XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 69 di Mercoledì 24 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie, Gianclaudio Bressa, sulla situazione finanziaria di province e città metropolitane, in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56 (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento della Camera dei deputati):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie ... 3 ,
Zanoni Magda Angela  ... 6 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie ... 6 ,
Fornaro Federico  ... 7 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie ... 7 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 9 ,
Zanoni Magda Angela  ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 9 ,
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 11 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie ... 11 ,
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 11 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie ... 11 ,
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 11 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie ... 11 ,
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 11 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie ... 11 ,
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 11 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie ... 11 ,
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 11 ,
Collina Stefano  ... 12 ,
Marantelli Daniele (PD)  ... 13 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 13 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie ... 13 ,
Fornaro Federico  ... 14 ,
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie ... 14 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie, Gianclaudio Bressa, sulla situazione finanziaria di province e città metropolitane, in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie, Gianclaudio Bressa, sulla situazione finanziaria di province e città metropolitane, in attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56.
  Ringrazio il Sottosegretario Bressa e i suoi collaboratori, ovvero la dottoressa Dainelli e il dottor Rossi, che lo accompagnano in questa audizione di prima mattina. L'argomento è noto perché lo abbiamo già trattato in diverse occasioni, ma periodicamente facciamo il punto della situazione, posto che essa è particolarmente complessa.
  Do la parola al Sottosegretario per lo svolgimento della relazione.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie. Grazie, Presidente. Come ho già avuto modo di dire in una precedente audizione, ci troviamo di fronte a un disegno di riforma molto particolare che ha cercato di ridefinire l'architettura istituzionale delle autonomie locali. L'avere scelto la dimensione provinciale ha significato tentare di creare uno snodo tra il livello comunale e quello regionale tale da poter produrre una forte semplificazione del sistema.
  Infatti, riguardo agli enti di area vasta e alle città metropolitane, la legge n. 56 ha tentato di disarticolare il sistema. Tuttavia, per le città metropolitane si deve fare un discorso a sé stante perché, benché previste dalla Costituzione, con esse si gioca una partita peculiare, quella della capacità di essere una forma nuova e più efficace di governo dei centri metropolitani più importanti del Paese, anche per poter concorrere con i sistemi metropolitani europei.
  Come sapete, della stragrande maggioranza di organismi intermedi – il mitico numero di 8.000 – che dovrebbero essere semplificati, oltre 6.000 si trovano, come dimensione, tra il comune e la regione, quindi la riforma dell'area vasta ha tentato, togliendo qualsiasi rilievo politico all'ente provincia, di trasformare questi organismi in enti di secondo grado, rappresentativi degli interessi dei territori su cui insistono.
  È stata un'operazione molto complessa, anche perché, accanto alla dimensione del riordino istituzionale, abbiamo dovuto fare i conti con due manovre di finanza pubblica pesanti, che sono state alleggerite con interventi successivi, ma che comunque hanno lasciato il segno in maniera molto incisiva sul sistema della finanza pubblica degli enti locali e delle province in particolare. Pag. 4
  Vengo brevemente a informarvi sullo stato dell'attuazione della legge n. 56, che, come sapete, definiva le funzioni fondamentali delle province e affidava alla legislazione regionale la definizione delle cosiddette «altre funzioni».
  Nel fare questo tipo di scelta si è innescato un meccanismo estremamente complesso dal punto di vista sia legislativo, perché dovevano intervenire 15 consigli regionali, sia con riguardo alla mobilità del personale.
  Nel corso del 2015 e nei primi mesi del 2016 abbiamo assistito alla più grande operazione di mobilità del personale della pubblica amministrazione mai realizzata, con le cifre e gli esiti che vado a illustrarvi. Comincerei con il darvi il quadro schematico della situazione delle leggi regionali attuative della legge n. 56.
  Procedendo in ordine cronologico, la prima regione che è intervenuta è stata la Toscana, che ha riordinato le funzioni con la legge del 3 marzo 2015, prevedendo l'avvio del trasferimento del personale dal 1° dicembre 2015, con una copertura integrale del costo dello stesso. La seconda regione a intervenire è stata l'Umbria, il 2 aprile 2015, con trasferimento delle risorse del personale dal 1° novembre 2015. Le Marche sono intervenute il 3 aprile, con il trasferimento del personale a partire dal 1° gennaio 2016.
  Ovviamente, quando parlo di trasferimento del personale, intendo dire che ne hanno assunto interamente il costo.
