XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 60 di Giovedì 29 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del professor Giulio Salerno su federalismo fiscale e autonomia regionale differenziata ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Salerno Giulio , professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Macerata ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 
Guerra Maria Cecilia  ... 13 
De Menech Roger (PD)  ... 13 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 14 
Salerno Giulio , professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Macerata ... 14 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Giulio Salerno su federalismo fiscale e autonomia regionale differenziata ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Giulio Salerno su federalismo fiscale e autonomia regionale differenziata ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Lascio la parola al professor Salerno per lo svolgimento della relazione.

  GIULIO SALERNO, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Macerata. Grazie per l'invito e soprattutto per avermi chiesto di affrontare un tema che è veramente una terra incognita.
  L'argomento lascia molto spazio alle riflessioni, perché non abbiamo precedenti, quindi non vi è normativa specifica, non vi sono atti di attuazione, non vi sono sentenze della Corte Costituzionale, quindi è una materia interamente destinata alla politica, il cui ruolo diventa fondamentale.
  Il ruolo di chi può cercare di delineare il quadro, dare dei suggerimenti, consigliare qualcosa è un ruolo di ricognizione dei princìpi, che vanno conosciuti perché bisogna capire come questo federalismo o regionalismo differenziato si inserisca nel sistema costituzionale e in particolare nel sistema dell'autonomia finanziaria.
  Direi di partire innanzitutto da cosa significa il decentramento differenziato, perché a questo punto non parlerei neanche di federalismo o regionalismo, qualificazioni che lasciano il tempo che trovano nella dottrina. Il federalismo e il regionalismo hanno assunto ormai distinzioni non più tanto ontologiche o qualitative, ma soprattutto quantitative, cioè di quantità di trasferimenti, di quantità di competenze piuttosto che una netta distinzione.
  Il modello a cui si ispira il federalismo o regionalismo differenziato è quello che chiamiamo competitivo, cioè un modello che introduce degli elementi di asimmetria nel sistema del decentramento regionale, a differenza del modello cooperativo, modello che ci è stato dato originariamente dalla Costituzione entrata in vigore nel 1948 ed è caratterizzato dai princìpi opposti, cioè i principi della simmetria e della cooperazione.
  Che significa simmetria e cooperazione, cioè qual è il quadro costituzionale che nasce nel 1948 ? È un quadro che prevede una prevalenza di «autonomia positiva», vale a dire promuovere l'esercizio di funzioni concorrenti fra lo Stato e le regioni. Le decisioni sono assunte in gran parte in forma integrata e in modo omogeneo per tutto il territorio nazionale, riducendo quindi le forme di autonomia negativa, nelle quali allo Stato e alle regioni vengono Pag. 4date funzioni in via esclusiva, da esercitarsi in modo autonomo, in forma individuale e quindi differenziata.
  Il modello integrativo e cooperativo costituzionale si fonda essenzialmente sulla logica personalistica, per cui gli individui devono godere tutti degli stessi diritti, devono essere capaci di ottenere le stesse prestazioni pubbliche e quindi, sulla base di questa logica, prevale il modello cooperativo scritto in Costituzione dal 1947.
  Questa logica costituzionale si fonda su alcuni princìpi previsti in Costituzione come essenziali, primo fra tutti il principio di eguaglianza in senso sostanziale. La Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che impediscono l'esercizio di fatto delle libertà e quindi in fatto impediscono l'eguaglianza.
  Le funzioni sociali sono assegnate per lo più allo Stato, le competenze delle regioni sono competenze per lo più concorrenti e le regioni speciali sono un'eccezione e quindi un'asimmetria confinata, quindi un'applicazione del principio di differenziazione che vale soltanto per zone specifiche del territorio nazionale, ma che non si inserisce nel quadro complessivo.
  La Costituzione è riformata nel 2001, introducendo degli elementi di forte asimmetria. Su questo dobbiamo essere chiari, perché la Costituzione viene cambiata in alcuni punti fondamentali introducendo la possibilità di modelli asimmetrici, che vanno collegati al quadro complessivo di modello cooperativo previsto dal 1948.
  Primo punto: vengono previsti i livelli essenziali delle prestazioni.
  Questo aspetto, i livelli essenziali delle prestazioni, è molto importante, perché significa che non vanno più assicurati quei princìpi di eguaglianza sostanziale, che devono consentire a ogni cittadino di raggiungere pienamente lo stato di eguaglianza, ma basta assicurare livelli minimi essenziali equivalenti all'interno delle varie regioni.
  Questo è un mutamento di prospettiva molto importante per la concezione dello Stato: lo Stato quindi interviene solo per assicurare un minimum e poi il resto spetta all'autonomia differenziata di ogni regione.
  Secondo: viene stabilito un principio di ripartizione delle competenze tra lo Stato e le regioni, che prevede funzioni reciprocamente esclusive l'una rispetto all'altra, e quindi il modello cooperativo, il modello di decisione integrata dove prevale la cooperazione, viene meno.
  Terzo: fra le competenze assegnate alle regioni alcune hanno un rilievo sociale molto importante, quindi viene meno quella uniformità delle prestazioni sociali garantite inizialmente. Quarto: viene introdotta la logica che prevede la rappresentazione degli interessi dei territori, logica che non era presente nella Costituzione originariamente.
  Nell'articolo relativo all'autonomia finanziaria, ad esempio, si stabilisce che la perequazione va assegnata ai territori in relazione alla capacità fiscale per abitante, quindi si introduce un concetto assai difficile nella concreta attuazione, perché individua un elemento di perequazione collegato a una caratteristica, la capacità fiscale, che non è più un elemento riconducibile al territorio tutto, ma ai territori singoli.
  Con il regionalismo differenziato dell'articolo 116, terzo comma, si introduce poi un elemento assolutamente dirompente rispetto all'architettura istituzionale, vale a dire la creazione di relazioni bilaterali fra lo Stato e le singole regioni, una cosa che nella Costituzione non c'era.
  C'era infatti una struttura che prevedeva una disciplina omogenea, unitaria dello Stato nei confronti di tutte le regioni, viceversa adesso si consente che la legge dello Stato sia una legge che disciplini quella situazione specifica, quel rapporto specifico, quella regione, sulla base di un'intesa con quella regione.
  Vengono poi determinati dei meccanismi di differenziazione istituzionale fra le regioni, quindi si stabilisce che ci devono essere statuti differenziati, perché sono approvati singolarmente dalle singole regioni, quelle ordinarie, che ciascuna regione si dà la propria legge elettorale, Pag. 5seppure sulla base dei princìpi stabiliti con legge dello Stato (poi abbiamo visto che questa legge non dice praticamente nulla e quindi si è data massima libertà ai sistemi elettorali regionali).
