XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 8 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE SEMPLIFICAZIONI POSSIBILI NEL SUPERAMENTO DELLE EMERGENZE

Audizione del coordinatore della Rete delle professioni tecniche, Armando Zambrano.
Tabacci Bruno , Presidente ... 2 
Zambrano Armando , Coordinatore della Rete delle professioni tecniche ... 2 
Tabacci Bruno , Presidente ... 5 
Pittau Massimiliano , Direttore centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri ... 5 
Zambrano Armando , Coordinatore della Rete delle Professioni tecniche ... 6 
Tabacci Bruno , Presidente ... 6 
Sollo Pasquale  ... 6 
Tabacci Bruno , Presidente ... 7 
Montroni Daniele (PD)  ... 7 
Prataviera Emanuele (Misto)  ... 7 
Taricco Mino , Presidente ... 8 
Zambrano Armando , Coordinatore della Rete delle professioni tecniche ... 8 
Masi Angelo , Consigliere del Consiglio nazionale degli ingegneri ... 10 
Taricco Mino , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del coordinatore della Rete delle professioni tecniche, Armando Zambrano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del coordinatore della Rete delle professioni tecniche, Armando Zambrano.
  Con la seduta di oggi inizia il ciclo di audizioni previsto nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle semplificazioni possibili nel superamento delle emergenze. Infatti, a fronte delle numerose calamità naturali che stanno colpendo il nostro Paese, la Commissione ha considerato utile verificare le semplificazioni possibili nella gestione della fase successiva alle emergenze, che spesso risulta molto gravosa per cittadini e aziende.
  L'ordine del giorno che ci siamo dati per le audizioni dà priorità cronologica all'ascolto dei soggetti coinvolti più da vicino, le cui indicazioni ci saranno utili nel confrontarci con i vertici delle istituzioni direttamente interessate.
  Iniziamo, quindi, la nostra indagine con i rappresentanti della Rete delle professioni tecniche, in particolare ingegneri, architetti e geometri. Sappiamo che le vostre attività devono fare i conti non solo con le emergenze, ma anche con i vincoli e gli oneri amministrativi che vorremmo capire in quale misura si possano abbattere.
  Sono presenti l'ingegner Armando Zambrano, coordinatore della Rete delle professioni tecniche e presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri (CNI), l'ingegner Angelo Masi, consigliere CNI, il geometra Ezio Piantedosi, segretario del Consiglio nazionale geometri e geometri laureati, il dottor Massimiliano Pittau, direttore del centro studi del CNI, e il dottor Vincenzo Coppola, relazioni istituzionali del CNI.
  Do la parola all'ingegner Zambrano.

  ARMANDO ZAMBRANO, Coordinatore della Rete delle professioni tecniche. Buongiorno, presidente. La ringrazio per l'invito. Se ho capito bene, siamo i primi a partecipare a questo ciclo di audizioni, cosa che ci fa particolarmente piacere. È un tema importante che interessa molto la Rete delle professioni tecniche, che comprende nove professioni (ingegneri, geometri, architetti, periti industriali, periti agrari e così via) che lavorano insieme e di cui sono, appunto, coordinatore.
  In particolare, su questo tema, sono coinvolti gli ingegneri, gli architetti e i geometri, che sono impegnati spesso nelle calamità naturali sia nelle funzioni di collaboratori nella verifica dei fabbricati nel momento in cui avviene un sisma o un dissesto idrogeologico, sia successivamente, nella predisposizione dei progetti o nel seguire i lavori che vengono decisi in via di urgenza.
  Abbiamo seguito da sempre il tema dell'emergenza, quindi delle procedure da Pag. 3seguire nelle emergenze. A questo proposito, siamo sempre stati contrari alle deroghe e all'utilizzo a volte non propriamente corretto di questo strumento, che ha portato al verificarsi delle tante situazioni delicate che abbiamo visto in questi anni. Credo, dunque, sia indispensabile portare all'interno di un ciclo di normalità anche l'emergenza, ovviamente con tutti i canoni di efficienza e di rapidità connessi agli interventi in situazioni di questo tipo.
  Abbiamo, pertanto, predisposto un documento nel quale abbiamo individuato alcuni punti importanti. Siccome, però, abbiamo avuto poco tempo dal momento in cui ci avete convocato, non abbiamo avuto modo di scendere nei particolari con proposte operative, che comunque ci impegniamo a mandarvi in seguito. In questa fase, ci siamo limitati a individuare alcuni principi che vorremmo che fossero seguiti in questo processo, tenendo presente che anche in occasione dell'audizione sul disegno di legge delega sugli appalti pubblici in esecuzione delle nuove direttive europee abbiamo chiesto che fossero individuate delle regole di comportamento nei casi di emergenza. Questo è stato fatto, cosa che ovviamente ci fa piacere. Ci sono, peraltro, anche normative precedenti che individuavano queste necessità.
  Allora, al di là del fatto che siamo d'accordo rispetto a quello che è avvenuto in questi anni e sul fatto che in Italia abbiamo una Protezione civile che, nella fase emergenziale, è una delle migliori al mondo, il problema si pone nelle fasi immediatamente successive all'emergenza, quando occorre avviare il necessario processo di ripristino di servizi, urbanizzazioni e fabbricati.