  La Liguria è intervenuta il 10 aprile 2015, con trasferimento delle risorse umane, beni e risorse finanziarie a partire dal 1° luglio 2015. La Calabria ha approvato tale trasferimento il 22 giugno 2015, attraverso una norma finanziaria generica, che ha comunque garantito la copertura dei costi del personale trasferito dalle province alle regioni per l'anno 2015, prevedendo un'analoga copertura finanziaria con la legge finanziaria regionale per il 2016.
  La Lombardia è intervenuta in data 8 luglio 2015, con una norma finanziaria che parametra la copertura ai mesi di effettivo svolgimento delle funzioni relativamente al 2015, prevedendo, per il 2016, la copertura integrale, con una riduzione di 10 milioni di euro rispetto al bilancio consolidato.
  L'Emilia Romagna ha approvato il 30 luglio ed è l'unica regione che ha coperto i costi del personale a partire dal 1° gennaio 2015. L'Abruzzo ha approvato la legge il 13 ottobre e ha assunto 162 persone; altre 100 stanno per essere assunte, quindi restano nel portale (del quale parleremo tra poco) 133 persone.
  La Basilicata ha approvato la legge il 6 novembre e ha previsto la copertura, sia per la parte residua del 2015, sia per tutti gli anni successivi. La Puglia è la regione più critica dal punto di vista della legge regionale perché ha approvato la legge il 27 ottobre, ma ha rinviato ad atti successivi la definizione dell'onere finanziario, quindi in questo momento è l'unica regione che non ha ancora provveduto a garantire la copertura delle spese.
  Se ricordate, in sede di legge di stabilità è stato predisposto un apposito fondo che servirebbe proprio per coprire i ritardi del mancato trasferimento del personale, anche con la previsione di obblighi – che, peraltro, vanno in scadenza alla fine di questo mese – di valutazione della possibilità di procedere a un commissariamento per garantire il trasferimento. Infatti, là dove – è il caso solo della Puglia – non ci siano stati questi trasferimenti tutto il personale è ancora a carico delle province di quella regione.
  Il Veneto ha approvato la legge il 27 ottobre 2015 e ha coperto per 28.256.000 euro i costi per il 2015, mentre per il 2017 prevede una copertura di 40 milioni, cioè grossomodo i costi delle funzioni precedenti, che nel frattempo sono state razionalizzate.
  Il Piemonte è intervenuto il 27 ottobre, con la copertura dell'intera spesa del personale dal 1° gennaio 2016. La Campania ha approvato la legge il 30 ottobre 2015 e si trova nella fase finale della riattribuzione delle funzioni, ma nella legge di stabilità la copertura finanziaria dei costi del personale è prevista dal 1° di gennaio. Il Molise ha approvato la legge di riordino il 10 dicembre 2015 e ha garantito la copertura Pag. 5 delle spese per il personale dal 1° gennaio 2016.
  Il Lazio è in una situazione particolare in quanto, con una delibera della giunta, ha provveduto alla copertura delle risorse finanziarie, con l'eccezione del personale della Polizia provinciale: tale personale, prima che ci fosse la crisi, era stato assunto dal comune di Roma, immaginando di poterlo riqualificare come polizia metropolitana. Quindi, il Lazio si trova nella strana situazione per cui ha provveduto alla copertura finanziaria delle spese per il personale ma, per motivi non connessi alla legge n. 56, bensì attinenti alle dinamiche politiche del consiglio regionale, non ha ancora approvato la legge.
  Riassumendo la situazione è la seguente. Al 1° gennaio 2015, i dipendenti al servizio del sistema provincia e città metropolitane erano 41.205. Ci sono stati 1.312 pensionamenti al 31 luglio 2015 e vi sono 2.889 persone che possiederanno i requisiti per il pensionamento al 31 dicembre 2016, ovviamente spalmati nel corso di quest'anno, per cui il totale dei soggetti pensionabili entro la fine di quest'anno è di 4.201 persone.
  La mobilità ha interessato 741 posizioni di cessazione per mobilità nel periodo dal 1° gennaio al 31 luglio 2015; 1.000 persone sono state messe in mobilità con il primo bando di mobilità del Ministero della giustizia e 92 con il secondo; ci sono, inoltre, 1.957 dipendenti in mobilità generale collocati sul portale della pubblica amministrazione, il che dà un totale di 3.790 persone in mobilità con queste caratteristiche.
  Faccio presente che, rispetto ai 1.957 dipendenti in mobilità generale collocati sul portale, c'è un'offerta da parte delle amministrazioni centrali e periferiche dello Stato di 3.149 posizioni, quindi la possibilità dell'assorbimento di queste persone è ampiamente garantita.
  Il dato più significativo riguarda i 328 dipendenti in comando che sono stati assegnati alle altre istituzioni. Infatti, nel decreto-legge n. 78 del 2015 era stata prevista una norma per chi si trovava in comando dalla provincia presso un'altra istituzione, che, a sua domanda, poteva essere stabilizzato in quella istituzione. Questo ha riguardato, appunto, 328 persone.
  Quindi, ci sono 5.575 dipendenti che sono stati ricollocati presso le regioni e 5.337 dipendenti che sono stati ricollocati presso i centri per l'impiego; tali centri meritano, peraltro, un discorso a sé stante. Come sapete, due erano le questioni rimaste in sospeso al momento dell'accordo con i sindacati e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, là dove non si prevedevano norme che riguardavano il personale oggetto dell'attuazione delle deleghe legislative da parte del Governo.
  Le deleghe in sospeso erano, appunto, due: una riguardante il riordino della polizia, che è stato disciplinato in altro modo, con una norma del citato decreto-legge n. 78 del 2015, e l'altra sui dipendenti dei centri per l'impiego. Su questo è in corso una discussione tra Governo e regioni sull'assetto futuro, sulla definizione dell'Agenzia nazionale, se verrà istituita, e sul suo rapporto con le agenzie regionali.
