XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 23 di Giovedì 7 agosto 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli, sul processo di revisione della spesa con particolare riferimento alle regioni e agli enti locali (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Cottarelli Carlo , Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 7 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 8 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 9 
Guerra Maria Cecilia  ... 9 
Zanoni Magda Angela  ... 11 
De Menech Roger (PD)  ... 12 
Fornaro Federico  ... 13 
Broglia Claudio  ... 13 
Lai Bachisio Silvio  ... 14 
Fornaro Federico  ... 15 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 15 
Cottarelli Carlo , Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica ... 15 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli, sul processo di revisione della spesa con particolare riferimento alle regioni e agli enti locali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica, Carlo Cottarelli, sul processo di revisione della spesa con particolare riferimento alle regioni e agli enti locali.
  L'incontro di oggi rappresenta un aggiornamento e un approfondimento rispetto all'audizione del 30 gennaio scorso. Ringrazio il dottor Cottarelli per aver accettato il nostro invito in un periodo di lavoro particolarmente intenso. Lo ringrazio anche per avere rispetto degli orari, che, però, sono tipici della nostra Commissione. Ci riuniamo alle 8 del mattino per dare un esempio.
  Le cedo subito la parola, in modo da poter utilizzare in modo proficuo tutto il nostro tempo.
  Do la parola al dottor Cottarelli per lo svolgimento della relazione.

  CARLO COTTARELLI, Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica. Grazie per questo invito, che ho molto gradito. Vorrei aggiornarvi rispetto ai lavori della revisione della spesa, in particolare per quanto riguarda gli enti territoriali.
  Vorrei, in particolare, parlare in maniera più approfondita dei fabbisogni standard, del progresso che è stato fatto sul percorso dei fabbisogni standard, delle partecipate locali (oggi completerò il rapporto sulle partecipate locali) e sugli acquisti di beni e servizi. Ho poi quattro temi di cui pure voglio parlare, ma in maniera forse un po’ più rapida.
  Iniziamo con il percorso dei fabbisogni standard. È un percorso complesso, ma si sono fatti dei buoni progressi, nell'ultimo mese in particolare, a diverse dimensioni. La dimensione più conosciuta è quella dei fabbisogni standard. Comincerò da quella, ma ce ne sono altre.
  Una decina di giorni fa il Consiglio dei ministri ha approvato un DPCM, ma lasciatemi fare un passo indietro. Voi sapete che, in relazione ai fabbisogni standard, ci sono per i comuni sei principali funzioni che devono essere trattate. Per ognuna di queste funzioni c’è un percorso ben definito, che parte dal lavoro tecnico della COPAFF, passa poi a una deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, quindi alla Conferenza unificata, alla Commissione bicamerale e alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato e, infine, viene completato con l'approvazione definitiva del DPCM.
  Per la prima funzione il percorso era stato completato in aprile. Per la seconda funzione il percorso è stato completato con l'approvazione di un DPCM una decina di giorni fa. Per le altre quattro Pag. 4funzioni (istruzione pubblica, funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti, funzioni nella gestione del territorio e dell'ambiente, nonché funzioni nel settore sociale), dopo aver terminato il lavoro tecnico a fine dicembre 2013, è ripartito il percorso politico, con un primo passaggio al Consiglio dei ministri. Questo è avvenuto una decina di giorni fa.
  Io spero che non proprio entro la fine dell'anno, ma anche prima (a settembre-ottobre), si riesca a completare l'intero percorso per i fabbisogni standard, almeno dei comuni. Anche per le province si è andati avanti, anche se per le province non tutte le funzioni hanno fatto il primo passaggio al Consiglio dei ministri.
  Questo è il punto per quanto riguarda i fabbisogni standard. Ugualmente importante, però, è il percorso che deve essere fatto per la capacità fiscale standard. A regime i trasferimenti standard dovrebbero consistere nella differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscale standard.
  Per la capacità fiscale standard il lavoro tecnico è quasi terminato. C’è stato anche, a livello tecnico, un accordo con l'ANCI su che cosa esattamente occorresse fare dal punto di vista tecnico. Credo che per metà settembre il lavoro tecnico possa essere portato a termine. Non è ancora chiarissimo quale sarà il percorso per ufficializzare queste capacità fiscali standard, ma, una volta fatto il lavoro tecnico, io penso che, se c’è la volontà politica, ci si possa muovere rapidamente per il completamento del percorso delle capacità fiscali standard. Di nuovo, spero che tutto questo possa essere completato per la fine dell'anno.
  Si è fatto un passo avanti importante con l'apertura, da parte del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e della SOSE, della banca dati SOSE, ossia della banca dati dei fabbisogni standard e soprattutto della banca dati che contiene strumenti nuovi di business intelligence che sono stati per la prima volta messi a disposizione dei comuni e che consentono di fare confronti su indicatori anche di efficienza tra i diversi comuni. Questo è già successo e c’è l'impegno politico da parte del MEF di renderli aperti al pubblico entro ottobre.
  Apro una piccola parentesi che non riguarda direttamente i fabbisogni standard, ma che è importante per gli enti territoriali: è stato aperto a tutti il SIOPE, la banca dati con tutte le informazioni sulla spesa degli enti territoriali. Questo è stato un importante risultato. I dati sono disponibili online e non c’è neanche bisogno di password. Si apre il sito e si entra.
  Ho parlato di fabbisogni standard, di capacità fiscale standard e di pubblicazione degli indicatori. Il quarto elemento importante è l'aggiornamento della banca dati. La banca dati che è stata aperta contiene i dati al 2010.
  Ciò non significa che questi non siano importanti. Per individuare i benchmark, alla fine, anche i dati del 2010 vanno bene. Ovviamente, per valutare la performance di ogni comune occorrono dati più aggiornati, ma il fatto di avere un benchmark, anche se al 2010, è comunque molto importante. Occorre, però, aggiornare la banca dati.
  È stato avviato, quindi, di nuovo, un percorso doppio. In aggiunta all'aggiornamento completo della banca dati dovrebbe essere stato predisposto un questionario molto semplificato, con soltanto sette domande, che, però, unitamente ai dati ufficiali sui bilanci dei comuni già disponibili, dovrebbe consentire un aggiornamento piuttosto rapido della banca dati. Di nuovo, spero che ciò avverrà a settembre-ottobre, ma di certo prima della fine di quest'anno.
  Vi è un ultimo punto che riguarda questa tematica. Tutto quello che ho detto riguarda i fabbisogni standard e i costi standard, ma c’è anche un altro passo avanti che in prospettiva è importante. Il costo standard è, appunto, medio, standard. Con un gruppo di lavoro nell'ambito della revisione della spesa guidato dal professor Longobardi si sta lavorando per il calcolo delle cosiddette «fonti di efficienza». Non si tratta più di vedere quale sia il costo medio di una certa attività, ma quale sia il costo di chi svolge l'attività al Pag. 5meglio. Questo, in prospettiva, dovrebbe diventare l'obiettivo. Non si tratta di accontentarsi della media, ma di cercare di portare la media verso il livello di chi ha la migliore performance.
  Passiamo al lavoro sulle partecipate locali. Il decreto legge n. 66 all'articolo 23 richiede al commissario di preparare una proposta di razionalizzazione delle partecipate locali con un obiettivo di massima – non è definito dal decreto legge, ma è stato definito a livello politico – di ridurre il numero delle partecipate locali da 8.000 a 1.000 nel giro di tre anni. Il rapporto doveva essere completato entro il 31 luglio, anzi, originariamente la scadenza era il 31 ottobre. È stato, però, anticipato tramite un emendamento in Senato al 31 luglio.
  La scadenza è passata da qualche giorno. Oggi pomeriggio, però, invierò il rapporto al Comitato interministeriale per la revisione della spesa. Il rapporto contiene proposte che dovrebbero portare il numero delle partecipate da 8.000 a 1.000 e, soprattutto, determinare un miglioramento dell'efficienza e dei risparmi.
