XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 30 di Giovedì 30 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del professor Franco Gallo su federalismo fiscale e vincolo del pareggio di bilancio (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Gallo Franco  ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 
Rubinato Simonetta (PD)  ... 13 
Gallo Franco  ... 13 
Marantelli Daniele (PD)  ... 13 
Gallo Franco  ... 13 
Guerra Maria Cecilia  ... 13 
Gallo Franco  ... 14 
Guerra Maria Cecilia  ... 15 
Gallo Franco  ... 15 
Fornaro Federico  ... 15 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 15 
Gallo Franco  ... 15 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal prof. Gallo ... 17

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Franco Gallo su federalismo fiscale e vincolo del pareggio di bilancio.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 4, comma 5, del Regolamento della nostra Commissione, del professor Franco Gallo su federalismo fiscale e vincolo del pareggio di bilancio.
  Ricordo che il professor Gallo ha svolto una precedente audizione sugli aspetti relativi al federalismo fiscale nell'ordinamento nazionale e ai rapporti tra i diversi livelli di governo.
  L'odierna audizione intende approfondire il tema, con specifico riguardo ai rapporti con l'Unione europea e all'obbligo costituzionale del pareggio-equilibrio di bilancio.
  Ringraziamo il professor Gallo per la disponibilità, che ancora una volta ha manifestato alla nostra Commissione, a intervenire e a darci il suo contributo su questo tema così complesso, con aspetti molto innovativi.
  Do la parola al professor Gallo per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCO GALLO. Ho scritto un testo che è a disposizione della Commissione (vedi allegato), perché l'argomento è così delicato e impegnativo che richiede delle riflessioni anche in relazione al fatto che la legge rinforzata, che deve attuare l'articolo 81 e le modifiche, entrerà in vigore nel 2016. Penso che ci sarà un'attività regolamentare e forse anche legislativa da completare, in modo che l'ordinamento, sia quello centrale che quello decentrato, sia pronto per l'attuazione di questi princìpi costituzionali. Il 2016 non è molto vicino, ma non è neanche molto lontano.
  Il contesto normativo nel quale va inquadrata la mia audizione, che conoscete meglio di me, è quello degli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione, così come integrati dalla legge n. 1 del 2012.
  Il tema è ampio. Mi limiterò ad alcune osservazioni, con riguardo in primo luogo all'inquadramento della materia nell'ambito delle fonti dell'Unione europea. Non dimentichiamo che si è arrivati all'articolo 81 e a queste modifiche perché ci sono un accordo intergovernativo e norme comunitarie che riguardano il bilancio.
  In secondo luogo, bisogna trattare dell'impatto delle norme comunitarie e delle nuove norme costituzionali sulla legge n. 42, sul federalismo fiscale, sul sistema del decentramento.
  Poi viene la parte più delicata, tutta da studiare in futuro: quella dell'applicazione dal 2016 della legge rinforzata, la legge n. 243 del 2012, che attua l'articolo 81 e tutte le altre norme modificate. Da quello che ho capito leggendo un po’ di dottrina e vedendo quello che è successo, è una norma approvata abbastanza in extremis, alla fine della legislatura, con delle lacune Pag. 4di tipo tecnico non volute dal punto di vista politico.
  Partiamo dal discorso della normativa dell'Unione europea e di come si inquadra il sistema. Non dico cose che già sapete.
  Il succo del discorso, a mio avviso – credo che su questo siamo d'accordo un po’ tutti – è che un vero e proprio obbligo di adeguamento del nostro diritto interno, sia quello statale sia quello degli enti territoriali, alla normativa europea in tema di bilancio è sorto soltanto con il Six pack e con il Fiscal compact.
  Io penso che questo adeguamento avrebbe potuto essere assolto, come hanno fatto altri Paesi dell'Unione europea, anche con modalità diverse dalla revisione costituzionale. Si è fatta la scelta di modificare l'articolo 81 per rendere più rigida l'applicazione dell'accordo e delle norme, ma mi sembra che si sarebbe potuto arrivarci anche attraverso norme di esecuzione, anzi tutti questi accordi sono stati approvati con legge di esecuzione, quindi già sono entrati con efficacia vincolante e diretta nel nostro ordinamento. Non era necessaria una norma costituzionale da questo punto di vista.
  La mia interpretazione è che questa scelta del Parlamento e del Governo dell'epoca di modificare la Costituzione trovi una spiegazione nell'intenzione di quella maggioranza politica di dare maggiore visibilità alle regole comunitarie e, quindi, rendere consapevole l'opinione pubblica, anche in termini mediatici, della necessità di una gestione rigorosa del bilancio. Questo è l'aspetto più trasparente e più esterno.
  Probabilmente è stato giusto intervenire, perché il sistema comunitario ha un deficit democratico. Dover applicare regole così forti attraverso un meccanismo legislativo comunitario che non prevede il passaggio presso il Parlamento europeo avrebbe potuto avere effetti negativi, quindi l'abbiamo sostituito con un passaggio attraverso il Parlamento nazionale. Questa è l'interpretazione che io darei di questa scelta, che conoscete meglio.
  Il vero problema che si porrà e che si è posto in altri Paesi dell'Unione europea è se queste nuove regole introdotte con la modifica dell'articolo 81, ovvero con la legge n. 1 del 2012, possano avere l'effetto di ridurre la tutela dei diritti sociali all'interno dell'Unione, quindi anche nel nostro Paese. Sto parlando della lettera m) dell'articolo 117, secondo comma (i LEP).
  Secondo me, bisognerebbe capire come si può contemperare l'obiettivo, perseguito con il fiscal compact, con le norme sul bilancio europee e con la nostra norma che adesso abbiamo introdotto, di avere conti pubblici in equilibrio con l'esigenza di garantire i diritti sociali, come è richiesto dalle norme costituzionali.
  A questo riguardo, ho fatto una piccola indagine. Non mi risulta che la Corte di giustizia di Lussemburgo si sia mai pronunciata a riguardo. È stata fatta una richiesta di rinvio pregiudiziale dalla Corte costituzionale portoghese, però la Corte di giustizia se l’è cavata con un'inammissibilità e non ha affrontato il tema.
  Questo tema è stato affrontato da quella famosa sentenza della Corte portoghese. Non so se ricordate che qualche anno fa leggemmo sui giornali che si era posto il problema, presso la Corte portoghese, su come dovesse essere fatto il bilanciamento tra i princìpi dell'Unione, quelli sul Fiscal compact e sul bilancio, e i princìpi inderogabili della Costituzione portoghese interna.
  La Corte portoghese è stata molto coraggiosa, perché ha fatto una sentenza in cui si è affermato che le misure interne non possono prescindere, anche nell'applicazione delle norme comunitarie, dal rispetto dei princìpi costituzionali.
  C’è un grosso problema che tutti conosciamo: la gerarchia delle fonti. Chi viene prima tra la norma costituzionale, la norma comunitaria e così via ? Noi sappiamo che ormai viene prima la norma dell'ordinamento comunitario, quando è a efficacia diretta o vincolante.
  Tuttavia, la Corte portoghese ha stabilito che questa regola della gerarchia non vale. Il caso riguardava delle differenze di trattamento che la legge impugnata aveva previsto a svantaggio di dipendenti pubblici. Pag. 5Era un problema di violazione o meno del principio di uguaglianza e di proporzionalità.
  Era molto simile alla questione che abbiamo trattato noi in Corte costituzionale quando io ero presidente. Vi ricordate la questione delle pensioni d'oro ? Ci si chiedeva perché si applicasse soltanto ai pensionati e non anche a tutte le retribuzioni. È un discorso che conoscete quanto me.