  Pertanto, nel dispiegarsi dell'attuazione della delega è stato raggiunto, sia con le regioni sia con i sindacati, un accordo per un periodo transitorio fino al 31 dicembre 2016 e sono state firmate tutte le convenzioni tra il Governo, il Ministero del lavoro e le singole regioni, che hanno portato al collocamento di questo personale.
  La prospettiva è nel senso di un incremento del numero degli addetti dei centri per l'impiego, ma questo, ovviamente, avverrà nel momento in cui ci sarà la conclusione dell'esercizio della delega.
  Inoltre, l'esercizio di questa delega presenta un ulteriore elemento problematico, poiché la riforma costituzionale in atto prevede che la materia relativa alle attività proattive per il lavoro – che costituiscono la missione dei centri per l'impiego – diventi di esclusiva competenza statale.
  La competenza in materia di formazione professionale resta, però, regionale, per cui pare di capire – anche dagli accordi che sono stati raggiunti fino adesso – che l'Agenzia nazionale dovrebbe avere una funzione di coordinamento complessivo, lasciando la gestione operativa alle singole Pag. 6agenzie regionali. Insomma, probabilmente il modello che è stato costruito come transitorio potrà trasformarsi nel modello assestato. Questa, però, è solo una mia previsione perché non ci sono ancora elementi di certezza a riguardo.
  Quindi, il totale della riduzione del personale delle province è stato di 19.231 persone e l'attuale numero di addetti del personale delle aree vaste e delle città metropolitane è di 21.974 persone.
  Come ho detto, si è trattato dell'operazione di mobilità più consistente effettuata finora, ma devo dire che non ha comportato problemi concreti. Ci sono stati alcuni momenti di tensione in alcune realtà, le quali, tuttavia, scontano il fatto di essere in dissesto già da prima che venisse avviata la riforma prevista dalla legge n. 56.
  Mi riferisco, in particolare, alle province di Biella e a Crotone, che hanno patito una situazione obiettiva di difficoltà che si sta cercando di risolvere. La prossima settimana ci sarà un incontro a Roma con il presidente della provincia di Crotone e con le organizzazioni sindacali per trovare una soluzione a questi problemi.
  Quelli che vi ho esposto sono gli aspetti principali della questione. Infatti, a partire dal 1° gennaio 2016 per la prima volta – con l'eccezione della Puglia – ci sono enti di area vasta che fanno i conti con il personale che serve per garantire le funzioni fondamentali.
  Si è trattato, sostanzialmente, di un dimezzamento del numero degli addetti, il che non ha significato un dimezzamento dei servizi che vengono garantiti. Tale processo è infatti avvenuto attraverso le leggi regionali, con attribuzione delle funzioni direttamente alle regioni oppure, attraverso la forma dell'avvalimento, attraverso le aree vaste, che garantiscono lo specifico servizio.
  Sulla situazione finanziaria delle province, cito i dati riassuntivi riferiti agli ultimi anni. Nel 2013 per città metropolitane e province la spesa corrente è stata 7,529 miliardi; quella del 2014 è stata 6,541 miliardi; quella del 2015 – primo anno dell'avvio della riforma – è stata ancora di 5,010 miliardi perché, come vi ho detto e come avete appreso dalle varie decisioni assunte con le leggi regionali, l'anno scorso le province hanno sopportato la maggior parte del peso del personale rispetto a funzioni che non erano più loro.
  Difatti, con il decreto n. 78 a metà del 2015 si è provveduto a fornire strumenti idonei a garantire alle province l'equilibrio di bilancio, per cui alla fine, con l'eccezione di cinque province in una situazione di disequilibrio, tutte le altre sono riuscite a chiudere in equilibrio.
  La riduzione di spesa, dal 2013 al 2015, è stata di 1,515 miliardi.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Le chiedo di avere uno schema riassuntivo, se è possibile.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie. Senatrice, mi conosce: io sono un asistematico per definizione. Parlo sempre a braccio, ma sono asistematico non nelle cose che dico, ma in quelle che non scrivo, per cui vi lascio i miei appunti e poi magari ve li trasformo. Comunque, i numeri sono qui. Dovete fare la tara degli appunti che ho scritto a mano. Ve li manderò, però, anche nel formato pulito, così trasformerete voi quello che sto dicendo in relazione.
  A ogni modo, il taglio è stato di 1,515 miliardi di euro; ciò derivava dalle manovre di finanza pubblica ordinaria. Dopodiché abbiamo incrociato la riforma Delrio con due manovre molto pesanti di riforma della finanza pubblica, per cui nel 2015 ci sono stati 1,672 miliardi di tagli, che, però, sono stati parzialmente recuperati con il decreto-legge n. 78, che ha rimesso in sostanziale equilibrio la situazione.
  Nel 2016, ai tagli che sono stati fatti negli anni precedenti si sono aggiunti ulteriori 900 milioni, di cui 250 per le città metropolitane e 650 per le province.
  Ora, prima di andare avanti vi devo dare un dato che vi serve per capire. Lo sforzo fiscale massimo che le province possono fare – vi do questi dati perché sono standardizzabili in quanto comuni a tutte le province – sulla base dei tributi loro propri (l'RC auto, il tributo provinciale per Pag. 7l'esercizio delle funzioni ambientali (TEFA), la tassa di trascrizione, più un centinaio di milioni di tariffe) è di 3,817 miliardi, ai quali si aggiungono altri 840 milioni di entrate non standardizzabili, di cui 340 milioni della TOSAP e 504 milioni di utili di società e altri proventi, come i canoni idrici, i quali, però, non sono distribuiti in maniera omogenea e razionale sul territorio.
  Pertanto, abbiamo 4,657 miliardi come entrate complessive, di cui però quelle tributarie certe, ovvero standardizzabili per tutto il sistema delle province, sono pari a 3,8 miliardi.

