XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 42 di Giovedì 26 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, sui profili finanziari dell'attuazione della legge 7 aprile 2014, n.56, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Fornaro Federico  ... 10 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 10 
Broglia Claudio  ... 11 
De Menech Roger (PD)  ... 12 
Zanoni Magda Angela  ... 13 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 13 
Zanoni Magda Angela  ... 14 
Guerra Maria Cecilia  ... 14 
Gibiino Vincenzo  ... 15 
Collina Stefano  ... 15 
Lai Bachisio Silvio  ... 16 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie ... 16 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, sui profili finanziari dell'attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie, Gianclaudio Bressa, sui profili finanziari dell'attuazione della legge n. 56 del 7 aprile 2014, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni.
  Ringraziamo il Sottosegretario Bressa. La sua audizione è stata preceduta da un'intensa serie di incontri e audizioni con i rappresentanti delle autonomie a diverso titolo (province, comuni e regioni). La materia è controversa. Tutti aspettano un decreto probabilmente ispirato anche da lei. Pertanto, se riesce a darci qualche elemento di chiarimento, per noi e per i disperati che sono sul territorio, le saremmo molto grati.
  Do la parola al Sottosegretario Bressa per lo svolgimento della sua relazione.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Io vorrei dividere in due parti la relazione che mi appresto a fare alla Commissione: una prima parte descrittiva dello stato dell'arte della situazione e delle misure che sono già state adottate e che dovrebbero essere adottate con un decreto di qui a qualche giorno; e una seconda parte, che è invece di prospettiva, che riguarda il tema del federalismo fiscale relativamente ai nuovi enti che la legge n. 56 del 2014 ha istituito, ovvero le città metropolitane e gli enti di area vasta.
  Per quanto riguarda la prima parte, voi sapete che ad aprile dello scorso anno è stata approvata la legge n. 56, che prevedeva sostanzialmente un cambio radicale del modo di essere, dal punto di vista istituzionale ma anche dal punto di vista della cultura politica, dei nuovi enti provincia, che vengono chiamati «enti di area vasta», e l'attivazione, per la prima volta dal 1990, del sistema delle città metropolitane.
  Questa legge ha dei tempi di attuazione abbastanza ben definiti e incrocia responsabilità istituzionali di vario livello: ci sono responsabilità in capo allo Stato, ovvero al Governo, e in questa fase ci sono soprattutto rilevanti e preponderanti responsabilità in capo alle singole regioni, le quali devono procedere con proprie leggi regionali alla definizione delle funzioni non fondamentali che, come regioni, intendono mantenere presso di sé oppure attribuire, o riattribuire perché infatti molte di queste sono già competenze delle province. Pag. 4
  Il terzo soggetto sono i comuni, che in questo grosso disegno di riordino istituzionale diventano un interlocutore importante per la gestione di alcune funzioni che non sono fondamentali in capo alle province, ma possono essere redistribuite tra la regione e i comuni.
  Questa procedura è estremamente complessa, per effetto delle norme che sono intervenute anche successivamente alla legge n. 56. Le funzioni fondamentali che rimangono alle province possono essere così riassunte: le funzioni relative alle strade, alla gestione e a tutta quella parte di ambiente che è connessa alla manutenzione, alla progettazione e alla programmazione della rete stradale, compresa la parte relativa all'assetto idrogeologico e idraulico; l'organizzazione e la manutenzione dell'edilizia scolastica; e i servizi generali.
  Per quanto riguarda i servizi generali, si dovrebbe entrare in un ordine di idee sostanzialmente diverso dal passato. Questi sono servizi generali che giocano una funzione interna all'ente provincia, ma giocano anche una funzione in proiezione verso gli enti locali. Infatti, uno dei compiti dell'area vasta è quello di diventare il punto di riferimento per i concorsi e per le progettazioni e di fungere potenzialmente da stazione appaltante per tutta una serie di realtà e di enti, la cui dimensione non è tale da consentire un livello di efficienza adeguato alla predisposizione di queste attività.
  Voi sapete che siamo in attesa della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale relativa alla costituzionalità della legge n. 56. La Corte si è riunita alla fine di gennaio, per cui dovrebbe essere questione di qualche giorno. Io avrei preferito fare l'audizione a sentenza pubblicata, perché questo mi avrebbe consentito di fare delle affermazioni più impegnative rispetto a quelle che posso fare adesso in sospensione di giudizio. Le regioni che avevano fatto ricorso erano quattro: il Veneto, la Lombardia, la Campania e la Puglia. Restiamo in attesa di questo esito.
  Ho voluto ricordare questo, perché la legge n. 56 è la prima legge statale che entra nel merito dell'organizzazione delle unioni e fusioni dei comuni. Pur mantenendo la radice che ha sempre consentito alle leggi statali di intervenire sulla materia del controllo e del governo della finanza pubblica, è la prima legge che introduce elementi incentivanti che hanno anche dei caratteri di tipo istituzionale e non solo di risparmio finanziario.
  Fatto questo breve riassunto, passo a descrivere la situazione attuale. Approvata la legge n. 56, la legge di stabilità per il 2015 ha proceduto a fare un taglio di un miliardo di euro per le province, gli enti di area vasta e le città metropolitane. In realtà, il taglio è di 900 milioni, perché i restanti 100 milioni riguardano la Sicilia e la Sardegna, che però sono fuori dal processo di attuazione della legge n. 56, perché si tratta di regioni a statuto speciale che hanno una competenza primaria nel merito.
  Noi abbiamo cercato di fare un'operazione, che stiamo concludendo proprio in questi giorni – oggi pomeriggio incontriamo l'ANCI e l'UPI relativamente all'ipotesi della prospettazione delle modalità del taglio. La legge di stabilità prevede che questo taglio di 900 milioni di euro dovesse essere attuato con riferimento alla differenza tra la spesa storica e i fabbisogni.
  Il primo problema che noi abbiamo dovuto affrontare era legato al fatto che i dati che ci provenivano dai conti consuntivi, l'ultimo completo dei quali è quello del 2012, fanno riferimento a una spesa storica che è rapportata a enti che sostanzialmente non esistono più. Il primo problema era come trattare questi dati di spesa storica.
  La seconda questione era che, sempre all'interno dell'ultima legge di stabilità, noi abbiamo previsto che questi enti, in ragione del fatto che le funzioni fondamentali sono quelle che io ho ricordato poc'anzi, procedano con una riduzione del Pag. 550 per cento del personale per quanto riguarda gli enti di area vasta e del 30 per cento per quanto riguarda le città metropolitane e le tre province montane. Questa differenza è determinata dal fatto che città metropolitane e province montane hanno più funzioni rispetto agli enti di area vasta.
  L'operazione della definizione, non tanto dei nomi quanto del contingente che dovrebbe restare, si dovrebbe chiudere il 31 marzo, cioè tra qualche giorno. Ciò vuol dire che le province e le città metropolitane devono definire quante e quali sono le figure professionali che restano alle province e alle città metropolitane per garantire la gestione delle funzioni fondamentali.
  Adesso cerco di affrontare le due questioni più delicate: quella del taglio e quella dei finanziamenti, o meglio delle misure finanziarie per il 2015 degli enti di area vasta e delle città metropolitane.