  La forma di governo a livello regionale, salvo alcuni princìpi molto scarni stabiliti in Costituzione, si differenzia, quindi si dà sbocco a una differenziazione anche istituzionale fra le regioni, viene assicurata un'omogeneità al sistema di finanza pubblica attraverso lo strumento del coordinamento.
  Lo strumento del coordinamento della finanza pubblica, come sanno bene tutti coloro che se ne sono interessati dal 2001, all'inizio nasce come un rebus, vale a dire che la funzione di coordinamento della finanza pubblica è collegata a una potestà legislativa concorrente, dove lo Stato è competente a dettare princìpi, ma poi la specificazione, la concretizzazione, la definizione dei princìpi stessi è competenza regionale.
  Si arriva quindi al paradosso di attribuire la definizione della politica di coordinamento come competenza regionale, perché la potestà legislativa concorrente è competenza regionale nei limiti della legge dello Stato.
  Questo poi è stato ribaltato nell'attuazione, perché la potestà di coordinamento della finanza pubblica è stata tutta assorbita dentro la legge dello Stato, quindi è stata considerata una funzione dello Stato, e la Corte Costituzionale ha dato ragione a questa interpretazione. La specificazione regionale della potestà di coordinamento dello Stato è stata quindi molto limitata, per non dire nulla.
  Altro elemento importante: sono state mantenute le regioni speciali. Questo significa che ci sono due meccanismi di differenziazione: è stato creato un meccanismo di differenziazione nuovo, quello dell'articolo 116, ma è stato mantenuto il precedente sistema asimmetrico, quindi è stata incrementata l'asimmetria del sistema.
  Qualche cenno sugli esiti dell'asimmetria dal punto di vista finanziario delle regioni a statuto speciale, non perché io voglia interessarmi di un tema che oggi non mi tocca, ma perché, se dobbiamo cercare di capire come il sistema del federalismo differenziato per le regioni a statuto ordinario potrebbe svolgersi e attuarsi nel tempo, dobbiamo avere qualche idea su come si è sviluppato il sistema delle regioni speciali dal punto di vista finanziario.
  Questo sistema è caratterizzato dal fatto che, a seconda degli statuti speciali, sono stati dati alle regioni tributi propri, diversi in alcuni casi da quelli previsti per le altre regioni, è stata data un'ampia devoluzione di quote dei gettiti locali dei tributi erariali, quindi tributi riscossi sul territorio come tributi erariali di cui una quota viene destinata all'amministrazione della regione.
  Vi è un'assenza di perequazione strutturale, salvo due statuti, la Sicilia e la Sardegna, che prevedono fondi specifici di perequazione, vi è un'assenza di forme di solidarietà al contrario, cioè di queste regioni rispetto allo Stato, quindi non vale il meccanismo della contribuzione di queste regioni alla finanza pubblica nazionale, almeno fino alle leggi di stabilità approvate dal 2013 in poi.
  La negoziazione sull'assetto finanziario delle regioni avviene mediante i decreti legislativi di attuazione degli statuti, quindi una negoziazione bilaterale che nel corso del tempo si orienta sempre sulla base di un principio, vale a dire le regioni speciali tendono ad acquisire nuove competenze sulla base del riconoscimento di una maggiore autonomia e quindi di una maggiore autonomia finanziaria.
  La linea di tendenza è quella di un accrescimento delle funzioni con trasferimento da parte dello Stato, e acquisizione di maggiore autonomia e quindi maggiore devoluzione nelle compartecipazioni al gettito dei tributi erariali.
  Questo avviene in modo differenziato fra le regioni: le regioni speciali del nord sfruttano maggiormente questa tipologia di tendenza, quelle del sud molto meno, ma in ogni caso si applica quel principio di territorialità che è proprio del federalismo fiscale, vale a dire che il gettito dei tributi Pag. 6viene in larga parte conservato all'interno del territorio dal quale è prodotto il reddito da cui si ricavano quei tributi.
  Viene quindi esaltato il principio di responsabilizzazione dell'ente locale, per cui l'ente diventa responsabile fiscalmente della situazione economica del territorio nel quale si trova, quindi l'ente che si trova a godere di una situazione economica più florida diventa fiscalmente più ricco, ma diventa anche fiscalmente responsabile della crisi economica del proprio territorio, quindi sopporta le conseguenze degli esiti negativi della politica economica sul territorio in questione.
  Questa asimmetria finanziaria delle regioni speciali produce un esito differenziato: le regioni economicamente e finanziariamente più forti arrivano quasi all'autosufficienza fiscale e sono capaci di richiedere maggiori trasferimenti di funzioni, le regioni economicamente e finanziariamente più deboli al contrario non sono capaci di auto-sostenere nuove attività, quindi non richiedono le competenze ulteriori o addirittura non danno attuazione alle norme dello statuto che prevedono competenze esercitabili, come accade in Sicilia e in Sardegna.
  Si ha quindi il paradosso che lo statuto in Sicilia è molto ampio nell'attribuzione delle funzioni, ma non è stata data attuazione perché l'insufficiente capacità fiscale rende difficile l'acquisizione di queste diverse funzioni da parte della regione, che quindi non chiede l'attuazione dello statuto. Quando la regione chiederà allo Stato di dare attuazione alle norme sull'autonomia finanziaria previste nello statuto e quindi andrà davanti alla Corte, la Corte Costituzionale dirà che lo statuto è stato interpretato sempre in questo modo, quindi non si può chiedere una sua interpretazione evolutiva.
  Le regioni a statuto speciale rispetto alle regioni a statuto ordinario hanno quindi una elevata compartecipazione ai tributi erariali, ma in modo differenziato. A Trento, ad esempio, il 75 per cento dei tributi erariali rimane sul territorio, in Sicilia il 39 per cento, quindi una quota molto differente. I tributi propri nelle regioni a statuto speciale non raggiungono più del 12-15 per cento rispetto alla somma complessiva delle entrate di questa regione, quota addirittura inferiore a quanto avviene nelle regioni ordinarie, dove è circa il 25 per cento.
  I trasferimenti da parte dello Stato sono molto ridotti: la Valle d'Aosta, il Friuli, la Sardegna, Trento hanno pochissimi trasferimenti dello Stato e comunque meno rispetto alle regioni ordinarie, e per quanto riguarda l'accesso ai fondi strutturali vi sono fondi speciali soltanto per la Sicilia e la Sardegna.
