Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3
INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEL FENOMENO MIGRATORIO NELL'AREA SCHENGEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE POLITICHE DEI PAESI ADERENTI RELATIVE AL CONTROLLO DELLE FRONTIERE ESTERNE E DEI CONFINI INTERNI
Audizione del Contrammiraglio Nicola Carlone, Capo del III reparto Piani e Operazioni del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia costiera.
Ravetto Laura , Presidente ... 3 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 4 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 4 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 4 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 7 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 7 ,
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Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 7 ,
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Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 7 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 9 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 9 ,
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Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 9 ,
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Ravetto Laura , Presidente ... 12 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 12 ,
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Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 13 ,
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Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 15 ,
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Ravetto Laura , Presidente ... 16 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 16 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 19 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 19 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 20 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 20 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 21 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 21 ,
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Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 21 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 23 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 23 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 23 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 23 ,
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Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 24 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 24 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 24 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 25 ,
Frusone Luca (M5S) ... 25 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 25 ,
Artini Massimo (Misto-AL-TIpI) ... 25 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 25 ,
Arrigoni Paolo ... 25 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 26 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 26 ,
Arrigoni Paolo ... 27 ,
Carlone Nicola , Contrammiraglio ... 27 ,
Ravetto Laura , Presidente ... 27
ALLEGATO: Documentazione consegnata al comitato nel corso dell'audizione ... 29
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA RAVETTO
La seduta comincia alle 8.35.
Sulla pubblicità dei lavori
PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, i processi verbali delle sedute precedenti si intendono approvati.
Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione diretta sulla web.tv della Camera dei deputati.
Audizione del Contrammiraglio Nicola Carlone, Capo del III reparto Piani e Operazioni del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia costiera.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito della nostra indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen, con particolare riferimento alle politiche dei Paesi aderenti relative al controllo delle frontiere esterne e dei confini interni, l'audizione del Capo del III reparto Piani e Operazioni del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia costiera, Contrammiraglio Nicola Carlone, che ringrazio per la presenza.
Come lei saprà, il Comitato Schengen è un Comitato bicamerale; ci occupiamo dell'attuazione dell'accordo di Schengen, ma anche dei flussi migratori e abbiamo aperto un'indagine conoscitiva nell'ambito della quale stiamo facendo delle valutazioni relativamente al ruolo delle ONG a ridosso delle coste libiche. Siamo stati il primo Comitato che ha ascoltato il Procuratore Zuccaro, dopo di lui abbiamo già ascoltato una ONG e abbiamo in programma di audire quasi tutte le ONG presenti, perché a noi hanno risposto tutte, a parte soltanto due, delle quali siamo ancora in attesa, quindi abbiamo un calendario serrato per il futuro.
Dalle audizioni e in particolare dall'audizione della Sea-Eye, l'ONG che abbiamo audito la scorsa settimana, nell'ambito della polemica sul ruolo delle ONG nei nostri mari in relazione alla possibilità che siano un pull factor rispetto allo scafismo e alle dichiarazioni del Procuratore Zuccaro secondo cui potrebbero precludere la possibilità di agire bene nei confronti dei trafficanti perché potrebbero impedire la flagranza degli scafisti non più costretti a mandare dei mediatori accanto ai gommoni dei migranti, non aiutando quindi l'arresto di persone coinvolte in questo traffico di migranti, è emersa questa problematica che differenzia il salvataggio in mare vero e proprio dalla responsabilità sulla decisione del porto di approdo.
Nessuno in questo Comitato, né la sottoscritta, né nessuno dei commissari, si è mai permesso di mettere in discussione o di giudicare le operazioni di soccorso in mare, sappiamo tutti che sono doverose, spettano a tutti, quindi spettano a qualunque imbarcazione si trovi in questa situazione, però hanno anche delle regole chiare, cioè si fanno in alto mare e le persone si portano nel porto vicino più sicuro.
Io non starò a raccontare tutte le situazioni che sono emerse dalla stampa piuttosto che da alcuni video blogger relativamente, per esempio, a situazioni in cui le navi avrebbero dovuto dirigersi verso Zarzis in Tunisia, che dista 90 miglia nautiche dal punto in cui sarebbero stati recuperati i migranti in particolari occasioni, mentre invece sarebbero stati portati in Sicilia, Pag. 4cioè a 250 miglia nautiche, ma sta di fatto che, quando l'abbiamo audita, questa ONG ha dichiarato (rimando al verbale per il dettaglio perché magari non mi esprimerò esattamente come si sono espressi loro, ma gli uffici potrebbero correggermi) che non sono le ONG che decidono il porto di destinazione, ma che sempre si coordinano con il Centro di coordinamento del soccorso marittimo MRCC di Roma.