  Quali sono gli strumenti principali per ottenere questa razionalizzazione ? Un punto molto importante, un cardine molto importante delle proposte è quello di definire e dare attuazione piena a una norma contenuta nella legge di stabilità del 2008 che, al di là del linguaggio legale, parlando in termini più semplici, dice che le pubbliche amministrazioni devono, anche attraverso le loro partecipate, compiere operazioni che sono istituzionalmente proprie dell'ente in questione. Questo in qualche modo restringe il campo d'azione. Attualmente ci sono partecipate che fanno davvero un po’ di tutto.
  In che modo si cerca di dare attuazione a questo principio ? Si definisce un elenco di attività che sono tipiche dell'operato e dell'interesse generale che devono essere di competenza degli enti territoriali. Nell'ambito di queste attività, per esempio, un comune può avere una partecipata giustificandola semplicemente sulla base di una delibera del comune stesso.
  Tuttavia, ci possono essere eccezioni. Si propone, quindi, un percorso per queste eccezioni, dicendo che, se una partecipata vuole fare qualcosa al di là di questi settori predefiniti, ci vuole un vaglio esterno.
  Adesso non voglio entrare nel dettaglio – vi racconterei esattamente parola per parola tutto il rapporto – di quale potrebbe essere questo vaglio esterno. Oggi finalizzeremo la proposta. Tuttavia, questo meccanismo di avere una componente probabilmente decisa dall'ente territoriale in un dato ambito, ma con una qualche validazione esterna se si va oltre certe attività, è un principio che fa parte di questo rapporto in maniera alquanto diffusa e che vi trova applicazione in diverse modalità.
  Oltre a quest'azione per circoscrivere l'attività del settore pubblico rispetto al settore privato ci sono altre proposte che riguardano i vincoli alle detenzioni indirette di partecipate. Ci sono attualmente delle cascate per cui una partecipata detiene una partecipata, che ne detiene un'altra, e via elencando. Si cerca di limitare anche questo aspetto.
  C’è anche un fenomeno molto diffuso di quelle che io chiamo «micro-partecipazioni», ossia partecipazioni in cui non soltanto, per esempio, un singolo comune o ente territoriale, ma l'insieme dei comuni, l'insieme del pubblico, non raggiunge il 5-10 per cento. C’è da chiedersi se in quei casi esista un motivo strategico per cui il pubblico debba essere presente.
  C’è poi il fenomeno che io definisco «delle scatole vuote», ovvero un numero molto elevato di partecipate che non hanno dipendenti, oppure che non hanno fatturato, o che hanno un numero di dipendenti inferiore al numero dei membri del Consiglio d'amministrazione. Anche in quel caso c’è da chiedersi se ci sia bisogno di queste partecipate.
  Ci sono partecipate in perdita prolungata. Esiste già una norma per chiuderle, ma spesso non viene attuata.
  C’è anche il fenomeno – mi rendo conto che questo è un tema piuttosto delicato – dei piccoli comuni. In passato ci sono state norme che hanno limitato l'estensione delle partecipate da parte di Pag. 6piccoli comuni. Ci sarà una proposta in quest'area, che naturalmente non riguarderà la partecipazione di piccole comunità o aggregazioni, perché questa è completamente fisiologica.
  Un altro elemento molto importante del documento riguarda l'enfasi sulla trasparenza, intendendo la trasparenza come strumento di efficientamento, ossia come strumento che consente la pressione da parte dell'opinione pubblica, il che vuol dire pubblicazione e rafforzamento delle banche dati e ulteriore unificazione delle banche dati stesse.
  Esiste una norma in proposito nel decreto-legge sulla pubblica amministrazione, ma occorre portare avanti ulteriormente l'unificazione delle banche dati e migliorarne la qualità. Occorre, inoltre, mettere a disposizione, seguendo il percorso dei fabbisogni standard, strumenti di business intelligence perché l'opinione pubblica possa valutare l'efficienza delle partecipate.
  È possibile che già per gli inizi di settembre, utilizzando le informazioni presenti nella banca dati del Ministero dell'economia e delle finanze, cominceremo a pubblicare sul sito della revisione della spesa qualche indicatore di efficienza, come il Return on equity (ROE), per le partecipate che sono nella banca dati del MEF.
  Occorre intervenire per favorire l'aggregazione di alcuni settori che ancora non raggiungono economie di scala adeguate. Nel settore servizi pubblici e rete questo è un particolare problema nell'idrico e nei rifiuti. Per il gas esiste un percorso già definito da qualche anno. C’è poi un problema nel trasporto pubblico locale (TPL), che pure sarà discusso. I problemi non sono tanto le economie di scala, quanto le varie forme di inefficienza, che riguardano anche i bassi ricavi derivanti dalla vendita dei biglietti.
  Questi sono alcuni degli elementi principali del rapporto. Vorrei passare adesso al terzo tema di cui vi ho parlato all'inizio: l'acquisto di beni e servizi. Ci si sta muovendo per l'introduzione del sistema dei 35 soggetti aggregatori che dovrebbero gradualmente diventare lo strumento di acquisto di beni e servizi in forma aggregata, al di là di determinate soglie. Inizialmente riguarderebbero soltanto talune tipologie di beni, ma è previsto un elenco di tipologie che verrà con il tempo ampliato.
  Ci sono alcuni DPCM che devono essere approvati per l'attuazione. Le indicazioni che definiscono le caratteristiche dei soggetti aggregatori e il modo in cui si entra nell'elenco dei soggetti aggregatori sono praticamente pronte. Credo sia stata mancata la scadenza del 5 agosto per la discussione in Conferenza unificata, ma si provvederà senz'altro nella prossima occasione.
  C’è un altro DPCM che definisce che cosa deve fare il cosiddetto «tavolo dei soggetti aggregatori», ossia l'organo tecnico che dovrebbe gestire il sistema. In merito si è un po’ più indietro, ma si tratta di un paio di settimane. Il percorso per la riforma degli acquisti di beni e servizi sta, quindi, andando avanti.
  Stanno andando avanti anche altri aspetti, come il rafforzamento delle pubblicazioni di dati. C’è un decreto del Ministero che definisce le caratteristiche essenziali dei prodotti venduti da CONSIP, ossia la tipologia dei prodotti, che consentirà la pubblicazione dei prezzi in tempi estremamente brevi. Il percorso sta, dunque, andando avanti, con qualche ritardo, ma sta andando avanti.
  Questi sono i tre temi principali di cui desideravo parlarvi. Vorrei spendere ora poche parole sulle quattro aree in cui si sta lavorando, che riguardano gli enti territoriali.
  Prima di tutto c’è un gruppo di lavoro guidato dalle Regioni che si sta occupando delle sedi delle regioni e della presenza territoriale delle regioni. Il rapporto doveva essere pronto per fine luglio, ma poi, per le vicende legate al cambiamento della presidenza della Conferenza delle regioni, c’è stato qualche ritardo. Quanto alla scadenza, purtroppo, a causa delle ferie estive, lo aspetto da parte di questo gruppo di lavoro organizzato dalle regioni stesse entro il 10 settembre.Pag. 7
  Il secondo gruppo di lavoro riguarda l'illuminazione stradale, che per ora non ha coinvolto i comuni. Il lavoro è essenzialmente guidato dal MISE. La spesa per l'illuminazione stradale è di circa 2 miliardi l'anno. La proposta è fondamentalmente quella di investire in tecnologie che consentano il risparmio e l'efficientamento.
  Si è parlato tanto dello spegnimento di luci nelle strade. Vorrei rassicurare che non si sta parlando di questo. Ovviamente, ci sarà una componente di risparmio, intorno al 10 per cento del risparmio totale, che ci si può aspettare da queste operazioni e che potrebbe venire dall'abbassamento di luci in alcune aree, ma non urbane, non dove ci sono le case. Il grosso dell'operazione dovrebbe essere un'operazione di efficientamento energetico. L'ANCI è informata di questi lavori. Non è ancora stata contattata formalmente, ma lo sarà presto.
