XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 65 di Mercoledì 13 gennaio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del Presidente della provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, sul federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Rossi Ugo , Presidente della provincia autonoma di Trento ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 6 
Bisinella Patrizia  ... 6 
De Menech Roger (PD)  ... 6 
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 8 
Zanoni Magda Angela  ... 8 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 8 
Rossi Ugo , Presidente della provincia autonoma di Trento ... 8 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal Presidente della provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi ... 11

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente della provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, sul federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Presidente della provincia autonoma di Trento, Ugo Rossi, sul federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano.
  Do la parola al Presidente Rossi per lo svolgimento della relazione.

  UGO ROSSI, Presidente della provincia autonoma di Trento. Buongiorno a tutti. Vi ringrazio per l'opportunità chi ci date di fornire informazioni su un tema che ci sta molto a cuore e che credo sia, in epoca di riforme costituzionali, particolarmente all'attenzione del vostro lavoro.
  Credo che sia utile richiamare molto brevemente i presupposti di carattere costituzionale e anche statutario della specialità dell'autonomia del Trentino, che evidentemente valgono in termini di principio anche per quella dell'Alto Adige. In seguito vedremo in maniera molto veloce – vi lascerò una relazione – come il tema del federalismo fiscale e le normative che si sono via via susseguite in questi anni sono entrati di fatto nell'ordinamento statutario della specialità trentina, modificandone in buona parte gli assetti, soprattutto dal punto di vista finanziario, cosa che è avvenuta, però, fin dal 2009, attraverso un meccanismo di tipo pattizio tra le province autonome di Trento e di Bolzano da una parte e lo Stato dall'altra, al fine di anticipare alcuni effetti legati alla riforma che il federalismo fiscale voleva introdurre.
  Questi effetti sono stati ulteriormente appesantiti, per quanto ci riguarda, da tutte le manovre di coordinamento della finanza pubblica e di risanamento dei conti pubblici, che hanno ulteriormente modificato l'assetto finanziario della nostra autonomia.
  Sostanzialmente la nostra specialità si fonda su motivazioni di carattere storico, legate a un'appartenenza territoriale del Trentino all'Impero austro-ungarico e alla presenza di minoranze linguistiche sul territorio del Trentino. Soprattutto io tengo a rimarcare che nell'immediato dopoguerra, che vedeva il Trentino sicuramente non in testa alla lista delle province con le migliori condizioni socio-economiche come avviene oggi, ci fu una richiesta fortissima della popolazione trentina, accanto a quella altoatesina, di poter continuare a godere di quell'autonomia a cui era abituata fin dai tempi dell'Impero austro-ungarico.
  Questa richiesta fortissima portò in piazza circa 100.000 persone (un quarto della popolazione era iscritto a un movimento autonomista). Questo consentì naturalmente Pag. 4a De Gasperi di associare alle richieste di autonomia dell'Alto Adige, fondate evidentemente su un presupposto di carattere etnico, anche quelle del Trentino, fondate invece su presupposti di carattere storico e rivendicativo rispetto a un modo di autoamministrarsi che fa parte della storia e delle modalità che il Trentino ha sempre adottato.
  Questo si sostanziò in un accordo internazionale, detto De Gasperi-Gruber, con il quale la Repubblica italiana, in maniera molto virtuosa, innovatrice e forse unica a livello europeo, riconobbe di fatto un'autonomia che preesisteva alla Repubblica stessa.
  Questo ha consentito al Trentino di sviluppare un sistema di autonomia speciale che si fonda sul principio della possibilità di decidere in loco e, quindi, di gestire praticamente tutte le competenze, tranne l'ordine pubblico, l'esercizio del potere fiscale e la giustizia. Per il resto, naturalmente con modalità di competenze concorrenti o meno, la nostra autonomia e, quindi, la nostra responsabilità, sono chiamate a decidere su una serie di questioni che, per loro natura, comportano la necessità di avere un'autonomia finanziaria. Infatti, se si potesse decidere nel merito senza poter allocare le risorse, è evidente che di autonomia non si tratterebbe.