In particolare, quindi, vorremmo sapere se questo è vero, cioè qual è l'effettiva dinamica quando vi chiamano e se vi chiamano le ONG, in che posizione si trovano quando vi chiamano, se avete o non avete evidenze che le ONG si attengano alle regole delle 12 miglia nautiche di distanza dalle coste libiche, se ci sono stati casi diversi e come vi comportate, se ci spiegate se queste ONG caricano o non caricano i migranti sulle loro imbarcazioni. Anche questo, infatti, ci è stato detto dall'ONG ascoltata, ossia che non li caricano, perché se li caricano abbiamo un'altra domanda. Per esempio ONG che battono bandiera tedesca e che quindi sono coinvolte dal Regolamento di Dublino, e che essendo private e non nell'ambito di accordo di Eunavfor Med, che trovava delle deroghe, e anche Sophia, sarebbero il vero punto di approdo dei migranti, sarebbe quello lo Stato di competenza, quindi sarebbe la Germania nella specie competente alla richiesta di asilo. Se quindi succede che vengano caricati su navi di ONG che battono bandiera di Paesi soggetti al Regolamento di Dublino e cosa succede a quel punto, se li portate comunque nei porti della Sicilia in deroga al Regolamento, se vengono portati sulle navi militari tedesche come potrebbe essere più corretto, essendo competenza di quello Stato come Stato di primo approdo.
I punti quindi sono questi: se avete evidenze di sconfinamenti di unità navali di ONG in acque territoriali libiche e come funziona il coordinamento con voi, se è vero che sono solo i nostri porti la destinazione e come mai Malta non li riceve, se è vero, o comunque non vengono considerati porti sicuri più vicini quelli della Tunisia, se le ONG li caricano sulle loro unità navali e quindi se effettivamente scatta la competenza di altri Stati, e poi come si perimetra questa famosa SAR, questa zona di search and rescue perché immagino abbiate un preciso perimetro di competenza. È mai successo che la Guardia costiera abbia sconfinato in questo perimetro per ragioni di priorità, di situazioni, di coordinamento, e come si può individuare?
Noi la ringraziamo. A fronte di questa discussione nata sui media e in altre Commissioni parlamentari è la prima volta che viene a fare chiarezza in questa sede e le sarò grata se vorrà darci in maniera tecnica tutte le possibilità per comprendere in maniera definitiva questo meccanismo. Grazie.
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Buongiorno a tutti. Signor presidente, onorevoli deputati e senatori componenti del Comitato, desidero in primo luogo porgere i saluti del Comandante generale del Corpo della Capitaneria di Porto-Guardia costiera, Ammiraglio Ispettore Vicenzo Melone.
PRESIDENTE. Mi perdoni infinitamente, ho dimenticato di dirle che la seduta è pubblica, quindi tutto ciò che dichiara è in agenzia e, se ritiene di dover secretare qualunque dichiarazione, me lo chieda. Perdoni l'interruzione.
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. No, grazie, presidente. Vi ringrazio per l'opportunità che ci concedete di fornire questo contributo il più tecnico e il più operativo possibile, quindi scusatemi alcuni tecnicismi. Se il presidente è d'accordo, farò una breve carrellata sul Corpo delle Capitanerie di Porto, da chi dipende e cosa fa, poi entreremo in alcuni dettagli dal punto di vista giuridico, alcuni concetti operativi e poi alcuni elementi di sintesi finale. Mi permetterò di lasciare agli atti questo documento più esteso, con alcuni allegati che descrivono il fenomeno anche dal punto di vista statistico e dei dati reali concernenti il fenomeno.
Come Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia costiera noi svolgiamo diversi compiti, Pag. 5 in particolare nel settore della Blue economy. Noi dipendiamo direttamente e funzionalmente dal Ministero delle infrastrutture e trasporti, in particolare il Comando generale, è vertice di un'organizzazione territoriale e assume quindi come da Regolamento di organizzazione del Ministero il rango di dipartimento. Il Comando generale e gli Uffici marittimi sono disciplinati dal Codice della navigazione e si compone di diverse strutture periferiche, Direzioni marittime, Capitanerie di porto, Uffici circondariali, Uffici locali, Delegazioni di spiaggia.
