XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 82 di Giovedì 22 settembre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, sulla finanza delle province (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento della Camera dei deputati):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 2 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 5 ,
Marantelli Daniele , Presidente ... 6 ,
Zanoni Magda Angela  ... 6 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 6 ,
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 6 ,
Gibiino Vincenzo  ... 7 ,
Fornaro Federico  ... 7 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie (fuori microfono) ... 8 ,
Fornaro Federico  ... 8 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 8 ,
Fornaro Federico  ... 8 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 8 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 8 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 8 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 9 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 9 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 9 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 9 ,
Marantelli Daniele , Presidente ... 9 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 10 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 10 ,
Fornaro Federico  ... 12 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 12 ,
Marantelli Daniele , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, sulla finanza delle province.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, sulla finanza delle province.
  Come ricorderete, Gianclaudio Bressa è già stato audito in questa sede diverse volte, sull'identico tema. Si tratta di fare un aggiornamento rispetto a questa complessissima vicenda che viene toccata continuamente da vari interventi normativi. Lo ringrazio, ovviamente, per la disponibilità e gli cedo subito la parola.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Grazie, presidente. Ci incontriamo ancora sul tema, ragion per cui do per acquisite le valutazioni che avevo fatto in precedenza. Prima di entrare nel merito specifico delle questioni finanziarie, vorrei fare una brevissima premessa.
  Ci troviamo a qualche settimana dalla celebrazione del referendum, nel quale vi è la soppressione, in Costituzione, dell'ente provincia. La soppressione in Costituzione dell'ente provincia riguarda l'ente provincia inteso come ente rappresentativo politico. Come sapete, l'effetto della legge Delrio, la legge n. 56 del 2014, ossia l'avere definito e regolamentato la dimensione di area vasta, una dimensione che, da un punto di vista amministrativo, è propria di tutte le democrazie europee, ci consente di dire che, in ogni caso, l'esito del referendum non cambia, o, meglio, non cancella i temi connessi alla gestione dell'area vasta.
  Nel caso di vittoria del referendum per le province si possono aprire delle prospettive che sono negate dall'attuale testo costituzionale. Faccio un esempio per tutti: essendo oggetto della riforma anche la modifica del potere legislativo e l'attribuzione al potere legislativo esclusivo regionale di alcune materie e restando la materia degli enti di area vasta, dal punto di vista ordinamentale, una competenza statale, la somma delle due cose può produrre leggi in cui le competenze delle regioni si possono sposare con le competenze amministrative degli enti di area vasta. Questa resta una competenza e una scelta in capo alle regioni. Come altresì sapete, nel caso di approvazione della revisione della Costituzione, le regioni diventano, in qualche modo, titolari della possibilità di ridefinire i confini delle stesse aree vaste. Quindi, qualsivoglia sia il risultato del referendum, la dimensione dell'area vasta è comunque una dimensione che rimane.
  A mio avviso, dopo due anni di messa alla prova della legge n. 56 del 2014 – che, come tutti ricorderete, è stata oggetto di un dibattito parlamentare complesso: si sono succedute tre maggioranze parlamentari nel corso dell'approvazione di tale legge – la stessa abbisogna di una sostanziale revisione, di una «manutenzione straordinaria Pag. 3» che deve concentrarsi soprattutto su alcune questioni, la più importante delle quali credo debba essere la governance. Siamo, alla prova dei fatti, arrivati ad alcune valutazioni che sono comuni sia da parte del Governo, sia da parte degli amministratori degli enti di area vasta. Vi è la necessità, per essere coerenti alla filosofia ispiratrice della legge, di sempre più – uso questo termine perché a quest'ora non me ne vengono in mente altri – «depoliticizzare», nel senso di togliere strumenti di partecipazione riconducibili a posizioni partitiche per l'elezione degli amministratori delle province, e di sempre più responsabilizzare direttamente i sindaci. Questo potrebbe, ad esempio, portare a sostituire i compiti che attualmente sono in capo al consiglio provinciale direttamente all'assemblea dei sindaci, procedendo, quindi, non solo a una semplificazione degli organi di governance, ma anche a una diversa responsabilizzazione dell'attività di tutti i sindaci.
  Altre cose si potrebbero dire dal punto di vista ordinamentale, ma, poiché è intenzione del Governo che sia il Parlamento ad affrontare l'ipotesi di una revisione della legge n. 56 del 2014 e, quindi, ci saranno sicuramente numerose occasioni di confronto. Fatte queste premesse, vengo al dato finanziario del 2016, perché è inutile che rifacciamo la storia degli anni precedenti.
  Il taglio previsto dalla legge di stabilità è di un miliardo 650 milioni per le province, 250 milioni per le città metropolitane e 100 milioni per le province delle autonomie speciali, il che significa, nel caso specifico, Sardegna e Sicilia, perché le altre speciali hanno forme proprie di finanziamento. Nel caso di Valle d'Aosta, Trento e Bolzano le province sono speciali. Nel caso del Friuli Venezia Giulia le province sono state abolite con una legge regionale e sostituite da altri organismi. A fronte di questo taglio, ovviamente fatte le proiezioni sulla base del fatto che comunque la spesa efficientata, come avevo avuto modo di dirvi nel corso di precedenti audizioni, è attorno all'ordine di grandezza di 2 miliardi 400 milioni, per garantire le funzioni fondamentali delle province, era evidente che si dovesse trovare una ricomposizione, perché, con il taglio intervenuto, sarebbe stato difficile poter arrivare a garantire l'equilibrio di bilancio per le stesse province.
  Per effetto di tutte le valutazioni fatte, di cui alcune direttamente in sede di legge di stabilità, sono stati previsti alcuni interventi e alcuni fondi che andavano a correggere, o meglio, a rimodulare questo taglio, restituendo risorse alle province, ma finalizzandole a obiettivi importanti.
  L'intervento principale è rappresentato dal fondo di 245 milioni per la spesa corrente in investimenti su strade e scuole. C'è un fondo di 40 milioni per il mantenimento degli equilibri di bilancio. C'è un fondo di 20 milioni di copertura di spese del personale soprannumerario. Alla conclusione della mobilità che ha interessato 20 mila persone, è rimasta a disposizione una cifra di 20 milioni che si è deciso di destinare alle province, per andare a coprire spese relative alla parte corrente relativa al personale. Accanto a questo, con il decreto sugli enti locali è stato aggiunto un ulteriore fondo di 48 milioni di riequilibrio. Questi 48 milioni vanno esclusivamente a quelle realtà provinciali che hanno, alla prova dei fatti della metà gestione dell'anno, degli squilibri che, se non corretti, porterebbero a una situazione di pre-dissesto. Il riparto dei 40 milioni del fondo di mantenimento degli equilibri che erano stati previsti nella legge di stabilità e di questi 48 milioni sarà oggetto di un accordo in Conferenza Stato-città, il 27 settembre.
  Accanto a questo, lo ricorderete, c'erano altri due fondi che erano stati identificati, sempre in legge di stabilità, ossia il fondo di 100 milioni per la manutenzione e gli investimenti sulle strade ex ANAS e i 70 milioni per i servizi di assistenza ai disabili. A questi 70 milioni si aggiungeva una quota parte, stimata su base nazionale in 35-40 milioni, che doveva essere messa a disposizione da parte delle regioni.