  A proposito del taglio, come vi dicevo poc'anzi, la legge di stabilità ci dà un range entro cui dobbiamo muoverci: la spesa storica e la differenza tra la spesa storica e i fabbisogni.
  Per quanto riguarda la spesa storica, vi dicevo che c'era il problema di ridurla a razionalità, per cui abbiamo cercato di trasformare la spesa storica e di attualizzarla efficientandola, utilizzando cioè dei parametri che consentano di tarare quella che dovrebbe essere e che sarà la spesa per garantire le funzioni fondamentali, stabilendo dei fabbisogni-tipo.
  Sono tra persone che si occupano quotidianamente di questi temi. Io continuerò a usare il termine «fabbisogno» in maniera impropria. Lo uso perché è così riportato nella legge di stabilità. Tuttavia, quando io faccio riferimento ai fabbisogni relativamente all'efficientamento della spesa storica, non faccio riferimento ai fabbisogni standard, ovvero a quei fabbisogni che servirebbero per garantire il migliore servizio possibile su tutto il territorio nazionale, perché stiamo facendo un'operazione che riguarda la spesa storica e io devo tradurre la spesa storica riferita a una pluralità di funzioni con una spesa storica concentrata sulle funzioni fondamentali. Per di più, devo tararla con la prospettiva che le province future e le città metropolitane avranno servizi diversi da quelli del passato.
  Voi sapete che anche la società Soluzioni per il Sistema Economico Spa – SOSE, mentre era andata parecchio avanti circa la definizione dei fabbisogni fondamentali relativamente ai comuni, per quanto riguardava le province non aveva ancora licenziato uno schema di fabbisogni. Dunque, abbiamo avuto questo primo problema da risolvere.
  Il secondo problema che dovevamo risolvere era che il taglio doveva essere fatto con questo parametro, ma anche con la spesa storica. A differenza dei comuni, per cui è previsto che il 20 per cento debba essere fatto sui bisogni fondamentali e il resto sulla spesa storica, qui non avevamo percentuali e, quindi, avevamo la possibilità di muoverci più liberamente, ma la cosa in sé era più complessa.
  Siamo riusciti in qualche modo a trovare degli strumenti che fossero in grado di efficientare la spesa storica e di rapportarla alle rispettive capacità fiscali.
  Voi sapete che uno dei problemi fondamentali, soprattutto per quanto riguarda le province, era l'estrema rigidità della capacità fiscale. In seguito, quando affronterò la seconda parte del discorso, vedremo quali sono i corni del problema. Quindi gli strumenti in mano alle province per garantire le proprie entrate sono molto rigidi e, per effetto dei tagli delle ultime finanziarie, a partire dal 2010, sono stati stressati ai massimi livelli.
  Vi faccio un esempio per capire. Nel caso dell'RC Auto, che è quella che dà il maggiore gettito, solo quattro province non l'hanno applicata al livello massimo. Pertanto, la media nazionale delle aliquote è del 15,89. Mi pare che sostanzialmente non ci siano più molti margini. Sull'IPT e sul tributo per l'esercizio delle funzioni di tutela, protezione e igiene dell'ambiente – TEFA ci sono margini un po’ più alti, ma di poco. Pag. 6
  Dovevamo rapportare questa spesa storica con la capacità fiscale. Faccio un esempio: una provincia di 250.000 abitanti e una provincia di 850.000 abitanti, che possono avere sostanzialmente lo stesso tipo di servizio – infatti, per quanto riguarda le strade, se una provincia è grande, la popolazione conta relativamente, perché conta la superficie delle strade – con i sistemi che venivano utilizzati prima, avevano tagli lineari che evidentemente non tenevano conto della capacità fiscale della singola provincia. Se una provincia di 250.000 abitanti ha una potenzialità di RC auto pari a x, la potenzialità fiscale della provincia di 850.000 abitanti è pari a x per quattro.
  La prima grande novità che abbiamo apportato è stata immaginare di distribuire il taglio con dei criteri che non fossero più lineari, ma tenessero conto della realtà demografica, climatica ed economica delle varie province.
  La seconda questione importante che è stata prevista nella legge di stabilità, e che comunque verrà aggiornata e perfezionata con alcune norme del prossimo decreto, è quella che deve consentire alle province di godere di una sorta di polmone finanziario, che noi abbiamo stimato essere di circa sei mesi nel 2015, per consentire che il passaggio del personale avvenga realmente dalle province alle regioni o ai comuni, oppure con la riattribuzione alle province.
  Abbiamo dovuto immaginare questo perché la competenza a definire quale sia il destino delle funzioni non fondamentali, cioè se rimangano in capo alle regioni, se vengano riattribuite alle province o vengano variamente ridistribuite, è in capo alla responsabilità legislativa autonoma di ogni singola regione.
  La situazione è a macchia di leopardo, in quanto da qui a lunedì avremo cinque regioni che avranno approvato la legge. Due sono già state approvate: la Toscana l'ha approvata quindici giorni fa e l'Umbria ieri. Tra domani e lunedì, altre tre regioni dovrebbero approvare la legge. Non ricordo quali siano.
  Apro una parentesi: la legge prevedeva che le giunte regionali, entro il 31 dicembre, adottassero una delibera di indirizzo; ovviamente l'Emilia-Romagna e la Calabria non potevano farlo, perché non era costituita la giunta.
  Tuttavia, c’è modo e modo di fare le delibere di giunta. Ci sono delibere di giunta che sono di fatto un disegno di legge che poi va direttamente alla discussione del consiglio, mentre ci sono altre delibere di giunta – vedo l'onorevole Rubinato e mi viene in mente il Veneto – che sono totalmente astratte, nel senso che sostanzialmente danno delle linee generali riproponendo lo stato di fatto, senza porsi alcun problema, come, per esempio, il Veneto, che nel corso di questi anni ha trasferito alle province un numero considerevole di funzioni e le ha coperte al 22 per cento. In pratica, trasferisco cento e ti do 22 per coprire. Come dicevo, c’è modo e modo di fare le delibere.
  Mi pare che l'Emilia-Romagna il 31 marzo approverà in giunta, ma non approverà una delibera generale, bensì un'ipotesi di disegno di legge che poi andrà direttamente in consiglio.
  Non mi ricordo quali regioni approveranno la legge entro lunedì. Comunque, quelle che sono più avanti sono la Liguria, il Lazio e l'Umbria. In Abruzzo non si capisce esattamente quale sia la situazione, nel senso che c’è una delibera di giunta e il testo è stato affidato alla commissione, la quale è intervenuta modificandolo abbastanza puntualmente, ma non è ancora prevista la discussione in consiglio.
  Procedendo a ritroso, le realtà che sono più indietro sono la Puglia, la Campania, la Calabria e il Veneto, mentre la Basilicata è arrivata alla fine del procedimento.
  La Lombardia ha proceduto a fare una delibera di giunta. Adesso ha affidato quella delibera di giunta, anche con altri indirizzi, a due commissioni. Non vi so dire quali siano, ma credo che siano quella Pag. 7istituzionale e quella del bilancio. Comunque, il lavoro in questo momento è a livello di commissioni regionali e non è stato calendarizzato fino a maggio, quindi si presume che sarà calendarizzato successivamente.