Il suo bilancio grava su quello del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, quindi tutte le spese inerenti il Corpo, le infrastrutture, le dotazioni, gli assetti aeronavali dipendono da quest'ultimo. In particolare delineo le funzioni amministrative e tecnico-operative assegnate per legge in via esclusiva: comando dei porti, funzione di autorità marittima, sicurezza dell'operatività degli scali portuali, polizia marittima nei porti e sul demanio marittimo, la disciplina degli accosti delle navi, e interfaccia nei porti sul demanio, interfaccia unica nazionale per le formalità di arrivo e partenza delle navi, disciplina dei servizi tecnico-nautici, la direzione tecnica e il coordinamento dell'organizzazione nazionale preposta alla ricerca e al soccorso della vita umana in mare (verrà dettagliato nella parte specifica della parte operativa), disciplina, monitoraggio e controllo del traffico navale, più una serie di competenze legate alla certificazione delle navi, controllo sulle navi di bandiera straniera, autorità per la sicurezza e diverse funzioni amministrative come il personale marittimo, il regime amministrativo delle navi, il diporto, le patenti nautiche.
Inoltre abbiamo anche dipendenze funzionali dal Ministero dell'ambiente, della tutela del territorio e del mare, quindi svolgiamo un'attività di vigilanza e controllo sull'ambiente marino e costiero, siamo responsabili per la risposta, quindi la lotta agli inquinamenti marini, la vigilanza specialistica nelle aree marine protette, altrettante funzioni ispettive per la certificazione e la vigilanza sulle navi di bandiera italiana e straniera, quindi polizia e vigilanza in ambiti demaniali marittimi e portuali per l'applicazione delle norme ambientali.
Abbiamo anche funzioni amministrative e tecnico-operative in materia di vigilanza sull'attività di pesca, acquacoltura, commercializzazione e quindi rivestiamo il ruolo di Centro di controllo nazionale pesca, e lo stesso dicasi per le nostre organizzazioni periferiche.
Il Corpo svolge ulteriori funzioni amministrative e tecnico-operative in dipendenza funzionale da altre amministrazioni, quali il Ministero del lavoro, dei beni e delle attività culturali, sviluppo economico, Dipartimento della Protezione civile, tra le quali una specifica attività legata anche al Ministero degli interni.
Pur non essendo ricompreso tra le forze di polizia a competenza generale, il Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia costiera svolge infatti anche funzioni specialistiche di polizia giudiziaria, secondo l'articolo 1235 del Codice di navigazione e le altre norme speciali, ed esercita poteri di intervento urgente in materia di ordine e sicurezza pubblica nei porti, nelle zone del Demanio marittimo o sulle navi in porto e in navigazione, qualora l'autorità di pubblica sicurezza non possa tempestivamente intervenire.
Mi soffermo sulle funzioni di polizia dirette alla sorveglianza e al controllo delle frontiere marittime, ai sensi dell'articolo 12 del Testo Unico immigrazione e del discendente decreto ministeriale. Il Corpo della Capitaneria di porto-Guardia costiera opera sotto la direzione del Ministero degli interni, Direzione centrale dell'immigrazione delle polizie di frontiera, in sinergia con le forze di polizia in mare e la Marina militare, secondo le modalità di dettaglio disciplinate a livello operativo mediante l'apposito accordo tecnico.
Partecipiamo con proprio personale, mezzi e componente aeronavale anche alle operazioni marittime pianificate dall'Agenzia Frontex, oggi Agenzia per la Guardia di frontiera e costiera europea, sia nel Mediterraneo nell'operazione Triton, sia nelle altre aree con l'operazione Poseidon in Egeo, in quanto a tali attività partecipano Pag. 6non solo le guardie di frontiera, ma anche le guardie costiere nella misura in cui svolgono operazioni di sorveglianza dei confini marittimi e qualsiasi altro compito di controllo delle frontiere.
Grazie alla sua competenza trasversale, partecipa anche alle operazioni cosiddette «multifunzione», pianificate in sinergia tra le varie agenzie europee (Frontex, EFCA per il controllo pesca, EMSA per la sicurezza degli inquinamenti marini). Come vedete, la divisa che porto è quella di un Corpo della Marina militare e quindi esercitiamo in regime concorsuale funzioni di ordine militare nell'ambito del Ministero della difesa ai sensi del Codice dell'ordinamento militare, quindi supportiamo la forza armata in vari compiti che concorrono alla difesa marittima e costiera, a servizi ausiliari e anche alla protezione delle unità navali, installazioni di interesse militare, supporto logistico.
