XVII Legislatura

Comitato per la legislazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 12 dicembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicu Salvatore , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento dell'attività di Governo, Dario Franceschini, sull'uso dei principali strumenti normativi dell'Esecutivo e sullo sviluppo delle forme di interlocuzione con le Camere per una migliore definizione dei contenuti delle norme, anche con riferimento al ruolo del Comitato per la Legislazione (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Cicu Salvatore , Presidente ... 3 
Franceschini Dario , Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento dell'attività di Governo ... 3 
Cicu Salvatore , Presidente ... 8 
Balduzzi Renato (SCpI)  ... 8 
Giorgis Andrea (PD)  ... 10 
Fabbri Marilena (PD)  ... 11 
Toninelli Danilo (M5S)  ... 12 
Cicu Salvatore , Presidente ... 15 
Franceschini Dario , Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento dell'attività di Governo ... 16 
Cicu Salvatore , Presidente ... 18

 

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE SALVATORE CICU

  La seduta comincia alle 9.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante la trasmissione diretta sul sito Internet della Camera dei deputati e la trasmissione televisiva differita sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento dell'attività di Governo, Dario Franceschini, sull'uso dei principali strumenti normativi dell'Esecutivo e sullo sviluppo delle forme di interlocuzione con le Camere per una migliore definizione dei contenuti delle norme, anche con riferimento al ruolo del Comitato per la Legislazione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento dell'attività di Governo, onorevole Dario Franceschini.
  L'oggetto dell'incontro verte sull'uso dei principali strumenti normativi dell'Esecutivo e sullo sviluppo delle forme di interlocuzione con le Camere per una migliore definizione dei contenuti delle norme, anche con riferimento al ruolo del Comitato per la Legislazione.
  Do quindi la parola al Ministro, che ringrazio sin d'ora per la disponibilità manifestata.

  DARIO FRANCESCHINI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento dell'attività di Governo. Signor Presidente, ringrazio lei e i colleghi presenti a questo incontro, che per me rappresenta un'occasione utile non solo per parlare di ciò che abbiamo cercato di fare in questo breve scorcio di azione di Governo, ma anche per raccogliere elementi finalizzati a correggere, a ordinamento vigente, alcune distorsioni del sistema. Ciò accade parallelamente alla discussione che è in corso sulle riforme che consentano al nostro sistema istituzionale di funzionare e di reggere il passo con i tempi e con un processo di cambiamento che sta entrando prepotentemente in ogni settore della vita privata, collettiva e istituzionale, rispetto al quale le istituzioni non riescono a reggere il passo. Basti pensare che siamo dentro alla globalizzazione, che i concetti che sembravano immutabili, come quello di sovranità nazionale, sono stati intaccati; l'assenza poi di un livello sovranazionale, che abbia reali poteri di intervento, stride con il fatto che quasi tutti i settori della vita finanziaria ed economica ormai hanno attraversato le frontiere del processo di integrazione europea, con meccanismi progressivi di cessione di sovranità.
  Dentro a questo schema noi abbiamo un sistema istituzionale che è oggettivamente lento e che va adeguato. Penso, tuttavia, che l'intervento sul «malato» debba essere svolto in due fasi. Parlo di «malato» perché, avendo finito il mio giro – ho svolto, infatti, il ruolo di capogruppo di maggioranza, poi di capogruppo di opposizione e ora sono Ministro per i rapporti con il Parlamento – e quindi avendo analizzato il sistema dai tre angoli visuali, mi sono reso conto che così il sistema non può funzionare. Al di là di chi Pag. 4vince le elezioni, degli schieramenti e dei partiti, se non si fa una buona terapia, con dei correttivi profondi, è difficile guarire dalla malattia. Per «terapia» intendo le riforme vere; quindi spero che dopo il passaggio parlamentare di ieri e la rinnovata fiducia al Governo Letta sia possibile immaginare un nuovo inizio di un rapporto che vada oltre i confini dell'attuale maggioranza, perché quando si parla di modificare regole che riguardano tutti bisogna sempre cercare di costruire un consenso che vada oltre i confini della maggioranza del momento. E mi auguro che sia possibile utilizzare il 2014 per realizzare, appunto, una buona terapia.
  Quando parlo di buona terapia intendo fare riferimento alla definizione di una soluzione ad almeno due problemi, che di per sé rappresenterebbe una rivoluzione. Sarebbe certamente più opportuno e profondo fare un intervento complessivo sulla forma di Stato e di Governo; tuttavia, poiché per il modo difficile con cui è iniziata e per l'anomalia di una maggioranza di larghe intese, questa legislatura si è data, di fatto, l'orizzonte del 2014, penso che se giungessimo a disegnare un sistema monocamerale – con una sola Camera che esercita la funzione legislativa ed è legata al Governo da un rapporto di fiducia, e la seconda Camera non elettiva, di rappresentanza delle Regioni e delle autonomie – e ad approvare una buona legge elettorale con garanzia di stabilità per la Camera elettiva, consegneremmo al vincitore, o ai vincitori, delle prossime elezioni un Paese in grado di funzionare meglio. Questa sarebbe davvero la «terapia». Naturalmente, non è la soluzione dei problemi, ma è la base per poi riuscire a governare.
  Oltre a queste modifiche, ovviamente è necessaria una riforma dei Regolamenti parlamentari. So che è in corso di discussione qui alla Camera un progetto di riforma del Regolamento, la cui importanza è cosa difficile da comunicare all'opinione pubblica, ma di cui invece ha piena consapevolezza chi ha a che fare con i Regolamenti parlamentari, perché sa che modifiche, anche piccole, possono cambiare profondamente il modo di lavorare del Parlamento, rendendolo più agevole e garantendo, al tempo stesso, i diritti dell'opposizione, i diritti della maggioranza e una migliore qualità della legislazione. Questa è la terapia.
  In attesa che la terapia funzioni, bisogna anche curare la febbre, come si fa con un malato. Curare la febbre può essere, come noi abbiamo cercato di fare in questi mesi, anche una modalità per correggere, a ordinamento vigente e a Regolamenti delle Camere vigenti, alcune distorsioni che si sono via via accentuate in modo esagerato negli ultimi anni e che derivano, in particolare, dall'utilizzo – e in qualche caso dall'abuso – della decretazione d'urgenza, unico strumento per l'Esecutivo che offre la garanzia dell'approvazione di un provvedimento in tempi certi. Ma non dovrebbe essere questa la finalità del decreto-legge: il decreto-legge è un provvedimento di urgenza caratterizzato da determinati requisiti che il vostro Comitato ha più volte richiamato.
  Sin da quando mi sono insediato come Ministro, proprio in forza delle mie pregresse esperienze, alla prima riunione delle Conferenze dei Capigruppo dei due rami del Parlamento ho chiesto se, in attesa della riforma complessiva dei Regolamenti, fosse possibile stralciare quelle norme, su cui si è studiato molto, che consentono al Governo di segnalare alcuni disegni di legge con particolare urgenza, in numero limitato in ciascun arco temporale, con la garanzia dell'approvazione in tempi certi, che di fatto consentirebbe di utilizzare quello strumento in modo alternativo rispetto all'uso del decreto-legge. Questa modifica non è ancora arrivata, perché si è preferito portare avanti una discussione complessiva sulla riforma del Regolamento. Noi abbiamo cercato di correggere il tiro; purtroppo, però, se considerate i tempi di approvazione dei disegni di legge del Governo, ad eccezione di quelli di conversione, questi hanno più o meno la stessa drammatica lentezza delle normali proposte di legge. Con la conseguenza che la pressione che proviene dalle strutture dei Ministeri che chiedono una soluzione Pag. 5ai problemi porta ovviamente all'utilizzo dell'unico strumento che garantisce un'approvazione in tempi certi.