  FEDERICO FORNARO. Questo è un dato storico?

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie. No, è il dato al massimo dello sforzo fiscale. Tenga presente che con l'eccezione di una provincia tutte le province erano al livello massimo dello sforzo fiscale. Quest'anno non possono, perché non possono fare nessun aumento. Non è un problema di essere bravi o meno.
  Comunque, era rimasta fuori una provincia, che ha una condizione finanziaria che la garantisce. Non è una situazione che mi preoccupa; non vi dico qual è altrimenti vi mettete a ridere e fate un sacco di polemiche. È una provincia che ha un'entrata straordinaria e assolutamente incomparabile grazie alle multe.
  È la Provincia di Brescia, che ha una mole di entrate molto elevata per questo motivo, quindi non aveva lo sforzo fiscale al massimo. È un dato dieci volte più alto rispetto alla media. Ci sono, altre situazioni che presentavano profili problematici, le quali sono state tuttavia sistemate.
  In ogni caso, teoricamente il dato dal quale dobbiamo partire è che la spesa efficientata per garantire le funzioni fondamentali delle province è pari a 2,361 miliardi. Quando si dice «spesa efficientata» significa che si sono presi gli ultimi dati che erano certificati, cioè i conti consuntivi del 2012, e poi, a partire da alcuni valori, si sono calcolati i fabbisogni delle rispettive province, avendo a riferimento le funzioni fondamentali e, in modo particolare, il sistema delle strade, delle scuole e il possibile grado di polarizzazione sul capoluogo.
  L'anno scorso abbiamo proceduto a una definizione dei fabbisogni standard che è stata un grande passo in avanti rispetto al passato perché abbiamo superato il sistema della spesa storica. Quest'anno siamo in corso di affinamento.
  Utilizzare questi bilanci senza immaginare dei correttivi significa creare delle disparità che derivano dalla situazione oggettiva. Vi faccio un esempio. La provincia di Monza ha tantissimi abitanti, ma pochissime strade; la provincia di Rieti (o quella di Cuneo o di Belluno) ha pochissimi abitanti, ma tantissime strade. Per questo nella distribuzione delle risorse di quest'anno – a differenza dell'anno scorso, il taglio previsto è stato compensato con una serie di interventi già in sede di legge di stabilità – e nella riattribuzione di fondi per particolari funzioni stiamo cercando di affinare al massimo il criterio basato sui fabbisogni e sullo sforzo fiscale massimo, su cui, come vi ho già detto, c'è poco da fare, posto che esso è già al massimo per tutti.
  Quindi, i dati relativi al 2016 sono i seguenti. Il taglio di 250 milioni per le città metropolitane è stato compensato con un fondo, per cui la posizione delle città metropolitane resta in equilibrio rispetto ai valori del 2015. Riguardo al taglio di 650 milioni sulle aree vaste, vi è stato un recupero di 245 milioni dovuto a fondi che sono stati rimessi in gioco per garantire una perequazione. Poi, sono stati aggiunti 100 milioni finalizzati a interventi sulle strade ex ANAS, nonché 70 milioni per coprire i costi relativi alla disabilità sensoriale e alla disabilità grave degli studenti delle scuole secondarie superiori.
  In questo caso ci siamo trovati di fronte a una sorta di blackout normativo perché queste funzioni erano da sempre allocate presso le province, senza che ci fosse mai stata una precisa definizione normativa. Ciò ha determinato un importante contenzioso davanti alla Corte costituzionale, la Pag. 8quale, tre o quattro anni fa, ha definito la questione, affermando che non rileva chi sia l'ente o l'istituto che si assume in carico questi oneri perché si tratta di diritti fondamentali della persona, i quali devono essere comunque garantiti.
  Quindi, sulla base dei dati che siamo riusciti ad acquisire nel corso dello scorso anno, abbiamo provveduto a valutare la spesa complessiva per questo tipo di disabilità in 110 milioni, di cui 70 milioni sono stati coperti dallo Stato e 40 milioni sono a carico delle regioni, dunque verranno compensati con il loro fondo.
  Ci sono poi altri due fondi molto importanti, uno dei quali, di 20 milioni, per garantire il personale che non è stato trasferito alle regioni. Questa cifra coprirà, a partire da subito, i costi per il personale della Puglia, sollevando le province pugliesi da questo onere. Vi sono, inoltre, 40 milioni stanziati per il riequilibrio, i quali serviranno a riequilibrare il fenomeno di cui vi parlavo prima: definiti i fabbisogni e non potendo modificare geograficamente e socialmente l'Italia, con questo sistema cercheremo di compensare. Ugualmente, il taglio avverrà con questi stessi sistemi compensativi.
  A questo punto, ci poniamo, però, un problema di prospettiva estremamente serio.
  Posto che la riforma costituzionale troverà la sua conclusione ad aprile con il voto della Camera e, probabilmente a ottobre, con il voto sul referendum, nell'ipotesi che vinca e che quindi ci sia il nuovo assetto costituzionale, dobbiamo riflettere su quale debba essere il sistema di finanza per gli enti di area vasta e le città metropolitane.
  Le città metropolitane continuano a essere garantite anche dalla Costituzione, invece gli enti di area vasta hanno una norma transitoria che ne garantisce la continuità dunque possiamo modificare l'ente provincia nella Costituzione come ente politicamente rappresentativo, ma non possiamo eliminare la dimensione amministrativa dell'area vasta.
  Per esempio, per i 125.000 chilometri di strade provinciali o troviamo una soluzione altra (per esempio, li affidiamo tutti all'ANAS) oppure qualcuno deve preoccuparsene. Lo stesso dicasi per le scuole. Questo però è un tema diverso.
  Per chiudere questa prima parte, vorrei dire che non possiamo più immaginare di avere un sistema basato su entrate tributarie proprie, per cui ci stiamo avviando, pur utilizzando lo stesso tipo di tributi, verso una forma di finanza derivata. Pertanto, l'RC auto, la TEFA e l'ITP diventano tasse statali. Ciò potrebbe aiutare anche rispetto ad alcuni effetti negativi di dumping che sono stati prodotti dalla possibilità di elevare la tassa di trascrizione o l'RC auto. Infatti, le grandi società di leasing automobilistico operavano dove queste tasse erano più basse (non in Val d'Aosta, ma a Firenze e a Trento, che erano i due poli attrattivi).
  Quindi, questo sarà il tema vero che dovremo affrontare, anche perché resta ancora da definire l'utilizzabilità o meno della previsione di tributo che la legge sul federalismo fiscale aveva previsto, ovvero quella tassa di imbarco e sbarco aeroportuale. Credo, dunque, che dovremmo ritrovarci per discutere di questo.
  Restano, però, altre due questioni politicamente connesse a tutto ciò. La prima è che le funzioni di prospettiva dell'ente di area vasta, probabilmente, non si giustificano più solo con la funzione di gestire le strade e le scuole. Infatti, nel corso di questo anno e mezzo sta maturando l'idea che l'assemblea dei sindaci diventi sempre più lo strumento di governo dell'ente di area vasta.
  C'è, infatti, sempre più una cultura che fa capire ai sindaci che la dimensione dell'area vasta appartiene loro. Questa potrebbe essere un'occasione straordinaria per immaginare, nell'ambito dell'area vasta, una funzione di programmazione per tutto il processo di unioni e fusioni dei comuni – con dei meccanismi in corso di elaborazione – in modo tale da superare la logica illuminista che c'era stata con provvedimenti precedenti in cui si stabilivano delle soglie e si costringevano i comuni a procedere in questa direzione. Questa logica ha dimostrato di non aver prodotto Pag. 9risultati perché le fusioni sono state poche decine, come anche le unioni.
  Tale questione porta con sé – ed è l'ultimo degli argomenti che voglio affrontare – la possibilità di immaginare una revisione della governance delle province. Infatti, ragionevolmente, se gli enti di area vasta sono davvero enti rappresentativi di secondo grado, per cui i protagonisti di questa dimensione sono i sindaci, dobbiamo porci il tema se non sia il caso di semplificare il sistema di governance, immaginando il presidente, dei consiglieri delegati, che possono svolgere, appunto, le funzioni delegate dal presidente, e l'assemblea dei sindaci. Occorre quindi cominciare a pensare che probabilmente lo strumento del consiglio provinciale, che è l'unico sistema che paga il retaggio di una debole, anche se residuale, forma di rappresentanza politica, possa essere modificato.
  Questo è il quadro dell'attuazione della legge n. 56, con luci e ombre. In particolare, le ombre derivano dal fatto che questo processo di riforma è avvenuto in un momento di manovre finanziarie pesanti per il sistema. Vi sono, però, luci perché, visitando il Paese, ho registrato che, rispetto agli atteggiamenti iniziali di perplessità e ostilità rispetto alla manovra, è cresciuta progressivamente, in maniera esponenziale, la consapevolezza che questo è uno strumento capace di modificare davvero l'architettura istituzionale.
  Se a ciò si aggiunge che con il decreto n. 78 del 2015 si consente alle regioni di poter ridefinire la geografia delle proprie aree vaste – cosa che per il momento può avvenire più per una definizione politica, ma, se dovesse essere approvata la riforma costituzionale, non essendoci più bisogno del referendum, potrebbe avvenire dal punto di vista di opzione non solo politica, ma anche legislativa regionale – questo potrebbe portare a un'ulteriore semplificazione del sistema delle aree vaste nel nostro Paese.
  Ci sono quindi alcune aree vaste che hanno una dimensione adeguata, ma abbiamo anche enti che pagano il prezzo di un sottodimensionamento, cosa che, in una prospettiva di razionalizzazione, potrebbe essere difficilmente sostenibile.