  La Corte costituzionale portoghese ha detto una cosa molto importante. Ha affermato che quella norma che si adeguava al Fiscal compact comunitario era illegittima, perché andava a cozzare, non con un principio qualunque della Costituzione portoghese, ma con un principio costituzionale importante, quello di uguaglianza, che è un principio supremo.
  Per prima, essa ha inventato quello che noi chiamiamo «contro-limiti». Certe norme della nostra Costituzione diventano una barriera anche all'applicazione di norme comunitarie, quando si identificano con quelli che io chiamo «i princìpi identitari della nostra Costituzione»: siamo quello che siamo perché abbiamo questi princìpi.
  Tuttavia, io ho l'impressione che il problema del contemperamento che è stato posto in Italia sia stato eccessivamente drammatizzato. Io penso che l'eventualità di contro-limiti, anche nel nostro Paese, sia puramente teorica. Perché è teorica ? Lo è se guardiamo all'ordinamento comunitario, il quale, secondo me, evita di porsi problemi di collisione fra ordinamenti.
  Innanzitutto, nel sistema dell'ordinamento comunitario valgono soltanto i saldi tra entrate e uscite, cioè si lasciano libere le autonomie di operare all'interno; l'importante è che si rispettino i saldi fra entrate e uscite. Da questo punto di vista, le norme sul pareggio di bilancio che vengono dall'ordinamento comunitario prevedono anch'esse la possibilità di ampie deroghe. In fondo, abbiamo indicato nel testo il verificarsi di fasi avverse del ciclo economico e lo sforamento del disavanzo del debito perché abbiamo applicato norme comunitarie.
  Lo stesso ordinamento comunitario esclude procedure per deficit eccessivo in presenza di queste ipotesi di fasi avverse del ciclo economico.
  Io credo che, se si dovesse porre un problema di contemperamento – che probabilmente si porrà – esistono tali e tanti elementi di flessibilità nell'ordinamento comunitario che tempererebbero la rigidità delle regole del pareggio di bilancio, consentendo di arrivare alla conclusione senza porre contro-limiti o senza eccepire, come hanno fatto i portoghesi, la prevalenza di princìpi supremi costituzionali nazionali.
  Dopo questa premessa un po’ sdrammatizzante – c’è parte della dottrina che, invece, accentua i toni su questo tema – mi pare che l'ordinamento comunitario sicuramente si rivolga anche alle autonomie. Non c’è più dubbio.
  Il Trattato di Lisbona si applica non soltanto agli Stati, ma anche alle regioni e agli enti locali. Questo mi pare abbastanza evidente. Ci sono due o tre articoli del Trattato che confermano questa applicazione diretta. Mi riferisco ai famosi articoli 5 e 6, che prevedono il principio di sussidiarietà. Ci torneremo sopra quando faremo un discorso per quanto riguarda l'interno.
  Infatti, il principio di sussidiarietà opera a più livelli territoriali. Questo principio, almeno nell'ottica comunitaria, si definisce così: «ogni azione politica che attenga a materie differenti rispetto a quelle di competenza esclusiva dell'Unione deve essere effettuata al livello di governo più adeguato al raggiungimento degli obiettivi».
  In fin dei conti, questo è anche il nostro principio di sussidiarietà. L'articolo 118, poco applicato e poco considerato, afferma proprio questo, in particolare il primo comma dell'articolo 118 che la Corte ha esteso anche all'attività legislativa (la famosa chiamata in sussidiarietà). L'articolo 118 afferma, sia al primo comma che all'ultimo, che il Governo deve partire Pag. 6dall'ente locale e andare verso lo Stato soltanto nell'ipotesi risulti più conveniente l'azione dello Stato per quanto riguarda certe materie. D'altronde, la sussidiarietà non è altro che l'applicazione della prima parte dell'articolo 5 sulle autonomie, che conosciamo tutti quanti.
  Il Trattato dell'Unione europea ha anche un articolo 4 che riguarda proprio gli enti territoriali minori e li considera articolazioni dello Stato. Questi hanno il dovere, come lo Stato, di collaborare per l'attuazione del diritto comunitario espressamente detto. Questo è il cosiddetto «principio di effettività».
  Come voi sapete, questo comporta un doppio senso d'intervento: un senso ascendente, perché regioni ed enti locali partecipano al processo di formazione dell'ordinamento comunitario, e uno discendente, perché devono attuare le norme dell'ordinamento comunitario per la parte di loro competenza.
  Il nostro sistema, il federalismo, è visto dall'ordinamento comunitario come un tutt'uno, in cui ogni pezzo di federalismo ha a che fare con l'ordinamento comunitario. Questo, secondo me, va tenuto presente. In seguito vedremo perché.
  Concludo su questo tema, per poi passare alla parte sull'ordinamento nazionale. La regola comunitaria di equilibrio di bilancio, avendo effetti diretti sulle autonomie territoriali, non richiederebbe in via di principio di essere mediata nella sua applicazione da norme statali. Se lo si è fatto, mi sembra che sia stato un fatto di correttezza ordinamentale, per dare maggiore forza a questo principio.
  Questo significa, però, che questa regola deve essere calata – questa è la cosa più importante – dal legislatore nazionale, che la deve seguire, nella disciplina delle autonomie contenute nei trattati. Questa disciplina prevede i princìpi che vi ho citato, la sussidiarietà e la tutela delle autonomie, che vanno rispettati anche dal nostro ordinamento interno perché sono norme vincolanti.
  Anche le norme non vincolanti, che voi conoscete, sono importantissime. Io vi ricordo la Carta delle autonomie del 1985, l'Atto unico europeo del 1986 e la Carta della regionalizzazione varata con la risoluzione del Parlamento europeo del 18 novembre 1988.
  Ci sono una miriade di interventi legislativi, fatti a livello di Parlamento europeo, che guardano alle autonomie con simpatia, nel senso che vogliono una tutela delle autonomie, pur volendo il Fiscal compact e un equilibrio di bilancio. Il problema è appunto quello del contemperamento.
  Passiamo a esaminare l'impatto del principio del pareggio di bilancio sull'autonomia finanziaria regionale e locale. Questo è il problema di fondo. Io vi devo dire subito, senza che questo abbia un valore in termini di giudizio politico, che è indubbio che l'entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 2012, che ha integrato gli articoli 81 e 119, e della legge rinforzata che ha dato attuazione all'articolo 81, ha fortemente inciso sull'autonomia finanziaria. Mi pare che questo sia quello che si voleva. Non mi sembra che sia una cosa che scandalizza. Semmai, il problema, che vedremo più avanti, è come l'impatto è avvenuto.
  Pertanto, possiamo dire che tutte le norme dell'articolo 81, che vedremo rapidamente, introducono una serie di nuove limitazioni nei confronti delle autonomie, sia costituzionalizzando con l'articolo 81 il principio del pareggio di bilancio, sia dando alla legge rinforzata il potere di intervenire e di ridurre, anche in via di dettaglio, e non soltanto fissando princìpi fondamentali, delle norme statali che attengono alla contabilità.
  Qual è l'effetto ? In questo momento storico siamo di fronte a forti limiti di bilancio introdotti da norme sia interne che comunitarie e, quindi, a un grosso limite all'autonomia finanziaria.
  Questo mi fa pensare a quando io insegnavo tanti anni fa – ormai sono un pensionato – e dicevo sempre ai miei studenti che l'autonomia politica dell'articolo 5 è stata sviluppata dal punto di vista finanziario soltanto dal lato della spesa. Sulle entrate c'era astrattamente il potere di fissare tributi propri da parte degli enti Pag. 7locali e delle regioni, ma si è rinunciato, come tutti sappiamo. Invece, per quanto riguarda la spesa, le regioni hanno sempre avuto il potere di fare politiche di spesa autonome, senza dover rendere conto allo Stato, se non all'interno di certi limiti molto ampi.