  Il regionalismo differenziato previsto dall'articolo 116 come si collocherebbe rispetto ai princìpi dell'autonomia finanziaria ? L'articolo 116 della Costituzione ci dice che l'assegnazione di queste funzioni ulteriori deve avvenire nel rispetto dei princìpi di cui all'articolo 119. Questo significa che una disciplina finanziaria, anche soltanto parzialmente derogatoria rispetto all'ordinamento finanziario che disciplina il complesso delle regioni ordinarie, è ammissibile.
  Ciò che deve essere rispettato non è infatti l'intero quadro ordinamentale che determina l'autonomia finanziaria delle regioni, ma vanno rispettati esclusivamente i princìpi dell'articolo 119. Su questo punto bisogna essere chiari, perché c’è chi in dottrina sostiene che con il regionalismo differenziato non si potrebbe provvedere a un'assegnazione particolare di disponibilità finanziarie a favore delle regioni che vi accedessero.
  Il fatto stesso che l'articolo 116 prende in considerazione il rapporto con il 119, cioè prende in considerazione l'aspetto finanziario, significa che il legislatore costituzionale si è reso consapevole del fatto che, nel momento dell'attribuzione di funzioni ulteriori, non si può non affrontare il dato finanziario, cioè il dato della copertura degli oneri relativi alle nuove funzioni attribuite a questi enti, quindi il problema è stato affrontato perché deve essere considerato nel momento del trasferimento.
  Siccome deve essere considerato, è stato posto un confine, che non è la piena Pag. 7omogeneità della disciplina finanziaria: il confine sono soltanto i princìpi desumibili dall'articolo 119. Questo è un punto molto importante. Questo significa che una disciplina finanziaria differenziata è senz'altro consustanziale a questo regionalismo differenziato.
  Questo è un problema fattuale: nessuna regione a statuto ordinario che acquisisse funzioni ulteriori acquisirebbe tale competenza ulteriore senza la ragionevole prospettiva di coprire gli oneri collegati alle funzioni nuove trasferite dallo Stato.
  Nella storia si è dimostrato che, tutte le volte che le regioni speciali hanno avuto il trasferimento delle funzioni ulteriori sulla base delle norme dello statuto e quindi sulla base del meccanismo pattizio previsto nell'attuazione degli statuti stessi, hanno sempre avuto una disciplina finanziaria specifica, collegata al trasferimento delle funzioni. Non si può scappare: l'articolo 116, terzo comma, può essere attuato solo mediante una modificazione dei rapporti finanziari tra lo Stato e le singole regioni.
  È accaduto però che per le regioni speciali che avevano seguito il trend (non tutte, ma molte) dell'acquisizione di ulteriori funzioni dello Stato e acquisizione di ulteriori risorse finanziarie, soprattutto dalle leggi di stabilità dal 2013 in poi il meccanismo è andato cambiando, ossia si è invertito in quanto nelle leggi di stabilità si è previsto che all'attribuzione di nuove funzioni a queste regioni non consegua automaticamente un incremento degli oneri, ma anzi l'assoggettamento anche di queste regioni speciali agli obiettivi di finanza pubblica stabiliti nelle leggi di stabilità.
  Questo significa che io Stato ti concedo funzioni in più, ma al contempo ti assoggetto, mediante i limiti collegati al patto di stabilità interno, agli obiettivi di finanza pubblica stabiliti dalla legge di stabilità in relazione ai vincoli europei e internazionali.
  Le regioni a statuto speciale hanno ricorso alla Corte Costituzionale in relazione a questo, a partire dalla legge di stabilità per il 2014, ma la Corte Costituzionale ha dato loro torto, sostenendo che anche le regioni speciali sono assoggettate al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica quali quelli stabiliti dalla legge dello Stato in relazione agli obiettivi imposti dai vincoli sovranazionali.
  Questo è un punto di sviluppo del sistema molto importante, perché la legge sul federalismo fiscale invece aveva garantito le regioni a statuto speciale rispetto alla funzione dello Stato di coordinamento della finanza pubblica, le aveva tenute fuori dalla disciplina generale e dichiarato l'esigenza di procedere a un adeguamento di questi princìpi della legge sul coordinamento mediante un rapporto bilaterale con le singole regioni.
  Questi princìpi di coordinamento e quindi anche i vincoli di finanza pubblica complessivi venivano quindi tradotti di volta in volta in un rapporto preferenziale con le singole regioni a statuto speciale, quindi era un'impostazione differente, più garantista.
  La Corte Costituzionale, la cui sentenza più importante è la n. 19 di quest'anno, ha stabilito che esistono questi obiettivi di finanza pubblica collegati a vincoli di carattere internazionale, a cui non si possono sottrarre le regioni speciali sulla base del principio di solidarietà politica, economica e sociale ex articolo 3 della Costituzione, doveri di solidarietà politica, economica e sociale che invece nella nostra storia costituzionale hanno giocato a favore delle regioni, perché proprio da questo dovere di solidarietà delle regioni è scaturita una giurisprudenza della Corte Costituzionale che ha consentito alle regioni ordinarie di andare al di là delle proprie competenze.
  Si sosteneva infatti che proprio il fatto che le regioni facciano parte di un sistema della Repubblica in cui tutti gli enti istituzionali sono coinvolti in doveri di solidarietà consenta loro di andare al di là delle competenze previste in Costituzione. Questa fu una sentenza storica di Baldassarre nel 1989. Qui, invece, il ruolo della solidarietà gioca a favore dello Stato, non a favore delle regioni, quindi c’è un cambiamento di prospettiva molto importante.Pag. 8
  Cosa dovrebbe accadere laddove noi procedessimo a un trasferimento delle competenze e quindi come coprire i costi che le regioni a statuto ordinario dovrebbero sopportare in seguito al trasferimento ? Va detto innanzitutto che il trasferimento di funzioni ulteriori previste dall'articolo 116 potrebbe riguardare materie molto onerose quali la salute, l'energia, le infrastrutture, perché il trasferimento di funzioni ulteriori riguarda tutte le materie della potestà concorrente e anche alcuni aspetti specifici della potestà esclusiva dello Stato, quali l'organizzazione della giustizia di pace, le norme generali sull'istruzione, le norme relative alla tutela dell'ambiente e ai beni culturali, settori nei quali gli oneri finanziari possono essere molto rilevanti.
  Nel momento in cui si procedesse a dare attuazione all'articolo 116, terzo comma, quale porzione della Costituzione potrebbe essere derogabile ? Qui bisogna fare una netta distinzione rispetto a quanto avviene nelle regioni speciali, perché gli statuti speciali hanno una espressa previsione costituzionale che li pone a livello delle fonti costituzionali.