  PRESIDENTE. Grazie, sottosegretario. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Grazie, Sottosegretario, della sua relazione, che ci ha fornito alcune informazioni aggiuntive. Vorrei fare una piccola riflessione. Credo, infatti, che oramai non sia più rinviabile una rivisitazione della legge n. 42 del 2009 sul federalismo fiscale, dal momento che cadono, uno a uno, tutti i presupposti che danno al federalismo fiscale la sua impalcatura.
  In particolare, penso alla responsabilità dei tributi e alla conseguente spesa perché il passaggio di cui ha detto (IMU prima casa, IMU TASI prima casa; il fatto che per le province si trasforma tutto in tributi derivati) cancella l'architrave della legge, per cui potrebbe essere utile – ripeto – avviare una revisione.

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio il Sottosegretario per la relazione puntuale. Credo gli debba essere dato atto, anche personalmente, di uno sforzo e un impegno straordinario in questa fase complicata e complessa di passaggio e di tensione molto forte, anche a livello istituzionale.
  Al netto di questo riconoscimento, che non è formale, si pone una questione. Dal punto di vista non nazionale, perché evidentemente ognuno di noi può avere una prospettiva territoriale, l'impressione è che siamo ancora a metà del guado.
  Si sono risolte, in tutto o in parte – dico in parte pensando al tema dei centri per l'impiego, quindi della futura Agenzia o di quello che sarà determinato in attuazione della delega recata dal Jobs Act – le questioni relative al personale, ma non è ancora chiara e definita la riconoscibilità delle aree di intervento della provincia, che continua a essere sottoposta, come ente, a sollecitazioni di vario genere su materie e competenze che non le appartengono più.
  Lo dico in positivo, soprattutto per realtà provinciali che hanno un numero di Pag. 10comuni paragonabili a quelle di una regione. Cito la mia provincia di appartenenza, così ci intendiamo: la provincia di Alessandria ha 190 comuni, con 420.000 abitanti, quindi ha più comuni di alcune regioni.
  Oggettivamente, il forte indebolimento del ruolo di coordinamento della provincia è vissuto come elemento di debolezza, mentre – segnalo questo nella regione Piemonte, ma penso possa valere anche per le altre – l'ulteriore rafforzamento del capoluogo come città metropolitana crea un dualismo tra regione e città metropolitana, con conseguente sensazione di isolamento delle province, le quali non hanno quella dimensione istituzionale.
  Da questo punto di vista, credo ci sia una questione che riporta sia al tema, già evocato, dell'allocazione delle risorse che tenga conto delle peculiarità territoriali, sia a quello della governance. Penso, infatti, che la sua sollecitazione debba essere raccolta perché l'attuale modello di governance presenta elementi di criticità.
  Ho dei dubbi perché, pensando a province con una dimensione di 190 comuni (ho fatto il sindaco per 10 anni, per cui ho partecipato ad assemblee dei sindaci dell'ASL, che aveva addirittura 195 comuni perché ne comprendeva anche due o tre dalla provincia di Vercelli), credo che un'assemblea dei sindaci non sia governabile.
  Un primo tema è questo. Peraltro, il voto ponderato porta a creare una situazione di forte disagio, visto che le piccole entità comunali si sentono tagliate fuori perché – non mi piace parlare sempre della mia provincia – magari i sette comuni centri zona si mettono d'accordo e gli altri 184 possono anche farsi un giro ad Alessandria per lo shopping.
  Allora, in una riforma come questa, una prima sollecitazione è pensare alla creazione di subambiti, come quelli utilizzati per gli ATO, perché questo potrebbe aiutare un coordinamento e una relazione interna su aree territoriali omogenee, dopodiché c'è la dimensione provinciale.
  La seconda questione – non ho nessuna difficoltà a dirlo perché presentai, come forse ricorda il sottosegretario, anche un emendamento su questo – riguarda gli emolumenti degli amministratori. Infatti, aver fatto la scelta di non averne per gli amministratori perché sono a loro volta già amministratori comunali – fermo restando, ovviamente, il principio della non sovrapposizione degli emolumenti – ha portato a far sì che, in concreto, nella stragrande maggioranza della realtà i presidenti delle province siano i presidenti dei comuni capoluogo o comunque di comuni che hanno una dimensione tale per cui il sindaco è a tempo pieno, quindi ha un emolumento in grado di sostenerlo.
  Questa è una questione che va affrontata, a maggior ragione se si va verso un modello di consiglieri delegati. Non si può pensare di avere «assessori» i quali o sono benestanti di famiglia, o sono sindaci di comuni di dimensioni tali per cui hanno una retribuzione adeguata. Ecco, credo che questa sia una questione da affrontare, ben sapendo che potrebbe aprire polemiche e discussioni. Tuttavia, non si può continuare a far finta che non sia un problema. Da questo punto di vista, raccolgo il suo stimolo perché credo che la questione di fare un check sulla governance dell'area vasta sia, in prospettiva, un'esigenza fondamentale.
  Concordo, infine, con la riflessione della collega Zanoni. Mi spaventa, infatti, il passaggio a una finanza totalmente derivata, perché è vero ciò che lei ha ricordato, ma aggiungo il fatto che le province erano legate a uno dei tributi più soggetti all'andamento del mercato: ci sono stati anni in cui il mercato delle auto andava molto bene, cosa che ha determinato entrate crescenti, e periodi in cui la crisi economica ha colpito in particolare il settore automobilistico, per cui le province si sono trovate di fronte a due problemi: un taglio dei trasferimenti statali e una riduzione significativa delle entrate.
  Un altro elemento delicato era, dunque, la prevedibilità perché – come ho appurato quando ho svolto le funzioni di consigliere provinciale – non si sapeva mai quale cifra mettere nel bilancio di previsione, essendo un tributo con fortissimi scostamenti da un Pag. 11anno all'altro (non è l'IMU, per intenderci). Preferirei, quindi, provare a pensare non a una finanza derivata pura, ma con una percentuale, o una quota di uno dei tributi fondamentali, come l'IRPEF.
  Da ultimo, ammesso e non concesso che la riforma costituzionale vada a buon fine nei due passaggi che ancora mancano, se finora non si poteva forzare in quella direzione, in futuro il riprendere una riflessione sul ruolo organizzativo delle regioni rispetto ai territori di aree vaste consentirebbe di avere una maggiore flessibilità, proprio perché non tutte le regioni sono uguali e, conseguentemente, non tutte le province sono uguali, sia numericamente sia territorialmente, con tutte le conseguenze di cui abbiamo parlato in più di un'occasione.
  Mi scuso per la lunghezza dell'intervento.