  Ciononostante, noi abbiamo cercato di incidere – e su questo poi vi darò qualche dato – su quel meccanismo ulteriormente distorto con cui abbiamo avuto a che fare e cioè: adozione di un decreto-legge omnicomprensivo, presentazione di un maxiemendamento, in molti casi – io ne ricordo molti – correttivo o integrativo dei lavori della Commissione, e apposizione della questione di fiducia sul maxiemendamento. Noi abbiamo cercato di correggere questo meccanismo. In primo luogo, abbiamo adottato un numero di decreti-legge inferiore rispetto a quello dei precedenti Governo: mentre, infatti, il Governo Letta ha adottato 17 decreti in 220 giorni, il Governo Berlusconi ne ha adottati 26 ed il Governo Monti 20. Inoltre, abbiamo cercato il più possibile, e sempre nel rispetto della giurisprudenza della Corte – che, come sapete, ha più volte individuato come possibile criterio di omogeneità la comune finalità delle singole misure urgenti, anche se tra loro eterogenee per materia – di circoscrivere i contenuti dei provvedimenti, ad eccezione probabilmente del decreto-legge c.d. del fare, che è stato il primo provvedimento d'urgenza a contenere diverse materie al suo interno, di concentrarli il più possibile.
  I decreti-legge sin qui approvati hanno riguardato, infatti, uno la materia dei beni culturali, uno la materia della scuola, uno la pubblica amministrazione, uno il sovraffollamento delle carceri, uno l'ILVA e uno l'efficienza energetica, al punto che, in un'audizione analoga svolta presso la Commissione affari costituzionali del Senato, ho chiesto che vi fosse quasi un'indicazione di preferenza, attraverso una scelta che andrebbe concordata con le Camere, perché allorquando vi siano due materie ugualmente urgenti che possono essere oggetto di decreto-legge, il Governo potrebbe, d'intesa con le Camere, scegliere la strada di inserire nello stesso provvedimento norme non esattamente omogenee, ma accomunate appunto dalla comune urgente finalità – muovendosi quindi nel rispetto della giurisprudenza costituzionale – o, viceversa, far adottare più decreti-legge dallo stesso Consiglio dei ministri. Considerato che poi tutto questo ha una ricaduta sui lavori parlamentari, in attesa delle riforme dei Regolamenti, l'attuale Governo sarebbe disponibile ad adottare o un decreto-legge più ampio o più decreti-legge settoriali, in base ad una scelta che potrebbe essere assunta attraverso un confronto con le Camere anche con riferimento alla predisposizione del calendario.
  Abbiamo limitato drasticamente il ricorso alla questione di fiducia, non senza difficoltà, perché a volte la pressione per il voto di fiducia viene dagli stessi Gruppi parlamentari, e talvolta proviene (non in sede ufficiale) anche da quelli di opposizione, perché diventa il modo – in particolare al Senato, ma pure alla Camera – di accelerare la procedura di approvazione del decreto. Io ho detto più volte, anche in Aula, che avremmo lavorato – e così abbiamo fatto – per mantenere la questione di fiducia nell'ambito della sua funzione originaria, cioè di verifica del rapporto di fiducia Governo-Parlamento, e non di strumento per garantire l'approvazione di un provvedimento in tempi certi, perché questo rappresenta lo snaturamento della questione di fiducia. È quello che è avvenuto perché rispetto ai 17 decreti-legge adottati dal Governo Letta abbiamo messo la fiducia soltanto su due di essi: una volta sul decreto-legge c.d. emergenze ambientali e due volte, recentemente, sul decreto missioni, perché era in scadenza e dopo diverse settimane in cui si era tentato di trovare un'intesa che ne consentisse l'approvazione. Nelle stagioni precedenti – lo dico per avere dei dati di riferimento – sempre negli stessi 220 giorni, il Governo Monti ha apposto 26 questioni di fiducia e il Governo Berlusconi 9.
  Quando siamo stati costretti a ricorrere al voto di fiducia, compreso il caso del disegno di legge di stabilità in esame al Senato (ma quella è stata una scelta politica), l'abbiamo sempre posta sul testo Pag. 6della Commissione, perché i maxiemendamenti – lo dico perché è accaduto nelle passate legislature – spesso sono stati lo strumento con i quali il Governo ha recepito solo in parte il testo della Commissione, perché talvolta lo ha modificato o integrato, inserendo nuove disposizioni che hanno messo il Parlamento di fronte a un fatto compiuto, potendo dire semplicemente «sì» o «no».
  Il Governo finora ha seguito la linea, che io continuerò a seguire, di porre, se costretti, la questione di fiducia sul testo licenziato dalle Commissioni. Anche nel caso, verificatosi al Senato, in cui la Commissione non ha concluso l'esame del disegno di legge di stabilità avendone svolto solo i tre quarti, per cui il provvedimento è andato in Aula senza il mandato al relatore, abbiamo posto la fiducia sul testo emendato dalla Commissione e, per quanto riguarda la parte del testo non votata in Commissione, l'abbiamo integrata soltanto con gli emendamenti presentati dal Governo e dai due relatori, che si presupponeva avessero il sostegno della maggioranza, inserendo anche nel maxiemendamento gli emendamenti approvati dalla Commissione nonostante il parere contrario del Governo, che su quelle proposte è stato battuto, perché ciò è rispettoso del lavoro parlamentare.
  Naturalmente – lo ripeto – stiamo ragionando di cura per la febbre, non di cura per la malattia che è la riforma dei Regolamenti. Penso che, da questo punto di vista, il meccanismo: riduzione drastica dell'utilizzo del voto di fiducia e, allorquando la si ponga, il rispetto totale del lavoro sui testi svolto dalle Commissioni, consenta di correggere in parte questa stortura del sistema.
  Un parziale correttivo, come sapete, è previsto per l'esame dei disegni di legge collegati alla legge di stabilità. Noi abbiamo indicato le materie di intervento, come previsto nel DEF, e ne abbiamo già approvati uno o due, se non ricordo male. I Regolamenti prevedono per i collegati alla finanziaria un percorso accelerato, con tempi certi e regole diverse rispetto all'ordinario regime di emendabilità. Vorrei che, d'intesa Governo-Parlamento, provassimo – perché parliamo di regole vigenti – a capire se, dal punto di vista dei tempi di approvazione, il collegato si possa collocare in posizione intermedia tra una normale proposta di legge e il decreto-legge, o se, invece, siccome sono tutti termini non perentori, in realtà, di fatto, la procedura diventa quella di una normale proposta di legge, come è capitato in passato nel caso di collegati rimasti dormienti per moltissimo tempo.
  Quanto ho detto finora attiene alle cose fatte dal punto di vista delle regole. Aggiungo che, a mio avviso, da anni si registra un complessivo gravissimo scadimento della qualità delle norme: perché si corre, e sappiamo che la fretta fa i gattini ciechi, e poi perché da tempo la politica che deve fare le scelte ha perso la capacità, che c'era in anni passati, di ascoltare la competenza della struttura nello scrivere una norma, nel correggerla, nel modificarla, nell'evitare sovrapposizioni. Invece, si corre perché bisogna approvare in fretta i provvedimenti, o convertire i decreti-legge, con la conseguenza che entrano frettolosamente nell'ordinamento norme sbagliate o talvolta norme per le quali non era necessario ricorrere a fonti di rango primario. Questo è un problema serio con riferimento al quale – ma non è certamente l'unico – credo che il ruolo del Comitato per la legislazione vada rafforzato nell'interesse generale.