  Vi riporto un esempio: la sanità è totalmente a carico del bilancio provinciale, gli stipendi degli insegnanti delle scuole sono totalmente a carico del bilancio provinciale, gli assegni di cura e le prestazioni sociali sono tutti a carico del bilancio provinciale e si basano, quindi, sul principio della devoluzione in quota fissa dei tributi erariali prodotti sul territorio.
  Vi ho predisposto una tabella che definisce puntualmente, tributo per tributo, le normative di riferimento e le modalità.
  Sostanzialmente il meccanismo si fonda sul principio statutario della devoluzione di questi tributi erariali nella misura dei nove decimi degli stessi, ai fini di alimentare le possibilità finanziarie che sono collegate alle competenze da esercitare. Questo è ciò che è previsto da un punto di vista statutario.
  Nel tempo l'autonomia speciale si è ulteriormente arricchita di nuove competenze, attraverso il meccanismo delle norme di attuazione, meccanismo che naturalmente appartiene al Trentino e all'Alto Adige ma anche alle altre autonomie speciali. Il Trentino e l'Alto Adige sono le realtà ad autonomia speciale che hanno utilizzato di più le norme di attuazione (sono circa 146 dal 1970 in poi).
  Nel tempo, attraverso norme di attuazione, di fatto si è realizzato un meccanismo di delega di competenze e di funzioni da parte dello Stato nei confronti delle province, – bisogna essere franchi e sinceri – in un periodo storico a finanza pubblica crescente e non decrescente come oggi, dove in effetti lo Stato trasferiva anche le risorse per l'esercizio di queste competenze. Quello è stato per le autonomie speciali un periodo storico di disponibilità di risorse, magari in misura maggiore rispetto a quello che l'esercizio stretto delle competenze richiedeva. Lo devo riconoscere.
  In seguito, la storia si è fatta completamente diversa, nel senso che il federalismo, sia a livello politico-organizzativo e di architettura istituzionale dello Stato, con le riforme costituzionali, sia dal punto di vista finanziario, ha evidentemente posto un tema: quello dell'equilibrio tra l'autonomia finanziaria e l'esercizio delle competenze. Le normative relative di fatto prefiguravano un cambiamento di questo tipo di assetto.
  Le province autonome di Trento e di Bolzano fin dal 2009 hanno cercato di affrontare questa tematica in un'ottica di responsabilità, cioè di anticipare gli effetti di questa riforma, concludendo un patto con lo Stato (si chiama Accordo di Milano), con il quale sostanzialmente ci fu un'anticipazione dei princìpi del federalismo fiscale, da una parte dal punto di vista dell'aumento della responsabilità dell'esercizio delle competenze collegate alla produzione di reddito sul territorio e, quindi, al PIL e al gettito fiscale, ma Pag. 5dall'altra anche in termini di riduzione dello stock finanziario disponibile per l'esercizio delle competenze, attraverso un meccanismo di retrocessione allo Stato di una parte di queste risorse (circa 520 milioni di euro).
  Questo meccanismo di retrocessione di risorse e di concorso, anche attraverso la via del federalismo fiscale, al risanamento della finanza pubblica è avvenuto attraverso l'assunzione in capo alle province di competenze, in particolare quella dell'università per la provincia di Trento e quella sugli ammortizzatori sociali, questa volta, però, senza la relativa devoluzione delle risorse. C’è stata un'assunzione di competenze in capo al territorio con il relativo costo a carico del bilancio provinciale, quindi evidentemente il saldo è positivo per la finanza pubblica.
  Pocanzi parlavo di finanza crescente e di finanza decrescente. La storia è a tutti nota. Da un certo punto in avanti lo Stato e i Governi che lo hanno guidato si sono correttamente e legittimamente posti il problema del risanamento dei conti pubblici. Dentro a questo problema, le autonomie speciali hanno ancora una volta lavorato per cercare di evitare che la giusta attenzione al risanamento dei conti pubblici comprimesse l'autonomia dal punto di vista dell'esercizio delle competenze.