  Tutte le regioni, ovviamente nell'ambito della loro autonomia, hanno corrisposto alle proprie responsabilità e lo hanno fatto in maniera diversa, anche con soluzioni completamente diverse. Vi riporto due esempi, per comprendere i modelli che potremmo trovarci di fronte: la Toscana tende a riregionalizzare tutto, mentre l'Emilia-Romagna, fatte alcune eccezioni, tende a mantenere in capo alle province le funzioni che aveva già attribuito alle stesse, però dando loro anche i soldi mancanti per garantire la gestione.
  L'Umbria, che è l'altra che ho in mente perché la legge è stata approvata ieri, è a metà strada tra questi due modelli, nel senso che tende a regionalizzare molte funzioni, lasciandone alcune. Alcune funzioni sono tipiche dell'Umbria, come la gestione lacustre – voi sapete che il lago Trasimeno per l'Umbria ha un'importanza significativa per molti aspetti – che storicamente è sempre stata competenza degli enti provincia e rimarrebbe affidata a loro.
  Aldilà di tutto questo, noi ci troviamo di fronte al fatto che dal primo gennaio la legge n. 56 è operativa. Noi abbiamo stabilito che le province abbiano un carico del personale ridotto del 50 per cento o del 30 per cento, ma in questi mesi il personale è ancora in capo alle province, le quali lo devono continuare a pagare. Per consentire che questo possa avvenire, il taglio, che sicuramente è un peso, è stato rimodulato in maniera non lineare, in modo tale che abbia degli effetti non distorsivi.
  Per esempio, una delle cose che saltava agli occhi in maniera molto evidente è che una delle due province che sono in stato di dissesto è andata in dissesto, aldilà delle scelte politico-amministrative che aveva fatto, per effetto dei tagli. La provincia di Biella, se avessimo applicato la rimodulazione che stiamo introducendo adesso su questo miliardo, non sarebbe mai andata in default, perché i parametri che abbiamo introdotto sono tali da consentire un equilibrio reale e una sorta di perequazione la più vicina possibile alla realtà dei vari soggetti istituzionali.
  Per consentire che ci fosse questa sorta di polmone finanziario, abbiamo fatto alcuni interventi, che sono stati tutti previsti nella legge di stabilità, ma che adesso, col prossimo decreto, vengono meglio ridefiniti. I più significativi sono sostanzialmente due.
  Il primo riguarda l'onere dei mutui per il 2015, riferito sia alla parte del capitale sia alla parte degli interessi. Oggi la Cassa depositi e prestiti adotterà una propria delibera, che sostanzialmente renderà inerte l'effetto finanziario per il 2015. Ciò significa che le rate, che devono essere pagate entro giugno ed entro dicembre, per quest'anno non vengono corrisposte. Ci sarà la possibilità di rinegoziare i mutui e, quindi, di allungare la loro durata e comunque di spalmare la quota degli interessi del capitale che non viene pagata nell'anno 2015 negli anni a venire.
  Ovviamente con l'ABI non abbiamo potuto fare quello che abbiamo fatto con la Cassa depositi e prestiti. Tuttavia, abbiamo raggiunto un accordo di massima, per cui l'ABI sostanzialmente si comporta come la Cassa depositi e prestiti. L'ABI dice ai propri associati: «Chi tra di voi ha mutui e contratti con gli enti province e con le città metropolitane ha la possibilità di utilizzare le stesse procedure e gli stessi meccanismi che la Cassa depositi e prestiti utilizza». La stessa cosa viene fatta con il credito sportivo.
  Abbiamo intenzione di inserire nel decreto l'estensione della possibilità di attuare le condizioni che per il 2015 pratica la Cassa depositi e prestiti anche ai mutui del Ministero dell'economia e delle finanze contratti con la Cassa depositi e prestiti, che sono una cosa diversa. Troppo spesso si confondono le cose, ma sono due partite diverse. Pag. 8
  Comunque, la partita più grossa è quella che riguarda la Cassa depositi e prestiti e una partita di medio livello è quella che riguarda l'ABI. Le altre due sono residuali, però è giusto che, se ci deve essere la tregua finanziaria per un anno, questa deve essere completa.
  Restano fuori da questo tipo di operazione tutte le questioni relative ai derivati e alle obbligazioni, perché sono rapporti tra due soggetti. Un terzo soggetto non può inserirsi e porre condizioni di altro genere.
  Tutto questo, grosso modo, solo per la Cassa depositi e prestiti vale circa 380 milioni di euro. A questo si aggiunge la possibilità, che è già prevista dalla legge di stabilità, di trasferire allo Stato e alle regioni le spese relative alle Agenzie per l'impiego. Infatti, con una norma si è previsto che questa competenza, che è in capo alla provincia, non essendo più una competenza fondamentale, venga assunta con le forme che abbiamo previsto e che in questo momento sono oggetto di contrattazione e concertazione tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e le singole regioni. Ieri alle 17.30 c’è stata una riunione del Ministro del lavoro e delle politiche sociali Poletti con tutti gli assessori regionali al lavoro, durante la quale si è discusso di questo.
  Voi sapete che le Agenzie per l'impiego sono inserite in un processo di riforma più ampio. C’è il problema dell'Agenzia del lavoro nazionale, che attualmente non può essere un'agenzia nazionale perché la competenza costituzionale è in capo alle regioni.
  Come sapete, alla Camera è passato un emendamento al disegno di legge di riforma costituzionale che invece riattribuirebbe allo Stato questo tipo di competenza, ma è chiaro che noi non possiamo che ragionare a Costituzione vigente. Pertanto, il Ministro Poletti sta trattando con le regioni per valutare quali possano essere gli strumenti per gestire la transizione o, a regime, questo sistema.
  Ciò che è certo è che i costi, che per il momento gravano ancora sulle province, non saranno a carico di queste ultime nel bilancio del 2015. È stata già stanziata un primo importo di 60 milioni di euro, che può essere utilizzato come anticipo per garantire i primi mesi della gestione di questa realtà.
  Vi sono poi altri interventi, di vario tipo, che vanno nella direzione di restituire respiro finanziario alle province. Il più importante è quello relativo all'autorizzazione a Invimit, una società totalmente controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze, di procedere all'acquisto di beni immobili di proprietà delle province che attualmente hanno al proprio interno servizi di carattere statale. Ad esempio il 70 per cento delle province italiane sono proprietarie dell'edificio in cui ha sede la prefettura. Il Ministero dell'interno paga un affitto che non sempre è proporzionato agli spazi che occupa e in alcuni casi non è neanche corrisposto, tant’è vero che abbiamo alcune province, non sono poche, che hanno dei residui attivi nei confronti dello Stato per mancati pagamenti.
  Ci sono poi un'altra serie di questioni che possono essere oggetto del decreto e che io vi anticipo come possibilità e non come certezza. Ricordo le tre più importanti. Innanzitutto, non si applicheranno le sanzioni per lo sforamento del patto di stabilità, soprattutto eliminando i vincoli di assunzione che queste portavano con sé. Per quanto riguarda la quota della sanzione, ne stiamo discutendo con il Ministero dell'economia e delle finanze.
  La seconda questione è la possibilità di utilizzare l'avanzo di amministrazione già nella fase del bilancio di previsione.
  La terza, stante la fase di passaggio e il ripensamento in atto del sistema di finanziamento delle città metropolitane e delle aree vaste, è quella di prevedere il bilancio solo per il 2015 anziché fare i bilanci pluriennali. Questo è il quadro.