Vado subito agli aspetti giuridici del soccorso in mare, che viene normalmente denominato search and rescue. Per quanto riguarda la ricerca e il soccorso le norme internazionali prevedono obblighi a carico dei comandanti e a carico dei Paesi e dei Governi contraenti. Farò una carrellata di quelle che sono le norme internazionali che disciplinano la materia, in primo luogo la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Montego Bay) o UNCLOS, dispone che ogni Stato esiga che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l'equipaggio e i passeggeri, presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita, proceda quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo se viene a conoscenza del loro bisogno di assistenza, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa.
La stessa convenzione prevede inoltre che tale obbligo possa e debba essere esercitato anche all'interno delle acque territoriali di uno Stato costiero diverso da quello di cui la nave soccorritrice batte la bandiera, prevedendo espressamente l'attività di ricerca e soccorso tra le fattispecie di esercizio del diritto del passaggio inoffensivo all'interno del mare territoriale.
L'altra convenzione che voglio citare è la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974, cosiddetta Convenzione SOLAS, che obbliga il comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se è possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione.
Obbligo principale dei Governi e dei dipendenti Centri di coordinamento del soccorso è invece quello di complementare gli obblighi posti a carico dei comandanti delle navi in mare, assicurando nelle rispettive aree di responsabilità, dette anche regioni SAR, search and rescue region, un'efficiente organizzazione dei servizi SAR attraverso un Centro di coordinamento del soccorso marittimo in grado di gestire le comunicazioni di emergenza e il coordinamento delle operazioni, in modo tale da garantire il soccorso di tutte le persone in pericolo in mare, senza distinzione di nazionalità o status, e senza riguardo alle circostanze in cui esse si trovino.
La Convenzione sul diritto del mare, la Montego Bay, impone ad ogni Stato costiero l'obbligo di promuovere l'istituzione, l'attivazione e il mantenimento di un adeguato ed effettivo servizio di ricerca e soccorso relativo alla sicurezza in mare, e, ove le circostanze lo richiedano, di cooperare a questo scopo attraverso accordi regionali con gli Stati limitrofi.
Ritornando alla Convenzione SOLAS del 1974, si richiede agli Stati parti di garantire che vengano presi gli accordi necessari per la comunicazione di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità del soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste. Tali accordi dovranno comprendere l'istituzione, l'attivazione e il mantenimento di tali strutture di ricerca e soccorso quando esse vengano ritenute praticabili e necessarie. Pag. 7
A questo punto cito la Convenzione internazionale sulla ricerca e soccorso in mare, la cosiddetta Convenzione SAR, che obbliga specificatamente gli Stati parti a garantire che sia prestata assistenza ad ogni persona in pericolo in mare, senza distinzioni relative alla nazionalità, allo status o alle circostanze nelle quali tale persona viene trovata, fornirle le prime cure mediche o di altro genere e trasferirla in un luogo sicuro.
Essa inoltre invita alla cooperazione tra gli Stati allo scopo primario di garantire l'osservanza del principio dell'integrità dei servizi SAR. A tale scopo, infatti, ciascuno Stato costiero dovrebbe individuare e dichiarare formalmente una propria specifica area di responsabilità (come ho detto prima la Search and rescue region), in cui assume l'onere di garantire l'efficiente prestazione dei citati servizi SAR, in modo tale da coprire l'intero globo terracqueo.
Ovviamente, non avendo tutti gli Stati costieri ratificato la convenzione, né provveduto ad organizzare una propria specifica organizzazione SAR allo scopo sempre di tutelare il principio di integrità dei servizi SAR, le discendenti linee guida emanate dall'Organizzazione marittima internazionale, un'agenzia delle Nazioni Unite, in base a quanto espressamente previste dalle citate convenzioni, prevedono (attiro la vostra attenzione su questo concetto) che il primo Centro di coordinamento del soccorso marittimo che riceve notizia di una possibile situazione di emergenza, di ricerca e soccorso ha la responsabilità di adottare le prime, immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l'evento risulti al di fuori dalla propria specifica area di responsabilità. Ciò almeno fino a quando tale responsabilità non venga formalmente accettata da un altro Centro di coordinamento e di soccorso marittimo, in particolare quello competente per l'area o altro in condizioni di prestare una più adeguata assistenza.