  Ovviamente, noi ci battiamo molto per la prevenzione. Siamo, infatti, convinti che la prevenzione sia un modo per risparmiare soldi. Purtroppo, in questo Paese, su alcuni temi, come, in particolare, quello del rischio sismico, non c’è un'attenzione specifica a rendere più conveniente la ristrutturazione dei fabbricati prima delle situazioni di pericolo. Ci augureremmo, pertanto, che prima o poi il Parlamento affronti questo tema, rendendo obbligatorio, con un processo anche molto lungo nel tempo, l'adeguamento, il miglioramento sismico o comunque un processo di verifica della stabilità dei fabbricati.
  Abbiamo sostenuto che si potrebbe fare come avviene per la certificazione energetica, ovvero che, in occasione delle compravendite, il certificato sulla stabilità dei fabbricati sia un allegato indispensabile all'atto di compravendita stesso. Questo creerebbe una situazione di mercato in cui si valuterebbe un ulteriore elemento, forse il più importante, ai fini della stima del valore di un fabbricato, ovvero quello della sua stabilità e quindi della sicurezza che può dare ai cittadini che vi abitano. Su questo tema, un passaggio da parte di questa Commissione potrebbe avviare il processo di miglioramento della qualità dei nostri edifici, in modo da prevenire gli interventi di cui oggi siamo qui a dibattere.
  Innanzitutto, riteniamo che il ruolo dei professionisti tecnici sia indispensabile. Devo dire che questo è stato ritenuto importante, con un riferimento alle organizzazioni professionali, anche nel testo del disegno di legge delega sul riordino della Protezione civile. C’è, dunque, un quadro all'interno del quale siamo già abbondantemente determinati, considerando anche il fatto che abbiamo un rapporto continuo con la Protezione Civile.
  Dopo l'ultimo terremoto dell'Emilia-Romagna, più di 900 ingegneri hanno lavorato nell'emergenza e hanno fatto, del tutto gratuitamente, più della metà delle perizie tecniche; le altre le hanno fatte geometri e architetti, a dimostrazione del fatto che siamo in grado di mettere in moto una macchina efficiente e rapida.
  Riteniamo che questo elemento possa essere sviluppato anche nelle fasi di verifica e aggiornamento dei piani di emergenza comunali, che è un grosso problema perché troppe volte i piani di emergenza sono fatti sulla carta e non sono concreti, essendo delle documentazioni troppo ampie e difficilmente leggibili, comprensibili e valutabili dai cittadini, che dovrebbero leggere un documento di 200 pagine nel Pag. 4momento dell'emergenza. Ovviamente, ci rendiamo conto che questo non è possibile, per cui andrebbero individuati canoni di comportamento al di là di quelli generali, su cui ci sono diversi opuscoletti che vengono distribuiti anche nelle scuole, perché in alcune situazioni si debbono dare delle indicazioni precise.
  Faccio il caso del Vesuvio. Al momento dell'eruzione ci sarebbero 2 milioni di persone che avrebbero tre strade per uscire. Sarebbe un disastro colossale, per cui sarebbe fondamentale dare delle indicazioni puntuali sui punti di sicurezza. È indispensabile che ogni cittadino sappia dove andare senza ingolfare immediatamente dei percorsi che sono sicuramente insufficienti.
  Bisogna lavorare su questo. I professionisti possono svolgere questa attività, per cui anche in Italia il ruolo del disaster manager, individuato in altri Paesi del mondo, potrebbe avere una sua collocazione nell'ambito della struttura tecnica dello Stato o comunque dei comuni, anche affidandolo a liberi professionisti esterni. Questo varrebbe anche per i presidi territoriali.
  Personalmente, vengo dalla Campania, dove abbiamo fatto un'esperienza molto valida dei presidi territoriali, con una presenza in ogni comune di un ingegnere e di un geologo, che conoscono il territorio e sono in grado, al primo avviso di emergenza, di individuare i punti delicati.
  Faccio un esempio. Nel caso del ponte che sappiamo che si può ingolfare di materiale di risulta oppure che si è visto il giorno prima in condizioni da non far defluire l'acqua, si interviene rapidamente. Questo piccolo intervento può mettere in sicurezza centinaia e centinaia di abitazioni. Occorre, però, una presenza continua sul territorio, con una pratica e un'esperienza specifica. Si tratta di un lavoro che si è fatto e che si può estendere a tutto il Paese, quindi chiediamo di portarlo avanti in una logica di prevenzione, ma anche di efficienza nel momento in cui c’è l'emergenza immediata.
  L'aspetto degli appalti è molto delicato perché sappiamo che, in condizioni di emergenza, non ci sono i tempi e le possibilità per le procedure ordinarie. Stabilire regole precise che facciano derogare dai tempi o consentano, in alcuni casi, di dare l'appalto scegliendo tra un numero ben determinato di professionisti, nei casi di servizi di ingegneria e architettura, o di imprese, nella fase successiva, potrebbe essere un modo per accelerare le procedure.