  Ricordo che se si sfora il patto di stabilità, una delle sanzioni indirette è che non si può procedere all'assunzione di nuovo personale. Noi abbiamo fatto una Pag. 9norma nella legge di stabilità che prevede la possibilità di assumere circa 1.000 precari delle province. Per garantire la possibilità che questi vengano assunti, occorre introdurre questa norma relativa alle sanzioni per lo sforamento del patto di stabilità. È una disposizione che alcune province hanno già attuato, dando, a mio modo di vedere, un'interpretazione corretta, però, siccome è emerso che in alcune province i dirigenti non fanno le assunzioni perché non si sentono tutelati rispetto alla Corte dei conti, abbiamo pensato di esplicitarlo.
  Penso di avervi detto tutto sul presente.
  Sul futuro ci sono delle cose molto interessanti, anche perché il finanziamento dei sistemi dell'autonomia finanziaria, in generale per le autonomie locali e in particolare per gli enti di area vasta e per le città metropolitane, è un futuro tutto da scrivere.
  Come ho avuto modo di dire, le attuali fonti di finanziamento delle province e delle città metropolitane – voi sapete che ormai sostanzialmente non ci sono più trasferimenti – costituiscono un sistema stressato al massimo livello.
  Per quanto riguarda l'RC auto, ci sono margini infinitesimali di miglioramento. Per quanto riguarda l'IPT, siamo anche in quel caso ai livelli massimi. Siamo all'80 per cento della massima possibilità di entrata per quanto riguarda la TEFA, che è la tassa ambientale. Per quanto riguarda le prime due voci siamo ormai arrivati quasi al tetto massimo possibile. Pertanto, è evidente che non ci sono molti margini di flessibilità.
  Noi sappiamo anche che la legge sul federalismo fiscale aveva previsto due imposte specifiche per le città metropolitane. Una era quella sulle emissioni sonore degli aeromobili civili e l'altra era il tributo sui diritti di imbarco portuali e aeroportuali. Sono due tributi discutibili o comunque di difficile applicazione.
  Per quanto riguarda l'IRESA, l'imposta sulle emissioni sonore, solo sei regioni l'hanno attivata (Lazio, Lombardia, Emilia-Romagna, Campania, Calabria e Marche), ma la Lombardia ne ha sospeso l'applicazione prima che il tributo entrasse in vigore.
  C’è stata poi una nota dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, che ha posto un problema reale relativo a questa imposta: una tassa di questo genere innanzitutto deve avere un'armonizzazione nazionale. Non si possono lasciare variabili troppo alte tra una regione e l'altra, perché questo lede la concorrenza. Se per atterrare in Lombardia si deve pagare di più, qualcuno decide di atterrare a Torino.
  Il problema vero è che questa non è un'imposta che ha la possibilità di avere quella sufficiente flessibilità e adeguatezza per rispondere a questa nuova dimensione, se vogliamo immaginare che le città metropolitane abbiano un futuro.
  Aldilà del fatto che deve essere fortemente armonizzata a livello nazionale, questa imposta ha comunque una struttura non adeguata.
  La stessa cosa dicasi per i diritti d'imbarco portuali e aeroportuali, perché ci sono delle città metropolitane che hanno aeroporti che non sono all'interno del loro territorio e ci sono aeroporti di una certa consistenza che non c'entrano niente con le città metropolitane. Come si gestisce questo guazzabuglio ?
  È un problema terribilmente serio e il Governo immagina che debba essere affrontato in maniera radicalmente diversa, nel quadro più generale del sistema della finanza locale.
  Voi sapete che nell'autunno dell'anno scorso è stato avviato un discorso, che poi è stato sospeso, sulla local tax. Quest'anno bisogna tornare, non con quel modello, a ripensare il sistema dell'autonomia impositiva e più in generale del federalismo fiscale, avendo in mente che, se le questioni che si pongono sono note e le soluzioni a queste situazioni possono essere abbastanza prevedibili per quanto riguarda regioni e comuni, ci troviamo di fronte a una realtà strutturalmente e radicalmente diversa, rappresentata dall'area vasta e dalla città metropolitana.Pag. 10
  Per questo, credo che si debba fare uno sforzo innovativo notevole, non avendo preclusioni e immaginando che, così come prevedeva la legge sul federalismo fiscale, si possa fare ricorso a tasse di scopo.
  Io non avrei pregiudizialmente nessuna contrarietà ad affrontare alcuni mirati e precisi strumenti di finanza derivata, perché io credo che il problema sia serio e che noi non possiamo immaginare di dilatare il peso fiscale sulle autonomie locali oltre certi livelli. Poiché i comuni rappresentano il tessuto fondamentale del sistema, non è immaginabile che ci possano essere ulteriori gravi sovrapposizioni rispetto a questa scelta.
  Questa è una partita tutta da scrivere. Non c’è ancora nessuna decisione assunta, ma abbiamo problemi seri. Vi riporto un esempio su tutti, che è oggetto di continue schermaglie fra l'assessore Garavaglia e i rappresentanti dell'ANCI, relativamente al ruolo delle città metropolitane e delle regioni e alla spesa per il trasporto pubblico locale.
  Quando parlo di strumenti di finanza derivata, faccio riferimento al fatto che gli strumenti che già abbiamo probabilmente devono essere ripensati, anche in ragione di una pluralità di soggetti che diventano gestori di queste fondamentali e importantissime funzioni.
  Tuttavia, questa è una partita che deve essere riscritta. Il Governo ha chiara questa volontà. Credo che quanto prima, appena definito il documento di economia e finanza, si aprirà un tavolo di confronto per riscrivere il sistema dell'autonomia finanziaria delle autonomie locali.
  Dentro questa ipotesi di lavoro, c’è il tema nuovo, delicato e importantissimo, del finanziamento delle città metropolitane e degli enti di area vasta, che, come tutti voi sapete, sono cosa diversa dalle vecchie province, dai comuni e dalle regioni.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FEDERICO FORNARO. Ringrazio il Sottosegretario Bressa. Vorrei concentrarmi sulla questione del personale. Ovviamente ci sarebbero altri temi da trattare, però il tempo è poco.
  Innanzitutto per quanto riguarda la data del 31 marzo, che era la data per definire la pianta organica in relazione alle funzioni fondamentali e, conseguentemente, il piano esuberi (lo chiamo così per comodità), credo che difficilmente le province, salvo quelle della Toscana, siano in grado di farlo. In assenza delle leggi regionali, credo che questa scadenza non sarà rispettata. Quand'anche fosse rispettata, da questa definizione al completamente dei processi di mobilità passeranno diversi mesi.
  Da questo punto di vista, il taglio era stato fatto in funzione del minor costo del personale da parte delle province.
  La domanda è molto diretta. Vorrei sapere se all'interno del decreto che è stato annunciato si prende atto di questo ritardo e di questa difficoltà strutturale nel portare a termine il processo e, quindi, c’è un riconoscimento di carattere economico ai bilanci delle province. Questa, molto pragmaticamente, è un'esigenza che gli amministratori provinciali pongono.
  Ci sarebbero molte altre questioni, ma mi vorrei concentrare su questa, oltre a tutti gli aspetti che questa comporta e alle rigidità di tipo normativo che in molti casi stanno bloccando i piani di mobilità.