  Vi è poi un sostanziale appesantimento delle norme, che deriva da un'incapacità generale del legislatore di scrivere in sintesi. Qui ci sono alcuni costituzionalisti, e credo che convengano con me sul fatto che se chiedessimo a un giovane che non ha nemmeno studiato giurisprudenza di prendere la Costituzione vigente e di indicarci quali norme sono state scritte dai Padri costituenti e quali sono state aggiunte nel corso degli anni, lo capirebbe a occhio dalla quantità. Le norme scritte dai Padri costituenti si compongono di tre, quattro, al massimo cinque righe; le norme modificate sono invece di venti righe, dispositive fino al dettaglio, e così accade pure nella legislazione attuale e non vale soltanto Pag. 7per le leggi di stabilità composte di un solo articolo e di moltissimi commi. Tale ultimo fenomeno origina dalla posizione della questione di fiducia: a meno che, infatti, il Governo non ponga la fiducia su ciascun articolo del disegno di legge, inevitabilmente ci si trova in presenza di un unico articolo diviso in commi. Non mi pare però francamente che il problema sia la suddivisione in commi o in articoli. Il problema è la quantità delle norme che, in buona parte, da quello che ho capito, deriva, oltre che da una certa approssimazione nella legislazione, da un criterio che io chiamerei di deresponsabilizzazione: per cui gran parte delle strutture dello Stato chiedono una norma di legge, anche dove questa non è necessaria, per «coprirsi». Quando in una norma di legge si arriva a scrivere che si assumono x vigili del fuoco o che lo stipendio del tal dirigente è y, la norma di legge irrigidisce l'ordinamento e, in caso di successive modifiche, comporta la necessità di approvare una nuova norma di legge. Pertanto, se poi bisogna assumere un vigile del fuoco in più o in meno, o cambiare la retribuzione del dirigente, occorre fare una successiva norma di legge che ne richiama ancora un'altra. Naturalmente, questo modo di legiferare, oltre a provocare un incremento quantitativo delle norme ed un irrigidimento del sistema, rende tutto illeggibile.
  Aggiungo un altro tema che va riconsiderato e sul quale il Governo sta lavorando. Quasi tutte le leggi danno origine a una notevole quantità di provvedimenti legislativi di attuazione (non solo decreti legislativi, ma anche regolamenti, provvedimenti amministrativi) che non vengono poi successivamente emanati e quindi si approvano nuove norme di legge su materie che potrebbero essere regolamentate, invece, con provvedimenti amministrativi, sulla base di una precedente norma di legge. Capisco che non è un quadro confortante, però credo che questo tema riguardi sia la maggioranza che l'opposizione, perché è un problema strutturale che va risolto.
  All'interno di questo percorso, sempre in attesa di una terapia che guarisca completamente dalla malattia, ritengo che in questa fase il ruolo del Comitato possa essere rafforzato. In primo luogo, i suoi pareri, sia per la modalità con cui vengono espressi, sia per lo stesso criterio di composizione del Comitato, si collocano al di fuori dell'equilibrio maggioranza-opposizione, che naturalmente condiziona, come è logico, evidente e giusto che sia, le singole scelte; quindi, per loro natura, i pareri sono neutri. In secondo luogo, i pareri puntano a migliorare la qualità della legislazione, ma il sistema non può funzionare se sono soltanto consigli. Credo che questo aspetto possa essere modificato, da una parte, con dei comportamenti volontari da parte del Governo o dell'Assemblea, dall'altra, forse anche con qualche modifica regolamentare. Non capisco, ad esempio, perché in base al Regolamento vigente in alcuni casi il Comitato per la legislazione si debba pronunciare d'ufficio, mentre in altri, invece, si possa pronunciare soltanto su richiesta della Commissione.
  Credo che il Comitato per la legislazione dovrebbe esprimere pareri sull'intera legislazione, anche se ciò comporterà più strutture di supporto e più fatica, e forse bisognerebbe prevedere anche, da parte del Governo – e questo è un mio impegno – il dovere di dare una risposta ai pareri. Dobbiamo trovare il meccanismo per cui, a regole vigenti, tutto può capitare, cioè un sì o un no da parte del Governo, ma non una «non risposta» a un parere. Questo è un aspetto su cui noi proviamo a lavorare anche se sapete bene che i tempi a volte confliggono con queste esigenze. So, inoltre, ma questa è una scelta vostra, che talvolta trasformate i rilievi contenuti nel parere in emendamenti: in alcuni casi si tratta di emendamenti dei singoli componenti del Comitato, in altri casi di emendamenti sottoscritti da tutti i membri. Il mio è semplicemente un suggerimento, ma ritengo che se si scegliesse sempre la seconda strada, in modo da evidenziare che si tratta di emendamenti presentati dal Comitato, l'Assemblea e il Pag. 8Governo sarebbero indotti a fornire una risposta al parere. Questo sicuramente potrebbe contribuire a migliorare la qualità della legislazione.
  Vi ringrazio per l'ascolto.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Franceschini che in maniera significativa ha toccato dei punti molto complessi sui quali credo si possa aprire il dibattito. Ha chiesto di intervenire per primo l'onorevole Balduzzi. Al suo faranno seguito gli interventi degli altri colleghi.

  RENATO BALDUZZI. Signor Presidente, innanzitutto chiedo al Ministro e agli altri membri del Comitato di scusarmi se intorno alle 10 dovrò allontanarmi, ma è solo in ragione della sovrapposizione di due impegni nella mattinata.
  Credo che questo incontro, pur non essendo un unicum nella storia del Comitato per la legislazione, sia estremamente rilevante, e auspico che, quanto meno, sia come una prima che attende delle repliche !
  In relazione alla prima parte dell'intervento del Ministro, credo che la vecchia questione dei rami alti e dei rami bassi, e dell'opportunità di incidere sui primi e sui secondi contestualmente, abbia oggi una sua inevitabile soluzione, un punto di caduta, come il Ministro giustamente sottolineava. In realtà, i rami alti e bassi sono sempre più intrecciati: i Regolamenti parlamentari, le buone pratiche e una legge elettorale degna di questo nome sono sicuramente la premessa per un miglior funzionamento delle disposizioni collocate sui rami alti, che forse non sono la principale causa delle nostre difficoltà e delle nostre malattie, per restare alla metafora del Ministro.
  Senza dubbio, qualche ritocco sui rami alti è necessario, ma non tanto per andare alla ricerca del miglior modello complessivo olistico con cui legare una diversa forma di Governo a una differente modalità di lavoro parlamentare, ma forse, più semplicemente, per riuscire a mettere nello stesso momento in campo un intervento che definisca l'ambito, i presupposti e il percorso del decreto-legge, con un intervento che favorisca una più efficace capacità del Governo in Parlamento.
  Noi ormai sappiamo che non possiamo continuare a utilizzare il decreto-legge come iniziativa legislativa rafforzata, ad esito garantito, perché questo va a scombinare il lavoro parlamentare, va a scombinare il sistema delle fonti e innesta quel circolo perverso che veniva sottolineato anche dal Ministro. Nello stesso tempo, credo che non possiamo lasciare che sia la sola Corte costituzionale a dare le risposte, perché queste sono inevitabilmente frammentate. Rimarrà certo difficile spiegare, nella storia d'Italia, per quale ragione sia stato possibile creare un Ministero con decreto-legge e non sia stato possibile realizzare una riforma delle province. Personalmente sono sempre stato convinto che la decisione o comunque l'inerzia sulla questione dei Ministeri creati con decreto-legge sia stata sicuramente censurabile. Dunque un intervento di razionalizzazione della forma di governo parlamentare non può non tenere conto di questa prospettiva. Questo, però, riguarda sicuramente qualcosa che va al di là della disponibilità in capo al nostro incontro e al Comitato per la legislazione.