  In una logica di prevenzione, anche al fine di poter avere progettazioni adeguate, siamo convinti che sia necessario istituire un fondo di rotazione. Se ne parla da tempo. C’è anche nel disegno di legge delega sugli appalti. Devo dire che è stato già istituito, anche se manca il regolamento attuativo, per il dissesto idrogeologico, nell'ambito del progetto Italia sicura. Tuttavia, è importante avere dei fondi che possano essere utilizzati immediatamente, senza pensare ogni volta a tempi di erogazione e procedure complesse, in modo da poter redigere le progettazioni nell'immediato. Si tratta di un fondo di rotazione perché man mano che l'opera viene finanziata, il fondo viene rifinanziato per ulteriori interventi.
  È banale dire che nei casi di emergenza i tre livelli di progettazione – preliminare, definitivo ed esecutivo – sono oggettivamente pleonastici o quantomeno troppo complessi per rendere più efficiente il processo. In questi casi, è, quindi, indispensabile passare direttamente al progetto esecutivo. Peraltro, è abbastanza logico, per cui credo si debba istituzionalizzare una procedura rapida nel momento in cui siamo nelle emergenze.
  Infine, cito alcune regole di carattere generale che valgono per queste, ma anche altre cose. La centralità del progetto è indispensabile. Infatti, è un principio riportato anche nel disegno di legge delega. Ciò vuol dire che i progetti vanno fatti da chi li sa fare, ovvero dai professionisti o eventualmente dalla pubblica amministrazione, se ha le strutture per farlo. Le imprese devono fare l'esecuzione dei progetti.
  Il principio dell'appalto integrato è stato riportato al suo spirito originario nel Pag. 5disegno di legge delega sugli appalti, cioè quello di utilizzo solo nel caso di interventi con tecnologie particolari. Credo, quindi, vada assolutamente eliminato nel caso delle emergenze.
  Abbiamo, poi, la distinzione precisa tra progettazione ed esecuzione, che credo sia un principio cardine che, maggiormente in caso di emergenze in cui ci possono essere infiltrazioni o situazioni delicate, deve essere assolutamente rispettato.
  Ho espresso – forse troppo rapidamente, ma conosco le vostre esigenze di rapidità – le nostre idee. Se il presidente consente, chiederei se qualcuno dei colleghi che mi hanno accompagnato ritiene di dare qualche altra indicazione.

  PRESIDENTE. Prego, direttore.

  MASSIMILIANO PITTAU, Direttore centro studi del Consiglio nazionale degli ingegneri. Vorrei solo precisare alcuni aspetti che sono già stati descritti dal presidente Zambrano. Uno dei nodi che ci differenzia da tutti gli altri Paesi è che nel nostro manca una procedura standardizzata per l'intervento nell'emergenza. In tutti gli altri Paesi c’è una procedura molto snella, in cui sono definiti tutti i passaggi della fase di ricostruzione, quindi di superamento dell'emergenza. Questo vale per tutti i territori.
  Noi, in Italia, nominiamo un commissario, che inonda di ordinanze (a volte sono centinaia, anche in contrasto tra loro) che, di fatto, bloccano soprattutto l'intervento dei privati nella fase di ricostruzione. Difatti, siamo a 6 anni dal sisma dell'Aquila e i privati stentano ancora a poter accedere ai finanziamenti. Anche in Emilia-Romagna, che pure ha un'amministrazione pubblica tra le migliori del nostro Paese, abbiamo gli stessi vincoli.
  Questa è, dunque, l'esigenza primaria: definire una procedura standard e inserirla all'interno del codice degli appalti, in modo che possa essere un riferimento per tutti in questa fase. Ci proponiamo di offrire una panoramica delle esperienze estere – per oggi non abbiamo avuto tempo – per vedere come possano essere trasferite nel nostro ordinamento, anche perché le nuove direttive appalti consentono questa specificazione.
  Questo è il primo aspetto. Il secondo è quello di cui diceva il presidente, ovvero intervenire nella fase di ricostruzione puntando molto sulla prequalifica dei soggetti, sia dei professionisti, sia delle imprese. In sostanza, ci dobbiamo muovere prima che l'evento calamitoso accada, individuando e formando degli elenchi speciali da cui possiamo attingere immediatamente, alla bisogna, per individuare questi soggetti.
  Parliamo, ovviamente, per i professionisti. In questo ambito, manca una figura che viene definita disaster manager (colui che interviene nella fase di ricostruzione), con due profili, uno tecnico e uno economico-finanziario. Il disaster manager ha una specifica competenza tecnica che può essere adeguatamente acquisita in una fase antecedente. Peraltro, gli iscritti a tutti i nostri ordini seguono dei corsi di formazione, quindi possono essere, con un minimo sforzo, adeguatamente formati per costituire e rinforzare un contingente di professionisti che abbiano già adeguate qualifiche e competenze.
  Infatti, non possiamo applicare tutte le procedure di selezione per l'affidamento di incarichi, quindi dobbiamo puntare molto sulla prequalifica attraverso la formazione. Bisogna, infatti, tenere presente che quando un piccolo comune si trova a dover gestire un processo di ricostruzione si trova generalmente ad avere a che fare con un ufficio tecnico che raramente ha tutte le competenze necessarie. Il sindaco deve, pertanto, poter far riferimento a professionisti che abbiano competenze adeguate. Allora, è necessario prepararli prima, in modo che siamo pronti. Questo vale, ovviamente, anche per le imprese di esecuzione.