  A mio avviso, le cose cambieranno, almeno dal 2016, perché la tendenza non è più quella di fissare un tetto e di determinare i livelli da parte dello Stato, lasciando agli enti locali e alle regioni la facoltà di operare all'interno di questi livelli. La mia impressione è che nelle norme che leggeremo ci saranno proprio interventi di dettaglio e analitici, che detteranno certe regole, certi criteri e certi princìpi. Pertanto, anche dal punto di vista della spesa, l'autonomia finanziaria si sta molto riducendo.
  Perché dico questo ? Voi sapete che il sistema costituzionale vigente, prima che siano approvate dal Parlamento le proposte governative sulla riforma del Titolo V, è in tal senso molto preciso. Abbiamo un sistema in cui l'articolo 5 dà la base generale e l'articolo 118 fissa la sussidiarietà e, quindi, spiega il contenuto dell'articolo 117. Infatti, quando all'articolo 118 si dice che si parte dal livello più basso per crescere, non si fa altro che dare giustificazione generale all'articolo 117, che afferma che la competenza esclusiva va distribuita fra Stato e regioni per materia.
  Il secondo comma dell'articolo 117 elenca le materie che tutti sappiamo, mentre il quarto comma dello stesso riporta la norma residuale, che lascia tutto il resto alla competenza delle regioni. Al centro c’è il terzo comma, che penso sarà modificato con la riforma proposta dal Governo, che prevede invece la competenza concorrente e la possibilità dello Stato di intervenire in quelle materie soltanto in via di princìpi fondamentali di coordinamento e non di intervenire sempre e di coordinare con legge statale.
  Davanti a una norma del genere, come ha reagito la Corte costituzionale ? Ha reagito affermando che le norme esistono e che l'individuazione delle norme di dettaglio è vietata. Quando lo Stato emana una norma di dettaglio evidentemente viola il terzo comma, che prevede che il coordinamento è concorrente e che riguarda soltanto i principi fondamentali dello Stato.
  Come se l’è cavata la Corte costituzionale con una giurisprudenza discendente ? Le ultime sentenze sono state nel senso di affermare che c’è autonomia e che lo Stato può intervenire, anche fissando princìpi quasi di dettaglio.
  Come ha salvato l'autonomia finanziaria la Corte costituzionale, applicando l'articolo 117, terzo comma ? L'ha salvata dicendo che lo Stato fissa un tetto per la spesa – mi pare che l'ipotesi fosse la spesa per gli enti territoriali in certi settori – e l'autonomia c’è perché si dà alla regione e all'ente locale la facoltà di operare all'interno del livello. C’è un'autonomia e lo Stato fissa il livello.
  Io non sono entusiasta di questa giurisprudenza recente. La Corte ha una giurisprudenza precedente un po’ più autonomistica. Tuttavia, la Corte ha riconosciuto le esigenze del Fiscal compact, dell'equilibrio di bilancio e del pareggio di bilancio e si è resa conto che forse in questo momento storico aprire di più i margini per l'intervento statale era un fatto positivo.
  Come l'ha fatto ? L'ha fatto salvando il terzo comma dell'articolo 117, consentendo allo Stato di intervenire con princìpi fondamentali, intendendo per principi fondamentali il fatto di fissare il tetto-livello.
  Cosa sta succedendo ? Il Parlamento ha fatto un'operazione delicatissima. Infatti, avete lasciato in piedi il terzo comma dell'articolo 117 sulla competenza esclusiva dello Stato nel fissare i princìpi fondamentali di coordinamento e poi avete scorporato l'armonizzazione dei bilanci pubblici, portandola al secondo comma dell'articolo 117 come competenza esclusiva dello Stato.
  Avete affrontato un bel problema, perché armonizzare i bilanci pubblici non significa coordinare per princìpi fondamentali. Rimane il coordinamento. C’è il rischio che le norme dell'articolo 81 della legge rinforzata invece diano all'espressione Pag. 8«armonizzazione dei bilanci pubblici» un significato maggiore, fino a sovrastare e a sovrapporsi alla norma vigente costituzionale del terzo comma sui princìpi fondamentali di coordinamento. Questo è il problema che io sento.
  Ora abbiamo una Costituzione che, in attesa della riforma che verrà, non si legge facilmente. Come dicevo, al secondo comma dell'articolo 117 abbiamo l'armonizzazione dei bilanci pubblici, mentre al terzo comma abbiamo ancora il coordinamento, che è concorrente, salvo i princìpi fondamentali.
  La Corte, secondo me, arriverà a essere un po’ sbandata, perché, da una parte, dovrà tenere ferma la sua giurisprudenza che interpreta l'autonomia nel senso che abbiamo ricordato e, dall'altra, ha la legge rinforzata che sembra interpretare l'armonizzazione dei bilanci pubblici come una competenza esclusiva dello Stato nel coordinare, nell'intervenire e nel fissare norme di dettaglio.
  Il problema è sempre il solito. In questo momento storico le norme di dettaglio non sono ammesse da parte dello Stato sui bilanci, sull'autonomia e sulla spesa, a meno che non si cambi il sistema.
  La mia impressione è che attraverso queste norme si stia erodendo abbastanza la materia dei princìpi fondamentali di coordinamento.
  Vediamo se è vero quello che vi ho detto in premessa. Conoscete meglio di me l'articolo 81. Il contenuto delle leggi di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio fra le entrate e le spese e la sostenibilità del debito sono stabiliti con legge approvata (la famosa legge rinforzata n. 243). Si attribuisce la competenza alla legge statale, anche se rinforzata e di tipo costituzionale.
  Dicendo questo, si sta affermando una cosa molto semplice: il terzo comma dell'articolo 117 non si applica. Se il terzo comma stabilisce che la legge statale può intervenire solo per fissare i princìpi fondamentali e non anche le norme fondamentali o altre norme, mentre nell'articolo 81 si afferma che lo Stato interviene con legge rinforzata, ciò significa creare una collisione, che può essere sanata, però obiettivamente c’è.
  Questa collisione è ancora più forte se leggiamo il comma 1 dell'articolo 5, lettera e) della norma costituzionale che ha modificato l'articolo 81, che dice espressamente che la legge rinforzata ha il compito di disciplinare l'introduzione di regole sulla spesa, non di armonizzare i bilanci. Opera sulla spesa, quindi è un'attività legislativa diretta.
  L'introduzione di regole sulla spesa consente di salvaguardare gli equilibri di bilancio e la riduzione del rapporto fra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo periodo, in coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica. Non è più il limite della norma costituzionale del 117, ma è la coerenza con gli obiettivi di finanza pubblica, un patto legislativo ordinario che non è garantito dalla norma costituzionale. È chiaro che questa è una disarmonia che voi nei prossimi mesi o anni, secondo me, dovrete cercare di superare.
  Certo è che se fosse già vigente la proposta del Governo di abolire il terzo comma dell'articolo 117 i problemi sarebbero risolti. Infatti, non ci sarebbe più lo Stato che interviene soltanto per i princìpi fondamentali, ma lo Stato che interviene per coordinare. Ormai il coordinamento nelle modifiche del progetto governativo è tutto dello Stato, per cui non c’è più possibilità di dare margini alle autonomie nella materia. Il coordinamento lo farà.
  Il sistema vigente è un po’ scoordinato e disarmonico, visto l'articolo 117 attuale. Quando avremo la riforma dell'articolo 117 il problema sarà risolto, ma nel senso di un accentramento e di una ricentralizzazione al massimo, che è una scelta politica e di maggioranza. Io non sto a discutere questo.
  Anche l'articolo 117, come ho già detto, quando si scorpora l'armonizzazione dei bilanci pubblici dall'articolo 117, terzo comma, e lo si porta nel secondo comma, fa emergere una certa discrasia fra armonizzazione e coordinamento.Pag. 9
