una leggera riduzione nel 2014.
  Nelle regioni ordinarie la quota di gettito di pertinenza dello Stato è molto più elevata rispetto a quella delle regioni speciali, dove una parte molto rilevante sono, invece, le entrate tributarie proprie. La percentuale di entrate tributarie degli enti locali, invece, mostra valori molto simili sia nelle regioni speciali che nelle regioni a statuto ordinario.
  Per quanto riguarda il decentramento della spesa pubblica complessiva, invece, registriamo negli ultimi due anni considerati una ripresa del ruolo delle amministrazioni centrali, che torna a livello del 2000 dopo una diminuzione del periodo precedente, mentre le amministrazioni regionali e locali riducono la propria quota relativa.
  Effettivamente la spesa pubblica, almeno nell'ultimo biennio, ci restituisce una fotografia meno performante per gli enti locali e regionali, mentre c'è una quota Pag. 7maggiore di spesa pubblica per le amministrazioni centrali.
  Comunque i dati risentono molto sia dell'area geografica di appartenenza che della distinzione tra regioni a statuto speciale e regioni ordinarie.
  Non so se la dottoressa Volpe vuole aggiungere qualcosa su ciò che abbiamo appena detto. Altrimenti, possiamo chiedere l'approfondimento sui costi standard e poi procedere.

  MARIELLA VOLPE, Coordinatore del settore sistema dei conti pubblici territoriali. Analisi e monitoraggio degli investimenti pubblici del Nucleo verifica e controllo (NUVEC). I flash che sono stati dati sono un po’ la punta dell'iceberg che questa base informativa consente di leggere. In realtà, i dati sono tutti open, quindi molti ulteriori approfondimenti sono possibili.
  La grande forza di questa base informativa è il dettaglio: per settore, per anno e per categorie economiche, come sa la dottoressa Guerra.
  In tema di federalismo, noi da dieci anni monitoriamo uno strumento che definiamo «termometro del federalismo», che contiene gli indicatori che vi sono stati descritti come indicatori semplificati, ma anche indicatori di dettaglio molto più articolati.
  L'altro grande valore aggiunto, come la dottoressa Agrò vi ha appena raccontato, è quello di fare da denominatore della politica aggiuntiva, ricostruendo il complesso dei flussi finanziari di entrata e di spesa del settore pubblico allargato, quindi non solo della pubblica amministrazione, ma anche di tutte le imprese pubbliche nazionali e locali. Ciò consente di pesare il ruolo della politica aggiuntiva.
  Mescolando questi dati con quelli di monitoraggio, secondo una prescrizione recente del Comitato di indirizzo e coordinamento dell'informazione statistica (COMSTAT), che sta tentando di enfatizzare le potenzialità che derivano dal mettere insieme banche dati statistiche come questa con banche dati di tipo amministrativo di cui l'Agenzia è dotata (monitoraggio dei fondi strutturali e monitoraggio del Fondo di sviluppo e coesione), arriviamo a esercizi come quello di cui la dottoressa Agrò vi ha raccontato l'esito. Si tratta di arrivare a calcolare, rispetto al complesso della spesa primaria italiana, ma anche meridionale e del centro-nord, per aree e per comparti, quali sono il ruolo e il peso della politica aggiuntiva.
  Con questi strumenti monitoriamo anche l'addizionalità comunitaria, cioè l'obbligo che ci deriva dai regolamenti comunitari di verificare che le risorse comunitarie siano aggiuntive e non sostitutive rispetto a quelle ordinarie dello Stato membro.
  Vi do ora un'informazione sui costi standard, derivante dal fatto che ho partecipato ai vari gruppi tecnici, sia quelli sulla spending review sia quelli della Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale, che si sono posti il problema del costo standard.
  Ovviamente le informazioni derivanti, invece, da CPT e finalizzate a questo obiettivo consentono di arrivare a un costo medio e non a un costo minimo. È evidente che, trattandosi di un valore di spesa effettivamente erogato, pur garantendo un elevatissimo dettaglio territoriale (infatti, noi arriviamo al costo medio di spesa erogata con un livello di articolazione notevolissimo per settore, per regione, per ente, per categoria economica e così via), ingloba, da un lato le possibili inefficienze locali e, dall'altro, una serie di fattori istituzionali strutturali che sono delle variabili esplicative della differenza di costo. Con i conti pubblici, quindi, si arriva al costo medio, non al costo minimo.
  L'esito dei vari gruppi di lavoro dedicati al costo standard, a mio giudizio, al momento è ancora abbastanza deludente. Questa mattina leggevo gli esiti di un'audizione che nel 2010 questa stessa Commissione aveva fatto al Ragioniere generale dello Stato. Mi sembra che il livello della riflessione e dei problemi che ora vi riassumo sia ancora fermo lì.
  Il grande dibattito che in seno a questi gruppi si è aperto è quello sull'approccio alla costruzione dei costi standard, cioè su come il costo debba essere definito attraverso un approccio top-down, approccio evidentemente molto sostenuto dalla Ragioneria generale dello Stato, secondo cui, Pag. 8dati i vincoli di bilancio e l'ammontare economico da redistribuire, si determinano i costi attraverso una serie di variabili strutturali che vanno dalla popolazione alla superficie e che includono un'altra serie di indicatori, che possono definire il riparto.
  Un'altra componente di questi gruppi di lavoro ha sostenuto, invece, l'approccio bottom-up, in parte ricostruito anche sull'esperienza inglese del public service agreement, finalizzato alla ricostruzione dei fabbisogni dal basso.
  È chiaro che è una via molto più impervia e molto più complessa anche dal punto di vista metodologico-analitico, perché si fonda sull'elaborazione di funzioni di costo molto dettagliate, complesse e articolate.
  Si è arrivati alla mediazione per cui, dato un approccio top-down, si può pensare nel breve-medio periodo ad alcuni correttivi, ad esempio: proporre che una quota delle risorse possa essere sottoposta a un meccanismo premiale finalizzato a incentivare i comportamenti virtuosi degli enti locali, dare priorità ai livelli essenziali di assistenza, prevedere un adeguato monitoraggio degli output, affiancare agli indicatori finanziari indicatori fisici anche nella fase transitoria.
  Con riferimento ai soli enti locali, l'esperienza di ricostruzione di un sistema di riparto è stata realizzata dalla SOSE utilizzando in gran parte la banca dati del Ministero dell'interno. Tuttavia, in questa grande bipartizione l'approccio rimane quello del top-down, finalizzato più al riparto che a un obiettivo di efficientamento della spesa.