  Si è quindi arrivati alla conclusione che questi statuti hanno la capacità della derogabilità di tutta la Costituzione, salvo i princìpi fondamentali, quindi per questi statuti vale il principio della piena possibilità di avere una disciplina differenziata rispetto a quella costituzionale anche in relazione all'articolo 119. Per questo la legge n. 42 del 2009 prevedeva un meccanismo di adeguamento ai princìpi di coordinamento differenziato per le regioni speciali.
  Per quanto riguarda invece il regionalismo differenziato per le regioni ordinarie, la derogabilità alla Costituzione è molto limitata e settoriale, potrebbe comprendere esclusivamente le norme competenziali, cioè quelle norme della Costituzione che prevedono la ripartizione delle competenze legislative. A ciò seguirebbero la derogabilità delle norme relative alla competenza sui regolamenti, la derogabilità sulle norme relative alla competenze amministrative fra lo Stato e le regioni, ma anche la derogabilità della ripartizione delle competenze amministrative fra la regione e i livelli territoriali interni alla regione stessa.
  La derogabilità potrebbe comprendere la disciplina dettata dall'articolo 119, salvo i princìpi dell'articolo 119, che bisogna vedere quali sono.
  Dobbiamo capire i rapporti tra queste leggi di attuazione del 116 e il 119, anche comprendendone la posizione nel sistema delle fonti. Queste leggi devono essere approvate da ciascuna Camera a maggioranza assoluta, quindi sono leggi rinforzate, ossia approvate con un procedimento differenziato.
  In diritto vale il principio del parallelismo delle forme, per cui non posso disvolere una cosa se non con le stesse forme con le quali l'ho approvata, quindi, se si volesse modificare quanto dettato nelle leggi di attuazione del terzo comma dell'articolo 116, bisognerebbe ricorrere alla stessa procedura dell'articolo 116 oppure a legge costituzionale.
  Questo significa che queste leggi hanno da un lato una capacità di parziale derogabilità rispetto all'articolo 119, dall'altro una forza di resistenza rispetto alle leggi successive, quindi anche rispetto alle leggi di stabilità, quindi anche rispetto alle leggi di coordinamento della finanza pubblica.
  Questo è un aspetto molto importante: da un lato le leggi di stabilità, le leggi di coordinamento della finanza pubblica stabiliscono dei vincoli che la Corte Costituzionale ci ha detto essere cogenti anche nei confronti delle autonomie speciali, tanto più quindi nei confronti delle regioni ordinarie, dall'altro le leggi che dessero attuazione all'articolo 116, terzo comma, avrebbero una capacità di resistenza rispetto ai princìpi stessi.
  È chiaro quindi che quando si scrivono queste leggi bisogna stare molto attenti e bisognerebbe inserire delle clausole di garanzia rispetto agli obiettivi fissati di volta in volta nelle leggi di stabilità o nelle leggi di coordinamento della finanza pubblica, altrimenti si corre il rischio di creare meccanismi in grado di innescare elementi di differenziazione difficilmente modificabili, Pag. 9perché queste leggi sono approvate sulla base dell'intesa con la singola regione.
  Ci sono due linee in dottrina: c’è chi dice che «sulla base dell'intesa» significa che l'intesa costituisce il presupposto giuridico del procedimento di formazione di quest'atto, c’è chi dice che invece ne costituisce anche la definizione del contenuto, quindi il contenuto non può essere definito se non in coerenza con l'intesa raggiunta con la regione.
  Le idee dei colleghi sono molto tranchant, in quanto c’è chi dice una cosa e chi dice l'opposto, però in Costituzione abbiamo un esempio di legge «previa intesa», ossia la legge con le confessioni acattoliche. In questo caso la procedura parlamentare prevede l'inammissibilità degli emendamenti, quindi non si possono presentare emendamenti volti a modificare il contenuto della legge «previa intesa», quindi il pacchetto della legge arriva dal Governo e l'approvi o non l'approvi.
  In questo caso si applica lo stesso principio alle leggi «previa intesa» che provengono dall'intesa con lo Stato e la regione, e il Parlamento non può pronunciarsi ? Alcuni colleghi hanno sostenuto che, se questo accadesse, il Parlamento sarebbe leso nella sua autonomia, nella sua capacità di determinare il contenuto, però va anche detto che queste leggi sono il frutto di un rapporto bilaterale fra lo Stato e la regione.
  È chiaro che nel momento dell'approvazione parlamentare io non posso alterare il rapporto bilaterale che ha determinato il contenuto dell'atto stesso, perché, se lo altero, viene meno quel rapporto pattizio considerato dall'articolo 116 il fondamento per l'approvazione di questa legge. Il carattere vincolante del contenuto dell'intesa sarebbe quindi difficilmente smentibile.
  Tra chi deve avvenire l'intesa ? Nella regione in genere le norme interne stabiliscono quale sia l'organo che ha la rappresentanza istituzionale della regione nei confronti dello Stato, dal punto di vista dello Stato non abbiamo una disciplina interna che determini la procedura attraverso la quale lo Stato provvede al raggiungimento dell'intesa.
  Nella legge di stabilità per il 2014, la legge n. 147 del 2013, l'articolo 1, comma 571, prevede che «anche ai fini del coordinamento della finanza pubblica il Governo si attiva sulle iniziative presentate dalle regioni al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari regionali entro 60 giorni dal ricevimento». Si specifica che «si attiva anche per le proposte presentate prima dell'entrata in vigore della stessa legge di stabilità per il 2014».
  Si capisce quindi che le regioni presentano queste iniziative per l'attuazione dell'articolo 116 al Presidente del Consiglio e al Ministro degli affari regionali, il Governo è tenuto ad attivarsi, però è un termine ordinatorio, da cui non consegue alcuna conseguenza nel caso in cui non sia rispettato, e quindi anche per l'intesa raggiunta con la Lombardia nel 2007 non si sa cosa abbia fatto il Governo dall'entrata in vigore della legge di stabilità per il 2014 (presumiamo che non abbia fatto molto).
  Perché la legge di stabilità per il 2014 inserisce questa norma ? La inserisce perché in quella legge di stabilità si prevedeva il concorso delle regioni speciali agli obiettivi di finanza pubblica, quindi che tutto l'ordinamento finanziario delle regioni, sia quelle speciali che quelle differenziabili sulla base dell'iniziativa già pervenuta o che perverrà, andava inserito ai fini del coordinamento della finanza pubblica.