  Il fondo dei 70 milioni per i disabili è stato oggetto di discussione ed è stato ripartito, o meglio, sono stati definiti i criteri Pag. 4di ripartizione nella Conferenza unificata della fine di luglio, ragion per cui è già operativo. Il fondo di 100 milioni per la manutenzione dell'ANAS è stato ripartito nell'ultima Conferenza Stato-città, che si è tenuta dieci giorni fa.
  Accanto a queste risorse va ricordato, perché non è un dato indifferente, che è stato consentito, per la seconda volta, di utilizzare gli avanzi liberi destinati e vincolati per garantire gli equilibri di bilancio. Mentre gli avanzi liberi destinati al 75 per cento sono stati utilizzati, per quanto riguarda gli avanzi vincolati, ossia gli avanzi che derivano da spese messe a disposizione della regione, ma non utilizzate, al momento solo la regione Toscana ha proceduto alla ripartizione di queste risorse.
  So per certo che è in corso in altre regioni, in Piemonte, in Lombardia, nelle Marche – non le ricordo tutte a memoria – questa fase per consentire entro la fine del mese o i primi di ottobre di poter definire anche questo tipo di risorse.
  L'ultima questione che va ricordata, anche se ha avuto un impatto minore rispetto all'effetto che aveva avuto l'anno scorso, è che anche per questo esercizio c'è stata la possibilità di rinegoziare i mutui con la Cassa depositi e prestiti. Si tratta della rinegoziazione e della spalmatura. Direi, però, che con il 2015 e il 2016 questa operazione della rinegoziazione, in qualche modo, trova una sua completezza. Non sarà ripetibile nel 2017, perché nel 2017 non ci sarà più nulla da rinegoziare.
  Vi ho fatto il quadro. Il quadro che vi ho fatto e le risorse che vi ho citato fanno sì che la situazione sia di sostanziale equilibrio del comparto. Possono esserci delle punte negative, che derivano da alcune situazioni particolari. Abbiamo stimato che possono essere sei o sette le province che, usando un termine tecnico, possono «ballare», ma questo deriva da condizioni del tutto particolari delle gestioni precedenti. Abbiamo delle realtà provinciali in cui il rapporto tra il personale, le funzioni svolte e la popolazione ha indici molto variabili. Posto che la media, mi pare, sia il 15-16 per cento, abbiamo realtà che sono abbondantemente al di sotto di questa media e realtà che sono abbondantemente al di sopra di questa media. È del tutto evidente che chi si trova al di sopra di questa media, in prospettiva, ha dei problemi di una certa serietà, che possono essere mediati dalle operazioni di ristrutturazione complessiva e di mobilità ulteriore che possono essere messe in corso. Diciamo, però, che quest'operazione, che comunque è stata un'operazione che ha avuto alcuni passaggi draconiani – l'anno scorso e quest'anno abbiamo aggiustato un taglio che, se fosse rimasto tale, avrebbe creato dei problemi insuperabili – nella complessità e, se volete, anche nella discutibilità di questa modalità di intervento, ha, però, consentito di fare una fotografia spietata, ma esatta del sistema provinciale. Alla fine di quest'anno ci consentirà di dire quale sia il punto di equilibrio reale, vero.
  Ho omesso, perché era stato oggetto di discussioni, il fatto che la spesa era stata efficientata e che le entrate erano state definite sulla base di una standardizzazione tarata sulla capacità massima fiscale. Le operazioni che potevano essere messe in atto per ricostruire nella maniera più puntuale e più corrispondente alle funzioni nel corso di questi anni sono state fatte e per le province diciamo che siamo abbastanza avanti. Ci sono degli indicatori. Ovviamente, quando si parla di indicatori per definire l'efficientamento di una spesa, vanno sistematicamente e progressivamente aggiustati, cosa che è stata fatta ed è ancora in corso di effettuazione.
  Una cosa, l'ultima che vi volevo ricordare, va detta. Durante questo laborioso e complicato processo devo dire che è maturata, rispetto a come era partita, una consapevolezza, forte, tra le regioni e gli enti di area vasta. Siamo partiti da una primissima fase, in cui vi era una sorta o di competizione, o di deresponsabilizzazione, in cui si diceva: «non sono cose nostre». Nel corso di questi due anni, per effetto delle leggi regionali varate e dell'intelligenza politico-amministrativa di molte regioni, qualcosa è cambiato. Tutte le regioni, a eccezione del Lazio, hanno proceduto a fare una legge. Il Lazio non ha fatto la legge, ma ha destinato le risorse. Il problema Pag. 5 del Lazio, per quanto riguarda l'attività legislativa, non è un problema sulla legge sulle province, ma è un problema complessivo di funzionalità del Consiglio regionale. Anche il Lazio, però, ha provveduto comunque a garantire le risorse per le funzioni e l'ha fatto, non potendolo fare con legge, con delibere di giunta. È l'unica regione eccentrica rispetto alle altre, ma ha fatto le stesse cose che hanno fatto le altre, con uno strumento diverso. Questo ha fatto sì che ci sia stato un progressivo aumento di responsabilizzazione e di collaborazione, che, se mi permettete, ha trovato il massimo della volontà collaborativa nella distribuzione dei 48 milioni del fondo di riequilibrio che è stato messo a disposizione con il decreto-legge n. 113.
  Il decreto-legge n. 113 è stato approvato non ricordo se a fine luglio o ai primi di agosto, quando ormai la situazione di bilancio delle singole province era chiaramente definita. Ebbene, va detto che le regioni hanno proceduto con un criterio per cui, assegnando un minimo a ciascuna regione, le altre risorse sono state concesse ed erogate sulla base di criteri di solidarietà. Senza superare il tetto di 3 milioni, sono stati utilizzati parametri che hanno fatto sì che le province che erano in condizioni economico-finanziarie di equilibrio – che comunque, per parlarci chiaro, ce la potevano fare – cedessero quote di risorse che in una ripartizione consueta, tradizionale, sarebbero spettate loro, ma che sono state riversate sulle realtà più deboli. Si tratta di un processo nato sulla base di una responsabilità politica e di un confronto e di una collaborazione tra province e regioni che, dal punto di vista della cultura amministrativa di questo Paese, non è sempre comune e che, in questo caso, ha dimostrato di avere un senso, un'efficacia e una capacità di ottenere i risultati sicuramente interessante.
  Vi ho fornito il quadro del 2016, dando per acquisite le cose che vi avevo detto in altre occasioni. Resta da fare, ovviamente, la valutazione finale. Come è del tutto evidente, e la prova è data dal fatto che nel 2015 e nel 2016 le province non hanno fatto bilanci pluriennali, ma si sono limitate a fare il bilancio annuale, siamo di fronte a due anni straordinari.
  È cominciato ieri il confronto a Palazzo Chigi con il sistema delle province e col sistema dei comuni in vista della legge di stabilità. Per quanto non sia ancora possibile fare alcuna anticipazione, perché gli incontri sono iniziati ieri – ieri abbiamo più raccolto le richieste dei comuni e delle province che non cominciato a lavorare sulle possibili soluzioni – la consapevolezza del Governo è che dobbiamo trovare un meccanismo che dal 2017 sia a regime. Quindi, bisogna lavorare non solo sulle quantità finanziarie, ma anche sugli strumenti per mettere a disposizione queste risorse.
  Faccio un'unica riflessione come esempio e concludo. Nell'ipotesi dell'approvazione del referendum, le province scompaiono dalla Costituzione. È del tutto evidente che, scomparendo le province dalla Costituzione, anche tutte le prerogative e i poteri, soprattutto riferiti alla capacità tributaria propria, vengano messi in discussione. Si tratta di definire se le attuali fonti di finanziamento (l'RC Auto, l'IPT e la tassa ambientale – la TEFA – che comunque è poca roba rispetto alle altre due) debbano rimanere tali. Si deve definire, cioè, se siano ancora uno strumento utile. In ogni caso bisognerà immaginare che questi non siano più tributi che vanno direttamente alle province e si dovrà passare necessariamente a un sistema di finanza derivata e di trasferimenti. Questo sarà oggetto di una discussione che sicuramente faremo in sede di legge di stabilità, con quale esito mi è, in questo momento, impossibile dirlo, perché siamo all'inizio di una discussione. C'è comunque la consapevolezza che l'approdo deve andare in quella direzione.