  Io credo che il maggior segnale di questa tendenza a ricentralizzare – non so quanto sia eccessiva, ma magari dirò il mio punto di vista alla fine – è la modifica dell'articolo 119, al primo e all'ultimo comma.
  Cosa dice l'articolo 119, che è Costituzione, perché è norma vigente ? Afferma che i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa. Fin qui è la vecchia norma. Poi se ne aggiunge un'altra, che è sicuramente limitativa: «nel rispetto dell'equilibrio dei relativi bilanci». Cosa può significare questa frase ? Presuppone, in linea con il nuovo articolo 81, l'affidamento alla potestà legislativa esclusiva dello Stato della determinazione dei limiti di autonomia finanziaria. È una norma strana, che da una parte parla di autonomia finanziaria e dice che si applica l'articolo 5 e poi aggiunge: «nei limiti di».
  Mentre prima – se ne può discutere – il Titolo V aveva una sua logica, perché c'era l'autonomia e lo Stato interveniva per fissare i princìpi fondamentali, qui tutto viene fatto dallo Stato.
  È interessante notare una cosa. All'inizio le proposte governative di modifica dell'articolo 119 sembravano a tutti sciocchezze. Si pensava che non cambiasse nulla, invece non è così. Nell'articolo 119, secondo comma, vigente c’è scritto che le Regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, stabiliscono tributi propri.
  La dottrina, la Corte e il Parlamento hanno sempre detto che questa norma si può interpretare nel senso che se una regione, sempre dispensando il principio del divieto della doppia imposizione dello stesso presupposto, ritiene di tassare una ricchezza novella per far fronte a spese locali, lo può fare. Infatti, l'hanno fatto l'Alto Adige e la Sardegna con l'imposta di soggiorno.
  Un tributo di scopo che serve a finanziare una spesa strettamente locale potrebbe essere istituito senza il permesso dello Stato. Intatti, l'articolo 119 dice espressamente che è possibile, purché sia in armonia con i princìpi fondamentali di coordinamento. L'articolo 117 terzo comma dà questo potere, mentre l'articolo 119 lo richiama e afferma che se deve operare con tributi propri nell'ambito dei princìpi fondamentali.
  Io ho scoperto che l'articolo 119, secondo comma, in quella proposta è stato modificato molto abilmente: le regioni possono stabilire tributi propri in senso stretto – non quelli derivati – solo in applicazione di norme statali. Anche il tributo più stupido, che una regione o un ente locale voglia istituire come contributo per far fronte a una spesa qualunque, deve essere sempre già previsto da una legge statale.
  Di conseguenza, il problema del coordinamento, di cui vi ho parlato, svanisce. Se tutto va in mano allo Stato, evidentemente non c’è più il problema di coordinare secondo il terzo comma dell'articolo 117, anche per quanto riguarda i tributi. Quel che ho detto per la spesa vale anche per i tributi.
  Ve l'ho già detto altre volte. Nell'ultima audizione vi ho detto di stare attenti, perché c’è il rischio che l'autonomia sia talmente mortificata, che una regione, col principio di responsabilità e col controllo degli elettori in sede di votazione, non possa stabilire un tributo minimo per far fronte a qualunque spesa. Questa è una disattenzione del Governo o è voluto espressamente ? Questa è una domanda che io mi porrei, perché mi sembra un grosso passo indietro rispetto al 2001.
  Siamo tutti d'accordo sul fatto che il Titolo V va modificato, integrato e riorganizzato, ma arrivare a una situazione peggiore di quella precedente al 2001 è un problema che io considero politicamente rilevante, perché attiene all’accountability e a quella che per tutti i Paesi occidentali è l'essenza dell'autonomia.
  Se una regione o un comune non può espandere la sua autonomia politica e il suo libero esercizio del potere attraverso la possibilità di stabilire un tributo che non è statale e non duplica lo Stato, come avviene negli USA, e non ha nulla a che fare coi presupposti statali, mi sembra che Pag. 10ci sia una grossa lesione del principio di autonomia. Questo è il mio punto di vista di studioso.
  Potrei riportare altri esempi. Un'altra norma su cui potrei soffermarmi è l'ultima parte dell'articolo 119, che afferma che «i comuni, le province, le città metropolitane e le regioni possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, purché sussistano le seguenti due condizioni».
  Quando l'ho letto sono rimasto un po’ sorpreso. La prima condizione, «la contestuale definizione di piani di ammortamento» mi sembra corretta e molto prudente. La seconda, se la si legge bene, è preoccupante. Mi riferisco alla condizione che «per il complesso degli enti di ciascuna regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio». Sapete cosa significa questo ? Se c’è una regione in cui tutti gli enti locali, meno uno, sono in equilibrio di bilancio, ciò non consente di dire che la regione in questione è in equilibrio di bilancio.
  Ciò è abbastanza sorprendente, perché emerge una situazione in cui c’è una sorta di atipico «bilancio regionale consolidato», in cui un deficit minimo di tanti piccoli enti locali ha riflessi sulla situazione contabile e sull'equilibrio di bilancio degli altri. Lo trovo abbastanza delicato. Ciò significa che qualunque ente, anche quando rispetta il principio di equilibrio di bilancio, si trova nell'impossibilità di ricorrere all'indebitamento a causa della cattiva gestione di un altro ente che insiste nella stessa regione.
  Sono andato a leggere la legge n. 243 per vedere come ha risolto il problema. La legge n. 243 non risolve il problema, ma prevede un'istituzionalizzazione di intese e di procedure concertative. Tuttavia, non si capisce in che cosa consistono queste intese e se prevale lo Stato oppure la regione. Siamo ancora in una fase in cui voi dovete lavorare per legiferare. Questi buchi vanno riempiti.
  Io trovo che questa impasse sia dannosa, anche ai fini dell'equilibrio di bilancio, perché l'impossibilità di ricorrere all'indebitamento incide negativamente sugli investimenti pubblici. C’è una stretta, ed è bene che ci sia, ma almeno consentite ai comuni che non sono in deficit di indebitarsi per investire. L'effetto ulteriore è che questo blocco diventa un blocco sugli investimenti pubblici.
  Vediamo come la legge rinforzata ha attuato queste norme, che sono sicuramente limitative dell'autonomia. Ho fatto una piccola indagine e sono arrivato a delle conclusioni.
  La legge rinforzata si occupa dell'autonomia soltanto dall'articolo 9 all'articolo 13. L'articolo 9, comma 1, definisce l'equilibrio di bilancio. Mi sembra che sia una definizione corretta. Afferma che l'equilibrio di bilancio «consiste nel saldo non negativo fra entrate e spese finali e tra entrate e spese correnti».
  Tuttavia, mancano le disposizioni che definiscono i termini per presentare il bilancio in forma preventiva e consultiva. Non c’è una norma che stabilisca entro quanto tempo si devono presentare i bilanci, sia quelli preventivi che quelli consuntivi.
  Soprattutto manca il riferimento al fatto che per bilancio delle regioni e degli enti locali debba essere inteso quello consolidato con le società partecipate. Io trovo che questo sia un grosso problema. Qual è il problema di comuni ed enti locali ? Sono queste società partecipate dai comuni che intervengono in house providing. Se non c’è una norma che stabilisce come va costruito il bilancio, i bilanci di queste società continuano a stare fuori. Forse bisognerà scrivere qualcosa per stabilire che nella valutazione rientrano anche i bilanci di queste società, perché si tratta di un bilancio unico. In fondo, sono diversi soggetti, ma si tratta sempre dell'ente locale.