  Il terzo aspetto è che molto spesso – questo vale anche per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico – si sono nominati come commissari i presidenti delle regioni e si è concesso loro di affidarsi a delle strutture in house della pubblica amministrazione, tra cui Fintecna o Invitalia, che non hanno, però, un Pag. 6organico tecnico adeguato o consistente tale da consentire l'intervento, per cui anch'esse utilizzano dei professionisti privati cui, di fatto, affidano l'incarico, con un innalzamento dei costi.
  Insomma, questo processo non è particolarmente efficiente, quindi è preferibile intervenire nella fase a monte, definendo un contingente di professionisti adeguatamente formati che può intervenire. Peraltro, per affrontare la fase di emergenza, tutti i professionisti tecnici seguono dei corsi della Protezione civile, dunque abbiamo già un elenco di professionisti formati, per cui quando scatta l'emergenza i nostri ordini vengono attivati per preparare delle squadre pronte a intervenire, cosa che di solito avviene in meno di 15 giorni.
  Un altro elemento che secondo noi manca è un organismo con competenze tecniche che affianchi quello della Protezione civile. Infatti, a differenza di altri Paesi, non abbiamo una struttura con competenze specificamente tecniche che possa accompagnare la pubblica amministrazione nella fase sia di prevenzione sia di ricostruzione.
  Da vent'anni, lo Stato stenta a investire sulla pubblica amministrazione in generale. Tre giorni fa è uscito un articolo sul Corriere della Sera che dimostra che la nostra pubblica amministrazione nell'arco di 10 anni perderà un milione di dipendenti, ma abbiamo già una carenza tecnica. Ci serve una struttura tecnica da costituire con ingegneri e con tutti i professionisti necessari, che siano, però, dipendenti della pubblica amministrazione, in modo da consentire alla Protezione civile, che è già efficiente nell'intervento immediato dell'emergenza, di poter programmare la fase di prevenzione e quella di ricostruzione, fornendo tutto il supporto.

  ARMANDO ZAMBRANO, Coordinatore della Rete delle Professioni tecniche. Vorrei correggere il collega Pittau riguardo al fatto che mandiamo le squadre non dopo 15 giorni, ma dopo due giorni in caso di terremoto. Siccome siete persone attente, ci tenevo a precisarlo.

  PRESIDENTE. Ecco, mi sembrava strano. Ringrazio il presidente e i suoi collaboratori. Presumo che i colleghi presenti vogliano porre delle domande, giacché sono tecnicamente molto qualificati. Do, quindi, la parola ai colleghi che intendano intervenire.

  PASQUALE SOLLO. Innanzitutto, ringrazio il presidente e i suoi collaboratori.
  È indubbio che la vostra professione, insieme a quella delle imprese, sia la più importante e determinante in un sistema emergenziale. Il presidente e il direttore hanno espresso alcuni spunti estremamente interessanti.
  Bisognerebbe fare come già avviene quando si apre un'attività, con la prevenzione e la certificazione. Adesso c’è quella di idoneità statica del fabbricato che conosco bene perché ho fatto per 10 anni il sindaco in un comune del napoletano. Questa misura sarebbe, quindi, utile, se fatta con serietà, introducendola non solo in caso di compravendita, ma anche di affitto. Oggi c’è una dichiarazione che deve fare il tecnico, ma riguarda l'interno e non la struttura dell'intero edificio. Insomma, questo potrebbe essere un caso di prevenzione molto interessante.
  A ogni modo, trovo veramente interessante la figura del disaster manager che avete proposto. Ho guardato rapidamente il vostro opuscolo e mi sembra che ci sia negli Stati Uniti, in Francia e in Giappone. Allora, vorrei capire se negli altri Paesi è stata una figura determinante e utile. Inoltre, quali dovrebbero essere i compiti precisi di questa figura ?
  Ancora, vorrei chiedere se la struttura tecnica da accompagnare eventualmente alla Protezione civile dovrebbe essere nazionale, regionale o comunale. In sostanza, andrebbe creata a livello nazionale o in ogni regione ? Credo, infatti, che sarebbe impossibile prevederla per ogni comune. Per le province abbiamo cambiato il sistema, quindi il problema non si pone. Pag. 7Allora, le chiedo se dovrebbe essere di pertinenza regionale, come credo, o eventualmente nazionale, da affiancare, appunto, alla Protezione civile nazionale.
  Sono d'accordo sul fatto che la fase progettuale standard sia fuori luogo nel caso del sistema emergenziale perché in una pubblica amministrazione per svolgere i tre momenti passa più di un anno, quindi è necessario snellirla.
  Le mie due domande specifiche riguardano, quindi, la struttura tecnica e il disaster manager.

  PRESIDENTE. Prima di darvi la parola per la replica, raccogliamo tutte le domande.

  DANIELE MONTRONI. Vorrei porvi una sola domanda. Dal vostro punto di vista, nella fase emergenziale, ma anche in quella di normalità, il rapporto con le Soprintendenze, nelle situazioni in cui ci sono vincoli di natura paesaggistica o architettonica, sta funzionando o ci sono esigenze di modifiche più o meno sostanziali ? Pongo la domanda per fare in modo che non diventi un elemento che metta in difficoltà la ricostruzione nelle fasi di emergenza, ma anche il mantenimento nelle situazioni ordinarie.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MINO TARICCO

  EMANUELE PRATAVIERA. Vorrei riprendere il tema delle Soprintendenze, ma è già stato toccato, quindi passo alla questione dell'introduzione del disaster manager, di cui si legge sui giornali ogni volta che c’è un disastro in questo Paese, facendo la comparazione con quello che accade in altre aree dell'Europa.