  PRESIDENTE. Grazie, Sottosegretario Bressa. Adesso c'è lo spazio per le domande. Cedo la presidenza al collega Daniele Pag. 6 Marantelli, perché ho un altro impegno istituzionale, alla Camera dei deputati.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
DANIELE MARANTELLI

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Grazie, sottosegretario, per questa relazione davvero dettagliata e, devo dire, molto utile per fare il punto della situazione. Mi fa piacere sapere che si pensa a una revisione della legge n. 56 del 2014, che credo, dopo il referendum, potrà anche vedere in quale direzione muoversi.
  Mi fa piacere che rispetto al 2017 si cominci a pensare a una situazione a regime, perché effettivamente il 2015 e il 2016 sono stati anni molto, molto particolari anche dal punto di vista della gestione dei bilanci. Soprattutto, con le nuove normative sull'armonizzazione dei bilanci, credo che sia importante, con l'avvio della nuova legge, che si chiamerà legge di bilancio, attivare il meccanismo a pieno regime.
  Credo che un occhio particolare vada dato alle province che sono state trasformate nelle città metropolitane, perché in tale ambito la situazione è ancora diversa rispetto alle altre province. Forse due parole anche sulle città metropolitane si potrebbero spendere.
  L'ultimo aspetto riguarda il miliardo che era in prospettiva di essere tagliato per il 2017. Capisco che le trattative siano in corso, ma, che ci siano le province o non ci siano le province, e che si tratti di fondi diversi, resta il problema di capire come coprire i servizi che devono essere erogati, chiunque li svolga. Sul miliardo del 2017 vorrei sapere se sia possibile già capire qualche cosa.
  Per quanto riguarda, infine, una sintesi di tutte le cose che sono state dette, vorrei sapere se sia possibile avere una relazione, altrimenti leggeremo poi il resoconto. Chiedo, però, se sia possibile avere una relazione, perché anche darne diffusione a livello locale potrebbe essere molto utile.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Se posso dire solo una cosa, ho la cattiva abitudine di fare tutto a braccio. Se c'è il resoconto stenografico, mi posso impegnare a trasformare il resoconto stenografico in una relazione con tutte le tabelle. Per me sarebbe molto più elementare e più semplice da fare.