  MARIA LUDOVICA AGRÒ, Direttore generale dell'Agenzia per la coesione territoriale. Dunque, in sostanza effettivamente sui costi standard i conti pubblici territoriali e la nostra banca dati ci fanno arrivare a un costo medio.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA CECILIA GUERRA. Ringrazio le nostre ospiti per queste informazioni molto utili che ci hanno dato, che completano da un altro punto di vista le audizioni che abbiamo svolto su questi temi e ci aprono anche nuovi interrogativi, almeno per quanto mi riguarda.
  Vorrei chiedere due cose. In primo luogo, vorrei avere più informazioni sulla questione dell'addizionalità da un punto di vista anche metodologico, perché è un tema che ovviamente interessa anche altri campi e che ci siamo posti in altre Commissioni, ad esempio rispetto al problema dell'addizionalità per il piano Juncker. So che è un tema difficile, anche metodologicamente, per cui sono curiosa di avere qualche informazione in più sul modo in cui voi la identificate, proprio ai fini, come ci veniva ricordato, della rendicontazione comunitaria.
  Sulla questione dei costi standard, metto un po’ il dito nella piaga. Io credo che, siccome con la nuova legge di bilancio stiamo andando in prospettiva a una ripartizione delle risorse per gli enti locali basata al 100 per cento su queste nuove metodologie, bisognerebbe essere davvero più chiari nella comunicazione pubblica su cosa significa utilizzare questo tipo di metodologia.
  Come ho già affermato in altri contesti, sicuramente il lavoro di SOSE ci sta dando un'informazione di cui prima non disponevamo. Tuttavia, la retorica del costo standard come elemento di efficientamento è veramente mal posta e questo può dar luogo anche a una lettura dei dati veramente distorta.
  Ci avete appena spiegato le diverse possibilità: bottom-up e top-down. Fare un top-down e raccontarlo come bottom-up mi sembra il problema che ci troviamo ad affrontare, che non è un problema da poco. Infatti, anche in termini di investimento futuro, mi sembra che, se dovessimo continuare il lavoro di approfondimento, che può servire come benchmarking e come informazione anche per capire dove sono le inefficienze in futuro, ma adottando l'altro criterio di ripartizione, sarebbe meglio andare verso indicatori più semplici, come quello che lei ci ha indicato. Pag. 9
  Se poteste darci qualche valutazione anche su questo mi farebbe molto piacere.