  Ancora una volta il meccanismo è stato di tipo pattizio: nel 2014 le province autonome di Trento e di Bolzano hanno sottoscritto con lo Stato un altro accordo, che modifica ulteriormente i princìpi dell'Accordo di Milano, alzando di molto il livello di contribuzione delle province ai fini del risanamento dei conti pubblici.
  La sommatoria tra Accordo di Milano e Accordo di Roma del 2014 raggiunge circa il 33 per cento dei volumi finanziari. Noi oggi possiamo dire che, se il meccanismo statutario è quello dei nove decimi di retrocessione dei tributi erariali per l'esercizio delle competenze, di fatto oggi queste competenze, che nel frattempo sono pure aumentate, sono esercitate con il 33 per cento in meno di questo stock (si può stimare a circa sette decimi e mezzo). Il nostro bilancio è di 4,5 miliardi di euro, di cui 1,5 miliardi, tra Patto di stabilità e risanamento, sono dedicati appunto agli scopi che ho appena descritto.
  Questo è stato il modo in cui le autonomie speciali di Trento e di Bolzano hanno cercato di non chiamarsi fuori rispetto a un giusto obiettivo che lo Stato si è dato. Noi ci sentiamo pienamente dentro alle sfide che il nostro Stato deve vincere per affrontare il futuro. Chiaramente intendiamo farlo nella misura in cui resti intatta la possibilità di continuare a esercitare, dal punto di vista decisionale e dal punto di vista istituzionale, quell'autogoverno che in definitiva ha prodotto risultati certamente positivi per le popolazioni sul nostro territorio, ma anche in termini di costo complessivo di queste competenze, così come sono esercitate, rispetto a quanto costerebbero se fossero esercitate direttamente dallo Stato.
  È chiaro che questo meccanismo è assolutamente collegato ai ragionamenti e alle evoluzioni in corso della riforma costituzionale, nella quale, come sapete, permane una clausola di salvaguardia, con la quale, da un punto di vista ordinamentale e statutario, le nostre autonomie si adegueranno ai princìpi di riforma. Naturalmente ancora una volta questo avverrà, come prevede la clausola, con il principio dell'intesa, finalizzato a preservare quel carattere di specialità della nostra autonomia che, però, deve essere in linea con gli obiettivi che la riforma costituzionale si pone.
  Questo in sostanza è il percorso storico. Ho cercato di descrivere in termini di principio quanto è stato fatto in questi anni.
  Noi pensiamo che si tratti di una modalità virtuosa. Siamo convinti che sia stato molto importante mantenere dentro alla riforma costituzionale i princìpi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, perché siamo assolutamente persuasi che sia necessario e forse ancora possibile, per vincere la sfida del risanamento dei conti pubblici, valorizzare e responsabilizzare i territori che hanno dimostrato di saper gestire, al netto di tutti Pag. 6i temi di critica rispetto ai governi regionali che pure sono evidentemente fondati.
  Noi pensiamo che sia ancora possibile immaginare un regionalismo differenziato o ad assetto variabile, dove sia conveniente per lo Stato individuare funzioni e competenze che le regioni virtuose, in grado di esercitarle, possono esercitare con migliori risultati in termini di qualità e in termini di costo. Del resto, se noi pensiamo alla funzione più regionalizzata che esiste, che è quella sanitaria, vediamo che il Servizio sanitario nazionale gestito a livello regionale ha comunque un suo alto indice di qualità complessivo, riconosciuto in tutto il mondo, e anche un basso costo, in relazione alla sua qualità.
  Pertanto, noi pensiamo che dentro alla riforma costituzionale il percorso che le autonomie speciali hanno compiuto possa magari – lo diciamo umilmente, ma ci crediamo fino in fondo – essere utile per stimolare Stato e regioni virtuose a utilizzare appieno quell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, che può consentire al nostro Paese di responsabilizzare i decisori rispetto ai problemi che vivono sul loro territorio, per un utilizzo delle risorse che sia più responsabile e più vicino ai problemi.
  Questa, secondo noi, è l'evoluzione futura del tema del cosiddetto «federalismo» sotto il profilo costituzionale. Come autonomie speciali, ci sentiamo impegnati a cercare di portare il nostro contributo e la nostra esperienza, per tentare di dimostrare che questo è possibile ed è virtuoso per tutti.