  GIOVANNI PAGLIA. Ringrazio per la relazione. Concordo sul fatto che sia assolutamente necessario rivedere la governance delle province, perché le modalità con cui sono stati, anche recentemente, rinnovati i Consigli provinciali dimostra che siamo all'interno di un meccanismo attualmente quantomeno estraneo alla democrazia. Si è andati, infatti, a generare un sistema in cui continua a esserci una rappresentanza politica, ma viene negata persino la possibilità di partecipazione. Faccio l'esempio della mia provincia. Sono riusciti a presentare liste soltanto il Partito Democratico e la Lega Nord e il risultato delle elezioni è stato di undici consiglieri per il Partito Democratico e uno per la Lega. Il Partito Democratico rappresenta a malapena il 40 per cento dei voti. Ripeto, questo è successo perché alle altre liste, in base alla legge Delrio, non è stato consentito presentarsi.
  È del tutto evidente che un meccanismo del genere non può essere mantenuto in piedi. Personalmente, sarei per tornare all'elettività diretta, ma comunque, a questo punto, se deve essere di secondo livello, che sia una rappresentanza diretta e proporzionale dei sindaci. È meglio, perché almeno si toglie di mezzo la farsa della rappresentanza politica. Così non c'è neanche un principio maggioritario. C'è proprio un principio assolutamente distorsivo.
  Per quanto riguarda, invece, la parte relativa ai bilanci, vorrei capire solo una cosa. Quando si dice che attualmente si è raggiunto un punto di equilibrio, vorrei capire se si intende che si è raggiunto un punto di equilibrio nel senso che tutti gli Pag. 7enti, tranne quelli di cui si è detto, sono nelle condizioni di chiudere i bilanci relativamente alle loro spese di funzionamento, o se, invece, si comprende anche l'erogazione di un livello minimo di servizio soprattutto relativo alla manutenzione di strade e scuole, che credo sia ciò che interessa ai cittadini. Se, invece, per punto di equilibrio si intende soltanto che si arriva a pagare il personale e la luce – per carità, è necessario – questo renderebbe vera la profezia dell'inutilità delle province, a questo punto. Enti che servono solo a pagare se stessi non valgono nulla.
  Quello che ci aveva detto l'UPI, quando è venuta qui, poche settimane fa, era che sostanzialmente si arrivava lì, cioè che sarebbero forse arrivate a chiudere i bilanci, ma relativamente alle proprie spese di sostenibilità, cancellando completamente, di fatto, i programmi di manutenzione. Vorrei sapere se questo viene confermato anche dal Governo o se Lupi aveva capito male.

  VINCENZO GIBIINO. Unendomi alle perplessità e ai rilievi dei miei colleghi e ringraziandola comunque per la relazione, sottosegretario Bressa, osservo che a ridosso del referendum questa discussione probabilmente andrà rifatta dopo la data del referendum stesso, per capire se dobbiamo ancora parlare di province oppure se dobbiamo capire chi erogherà il servizio al loro posto.
  Volevo solo porre una domanda. Nel caso di soppressione delle province lei ha fatto cenno alle tasse che attualmente vengono imposte e che, quindi, vengono percepite dalle province per l'erogazione dei servizi, facendo riferimento a RC Auto, IPT, e via elencando. Poi c'è stato un blocco nel suo discorso e si è passati a dire che nel caso poi si procederà a finanza derivata. La domanda è la seguente: nel caso, queste tasse da chi saranno percepite? Arriveranno direttamente allo Stato centrale, che poi provvederà eventualmente, attraverso la finanza derivata, a ripartirle correttamente, o avete già pensato di trovare un sistema diverso?