  Io capisco bene il punto di vista del Ministro, questa parte del mio intervento la considererei quasi per fatto personale, perché almeno gli ultimi due Governi hanno cercato di fare qualcosa per correggere alcune storture del sistema. Riguardo ai maxiemendamenti, il Governo Monti aveva già deciso – come il Ministro sa bene – di porre la fiducia sul mantenimento del testo approvato dalla Commissione alla Camera e, al Senato, di presentare maxiemendamenti volti a recepire il lavoro svolto in sede referente, ferma restando la necessità di recepire i rilievi formulati dalla Commissione bilancio.
  Poi ogni Governo ha i suoi problemi: con alcuni dei colleghi presenti abbiamo sottolineato la singolarità di decreti-legge su materie inutilmente eterogenee. Anche in sede di Comitato per la legislazione ci siamo interrogativi su quale potesse essere Pag. 9il collegamento tra il femminicidio, la protezione civile e il commissariamento delle province o, più recentemente, tra l'IMU e la Cassa Integrazione Guadagni. In sede di Commissione parlamentare per le questioni regionali mi sono chiesto il motivo per cui ci era stato trasmesso il decreto-legge sulla Banca d'Italia e sull'IMU; poi ho scoperto che vi era inserita una norma che prevedeva la dismissione degli immobili estesa anche agli enti territoriali, e dunque aveva un senso chiedere il parere alla Commissione parlamentare per le questioni regionali, però questo metteva a nudo una forte disomogeneità del decreto-legge. È vero che, come giustamente diceva il Ministro, l'alternativa finisce per produrre un'incisione molto forte nel lavoro parlamentare, ma allora evidentemente il problema è a monte, è sul senso dell'urgenza.
  Vengo alle questioni che riguardano più da vicino il lavoro del Comitato per la legislazione. Riguardo alla questione della suddivisione in articoli e commi, si pone qualche problema a livello internazionale, perché senza arrivare alla soluzione austriaca, per cui un articolo non può avere più di otto commi o più di cento parole, è pur vero che una qualche razionalizzazione sarebbe opportuna per evitare di creare dei mostri. Devo dire che 511 commi in un articolo unico non è un primato, abbiamo raggiunto in passato ben altre vette, ma bisogna andare a vedere anche come sono fatti questi commi che in alcuni casi sono largamente superiori alla media internazionale della lunghezza di un articolo. Questo modo di legiferare rende probabilmente molto più difficile il lavoro di tutti: dagli interpreti, anche quelli più qualificati, agli operatori, a coloro che semplicemente devono applicare la legge nella sua vita quotidiana. Questo è un problema ed io lo sottolineerei forse un po’ di più rispetto a quanto ha fatto il Ministro.
  È vero, tuttavia, che non è il problema più grave, perché, almeno per quanto attiene al Comitato per la legislazione, rileva molto la sensazione di impotenza, di frustrazione che deriva dal ripetersi sempre dell'identico: se si scorrono i pareri del Comitato per la legislazione si trova proprio una sorta di stratificazione del Comitato su sé medesimo («come già il Comitato per la legislazione ...», «come più volte osservato ...») e questo dà il senso di una qualche impotenza.
  D'altra parte, siamo in presenza di una attenzione e di un'affezione per le norme legislative che considero abnormi. Qualche giorno fa, in Commissione ho avuto modo di confrontarmi con un esponente di un movimento politico che per la prima volta si è presentato alle elezioni e ha una rappresentanza parlamentare (e non si tratta di Scelta civica) che insisteva – forse anche giustamente dal punto di vista del problema specifico – a volere introdurre un emendamento che riguardava il concorso dei vice sovraintendenti della polizia di Stato. Per carità, magari nel merito il suo intervento era giusto, però è chiaro che l'avere tutta questa attenzione in una legge esprime un ritorno all'antico.
  Svolgo ora qualche osservazione sull'ultima parte del discorso del Ministro, che ha affrontato il tema delle modalità con cui rafforzare l'efficacia del lavoro del Comitato per la legislazione, una grande invenzione della Camera dei deputati che in questo esprime almeno una consapevolezza alta e forte del problema.
  Alcuni di noi hanno già avuto occasione di scambiarsi opinioni analoghe nell'ambito di incontri informali che abbiamo avviato in seno al Comitato, ma la cosa più importante da fare, Ministro, è estendere – sempre per usare la sua metafora – la consapevolezza della malattia e più che agire in terapia e anche in riabilitazione, occorre agire in prevenzione. Se è vero che c’è un'eccessiva bulimia legislativa, questa, come tutti gli stili di vita negativi, va affrontata sotto il profilo della prevenzione. È importante allora il suggerimento dato dal Ministro di utilizzare la tecnica di dare corpo a emendamenti del Comitato in quanto tale, anche perché così si evita che il singolo parlamentare sia, non dico irriso, perché questo è esagerato, ma certamente non preso in seria considerazione. È capitato più volte, infatti, di sentirci dire Pag. 10dai colleghi che ne facciamo una questione di forma, quando invece il problema è la sostanza.
  Sempre rimanendo sul fronte della prevenzione, sarebbe utile – e forse attuabile già da ora, a Regolamenti parlamentari vigenti – immaginare un rapporto più stretto, ad esempio sui provvedimenti più importanti, tra i relatori e il Comitato per la legislazione, realizzando cioè una collaborazione che anticipi ed estenda anche la consapevolezza del problema a un numero sempre più alto di parlamentari. Oltre a ciò, o in alternativa, si potrebbe immaginare che gli stessi staff dei Ministri (nella persona del Capo dell'ufficio legislativo o del Capo di Gabinetto, ma questa è una valutazione che spetta al Governo) possano interloquire utilmente, prima che le decisioni siano portate troppo avanti, perché poi quando c’è già stato un punto di caduta, una soluzione, evidentemente è molto più difficile intervenire.
  In attesa di una riforma complessiva che tenga insieme le riforme costituzionali con quelle dei Regolamenti parlamentari, che devono procedere insieme, almeno con riferimento alla dinamica dell'esame dei decreti-legge e al ruolo del Governo in Parlamento, credo che questi miei modesti suggerimenti, volti ad estendere la consapevolezza dei problemi sul tappeto, si potrebbero rivelare molto utili.

  ANDREA GIORGIS. Ringrazio anch'io il Ministro: la sua presenza, la sua dettagliata analisi sulle difficoltà del presente e i suoi suggerimenti testimoniano un'attenzione importante nei confronti del Comitato per la legislazione, che a mio avviso deve essere ulteriormente valorizzata.
  I suggerimenti che il Ministro ci ha dato dal punto di vista tecnico-regolamentare sono contenuti nella bozza di riforma di cui oggi inizieremo a discutere nella Giunta per il Regolamento. Nella bozza, ad esempio, si prevede che le condizioni formulate nei pareri del Comitato per la legislazione si trasformino in emendamenti che devono essere votati dalla Commissione di merito, che non potrà deliberare sul provvedimento se prima non si sarà espressamente pronunciata sulle condizioni poste dal Comitato per la legislazione. Quindi, c’è una perfetta sintonia tra l'ipotesi di riforma avanzata dal Gruppo di lavoro costituito all'interno della Giunta per il Regolamento, e il suggerimento che il Ministro oggi ci ha rivolto, forte anche della lunga esperienza da lui maturata all'interno di questa Istituzione. Tuttavia, credo che sarebbe illusorio immaginare che questo meccanismo possa, da solo, produrre delle conseguenze virtuose. Il problema sul quale dobbiamo continuare ad interrogarci attiene al fatto che, quanto più si irrigidisce il procedimento per disincentivare pratiche che consideriamo non corrette, e pertanto, da superare, tanto più quell'irrigidimento rischia talvolta di produrre un effetto esattamente opposto rispetto a quello che si vorrebbe realizzare. È il caso, ad esempio, che oggi cominceremo ad esaminare in Giunta – della disciplina del procedimento di conversione dei decreti-legge che il Governo vorrebbe poter rendere più semplice e con tempi contingentabili.