  Il Governo Prodi approvò nel 2007 un disegno di legge sull'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, disegno di legge che poi non ha avuto alcun esito, ma la cosa importante è che in questo disegno di legge si prevedeva la possibilità di una disciplina finanziaria con la regione, relativa a tutti gli aspetti dell'articolo 119, quindi alla possibilità di attribuire tributi propri in più, di attribuire maggiore compartecipazione ai tributi erariali, di intervenire sulla perequazione nei confronti di queste regioni. La possibilità di differenziare l'autonomia finanziaria di queste Pag. 10regioni ad ampio spettro era quindi già prevista dal Governo Prodi, però in seguito la cosa è rimasta ferma.
  Quali princìpi dell'articolo 119 andrebbero rispettati laddove si addivenisse all'attuazione dell'articolo 116 ? Alcuni miei colleghi molto autorevoli e attualmente presenti in Parlamento hanno sostenuto che esisterebbe un principio costituzionale implicito di eguaglianza fra tutte le regioni. Questo vorrebbe dire che, nel momento stesso in cui procedo all'attribuzione di funzioni ulteriori sulla base dell'articolo 116, non potrei assegnare risorse finanziarie aggiuntive a quelle regioni.
  Questa è una tesi sostenuta, pubblicata, espressa in forma autorevole da alcuni colleghi che si interessano di autonomia degli enti locali e delle regioni. Questo è però in contraddizione con il principio di differenziazione introdotto dall'articolo 116 e con il fatto che lo stesso 116 ci dice che queste leggi devono rispettare solo i princìpi dell'articolo 119, ma non devono mantenere l'eguaglianza delle regioni ordinare rispetto all'autonomia finanziaria.
  Quali princìpi del 119 devono essere osservati ? Una risposta esplicita a questi problemi ci può venire dalla legge n. 42 del 2009, che ha dettato il cosiddetto «federalismo fiscale». Questa legge all'articolo 14 ci dice che la legge che dà attuazione all'articolo 116 attribuisce particolare autonomia a una o più regioni (questo è un elemento importante sul quale tornerò) e contemporaneamente provvede all'assegnazione delle risorse finanziarie necessarie «in conformità all'articolo 119 e ai princìpi della presente legge».
  Nel 2009, quindi, la legge sul federalismo fiscale ci dice che il profilo finanziario dell'autonomia delle regioni differenziate va affrontato nella stessa legge di assegnazione delle funzioni ulteriori, che questa legge può riguardare contemporaneamente più regioni e non solo una, quindi diventa una legge previa intesa plurima, con più regioni.
  In questo caso ritengo che la legge debba rispettare il principio di eguaglianza, perché una legge che disciplinasse contemporaneamente l'attribuzione di funzioni ulteriori a più regioni sulla base di pluralità di intese tra queste regioni potrebbe stabilire una disciplina di autonomia finanziaria differenziata fra queste regioni, ma lo dovrebbe fare ragionevolmente, cioè la stessa legge non potrebbe essere palesemente discriminatoria fra queste regioni.
  Nel momento in cui assegno la stessa funzione ulteriore a Piemonte, Lombardia e Veneto non posso differenziare troppo, posso tener conto dei contesti economici, istituzionali, finanziari attualmente differenti, ma non posso far divergere in modo irragionevole l'autonomia finanziaria modificata.
  Sarebbe molto difficile per le altre regioni che avessero già ottenuto un certo grado di differenziazione impugnare una legge che successivamente attribuisce le stesse funzioni a un'altra con un meccanismo finanziario differente. In quel caso il sindacato della Corte Costituzionale sarebbe più sdrucciolevole, perché la discrezionalità del legislatore di volta in volta di perseguire un diverso assetto dei rapporti finanziari sulla base dell'intesa differenziata stabilita con quella regione sarebbe un profilo meno facilmente aggredibile dalla Corte, invece la legge che attribuisce le stesse funzioni ulteriori dovrebbe rispettare maggiormente un principio di giusta valutazione della situazione delle varie regioni.
  La seconda cosa importante è che la legge n. 42 del 2009 ci dice che la legge di assegnazione delle funzioni ulteriori assegna le funzioni necessarie. Le funzioni sono considerate necessarie perché si vuole rispettare lo stesso articolo 119, che ci dice che l'autonomia finanziaria di entrata delle regioni deve essere tale da consentire l'esercizio integrale delle funzioni di quelle regioni, quindi anche l'esercizio delle funzioni ulteriori che venissero attribuite dall'articolo 116.
  Questo dell'articolo 119 è un principio, per cui bisogna assicurare attraverso tutte le modalità di finanziamento delle regioni previste dall'articolo 119 la possibilità di avere la copertura finanziaria degli oneri Pag. 11in relazione all'esercizio integrale delle funzioni. Per questo, la legge n. 42 del 2009 ci dice che si devono assegnare le risorse finanziarie necessarie, e questo è coerente con l'articolo 119.
  Poi però ci dice che questa legge di attuazione dell'articolo 116 deve rispettare i princìpi della legge n. 42 del 2009. Questo è un punto molto delicato, perché vorrebbe dire che la legge n. 42 del 2009 diventa una fonte di norma interposta, quindi che le leggi di attuazione dell'articolo 116 devono rispettare anche le norme di principio stabilite dalla legge n. 42 del 2009.
  Da questo punto di vista la soluzione della legge n. 42 del 2009 mi sembra corretta, perché è lo stesso articolo 119 che ci dice che l'autonomia finanziaria di entrata delle regioni ordinarie deve esercitarsi nel rispetto dei princìpi di coordinamento, quindi, se i princìpi di coordinamento del sistema di finanza pubblica, del sistema tributario sono scritti in quella legge e sono ragionevolmente qualificabili come tali e se la Corte Costituzionale accetta che siano considerabili princìpi di coordinamento, è corretto dire che le leggi di attuazione dell'articolo 116 devono rispettare soprattutto i princìpi di coordinamento scritti nella legge n. 42 del 2009.
  Nella legge n. 42 del 2009 sono elencati tantissimi princìpi, quelli fondamentali sono indicati nell'articolo 3, dove si dettano i criteri generali che dovevano essere osservati nell'attuazione delle varie deleghe della legge n. 42 del 2009.