  FEDERICO FORNARO. Volevo intanto ringraziare il sottosegretario Bressa, non solo per la relazione di oggi, ma, devo dire, anche per l'impegno costante e per il suo approccio pragmatico.
  Detto questo, credo che sia anche giusto ricordare come in questa Commissione questo problema sia stato sollevato in tempi non sospetti e che con altrettanto spirito costruttivo sia stata segnalata l'esistenza di problemi evidenti che non il sottosegretario Bressa, ma probabilmente altri – mi sento di dire – hanno ampiamente sottovalutato. Se mettiamo, infatti, in fila tutte le cifre e i fondi che sono stati creati per attutire un taglio che era sostanzialmente non praticabile, forse – mi sia consentita solo questa battuta – ci si sarebbe potuto pensare prima. Lo dico con altrettanto spirito costruttivo. Facciamo attenzione, perché poi c'è il 2017 e, poiché quel fantasmagorico taglio triplo 1-1-1 in termini di miliardi di euro, siamo a due terzi, da questo punto di vista c'è questa fortissima preoccupazione. Spero che il pragmatismo possa essere, questa volta, vincente sui tagli ideali già in sede di legge di bilancio 2017.
  Pongo una questione concreta, riallacciandomi alle osservazioni del collega Paglia e alle sue, sottosegretario, sul tema governance. A parte il fatto che abbiamo avuto questa situazione un po’ particolare, che ovviamente rientrava nella legge, dell'elezione attorno a Ferragosto di alcuni consigli provinciali, segnalo che la maggior parte, ossia che quelli che avevano applicato in ordinario, perché erano scadenti nel 2014, tra metà settembre – vado a memoria – e i primi di ottobre scadono. A questo punto, partono i novanta giorni per poter indire le nuove elezioni. La mia domanda è se ci sia un'intenzione del Governo di intervenire, altrimenti ci troveremmo in una situazione per cui, indipendentemente dal referendum, avremo eletto nuovi consigli provinciali per due anni in una – vado a memoria – settantina di province. Qualsiasi modifica e intervento sulla governance evidentemente andrebbe a confliggere con queste elezioni. Vorrei capire se il Governo ha in mente la possibilità di prorogare gli attuali consigli provinciali, che – ricordo – hanno questa mi vien da Pag. 8dire bizzarria, ma è meglio dire situazione particolare, di avere i presidenti eletti per quattro anni e i consigli per due, una situazione anch'essa problematica.
  Mi permetto un unico suggerimento di riflessione, sperando che ci sia la possibilità di avere un confronto anche sui temi della governance. In una delle stesure – il sottosegretario Bressa la ricorderà – si cercò di introdurre come rappresentanza all'interno del consiglio provinciale, nella forma dell'assemblea dei sindaci, le unioni dei comuni. L'ipotesi prevedeva che, se si fa l'unione, si ha diritto di rappresentanza all'interno dell'assemblea dei Sindaci, altrimenti no – vado un po’ alla sostanza – saltando il consiglio provinciale, eletto nei modi che ha descritto prima il collega Paglia e che sicuramente, concordo, presenta degli aspetti di criticità.
  Mi chiedo se all'interno di un tema cui spero la Commissione possa dedicare del tempo, cioè il tema che al 31 dicembre 2016 scade il termine per le gestioni associate e, quindi, ancora in tutta quella partita c'è tutto il tema delle unioni, e se non possa essere anche un'azione di stimolo per favorire un processo di riaggregazione nella forma delle unioni, fornendo questo ulteriore elemento – mi si passi il termine – di incentivazione. Letto dall'altra parte, in province che hanno moltissimi comuni, effettivamente questo risolverebbe un'obiezione. Mi consentiranno i colleghi di citare un'esperienza personale. Sono stato sindaco in una assemblea che aveva 195 comuni. Non vi racconto l'esperienza dell'assemblea dei sindaci di 195 comuni, a cominciare dal raggiungere il livello banale minimo di sopravvivenza, che si chiama numero legale, avendo scelto la strada di una testa, un voto.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie (fuori microfono). Lei ha la sfortuna di vivere in Piemonte, che ha 1.450 comuni.

  FEDERICO FORNARO. Lo considero un privilegio e un onore.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie Gliel'ho detto apposta.

  FEDERICO FORNARO. È un onore. È anche per quello che propongo la modifica dell’Italicum, perché il collegio Asti-Alessandria farebbe 315 comuni ed è il più grande d'Italia.
  A parte la battuta, facciamo attenzione, perché poi, se ci mettiamo in alcune realtà, il risultato è questo. Se passiamo, invece, attraverso una struttura intermedia dell'unione dei comuni, a parte le battute, questo potrebbe essere anche un tema di riorganizzazione.
  Oppure un altro suggerimento è lavorare, come avviene negli ATO, per esempio – mi sembra che quello funzioni – per rappresentanti di ambiti ottimali. Questo aiuterebbe anche nella direzione di costruire poi le aggregazioni dei comuni per i servizi sulla base di ambiti ottimali. Questa potrebbe essere un'ulteriore proposta. Che si chiamino distretti, i nomi si possono individuare, ma soprattutto in province molto ampie, con molti comuni, questa potrebbe essere una soluzione. Ovviamente a Prato, dove ci sono pochi comuni, questo non è praticabile. Chiedo scusa della lunghezza del mio intervento.