  GIOVANNI PAGLIA. Non è il tema di oggi, su cui poi farò qualche domanda; devo, però, ancora capire, per esempio riguardo alla provincia di Alessandria, come si possa ritenere più razionale un sistema con un'assemblea di 195 sindaci con un voto ponderato anziché un sistema con 40 consiglieri provinciali con mandato popolare su un programma elettorale.
  Qualcuno mi dovrà spiegare questa cosa prima o poi, anche in termini di gestione delle risorse, ma credo che non ci riuscirete mai. La storia dimostrerà che questo modello è totalmente sbagliato perché l'irrazionalità del sistema è evidente nella sua logica, a meno che non si voglia generare consociativismo, ma questa è un'altra questione.
  Vengo alla domanda. Se ho capito bene, sul personale, alla fine del primo round, c'è stata una diminuzione di 5.000 unità, tra pensionamenti, mobilità volontaria e così via.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie. Come saldo netto sì, ma in realtà sono un po’ di più perché abbiamo quelli che vengono assorbiti delle amministrazioni statali, dalle amministrazioni comunali...

  GIOVANNI PAGLIA. Complessivamente, nel meccanismo Stato, regioni, province e comuni, il saldo netto è di 5.000 persone in meno.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie. Sì, come valore assoluto, ma non come redistribuzione...

  GIOVANNI PAGLIA. Non mi interessa la redistribuzione. Parlavo di valore assoluto. L'operazione comporta un risparmio di 5.000 unità.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie. La risposta è no perché alle 5.000 unità vanno aggiunte tutte quelle persone che sono transitate alle regioni e ai comuni, che non avevano avuto la possibilità di assumere diversamente. Quindi, la diminuzione complessiva del personale è di circa 19.000 unità.
  Quello è il dato che cambia perché quando abbiamo ricollocato queste persone lo abbiamo fatto per svolgere funzioni che altrimenti avrebbero comportato la necessità di assumere, per cui l'operazione si è realizzata in questo modo. Il valore assoluto è quello che dice lei.

  GIOVANNI PAGLIA. Mantengo un certo scetticismo riguardo a questo obbligo di copertura con altro personale.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie. Le funzioni vanno garantite.

  GIOVANNI PAGLIA. Anche il mantenimento in funzione delle persone andava garantito.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie. Cose che sono state fatte perfettamente.

  GIOVANNI PAGLIA. Comunque, come domanda di fondo, vorrei sapere come sono stati reinquadrati contrattualmente i Pag. 12lavoratori nel passaggio da un ente all'altro.

  STEFANO COLLINA. Ringrazio Gianclaudio Bressa per la relazione. Voglio sottolineare l'aspetto che affermava in chiusura, cioè il cambiamento che abbiamo impresso all'organizzazione non solo istituzionale, ma anche operativa dei vari livelli, che pareva difficilmente governabile proprio per la disomogeneità presente in Italia.
  In realtà, si tratta di un percorso che è stato avviato e che, sulla base di una serie di provvedimenti intervenuti successivamente, si è stati capaci di accompagnare verso la possibilità di sfociare positivamente, anche con la capacità importante di cogliere, lungo il percorso stesso, alcuni elementi di criticità di cui farsi carico.
  Quindi, è un passaggio complesso perché la creazione delle città metropolitane è stata uno degli elementi che ha messo in moto questa situazione. Infatti, quello che diceva collega Fornaro è vero, nel senso che la nascita di un soggetto nuovo crea immediatamente la necessità di definire un modello di relazioni con esso. Come oggi ci sono parti di regioni che diventano dialoganti o comunque si confrontano con la realtà della città metropolitana, così all'interno delle aree vaste i subambiti si confrontano, come da sempre all'interno delle province, con la città capoluogo. Insomma, la dinamica è sempre quella del confronto, dei contrappesi o comunque della capacità di relazionarsi.
  Tuttavia, voglio sottolineare un aspetto fondamentale intervenuto in questo percorso, ossia l'assunzione di responsabilità e di protagonismo da parte delle regioni. Come dimostra l'elenco degli interventi delle leggi regionali, esse non solo si fanno carico di elementi importantissimi, come il personale, ma, più in generale, hanno pensato alle riforme istituzionali al loro livello.
  Il riordino istituzionale che stiamo portando avanti in Emilia-Romagna è un esempio. Insomma, le regioni non stanno subendo, ma stanno gestendo questo processo, ragionando e pensando al modo di interpretare al meglio i cambiamenti riguardanti il proprio territorio.
  Certamente, questo è un aspetto fondamentale che emerge, peraltro, anche sul tema dei centri per l'impiego. Quella che sembrava una logica centralista, con la creazione dell'Agenzia nazionale, trova esplicitazione e realizzazione attraverso un percorso che tiene conto dell'organizzazione regionale. Inizialmente, in via transitoria, perché ci sono le agenzie regionali, ma poi si coglie la dimensione concreta della gestione del problema, quindi il modello diventa capace di operare a livello locale, ma essendo gestito e pensato a livello statale.
  Ecco, credo che questo sia un esempio di come stiamo cambiando l'Italia. C'è da realizzare l'altra parte – su questo pongo una domanda – che è quella che riguarda i comuni. Se dall'alto stiamo riuscendo a imprimere questo cambiamento, dal basso dobbiamo riuscire a dare le sufficienti motivazioni politiche, ma anche concrete e pratiche, in termini di vantaggi che debbono essere riconosciuti, nel momento in cui si fanno determinate scelte.
  Infatti, il tema del numero dei comuni va affrontato, ma anche incentivato, salvaguardando alcuni aspetti importanti e riportando, però, al contempo, alcune gestioni a livelli efficienti.
  Certo, è più facile farlo con altri servizi. L'esempio della Romagna con l'ASL unica è sotto gli occhi di tutti. Siamo un milione di abitanti. I comuni sono un centinaio, anche se ne abbiamo 350 nella regione Emilia-Romagna. A ogni modo, oggi abbiamo una ASL unica che rappresenta una dimensione che abbiamo compreso – a livello amministrativo e comunale di tutti i comuni – essere quella che garantisce maggiore qualità e capacità di dare i servizi che servono. Questo è il tema, ovvero le specialità e il tipo di vicinanza ai cittadini.
  Arrivo alla domanda. Che cosa ci rimane da fare? Lo sto vivendo – come sa anche il collega Paglia – poiché il comune di Ravenna sta per andare al voto, mentre la provincia di Ravenna scade adesso, quindi il comune di Ravenna nell'ente di secondo grado rischia di non essere rappresentato perché non c'è più il precedente Pag. 13consiglio comunale, ma non c'è ancora il nuovo.
  Siccome è il comune più grande della provincia, partire monchi della rappresentanza a questo livello mi pare improbabile. Non so quanti casi di questo tipo ci siano in Italia. Va, però, messa una linea di traguardo uguale per tutti.