  Un altro problema: l'individuazione delle risorse finanziarie necessarie per l'esercizio delle funzioni amministrative ulteriori è stabilita nell'intesa o nella legge ? Questo è un punto delicato, sul quale i miei colleghi giuristi si sono esercitati, ed è stato detto da alcuni che, se la legge di conferimento delle attribuzioni di funzioni ulteriori stabilisce queste risorse, questa disciplina della legge sarebbe immodificabile da leggi successive, salvo che non fossero leggi che rispettano lo stesso tipo di procedimento; se invece la definizione delle risorse ulteriori fosse definita nell'intesa e poi recepita dalla legge, con leggi successive si potrebbe cambiare la definizione dell'assegnazione di queste risorse.
  La tesi però è criticabile, perché abbiamo già detto che le leggi di assegnazione di funzioni ulteriori sono necessariamente leggi rinforzate, quindi a prescindere da quale sia il luogo originario nel quale siano stabilite le nuove condizioni di finanziamento di queste funzioni ulteriori, questa definizione sarà successivamente immodificabile, se non si raggiunge una nuova intesa con quella regione, perché rimane sempre una legge rinforzata.
  In cosa può consistere l'assegnazione di risorse ulteriori ? Può consistere (mi sembra corretta la soluzione del disegno di legge Prodi nel 2007) nella possibilità di modulare diversamente tutte le fonti di finanziamento previste nell'articolo 119, tra cui anche (nel disegno di legge Prodi non c'era) le risorse aggiuntive, che sono previste dall'articolo 119 «anche per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni attribuite».
  Se sono possibili risorse aggiuntive che lo Stato destina ad enti territoriali predeterminati per le ragioni indicate dall'articolo 119, provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle funzioni può significare anche provvedere a funzioni ulteriori rispetto alle funzioni attribuite di norma a tutte le regioni.
  Non si possono invece utilizzare strumenti di finanziamento vietati dall'articolo 119, che proibisce la possibilità che le regioni ricorrano all'indebitamento al di là delle spese di investimento, quindi è chiaro che non si potrebbe consentire di derogare a questo principio dell'articolo 119.
  Quali sono i princìpi del 119 che vanno rispettati ? Prima di tutto l'articolo 119 è stato cambiato pochi anni fa, stabilendo che l'autonomia di entrata e di spesa delle regioni deve rispettare il principio dell'equilibrio di bilancio nel rispetto dei vincoli dell'Unione europea. Questo è il principio di bilancio, che poi viene tradotto nelle leggi di stabilità, quindi queste leggi di attuazione dell'articolo 116 dovrebbero Pag. 12far salva la traduzione dell'equilibrio di bilancio, così come determinato di volta in volta dalle leggi di coordinamento della finanza pubblica e quindi essenzialmente dalle leggi di stabilità.
  In secondo luogo, l'articolo 119 prevede la garanzia costituzionale dell'autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Questo significa che la differenziazione non può ridurre la sfera di autonomia garantita in Costituzione, così come è stata interpretata dalla Corte Costituzionale, che nel corso del tempo ha dettato dei paletti, dei confini, oltre i quali la legge dello Stato non può intervenire nell'autonomia finanziaria degli enti territoriali.
  Ha detto ad esempio che sono vietate le leggi con le quali lo Stato assegna alle regioni dei finanziamenti in relazione a certi obiettivi perché, data l'autonomia delle regioni, lo Stato non può più farlo e non potrebbe farlo neanche con la legge di attuazione dell'articolo 116.
  Terzo principio: il principio dell'integrale finanziamento delle funzioni. L'articolo 119 dice che deve essere assicurato il finanziamento integrale di tutte le funzioni regionali, quindi anche il finanziamento delle funzioni ulteriori. Quarto principio: bisogna comunque assicurare l'intervento perequativo dello Stato, cioè la differenziazione eventualmente ottenuta non esclude la regione dalla perequazione, principio generale stabilito dall'articolo 119.
  Per quanto riguarda la legge n. 42 del 2009 quali princìpi andrebbero rispettati ? Ve ne cito alcuni stabiliti che considero importanti, perché si stabilisce per esempio il principio di lealtà istituzionale fra i livelli di Governo. È chiaro che vi deve essere un principio di leale collaborazione anche nell'autonomia finanziaria differenziata, principio che va confermato, poi c’è il principio del concorso della regione e di tutti gli enti territoriali al perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale, in coerenza con gli obiettivi dell'Unione.
  Altri princìpi sono la razionalità e la coerenza dei tributi, la semplificazione del sistema tributario, la trasparenza del prelievo, il rispetto dei princìpi dello Statuto del contribuente, l'adozione del meccanismo del fabbisogno standard.
  Concludo con altre due questioni. Il processo di differenziazione dell'autonomia delle regioni deve tener conto del tempo che passa, quindi alcuni propongono (non mi sembra tanto corretto) che le leggi di attuazione dell'articolo 116 siano leggi a tempo, a termine, stabilendo che l'attribuzione della funzione ulteriore vale per cinque o dieci anni, ma io lo considero incostituzionale perché la funzione è attribuita per sempre, salvo che non si modifichi con ulteriore legge.
  Queste leggi potrebbero però introdurre dei procedimenti di manutenzione, cioè procedimenti di valutazione della prassi successiva all'entrata in vigore di questa differenziazione.
  Quali strumenti si potrebbero impiegare per assicurare una manutenzione corretta di questo procedimento di differenziazione ? Uno strumento potrebbe essere una legge che preveda decreti legislativi integrativi e correttivi, cioè che per un lasso di tempo si proceda a una revisione della normativa della legge dell'articolo 116, tenendo conto della situazione di contesto che muta secondo prospettive che inizialmente ignoriamo (la regione potrebbe infatti trovarsi in una difficoltà specifica nell'attuazione di una funzione ulteriore), subordinando l'adozione dei decreti legislativi correttivi e integrativi a una forma di intesa con gli enti regionali, così da rispettare sempre la formula dell'articolo 116.

  PRESIDENTE L'impianto teorico mi sembra abbastanza definito, l'aspetto pratico di implementazione resta tutto da vedere. Ringrazio il professor Salerno per il focus sulle regioni a statuto speciale, che non era richiesto e che potrebbe essere tema di un ulteriore approfondimento della Commissione, visto che più volte viene richiamato nella discussione politica.
  Lascio ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  MARIA CECILIA GUERRA. Chiedo scusa per essere purtroppo arrivata in ritardo, però non credo che quanto le chiedo sia già stato trattato.
  Noi stiamo approvando una nuova riforma costituzionale in cui si interviene sul tema dell'articolo 116 anche in ragione della variazione delle competenze. In particolare, fra le funzioni assegnabili alcune prevedono l'assegnazione alle regioni della nuova definizione di disposizioni generali e comuni per quanto riguarda alcune politiche (politiche sociali, l'istruzione e altre).