  Il terzo gruppo di lavoro, che è importante per gli enti territoriali, riguarda il rinnovamento degli immobili pubblici, con risparmi per costi di affitti, elettricità, riscaldamento e pulizie. Di nuovo, il lavoro è cominciato guidato dall'Agenzia del demanio. Non sono stati ancora contattati gli enti territoriali, ma lo saranno presto.
  Un ultimo punto in cui si sta iniziando dall'amministrazione centrale, ma poi si passerà agli enti territoriali, riguarda la digitalizzazione. C’è stata una riunione questa settimana, qualche giorno fa, al Dipartimento della funzione pubblica, della Presidenza del Consiglio con le amministrazioni centrali e dovrebbe esserci una proposta già con risparmi concreti entro il 10-15-20 settembre. Questo riguarda l'amministrazione centrale. Poi si passerà agli enti territoriali.
  Si tratta di guardare a questi problemi da due punti di vista: uno è come risparmiare nell'organizzazione dell'ICT (Information and communication technology), con i 10.000 CED (centri elaborazione dati). Non si conosce il numero esatto, ma si parla di 10.000 CED (Centri elaborazione dati) di enti territoriali. Si può risparmiare su questo.
  Inoltre, si tratta di vedere come si possano utilizzare al meglio le tecnologie informatiche per arrivare a risparmiare nella gestione delle attività degli enti centrali, ossia delle amministrazioni centrali e territoriali.
  Ho parlato forse un po’ troppo. Scusatemi.

  PRESIDENTE. Per il momento non c’è la spending review sul parlare, almeno in Commissione. In Aula è già adottata. Naturalmente, c’è la possibilità di intervenire e fare domande. Se volete, rompo io il ghiaccio e pongo due questioni.
  La prima è relativa alla capacità fiscale standard, che ovviamente è quella che chiude il cerchio rispetto alla grandissima mole di lavoro fatta sui fabbisogni standard e sui costi standard. Unanimemente, credo, si dice che questo è stato un grande lavoro.
  Il tema della capacità fiscale standard è una riflessione che pongo anche a tutti i membri della Commissione. Mi sembra di aver capito che sia definita in sede tecnica, ma chi la valida politicamente ? Se bisogna chiudere e infiocchettare il pacchetto, con tutte le conseguenze che ne derivano, io credo non che qui ci sia un buco nella normativa, ma che qualcuno si debba immaginare chi esamina e valida i costi standard al fine di poterli utilizzare. Poi vedremo. Abbiamo programmato un'audizione del direttore generale dell'Agenzia delle entrate. Questo mi sembra un tema assolutamente decisivo.
  La seconda questione di cui si è ampiamente dibattuto è quella relativa alle partecipate e al numero – diciamo così – patologico di queste partecipate. Vorrei ricordare il percorso per cui alla fine siamo arrivati a questo, anche per capire poi gli effetti sulla finanza pubblica.
  C’è stata una tendenza alla fine degli anni Novanta, in occasione dell'ingresso dell'Italia nella moneta unica, per cui, sotto il profilo normativo, si è promossa l'esternalizzazione a soggetti esterni aventi personalità giuridica privata di una serie di funzioni che, se tenute all'interno dell'amministrazione, pesavano, per quanto Pag. 8riguarda le uscite, ai fini di Maastricht – allora si diceva così – mentre, se gestite fuori, nell'ambito di società Srl o SpA, non avrebbero avuto lo stesso peso. Sono nate, quindi, tutte queste realtà.
  Questa operazione, in particolare con riferimento alle società in-house, cioè a quelle detenute integralmente e che svolgono funzioni per quanto riguarda i comuni, può produrre due tipi di risultati. Vorrei capirne gli effetti.
  Il primo, ovviamente nel momento in cui sopravvivono, è un incremento delle tariffe e dei prezzi al fine di rientrare nelle condizioni di economicità e, quindi, alla fine, per gli utenti, un aumento del sistema tariffario.
  L'altro consiste nel riportare all'interno delle amministrazioni questo tipo di funzione, ma senza un effetto positivo in termini di razionalizzazione dei costi. Io non posso più tenere la Srl partecipata perché le norme non me lo permettono e allora me la riporto all'interno dell'amministrazione. Questo di per sé non produrrebbe un risparmio di costi, anzi, paradossalmente può darsi che peggiori la situazione per quanto riguarda la contabilizzazione dei costi medesimi.
  La riflessione finale è questa: vista la genesi del fenomeno delle partecipate, indotto talvolta dalla necessità di esternalizzare, vorrei capire se questo processo al contrario non possa in qualche modo produrre un effetto distorsivo. Mi fermo qui perché ci sono già diversi colleghi che hanno segnalato l'intenzione di intervenire.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIOVANNI PAGLIA. Grazie. Prima di tutto svolgo una considerazione. Non vorrei fare polemiche, che qui non hanno senso, ma io credo che chi avesse ascoltato l’iter di approvazione di un DPCM forse avrebbe capito dove sono i problemi di lentezza e di intoppo nella procedura legislativa e soprattutto amministrativa di questo Paese, molto più che nel bicameralismo e in altri atti.
  Per fare un DPCM ci vuole un anno, fondamentalmente, in mezzo a passaggi che coinvolgono avanti e indietro sei soggetti, se ricordo bene. Questo spiega anche perché noi siamo bloccati, non per i sessanta giorni di un decreto-legge. Da questo punto di vista io credo che il Governo abbia una responsabilità su se stesso, molto più che su altri.
  Volevo intervenire poi sulla questione delle municipalizzate, ma in realtà mi ha anticipato sulla domanda centrale il Presidente. Io nutro seri dubbi, prima di tutto, sul fatto che si possa esprimere un giudizio sulla liceità o meno di permanenza in essere di una partecipata sulla base dell'attività che svolge. Credo sia molto più ragionevole, o che sarebbe molto più ragionevole, attestarsi su termini di efficienza economico-finanziari.
  Mi spiego. Ci sono comuni, anche nella mia zona, che hanno bilanci che si chiudono in positivo solo perché negli ultimi anni hanno messo in piedi Srl che si occupano di energie alternative. Evidentemente fare un campo di fotovoltaico non c'entra assolutamente nulla con l'attività propria di un ente locale. Eppure questo è ciò che consente in questo momento di chiudere i bilanci. Il fatto che debba essere un ente esterno al comune medesimo a validare, anche in termini di procedura democratica, la possibilità per un ente di dotarsi di strumenti che ne consentano il funzionamento mi lascia delle perplessità, mentre non me ne lascia il fatto che quelle municipalizzate che non svolgono funzioni vadano chiuse immediatamente.
  La stessa cosa che dicevo prima vale per le catene societarie all'interno delle municipalizzate. In nessuna società privata verrebbe in mente a qualcuno di questionare sulla liceità di un management e di discutere di quale sia il modo più efficiente di improntare la propria attività. Non so se farlo con le società pubbliche sia un segno che il nostro è un Paese più o meno avanzato, poiché si dà per scontato, se si fa questo, che all'interno delle società pubbliche il management sia sostanzialmente o incapace, o capace di Pag. 9ragionare solo secondo princìpi che non hanno a che fare con quello che dovrebbe essere il suo mestiere.
  Forse anche in questo contesto – non lo dico tanto al dottor Cottarelli, quanto a noi stessi – sarebbe il caso di promuovere una diversa cultura del management pubblico in questo Paese, più che di intervenire dall'alto con procedure che rischiano poi di produrre l'effetto opposto a quello che si desidera. La metto così.
  Sulle micro-partecipazioni io credo sia chiaro, da quello che ho capito, che intendiamo quelle aggregate. Noi abbiamo molte società al 100 per cento magari di partecipazione pubblica, ma con partecipazioni dei singoli comuni che arrivano anche allo 0,5 per cento. Penso proprio al ramo dell'idrico, per esempio. Questo fatto non credo venga messo in discussione, né che possa essere messo in discussione.