  DANIELE MARANTELLI. Ringrazio il sottosegretario Bressa, che credo abbia tutti i titoli per essere definito Ministro delle province. Anche stamattina ha dimostrato di essere, per così dire, sulla palla (diversamente dai calciatori che indossano la maglia di cui io e lui siamo tifosi). Per questa ragione, ne approfitto per fare una domanda politica di fondo che avverto come importante e che, anche in relazione ai singoli temi posti dagli altri colleghi, mi permetto di esprimere nella sua crudezza.
  Da qui al referendum, come sciogliamo una serie di nodi che anche questa mattina sono emersi?
  Senza ripercorrerli uno per uno e fare esempi concreti che riguardano la conoscenza che ciascuno di noi ha in maniera puntuale della provincia da cui proviene, è evidente che rimangono aperte questioni che attengono sia alle competenze sia al personale. L'esempio che faceva della gestione delle migliaia di chilometri di strade provinciali è particolarmente calzante. Altri temi irrisolti sono relativi al palleggiamento di responsabilità tra province e regioni, che hanno come unico risultato quello di introdurre incertezza e sentimenti di antipolitica.
  Credo che la questione che ha posto il senatore Fornaro sugli emolumenti degli amministratori non sia per niente banale. Infatti, penso che dobbiamo compiere un bilancio corretto e crudo di ciò che è avvenuto finora, senza considerare questo tema un tabù, ma affrontandolo per quello che è.
  Faccio un esempio. Come fa un presidente di una provincia con oltre 900.000 abitanti, sindaco di un piccolo comune, che è un professionista, a fare, appunto, anche il presidente della provincia? Fa una grandissima fatica. Come si fa se abbiamo assessori (detto impropriamente) indicati da comuni in cui fanno opposizione, quindi non hanno entrate? Vedo in giro molta passione politica, ma non ci sono eserciti di San Francesco disponibili a immolarsi per il bene pubblico. Credo che una riflessione matura su questo tema debba essere condotta.
  Infine, prima di arrivare, sperabilmente, a chiedere un pronunciamento dei cittadini per cambiare l'organizzazione istituzionale del nostro Paese – tema su quale credo la stragrande maggioranza sia d'accordo – penso sia obbligatorio chiedere al Governo se intende revisionare la legge n. 42 del 2009 ed, eventualmente, in che modo.
  In maniera molto concreta, c'è chi sostiene, legittimamente, che in tempi di crisi economica pensare a forme di federalismo sia una scorciatoia, un'illusione o un errore. Io, invece, penso non sia sbagliato l'obiettivo di cercare di abbattere la spesa pubblica improduttiva. Per quanto riguarda il personale, i dati che ci ha fornito il sottosegretario Bressa sulle possibilità di riassorbimento sono un esempio interessante da cogliere.
  Credo, però, che per abbattere la spesa pubblica improduttiva l'unico modo socialmente giusto sia applicare correttamente i costi standard. Finora lo abbiamo fatto?
  In questo senso, ritornando alla domanda iniziale, di carattere più politico, da ora al momento dell'indizione del referendum popolare, che prevede esplicitamente il superamento costituzionale delle province, è auspicabile che vengano dipanati i problemi concreti che nel frattempo si sono manifestati e che sono molto diversi da regione a regione e da provincia a provincia.
  Va considerato che si tratta di un tema estremamente complesso, che ha a che fare con la vita dei cittadini: pensiamo alle scuole! Penso sia interesse di tutti affrontare e risolvere quanti più problemi possibile in tempo utile.

  PRESIDENTE. Do la parola al sottosegretario per una breve replica.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie. Pag. 14 Partendo dalla prima domanda della senatrice Zanoni, che chiedeva se fosse utile avviare la revisione della predetta legge n. 42, sulla quale è tornato anche il collega Marantelli alla fine del suo intervento, dico che è necessario farlo, non solo per la questione delle province, ma anche perché bisogna valutare quanto di positivo c'è stato, e c'è ancora, in quella legge e quanto possa o debba essere modificato, anche radicalmente.
  L'aspetto che considero estremamente positivo della legge n. 42 è di avere progressivamente spostato, anche culturalmente, l'attenzione dalla spesa storica ai fabbisogni. Questo è anche l'aspetto che è maturato meglio. Infatti, con la legge di stabilità abbiamo modificato la COPAFF, che ora ha una struttura molto più semplificata e delle procedure di abilitazione dei fabbisogni standard molto più rapidi di quanto non fosse in precedenza. Tuttavia, condivido non solo l'utilità, ma anche la necessità di mettere mano alla predetta legge n. 42.
  L'intervento del senatore Fornaro ha posto alcune questioni di fondo relative all'attuazione della stessa legge n. 42. Innanzitutto, nella relazione ho omesso di sottolineare che il 2015 e il 2016 devono essere considerati ancora anni di transizione perché, come sapete, per entrambi gli anni i bilanci degli enti di area vasta saranno annuali, senza previsioni pluriennali.
  Questo deriva dal fatto che siamo ancora in una fase di assestamento degli assetti finanziari e organizzativi. A maggior ragione, per far sì che dal 1° gennaio 2017 la riforma sia completa e a regime, in quest'anno dobbiamo affrontare il tema delle risorse e della governance.
  In particolare, sulla questione della governance sapete che nel testo originale della legge n. 56 l'allora relatore – il senatore Pizzetti, che venne poi nominato al Governo – aveva presentato un emendamento che prevedeva gli emolumenti per il presidente, parificandolo al sindaco del comune capoluogo. L'emendamento, però, è stato respinto in Commissione.