  Il senso logico mi porterebbe a pensare che, nel momento in cui si è definita una cosa che sarà definita poi nel contenzioso inevitabile con la Corte Costituzionale, l'elemento di comunanza dovrebbe essere interpretato come comune a tutte le regioni, quindi vorrei conoscere il suo parere su questo.
  Appare fondamentale tutta l'analisi che lei ha fatto (e la ringrazio) della necessità della coerenza fra funzioni e finanziamento, come economista ho questa sensibilità e credo che quello sia stato l'ostacolo per cui si è inceppato il meccanismo, anche per l'elemento che dovrebbe essere rispettato, ma è forse il più difficile da declinare, che è l'intento perequativo.
  C’è già stata una prima violazione di questo intento, non già con riferimento all'articolo 116 che non è stato attuato, per quanto riguarda i fabbisogni standard in particolare per gli enti decentrati, quindi il quadro da questo punto di vista è più delicato. Credo che la specialità e l'estensione della specialità attraverso l'articolo 116 possa essere una cosa desiderabile dal punto di vista dell'idea di federalismo, responsabilità, autonomia che tutti abbiamo, molto meno se questo comporta il venir meno di una pressione rispetto a princìpi di uguaglianza che non riguardano tanto le regioni quanto i cittadini di quelle regioni.

  ROGER DE MENECH. Lei è partito da due regioni a statuto speciale, Sicilia e Sardegna, dicendo che di quegli statuti non si è avuta completa applicazione per mancanza di margini fiscali, mentre ha poi citato Lombardia, Veneto, Emilia, nelle quali questi margini ci sono.
  Dal punto di vista dell'applicazione pratica dell'articolo 116 credo che la rivisitazione della norma costituzionale non cambi questo approccio, ma ne delimiti in maniera più puntuale un percorso. Possiamo dire quindi che oggi, rispettando gli indirizzi, le regioni che hanno un margine possono vedersi trasferite risorse, competenze e funzioni per il valore in cui oggi lo Stato spende per il mantenimento di questo servizio al cittadino ?
  Se questa è la formula che dovremmo ipotizzare per un'applicazione concreta, perché sulle enunciazioni di principio siamo tutti d'accordo, il vero problema è come prendere una norma generale ad invarianza di spesa per il bilancio dello Stato e riuscire a portarla nei territori.
  Noi dovremo fare questa operazione, che presenta un grosso problema, perché in passato operazioni di delocalizzazione sono già state fatte dallo Stato e non soltanto a norma costituzionale e non soltanto a regioni a statuto ordinario o speciale, ma dalla Bassanini in poi, dagli anni 2000 abbiamo spostato funzioni e competenze a regioni e province tramite convenzioni e patti bilaterali, ma il problema vero è la durata nel tempo.
  Se infatti oggi facciamo un patto fra lo Stato e le regioni per il giudice di pace, che vale l'1 per cento del residuo fiscale, domani dobbiamo avere la capacità di rimodularlo, perché uno dei problemi emersi in passato nei rapporti fra lo Stato e le autonomie locali è il criterio di rideterminazione del fabbisogno per venire incontro alla funzione delegata.
  Dovremmo costruire – sempre a saldi invariati per lo Stato – un meccanismo, lei si è detto giustamente contrario al meccanismo che prevede di delegare per un determinato numero di anni, ma ricordo a tutti che negli anni 2000 (cito alcuni esempi come la delocalizzazione della funzione strade, oggi di competenza delle aree vaste) abbiamo firmato in tutte le regioni Pag. 14delle convenzioni che oggi non sono rispettate dallo Stato e a cascata anche dalle regioni.
  Questo è uno dei problemi veri rispetto all'autonomia. Credo che studiare un meccanismo fiscale di armonizzazione delle entrate e delle spese rispetto alle funzioni delegate sia il punto fondamentale per passare dalle enunciazioni di principio degli articoli 116 e 117 all'aspetto pratico di questi due articoli della Costituzione nei rapporti fra lo Stato e le regioni, sapendo che dal meccanismo dei costi standard, dei fabbisogni, dei livelli di spesa può arrivare un beneficio fiscale per lo Stato.
  Come possiamo creare dei meccanismi di rivalutazione della funzione delegata, possiamo anche creare dei meccanismi per ottimizzare la funzione delegata, quindi anche con un risparmio. Oggi lo Stato spende 1 per il giudice di pace, ma non è detto che domani la Lombardia possa spendere 0,9, magari mantenendo più in efficienza la funzione del giudice di pace.

  GIOVANNI PAGLIA. Probabilmente avrei bisogno di tempo per rielaborare quanto ho ascoltato, però c’è un tema che non riesco a capire fino in fondo, cioè come si possa coordinare il trasferimento di funzioni (non di risorse, ma di autonomia fiscale) con i princìpi generali di coordinamento della finanza pubblica.
  Abbiamo una gabbia molto rigida di parametri in cui deve stare il bilancio pubblico. Se trasferisco risorse, l'autonomia fiscale non impatta nello stesso punto, cioè il bilancio della Lombardia è una cosa, il bilancio dello Stato un'altra, e, una volta che smetto di avere gettito per lo Stato ma ce l'ho in Lombardia, sul piano regionale i parametri non impattano nello stesso modo che a livello centrale, cioè con le stesse risorse il rapporto deficit/PIL della Lombardia può essere all'1 per cento e quello dello Stato al 5, perché sono realtà diverse.
  Il debito pubblico ad esempio rimane tutto in capo allo Stato. In termini assoluti, quindi, non cambia molto perché il vaso rimane quello, però in termini di Patto di stabilità interno e di coordinamento della finanza pubblica ho l'impressione, senza fare grandi calcoli, che non funzionerebbe in modo analogo, una volta che le risorse rimangono sul territorio anziché andare allo Stato e poi eventualmente tornare paradossalmente indietro.
  Da un punto di vista contabile non è la stessa cosa, anche se lo è da un punto di vista sostanziale.

  GIULIO SALERNO, professore ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Macerata. La prima è una questione molto delicata sulla quale ho iniziato a riflettere, perché queste disposizioni generali e comuni hanno avuto, nell'intenzione di chi ha suggerito e approvato questa definizione, lo scopo di rafforzare l'elemento della governance unitaria rispetto alla concreta determinazione della disciplina di quella materia.
  Bisognerà verificare ovviamente l'attuazione, cosa significherà, come la Corte Costituzionale interpreterà, la prassi come si orienterà, ma la mia idea è che quando parlo di disposizioni generali e comuni incido sull'assegnazione anche delle funzioni amministrative.