  FEDERICO D'INCÀ. Vi ringraziamo per l'audizione. A pagina 7 della relazione che ci avete lasciato si definisce una diminuzione della spesa in conto capitale degli investimenti nel corso del tempo in Italia. La parte degli investimenti soprattutto passa per l'Italia da un 3,4 per cento, con un massimale di un 4,4 per cento, al 2,8 per cento nel 2014. Avete dei dati aggiornati per quanto riguarda il 2015 e il 2016 che possano essere dati in anteprima?
  In secondo luogo, immagino che tra il top-down e il bottom-up sui fabbisogni standard, nel tener conto in una ripartizione di quanto sia il reale fabbisogno di un territorio, vi sia una sorta di gap. Sapete a quanto ammonta questo gap per il nostro Paese, per poter avere un'indicazione di quanto ci manca per far sì che il bottom-up e il top-down siano almeno vicini?

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Agrò per la replica.

  MARIA LUDOVICA AGRÒ, Direttore generale dell'Agenzia per la coesione territoriale. Sui dettagli di tutte queste domande passerò poi la parola alla dottoressa Mariella Volpe, che è la più grande esperta di addizionalità, non solo italiana ma anche europea, e, quindi, potrà spiegare molto bene i meccanismi.
  Vorrei dire due cose generali sul ruolo dell'Agenzia e anche sul Fondo Juncker. Per quanto riguarda il Fondo Juncker, noi stiamo lavorando molto per capire, sapete che la Banca europea per gli investimenti (BEI) sta lanciando (perché l'Europa l'ha lanciata) la possibilità che i fondi strutturali operino insieme al Fondo Juncker e concorrano a fare massa critica di quella provvista di risorse che è molto ingente, ma è determinata grandemente da un effetto leva. Infatti, effettivamente il Fondo Junker poggia su 21 miliardi disponibili e arriva a 300 attraverso un meccanismo di leva importante, in alcuni casi anche verificato.
  Mi fa piacere dirlo qui, perché l'Agenzia sente la responsabilità di informare il Parlamento di questo. Bisogna stare attenti al fatto che il Fondo Junker opera per progetti e non opera per programmi e che non ha il vincolo territoriale che ha la politica di coesione, né in termini di ritorno geografico pertinente allo Stato membro né per le regioni che contribuiscono eventualmente ad arricchire questi progetti.
  È possibile per i fondi strutturali partecipare al Fondo Juncker? È possibile e probabilmente è anche un'opportunità di volano di spesa e di investimenti più rischiosi, che noi non abbiamo la tendenza a fare e che, però, sono necessari, perché magari sono più redditizi, ma sono anche molto più innovativi.
  Quello che sostiene l'Agenzia, così come in generale il Dipartimento per le politiche di coesione e il sottosegretario De Vincenti, è che per quella quota che i fondi strutturali metteranno nel Fondo Juncker tutto l'impianto della politica di coesione deve essere rispettato. In altre parole, si investe e si aggiunge a questo ammontare di risorse disponibili parte dei fondi strutturali, usufruendo delle semplificazioni che la BEI ci mette a disposizione, ma solamente se i progetti hanno una ricaduta territoriale certa rispetto alle risorse che vengono investite. Questo è il primo punto che tenevo a sottolineare.
  Per quanto riguarda i costi standard, lascio rispondere la dottoressa Volpe, così come sull'addizionalità. Voglio sottolineare solo che l'Agenzia non è chiamata istituzionalmente a fare questa riflessione. Tuttavia, la banca dati dei conti pubblici territoriali è una banca dati pubblica e l'Agenzia ha tutto l'interesse a essere al servizio anche di richieste che eventualmente possano venire da qui e a capire quale potrebbe essere un supplemento di indagine, una possibilità di investire ulteriormente per estrarre dati e studi che possano aiutare la riflessione che state facendo.
  Quello che affermiamo in quest'aula è solo sotto un profilo scientifico e non sotto un profilo istituzionale. Siccome la questione è estremamente importante, perché si dice che non possiamo raccontare con un approccio bottom-up una cosa che invece è nata ed è stata determinata top-down, il Pag. 10nostro contributo in questo momento è scientifico. Ciò nonostante, siamo disponibili a ingaggiare eventuali approfondimenti statistici che possano servire di supporto a migliorare il sistema che attualmente si sta mettendo in atto.