  FEDERICO D'INCÀ. Ringraziando il sottosegretario Bressa, intervengo solo per chiedere una cosa. Lunedì abbiamo fatto un ritrovo in quel di Belluno, parlando in termini generali, visto che sia io, sia il sottosegretario Bressa, siamo bellunesi. Parlando di tagli, partendo dai 3,7 miliardi, che era quanto dato alle province per il corretto funzionamento prima dei tagli previsti da Monti in poi, e arrivando oggi a indicare che per l'efficientamento servirebbero 2,4 miliardi, contando che dopo i tagli sono rimasti 1,4 miliardi e, con la sommatoria di quello che lei, sottosegretario, ha detto prima, arriviamo, all'incirca, tra i 500 e i 550 milioni. Mancano ancora circa 500 milioni di euro.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. No, non ha calcolato gli avanzi e l'effetto dei mutui.

  FEDERICO D'INCÀ. L'effetto dei mutui, però, termina quest'anno, con il cumulato, Pag. 9per l'amor di Dio. Arriviamo a quanto, all'incirca?

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Il calcolo che è stato fatto si basa sulla somma delle cifre che vi ho fornito, più i calcoli che abbiamo sulla base dei conti consuntivi e delle indicazioni che ci offrono dell'effetto della spalmatura dei mutui e dell'utilizzo degli avanzi, che vengono utilizzati ancora al 75 per cento. Ci sono, infatti, delle realtà che non li hanno utilizzati integralmente. Quelle realtà che non hanno avanzo di amministrazione vengono supportate dai 48 milioni ultimi che vi abbiamo riferito. Questo fa sì che ci sia un'ipotesi di sostanziale equilibrio. Questo è il calcolo sulla base di proiezioni che sono state fatte in relazione ai bilanci che le singole province ci hanno fornito e all'aggiornamento delle loro entrate sulla base delle cose che vi ho riferito.

  FEDERICO D'INCÀ. Di fatto, questo può avere un valore di circa 500 milioni di euro?

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. I mutui valgono 350 milioni e gli avanzi di amministrazione si calcola che siano tra i 200 e i 250 milioni.

  FEDERICO D'INCÀ. Ho capito. Il passaggio sull'ultimo punto era questo, collegandomi sia alla problematica del dopo referendum, nel caso in cui vinca il «sì», che era la domanda del senatore Gibiino. Nel caso in cui vinca il «no» e, quindi, rimaniamo con le province, vorrei sapere se riusciamo a stabilizzare e se l'efficientamento, come lei, sottosegretario, ha detto prima, è raggiungibile a 2,4 miliardi, o se questi 2,4 miliardi sono semplicemente la sopravvivenza fisica delle province senza, di fatto, alcun investimento da esse prodotto. In alcune province, come nel bellunese, all'interno dei comuni si va poi a sopperire con il fondo ex ODI, che lei, sottosegretario, conosce perfettamente e che di fatto diventa semplicemente uno strumento per fare qualcosa che la provincia non può più fare. Di fatto questi diventano soldi non spesi per poter avere un qualcosa in più rispetto alle regioni confinanti. Tra l'altro, lei, sottosegretario, conosce perfettamente il tipo di province che circondano il bellunese. Tali risorse sono utilizzate per la gestione quasi ordinaria, per la sopravvivenza del territorio.