  Forse sarebbe opportuno inserire all'articolo 10 il divieto di utilizzare la leva dell'indebitamento per conferimenti di capitale a società partecipate. Se abbiamo il problema dell’in house providing, la prima questione è che non si può utilizzare l'indebitamento per dare soldi alle società partecipate.
  L'obiettivo non è tanto privatizzare i servizi locali affidandoli alla società private, Pag. 11quanto creare un sistema in cui le società degli enti locali operino nell'ambito di norme corrette. Forse il problema è più questo che quello di andare verso una privatizzazione estrema, anche perché quando si privatizza, se le società private falliscono, il ripiano è operato dall'ente locale, dalla regione o dallo Stato. Difficilmente per i servizi pubblici comunali può esserci un fallimento senza effetti sulla finanza statale e sulla finanza regionale.
  A parte questo, la cosa che mi sembra interessante è che mancano del tutto le sanzioni per gli enti locali o le regioni che non rispettino le norme della legge rinforzata sull'equilibrio di bilancio. Forse si applicano le norme del Patto regionale integrato. Se un ente reitera la violazione del principio del recupero del disavanzo in un triennio, che è previsto dalla legge rinforzata, qual è la sanzione ? Io non ho trovato traccia di sanzioni.
  Proviamo a guardare la legge rinforzata nell'ottica, che a noi interessa, dell'autonomia finanziaria. Dicevo poc'anzi che gli unici profili innovativi della legge rinforzata rispetto alle norme precedenti sono una sorta di istituzionalizzazione della procedura che presiede al raggiungimento delle intese su basi regionali, da una parte, e la procedura per determinare il riparto delle risorse dello Stato ai fini del finanziamento dei LEP, dall'altra.
  Io ho notato che quanto all'istituzionalizzazione della procedura concertativa non si capisce bene se il ruolo dello Stato deve essere minimo, alla stregua di quanto previsto dal Patto regionalizzato integrato, oppure più intrusivo, alla stregua di quanto è invece previsto dalle forme di flessibilizzazione attualmente in vigore per le regioni a statuto ordinario. È una cosa che deve essere chiarita, perché riguarda proprio l'autonomia.
  Quanto alla procedura per determinare se e in che misura va ripartita la spesa per i LEP, manca un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Il 2016 deve ancora arrivare, però è certo che, se manca un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativo, non c’è nessuna regola per stabilire come si incide sull'autonomia finanziaria. Io ho l'impressione che, se non si scrive qualcosa, l'obbligo di concorso faccia pensare a una prospettiva di tipo centralistico per cui decide chi paga (chi paga è lo Stato). Questo, però, va chiarito. Secondo me, è un fatto normativo.
  Infine, una profonda lesione dell'autonomia finanziaria è da individuare nell'articolo 12 della legge rinforzata, che riguarda la destinazione delle risorse degli enti locali e delle regioni al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato nei periodi favorevoli del ciclo. La norma afferma che questo risparmio va direttamente allo Stato.
  A me sembra un'operazione in cui l'autonomia viene colpita abbastanza. Peraltro, chi ha scritto questa norma non si è reso conto che c’è una sentenza della Corte che in un caso analogo ha dichiarato incostituzionale la norma che prevedeva questa ipotesi. Mi pare che si trattasse dell'articolo 66, comma 9, del decreto-legge n. 1 del 2012. La sentenza n. 63 del 2013, molto recente, riguardava un caso in cui la norma obbligava gli enti locali e le regioni a destinare i ricavi derivanti dall'alienazione di beni al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. È un caso simile.
  La Corte aveva affermato che quella norma era incostituzionale, perché lo Stato avrebbe acquisito risorse appartenenti agli enti locali e alle regioni, senza che tale scelta potesse essere proporzionata rispetto al fine. Io aggiungo che quella norma non aveva neanche una motivazione in termini di risanamento dei conti pubblici.
  Avevo già anticipato all'inizio le mie conclusioni. Da tutto il sistema normativo degli ultimi anni emerge il dato di fondo che ho già detto: sia le norme costituzionali che la legge rinforzata aumentano in modo rilevante i vincoli che il legislatore statale può unilateralmente imporre sulle entrate e sulla spesa degli enti territoriali.
  Questo non è in via di principio disdicevole, ma è una scelta politica, purché sia chiara. Ciò che mi sembra disdicevole è il Pag. 12modo in cui avvengono l'estensione dei vincoli e l'assorbimento della materia dei princìpi fondamentali di coordinamento in quella dell'armonizzazione, che mi dà l'impressione che si stia andando, forse surrettiziamente, oltre un semplice adeguamento dell'assetto costituzionale alle esigenze della crisi economico-finanziaria, che era la motivazione di fondo.
  Ho l'impressione che, in termini culturali, dottrinali e politici, si sia messo in moto un processo inverso rispetto al modello del Titolo V.
  Penso che siamo tutti d'accordo nel ritenere che la riforma del 2001 non ha risposto alle generali aspettative e richiede interventi del legislatore nell'ottica di una ricentralizzazione. Abbiamo il documento degli esperti nominati dal Quirinale e il documento degli esperti nominati dal Ministro per le riforme istituzionali. Abbiamo vari contributi e proposte che emergono, sia a livello governativo sia a livello dottrinario. Ci sono solo da fare delle scelte.
  Ciò che a mio avviso non funziona è che la riforma sta giungendo a smentire l'unico pregio della riforma del Titolo V del 2001: essere finalizzata ad aumentare il tasso di attuazione concreta del principio di autonomia e del principio di democrazia, tra loro inscindibilmente connessi. C’è il rischio che la sussidiarietà, l’accountability e l'autonomia politica vengano messe veramente in crisi. Sono princìpi costituzionali, così come i princìpi di armonizzazione dei bilanci pubblici. Probabilmente è il Parlamento che deve fare questo bilanciamento tra l'uno e l'altro principio.
  Se noi vogliamo che i cittadini siano posti in condizione di controllare, indirizzare e giudicare l'operato dei loro amministratori per quanto riguarda le spese e le entrate assunte nella sfera di autonomia, allora la via d'uscita è quella di fissare i tetti di spesa e i limiti, ma non quella di entrare nel merito di una competenza degli enti locali con delle norme di dettaglio.
  Ho l'impressione che da questo punto di vista si stia andando nella direzione di mettere in crisi le autonomie finanziarie e, quindi, quelle politiche.
  Gli studiosi si sono posti questi problemi e hanno fatto delle proposte. Ci sono degli studi che io ho richiamato nel mio documento – vedo che il Presidente l'ha già letto – che vanno in un senso che a me sembra molto corretto: se vogliamo evitare questa stridente collisione coi princìpi di autonomia, di coordinamento e di sussidiarietà, l'ideale è semplificare il quadro normativo, che prevede interventi analitici e dettagliati e vincoli alla finanza locale molto stretti, e mantenere i due principali vincoli, come fanno la maggior parte dei Paesi d'Europa che hanno un sistema di tipo federale.
  Il primo è un vincolo di flusso legato a un indebitamento netto, che naturalmente andrebbe calcolato in termini di compatibilità con gli obblighi europei e col Fiscal compact. Il secondo limite è un vincolo di stock che guarda al debito pro capite o al debito rapportato alla parte corrente del bilancio. Se ci sono questi limiti, l'autonomia si sviluppa all'interno e lo Stato interviene per bloccare quando si fuoriesce.
  Sinceramente non riesco a capire perché ci debba essere questo fitto e dettagliato intervento, che ha soltanto l'effetto di far scomparire l'autonomia e di creare un contrasto permanente tra le regioni, gli enti locali e lo Stato.