  MARIELLA VOLPE, Coordinatore del settore sistema dei conti pubblici territoriali. Analisi e monitoraggio degli investimenti pubblici del Nucleo verifica e controllo (NUVEC). Comincio dall'addizionalità. Innanzitutto, bisogna separare il concetto di aggiuntività nazionale, che è quello di cui vi sono stati raccontati gli esiti, che sono descritti al paragrafo 2.3 del rapporto che avete avuto, dall'addizionalità comunitaria, cioè dalla regola prevista dai regolamenti, la cui metodologia è stata per anni complessa, farraginosa e, a giudizio dell'Italia come Stato membro, poco efficace.
  Si tratta di una metodologia che per lunghi anni è stata basata sulla costruzione di un approccio incrementale, consistente nel tentare di verificare che nel periodo di programmazione in atto le risorse ordinarie dello Stato membro fossero maggiori rispetto all'equivalente aggregato (aggregato molto complesso, su cui non mi soffermo adesso) del periodo di programmazione precedente.
  Era un approccio che evidentemente penalizzava molto i Paesi, come l'Italia e la Germania, i cui livelli di spesa in conto capitale erano già elevati e in cui lo sforzo aggiuntivo risultava molto difficile da realizzare rispetto, ad esempio, ai Paesi nuovi entrati, come la Polonia, l'Estonia o la Lituania, in cui l'incremento era necessario e molto facile da raggiungere.
  Abbiamo avuto un grosso ruolo in fase di negoziato per il periodo 2007-2013 nel definire un nuovo metodo di calcolo dell'addizionalità, legittimati soprattutto dalla trasparenza dei nostri dati e dalla ricchezza delle nostre basi informative, che nel mondo dell'addizionalità europea sono sempre state viste come una buona pratica.
  Per la prima volta, quindi, la verifica ex ante per il periodo 2014-2020 è stata effettuata con un metodo di calcolo relativo, basato cioè sull'ammontare della spesa in rapporto a variabili strutturali economiche, come, ad esempio, il PIL.
  Dal punto di vista dei risultati molte volte non abbiamo verificato l'addizionalità. Soprattutto nel periodo 2007-2013, che ha subìto in pieno i vincoli della crisi iniziata nel 2008, siamo stati costretti a rivedere il profilo ex ante su cui l'Italia si era impegnata e che era stato costruito nel 2006, quando non era prevedibile quello che sarebbe successo in seguito.
  Se siete interessati, possiamo mettere a disposizione anche i rapporti di addizionalità, che comunque in buona misura sono consultabili anche sul nostro sito.
  Per ciò che concerne l'aggiornamento dei dati, i dati dei conti pubblici sono erogazioni finali di cassa e, quindi, risentono del vincolo della fonte e della disponibilità dei conti consuntivi. Hanno, quindi, un lag temporale di circa 18 mesi, che noi cerchiamo di superare, proprio per garantire un supporto alla policy, con un modello di stima, il nostro indicatore-anticipatore, che anticipa di un anno i dati dei conti pubblici territoriali e i cui esiti sono illustrati anche in questo rapporto.
  In questo rapporto sono riportate anche le prime stime per il 2015, che ci mostrano la ripresa: mentre nella prima parte raccontiamo l'enorme crollo della spesa in conto capitale e degli investimenti, che nel 2014 raggiunge il punto di minimo, con il 2015 abbiamo una ripresa, soprattutto nell'area meridionale, spiegata in massima parte dalla chiusura del periodo di programmazione comunitario, che tiene la crescita.
  Stiamo tentando proprio in questi giorni di arrivare a un'ipotesi di stima per il 2016, ma abbiamo molta difficoltà perché le fonti di cui disponiamo arrivano alla fine del terzo trimestre 2016 e, quindi, dovremmo forzare questo strumento in direzione di un obiettivo previsivo, che ha solo lo scopo di ridurre il lag ex post. Questa è la questione del dato.
  Rispondo ora sui costi standard. Ferma restando l'importante precisazione che faceva la dottoressa Agrò, io direi in modo tranchant che il bottom-up non c'è. È tutto top-down, non c'è un racconto di top-down in termini di bottom-up. Il bottom-up è un Pag. 11desiderata, è un'ipotesi in direzione di una migliore ricostruzione del fabbisogno, ma da un lato vincoli teorici, metodologici e di disponibilità di basi informative e dall'altro i vincoli di bilancio al momento non lo hanno consentito. Pertanto, tutto l'approccio messo in piedi è top-down e raccontato come top-down.