  Ho un po’ la sensazione che se le Camere continueranno a ritenere di poter disincentivare l'uso della decretazione d'urgenza solo attraverso l'introduzione di ostacoli che rendano sempre più difficile il procedimento di conversione, non si andrà da nessuna parte: il decreto-legge sarà ancora più utilizzato, diventerà uno strumento ancora più pervasivo e le Camere si troveranno in qualche misura a dover constatare un'ulteriore mortificazione delle proprie prerogative.
  Occorre allora immaginare interventi sistemici che creino le condizioni per soddisfare l'esigenza della celerità e della certezza dei tempi e che rendano quindi non più indispensabile il ricorso a istituti come quello del decreto-legge: questa è la scommessa. La filosofia deve essere quella di immaginare soluzioni che non rendano più indispensabile l'utilizzo del decreto-legge. Su questo terreno, credo che le proposte di riforma elaborate dal Gruppo di lavoro costituiscano una prima risposta, in termini sistemici, ad alcune criticità: mi riferisco, infatti, alla possibilità di valorizzare Pag. 11il ruolo delle Commissioni immaginando tempi di esame certi, nonché di dare certezza dei tempi di discussione e di votazione nell'esame di alcuni disegni di legge del Governo.
  In relazione ad altre fonti, il rapporto Parlamento-Governo peraltro è ancora più complicato. Il tema della delegificazione, ad esempio, che per tanti anni ha caratterizzato la riflessione dei giuristi oggi sembra rimosso. Negli ultimi anni, come diceva anche il Ministro, abbiamo assistito non ad un rallentamento del processo di delegificazione, ma, al contrario, ad una legificazione. In questo ambito è più complicato intervenire perché non c’è uno schema duale, come nell'ipotesi del decreto-legge, in cui si può immaginare che il Parlamento costruisca corsie preferenziali ed istituti, quali ad esempio il voto a data fissa, che consentano di incanalare su altri percorsi un'esigenza che comunque è reale.
  Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad una consistente legificazione, e, da questo punto di vista, concordo con l'onorevole Balduzzi sull'esigenza di una strettissima collaborazione con il Governo e sull'importanza di un corretto esercizio delle prerogative che dal punto di vista formale sono poste in capo al Governo e all'alta amministrazione. Tuttavia, a me risulta difficile immaginare come il Parlamento possa esercitare una qualche forma di moral suasion e di stimolo. È molto complicato anche perché quando il Parlamento si trova ad essere investito dell'esame di determinate questioni è difficile che ritenga di non essere competente; il Parlamento, anzi, tende per sua natura a estendere quanto più è possibile la propria funzione.
  Qui si pone una questione che non si risolve se non con un protagonismo del Governo. Da questo punto di vista, non riesco a immaginare come il Parlamento, da solo, possa autolimitarsi nell'esercizio della propria funzione legislativa e soprattutto possa obbligare l'Esecutivo ad esercitare i poteri di cui pure dispone. Credo che sia davvero molto complicato, a meno di immaginare forme di controllo preventivo che però abbiano la capacità di intervenire non sulla qualità della legislazione, ma sulla stessa ammissibilità della fonte primaria: in relazione a questo aspetto, bisognerebbe però affrontare il tema in sede di riforma costituzionale. In questo quadro occorrerebbe riflettere anche sul difficile rapporto tra legge di delega e decreto delegato e, in particolare, su come rimediare alle numerose omissioni del Governo.

  MARILENA FABBRI. Signor Presidente, ringrazio il Ministro Franceschini per aver accettato l'invito a partecipare a questo incontro. Esso, insieme al lavoro che sta svolgendo la Giunta per il Regolamento, rappresenta un primo passo per migliorare la qualità del nostro lavoro. Credo che oltre al problema di migliorare la tecnica di normazione e di rendere maggiormente coercitivi i pareri del Comitato per la legislazione, ci sia un lavoro di base da fare, a mio avviso, molto importante.
  Ritengo che ci sia un problema di coordinamento e di condivisione degli obiettivi normativi: tra Camera, Senato e Governo, ci sono accordi e protocolli sulla tecnica legislativa; tuttavia, l'impressione è che non tutti si attengano a quei criteri, e che quindi si usino tecniche di legislazione diverse e si vadano a comporre norme con criteri diversi. Prima, ad esempio, è stato richiamato il valore della sintesi in contrapposizione ad una sorta di atteggiamento bulimico riscontrabile nell'eccessivo tasso di descrittività delle norme, legato sicuramente anche ad un problema di deresponsabilizzazione.
  Mi chiedo, quindi, se non fosse opportuno ricondividere quei criteri e quegli accordi fra i diversi uffici legislativi di Camera, Senato e Governo, in modo da uniformare le modalità del legiferare, ed evitare che pervengano al Comitato per la legislazione provvedimenti che non rispondono alle tecniche di redazione che sono state condivise in altre sedi. Mi chiedo poi se non sia opportuno che criteri e tecniche legislative siano fatti propri anche dai parlamentari. Parlo per me ovviamente, Pag. 12non per altri, ma mi sembra che questo Parlamento, essendo fortemente rinnovato, esprima meno esperienza rispetto ad altre fasi della vita parlamentare; è quindi probabile che anche la qualità delle norme che proponiamo non sia del tutto in linea con la occorrente tecnica legislativa. Mi domando dunque se non sia opportuno creare, con le dovute cautele, occasioni di formazione per gli stessi parlamentari, sulla falsariga di quanto fatto per i collaboratori, finalizzate proprio ad una condivisione dei criteri e degli obiettivi della normazione che devono rispondere a principi di trasparenza, chiarezza e conoscibilità.
  Prima si parlava di delegificazione e di semplificazione. Anch'io credo che ci dovremmo porre il tema di semplificare e di eliminare alcune norme. Ho avuto l'impressione, soprattutto negli ultimi tempi, che si chieda al Parlamento di realizzare della quantità, più che della qualità, per poi lamentarsi che non c’è la qualità ma solo la quantità. Sembra che noi parlamentari si venga misurati in base al numero delle ore che passiamo dentro questo Palazzo, magari anche durante le vacanze di Natale o di Pasqua per far vedere che prestiamo attenzione alle esigenze del Paese. Invece, dovremmo mirare alla qualità e non alla quantità. A mio avviso, per avere qualità occorre ricondividere non solo gli obiettivi, ma anche la tecnica legislativa che sta alla base del nostro lavoro.
  Non entro nel merito delle scelte che spettano al Governo, che rispetto al Parlamento ha altre necessità, in primis quella di rispondere ai bisogni immediati del Paese, perciò mi affido alle considerazioni svolte dal Ministro e al lavoro che sta portando avanti la Giunta per il Regolamento in relazione ad un uso più appropriato dei decreti-legge, dei disegni di legge e della tempistica occorrente al loro esame. Mi chiedo però se non vada messa più enfasi, seguendo una strategia, sull'individuazione di quei settori normativi che andrebbero riconsiderati e semplificati, perché allorquando si va ad abrogare norme del nostro ordinamento che sono obsolete, in quanto non rispondono più alle necessità, l'attenzione dei cittadini e delle categorie interessate viene indotta a focalizzarsi sulle norme che invece rimangono, e devono rimanere, un punto di riferimento in quel settore normativo.
  Ritengo che, nel nostro Paese, oltre al problema di fare accettare le norme, e quindi, di farle applicare quando sono conoscibili, ci sia un problema di conoscibilità del sistema normativo, che è diventato sempre più complicato e sempre più «deresponsabilizzante». Stiamo creando un sistema in cui più che gli obiettivi normativi, prevalgono gli aspetti formali delle norme. Servirebbe lavorare anche a testi unici, volti alla semplificazione ed abrogazione di norme che non rispondono più ad effettive necessità. Occorre, quindi, che non solo il Comitato per la legislazione, ma anche il Parlamento e il Governo si diano questo obiettivo parallelo riferito alla attività di normazione.