  GIOVANNI PAGLIA. La ringrazio per la relazione. Mi si scuserà se sarò decisamente più sintetico.
  Oggi ho capito che ci sarebbe una volontà di alleggerire le province, sostanzialmente spostando dei costi, a partire da quelli del personale. Tuttavia, in tutte le audizioni che abbiamo fatto – ma in realtà questa cosa era già stata sottolineata in occasione della riforma e della legge di stabilità – emerge che continua a mancare un elemento. Può essere semplice e anche corretto trasferire costi dalle province, in particolar modo quelli del personale, Pag. 11ma, da quanto io capisco, in questo momento non c’è nessun altro ente, dallo Stato alle regioni e ai comuni, che, a saldi invariati, sia in grado di assumerseli.
  È facile dire che i costi vengono spostati altrove. Il punto è se nell'ente in cui vengono collocati dopo lo spostamento ci sono le risorse per pagarli. Da quello che ci risulta e che ci hanno detto e ripetuto, non ci sono, altrimenti non si capirebbe perché siano stati fatti tagli in prima battuta.
  Noi non abbiamo fatto trasferimenti di funzioni o di risorse, ma tagli, dicendo: «State tranquilli, perché i tagli non colpiranno voi, in quanto insieme ai tagli se ne andranno anche le funzioni». Tuttavia, non si è corrisposto un euro a chi dovrà assumersi quelle funzioni.
  Io non capisco, in assenza di un ragionamento finanziario, che oggi non è stato fatto, su cosa poggia tutto il discorso, che ha una coerenza logica tutta astratta. E di astrattezza si muore.
  In secondo luogo, vorrei capire come funziona questa annunciata tregua finanziaria con ABI e Cassa depositi e prestiti. Peraltro, qualsiasi tregua finanziaria fatta in questo modo ovviamente comporta maggiori oneri di finanza pubblica. L'ABI calcolerà gli interessi anche sugli interessi. È stato sempre fatto così con le famiglie. Sul montante che quest'anno resta bloccato, di solito – questo è capitato quando è stata fatta la stessa operazione con famiglie e imprese – si ricalcola l'interesse.
  Se dovevo pagare 100.000 euro, e per quest'anno non pago nulla, alla fine invece che 100.000, pagherò 101.000. Questo avviene sempre. Non è possibile che non sia così per ABI. Per Cassa depositi e prestiti, mi chiedo se le venga imposto di rinunciare a una fetta di guadagno, cosa che io condividerei, o meno.
  Dunque, complessivamente il carico finale è più alto, tant’è che, nel caso di famiglie e imprese, quando si arriva a condizioni di questo genere il messaggio che si lancia all'esterno non è positivo, ma vuol dire che si arrivati al minuto prima della canna del gas. Il messaggio che si lancia rispetto alla finanza pubblica, annunciando operazioni di questo genere, non è una tregua finanziaria, ma è l'annuncio di una seria crisi di liquidità. Così può essere letto all'esterno.
  La questione di Invimit sarà interessante da valutare, perché vedo che continuiamo con questi passaggi di immobili da un ente a un altro per chiudere i bilanci.
  Forse non intendiamo l'espressione «finanza derivata» allo stesso modo, ma mi permetterei una certa cautela, perché gli oculati strumenti finanziari sinora hanno provocato voragini negli enti locali, non vantaggi. Come si possa applicare la finanza derivata, per quel poco che la conosco, al trasporto pubblico locale sarebbe un interessante tema di scuola da approfondire.

  CLAUDIO BROGLIA. Innanzitutto ringrazio il Sottosegretario, perché è stato molto chiaro, anche fin troppo, il che mi preoccupa molto perché le cose dette, secondo me, vanno prese con le pinze.
  Io voglio sentir dire una cosa. Se veramente abbiamo contezza, come l'abbiamo, che la situazione è molto ingarbugliata e molto complicata (comuni, province, regioni e Stato), allora bisogna che l'accompagniamo sul serio.
  Io vorrei che uscissimo da questo inizio di schermaglia dove la competenza dello Stato non è attuata dalle competenze delle regioni, eccetera. Non possiamo rimpallarci, anche con delle giuste ragioni, la responsabilità delle inadempienze, senza andare in fondo al problema, ovvero provocando questo processo laddove non è avvenuto, e capendo perché non è avvenuto e non limitandoci a partite di giro. Vendere gli immobili pubblici a un altro ente pubblico è una partita di giro. Finanziare con il pubblico una provincia o una regione è una partita di giro, peraltro onerosa.
  Usciamo – lo dico da sinistra – dal solo tassare e dare strumenti finanziari e cominciamo a riconoscere qual è il costo Pag. 12reale per le funzioni che svolgono comuni, province e regioni. Usciamo dal pensiero che per forza non ci siano costi. Può darsi che ci siano costi, ma se riconosciamo l'importanza di questi enti per le funzioni che svolgono, allora li dobbiamo sostenere sul serio. Se non lo sono, non lo facciamo.
  Io penso che ci sia un altro lavoro ormai indispensabile da attuare. Mi chiedo se qualcuno abbia in mano il disegno del domani, non solo dal punto di vista finanziario, ma anche riguardo a quale tipo di Stato, di regione e di comune abbiamo in mente.
  Faccio un esempio. La regione Emilia-Romagna ha 340 comuni e la provincia di Torino ne ha 315. Da una parte, ci sono regioni che pensano di fondere comuni per fare città da 100.000 abitanti – io ritengo che sia sbagliato – e, dall'altra, ci sono regioni che non pensano a mettere in unione comuni sotto i 5.000 abitanti.
  Io penso che stiamo disegnando un'Italia che è troppo diseguale per poter essere affrontata con degli strumenti di governo che, nel rispetto dell'autonomia, comunque vanno in direzione dei costi standard, dei servizi standard, eccetera.
  Io l'altro giorno ho lanciato una provocazione: perché non facciamo una Commissione che, partendo dalla Val d'Aosta e finendo a Siracusa, ridisegni il territorio e provi a dare un senso vero al riordino istituzionale ? Io credo che sia questo il lavoro da fare, perché altrimenti noi ci dibattiamo sui costi del personale e sul finanziamento, ma non potrà mai essere un finanziamento aderente alle singole realtà locali a risolvere il problema, bensì un'assunzione di responsabilità.
  La legge Delrio e le successive leggi sono importanti, perché provano ridisegnare il sistema dello Stato e degli enti locali derivati, ma dovremmo farlo davvero nel merito. Io vorrei che cominciassimo a parlare di questo.
  Da sindaco, capisco che non si riesca a fare i bilanci, che manchi il fondo di solidarietà predeterminato e che ci si ingarbugli con le nuove leggi sui bilanci, però, mentre affrontiamo l'emergenza, proviamo ad avere un disegno in testa chiaro e proviamo a raccontarlo all'Italia.

  ROGER DE MENECH. Ringrazio il Sottosegretario. Io credo che l'unico grande valore della riforma sia il merito. Interpretiamo la riforma dando finalmente merito a funzioni e competenze dei vari organi che sono protagonisti della riforma stessa, tutti, dallo Stato all'ultimo dei comuni, e togliamoci dalla testa il passato relativo ai trasferimenti storici e alla capacità fiscale in entrata degli enti di area vasta.