  Sempre sulla questione del favorire l'aggregazione su idrico e rifiuti segnalo che sarà vero che ci sono delle inefficienze, ma è vero anche che la pressione politica da parte dei cittadini ormai, laddove ci sono state macro-aggregazioni, è a fare il contrario, cioè a tornare indietro.
  Non si può, io credo, per via amministrativa centrale, andare contro le tendenze politiche volute dai cittadini. In Emilia-Romagna, dove noi abbiamo macro-aggregati per gestire i rifiuti, i cittadini vogliono tornare indietro alle municipalizzate comunali. Questo è chiaro. Io non mi permetterei mai di approvare dal livello centrale norme o indicazioni che vadano contro l'evidente indirizzo che i cittadini esprimono col voto. Questo deve essere molto chiaro.
  Come ultima cosa, non è finita la tendenza di cui parlava il Presidente Giorgetti a favorire e incentivare la nascita di enti esterni alla pubblica amministrazione. Ricordo – questa è una battaglia che noi stiamo conducendo da quando è iniziata la legislatura – che per tutti i servizi educativi e socio-sanitari gestiti dai comuni si continua a incentivare in tutti i modi la nascita di istituzioni e fondazioni per servizi che sono sempre stati gestiti direttamente dai comuni.
  Io credo che nessuno possa mettere in dubbio che il modo più razionale di gestire un asilo-nido sia quello che a gestirlo sia direttamente il comune. Eppure lo Stato pretende che si facciano fondazioni per svolgere questo compito. Dico «pretende» perché è l'unica strada che offre per uscire dal Patto di stabilità relativo al personale.
  In questo caso, peraltro, quando si creano fondazioni e istituzioni, non c’è nemmeno la scusa precedente di uscire dal perimetro del Patto di stabilità, perché vi si rimane dentro. Qualcuno dovrebbe occuparsene, visto che la politica non lo fa. Chiedo un parere anche al dottor Cottarelli, perché i ministri si rifiutano sempre di rispondere su questo.
  Uno qualche idea in merito se la fa, ma io inserirei questa come raccomandazione, perché le cose proprio inutili e che ancora non sono state fatte si potrebbero evitare. Prima di avere l'ennesima esplosione di fondazioni che non saranno società, ma forse peggio, sotto alcuni aspetti, sarebbe il caso di fermarsi in anticipo.

  PRESIDENTE. Quanto al rapporto col Patto di stabilità, il confine è rilevantissimo, in questo caso.
  Prego, senatrice Guerra.

  MARIA CECILIA GUERRA. Grazie, Presidente. Grazie, commissario. Lei ci ha sollecitato su moltissimi punti e le domande potrebbero essere infinite. Tuttavia, mi limiterò ad alcune cose, in particolare alla questione dei fabbisogni standard, che ho seguito anche in una fase iniziale, perché ero anche nel Comitato scientifico dell'IFEL. Alcuni problemi, quindi, li ho visti, ma non so come il tutto sia andato a finire. Credo che sia stato fatto un lavoro enorme e utilissimo e, quindi, non parto da una valutazione negativa.
  Il problema che, però, resta insoluto, a mio parere, è l'utilizzo che se ne vuole fare. Commissario, lei giustamente ha parlato di costruzione di indicatori e di funzioni di benchmarking. Io credo che questa sia la funzione propria, utilissima, per queste cose, anche in termini di trasparenza e di confronto pubblico.Pag. 10
  Tuttavia, le problematiche tecniche che ci sono nella costruzione di questi fabbisogni – sono stati costruiti proprio dei fabbisogni, non delle funzioni di costo – non è possibile gestirle, anche perché si parte da funzioni molto aggregate, per le quali molto spesso la definizione di un output manca. Ci si è basati, quindi, praticamente, in larga parte, su dati di spesa. Soprattutto nel campo dell'assistenza, salvo alcuni approfondimenti specifici, per esempio sugli asili-nido, il dato della qualità è difficilmente colto, così come è difficilmente colta la differenziazione della spesa legata ad altri fattori, come, per esempio, lo sforzo fiscale.
  Quello che non mi è chiaro, allora, è l'utilizzo che si possa fare di questi dati in termini di guida dei trasferimenti, anche se non sono più trasferimenti, ma compartecipazioni. Su questo aspetto, secondo me, c’è il rischio di fare veramente degli sfracelli, sia perché i dati non sono sufficientemente informativi, sia perché manca una definizione normativa, dalla quale non si può prescindere.
  Faccio un esempio proprio sugli asili-nido, su cui ho meno da dire, anche se, stando ai dati, mi risulta che manchino alcuni aspetti. Per esempio, con riferimento alla questione dei bimbi disabili, ci sono salti enormi di spesa se ci sono lattanti o sezioni primavera. Questo tema è stato colto dai dati, ma lo cito per dire che a volte si semplifica in modo forse eccessivo.
  Quella che io ho visto è un'interpolazione di dati che ci aiuta a capire, a parità di servizi (per esempio, se copro il 2 per cento della domanda), quanto spendo rispetto allo standard. Posso vedere se in quel range io sono efficiente o non efficiente. Niente mi dice, però, su come sistemo il fatto che la Calabria abbia una copertura del 2,4 e l'Emilia-Romagna del 27 per cento.
  Che cosa faccio in merito ? A chi ha poco lascio poco ? Non lo costringo ad andare su un sentiero virtuoso per raggiungere qualche standard ? Che altro tiro giù ? Manca di capire questo per capire come e se si vuole utilizzare questo strumento anche per dirigere finanziamenti.
  L'esperienza che avevo studiato io, che era quella del CPA inglese (Certified public accountants), è un'esperienza di benchmarking, assolutamente assistita, anche con ispettori nazionali durissimi, ma non, come invece era stata pensata, di guida per i trasferimenti. Neppure gli inglesi, che hanno un'esperienza decennale di indicatori continuamente raffinati, si sono azzardati a fare questo passo. Ho paura, quindi, di un precipitare degli eventi in questo senso, che vedrei con poco entusiasmo.
  Quanto alla capacità standard, finché non abbiamo assestato il sistema fiscale degli enti locali, anche quella risulta un'operazione molto difficile, anche dal punto di vista concettuale, perché la standardizzazione richiede la possibilità di manovrare da parte dei comuni, su pochi elementi, di solito solo sull'aliquota. In questo caso noi abbiamo, invece, un insieme talmente variegato di fattori che effettivamente renderà difficile – non inutile, ripeto; non sono disfattista e penso che sia tutto utilissimo, in termini di conoscenza – sistematizzare quel concetto.
  Non dico niente sulle partecipate, perché capisco che altri ne sanno molto più di me. Pongo una domanda, invece, sulla questione degli acquisti, in merito alla quale c’è un aspetto che mi turba.
  Giustamente lei ha parlato di 35 soggetti aggregatori, al di là di determinate soglie, e per talune tipologie di beni. La norma, però, non prevede né la definizione di soglie, né il fatto che la questione sia limitata a determinate tipologie di beni. C’è un decreto che deve essere fatto, ma che riguarda le amministrazioni statali.
  Poiché stiamo parlando di amministrazioni locali, in particolare di comuni, ricordo che per i comuni è stata introdotta una soglia, con il decreto che abbiamo appena approvato, che riguarda, però, solo i comuni al di sopra dei 10.000 abitanti. Questo mi ha molto colpito, perché pensavo a 5.000. Quelli fino a 5.000 erano già, per le norme precedenti, costretti ad aggregarsi Pag. 11e qualche soluzione l'avranno trovata. Quelli al di sopra della soglia, fra i 5.000 e i 10.000, francamente non so dove si attacchino, in questa fase intermedia. A parte il fatto che c’è stata una proroga dei termini, non c’è alcuna indicazione di tipologie di beni.