  DANILO TONINELLI. Ringrazio il Presidente e il Ministro per questo incontro che riveste una grande importanza. Cercherò di dare un taglio pratico al mio intervento.
  L'obiettivo che ci poniamo è quello di migliorare la qualità della legislazione e di verificare la possibilità di addivenire a efficaci riforme del procedimento legislativo. Lei, Ministro, ha parlato giustamente di abuso della decretazione d'urgenza, e della necessità di trovare dei correttivi per garantire al Governo la possibilità di dare attuazione alle proprie linee programmatiche, limitando però il ricorso ai decreti-legge. Ha fatto riferimento, a tal proposito, ad un approccio al Regolamento della Camera che valorizzi una corsia preferenziale per l'esame di alcuni provvedimenti, da indicare in un numero limitato per ciascun lasso di tempo, che dia al Governo garanzia di tempi certi per la loro approvazione, motivando la necessità di questa corsia preferenziale con la eccessiva lentezza e farraginosità dell'iter parlamentare.
  Vorrei porre alla sua attenzione qualche dato. Il numero delle leggi approvate Pag. 13dal Parlamento italiano è perfettamente in linea con quello delle altre democrazie classiche europee. Al netto dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge, i tempi di attuazione sono anch'essi perfettamente in linea con quelli degli altri Paesi europei. Ciò che invece è molto diverso è la portata dei provvedimenti, cioè il loro peso specifico normativo. Sempre più frequentemente si rende necessario adottare delle disposizioni di tagliola (i c.d. taglia-leggi), mentre i decreti-legge sono troppo spesso – per non dire costantemente – omnibus, come ha osservato anche il collega Balduzzi. Ma un altro grandissimo problema è che, a fianco alla richiesta del Governo di una maggiore velocità del Parlamento, c’è un numero incredibile di decreti legislativi non ancora attuati, come riportato, tra l'altro, in un recentissimo articolo de Il Sole 24Ore. Le fornisco dei numeri, Ministro: considerando il tempo di durata in carica del Governo Monti e dell'attuale Esecutivo Letta, il livello di attuazione dei decreti legislativi è pari al 38 per cento, mentre se consideriamo solo questi primi 9 mesi di legislatura, il livello di attuazione scende al 12,7 per cento. Capisce bene, Ministro, come questi dati confliggano enormemente con la necessità di velocizzare ulteriormente il procedimento legislativo.
  Io parto da un dato: il Regolamento, oggi, consente chiaramente con il contingentamento dei tempi anche dei disegni di leggi di iniziativa governativa, come per tutte le proposte di legge della maggioranza, di avere tempi definiti per l'approvazione, perché con il contingentamento dei tempi le Presidenze e le Conferenze dei capigruppo possono tranquillamente definirli: forse non sappiamo perfettamente l'ora precisa, ma certamente conosciamo il giorno in cui quel determinato provvedimento sarà approvato. Questo è il punto da cui dobbiamo partire, perché se questa è la realtà – ed è la realtà – secondo noi è incomprensibile che si voglia introdurre, come è stato fatto nell'articolato di riforma che verrà presentato oggi pomeriggio alla Giunta per il Regolamento, la cosiddetta ghigliottina, ossia la fissazione di una data certa per l'approvazione di un provvedimento, quando sappiamo che il numero delle leggi approvate e i tempi di esame sono uguali a quelli degli altri Paesi europei e considerato che abbiamo il contingentamento. Volevo ricordare che la ghigliottina è un istituto che in Gran Bretagna, tipico e classico modello di democrazia parlamentare a governo forte, non implica la fissazione di una data certa per l'approvazione di un provvedimento, bensì il contingentamento dei tempi. Quindi, di fatto, se facciamo un esempio comparato con la Gran Bretagna, la ghigliottina in Italia esiste già !
  Lei, Ministro, ovviamente già lo saprà, ma lo dico perché è fondamentale: il Capo dipartimento del suo Ministero, il dott. Ravenna, in più di un'occasione, ma soprattutto in un importante convegno del 2009, disse chiaramente ai rappresentanti delle Istituzioni che attribuivano ai Regolamenti la responsabilità della lentezza e della mancata approvazione di atti di fonte governativa – ed erano tanti, a suo dire – che si trattava di affermazioni infondate, innanzitutto perché gli strumenti dell'ostruzionismo sono armi abbondantemente spuntate e inoltre il contingentamento dei tempi permette che i provvedimenti giungano ad approvazione in tempi certi. Quindi, il suo stesso Capo dipartimento, il suo primo collaboratore, si schiera chiaramente dalla parte di chi dice che se la maggioranza è coesa e lo è anche il Governo, i provvedimenti vengono approvati in tempi certi e senza dubbio più ristretti di quelli della media dei tempi dell’iter parlamentare. Non bisogna attribuire ai Regolamenti parlamentari la colpa dell'esistenza di frizioni interne alla maggioranza o tra maggioranza e Governo.
  Le cito un esempio che secondo me fa capire bene ciò di cui sto parlando. L'esame del provvedimento che ha comportato un maggiore impegno di tempo nella scorsa legislatura, la riforma Gelmini dell'università, è iniziato a febbraio 2010 e si è concluso dopo 10 mesi (senza considerare il mese di agosto). È la stessa durata temporale di esame della riforma Pag. 14della scuola approvata in Gran Bretagna un anno dopo, dove però si tennero il doppio di sedute parlamentari rispetto all'Italia. Una volta arrivato alla Camera, il testo della riforma si fermò per un mese e mezzo (da inizio settembre a fine ottobre) per frizioni interne alla maggioranza, perché era un momento in cui la maggioranza era piuttosto traballante. Successivamente la maggioranza, nonostante le frizioni interne, fece un atto di forza e portò in Aula un provvedimento, con ventisei emendamenti presentati in Commissione all'ultimo istante, ed in tre giorni di esame da parte dell'Assemblea il provvedimento, nonostante la sua ampiezza e portata, venne approvato.
  E fu proprio Lei, Ministro, nello svolgere nella scorsa legislatura in qualità di capogruppo la dichiarazione di voto finale della forza politica cui appartiene, a schierarsi fortemente contro la maggioranza dicendo che quest'ultima non aveva voluto ascoltare le opposizioni entrando nel merito dei 240 emendamenti del suo Gruppo, dei quali 220 non erano stati nemmeno discussi in Commissione, e a dire che la maggioranza, volendo dimostrare di avere ancora i muscoli, aveva accelerato i tempi nonostante un importante Gruppo di opposizione, quale il PD, avesse chiesto di rinviare il provvedimento in Commissione. Ho citato questo esempio per farle notare che in quell'occasione, indipendentemente dal Regolamento della Camera e, addirittura, indipendentemente dalla debolezza della maggioranza, nonostante la contrarietà dell'opposizione e dell'opinione pubblica, una maggioranza divisa al proprio interno riuscì comunque ad approvare un provvedimento che aveva un'importanza ed un peso specifico molto rilevante. Ciò conferma ancora una volta che questo Regolamento dà già certezze sui tempi di approvazione.
  Mi soffermo ora, nello specifico, sul Comitato per la legislazione, anche in riferimento a quanto detto prima dal collega Giorgis. Io sono un membro della Giunta per il Regolamento ed è vero che le modifiche concernenti il Comitato per la legislazione sono state affrontate nell'ambito della complessiva bozza di riforma elaborata dal Gruppo di lavoro informale. In tale bozza si prevede l'automatica trasformazione in emendamenti da presentare in Assemblea delle condizioni formulate dal Comitato che non siano accettate dalla Commissione in sede referente, però lo si è fatto trasformando il Comitato da organo tecnico in organo politico. Attualmente il Comitato ha una composizione paritaria tra maggioranza e opposizione con una turnazione della presidenza, in teoria ogni sei mesi, ma di fatto ogni dieci mesi; è un organo tecnico e tutti gli addetti ai lavori riconoscono un grande merito al lavoro che il Comitato svolge, anche se purtroppo questo non è sufficientemente, o addirittura per nulla, utilizzato e valorizzato nell'ambito dei lavori parlamentari.