  PRESIDENTE. È una cosa di cui abbiamo discusso a lungo nelle fasi iniziali. In seguito arriverà la versione definitiva della relazione, con le correzioni dovute.
  Prego, senatrice Guerra.

  MARIA CECILIA GUERRA. Aggiungo una breve domanda su una sollecitazione che mi ha dato prima. Lei, dottoressa Volpe, ha citato il caso inglese come esempio di bottom-up. Vorrei sapere una cosa, perché i miei studi su questo tema si sono fermati un po’ di anni fa.
  Quel tipo di ricostruzione e di valutazione viene utilizzato al momento? Inizialmente quello era il progetto, ma poi per molti anni non lo è stato più. Viene utilizzato come guida per i trasferimenti o ancora, come l'ho studiato io, come elemento di benchmarking fra enti decentrati? Mi risponda se ne è in grado, senza disturbarla.

  MARIELLA VOLPE, Coordinatore del settore sistema dei conti pubblici territoriali. Analisi e monitoraggio degli investimenti pubblici del Nucleo verifica e controllo (NUVEC). Rispondo molto volentieri. Purtroppo anche i miei studi si sono fermati all’Audit Commission e alla School for Advanced Urban Studies (SAUS), dove ho studiato vari anni fa.
  Nell'esperienza inglese è anche un criterio di trasferimento dei grant al sistema locale. Tutta l'esperienza dell’Audit Commission, che arriva a livelli di dettaglio molto spinti per funzioni minimali di servizio locale, dall'asilo nido al trasporto e alla refezione, è fatta propria dal Her Majesty's Treasury.
  Io in quegli anni lontani (poi sono passata a un altro mestiere) facevo un po’ da ponte tra il mondo teorico e l'esperienza operativa. Questa esperienza è finita poi nel Public expenditure statistical analyses (PESA), quindi è un mondo che ha fortemente influenzato l'effettivo sistema dei trasferimenti alla finanza locale.
  Anche quel mondo è molto trasparente. Ancora oggi sui loro siti è ricostruibile tutto, dal mondo teorico agli effettivi criteri di riparto.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Agrò per il suo intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.

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