  Abbiamo una grande chance, quella di stabilire finalmente quanto costa il servizio pubblico in Italia, e da lì dobbiamo partire. Non stiamo più parlando né di tagli né di contributi a pioggia, ma stiamo parlando di riqualificare la spesa pubblica.
  Credo che su questo si debba concentrare il lavoro relativo all'attuazione della legge Delrio. A ogni area vasta – mi pare che il Sottosegretario l'abbia indicato in maniera molto chiara – si deve affidare l'ammontare risultante dal costo per chilometro di strada moltiplicato per i suoi chilometri. Se facciamo questa operazione, ognuno (Stato, regioni, aree vaste e comuni) si prenderà il pezzo di propria competenza e responsabilità.
  Quello che salta agli occhi dai dati che emergono giorno dopo giorno è che le funzioni, più o meno fondamentali, sono state strutturate, non in base alle esigenze dei cittadini, ma in base alla capacità di entrata che aveva ogni singola area vasta, tant’è vero che ci sono delle distorsioni enormi in giro per l'Italia rispetto a cosa fanno le province.
  Dobbiamo rimettere al centro questo tema. Ciò vuol dire che non è più possibile che alcune regioni passino funzioni e competenze alle province pagandole il 22 per cento, e non è più possibile che, nella stessa misura, lo stesso Stato attribuisca funzioni senza pagare alle aree vaste il relativo costo per la gestione della funzione, fondamentale o non. Questo è il nodo. Usciamo dalla logica del trasferimento e dell'entrata, che non è collegata in maniera diretta a un servizio.Pag. 13
  A questo proposito, io aggiungo una cosa al ragionamento, che non ho sentito dal Sottosegretario. Anche lo Stato deve essere coinvolto. Non può togliersi questo peso. Lo dico perché a valle di questo ragionamento c’è la ridistribuzione del personale insieme alle funzioni. Se il personale è collegato a una funzione esercitata, l'ente avrà l'ammontare delle risorse stabilite per pagare il personale. Questo, da una parte, ci permette di riqualificare la spesa e, dall'altra, di evitare quello che è successo in questi anni, ovvero la sovrapposizione delle funzioni.
  Credo che come Stato centrale dobbiamo avere un'idea molto chiara su queste cose, perché altrimenti, come ha già segnalato il Sottosegretario, ci saranno regioni che faranno una cosa e regioni che faranno il contrario. Credo che questo sia molto pericoloso, perché continuiamo a creare in questo Paese sperequazioni dal punto di vista delle funzioni. Il problema che mi pongo non è l'ente che ha la gestione, ma più che altro rispetto al servizio che vogliamo dare al cittadino, che deve essere grosso modo uguale in tutto il territorio nazionale.
  Chiudo dicendo che per fare questo, in una prima fase, noi abbiamo l'obbligo di «congelare» la distribuzione del personale di tutti gli enti, dallo Stato all'ultimo dei comuni. Nessuno, in questo tema di grande riorganizzazione, di grande redistribuzione finanziaria e, quindi, di riqualificazione della spesa, può tenersi fuori da questa partita, nemmeno gli organi di diretta emanazione dello Stato.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Vorrei aggiungere due cose banali e due questioni di contenuto. In primo luogo, vorrei sapere se c’è una relazione disponibile. Se non c’è la relazione, vi chiederei di avere al più presto un verbale, anche informale, solo per un uso interno, in tempi un po’ stretti.
  La seconda questione banale è che mi sono persa il passaggio sui 60 milioni di euro disponibili. Cosa vanno a coprire in questa primissima fase ?
  Passo alla questioni di contenuto. La prima riguarda la gestione della fase transitoria 2015. Deve essere molto chiaro che è una gestione transitoria, che viene affrontata con strumenti estremamente speciali e che non deve andare oltre il 2015.
  Io capisco che si possa utilizzare l'avanzo di amministrazione già in fase del bilancio di previsione e pensare al bilancio solo per il 2015 e non al pluriennale. Tuttavia, dopo aver speso tanto tempo nel dire che i comuni, le province e gli enti locali devono ragionare in termini più lontani dei prossimi sei mesi, anche perché di fatto facendo il bilancio di previsione a giugno non si prospetta neanche la capacità previsionale, in quanto sostanzialmente è già un bilancio che ratifica quello fatto nei sei mesi precedenti, deve essere chiaro che questi strumenti, che sono pericolosi – la contabilità li prevede non a caso – devono essere estremamente circoscritti a questa fase transitoria. Questa fase transitoria ha un senso. Io devo dire che apprezzo questa apertura del Governo su questi strumenti, ma deve essere chiaro che è una fase transitoria.
  Ringrazio il Sottosegretario per la sua disponibilità e anche per la dovizia di particolari. Devo dire, però, che la questione del futuro, da un lato, mi spaventa e, dall'altro, mi stimola. Pertanto, chiederei di avere al più presto una nuova audizione, in modo da avere, con un po’ d'anticipo, una seduta specifica sul futuro.
  Le cose che ho sentito un po’ mi spaventano. Abbiamo visto che la tassa di scopo non ha funzionato, quindi bisogna ripensarla davvero.
  Sulla finanza derivata, io mi associo a quanto detto sulle difficoltà. Io l'ho fatta nel mio comune e devo dire che ci ho guadagnato, però il mio è stato uno dei pochi comuni, perché non ci sono le competenze.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Per finanza derivata intendo i trasferimenti, non a caso ho fatto l'esempio del trasporto pubblico locale. Non Pag. 14vorrei essere stato frainteso. Io non avevo in mente l'ingegneria finanziaria astratta. Volevo dire che, se il trasporto pubblico locale viene gestito dalla regione e dalle città metropolitane, c’è una situazione diversa dalla precedente e bisogna pensare ad affrontare il tema in questo modo. Chiedo scusa. Chi mi conosce sa che non ho certe velleità.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Chiederei la disponibilità – mi pare che ci sia, perché le audizioni che abbiamo fatto in queste settimane sono la dimostrazione di una disponibilità del Governo – a discutere insieme su questa possibilità del futuro, senza arrivare al fondo del percorso.
  I tempi spesso diventano sostanza. Se le cose devono cambiare già per il 2016, come ha detto il Sottosegretario Baretta in questi giorni in una sua intervista, bisogna prevedere che sulla local tax le indicazioni siano certe, verosimilmente entro il mese di luglio e non oltre, perché altrimenti i bilanci degli enti locali andranno di nuovo a finire nel lungo periodo.

  MARIA CECILIA GUERRA. Su alcune cose che sono state già anticipate cercherò di essere breve, anche se chi mi ha preceduto non lo è stato.
  La questione del futuro, mi sembra questo il problema serio. È vero che noi possiamo fare ciò che diceva la collega Zanoni a proposito degli strumenti per il 2015, però ci vuole un patto.
  Noi abbiamo dei tagli per il 2016-2017 che sono stati decisi a tavolino. Quello del 2015 è di un miliardo di euro, mentre quelli del 2016-2017 mi sembra siano di 2 e 3 miliardi di euro. Già questo crea dei problemi enormi, essendo stato deciso ex ante, invece avrebbe dovuto essere deciso mentre tutte le altre caselle andavano a posto.