  L'articolato che sarà sottoposto oggi per la prima volta all'esame della Giunta per il Regolamento propone di trasformare – e la maggioranza è coesa su questo aspetto – il Comitato in un organo di 21 membri con il rispetto dei criteri della rappresentatività e della proporzione. Di conseguenza, Ministro, il Comitato da organo tecnico diventa un organo politico. Possiamo tranquillamente permettere di trasformare le condizioni in emendamenti per l'Assemblea scavalcando la Commissione ma, essendo diventato un organo politico, il Comitato non avrà più la qualità e la caratura tecnica che oggi lo caratterizzano e che, se utilizzate, potrebbero produrre importanti effetti.
  Anche il mio gruppo crede che per migliorare la qualità e l'efficacia delle procedure legislative occorra andare a monte; per questo presenteremo in Giunta un nostro articolato, nel quale proporremo, ad esempio, di incidere sui criteri redazionali. È inaccettabile, infatti, come è stato detto, che ci sia un articolo composto da 500 o 1000 commi, perché in quel caso la conoscibilità e la certezza del diritto non potranno evidentemente essere garante. È per questo che quindi noi riteniamo che si debbano fissare dei criteri redazionali. A tal riguardo, proprio il dott. Ravenna, in quello stesso convegno che ho Pag. 15menzionato precedentemente, propose – in quel caso con riferimento ai maxiemendamenti, ma il discorso può valere per la produzione normativa in generale – come unico rimedio la previsione di limitare un articolo ad un certo numero di commi – noi proponiamo ad esempio dieci – ed ogni comma ad un certo numero di battute – noi proponiamo ad esempio mille – ovviamente prevedendo dei piccoli correttivi. L'introduzione di quello che noi abbiamo ironicamente ridefinito tweet, sarebbe forse l'unica soluzione in grado di risollevare efficacemente il livello della qualità e della conoscibilità delle leggi.
  In seconda battuta, noi riteniamo di fondamentale importanza che i provvedimenti che vengono presentati siano accompagnati dalla relazione tecnico-normativa e dall'AIR, che permettono innanzitutto a noi parlamentari di affrontare un dibattito in Commissione, e successivamente in Aula, sulla base di elementi di conoscenza sufficienti a comprendere il motivo per cui il Governo è arrivato ad una certa decisione. Ogni provvedimento, a nostro avviso, deve essere ponderato, studiato: non deve essere presentato al Parlamento un disegno di legge quando neppure il Governo ne ha sufficientemente analizzato il contenuto e la portata.
  Un altro fattore importante, che va ad aggiungersi agli altri di cui prima ho parlato, è una programmazione rigida, stabile. Lei, Ministro, lo sa meglio di me che oggi il programma e il calendario vengono costantemente stravolti, attraverso la convocazione a ripetizione di Conferenze dei presidenti di gruppo a distanza di pochi giorni l'una dall'altra. Questa costante modifica del programma da un lato, e del calendario dall'altro, non permette a noi parlamentari di poter lavorare con un seppur minimo grado di qualità.
  Quanto all'istruttoria in Commissione, noi riteniamo che debba essere scorporata dalle altre fasi e quindi valorizzata. Proponiamo che vi siano tempi minimi certi per l'esame in Commissione e che venga eliminato l'utilizzo della clausola dell'iscrizione in calendario d'Aula con la formula dell’«ove concluso», al fine di garantire una sufficiente lavorazione dei provvedimenti, in modo che si possa arrivare all'esame in Assemblea solo al termine di una seria e proficua attività in sede referente.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti i colleghi che sono intervenuti per il contributo che hanno voluto offrire.
  Svolgo alcune brevi considerazioni nella fase conclusiva del dibattito. Innanzitutto, ringrazio il Ministro che ci ha chiarito alcuni obiettivi dell'azione di Governo che tendono a realizzare un percorso che punta alla qualità legislativa, di cui abbiamo discusso in maniera approfondita. Questi obiettivi passano per la decisione del Governo, così come è stato rappresentato dal Ministro, di limitare la prassi del ricorso ai maxiemendamenti fiduciati, prassi che ha sempre posto seri problemi di qualità legislativa sia sul piano del procedimento, in quanto il ricorso ai maxiemendamenti vanifica l'istruttoria delle Commissioni permanenti competenti, il cui lavoro viene abbondantemente superato e marginalizzato, sia sul piano del prodotto finale, in quanto si determina, nel caso dei disegni di legge ordinari, la confluenza in unico articolo di centinaia e centinaia di disposizioni.
  Credo inoltre che sia importante rilevare l'intenzione – manifestata dal Ministro – di tentare la strada dell'adozione di decreti-legge dal contenuto il più possibile omogeneo, anche a costo di doverne adottare un numero maggiore, cosa, peraltro, che si porrebbe in linea con la giurisprudenza e la prassi consolidate del Comitato per la legislazione che in tutti questi anni ha cercato di insistere sul rispetto del criterio dell'omogeneità. Si tratterebbe di un primo passo importante, ma certamente non ancora sufficiente.
  Si è parlato anche della necessità di rafforzare la fase della cosiddetta progettazione legislativa con la sistematica adozione, a corredo degli atti normativi di iniziativa governativa, delle relazioni sull'analisi di impatto della regolamentazione (AIR) e tecnico-normativa (ATN), e dando Pag. 16piena attuazione alla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 26 febbraio 2009, che poche volte viene applicata. Occorre realizzare il supporto migliore non solo da un punto di vista tecnico e della formazione della procedura, ma anche della capacità di comprensione da parte dei nostri colleghi parlamentari delle modalità con le quali si perviene all'obiettivo non solo della quantità, ma soprattutto della qualità della legislazione.
  Ritengo comunque che l'aspetto più importante sia proprio quello dell'istruttoria legislativa in sede parlamentare, che dovrebbe tendere sempre di più a realizzare una fase di coordinamento preventivo, preliminare – come è stato ricordato – e quindi ad assicurare un raccordo che passi anche per la fase della cantieristica e della progettazione. Tale obiettivo può essere raggiunto attraverso la valorizzazione dell'attività del Comitato per la legislazione, a cui occorre assegnare un ruolo che sia il più efficace possibile, attivando quindi nella fase preliminare, che deve essere più stringente, una interlocuzione mirata tra gli uffici governativi e gli uffici del Comitato per la legislazione. Di questo abbiamo avuto un esempio proprio ieri, un esempio non casuale, ma frutto della mia personale attivazione nei confronti del presidente della Commissione Affari costituzionali e del relatore, a seguito della quale, finalmente, in relazione al disegno di legge in materia di province, la stragrande maggioranza degli emendamenti del Comitato per la legislazione sono stati approvati. Si è trattato di una cosa inusuale, che non si verificava da anni, ma frutto – credo – dell'esercizio della mia personale funzione coercitiva che è consistita nel comunicare loro che eravamo pronti ad intervenire per rimarcare questo aspetto in Assemblea: questa eventualità non è piaciuta e perciò il mio intervento ha prodotto i suoi effetti.
  In questo quadro vorrei tornare, poiché è già stata affrontata, sulla questione della funzione dei pareri del Comitato, che oggi appare debole ed evidenzia delle criticità. Abbiamo bisogno di trasformare questa funzione, non solo rafforzando le condizioni, ma facendo in modo che il lavoro del Comitato sia conosciuto e valorizzato preliminarmente e che rappresenti un contributo non tanto in termini di correttivo dei provvedimenti sui quali il Governo non fa un buon lavoro, ma di realizzazione dell'obiettivo – che credo sia comune – di migliorare la redazione dei testi e le procedure.