  PRESIDENTE. Grazie per il contributo. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PATRIZIA BISINELLA. Ho una richiesta per il Presidente Rossi, che ringrazio per la disponibilità e per aver ricostruito il quadro storico-evolutivo che ha portato alla specialità della provincia. Io parlo da veneta, quindi si può immaginare che vivo un po’ di tensione emotiva nella ricostruzione di questo percorso.
  Nella riforma costituzionale, peraltro – lo dico umilmente – ci siamo battuti anche noi come movimento per la riscrittura della terzo comma dell'articolo 116, proprio perché ovviamente auspichiamo che ci siano le condizioni affinché le regioni che dimostrano di gestire con equilibrio di bilancio le proprie risorse possano avere, contrattando con il Governo centrale, maggiori sfere di autonomia e di competenza.
  Le pongo una domanda. Magari, anche alla luce degli interventi degli altri colleghi, mi riservo di fare in seguito qualche altra richiesta. Vorrei capire una cosa, aldilà della riforma costituzionale, riguardo alla quale sappiamo che comunque le province autonome provvederanno ad adeguare i loro statuti ai princìpi di riforma, sulla base di intese apposite che dovranno essere contrattate. Mi chiedo se ci può fare un quadro su quanto hanno inciso le disposizioni della legge di stabilità in termini finanziari sulla finanza locale, alla luce dell'impatto che in generale ha avuto e ha sui nostri comuni e sui comuni delle regioni virtuose.