  PRESIDENTE. Non ci sono altre domande. Anch'io mi associo ai ringraziamenti al sottosegretario Bressa, che è un po’ la memoria storica su questo tema. Non vuole essere irrituale questo riferimento, perché senza memoria storica sarà poi anche più difficile metter mano alla «manutenzione straordinaria» della legge n. 56 del 2014, di cui è stato detto con chiarezza nell'introduzione quali sono le motivazioni.
  Ringrazio anche i colleghi, non solo per le domande, ma anche per le proposte che sono venute fuori questa mattina, a conferma di un taglio propositivo che, in questa Commissione, abbiamo cercato di offrire su queste tematiche, tenendo anche conto che la maggioranza dei suoi componenti è gente che ha fatto esperienze nei comuni, nelle province, nelle amministrazioni.
  Mi limito solo a richiamare una questione rispetto a quanto hanno già detto i colleghi, quella che è stato rilevato essere una piccola dimenticanza nell'introduzione, cioè la vicenda delle città metropolitane. Mi pare che meriti un'attenzione particolare. Anche se nell'introduzione è stato detto che sostanzialmente l'esito del referendum non cancella le funzioni delle aree vaste, l'ultima domanda del collega D'Incà, invece, credo meriti un'ulteriore precisazione in più, anche da parte del sottosegretario, che ringrazio ancora una volta e a cui do la parola per replicare.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Grazie, presidente, e grazie soprattutto a voi, onorevoli senatori e deputati, perché avete fatto delle domande estremamente puntuali, fornendo anche delle indicazioni estremamente utili. Lascio alla Pag. 10fine – non è stata una piccola dimenticanza, ma è stato proprio un vuoto nella mia relazione – le città metropolitane. Tratterò il tema conclusivamente. Seguo l'ordine con cui avete fatto le domande.
  A proposito del taglio di un miliardo per il 2017, io l'ho detto in una forma un po’ tendente a non essere del tutto esplicita, ma mi pare del tutto evidente dalle cose che vi ho detto che ci sia la consapevolezza che il taglio di un miliardo per il 2017 porti al collasso del sistema delle province. Quindi, non è possibile immaginare che questo taglio di un miliardo venga mantenuto. Come si corra ai ripari per definire questo problema non sono ancora in grado di dirvelo, perché, come ho affermato all'inizio, il confronto con le province è iniziato ieri. Tuttavia, la consapevolezza è comune. Quel miliardo rischia di sbilanciare definitivamente e in maniera irreversibile, arrivando alle conclusioni cui faceva cenno anche l'onorevole Paglia, ossia il fallimento. Poiché non si ritiene assolutamente utile il fallimento della legge Delrio, che, a mio modo di vedere – al di là di queste vicende finanziarie, che non sono poca cosa, ma sono frutto di una contingenza particolare – ha delle potenzialità e fornisce delle occasioni per ridefinire l'architettura istituzionale di enti locali molto importanti, il Governo intende, come ho accennato anche prima, non solo puntare sulla legge n. 56 del 2014, ma anche rivederla per attualizzarla e superare quelle questioni che si sono dimostrate non all'altezza dell'ambizione di questa legge, questo proprio sulla base della prova dei fatti.
  Chi di voi ha seguito in sede di approvazione la legge Delrio sa che la stessa esce dal Governo e alla Camera passa con un meccanismo di fatto non elettorale, nel senso che le rappresentanze erano rappresentanze territoriali pure. Nella discussione al Senato e poi in quella alla Camera si inserisce questo elemento di «politicizzazione» delle elezioni, ma il senso della legge Delrio, dell'elezione di secondo grado è che siano i sindaci chiamati a scegliere direttamente e a decidere direttamente su materie che sono proprie dell'area vasta.
  Pur non avendo la brutalità dell'espressione usata dall'onorevole Paglia, per cui questo sarebbe un meccanismo estraneo alla democrazia, lo ritengo un meccanismo assolutamente falsante, questo sì. Pertanto, non ha senso, non ha materialmente senso, che ci siano liste per eleggere amministratori al consiglio provinciale, ma arrivo a dire di più e affermo che non ha senso che ci sia il consiglio provinciale tout-court. Questo sarà oggetto di una discussione con il Parlamento, esprimo la mia opinione e non la soluzione. È del tutto evidente che, se questo è l'orientamento, ossia destrutturare tutte quelle che possono essere occasioni non pertinenti di rappresentanza, si arriva al problema ricordato dal senatore Fornaro: ci sono regioni che hanno 48 comuni e ci sono regioni che ne hanno 1.500. Credo che dovremmo avere un sistema mobile. La provincia di Prato avrà l'assemblea dei sindaci, ma anche la provincia di Belluno, che di comuni ne ha 64, è un'assemblea che è in grado di sostituire un consiglio provinciale. È ovvio che la provincia di Cuneo, che ne ha 250, non può fare l'assemblea.
  Pertanto, bisognerà trovare degli strumenti e mi pare che l'indicazione data dal senatore Fornaro di ragionare sulla base dell'unione o di altro sia valida. Preferirei sulla base dell'unione, perché questo porterebbe anche a fare la seconda parte del processo, che non ho affrontato perché sarà oggetto di un provvedimento del Governo all'indomani del referendum, e a rimettere in moto il sistema per le unioni e le fusioni dei comuni. Mi pare un'indicazione molto seria, da prendere in considerazione.

  FEDERICO FORNARO. Mi chiarisce questo passaggio? Dopo il referendum, il Governo cosa intende fare?