  Questa figura da noi effettivamente manca, quindi c’è la sensazione per cui, anche in una fase di emergenza, si lavori per livelli amministrativi al pari di una situazione normale, ovvero non emergenziale. Allora, credo che quello del disaster manager debba essere un fulcro su cui ragionare.
  Una domanda più opportuna è, però, quella di capire chi deve avere la competenza, ovvero a chi debba essere in capo il disaster manager, se allo Stato, quindi di fatto lo si può annoverare all'interno delle competenze della Protezione civile, o a un ministero oppure alle regioni.
  Un'altra domanda riguarda l'autocertificazione, in fase emergenziale o meno. Mi chiedo, infatti, quali limiti abbia attualmente e come si debba intervenire in una fase normale di autocertificazione, che mi risulta già esserci, anche se di fatto non è applicata o applicabile per il contesto generale. Lo dico così, senza entrare nello specifico.
  L'altro aspetto riguarda le domande e le perizie nella fase emergenziale. Questa indagine nasce dopo le macerie del tornado che ha colpito la provincia di Venezia, dove i cittadini stanno incontrando mille difficoltà per la ricostruzione: per esempio, sono state sbagliate le domande perché il modulo dato dalla regione era quello regionale, mentre doveva essere nazionale.
  Ecco, dobbiamo metterci nei panni di chi è parte pubblica e di chi lavora per le famiglie e per i cittadini, come voi, per capire cosa non va. Non è possibile avere un modulo unico, che sia uguale per tutti o che la pubblica amministrazione possa comunque smistare al giusto destinatario ?
  Vengo a un'altra questione. Stiamo parlando di emergenze, quindi lo scopo di questa Commissione è capire come superare la normativa e la situazione attuale. Tuttavia, vedo uno scenario composto di tre fasi cui bisogna per forza mettere mano. Da questo punto di vista, siete il soggetto più adatto a poterci aiutare a riscrivere tutta la normativa. Infatti, siete le vere sentinelle del territorio, più della parte politica (non me ne vorranno i colleghi parlamentari), dal momento che l'ordine racchiude ingegneri privati, quelli che lavorano per enti, quali i consorzi di bonifica, il genio e così via, nonché docenti universitari. Avete, quindi, una visione trasversale del nostro territorio, anche per gli studi e i progetti che avete fatto, e di quello che dovrebbe essere fatto. Si tratta, Pag. 8peraltro, di studi che nella maggior parte dei casi sono nel cassetto e che spesso contengono un'analisi economica per poter intervenire, magari datata agli anni Settanta.
  Dall'altra parte, c’è l'esistente. È giusta, pertanto, la considerazione del presidente che diceva che dobbiamo ragionare sulla prevenzione. Anche qui, dovremmo avere dei numeri per avere la panoramica della situazione degli edifici esistenti, fermo restando che se arriva un terremoto o un tornado non c’è prevenzione che tenga perché sono eventi non prevedibili, salvo in alcune aree. Tuttavia, per le alluvioni, inondazioni o altri rischi sicuramente si può intervenire.
  Infine, sulla ristrutturazione c’è già una normativa. È giusta, sbagliata, viene applicata in maniera corretta ? Ci sono delle aree normative in cui intervenire che riguardano anche i livelli comunali ? I piani urbanistici sono realizzati in conformità con queste normative ? Sicuramente sarà così sulla carta, ma nei fatti ?
  Ecco, queste sono le domande alle quali dobbiamo rispondere. Ovviamente, non bastano i pochi minuti che abbiamo a disposizione. Se, però, da oggi vogliamo iniziare a fare un'indagine conoscitiva più nel concreto, credo sia doveroso riflettere su questi punti nei prossimi mesi.

  PRESIDENTE. Innanzitutto, mi scuso per il ritardo con cui sono arrivato, perdendo la vostra introduzione iniziale. Credo che già nell'introduzione del presidente sia chiaro, come anche nelle domande dei colleghi, il nostro spirito. Infatti, stiamo cercando di capire come intervenire per evitare che dopo i disastri, che, purtroppo, con una ciclicità sempre più frequente accadono, si creino ulteriori disastri per conflitti di regole e mancanza di chiarezza sulle stesse, quindi di possibilità di intervento in tempi utili. Ecco, questo aggiunge danno a quello già provocato dagli eventi.
  Vi do la parola per raccogliere le vostre considerazioni. Inoltre, per le questioni che eventualmente abbiate colto durante quest'audizione, sarebbe gradito se riterrete di mandarci documentazioni scritte o suggerimenti puntuali.

  ARMANDO ZAMBRANO, Coordinatore della Rete delle professioni tecniche. Le domande sono molto pertinenti e seguono la logica di entrare nel merito delle questioni e dei problemi.