  FEDERICO FORNARO. Fu bocciato dal Governo.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e le autonomie. No. Lo rappresentavo io. Il Governo diede parere favorevole all'emendamento del senatore Pizzetti, che non era più relatore perché era seduto di fianco a me sui banchi del Governo, ma i voti favorevoli e contrari durante l'esame presso la Commissione affari costituzionali furono di uguale numero (finì 12 a 12). Vi dico anche chi ha votato contro: il Movimento 5 Stelle, Sel, Forza Italia e la Lega.
  Quindi, il Governo ha dato parere favorevole all'emendamento Pizzetti. Evidentemente, il senatore Fornaro non ricorda bene questo episodio. Del resto, la situazione delle Commissioni al Senato vede maggioranze molto limitate. Tuttavia, sono assolutamente d'accordo che questo non sia un tabù, ma un tema che deve essere affrontato, soprattutto – non pretendo di rispondere all'onorevole Paglia, ma dico la mia opinione – se si consolida, come credo sia necessario e sia già avvenuto, l'idea che stiamo parlando di organismi di secondo livello rappresentativi non della politica, in senso partitico, bensì della politica territoriale di quegli stessi territori.
  È un tema che deve essere affrontato. Su questo, sarei talmente laico che lascerei decidere alle stesse province come definire la scelta dei consiglieri delegati per aiutare il presidente, che per me deve continuare a essere eletto dall'insieme dei sindaci.
  Infatti, proprio perché le province italiane sono tra loro molto diverse, potrà essere utile che in alcune i consiglieri delegati siano espressione di una zona e in altre siano legati a un mandato per una materia. Lascerei comunque stabilire questo criterio allo statuto perché non possiamo decidere cosa deve fare la provincia di Alessandria e se Brindisi, che ha 32 comuni, deve fare la stessa cosa, avendo problemi completamente diversi. Questo è oggetto di discussione, ma è una questione che deve essere affinata perché ne va della funzionalità complessiva del sistema.
  Invece, per quanto riguarda la questione del protagonismo della regione, di fatto, Pag. 15con il decreto-legge n. 78 del 2015 questo si è già verificato. Ora, si tratta di capire se la riforma costituzionale andrà in porto o meno. Se ciò avverrà, il protagonismo delle regioni risulterà ancora più ampio.
  C'è il progetto della regione Lombardia di passare da 12 province a 8 cantoni; la proposta del Piemonte di realizzare 4 aree vaste; l'Emilia Romagna ha già proceduto a fare scelte in questo senso perché, per quanto riguarda alcune politiche, ha diviso il proprio territorio in oltre 40 ambiti omogenei e anche le Marche hanno adottato una soluzione analoga.
  Rispondo ora alla domanda molto puntuale del senatore Fornaro, il quale afferma che dobbiamo stare attenti che il dualismo tra regione e città metropolitana non significhi lo schiacciamento totale delle altre aree vaste e che all'interno delle altre aree vaste non ci sia una sorta di iperprotagonismo non solo del comune capoluogo, ma dei comuni polo di attrazione.
  In questo senso, credo che il dualismo tra regione e città metropolitana diventi tanto meno influente quanto più le aree vaste prendono consapevolezza del proprio ruolo anche istituzionale e soprattutto si fanno interpreti di questo rinnovato protagonismo, ragionando con la regione anche per una ridefinizione dei loro confini.
  Tuttavia, la vera sfida, che per me rappresenta la questione istituzionalmente più rilevante per il futuro delle aree vaste, sarà la riorganizzazione del sistema dei comuni in unioni e fusioni, lasciando alla dimensione provinciale questo tipo di protagonismo, chiaramente in accordo con la regione, visto che la nostra Costituzione prevede che si tratta di una competenza in parte statale e in parte regionale.
  Da questo punto di vista, con l'idea che abbiamo – tra qualche settimana verrà presentata una proposta emendativa in tal senso – ci sarà la possibilità di rendere molto più flessibile, fluido e realizzabile il processo delle unioni e delle fusioni, rompendo i criteri un po’ illuministici dei tetti di abitanti e della necessità di avere subito le nuove funzioni, lasciando a realtà così diverse in ordine alle dimensioni comunali la libertà di costruire il processo di unione e di fusione dei comuni a immagine e somiglianza della specifica particolarità territoriale.
  Passo alla domanda dell'onorevole Paglia. La posizione contrattuale rimane quella che avevano. Attualmente, la legge è chiara. Peraltro, anche il protocollo con i sindacati lo prevede. Tuttavia, in prospettiva non escludo che, quando si ragionerà di nuovo su tale comparto, il tema venga nuovamente posto. Lo dico perché, mediamente, il trattamento economico dei dipendenti delle regioni è leggermente migliore di quello dei dipendenti degli enti locali. Al momento, la cosa è definita per norma e per accordo sindacale, ma penso che quando tutto sarà assestato sarà un tema che si aprirà.
  Con riferimento alla domanda su Ravenna. Se non ricordo male, il consiglio decadrà, ma non c'è problema perché c'è una proroga di 90 giorni, quindi ci sarà la rappresentanza anche del consiglio comunale di Ravenna. Si sta comunque valutando cosa fare complessivamente di questi organi che esauriranno il loro mandato perché, come sapete, oltre alle 7 province scadevano, oggi c'è anche il problema che a ottobre scadono tutti i consigli provinciali.
  Penso valga la pena di riflettere anche su questo: lo abbiamo già fatto, ma dovremmo trovare una posizione comune. Potrei dire come la penso, ma in questo momento si tratterebbe solo del mio pensiero, non confortato dall'opinione della maggioranza e del Governo.

  PRESIDENTE Ringrazio il Sottosegretario Bressa, che possiamo ormai chiamare Ministro delle province. Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.

Pag. 16