  PRESIDENTE. Innanzitutto, devo ringraziare il professor Gallo e dire che è stata un'ora molto densa di contributo, che ispirerà sicuramente la riflessione da parte di tutti i commissari di questa Commissione e spero anche al di fuori di questa Commissione. Abbiamo ascoltato parole abbastanza chiare rispetto alla riforma costituzionale in discussione.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  SIMONETTA RUBINATO. Vorrei sapere come impatta tutto questo e se impatta in modo diverso sull'autonomia ordinaria e speciale. Questo attiene alla situazione attuale e anche ai differenziali di competitività tra regioni, particolarmente tra Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia, che non sono di poco rilievo anche per garantire i diritti sociali.

  FRANCO GALLO. Qualche giorno fa sono stato a Udine a fare una lectio magistralis (quelle cose che fanno fare ai vecchi professori) su questo tema. C'erano tutti quelli del Friuli-Venezia Giulia. C'era pure l'assessore, che era d'accordo con me.
  Rispetto alle autonomie speciali, c’è un fatto strano. Per quanto riguarda l'autonomia tributaria, questa rimane e, anzi, la divaricazione tra il sistema statale e quello delle autonomie si allarga sempre di più. Infatti, gli statuti prevedono (agli articoli 3 e 5 quello del Trentino-Alto Adige e all'articolo 7 quello del Friuli-Venezia Giulia) la possibilità di stabilire tributi propri in senso stretto, soltanto in armonia con le leggi statali e non secondo i princìpi fondamentali di coordinamento.
  Mentre le regioni a statuto ordinario, per stabilire tributi propri in senso stretto, devono, non solo essere in armonia, ma anche legiferare nell'ambito dei princìpi fondamentali di coordinamento, per le regioni a statuto speciale non c’è l'articolo 117 e si applica la norma statutaria che dice «in armonia con». Si allarga sempre di più, invece di restringersi.
  Per quanto riguarda la spesa, invece, purtroppo anche per le regioni a statuto speciale nel 2016 ci sarà un grosso problema. Siccome il carattere di vincolo non deriva dalla Costituzione, ma dall'ordinamento comunitario, il quale si applica anche alle regioni speciali senza la salvaguardia, se non si fa qualcosa, c’è il rischio – o la sicurezza, a mio avviso – che quella specialità così fortemente difesa dalle autonomie speciali venga meno per forza maggiore, non per legge statale ma perché si applica un principio comunitario che riguarda anche le autonomie speciali. Questa, perlomeno, è la mia impressione allo stato.