  Ovviamente, l'emergenza è figlia del fatto che non si fa prevenzione. Quindi, partendo dalla prima domanda del senatore Sollo, direi che sarebbe utile se obbligassimo tutti i cittadini ad avere un certificato di idoneità statica, anche al di là di quanto dicevo, ovvero dell'occasione della compravendita, allorquando credo sia addirittura obbligatorio prevederlo, anche immediatamente.
  Infatti, se si chiede di sapere quanto si consuma in termini di risparmio energetico, credo che il cittadino debba prima sapere se quella casa sta in piedi in occasione di un terremoto, che non sappiamo quando ma, purtroppo, in alcune zone, ci sarà.
  Tuttavia, mentre sulla certificazione energetica c’è un'attenzione dell'Europa cui, come sempre, ci adeguiamo, essendo soprattutto un problema dei Paesi del nord, per noi meno rilevante per le situazioni climatiche, la questione dell'idoneità statico-sismica è molto meno sentita perché le zone sismiche in Europa sono sostanzialmente l'Italia e la Grecia. Alla Germania, all'Inghilterra e così via interessa ben poco, altrimenti avremmo già da tempo un certificato di idoneità statica obbligatorio per i fabbricati.
  Il nostro problema è che, come sempre, siamo a rimorchio degli altri, mentre dovremmo spingere affinché l'Italia sia il leader su questo tema importantissimo che, anche se riguarda solo due Paesi, va comunque esteso a tutti. Speriamo di arrivarci. Tuttavia, stiamo già facendo una cosa un po’ strana in proposito. Siccome qualche tempo fa è uscita una modifica del codice civile che impegna gli amministratori di condomini ad avere responsabilità riguardo alle parti comuni dei fabbricati e alla loro sicurezza, ci stiamo inventando un protocollo con l'Anaci, che Pag. 9è l'associazione degli amministratori di condominio, per vedere se volontariamente – per la verità è un obbligo di legge, ma non interessa a nessuno – le parti condominiali siano soggette a verifica statica.
  Insomma, cominciamo a svegliare l'opinione pubblica per rendere obbligatorio procedere a una verifica di questi fabbricati. Mancano, però, delle regole. Tornando alla normativa, rispetto alla domanda dell'onorevole Prataviera, ricordo che da quattro anni siamo in attesa della nuova normativa tecnica sulle costruzioni, su cui c’è una discussione che ci ha coinvolto perché la normativa tecnica sismica, come è stata impostata anche nell'ultima variante non ancora approvata, ha un livello di sicurezza molto alto, quindi impegna molte risorse, per cui alla fine la diffusione di questi interventi sui territori sarà, purtroppo, molto bassa. Infatti, il rapporto tra qualità e costi è spostato troppo verso i costi. Viceversa, noi siamo per una sicurezza più sicura quanto più diffusa.
  Stiamo facendo un discorso su questo tema. Ci sono interessi a che l'asticella sia troppo alta o molto alta perché fa di questa materia una specie di riserva di caccia per alcune strutture o particolari dipartimenti universitari, con docenze e così via. Insomma, c’è un mondo che si muove dietro queste cose, per cui noi ci stiamo battendo per la sicurezza più diffusa possibile. Pertanto, anche la normativa tecnica va cambiata e resa utile.
  Riguardo ai piani urbanistici, sappiamo tutti che non sono adeguati. Oggi il piano urbanistico deve essere il piano di sicurezza, poiché non ci sarà ulteriore consumo di suolo, anche se pure su questo c’è un ritardo nell'approvazione di una legge. A ogni modo, il piano di oggi deve garantire i cittadini dal punto di vista della sicurezza, ma anche energetico e così via, con un'ottimizzazione dell'uso di quello che c’è.
  Tornando alle altre questioni, riguardo al disaster manager – vi parlo come vicepresidente di UNI, l'ente di normazione – ci siamo battuti perché si faccia una norma, che peraltro è attualmente in discussione, sul disaster manager. Dobbiamo, infatti, dare delle regole di qualificazione di questa figura, altrimenti diventa un altro magma nel quale non si capisce chi è, cosa deve fare (questo ve lo dirà il collega Massi che sta in questa Commissione), dove dovrà essere collocato e quant'altro. Ovviamente, sarà a vari livelli, come sempre succede in questo Paese per via della responsabilità diffusa tra Stato, regioni e comuni (saltiamo le province perché sappiamo che non hanno un futuro).
  Un problema delicatissimo è quello della Soprintendenza, che è un soggetto che tende a bloccare. Non lo dico per fare una valutazione critica, ma come una necessità di regole che ci siamo dati in un Paese in cui la conservazione dei beni culturali e ambientali è fondamentale. Anche qui la nostra idea è che ci sono troppi vincoli, molti dei quali non hanno più senso. Inoltre, là dove ci sono i vincoli, occorre individuare delle linee guida per interventi, soprattutto in emergenza, che consentano al professionista, con autocertificazione e responsabilità, di dire, per esempio, che in quella zona e in quel caso di emergenza, si possono rifare i solai con certe tecniche.
  Questo, ovviamente, è un caso molto semplice. Personalmente, ho seguito il terremoto dell'Ottanta, che era dalle mie parti, in cui la discussione sui solai di legno – se si dovevano togliere, quando si potevano togliere, se erano di pregio e quant'altro – è stata infinita, bloccando diversi lavori, facendo persino crollare dei fabbricati e uccidendo anche delle persone.