PRESIDENTE. Perdoni, ci sono sanzioni per gli Stati che avrebbero la competenza della MRCC e non intervengono? Nella specie Malta ha firmato degli accordi di search and rescue? Come si comporta? Cosa succede se c'è la competenza di un altro Stato? Intervenite voi, c'è una sanzione per chi non è intervenuto?
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Rientra nel concetto delle Convenzioni internazionali, per cui bisogna adire ad arbitrati internazionali, non esiste una capacità coercitiva nei confronti di uno Stato che non attua una convenzione.
PRESIDENTE. Ho chiesto sanzionatorie, infatti....
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. In questo caso bisogna rivolgersi al Tribunale del mare ed eventualmente citare in giudizio...
PRESIDENTE. E che rapporti ci sono con Malta?
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Con Malta su questo ci sono dei rapporti che poi descriverò in dettaglio dopo, c'è una conflittualità in particolare per quanto riguarda l'area di competenza, c'è una sovrapposizione tra l'area italiana e l'area maltese. Per quanto riguarda la gestione del soccorso, è un'autorità di un altro Stato che si assume la responsabilità nel condurre le sue operazioni di soccorso, seguendo le indicazioni della Convenzione. Più tardi darò dei dettagli anche su un altro aspetto che fa la differenza e risponderò alla sua domanda.
Questo meccanismo quindi serve a dare certezza per ciascun navigante, in modo da individuare un'autorità responsabile per il soccorso della vita umana in mare. Vi faccio un esempio semplice: non è detto che una chiamata arrivi ad un Centro di soccorso dell'area di responsabilità, ma attraverso i sistemi di comunicazione satellitare una chiamata dal Mediterraneo può arrivare ad un Centro di soccorso in Norvegia, ad esempio per il Norman Atlantic una delle chiamate di soccorso è arrivata a Bergen, in Norvegia, noi avevamo ugualmente e contemporaneamente la chiamata della nave, però le comunicazioni sono fatte in modo tale che un Centro di soccorso Pag. 8 nel mondo riceva la chiamata e attivi tutte le operazioni, ecco perché il primo Centro che riceve la comunicazione è responsabile di condurre le operazioni.
I servizi di ricerca e soccorso quindi fanno affidamento su qualsiasi nave per qualsiasi ragione presente nell'area interessata. Qui mi riferisco sia a navi governative, incluse quelle militari, sia a quelle mercantili, compresi pescherecci, naviglio da diporto e navi adibite a servizi speciali, per esempio quelle battenti bandiera italiana utilizzate da alcune ONG per le loro finalità SAR. In altre parole su ogni nave che possa utilmente intervenire per il salvataggio della vita umana in mare.
Il mero recupero a bordo della nave soccorritrice delle persone in pericolo e dei naufraghi non determina tuttavia la conclusione delle operazioni SAR, perché le operazioni possono considerarsi terminate solo con lo sbarco di dette persone in un luogo sicuro. Avete spesso sentito parlare di Place of safety o POS, e per tale motivo l'obbligo di individuare detto luogo sicuro in accordo con tutte le altre autorità eventualmente interessate ricade sul Centro di coordinamento del soccorso marittimo, che ha la responsabilità del coordinamento delle operazioni stesse in accordo con tutte le altre autorità governative interessate.
Riguardo allo specifico scenario del Mediterraneo centrale, occorre aggiungere che la Libia e la Tunisia hanno ratificato la Convenzione di Amburgo o SAR del 1979, ma non hanno finora provveduto né a dichiarare formalmente quale sia la loro specifica area di responsabilità SAR, per la quale si impegnano ad assicurare un'organizzazione in grado di garantire efficienti servizi SAR, né a costituire detta specifica organizzazione in conformità ai criteri previsti dalla normativa internazionale. In particolare, tutta la vastissima area del Mar Libico a sud dell'area SAR posta sotto responsabilità maltese fino al limite delle acque territoriali libiche non risulta posta sotto la responsabilità di alcuno Stato, e conseguentemente di alcuna specifica organizzazione SAR.
Questa situazione fa sì che, in base a quanto precedentemente accennato, la responsabilità di assumere il coordinamento delle operazioni di soccorso in questa vastissima area ricade inevitabilmente nel primo Centro di soccorso del coordinamento marittimo che abbia notizia di un potenziale evento occorrente in detta area, ma di ciò si parlerà più dettagliatamente nel capitolo relativo all'attività operativa.