  DANIELE MARANTELLI. Mi viene da dire che il proposito di alcuni di andare verso il superamento delle regioni a statuto speciale diventa inutile, alla luce della sua ultima affermazione.

  FRANCO GALLO. Io non sono un leghista. Se ci si fosse mossi nell'ottica di allargare le autonomie, si sarebbe potuto tentare di fare un discorso complessivo, ma certamente, se il processo è inverso, è molto difficile che ci sia una convergenza. Ci sarà sempre questo contrasto. Penso alla Sicilia e alla Valle d'Aosta. L'Alto Adige storicamente si giustifica (non so fino a che punto), ma le altre regioni, come la Sicilia, non accetteranno mai che si tolga la norma che stabilisce che tutti i tributi riscossi nel territorio vanno alla regione.

  MARIA CECILIA GUERRA. Credo che ciò che emerge sia la necessità di una profonda riflessione. Ovviamente questo processo della legge rinforzata e della revisione costituzionale è stato guidato da una finalità comprensibile, ma senza valutare accuratamente tutte le ricadute. Questa è l'interpretazione buona, quella cattiva è un'altra.
  Siccome noi siamo impegnati con la riforma costituzionale a venire, che è un'occasione che può essere sfruttata in questo senso, vorrei fare una considerazione e una domanda.
  Il dibattito sulla riforma del Titolo V è un po’ asfittico, perché, come sapete, il Senato su questo non ha avuto un dibattito in Commissione e in Aula è andata com’è andata. La questione sul momento in cui si farà la discussione parlamentare su questa parte della riforma è ancora aperta. Pag. 14
  Nel dibattito, questi temi sono affiorati in maniera molto laterale e nei termini delle attribuzioni del Senato, intendendosi il Senato, comunque, come la rappresentanza delle Autonomie.
  Una delle questioni era se il tema del coordinamento della finanza pubblica e il tema del coordinamento del sistema tributario, che sono stati messi insieme, anche se, a mio avviso, sono due cose che potevano essere tenute distinte, dovessero rientrare nella procedura rafforzata che attribuisce al Senato un potere maggiore di pronuncia.
  Questo è un primo aspetto, che però, a mio avviso, interviene solo lateralmente sul tema. Non si parla delle autonomie nel loro complesso, quindi della possibilità di incidere su questo processo, che resta comunque definito da una legge centrale, ma dell'autonomia del singolo ente. Ci potrebbe essere questa ambiguità. Questa è una prima riflessione su cui vorrei avere la vostra opinione.
  L'altra questione riguarda il superamento del terzo comma dell'articolo 117 per quanto riguarda i princìpi fondamentali, in relazione alle materie concorrenti. È vero che le materie concorrenti scompaiono, però è anche vero che riappare in più forme e potrebbe riapparire anche con riferimento al tema del coordinamento la dizione «criteri generali e uniformi».
  Questa questione è un po’ al di fuori rispetto a quello che è stato discusso qui, ma è collegata. Vorrei sapere se questa dizione ha la stessa pregnanza dei princìpi fondamentali e se allo stato dell'arte abbiamo la possibilità di capire che cosa voglia dire.