  Se noi pensiamo che questo taglio debba essere assorbito dalle province, pensare che le province già adesso non debbano strutturarsi per assorbirlo è veramente una cosa da pirati. Saranno loro che dovranno sopportarlo, quindi non possono non fare i bilanci pluriennali, altrimenti il prossimo anno salta tutto.
  Se invece noi ci rendiamo conto che questo taglio è stato deciso in modo improprio e che va ripensato (non so se sarà inferiore o superiore), allora ci deve essere un accordo serio fra istituzioni.
  Noi stiamo già spostando sugli anni futuri, come finanza pubblica nel complesso, degli oneri che non so come saranno assorbiti. Penso alle clausole di salvaguardia, che sono impegni enormi. Penso anche alle cose che il Sottosegretario, che ringrazio, ci ha raccontato. Venivano ricordati i 380 milioni di euro che risparmiamo sui mutui. Si tratta di uno spostamento in alto, presumibilmente in termini attuariali a oneri invariati, però comunque il conto verrà presentato più avanti. Questo mi sembra il tema fondamentale, da decidere adesso. I tempi ormai sono strettissimi.
  Passo alle questioni più puntuali, riguardo gli accenni che sono stati fatti al finanziamento di questi enti. Se saranno province oppure enti di area vasta definiti dalle regioni, come prevede la nuova ipotesi di riforma costituzionale, anche in termini di finanziamento e di chi se ne dovrà far carico sarà diverso.
  Se pensiamo a un finanziamento di tipo autonomo, come era quello originario della legge sul federalismo, pensare che possa essere fondato su tasse di scopo mi sembra un po’ improbabile, perché ovviamente le tasse di scopo hanno il banale aspetto che devono comunque appoggiarsi su una base imponibile, quindi riportiamo il tema a qual è la base imponibile che non è già stata sfruttata dagli altri livelli di governo.
  O ci inventiamo cose strampalate, come quelle che sono state ricordate, ovvero le emissioni sonore – sono strampalate perché presentato delle difficoltà applicative, non perché concettualmente lo siano – oppure ci appoggiamo, come hanno fatto per ora le tasse di scopo, sugli immobili e sui redditi, che sono cespiti che hanno già un onere. Pag. 15
  Procedere con delle tasse di scopo, che possono esserci o non esserci, può creare criticità al disegno uniforme della tassazione. Questo è un problema molto serio.
  Sulla questione della finanza derivata, torno al problema di cui parlavo poc'anzi. La finanza derivata statale, ahimè, è impedita dalla Costituzione, a meno che non si tratti di compartecipazione. Io mi ero battuta perché i trasferimenti potessero essere reintrodotti in Costituzione, perché è assurdo avere un sistema che non preveda i trasferimenti, monitorati, con una finalità specifica.
  Infine, è molto interessante quello che ci è stato detto sul modo in cui si cerca di superare la logica dei tagli lineari. Tuttavia, quello che mi sembra di capire è che ci si basi fondamentalmente sui dati consuntivi e che non si sia riusciti a utilizzare il lavoro che è stato fatto sui fabbisogni standard. Questo mi stupisce. Le chiedo di spiegarmelo meglio. Abbiamo capito che i fabbisogni standard non sono quelli che ci aspettavamo, perché li abbiamo discussi molto e abbiamo dato anche il nostro parere, però c'era una mole di dati che spero possa essere stata utilizzata.

  VINCENZO GIBIINO. In effetti, ciò che inizia male non può che finire peggio. Ritengo questa riforma assolutamente inutile. Se Renzi fosse stato a capo di una azienda privata, non sarebbe intervenuto in questa maniera.
  Non abbiamo mai avuto una partecipazione così elevata alle otto del mattino per una materia come questa.
  Finisce peggio perché tutti sono preoccupati. Quando una cosa è sbagliata dall'inizio, si ritorna indietro. Invece, in questa maniera siamo tutti a guardare se il bilancio va fatto quest'anno, se l'anno prossimo va messo, se tra due anni va aggiunto. Non siamo in grado di trovare soluzioni. Di fatto, spostiamo il problema su altri enti. Di fatto o mettiamo in crisi il pagamento del personale o non eroghiamo servizi, che è esattamente il contrario della riforma stessa.
  Ci sono solo due dati. Il primo è che si è data al popolo italiano l'idea di avere soppresso enti inutili, di avere risparmiato e di poter concedere ai cittadini una riduzione delle tasse, cosa che ovviamente non è accaduta.
  Dal punto di vista, invece, della sostituzione dell'elezione diretta dei consiglieri provinciali e dei presidenti con le elezioni di secondo livello, peraltro su 64 province e non su tutte, alla fine il centrodestra ha perso 28 province e il centrosinistra ne ha prese 23. Se si fosse andati a votare, sarebbe stato lo stesso, cioè Renzi le avrebbe vinte perché in questo momento va bene.
  Possiamo lasciare il dato che il centrodestra perde le province e il centrosinistra le vince con un sistema diretto ed evitiamo una riforma come questa che non serve assolutamente a nulla ?

  STEFANO COLLINA. Io ringrazio molto il Sottosegretario Bressa, perché ci ha dato prova dell'esistenza di un'idea di fondo, che secondo me c’è sempre stata, ma che viene spesso travolta dai problemi della contingenza.
  È evidente che nel momento in cui facciamo una riforma dello Stato, che è una partita di giro, perché ridistribuiamo tra gli enti e le istituzioni dello Stato le funzioni che devono essere svolte, c’è un'inerzia del sistema precedente. Se facciamo governare la riforma dall'inerzia del sistema precedente, la riforma non la facciamo.
  Dobbiamo mettere in piedi un'organizzazione nuova e partire dalle esigenze di questa nuova organizzazione, facendosi carico poi delle code dell'inerzia del sistema precedente. Questo è lo schema che dobbiamo seguire, altrimenti non riusciremo mai a gestire l'inerzia del sistema precedente.
  Nelle vecchie moto c'era un volano per cui si faceva fatica a fare le curve. Scusate, io sono un ingegnere e mi vengono in mente queste immagini. Essendo una massa stabilizzante, sostanzialmente mantenevano la rotta prevista ed era faticoso Pag. 16fare le curve. Noi stiamo facendo una moto diversa. Montiamo sulla nuova moto. La vecchia andrà in fondo e l'accompagneremo, ma non sarà un accompagnamento per mantenerla in piedi.
  Faccio un esempio. Io credo che la discussione che abbiamo fatto riguardo alle riforme istituzionali sulle funzioni delle province arrivi a un punto di verità. Ci siamo chiesti cosa ci doveva essere e cosa ci dovevamo mettere. C’è chi ha fatto la lotta per lasciare alle province delle competenze. Oggi i sindaci sono i nuovi amministratori delle province.
  Noi abbiamo ascoltato un rappresentante delle province, che però non è un sindaco. Hanno fatto il nuovo rappresentante e hanno avuto la buona idea di metterci uno dei vecchi, che gestisce una vecchia provincia.
  Se ci avessero messo uno dei nuovi, cioè un sindaco, che, oltre che a fare il sindaco, gestisce anche una provincia come ente di secondo grado, magari quel sindaco si sarebbe accorto che adesso che deve fare lui queste cose, sia da sindaco che da presidente della provincia, sarebbe meglio che certe competenze fossero attribuite al comune oppure alla regione e non alla provincia. Questo è il tema. Faccio questo esempio per mostrare lo schema nuovo e l'inerzia del vecchio sistema.