  ROGER DE MENECH. Ringrazio anch'io il Presidente Rossi. Io credo che, all'interno del tema del federalismo e della capacità che questo Stato ha di fidarsi dei propri enti locali, l'esempio delle province autonome e di tante regioni a statuto speciale possa essere colto in una doppia veste.
  La prima è la veste di sistema che giustamente il Presidente Rossi sottolineava con riferimento al terzo comma dell'articolo 116: la vera sfida dello Stato, quella del merito. Spesso, come legislatori, discutiamo del merito delle questioni, cioè di quanto dobbiamo pesare i contenuti rispetto alle linee di indirizzo generale, ovvero quanto dobbiamo pesare l'efficacia dell'amministrazione nei confronti dei cittadini.
  L'articolo 116 dovrebbe tracciare questa linea di demarcazione, cioè dividere in maniera molto chiara chi ha l'efficienza e l'efficacia nella gestione del servizio pubblico e del servizio da rendere ai cittadini Pag. 7e, quindi, può ambire ad avere questo rapporto di fiducia e di autonomia nei confronti dello Stato centrale. Questo è un tema fondamentale per il futuro.
  In questa Commissione parliamo di fabbisogni, di costi standard, di delimitare il recinto preciso dei costi della Pubblica amministrazione. Io credo che questa sia la sfida, soprattutto in quest'ottica di grande cambiamento e, quindi, nella chiusura della teoria dei tagli lineari, che è stata una teoria che nell'ultimo decennio ha interessato tutti gli enti locali, per passare a una teoria del merito delle questioni. Credo che questo sia un fattore importante.
  Credo che «studiare» le due province autonome – lo dico da confinante, ma anche da persona che ha rapporti intensi con queste province – sia interessante per capire che dentro a questa sfida c’è un pezzo di quella famosa spending review che lo Stato da parecchi anni vuole attuare e che facciamo fatica a mettere a fattor comune.
  La seconda cosa interessante – forse è la domanda che più mi interessa – è che giustamente l'esempio di Trento, per andare più sul locale, dimostra quanto autonomie differenziate possano consentire di sviluppare territori differenti.
  Lo dico perché qui non stiamo parlando solo di un aspetto giuridico di un'autonomia data dalla Costituzione e sviluppata dagli anni Settanta in poi in maniera importante, ma stiamo parlando di un'area completamente montana del nostro Paese. Io tralascio tutte le ragioni storiche e linguistiche, che tutti conosciamo. A me oggi interessa il merito: come possiamo gestire in maniera differente un territorio completamente montano nell'arco alpino, come Trento e Bolzano, evitando il fenomeno che oggi più colpisce quelle popolazioni, che si chiama spopolamento ?
  Oggi siamo nelle condizioni in cui un pezzo del mondo si sposta in un altro pezzo perché si sta meglio o peggio. Questi sono i fenomeni della migrazione. Questo, dal dopoguerra in poi, è successo anche all'interno del territorio italiano.
  Per quanto riguarda i territori di montagna, guardando i dati statistici dell'ISTAT, sappiamo benissimo che dove si fanno politiche per la montagna – e non tutte le regioni autonome lo fanno, mentre province dedicate, completamente montane, come Trento e Bolzano, lo fanno – le popolazioni si fermano e continuano a vivere nei territori di montagna. Questa è un'altra sfida di merito, che secondo me dobbiamo cogliere.
  Come ha detto Rossi, dal 2010 in poi anche dentro un'autonomia molto forte, come quella di Trento e di Bolzano, si è iniziato a discutere del giusto peso e dei giusti valori. Credo che ormai questo sia riconosciuto.
  Io dico che oggi la sfida vera sia allargare quella definizione del giusto peso e delle giuste misure a tutti i territori omogenei, all'arco alpino nel suo complesso. Ovviamente parlo dell'arco alpino perché ci vivo, ma potrei riferirmi a tutte le aree di montanità vera – lasciamo perdere la definizione di montanità, che dovrebbe aprire un'ulteriore riflessione politica in questo Paese – che meriterebbero un trattamento differente per fermare lo spopolamento.
  Lo Stato deve decidere se dobbiamo tenere quel pezzo di Paese come una zona incontaminata ma poco densamente abitata, oppure se quel pezzo di Paese, come credo, abbia l'orgoglio e anche la necessità di continuare ad avere degli abitanti.
  L'esempio di Trento e di Bolzano è anche questo. Ripeto che non tutte le regioni a statuto speciale hanno fatto politiche di questo tipo. Sapete perché ? Le altre regioni a statuto speciale sono regioni miste, che hanno territori di montagna ma anche metropoli e aree di pianura e, quindi, hanno dedicato meno attenzione. Sono queste le due caratteristiche: una di carattere nazionale e una più dedicata alla specificità, che io definirei ormai quasi di fatto, che secondo me va oltre le ragioni storiche e conferma ancor di più che da quella parte ci sono pezzi di soluzioni per far sì che tutto il Paese sia trattato alla stessa maniera.Pag. 8
  Ringrazio il presidente Rossi per la relazione e spero che possa servire alla Commissione per trarre alcune utili indicazioni per il nostro lavoro.