  Ringrazio i colleghi per la qualità degli interventi che hanno svolto e ringrazio il signor Ministro che ci ha voluto dedicare uno spazio importante, dandoGli nuovamente la parola perché credo che voglia integrare la sua relazione.

  DARIO FRANCESCHINI, Ministro per i rapporti con il Parlamento e il coordinamento dell'attività di Governo. Grazie Presidente, intervengo molto brevemente per riprendere alcune questioni problematiche che sono state sollevate, che corrispondono a dati reali, e per le quali le soluzioni prospettate mi sembrano convergere in una stessa direzione.
  Riguardo al tema della certezza dei tempi: è vero che, in teoria, il contingentamento di tutti i provvedimenti dovrebbe dare certezza di poter attuare il calendario, ma questa certezza, nei fatti, è vanificata dall'inserimento di decreti-legge che non sono contingentati e che perciò alterano completamente i calendari e dal ricorso da parte del Governo al binomio decreto-legge e questione di fiducia che genera un meccanismo distorsivo – l'ho fatto anche io quando ero all'opposizione – per cui se l'Esecutivo utilizza questo strumento, la difesa dell'opposizione diventa l'ostruzionismo. Sono due anomalie che allungano e rendono indeterminati tutti i tempi, vanificando anche la certezza della data di approvazione di un provvedimento.
  Peraltro, tutto questo deriva da una norma – che personalmente trovo assurda – che è una norma transitoria, inserita nel Regolamento circa venti anni fa, in base alla quale l'unico provvedimento non contingentabile è l'unico che ha una scadenza, cioè il decreto-legge. Tralasciando le considerazioni Pag. 17sull'interesse delle opposizioni e delle maggioranze del momento, occorre dire che non c’è una logica per una norma in base alla quale l'unico provvedimento che scade è l'unico che non si può contingentare. Questa norma, pur essendo transitoria, è tuttora presente nel Regolamento ed è quella che altera tutti i calendari.
  Se a ciò aggiungiamo una certa flessibilità nella costruzione dei calendari dell'Assemblea, che non è una responsabilità di alcuno in particolare, ma è un fatto storico, si arriva alla conclusione che il contingentamento da solo non risolve il problema. Poi c’è la richiesta dei tempi aggiuntivi che viene puntualmente avanzata quasi per ogni provvedimento, quindi è chiaro ed è vero che una risposta potrebbe essere: tutti i provvedimenti sono contingentabili, ivi compresi i decreti-legge, indi si saprebbe con certezza, pur con qualche margine di approssimazione, quando un determinato provvedimento sarà approvato.
  In assenza di questo schema, l'accoglimento della richiesta che io ho fatto, e su cui so che la Giunta per il Regolamento sta ragionando, quella cioè di un percorso privilegiato per alcuni provvedimenti del Governo, quantitativamente limitati nel numero, potrebbe limitare il ricorso all'uso del decreto-legge dando una certezza, che evidentemente deve essere accompagnata da garanzie di inserimento in calendario, con data certa di approvazione, al di là dell'esito del voto, anche per le proposte di legge in quota opposizione. Poiché tra noi ci sono alcuni componenti della Giunta per il Regolamento, che è un organismo tutto parlamentare, apro una parentesi per dire che forse potrebbe essere utile, in questa fase di riforma, un'audizione del Governo perché mi pare che sebbene il tema rientri senz'altro nella sovranità parlamentare, coinvolga anche il Governo.
  Riguardo all'omogeneità dei provvedimenti, credo che questo sia un tema che possa essere parzialmente risolto con la scelta di adottare più decreti-legge, che però creano una complicazione ulteriore rispetto ai calendari e alle regole vigenti. Faccio presente che la Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 22 del 2012, ha affermato un principio molto chiaro: «La urgente necessità del provvedere può riguardare una pluralità di norme accomunate dalla natura unitaria delle fattispecie disciplinate, ovvero anche dall'intento di fronteggiare situazioni straordinarie complesse e variegate, che richiedono interventi oggettivamente eterogenei, afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzate all'unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi a determinare». È per questo che, talvolta, rispettando questo principio, in un decreto-legge ci sono misure urgenti, accomunate dal requisito della comune finalità, che non sono però collegate per materia.
  Aggiungo, perché come sempre le responsabilità sono equamente distribuite, che la conversione dei decreti-legge – se vogliamo essere onesti – non risolve, ma anzi aggrava il problema dell'omogeneità. Spesso un decreto-legge non risponde esattamente ai criteri di omogeneità, ma la legge di conversione non toglie, anzi aggiunge, e aumenta il tasso di eterogeneità. Tanto è vero che c’è un dibattito – anche qui con un criterio diverso di ammissibilità tra Camera e Senato che è tutto da discutere – sulle inammissibilità e la spinta del Parlamento, dei Gruppi parlamentari a far rientrare nel decreto-legge le norme che hanno poco a che fare con la materia del decreto-legge, quindi, insomma, il tema è generale.
  Se andiamo verso un sistema monocamerale, con tutte le distinzioni che ci sono nell'attuare queste indicazioni di principio – però mi pare che tutte le forze politiche condividano questo indirizzo – è chiaro che il sistema monocamerale richiede ulteriori garanzie dal punto di vista della qualità della legislazione, perché in origine il sistema bicamerale garantiva che la seconda Camera correggesse gli errori della prima: non è sempre così, talvolta anzi gli errori si aggravano, però il principio di fondo è che un sistema bicamerale dà più garanzie. Un sistema monocamerale, Pag. 18quindi, con un'unica lettura, richiede assolutamente che sia accompagnato da interventi regolamentari che consentano una lettura e rilettura delle norme poiché poi non è più possibile correggerle.
  Da questo punto di vista penso che il percorso delle riforme costituzionali che spinge verso il sistema monocamerale, che spero vada avanti, debba essere accompagnato da parallele e contestuali riforme regolamentari che introducano molte più garanzie prima dell'approvazione del testo. Per esempio, siccome il monocameralismo dovrebbe dare più velocità all'approvazione delle singole proposte di legge, si potrebbe introdurre una sorta di pausa prima del voto finale dell'Assemblea nella quale ci sia una specie – prendetelo con l'approssimazione con cui lo sto dicendo – di requisito di ammissibilità fatto da un organo, quale il Comitato per la legislazione, che dica, ad esempio, che, con riferimento ad una determinata disposizione, non c’è alcun bisogno di introdurla con una norma di legge, perché la si può tranquillamente inserire nell'ordinamento con un atto amministrativo o regolamentare, oppure che non è ammissibile perché poteva essere attuata con uno dei tanti provvedimenti non regolamentari non attuati, senza ricorrere ad una norma di legge, e questo pulirebbe già i testi. Oppure, ancora, si potrebbe prevedere una «pausa drafting» molto vincolante; quindi non solo il coordinamento formale dei testi, ma una pausa di correzione del testo, senza mutare per nulla la volontà politica e sovrana dell'Aula che, superando il sistema delle note a margine, renda la norma più leggibile o scritta meglio in italiano, come avveniva una volta quando i testi venivano corretti e scritti meglio, senza modificare lo spirito delle norme o la volontà politica.
  Penso che queste cose potranno diventare attuali in fretta se il 2014 verrà utilizzato a questo scopo e ritengo che, una volta di più, l'incrocio fra riforme costituzionali e riforme regolamentari dimostri tutta la sua attualità e la sua urgenza, per cui occorre andare avanti parallelamente e contestualmente. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringrazio ulteriormente tutti i presenti e vi auguro buon lavoro.

  La seduta termina alle 10.30.