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Abbiamo pronta da alcuni mesi un'ipotesi di legge per favorire le unioni e le fusioni. Come tutte le attività ordinamentali, è stata messa in attesa dell'esito del referendum. Credo che ci sia una correttezza, Pag. 11 perché non si può ragionare a condizioni date, se poi le condizioni cambiano, o immaginare di ragionare a condizioni che cambiano, se poi non cambiano. Tuttavia – questo lo ricorderete perché ne abbiamo parlato altre volte – l'ente di area vasta, al di là delle funzioni di strade e scuole, ha una capacità di regia rispetto agli altri comuni che dovrebbe, in qualche modo, essere esaltata. La funzione di area vasta potrebbe assumere la capacità di progettare, nell'arco di un triennio, ripetibile, una programmazione di unioni e di fusioni dei comuni all'interno della propria area.
  Dentro questa logica la proposta che lei fa, di sostituire il consiglio laddove le province abbiano molti comuni con strumenti di questo genere mi pare molto utile, fermo restando che, invece, le province che hanno un numero di comuni gestibile sotto forma di assemblea mantengono quella come forma.
  Passo a una domanda che è stata fatta anche da altri. Il punto di equilibrio dei bilanci che abbiamo detto, i 2,4 miliardi, è un punto di equilibrio che garantisce le province, ma che garantisce anche l'attività essenziale per quanto riguarda strade, scuole e il resto. È chiaro che questo dovrebbe essere il punto di ripartenza.
  Se nella revisione della legge n. 56 del 2014 le funzioni di strade e scuole rimangono in capo alle province, molte delle risorse che sono state messe a disposizione anche con «Casa Italia» e «Progetto Italia», avendo finalizzazioni di riassetto idrogeologico e di misure antisismiche, riguardano nella stragrande maggioranza dei casi scuole, strade e altre infrastrutture. È del tutto evidente che, se non vogliamo inventarci altri enti, la dimensione dell'area vasta diventi logicamente quella più propria.
  Vorrei che uscissimo da questa sorta di frontiera relativa a se vince il «sì» o se vince il «no». Dobbiamo partire dal presupposto che gli enti di area vasta comunque ci sono. Se vince il «sì», ci sono delle opportunità che si aggiungono. Se vince il «no», gli enti di area vasta restano così come sono adesso e devono essere programmati per fare le cose che sono state assegnate loro, con, nel caso della revisione della legge n. 56 del 2014, gli aggiustamenti che il Parlamento deciderà di fare. Forse mi sono spiegato male. RC auto e IPT resteranno le fonti di finanziamento delle province. Si tratta di capire se diventino tasse che incassa lo Stato e che trasferisce sulla base dei parametri che vi ho accennato, sulla base della spesa storica, dei fabbisogni standard e via elencando, e vengano restituite alle province. Quindi, non c'è l'indeterminatezza. Si tratta di vedere se questo basta, se questo è il modo più adatto, se si possono immaginare altre forme di finanziamento, ma questo sarà oggetto, in primissima battuta della legge di stabilità e, nel corso dell'anno prossimo, nel caso in cui si dovesse arrivare alla modifica della legge n. 56 del 2014, sarà anche l'occasione per valutare queste cose. Ritengo, infatti, che uno dei limiti della riforma Delrio sia che – fu fatta così per condizioni parlamentari oggettive – non ha affrontato il tema del finanziamento delle nuove province, demandandolo poi alle leggi di stabilità. Questo è un altro tema che deve essere affrontato.
  Devo dare ancora due risposte, di cui una al senatore Fornaro relativamente alle elezioni di adesso. Su questo diciamo che il Governo aveva opinioni diverse, nel senso che c'era chi era favorevole a un rinvio e chi diceva che non potevamo farlo e che, se poi si cambia, si cambierà. Diciamo che al punto in cui siamo arrivati, ossia che non tutte le province hanno colto l'occasione dei novanta giorni a partire da adesso – alcune province hanno già convocato le elezioni – sarà difficile intervenire su un meccanismo che per metà ha fatto una scelta e per metà un'altra. Mi rendo conto comunque che è stato ed è un elemento di incertezza che potevamo risparmiarci, ma non credo che possa creare dei problemi.
  Tornando al discorso, al quale ho già in parte risposto, dell'onorevole D'Incà, i 2,4 miliardi sono il punto di equilibrio che garantisce delle attività. A questo, però, dovete immaginare che si sono aggiunti dei fondi che sono, per la stragrande maggioranza, finalizzati a scuole e strade.

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  FEDERICO FORNARO. Mi perdoni, solo una cosa. Chiedo scusa se interloquisco. I 2,4 miliardi sono il punto di equilibro, ma con livello di manutenzione minima, al di sotto degli standard minimi. Sulle strade siamo al di sotto. Lo dico per esperienze personali.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Sì. Ci sono fondi che sono partiti quest'anno, ma è del tutto evidente – anche i 350 milioni sono stati finalizzati per strade e scuole e, poi, c'è il fondo dei 100 milioni – che l'obiettivo è quello e che quelli sono i fondi che devono essere implementati.
  Passo alla questione delle città metropolitane. La questione delle città metropolitane è probabilmente la questione più delicata. La legge Delrio ha rotto un incantesimo che durava da trent'anni, perché dalla legge n. 240 del 1990, che aveva istituito le città metropolitane, non eravamo mai riusciti a individuarle, non a farle partire. La legge Delrio ha fatto un'operazione brutale, dicendo che le città metropolitane sono queste e il Parlamento, durante la discussione, non ha avuto la capacità di cogliere la profonda differenza che c'è tra una città metropolitana e un altro ente. Questo, in qualche modo, ha fatto sì che anche per la gestione delle varie città metropolitane esse siano state immaginate o come un'elaborazione delle vecchie province, o come un grande comune, sfuggendo il fatto che la città metropolitana non è un ente territoriale che si aggiunge, ma una dimensione diversa, destinata a programmare lo sviluppo delle comunità su cui agisce e a interloquire con il livello regionale in maniera molto seria.
  A seconda delle regioni, i rapporti che ci sono stati tra regioni e città metropolitane sono stati variamente collaborativi. Ci sono alcune realtà in cui i problemi non ci sono stati e ci sono altre realtà in cui vi è stata una sorta di competizione tra regione e città metropolitana che ha fatto sì che le città metropolitane non decollassero. L'esempio più clamoroso è nel Veneto, dove non solo Venezia viene considerata un problema, ma addirittura si consente di fare un referendum per dividere la città di Venezia in due. Queste sono questioni che riguardano le assemblee regionali.
  Penso che nella revisione della legge n. 56 del 2014 il capitolo città metropolitane sia quello che ha bisogno del maggior sforzo culturale, ossia di ridefinizione e di ripensamento di che cosa sia la città metropolitana e anche di come si possano modificare o creare nuove città metropolitane. Adesso è molto complicato modificare il territorio di una città metropolitana. Alla Camera fu approvato un emendamento, che poi fu «cassato» al Senato, che consentiva a province che, sommandosi, superassero i 2 milioni di abitanti di dare vita ad aree metropolitane, sul modello francese. Per me, il tema del governo metropolitano è la questione che maggiormente dovrà essere oggetto di studio, approfondimento e confronto parlamentare.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Bressa per la consueta franchezza e competenza.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.