  Disposizioni generali e comuni in materia di istruzione e formazione professionale significa anche dare allo Stato una competenza di amministrazione e di gestione di quelle funzioni, non soltanto di dare disposizioni di carattere normativo unitario di quel settore, come ad esempio un'Agenzia nazionale dell'istruzione e formazione, un'Agenzia nazionale per l'occupazione, come è stata già creata.
  L'Agenzia nazionale per l'occupazione infatti non è altro che il passo a Costituzione invariata di quello che poi si dovrebbe fare una volta approvata la Costituzione cambiata come si presume oggi, quindi la scelta delle disposizioni generali e comuni inserite nella possibilità di attribuire funzioni ulteriori significherebbe che quelle determinazioni assunte a livello unitario dallo Stato mediante le disposizioni generali e comuni potrebbero non essere osservate dalla regione.
  La regione potrebbe quindi uscire fuori dal meccanismo di Agenzia nazionale per Pag. 15l'occupazione, potrebbe uscire fuori dal meccanismo dell'Agenzia nazionale se venisse fatta per l'istruzione e formazione, quindi c’è un elemento di possibile scorporo della regione che accedesse al regionalismo differenziato rispetto a un assetto unitario, stabilito dallo Stato.
  Questa è una conseguenza inevitabile di quell'articolo: la possibilità di sottrarsi a politiche di carattere unitario. Naturalmente questa è la logica del modello competitivo e non cooperativo, quindi è un inserimento di un elemento di differenziazione della cui conseguenza non so se chi ha inserito questa disposizione si sia reso conto, perché c’è questa eventualità di forte differenziazione.
  Mi rendo conto che c’è questo tema, però, come avevo detto all'inizio, il modello cooperativo immaginato dal costituente è un modello sul quale l'articolo 116 introduce un fattore di criticità ma comunque di innovazione, quindi di diversa disciplina dei settori, anche a rischio di far recedere i princìpi di carattere unitario.
  Qui si parla di disposizioni comuni, quindi non si tratterebbe di interessi di livello nazionale, perché la riforma costituzionale si muove anche nell'ottica di rafforzare la tutela degli interessi nazionali che ritornano dentro la Costituzione attraverso la possibilità dello Stato di approvare leggi in via sostitutiva nei confronti delle regioni nelle materie di competenza regionale.
  Qui si tratta di disposizioni comuni, che non avrebbero valenza di interesse nazionale rispetto a quelle dettate dallo Stato nel momento in cui si sostituisce alle regioni.
  La sua domanda è molto interessante, perché effettivamente il procedimento di attuazione dell'articolo 116 si è bloccato proprio in relazione a quanto diceva. Lei suggeriva quindi di escogitare un meccanismo fiscale che possa consentire di valutare la rimodulazione del fabbisogno con il passare del tempo in relazione a quella funzione specifica.
  Nulla esclude che si possa intervenire a livello generale sulla legge n. 42 del 2009, introducendo meccanismi a carattere generale, che possano poi essere tradotti nelle singole leggi di attuazione dell'articolo 116, quindi prevedere di risolvere questo problema in generale con un meccanismo complessivo che debba essere applicato di volta in volta nelle leggi, perché altrimenti corriamo il rischio che, se di volta in volta nelle leggi stabiliamo dei meccanismi specifici per settori, il sistema tenda a saltare.
  Se infatti stabilisco una disciplina particolare per la sanità, una disciplina particolare per le strade, una disciplina particolare differenziata per la singola regione, come faccio nel quadro complessivo a gestire le risorse disponibili per un settore di intervento ?
  Bisognerebbe intervenire costruendo dei meccanismi che tengano conto ad esempio che noi abbiamo la Commissione per il coordinamento della finanza pubblica, che esiste e potrebbe svolgere un ruolo specifico. Bisogna attribuire alla Commissione per il coordinamento della finanza pubblica, che ha questo ruolo di rappresentanza dei diversi livelli istituzionali, la determinazione di meccanismi ragionevoli di modulazione del fabbisogno per i singoli settori sui quali si procede alla differenziazione.
  Il problema è che dobbiamo distinguere il rispetto degli equilibri di finanza pubblica, e su questo il regionalismo differenziato non può derogare, gli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede nazionale devono essere rispettati anche dalle regioni che si avviano sulla strada della differenziazione. Nel momento in cui si procede a una diversa autonomia finanziaria di quella regione, quella regione comunque deve raggiungere gli obiettivi di finanza pubblica stabiliti nel DEF e poi tradotti nel Patto di stabilità interna, modificato purtroppo ogni anno dalle leggi di stabilità.
  Occorre considerare il fatto che ci sia uno spostamento del gettito fiscale da un ente a un altro, spostamento probabile e non certo, perché, se si trattasse non soltanto di devoluzione di quote di compartecipazione di tributi dello Stato, ma Pag. 16di tributi propri della regione – cioè che nel momento della differenziazione assegnerei anche la possibilità di recuperare risorse attraverso un'imposizione fiscale su presupposti d'imposta, che fino al momento prima erano dello Stato – possono anche cambiare i gettiti a seconda delle capacità della regione.
  Da quel punto di vista è una responsabilizzazione finanziaria dell'ente. Se ci fermiamo semplicemente a modificare le quote dei tributi riscossi dallo Stato, allora sono d'accordo con lei: si tratta di spostare la titolarità di somme da un ente all'altro, ma poi il problema riguarderà l'impiego delle risorse, quindi la differenziazione diventerebbe esclusivamente maggiore trasparenza dell'attività amministrativa e delle responsabilità amministrative dell'ente.
  Da questo punto di vista è auspicabile un intervento nella legge n. 42 del 2009, al fine di chiarire il rapporto con il coordinamento della finanza pubblica, che noi abbiamo definito secondo alcuni princìpi nella legge n. 42 del 2009 ma che non è attuato. Sappiamo bene che la legge n. 42 del 2009 in buona parte non è attuata, basti pensare alla perequazione che non è attuata. Abbiamo quindi degli strumenti diversi, che non sono quelli previsti dalla legge n. 42 del 2009, quindi innanzitutto diamo attuazione piena alle norme e dopo procediamo.
  Mi sembra che comunque le domande che avete fatto mantengano piena evidenza della difficoltà di avventurarsi in una terra sconosciuta, quindi su questo penso che ci sia la necessità di ulteriori approfondimenti. Grazie per le domande molto interessanti.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare il professor Salerno, dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.