  Quindi, si tratta di temi che, oggettivamente, riguardano la vita dei cittadini in senso letterale, per cui servono delle linee guida che stabiliscano che, in casi di emergenza, si può intervenire rapidamente con sostituzioni di solai in queste zone. Naturalmente, se siamo al centro di Roma, non si potrà non pensare che si debba fare una verifica solaio per solaio. Ci sono, però, aree in cui si possono dare delle linee guida, dove può valere la sussidiarietà Pag. 10dei tecnici che si prendono la responsabilità di dare una patente di legittimità a questi interventi in relazione a delle linee guida fatte, appunto, a monte. Questo potrebbe essere generalizzato anche per gli interventi extra emergenza. In quel caso, però, prendiamo una via completamente diversa.
  Sul modulo unico, stiamo lavorando con il Dipartimento della semplificazione e abbiamo già fatto un modulo unico nazionale che riguarda la SCIA, i permessi di costruire e così via. Non so perché in Veneto non siano stati utilizzati; forse non se ne sono accorti.
  Ugualmente, stiamo lavorando, sempre con il Dipartimento della semplificazione, ad un'altra nostra proposta. Infatti, finalmente, nel cosiddetto decreto-legge Sblocca Italia è stato previsto il regolamento edilizio unico comunale, nel quale pure si potrebbe inserire qualche punto sulla semplificazione e sull'emergenza, in termini di procedure nella presentazione dei progetti al comune. Non ci avevamo pensato, quindi proporrei di studiare anche questo aspetto. Come vedete, questa discussione è stata molto interessante perché sono emersi degli spunti anche per noi.
  Sugli studi, credo che sia sul dissesto idrogeologico, sia sul piano sismico siamo a uno stadio veramente molto avanzato. In entrambi i campi, non c’è in Europa una conoscenza come la nostra. Il problema è passare da questa a dei piani concreti per stabilire procedure e superare tutte le questioni e i conflitti di competenza che ci sono tra regioni. Questo vale anche per i dissesti idrogeologici. Sappiamo bene, infatti, che Italia sicura ha dei problemi proprio nel momento in cui deve passare dalla programmazione all'esecuzione, con una serie di passaggi e di soggetti che possono, ciascuno, bloccare il processo.
  La legge n. 124 del 2015, sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, è un passo in avanti. Personalmente, credo che la conferenza di servizi non sia la soluzione perché bisogna responsabilizzare i soggetti. Non mi è mai capitato di partecipare a una conferenza di servizi in cui sono emerse, da parte dei soggetti pubblici presenti, la capacità e la responsabilità di mettersi insieme e trovare le soluzioni. Ognuno la trova per sé, mentre la capacità di interloquire con gli altri è un problema anche culturale.
  In realtà – qui torno giustamente a quanto diceva il direttore – la pubblica amministrazione, dal punto di vista tecnico, che è quello che conosco di più, è molto vecchia. Tutti i miei colleghi che sono entrati non sono stati sostituiti. Sono anni che non c’è un turnover, quindi, tra venti, dieci anni o forse anche prima, non so chi potrà gestire un appalto con competenze e autorevolezza. Insomma, ci avviamo verso un disastro annunciato perché questo riguarda la capacità della pubblica amministrazione di interloquire. Sarà, pertanto, sempre più debole, che è uno dei problemi per cui sono successi tanti scandali. Infatti, c’è una debolezza intrinseca.
  In sostanza, abbiamo una pubblica amministrazione vecchia anagraficamente, con tutto il rispetto. Prevale il modo di vedere le cose come venti o trent'anni fa, mentre oggi dovrebbero esserci giovani ai quali trasferire competenze, esperienze, know how e così via, ma ormai siamo fuori tempo massimo, nel senso che tra qualche anno non ci sarà più il tempo nemmeno di formare i giovani che possono entrare.
  D'altra parte – chiudo per dare la parola al collega Masi sulla questione del disaster manager – pensare che in questo Paese le regole e non gli uomini risolvano i problemi è veramente un'utopia.

  ANGELO MASI, Consigliere del Consiglio nazionale degli ingegneri. Mi dispiace che non sia presente il presidente Tabacci, ma immagino che riportiate tutto nel verbale. Sono Angelo Masi, consigliere nazionale, delegato all'emergenza e protezione civile. In questa Commissione porto la mia esperienza personale. L'ultimo terremoto in Emilia mi ha visto impegnato per circa tre mesi in maniera continuativa, stabile sul posto, quindi posso riportare la mia esperienza in maniera diretta.
  In quella fase, abbiamo avuto l'apporto di 750 colleghi che hanno fatto, presentando Pag. 11le schede Aedes, circa 10 mila sopralluoghi in 60 giorni. In Italia riusciamo ad affrontare bene il momento emergenziale, anche grazie al sistema delle professioni tecniche. Sappiamo benissimo, infatti, che la Protezione civile è una struttura verticistica organizzativa, ma priva dei contenuti tecnici e del supporto professionale per adempiere. Pertanto, se non ci fossero i tecnici, non so come la Protezione civile, con i funzionari della pubblica amministrazione, potrebbe assolvere in 60 giorni i compiti a lei attribuiti. Quella, infatti, è una situazione che va rivista perché si è capito che in 100 giorni non si può risolvere un problema così grosso.