  L'impostazione, secondo me, è quella di dare il via a un nuovo sistema e di gestire l'inerzia del vecchio, che chiaramente porta con sé degli aspetti. Secondo me, se leggiamo in questo modo la riforma, riusciamo a trovare le strade giuste per dare le soluzioni sia alla nuova partenza – infatti, le aree metropolitane non esistevano, quindi questo è un tema nuovo, che è diverso dalla chiusura delle province – e sia ai problemi che oggi abbiamo da gestire.

  BACHISIO SILVIO LAI. Faccio soltanto una segnalazione. Mentre, giustamente, noi abbiamo previsto la copertura dei costi dei precari delle province e, quindi, li stiamo in qualche modo proteggendo e lo Stato si comporta correttamente nei confronti di questi soggetti, che sono precari non per colpa loro, segnalo che in queste settimane iniziano i licenziamenti delle società partecipate dalle province.
  Questo sotto il profilo formale è assolutamente corretto, ma sotto il profilo morale lo è un po’ meno, anche perché si tratta di lavoratori che spesso sono stati assunti per funzioni fondamentali delle province trasferite e che sono assunti da dieci-quindici anni o in qualche caso anche di più.
  Vorrei capire se il Governo sta ragionando su una modalità per provare a evitare questo aspetto molto spiacevole.

  PRESIDENTE. Do la parola al Sottosegretario Bressa per la replica.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali e alle autonomie. Vorrei dare solo una risposta un po’ a volo d'uccello su tutte le questioni che voi avete posto. Comunque, io sono disponibile a tornare quando volete. Se ritenete che sia utile una vostra informazione continua sullo stato di attuazione, voi sapete che c’è la massima disponibilità. Proseguo per punti.
  Rispondo al senatore Fornaro. Il problema del 31 marzo c'entra e non c'entra con le leggi regionali, nel senso che le province – mi risulta che tutte le città metropolitane e moltissime province lo stiano facendo – devono definire qual è il 50 per cento in funzioni e in numero di persone che loro ritengono essere necessarie per gestire le funzioni fondamentali, che si sa già quali sono.
  Questo non è vincolante, però è significativo e direi anche propedeutico per spingere le regioni, che ancora non si sono mosse, a muoversi.
  La data del 31 marzo non è perentoria. Se arrivano il 18 aprile, non cambia niente. Ieri abbiamo avuto l'Osservatorio nazionale e, in base alle dichiarazioni delle regioni, delle province e dell'ANCI, ho avuto l'impressione che questa data, anche se non con la scadenza cronometrica del 31, verrà rispettata. Questo è un passaggio molto importante.Pag. 17
  Noi abbiamo previsto per l'inizio di aprile incontri bilaterali con le regioni, in cui valuteremo nel merito queste questioni. Noi in quel confronto bilaterale chiederemo alle regioni di fare le stesse cose che stanno facendo le province. Sia che abbiano già la legge fatta, sia che abbiano la legge in itinere, ci devono dire qual è il loro orientamento. Abbiamo alcune regioni che non sono chiarissime sulla loro posizione.
  Rispondo all'onorevole Paglia. Non è assolutamente vero che nessun ente è in grado di assumere le persone in mobilità. Rispondo anche alla domanda dell'onorevole De Menech. Lo Stato ha già bloccato tutto il turnover interno ed è pronto ad assumere una parte di queste persone. Le regioni hanno la possibilità di farlo, perché le capacità occupazionali vengono sostanzialmente congelate rispetto a questa operazione. Nel decreto facciamo in modo che questa sia una norma che vale per tutti: per province, per regioni e per comuni.
  Dopodiché, voi non dovete dimenticare che in questo processo di mobilità ci sono degli strumenti. Vi do un'informazione generale: il personale delle province è tendenzialmente abbastanza anziano e molte di queste persone sono in area di pensionamento. Questo diventerà uno strumento di cui verrà tenuto conto per primo e che avrà degli effetti.
  Ha ragione il senatore Collina: noi stiamo costruendo un modello completamente nuovo. La costruzione di questo modello è difficilissima da gestire e sicuramente sconta degli errori iniziali nell'impostazione della legge, che non sono quelli a cui fa riferimento il senatore Gibiino. Io sono convinto che ci sono stati degli errori e lo posso dire in una duplice veste, perché sono stato relatore alla Camera del testo, quindi sono colui il quale ha contribuito a scrivere la legge e a commettere degli errori. Tuttavia, gli errori che ci sono non portano al deragliamento della legge, come immagina lui, ma sono degli errori che cerchiamo di correggere.
  È un cantiere aperto, ma la sostanza di questa riforma è fondamentale, perché si disarticola e si ricostruisce l'architettura istituzionale del Paese e degli enti locali. Da adesso in poi si avranno due enti elettivi, che sono i comuni e le regioni, e la dimensione dell'area vasta, che tende a diventare l'unica dimensione intermedia fra i comuni e le regioni. In quella foresta di 7.000 enti intermedi, che noi tutti denunciamo a più voci, 5.000 di questi sono riferibili ai livelli tra il comune e la regione.
  Rispondo anche al senatore Broglia. Il disegno del domani è qui dentro. Certamente è una cosa complicatissima e abbiamo ancora alcuni problemi aperti, ma stiamo cercando di risolverli.
  Per quanto riguarda la preoccupazione della senatrice Zanoni, è chiaro che le misure straordinarie valgono solo per il 2015.
  Ha perfettamente ragione la senatrice Guerra quando dice che noi dobbiamo costruire un patto. È esattamente quello che stiamo facendo con il decreto e poi con l'attuazione della legge Delrio.
  Apro una parentesi. È vero che la riforma costituzionale abolisce le province, ma le abolisce come ente rappresentativo-politico. La dimensione dell'area vasta c’è nelle cose e non si può abolirla per legge. Si tratta di organizzarla per legge. L'organizzazione è il contenuto della legge n. 56 del 2014.
  Siamo tutti consapevoli che il 2015 è un anno di passaggio che ha bisogno di aiuti straordinari, ma dal 2016 sarà diverso, con l'operazione che abbiamo fatto sul taglio e con la definizione che abbiamo cercato di fare. Abbiamo lavorato con tutti i dati SOSE. Chi ha assistito il Governo in questo contesto è la SOSE, quindi non abbiamo abbandonato le conoscenze. Le stiamo utilizzando nei limiti possibili, anche perché questi nuovi dati non sono stati approvati dalla Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale – COPAFF, che in questo momento non è operativa. Pag. 18
  Quello posto dal senatore Lai è un problema vero e grandissimo, sul quale io non ho ancora una risposta. Il tema delle partecipate è un tema reale. Il vero problema delle partecipate è che voi non avete idea della quantità e del tipo di partecipate che nel corso di questi anni sono state create. Pertanto, è vero che c’è un problema di garanzia occupazionale, ma c’è anche la necessità di rimettere ordine su una materia che purtroppo è cresciuta in maniera molto disordinata.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Sottosegretario Bressa, che sappiamo essere il personaggio all'interno del Governo più competente su questa complicatissima giungla della legge Delrio, su cui ci ha dato qualche segnale di chiarimento.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.25.