  GIOVANNI PAGLIA. Mi chiedo una cosa. Vedo che sta entrando nel dibattito politico, come un'affermazione apodittica, il fatto che la prossima cosa da fare sia ridefinire, se non cancellare, gli statuti speciali. Ormai il dibattito in questo Paese funziona così: qualcuno comincia a dire una cosa, che poi comincia a rimbalzare e a diventare una verità. Addirittura circolano nuovi modelli di regioni, per cui il Trentino-Alto Adige starebbe insieme al Veneto e al Friuli Venezia Giulia (la ricostituzione della vecchia Repubblica veneta medievale).
  In termini assoluti io credo che potrebbe essere interessante ragionare sul superamento della specialità, in un quadro in cui l'autonomia diventi un termine più generale a cui possono accedere anche altre regioni, ma non mi sembra che sia questo il clima culturale in cui se ne parla, anzi mi sembra che se ne parli in un clima neocentralista anche piuttosto spinto e applicato.
  Mi chiedo se dal vostro punto di vista questo è a oggi un semplice «chiacchiericcio romano» o invece è un tema che arriva anche a voi, ovvero se avete le avvisaglie che sia un dibattito reale, che possa produrre realmente movimenti e risultati, oppure che sia ancora a livello di boutade autunnale.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Faccio solo due piccole considerazioni, perché hanno già detto molto i miei colleghi.
  La prima concerne il ragionamento sulla dimensione delle regioni e delle province in generale e, quindi, il ripensamento a livello nazionale riguardo le macroregioni. Io penso a quella da cui io provengo. C’è l'idea dell'accorpamento tra Piemonte, Liguria e ovviamente anche Valle d'Aosta. Infatti, essendo la Valle d'Aosta molto piccola, non si capisce perché dovrebbe stare per conto suo in una logica di macroregioni. Anch'io credo che questo sia un tema da affrontare.
  L'altra, invece, è una piccola chiosa sullo spopolamento e sull'attenzione alle aree di montagna. Questo è un problema fortemente politico, perché si ritrova anche all'interno di dimensioni più piccole, ovvero all'interno dei comuni che hanno un'area montana e un'area pianeggiante. Siccome la maggiore concentrazione della popolazione sta nelle aree pianeggianti, si fanno politiche della montagna raccogliendo quattro voti, perché ci sono dieci abitanti nelle borgate. Ecco perché i politici hanno un'attenzione maggiore per le zone pianeggianti, facendo un discorso molto cinico. Pertanto, bisogna sicuramente individuare meglio delle politiche di aree.
  Anch'io da questo punto di vista sono concorde: tutto l'arco alpino deve avere una politica analoga, perché altrimenti si presenta ciò che avviene da noi, ovvero che abbiamo una zona come quella della Valle d'Aosta che ha una politica totalmente diversa da tutto il resto dell'arco alpino che è confinante, e si vedono anche i risultati e le differenze.