  Poiché il percorso – anche questo lo giudico favorevolmente, sia chiaro – per ovvie ragioni, è lungo, io credo che la norma sia stata affrettata rispetto al percorso che si vuole mettere in piedi, con due possibili effetti: da un lato, quello di mettere in serissime difficoltà i comuni, come sta succedendo adesso, finché la norma correttiva non entra in vigore; dall'altro, quello di dare spazio alle spinte di rallentamento, che sono comunque improprie.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Grazie di tutte le informazioni che ci sono state fornite e che ci hanno sicuramente sollecitato su tanti punti.
  Una questione riprenderei dalla senatrice Guerra, ed è l'aspetto relativo alla capacità fiscale dei fabbisogni standard con indicatori veri di domande e bisogni. Io li chiamo fabbisogni standard, infatti, ma in realtà non sono fabbisogni. Sono la fotografia di quello che spendono i comuni, in gran parte. Forse un ragionamento su questo aspetto occorrerebbe.
  Va bene che si utilizzino dati già disponibili e l'avviare il percorso semplificato con solo sette domande, utilizzando invece fortemente i bilanci, mi sembra un'ottima cosa. Forse ne avevamo anche parlato, a suo tempo. Questo per due motivi: uno è perché sono dati validati, in quanto i revisori dei conti sui bilanci forniscono una validazione, mentre sui dati inviati dai comuni, ahimè, al di là di tutte le elaborazioni successive che sono state fatte bene e con molta attenzione da parte della SOSE, la banca dati iniziale, per chi, come noi, ha visto come sono stati compilati i questionari, qualche elemento di incertezza sulla bontà della base dati di partenza lo pone.
  Quando il questionario è troppo voluminoso e i comuni hanno uffici di ragioneria piccolissimi e devono svolgere anche questo insieme a tutti gli altri adempimenti, io spezzerei una lancia sulla necessità di una semplificazione sotto tutti i punti di vista.
  Noi dobbiamo pensare, infatti, che i comuni devono servire a erogare i servizi ai cittadini, non a svolgere per il 50 per cento del proprio tempo indagini, certificazioni e altre attività per il livello nazionale, con tutte le difficoltà che ci sono anche nell'accedere, tra l'altro, alla procedura. A volte, infatti, per mezza giornata stanno lì a cercare di entrare nella procedura.
  Il secondo aspetto, che di nuovo è a metà tra il tecnico e il politico, è sicuramente come utilizzare tutto questo rispetto all'autonomia istituzionale degli enti. Il livello centrale, infatti, deve muoversi con un po’ di accortezza nei confronti degli enti locali.
  Secondo me, è fondamentale e utile avere tutta questa banca dati e alcuni benchmark di riferimento perché il comune da sé possa utilizzare questo strumento. Diversamente, una volta che sono state poste le regole generali, è il processo politico che deve valutare se i propri politici stiano compiendo bene o male le scelte e che tipo di servizio erogare, mettendoci dei tetti.
  È come sul Patto di stabilità. È vero che i comuni non hanno dato un buon esempio di sé ogni tanto, ma io ti metto un tetto. Dopodiché, all'interno del tetto sei tu a decidere se vuoi tagliare il personale, i beni e i consumi o qualcos'altro. Io ti metto la banca dati a disposizione per capire altrove che cosa fanno. Dopodiché, ci sono anche settori che vengono influenzati da elementi esterni.
  Quest'analisi sugli asili-nido va bene, ma sono trent'anni che lavoriamo sugli asili-nido e sappiamo tutto fino all'ultima virgola. Parliamo di settori che pesano molto più degli asili-nido all'interno del bilancio e non sappiamo niente. Per non parlare del fatto che adesso, per esempio, gli asili-nido li chiuderemo per carenza di domanda. Credo, quindi, che alcuni fenomeni Pag. 12vadano comunque lasciati alla discrezionalità dell'ente, che deve poter lavorare.
  Io ritengo che uno dei compiti principali sia proprio quello di promuovere questa cultura all'interno degli enti locali, in modo che essi possano poi utilizzare al meglio i propri spazi discrezionali.
  Aggiungo solo un'ultima battuta. Chiedo se potessimo avere anche qualche informazione sugli altri settori della PA. Certe volte ho l'impressione che ci sia un po’ di accanimento sul 6,7 per cento della spesa, il che va bene – possiamo diventare sempre più efficienti – ma quanto a tutto il resto ? Se penso al settore sanitario e ad altri settori centrali, vorrei capire, magari solo con due battute, visto che abbiamo la possibilità di averla qui, a che punto si è del lavoro.

  ROGER DE MENECH. Pongo una domanda preliminare, assolutamente di metodo: siamo tutti convinti che anche nel progetto di revisione della spesa dello Stato la centralizzazione di tutto sia la mossa vincente ? Io sono convinto di due temi rispetto alla gestione del servizio pubblico che dobbiamo rendere ai cittadini: autonomia e responsabilità.
  Secondo me, a livello centrale – poi le faccio tre esempi facilissimi – noi dobbiamo mettere i paletti. Le chiedo, quindi, di fissare il prezzo più basso e il prezzo maggiormente concorrenziale dei 100 prodotti che gli enti locali usano normalmente. Non le chiedo di fare i 35 soggetti aggregatori. Le chiedo di fissare il prezzo medio pro capite della raccolta differenziata.
  Non entro nel merito se sia meglio il modello emiliano della mega-multiutility o il modello di altre regioni di multiutility che hanno prezzi medi al cittadino più bassi, ma mettono insieme 10.000 utenti, che è quello che succede in Italia. Il pericolo che intravedo è che, centralizzando, corriamo il rischio, ovviamente, di fermare la degenerazione della spesa pubblica, ma anche di togliere quello che lei ha definito – sono contento di questa definizione – la miglior gestione sul territorio.
  Spesso la miglior gestione non è strettamente collegata al bacino d'utenza. Nei rifiuti – su questo tema ho un piccolo pezzo del mio cuore – si dimostra che ci sono multiutility comunali da 10.000 abitanti che hanno prezzi medi al cittadino più bassi delle mega-aggregazioni, soprattutto dove il controllo politico è più stringente e, quindi, è capace di essere più veloce nelle scelte anche rispetto agli obiettivi di qualità del servizio.
  In questo campo, quando noi fissiamo la copertura del servizio al 100 per cento, il che significa che il sindaco riversa tutto il costo sui cittadini e, quindi, deve guardarli in faccia, quando la tariffa è di 100 euro o di 1.000 euro (estremizzo), dobbiamo far sì che tutti questi numeri entrino, come già accade, nel bilancio dell'ente locale che ha la partecipazione in-house della società partecipata. Quando ci sono questi due fattori, rischi rispetto alle degenerazioni ci possono essere se uno fa il furbo, ma non se rispetto questi due semplici parametri.
  La domanda era veramente preliminare e tutti gli esempi che sono stati fatti da chi mi ha preceduto sono su questa linea. La composizione della spesa e il servizio che rendiamo al cittadino sono talmente complessi che è complicato veramente stabilire a priori un «modello di gestione». Io punterei molto, invece, a stabilire le tabelle delle migliori gestioni possibili.
  Dopodiché, ripeto, se uno, per assurdo, rispetto a quei 100 prodotti riesce anche a spuntare condizioni migliori nel proprio territorio, perché non glielo lasciamo fare ? L'importante è che sia sotto la soglia che lo Stato ha definito come prezzo ideale, come prezzo medio.
  Peraltro, questa questione riprende la tradizione del passato, quando si facevano i prezzi medi sugli appalti. Sono cose già viste. Questo ci consente, come dicevo, di adeguare.
  Come ultima considerazione, lei ha sottolineato la questione dell'illuminazione pubblica e degli immobili pubblici. Al Pag. 13riguardo occorre una riflessione vera rispetto a un piano di revisione della spesa che abbia una visione un po’ più lunga rispetto all'immediato. Noi dobbiamo pianificare interventi di manutenzione straordinaria. Sono contento che l'abbia citato, perché, secondo me, questo è uno dei punti che possono far crescere il modello virtuoso della gestione dei lavori pubblici – parlo di revisione dell'impiantistica – ma che si scontrano, anche in questo caso, dall'altra parte, con tutti i vincoli di carattere generale che abbiamo messo ai comuni.