Per quanto riguarda in particolare l'organizzazione italiana, fra le funzioni assegnate dalla legge in via esclusiva al Corpo sono previste la direzione tecnica e il coordinamento dell'organizzazione nazionale preposti alla ricerca e al soccorso della vita umana in mare, compiti storicamente attribuiti al Corpo con gli articoli 69, 70 e 830 del Codice della navigazione del 1942 e dal DPR 662 del 1994.
Con la legge 147 del 1989 l'Italia ha ratificato la Convenzione di Amburgo del 1979 sul soccorso marittimo e con il DPR 662 del 1994 ne ha dato esecuzione stabilendo che il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti è l'autorità nazionale responsabile dell'esecuzione della Convenzione, il Comando generale del Corpo della Capitaneria di porto-Guardia costiera è l'organo nazionale che assicura il coordinamento generale dei servizi di soccorso marittimo nell'area di responsabilità individuata dal DPR 662 e che esercita la direzione tecnica del dispositivo SAR nazionale.
Il Ministro delle infrastrutture e trasporti ha delegato il Comandante generale del Corpo delle Capitanerie di porto all'esecuzione del Piano nazionale per il SAR marittimo, mentre l'organizzazione nazionale comprende gli uffici marittimi appositamente attrezzati allo scopo, il personale e gli assetti aeronavali specializzati del Corpo dislocato lungo l'arco degli 8.000 chilometri di costa nazionali, i quali costituiscono la cosiddetta «maglia SAR», ovvero l'insieme di strutture, uomini e mezzi specializzati nell'attività di ricerca e soccorso, nonché nel coordinamento di tutte le risorse disponibili pubbliche e private.
Concorrono infatti a tali attività i mezzi di tutte le altre amministrazioni dello Stato inserite nel citato Piano nazionale SAR, nonché qualsiasi altro mezzo militare o civile di qualsiasi bandiera che sia comunque Pag. 9 in condizione di prestare utile assistenza. Quali sono gli organismi di coordinamento dislocati a livello sia centrale che periferico? Il Maritime Rescue Coordination Centre, il Centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo ubicato a Roma, all'EUR, presso la sede del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto, 15 sotto-centri di soccorso a livello di Direzione marittima e 100 unità costiere di guardia normalmente a livello di compartimento e circondario marittimo.
La responsabilità di ciascun elemento di detta organizzazione è affidata a personale del Corpo, consacrando il concetto di capillarità, vero presidio di risposta sul territorio, che è pertanto forza, energia, risorsa efficace ed efficiente su circa 500.000 chilometri quadrati che, come si è detto, costituiscono l'intera area di responsabilità SAR nazionale affidata al Corpo.
Un accenno per quanto riguarda l'aspetto sanzionatorio previsto a livello nazionale. Chiunque sia in grado di prestare assistenza ad una persona o ad una nave in pericolo ha l'obbligo giuridico di intervenire senza indugio, per cui l'ingiustificata omissione costituisce reato ai sensi degli articoli del Codice della navigazione, a prescindere ovviamente da eventuali, ulteriori responsabilità che siano ritenute conseguenti a tale inazione (omicidio e naufragio colposo).
Search and rescue e controllo delle frontiere marittime. Per quanto riguarda l'attività di polizia preposta al controllo delle frontiere marittime e i suoi rapporti con l'attività SAR occorre evidenziare che in mare i controlli di frontiera (border checks) vengono di norma effettuati non già al limite delle acque territoriali, bensì all'arrivo delle navi in un porto, cosiddetto «valico di frontiera», ovverosia ove è presente un ufficio di polizia di frontiera marittima, questo ai sensi del regolamento 562 del 2006, cosiddetto «codice Schengen», mentre in mare vengono in genere effettuate attività di sorveglianza e controllo preventivo, al fine di prevenire attraversamenti clandestini finalizzati ad aggirare o eludere i controlli di frontiera.
Ulteriore differenza è che le zone di cosiddetto «altomare» sono considerate acque internazionali, ovvero non soggette alla giurisdizione di alcuno Stato, pertanto le navi che vi transitano sono soggette esclusivamente alle leggi e alla giurisdizione dello Stato di cui battono la bandiera, ai sensi dell'UNCLOS. Ne discende pertanto che in mare, a differenza di quanto avviene a terra, difficilmente si hanno confini contigui, in cui si passi direttamente dalla giurisdizione di uno Stato a quella dello Stato confinante.