  Al di là di questo, riguardo alla figura del disaster manager porto la mia esperienza. Quando sono arrivato, la logistica era a Bologna, all'interno della torre della sede regionale. Una delle difficoltà che abbiamo trovato era far dialogare tre enti, il comune, la regione e la Protezione civile. Era una conflittualità continua, anche se sottintesa, in quanto a livello istituzionale bisognava operare, ma era tangibile. Chi ha il senso dell'intervento si accorge di come alcune funzioni rallentano certi processi.
  In sostanza, c'era il singolo comune che voleva diecimila squadre per risolvere il proprio problema; la regione stabiliva altre priorità; la Protezione civile decideva chi doveva andare dove. Il disaster manager è una figura che sovrintende a questo processo e che ha la capacità di farlo.
  Non ho nulla contro il Titolo V, ma aver demandato delle funzioni di livello nazionale a diverse fasi e rappresentanze istituzionali ha sicuramente aumentato la burocrazia, con le carte che devono andare prima alla regione e quant'altro.
  Prendiamo un impegno di spesa. Il commissario prima deve valutare con la sua struttura; recepisce l'informazione della Protezione civile; acquisisce il parere del sindaco e poi interviene. Ora, come si fa in fase di emergenza a fare un'operazione del genere ?
  Come ha detto, giustamente, il direttore Pittau, il disaster manager è una figura che ha una competenza tecnica e una finanziaria. Ora, è il Governo e la politica che devono collocarli come supervisori di un certo processo organizzativo, in modo che abbiano il quadro generale di quello che deve succedere e come muoversi.
  I piani di emergenza comunali sono una bella cosa, ma chi li valuta ? Chi dice che, effettivamente, la fuga da quel punto è migliore piuttosto che quella da un altro ? Chi ha competenze pluridisciplinari tali da garantire al sindaco che quello è il migliore piano che ha fatto ?
  Insomma, vi sono delle cose molto semplici che si possono e si devono superare. La semplificazione va attuata stabilendo delle competenze specifiche e non demandando per deroga o per delega ad altri enti istituzionali. L'emergenza non è un fatto di competenza regionale, ma è unica, nel senso che quello che succede a Bolzano succede anche a Canicattì. La Sicilia, quindi, non può demandare competenze alla Protezione civile o sull'intervento del disastro, a differenza di Bolzano che magari deciderà un'altra cosa.
  A mio giudizio, dunque, si deve unificare questa materia in capo a un unico organismo che credo corretto collocare in seno alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che deve stabilire le responsabilità e le figure coinvolte. La Protezione civile è un grande contenitore, in cui c’è di tutto e di più. Tuttavia, va normata perché non ha un corpo tecnico decisionale. Si avvale di supporter come le università o i centri di ricerca, ma non ha una propria struttura decisionale tecnica cui fare riferimento.
  Riguardo al disaster manager – l'ha già accennato il presidente Zambrano – la Commissione UNI, su proposta di Assodime, di Cepas e di altre strutture che mirano a supportare lo Stato in questa fase, ha aperto un'iniziativa per normare le competenze. Mi riservo di mandarvi del materiale sulla funzione del disaster manager secondo questa norma. Poi, vorrei che la Commissione tenesse in conto, all'interno della semplificazione, la disponibilità dei tecnici.Pag. 12
  Dopo il post-terremoto, informai il presidente che quando in Emilia-Romagna si è dato l'incarico a Invitalia e a Fintecna per l'esame delle procedure ai fini del riconoscimento dei danni e quindi del finanziamento ai privati, non avevamo un potere contrattuale politico tale da obbligare il Governo a non farlo, per cui abbiamo subìto. Oggi, a distanza di tre anni e mezzo, quella struttura non ha funzionato perché è un contenitore di professionalità che non ha competenze specifiche.
  Ecco perché la figura del disaster manager, in capo allo Stato e alle strutture verticistiche, può anche assolvere a questo scopo, che è il principio di solidarietà che avevamo espresso noi. Infatti, avevamo detto al Governo che eravamo disponibili a dare un supporto tecnico nei comuni non dotati di figure professionali adeguate, solo che non abbiamo la norma o lo strumento adeguato per il libero professionista. Peraltro, il consiglio nazionale sta formando tecnici specialisti nel settore del rischio a 360 gradi (idrogeologico, sismico o vulcanico).
  Io sono di Taranto. Uno dei rischi di Taranto è l'ambiente. Se domani salta un altoforno o prende fuoco un deposito dell'ENI, nessuno sa cosa deve fare. Si chiameranno i vigili del fuoco, i quali andranno, ma saranno fortunati se non scoppia il secondo serbatoio perché nessuno dice loro cosa fare e come. Noi, attraverso la formazione obbligatoria che la legge prevede, stiamo formando delle figure professionali che vogliamo mettere a disposizione della società. Solo che il Governo deve darci gli strumenti affinché lo possiamo fare.
  Potrei dilungarmi, però, visto l'orario mi fermo qui e ringrazio la Commissione per avermi ascoltato.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Se non ci sono altri interventi, ribadisco ai nostri ospiti l'invito a farci pervenire tutte le memorie, i suggerimenti e le osservazioni che riterrete utili perché nel percorso che abbiamo avviato sicuramente ne terremo conto. Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.15.