  Io da sindaco, il piano della revisione sul fotovoltaico e sull'efficientamento energetico come l'ho fatto ? L'ho fatto assolutamente senza incidere nei bilanci del comune, dentro una società partecipata totalmente pubblica del mio comune, che alla fine produce utili. Mi chiedo allora se dobbiamo proprio arrivare all'estremo di costruire queste scatole per riuscire a fare una cosa che è nelle intenzioni del Governo. Nella gestione del sociale questo sta succedendo: la casa di riposo è il tipico esempio di unione di 5 comuni da 25.000 abitanti. Mi chiedo: perché dobbiamo obbligarli al modello di gestione ? Obblighiamoli alla miglior gestione, non al modello di gestione. Se anche il servizio resta comunale, alla vecchia maniera, ma è efficiente, controllando la spesa, controllando le gestioni, perché no ? A me interessa il risultato finale, questo è il fatto, non tanto quale sia lo strumento che utilizziamo.

  FEDERICO FORNARO. I comuni si sono ritrovati tagli lineari e oggi hanno i bilanci che stanno saltando.

  CLAUDIO BROGLIA. Riparto esattamente dalle ultime considerazioni espresse dal collega Fornaro. Io sono molto preoccupato. Pongo, intanto, una domanda banale: da tutta questa operazione quant’è il risparmio di spesa atteso ? Questo tema mi preoccupa molto, perché condivido pienamente le cose che hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto.
  Anch'io amministro un comune di 13.000 abitanti, un comune che ha almeno sei società partecipate tra in-house e miste pubblico-privato, una per tutte quella sui rifiuti. Io vengo dall'Emilia e non faccio parte della multiutility che va per la maggiore. Quando ci confrontiamo con tariffe, quantità di rifiuto differenziato e costi della società, però, scopriamo che la nostra performance è migliore. Abbiamo una società in-house di 11 comuni e il nostro è il migliore.
  Apro e chiudo una parentesi al riguardo. Quanto diceva il mio collega sui rifiuti deve tener conto, nella fascia del range del costo del servizio, anche del prezzo al cancello del rifiuto, che non è nella potestà degli enti locali, ma spesse volte di privati. Pertanto, se uno abita in una regione dove il prezzo al cancello è in una discarica rispetto a un inceneritore o a un altro modo di portare un rifiuto, si trova a fare i conti con un prezzo standard che non è confrontabile, in quanto disomogeneo rispetto al servizio.
  Un'altra questione riguarda il fatto che la capacità fiscale standard, sulla quale ci sarebbe molto da ragionare, dovrebbe essere figlia anche di una stabilizzazione delle imposizioni fiscali. Lo stesso comune, se gli cambiano i parametri dell'IMU o della IUC, può avere una performance di un dato tipo rispetto a un altro. In sostanza, se l'imposizione va verso il produttivo, verso il residenziale o verso le seconde case per legge nazionale, questo fa sì che uno stesso comune possa avere una cartella fiscale in un determinato modo con una normativa e l'anno dopo vedersela totalmente rivista.
  A mio giudizio, e insisto su questo aspetto, bisognerebbe lavorare molto sulla capacità di fermare le forme di organizzazione dello Stato, dagli enti periferici fino al livello centrale. Diamo attuazione al fatto che i comuni sotto i 1.000 abitanti devono essere fusi per legge, diamo attuazione al fatto che nei comuni sotto i 5.000 abitanti tutti i servizi fondamentali devono essere svolti assieme. Diamo attuazione a queste cose e stabilizziamo un modo di lavorare che ci può portare ad avere dei dati che siano stabili nel tempo.Pag. 14
  Con riferimento sempre alla questione delle società partecipate, io credo siano importanti le questioni esposte. Tuttavia, se si pensa che un organo nazionale o statale possa definire le funzioni e le attività che ogni comune mette in una società partecipata, si compie un grande passo indietro rispetto al federalismo fiscale.
  Io guarderei molto l'efficienza. Sono d'accordo con il Presidente Giorgetti nel dire che siamo andati in quelle direzioni perché spinti dalle normative nazionali, anzi, abbiamo fatto efficienza. Se tutto questo si tradurrà ancora una volta in un taglio lineare rispetto ai comuni, ancora una volta i comuni che hanno efficientato saranno colpiti.
  Anche noi abbiamo delle performance che sono sicuramente superiori oggi rispetto a come sarebbero se dovessimo riportarci in casa il servizio, ma anche se dovessimo fare le gare. L'alternativa potrebbe essere la seguente: avete una società in-house che fa il servizio idrico ? Toglietela e fate una gara. A parte la qualità del servizio, ci sono indicatori, almeno nelle mie zone, per cui se facessimo la gara, le cose non andrebbero meglio.
  Per esempio, per l'affidamento dei nidi ci stiamo scontrando – tutti, credo – con la normativa che dice che bisogna tagliare del 5 per cento il costo del servizio e, quando andiamo a ricontrattare il prezzo dei servizi già messi a gara, non troviamo disponibilità. Risolviamo il contratto, salvo che, quando rimettiamo a gara quei servizi, il semplice costo della manodopera è già più alto rispetto all'efficientamento che avevamo ottenuto.
  Pertanto, se questa situazione rimane lineare per tutti i comuni, i comuni che avevano già efficientato si trovano in difficoltà, mentre i comuni che hanno ancora sacche di inefficienza molto grandi non avranno problemi a tagliare il 5 per cento.
  Lo dico perché la sintesi è quella che facevo molto banalmente: quanto ci aspettiamo di risparmio da questa operazione ? Secondo me, qui c’è un problema fondamentale.
  L'ultima questione riguarda le centrali di committenza. Io credo che sia importante razionalizzare le centrali, avere dei plessi standard e degli organi di riferimento. Intanto vorrei capire se i lavori vengano definitivamente tolti da questo ambito o se rimangano. Affidare gare a 35 centrali di committenza a livello nazionale vuol dire spostare fuori dall'ente locale il controllo di quelle gare rispetto a un gruppo o alla persona, ossia il Responsabile unico del procedimento (RUP), dell'ente locale che controlla un bando del quale non ha notizia.
  Criteri, modalità e gestione di questo pezzo di percorso, secondo me fondamentale, vengono portati da un'altra parte, con conseguenti notevoli rischi, perché poi il rimpallo sarà del tipo: quel bando non era fatto bene perché l'ha fatto un altro e, quindi, io non sono responsabile del fatto che poi l'opera abbia una determinata performance, un dato risultato, con danno grave rispetto ai cittadini.

  BACHISIO SILVIO LAI. Prima di fare una domanda tecnica, la domanda principale, anche se non so quanto politicamente corretta, sarebbe quella di sapere se il Commissario Cottarelli lo vediamo questa volta e fra qualche settimana non lo vediamo più. A me sembra che la continuità del lavoro che sta svolgendo – non so se potrà rispondere – sia nettamente più importante di molte altre questioni di merito che si pongono.
  La domanda più importante l'ha posta la senatrice Zanoni. Per me è essenziale. Se i dati che continuiamo a fare emergere dicono la verità, il tema è che, mentre per gli enti locali continua a diminuire la quota di spesa pubblica, gli enti centrali non la diminuiscono, anzi l'aumentano, non facendo neanche corrispondere un miglioramento di efficienza.
  Pertanto, il tema dei risparmi sugli enti locali mi sembra andare più verso una direzione che permetta agli amministratori locali, da una parte, e ai cittadini, dall'altra, di avere dei benchmark che consentano di misurare oggettivamente e platealmente le performance nel rapporto tra Pag. 15pubblico e privato nel confronto della stessa attività svolta nel pubblico e nel privato.
  Passo alla seconda domanda, che è più di merito. Ci sono molte diversità nei territori. Per me è piuttosto importante essere rassicurato sul fatto che vengano prese in considerazione.