In questo quadro di situazioni occorre infine considerare che l'applicazione in mare del divieto di respingimento collettivo e generalizzato, il cosiddetto «principio di non-refoulement», sancito da varie norme internazionali ed europee, di persone che potrebbero avere diritto allo stato di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, collegata alla normativa europea, comporta che una nave intercettata mentre trasporta migranti irregolari verso uno Stato costiero europeo, che non risulti soggetta alla giurisdizione di alcuno Stato perché non formalmente iscritta e quindi priva di bandiera e di equipaggio regolarmente imbarcato, non possa essere respinta in mare, salvi casi particolari, ma debba necessariamente essere scortata in porto per i successivi accertamenti di polizia di frontiera.
PRESIDENTE. Scusi, se non c'è nessuna bandiera su questa nave?
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Sì.
PRESIDENTE. Quindi un'ONG con una bandiera di uno Stato specifico non è soggetta a questa regola, è corretto?
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Stavo parlando della nave che trasporta illegalmente...
PRESIDENTE. Perfetto. Per me sarà importante capire se le ONG caricano i migranti e quindi, se dovessero caricare i migranti, non sono soggette a queste regole nei confronti della Guardia Costiera.
Pag. 10 NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Risponderò a questo dopo per quanto riguarda Dublino. Per di più se detta nave o imbarcazione risulti in una situazione di pericolo anche solo potenziale, per cui si debba temere per la salvaguardia delle vite umane in mare, l'obbligo di assistenza previsto dalle citate norme internazionali e nazionali impone in ogni caso di provvedere prima di tutto al soccorso ed al trasporto delle persone in un luogo sicuro di sbarco. Tutto ciò è ripetutamente sancito in varie disposizioni normative internazionali e nazionali (cito il Protocollo di Palermo, il Regolamento 656 del 2014 per le operazioni Frontex, il decreto legislativo 286 del 1998 sul Testo Unico dell'immigrazione e il DM del 2003).
In mare, pertanto, è di norma preclusa la possibilità di una formale valutazione e attestazione o meno dello status di rifugiato o di richiedente asilo, e comunque le attività dirette alla salvaguardia della vita umana in mare hanno per legge assoluta priorità su qualsiasi altra attività.
È pertanto logico che le organizzazioni criminali dedite al traffico e alla tratta cerchino di sfruttare a loro vantaggio ogni strumento possibile, ad esempio imbarcando i migranti a volte a forza e contro la loro volontà su imbarcazioni fatiscenti e comunque altamente insicure, senza bandiera perché non registrate in alcuno Stato, prive di un equipaggio professionale e delle più elementari dotazioni di sicurezza, nonché palesemente instabili perché sovraccariche.
In tal modo da un lato hanno un risparmio di costi e dall'altro hanno la certezza che le competenti organizzazioni di uno Stato civile, che siano di polizia o no, non potranno respingere dette imbarcazioni, a meno di non volersi assumere la responsabilità penale e morale di un probabile naufragio.
Sebbene questo modus operandi presenti varianti nel tempo in relazione alle varie direttrici di flusso e alle diverse organizzazioni criminali che le gestiscono, questo non rappresenta affatto una novità, ma è stato utilizzato anche in passato, ad esempio quando, a partire dall'anno 2000, è stato avviato un flusso migratorio (per lo più profughi curdi dalla Turchia verso le coste italiane della Puglia) utilizzando vecchie navi mercantili ormai destinate alla demolizione; queste venivano abbandonate alla deriva in prossimità delle acque territoriali italiane, dopo averne messo fuori uso l'apparato motore.
Una tecnica simile è stata poi ripresa nel periodo tra la fine del 2014 e l'inizio del 2015 sempre dalla Turchia, ma il flusso riguarda prevalentemente profughi siriani con l'ancora più pericolosa variante che le navi venivano abbandonate in alto mare dall'equipaggio iniziale, per evitare un eventuale arresto da parte dei vari assetti navali ed europei che in quel periodo operavano nel Mediterraneo centrale, e soprattutto dopo aver manomesso l'apparato motore in modo che la nave proseguisse la sua navigazione senza controllo verso le coste italiane.
Il caso più famoso è forse quello della motonave Blue Sky-M, che il Centro di soccorso di Roma dovette coordinare quasi contestualmente alle altrettanto difficili operazioni di soccorso alla motonave Norman Atlantic, in fiamme nel Canale d'Otranto, tra la fine del 2014 e i primi del 2015. Un Boarding Team elitrasportato dalla Guardia costiera riuscì a fermare a poco più di un miglio (1800 metri) prima che si schiantasse contro le scogliere di Santa Maria di Leuca.