  FRANCO GALLO. Io ho l'impressione che bisognerebbe mettersi intorno a un tavolo e chiamare un po’ di esperti imparziali e indipendenti che si confrontino con i parlamentari e con il Governo.
  La Costituzione è una cosa molto delicata. Io sono molto preoccupato. È stata fatta negli anni Cinquanta da persone che erano di qualunque corrente politica ed è uno dei documenti più belli, che tutti ci invidiano. Sarà un po’ vecchia per quanto riguarda il Governo, come sappiamo, però non può essere toccata da una parte e rimanere in piedi dall'altra. L'articolo 5 si espande sugli articoli 118 e 117. L'articolo 114 ha fatto venir meno la gerarchia tra Stato e regioni e tutto quanto ormai è competenziale, cioè ognuno ha la sua competenza rispetto alle proprie materie.
  La mia preoccupazione è che siano interventi estemporanei su un comma e su un articolo. Quando uno come me si legge le norme tutte insieme trova questi squilibri e questi scompensi.
  Il problema che la senatrice Guerra pone è delicato. Nella modifica del Titolo V si afferma che viene meno il terzo comma e che tutto si rifà alla legge statale in via esclusiva in nome dell'unità economica, finanziaria e politica dello Stato, in relazione alle esigenze economiche e finanziarie.
  Questo significa giustificare in termini astratti generali un tipo di Costituzione diverso da quella che abbiamo noi. Significa accogliere le proposte che facevano Fini e l'MSI tanti anni fa, secondo cui l'importante è l'interesse nazionale. È una scelta politica, ma allora non la si deve nascondere. Significa che ha prevalso la tesi secondo cui l'interesse nazionale vale sulla sussidiarietà e sul pluralismo. Vogliamo il pluralismo o vogliamo l'interesse nazionale ?
  Nelle proposte governative viene meno il terzo comma dell'articolo 117, però, quando si definisce la competenza delle regioni, si afferma che le regioni hanno una loro competenza per alcune materie. È quello che io chiamo «principio di continenza». Le regioni possono operare e hanno competenza nelle materie che sono loro attribuite dalla Costituzione.
  Sembra strano che da una parte si trasferisce la competenza esclusiva e si toglie la concorrente e contemporaneamente si individua una competenza esclusiva della regione nei casi individuati da quella norma che adesso non ricordo bene. Si afferma che tutto quello che è regionale rimane alla regione. Sembrerebbe di avere una competenza esclusiva Pag. 15dello Stato e una competenza esclusiva della regione, in base a quella frase che viene integrata dalla modifica del terzo comma.
  Capite cosa voglio dire ? È tutto molto confuso.

  MARIA CECILIA GUERRA. Ci sono un'esclusività dello Stato con un dettaglio e un'esclusività delle regioni per cui non si entra nel dettaglio. In ogni caso, non viene definito in termini residuali, ma con l'individuazione di ambiti.

  FRANCO GALLO. Rimane il quarto comma, che afferma che il residuale spetta tutto alle regioni.
  Prima della riforma del Titolo V, affermavamo che le regioni avevano delle competenze e lo Stato aveva altre competenze. Qui abbiamo la competenza residuale delle regioni del quarto comma che rimane e viene meno il terzo comma, ma abbiamo anche questa norma strana che dice che le regioni comunque hanno competenza in settori in cui sono predestinati a gestire. Cos’è che non funziona ?

  FEDERICO FORNARO. Sarò telegrafico. Riallacciandomi all'intervento della collega Guerra, visto che alla Camera siamo in seconda lettura delle riforme, in una fase ancora elaborativa, proporrei di inviare in maniera formale questo documento depositato dal professor Gallo alla I Commissione, come contributo al lavoro sulle riforme che in questo momento è in capo alla Camera.

  PRESIDENTE. Senatore Fornaro, la I Commissione sta procedendo a delle audizioni. Temo che, come diceva la collega Guerra, questo aspetto sia quantomeno trascurato da parte di coloro che si occupano della revisione costituzionale. Invece, bisogna rifocalizzarlo. Voi al Senato non siete riusciti a trattarlo adeguatamente in Commissione. Sicuramente noi dovremmo sforzarci di farlo.
  Faccio una mia riflessione conclusiva, professor Gallo. Io e alcuni dei presenti siamo stati attori di questa riforma costituzionale della legge rinforzata, in un clima politico del tutto eccezionale, tale per cui l'emergenza economico-finanziaria ha imposto di assumere delle decisioni che, a una più attenta e accurata riflessione, appaiono a dir poco disarmoniche e talora sbagliate in termini di lungo periodo. In quel momento il solo desiderio di far entrare il concetto di equilibrio anziché quello del pareggio in Costituzione era sicuramente avversato dai media. Anche all'interno del Parlamento sembrava che imporre il pareggio tout court anziché l'equilibrio fosse la ricetta e la soluzione di tutti i mali.
  Perché dico questo ? Come giustamente lei ha osservato, la mia piccola esperienza mi suggerisce che quando si interviene sulla Costituzione bisogna riflettere bene su cosa si fa. Probabilmente la fretta è una cattiva consigliera.
  Oggi abbiamo vivisezionato gli articoli che riguardano la nostra Commissione. Io spero, senatore Fornaro, che alla Camera ci sia veramente la possibilità di tornare sulla riforma ed eventualmente correggere gli errori che abbiamo compiuto in una fase particolare in cui non c'erano la lucidità e il tempo necessario, perché si doveva correre e dare una risposta, non tanto al popolo italiano quanto ai mercati e a tutto quello che succedeva.
  È difficile e sbagliato scrivere una Costituzione sotto dettatura degli spread. Questo è quello che è avvenuto nella storia recente italiana.
  Credo che ci sia la necessità di un'adeguata riflessione, che richiede tempo, per scrivere una riforma costituzionale che possa durare nel tempo, senza essere foriera di errori su materie come queste, che hanno riflessi sui diritti sociali di cui si parlava all'inizio.
  Grazie, professor Gallo, per questo grandissimo contributo che ha dato alla Commissione, che speriamo possa essere trasferito.

  FRANCO GALLO. Ha studiato il problema e ha scritto delle cose molto belle Pag. 16Giovanni Boggero, richiamato in nota al mio documento. Ha scritto dei saggi in cui per ogni norma e ogni articolo della legge rinforzata ci sono proposte di integrazione.

  PRESIDENTE. Se siete d'accordo, io potrei scrivere, a nome della Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale, al presidente Sisto della I Commissione, la proposta di integrare le audizioni con il contributo del professor Gallo su questo tema.
  Ringrazio il professor Gallo per il suo intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.

  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.

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