  Prendo, per esempio, gli asili-nido. Sentivo il collega Broglia dire che sono più efficienti e meno costosi se gestiti all'interno dell'amministrazione pubblica. Dopodiché, dal confronto dei giorni scorsi emerge quanto contribuiscono i cittadini agli asili-nido in Emilia-Romagna e quanto, per esempio, in Sardegna. Si capisce che anche la capacità di contribuzione ai servizi pubblici nei singoli territori muta la qualità e la tipologia dell'offerta. Nel sistema pubblico si può erogare un dato tipo di offerta, mentre il sistema privato ha più capacità di adattamento, per esempio. Questo è un primo elemento.
  Passo al secondo elemento. In uno stesso territorio esiste un costo dell'energia perché arriva il metano e in un altro territorio quel costo dell'energia non esiste, perché il metano non arriva, per esempio in Sardegna. Pertanto, anche le performance di singoli processi sono differenti.
  Ancora, una regione isolata che conta 1,5 milioni di abitanti ha un costo dell'acqua pari a X, mentre lo stesso costo in una città come Milano, ovviamente, è nettamente più basso.
  Senza arrivare a questi elementi piuttosto banali di tipo geografico, c’è il tema che la qualità amministrativa delle singole regioni è ormai misurata, e si sa quanto la qualità amministrativa conti nell'efficienza dei servizi erogati all'interno o tramite strumenti come le partecipate.
  Pertanto, il tema che voglio porre è soltanto se queste diversità che esistono (impatto con la popolazione, efficienza della pubblica amministrazione locale diversa da regione a regione, alcuni elementi di carattere geo-economico) siano prese in considerazione nel momento in cui voi state valutando la standardizzazione di alcuni parametri.

  FEDERICO FORNARO. Solo per ragioni di tempo e non per mancanza di rispetto mi limito a porre una singola questione, nonostante ce ne sarebbero moltissime da prendere in considerazione.
  Ho sentito, anche se il dottor Cottarelli non è entrato nel particolare, accennare ai piccoli comuni. Rispetto a queste questioni io mi limito solo a raccomandare le diverse Italie che ci sono.
  I comuni sotto i 5.000 abitanti sono per il 65 per cento al di sopra del Po e, quindi, il Nord ha queste caratteristiche. Soprattutto c’è un elemento che vorrei sottolineare: in tutte le analisi che si possono fare, non si riesce mai a evidenziare l'apporto volontaristico, che non ha un costo, sia di amministratori, sia spesso di cittadini, nel mandare avanti tanto i servizi, come ricordavano prima anche i colleghi, quanto proprio la macchina comunale.
  Di temi ce ne sarebbero tanti, ma purtroppo noi senatori fra dieci minuti dobbiamo assolutamente abbandonare l'aula. Non so come siete messi voi altri colleghi.

  PRESIDENTE. Naturalmente, come il senatore auspicava, noi possiamo sempre risentire il nostro ospite e avere a settembre un ulteriore aggiornamento. Questo evoca scenari ulteriori e apocalittici. Passiamo la parola al dottor Cottarelli, che userà questi 10-15 minuti al meglio.
  Do la parola al dottor Cottarelli per la replica.

  CARLO COTTARELLI, Commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica. Ci sono tantissime domande. Non so quanto riuscirò a coprire in questi pochi minuti.
  Un punto generale è rappresentato dalle domande che riguardano l'efficientamento, a partire dalla prima domanda. Io non ho parlato molto di efficientamento, ma questo tema rappresenta una parte fondamentale del rapporto.
  Il principio del costo standard, ossia l'introduzione dei costi standard, è proposto Pag. 16anche per questo settore. Si tratta, peraltro, di dare implementazione a un comma della legge di stabilità del 2014 che fondamentalmente va in questa direzione. Si tratta, quindi, di introdurre strumenti che consentano l'efficientamento delle partecipate che sono operative.
  Si tratta certamente di ridurre il numero delle partecipate, ma soprattutto di mantenere l'efficienza di quelle che devono continuare a essere operative anche con questi strumenti di costi standard da applicare nel settore delle partecipate. Questo a partire dai settori che sono forse più a rischio, come il trasporto pubblico locale. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sta già lavorando in questa direzione, ossia verso l'introduzione di costi standard per questo settore. Anche la SOSE ha già sviluppato lavori in quest'area.
  La questione se il criterio dell'efficienza e addirittura del fare profitti sia il criterio principale che deve essere utilizzato per decidere se una partecipata debba operare oppure no è un tema fondamentale, in merito al quale il rapporto dice che ci sono due modi di vedere il mondo. Alcuni dicono che la cosa fondamentale, l'importante, è che le partecipate non facciano perdite. Se non fanno perdite e fanno profitto, possono agire in qualunque settore. L'altro tema è quello di sostenere che anche il criterio debba essere diverso in un'economia di mercato e che ci sono cose che il pubblico non dovrebbe fare.
  Il problema è che, prendendo la prima soluzione, ossia quella di dire che l'unica possibilità sia che una partecipata agisca senza avere sussidi e che sia efficiente, diventa poi difficile capire perché una partecipata non dovrebbe produrre prosciutti, automobili o qualunque altra cosa.
  C’è un rischio in questo senso. C’è un rischio che deriva da uno slittamento sempre verso la direzione di creare nuove partecipate. All'inizio si dice: «Io posso fare profitti con questa operazione». Poi qualcosa va storto e si rimane con una partecipata che, per sua natura, il settore pubblico ha più difficoltà a dismettere, perché un aumento dell'occupazione del settore pubblico è più difficile da riportare indietro.
  Tenendo conto di questa considerazione, si è preferito seguire il criterio, ma con eccezioni e con elasticità, di stabilire che ci sono alcuni settori in cui è fisiologico per il pubblico partecipare. I cinque servizi pubblici a rete, ossia elettricità, acqua, gas, trasporto pubblico e rifiuti, sono campi in cui tradizionalmente il pubblico c’è stato. Produrre formaggi, invece, non è un'attività che il pubblico dovrebbe fare.
  Questo è il criterio. Poi si può, nell'attuazione, discutere su che cosa possa andare o no in questa lista, ma credo che il principio sia piuttosto appropriato.
  L'autonomia è senza dubbio importante. Un tema delle proposte è l'importanza della trasparenza. Io ho parlato di eccezioni poste da un organo interno, che può essere l'Autorità della concorrenza, ossia l'Antitrust, per esprimere questo giudizio. Tale giudizio si può decidere che sia vincolante oppure soltanto consultivo, ma, se è consultivo, deve essere pubblico. L'idea che comunque ci sia un vaglio pubblico, con qualcuno che dica «secondo noi», come elemento di pressione credo sia importante. Si potrà poi decidere se questo giudizio sia vincolante o no, ma questa è un'altra questione.
  Il rapporto, a un certo punto, parla in un modo provocatorio della legge Giolitti del 1903, in cui le municipalizzate dovevano essere autorizzate, tramite un referendum, dalla popolazione locale. Non dico che sia necessariamente ciò che deve essere fatto, ma questo dà l'idea che occorra una discussione pubblica sulla necessità di fare operazioni con una partecipata, oppure di farle fare dal settore privato, oppure ancora di farle in economia all'interno del comune.
  Sto mettendo insieme un po’ di risposte per cercare di essere breve. Scusate se non rispondo in modo puntuale. Devo stringere anch'io.
  Sui fabbisogni standard e i costi standard il dibattito è molto importante. Non bisogna confondere i fabbisogni standard Pag. 17con i costi standard. I costi standard sono uno strumento di misurazione dell'efficienza e controllano la quantità e la qualità del servizio fornito.
  I fabbisogni standard fanno una cosa diversa e stabiliscono che un comune con determinate caratteristiche di popolazione e di territorio in media ha un dato fabbisogno, perché in media fornisce un certo tipo di servizio. Questo non vuol dire che un comune poi non possa fornire più asili-nido e più servizi di qualunque genere, ma l'idea è che, se lo fa, se li paga.