  PRESIDENTE. Do la parola al Presidente Rossi per la replica.

  UGO ROSSI, Presidente della provincia autonoma di Trento. Innanzitutto ringrazio per aver detto che vale la pena studiarci per provare a immaginare un assetto diverso. Naturalmente noi non pensiamo di essere i più bravi del mondo. Noi abbiamo semplicemente avuto la fortuna che per ragioni storiche abbiamo potuto sperimentare davvero un autogoverno.
  Culturalmente siamo cresciuti così e i nostri padri a un certo punto della storia hanno detto: «Noi vogliamo conservare questa possibilità». Non mi riferisco a una possibilità finanziaria, perché a quell'epoca non si trattava assolutamente di rivendicazioni di carattere finanziario. Abbiamo incontrato sulla nostra strada una Repubblica illuminata che ha riconosciuto questo. Questo è il fondamento della nostra autonomia.
  Dopo, però, abbiamo cercato di usare al meglio questa autonomia, facendo tanti Pag. 9errori anche noi e con delle contraddizioni. Ho citato pocanzi un periodo storico in cui abbiamo un po’ «approfittato» della finanza pubblica crescente.
  Tuttavia, io penso che dal punto di vista degli obiettivi che ci si sta ponendo con la riforma costituzionale, che sono quelli di una democrazia più «decidente», obiettivi nei quali io personalmente mi riconosco, e proprio allo scopo di dare benzina a questi obiettivi, noi – non noi come Trentino ma noi come Paese – non possiamo assolutamente perdere la possibilità di gestire funzioni e competenze secondo una logica di qualità e riduzione di costi.
  Dobbiamo riuscire ad avere dei meccanismi di decisione da parte dello Stato centrale più snelli e più veloci – e la riforma costituzionale va in questo senso – però dobbiamo anche riuscire a conservare la possibilità che l'architettura istituzionale del nostro Stato poggi su un principio, che è quello per cui le decisioni devono essere il più vicino possibile ai problemi, così come la responsabilità delle decisioni stesse.
  Queste due esigenze, secondo me, si conciliano con la sfida che c’è dentro l'articolo 116, terzo comma, che può essere utile proprio in funzione degli scopi.
  Io non ho una passione per la geopolitica e per la formazione delle macroregioni a tavolino. Io penso che prima di affrontare quel tema ci sia la necessità di far partire questo tipo di processo. Le cose vengono dal basso; non ci si può mettere su una cartina e disegnare le nuove regioni, se prima non abbiamo deciso che cosa facciamo fare a queste nuove regioni. Questo è il tema di fondo.
  È chiaro che la riforma costituzionale ha una curvatura di correzione rispetto a una parte delle derive che la riforma costituzionale del 2001 ha prodotto. Questo è assolutamente evidente. Tuttavia, non possiamo buttar via il bambino con l'acqua sporca.
  Quando facciamo questo ragionamento, pensiamo alla sanità e a quanto in definitiva sia virtuoso il sistema, proprio grazie al fatto che le decisioni, in una logica di livelli essenziali e di suddivisione della spesa, sono prese vicino ai problemi. Quello funziona. Io credo molto in questo.
  Per quanto riguarda gli aspetti di carattere strettamente finanziario, come funziona il patto di garanzia che abbiamo firmato il 14 ottobre 2014 ? È stato fatto un calcolo in relazione alla quota di interessi del debito pubblico e, sulla base di questo calcolo, è stato stabilito un principio, che è quello del concorso al risanamento in quota-parte delle autonomie di Trento e di Bolzano.
  Le leggi di stabilità precedenti lavoravano sempre nei confronti delle autonomie speciali con lo stesso meccanismo che ha citato pocanzi l'onorevole, cioè quello dei tagli lineari e, quindi, dei concorsi, attraverso un meccanismo di violazione statutaria, cioè di devoluzione allo Stato delle cosiddette «riserve all'Erario». Lo Stato aumentava le tasse e si tratteneva il relativo gettito, violando il principio dei nove decimi, che è la base della nostra autonomia.
  Noi abbiamo detto che il risultato finanziario di questa violazione, siccome serve al risanamento della finanza pubblica, è garantito da noi. Ciò che non possiamo accettare è il principio giuridico. Pertanto, noi garantiamo, dentro al patto di garanzia, il risultato finanziario di cui lo Stato ha bisogno per far quadrare i suoi conti, ma evidentemente lo garantiamo in virtù di un patto, che è aggiornabile nel tempo, in funzione di come vanno i conti pubblici. È chiaro che, se ci fosse un aggravamento delle situazioni di finanza pubblica, il patto ha in sé i meccanismi per una sua revisione e, quindi, per un aumento del nostro concorso al risanamento della finanza pubblica. Tuttavia, abbiamo tolto il principio che, in violazione dello statuto, si possano fare riserve all'Erario. Questo è l'oggetto dello scambio dentro al Patto di garanzia.
  È chiaro che da un punto di vista finanziario tutto il peso dell'Accordo di Milano (520 milioni di euro) è stato aumentato notevolmente, perché abbiamo fatto acquisire ai conti dello Stato i risultati finanziari delle manovre successive al Pag. 10Patto di Milano del 2009, che sommate oggi producono, oltre ai 500 dell'Accordo di Milano, circa 600 milioni di concorso, che è la sommatoria dei concorsi di tutte le manovre avvenute dal 2009 in poi.
  Abbiamo detto che dal punto di vista finanziario noi le garantiamo, però in virtù di un patto che firmiamo e non in virtù di una violazione di legge. La legge di stabilità è stata da noi impugnata, abbiamo ritirato i ricorsi, ma lo Stato ha riconosciuto che non potrà più fare riserve all'Erario.
  Il meccanismo è questo. Non so se ho risposto a sufficienza.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Presidente Rossi per il suo contributo e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.45.

Pag. 11

ALLEGATO

Pag. 12

Pag. 13

Pag. 14

Pag. 15

Pag. 16

Pag. 17

Pag. 18