  Dunque, il fabbisogno standard, al netto della capacità fiscale standard, serve in linea di principio a definire questi trasferimenti standard. Dopodiché, un comune può fornire ulteriori servizi pagandoseli attraverso la tassazione locale. Questo è il principio, per come lo capisco io. Non ho introdotto io il sistema, ma questo è il modo in cui lo capisco io ed è la base del principio dei fabbisogni e dei costi standard. L'idea è se questo sistema sia preferibile rispetto a quello dei trasferimenti storici, cioè se continuiamo a trasferire sulla base di quello che si è sempre trasferito.
  Questo mi porta a cercare di rispondere anche all'altra domanda sulla spesa dei comuni rispetto alla spesa centrale. È da parecchio che ripeto questi dati ISTAT, che sono ben chiari. Prendiamo la spesa primaria e non mettiamoci dentro gli interessi, perché il debito pubblico fondamentalmente è un debito centrale. Lo sappiamo.
  Guardiamo la spesa primaria. Tra il 2009 e il 2012 lo Stato ha ridotto la spesa primaria, in termini nominali, del 10 per cento. Nel 2013 non sono cambiate molto le cose. Gli ultimi dati ufficiali sono quelli del 2012.
  Dal 2009 al 2012 lo Stato, ossia l'amministrazione centrale, ha ridotto la spesa del 10 per cento, i comuni dell'8 per cento, le province del 14 per cento e le regioni, al netto della sanità, del 16 per cento. La sanità è rimasta costante in termini nominali. Le pensioni sono aumentate del 7 per cento in termini nominali.
  Quando si dice che la spesa centrale è aumentata, in realtà è aumentata per le pensioni, perché c’è stato un aumento tendenziale della spesa per le pensioni. Al di fuori delle pensioni la spesa delle amministrazioni centrali si è ridotta del 10 per cento, un po’ di più di quella dei comuni. Adesso non voglio stare a dire se sia di più o di meno: si tratta del 2 per cento, dell'8 per cento contro il 10 per cento.
  La riduzione della spesa è stata molto forte anche per le amministrazioni centrali. Sono dati ufficiali e, quindi, li posso fornire. Purtroppo, i dati del 2013 non sono disponibili. Non ci sono ancora dati ufficiali sulla ripartizione, anzi ci sono, ma non con molto dettaglio per distinguere, per esempio, tra regioni, province e comuni.
  Sulla qualità dei dati della banca dati SOSE e sulla necessità di semplificare sono completamente d'accordo. C’è la necessità di fare una semplificazione. La qualità dei dati può essere migliorata, ma questo è stato il motivo per cui si è aperta inizialmente ai comuni la banca dati SOSE, che sarà poi aperta al pubblico a ottobre: proprio per consentire di fare qualche correzione.
  Quanto ai problemi degli acquisti centralizzati di beni e servizi il tema è che un sistema decentralizzato come quello attuale, in cui ci sono le famose 32.000 o 34.000 centrali d'appalto, sembra effettivamente difficile da conciliare con esigenze di efficienza. Ci sono sempre delle eccezioni, ma non si va al livello inglese, in cui fondamentalmente c’è una centrale d'acquisto, quanto a un sistema di soggetti aggregatori in cui si risparmia in termini di economie di scala. Soprattutto credo che si risparmi in termini di conoscenza, di esperienza tecnica, di uso di strumenti telematici e via elencando. Io credo che questo sia necessario e questa è la strada verso cui in generale i principali Paesi avanzati si stanno muovendo.
  Muoversi verso 35 centrali di aggregatori, di cui alcune possono ovviamente riflettere l'aggregazione dei comuni, mi Pag. 18sembra la cosa giusta da fare. Ci saranno casi ed eccezioni – ci sono sempre eccezioni – ma credo che questa sia la direzione necessaria per efficientare il sistema degli acquisti di beni e servizi.
  Se posso, dico qualcosa sugli altri settori della pubblica amministrazione. Il lavoro sta andando avanti e molti dei settori che ho citato (digitalizzazione, rinnovamento pubblico degli edifici e, ovviamente, acquisti di beni e servizi) riguardano anche le amministrazioni centrali. Sto continuando a lavorare dando input alla legge di stabilità sia per le amministrazioni centrali, sia per quelle locali.
  Un tema che è stato richiamato da molti riguarda il fatto che le partecipate siano state aperte in conseguenza di vincoli che esistono al centro. Dobbiamo distinguere due tipi di vincoli. Ci sono innanzitutto quelli relativi non tanto al Patto di stabilità, quanto a procedure che sono troppo complesse a livello centrale o a livello locale e che rendono quasi necessaria la creazione di una partecipata, perché le procedure normali sono talmente complicate da rendere impossibile una gestione efficiente. La proposta che viene fatta nel rapporto è di guardare questa procedura e vedere se si possano semplificare le procedure, in maniera tale da rimuovere alcuni degli incentivi alla creazione di partecipate.
  Per quanto riguarda il Patto di stabilità, una breve considerazione è che, con la revisione delle regole statistiche europee, ossia con il SEC 2010, che entra in vigore alla fine di quest'anno, alcune partecipate che prima erano considerate al di fuori del settore pubblico verranno inglobate nel settore pubblico. In ogni caso questo succederà.
  Occorrono regole ed esiste sempre il rischio di metterne troppe. Alcune di queste regole sono state di recente allentate, come quelle sull'occupazione, per esempio, e sono state sostituite da un principio che figura nella legge di stabilità del 2014, che consiste nel cercare di responsabilizzare l'ente partecipante attraverso il sistema degli accantonamenti. Questo diventa il vincolo principale. Dopodiché, si eliminano tutti questi altri micro-vincoli.
  Io credo che questo sia il principio appropriato ed è quello che viene seguito anche nel rapporto, in cui si afferma che è il modo principale per cercare di conciliare la necessità di un qualche controllo con il fatto che, se si crea una partecipata, è proprio perché si vuole avere una maggiore flessibilità di gestione. Se si vincola la partecipata con un eccesso di regole, a questo punto non c’è più neanche il motivo per crearla, ma non si riescono a ottenere quei vantaggi gestionali che altrimenti si potrebbero ottenere.
  Sull'ammontare dei risparmi e se può essere quantificato, c’è una stima di possibili risparmi di almeno 2-3 miliardi nel rapporto in conseguenza delle proposte che vengono a regime, in conseguenza del rapporto. Il problema è che è difficile stimare, per mancanza di dati sufficienti al momento, la dimensione delle inefficienze delle partecipate.
  Sappiamo che ci sono inefficienze, sappiamo che ci sono delle perdite, ma non tutte le perdite sono palesi. Se io faccio un contratto di servizio a prezzi troppo alti, sto fornendo un sussidio. Questo non appare come perdita. Tuttavia, facendo calcoli di diverso tipo, noi siamo arrivati a una stima di almeno 2 o 3 miliardi di risparmio.
  I costi dell'amministrazione delle partecipate sono di circa mezzo miliardo all'anno. Questa è la quota pubblica delle partecipate. La quota complessiva sarebbe più elevata, ma la quota pubblica, essendo alcune partecipate tali soltanto pro quota, è di circa 500 milioni. Una buona parte di questi, circa 300 milioni, potrebbe essere risparmiata attraverso la riduzione del numero delle partecipate.
  Mi sembra più o meno di aver coperto tutti i temi, anche se in maniera piuttosto concisa.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Cottarelli per questo contributo alla discussione. Pag. 19Io credo che si sia reso conto, nel confronto parlamentare, di quanto sia variegato il discorso. Si tratta di temi molto appassionanti, in virtù del fatto che tanti parlamentari sono anche amministratori locali e, quindi, conoscono il problema rispetto a questo tipo di approccio.
  Come Commissione, noi monitoreremo in modo costante tutta la fase applicativa della spending review. Ci auguriamo di rivederci a settembre, o comunque nel durante dell'applicazione, anche perché mi sembra di capire che la legge di stabilità conterrà sicuramente alcune di queste misure e che, quindi, ovviamente dovremo trattarle. La ringrazio.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.