Per quanto riguarda i diversi flussi provenienti dalle coste libiche, al momento esclusivamente dalla Tripolitania, la presenza di un maggior numero di navi in prossimità delle acque territoriali di quel Paese, non più solo navi mercantili in transito come una volta, ma anche navi militari italiane ed europee più o meno stabilmente presenti nell'area, come pure le navi finalizzate al soccorso quali quelle delle varie ONG, come anche la forte azione di contrasto per la distruzione dei cosiddetti «barconi», imbarcazioni da trasporto motopesca in legno capaci di trasportare un maggior numero di migranti, anche oltre 700 persone, condotta dalle varie unità governative italiane e di altri Paesi europei partecipanti all'operazione militare ed umanitaria Pag. 11 Mare Nostrum prima, e successivamente all'operazione militare Sophia di Eunavfor Med e all'operazione Triton di Frontex, nonché dalle unità maggiore della Guardia costiera italiana e di altre forze di polizia che hanno operato anche al di fuori di dette operazioni, sono sicuramente tra i fattori che possono aver indotto le organizzazioni criminali ad un maggiore impiego di imbarcazioni di più facile reperibilità e di minor costo.
In passato i barconi partivano prevalentemente dalla zona di Zuara, quella più vicina al confine tunisino, tra l'altro flusso oggi completamente chiuso perché si è spostato a Sabratha.
Appare infine opportuno accennare a due eventi di qualche anno fa che, sebbene entrambi avvenuti al di fuori dell'area SAR di responsabilità italiana (e qui, presidente, vengo alla sua domanda), hanno comportato il coinvolgimento dell'organizzazione nazionale di ricerca e soccorso in relazione all'accusa di responsabilità omissiva solo per il fatto che al Centro di soccorso italiano era pervenuta la prima notizia o richiesta di aiuto.
Il primo di tali eventi che appare utile rammentare è relativo all'affermato mancato soccorso ad un gommone partito nei pressi di Tripoli la notte tra il 26 e il 27 marzo 2011 e successivamente spiaggiato a Zliten, in Libia, dopo quasi due settimane, essendo rimasto alla deriva dopo che le prime richieste di aiuto erano pervenute al Centro di soccorso di Roma, al Comando in capo della Marina militare e al Comando NATO di Napoli tramite il noto prete eritreo Mussie Zerai, meglio conosciuto come don Zerai o don Mosè, cosa che avrebbe determinato l'asserito decesso di 63 delle 72 persone presenti a bordo, tra cui donne e bambini.
Tale evento, sebbene – si ribadisce – non abbia mai interessato acque di responsabilità SAR italiane o maltesi, essendosi verificato in una zona di mare distante circa 60-70 miglia dalle coste libiche, ha originato una famosa indagine condotta nel 2011 dall'europarlamentare olandese, onorevole Tineke Strik, su incarico ricevuto dalla Commissione sulla migrazione dell'Assemblea del Consiglio di Roma, conclusasi con il cosiddetto «Rapporto Strik» (Lives lost in the Mediterranean Sea: who is responsible?, Vite perdute nel Mediterraneo: chi è il responsabile?), il quale, dopo aver censurato in particolare l'operato della NATO (quella zona di mare in quel periodo era sotto il diretto controllo militare della NATO impegnata in un'operazione militare contro la Libia in esecuzione di alcune risoluzioni ONU, nonché dalla Marina militare e dalla Guardia costiera italiana) termina con la seguente affermazione: «senza ombra di dubbio ci sono responsabilità precise, ma anche delle lacune dal punto di vista giuridico e delle prassi in quanto al soccorso in mare».
Ciò ha successivamente originato anche un contenzioso civile tra alcuni dei superstiti di quell'evento (Halofom Girmi ed altri), che hanno citato in giudizio presso il Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della difesa e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per il risarcimento dei danni patrimoniali e non, derivanti dall'asserito omesso soccorso. La causa è ancora in corso ed il suo esito definitivo rappresenterà un elemento da cui difficilmente si potrà prescindere per tutte le valutazioni future.
Il secondo evento che ritengo significativo al riguardo è il cosiddetto «caso Jammo», che fa riferimento al naufragio occorso nell'area di responsabilità SAR maltese il giorno 11 ottobre 2013, che causò la morte presunta di 268 persone. Solo 26 corpi furono però recuperati insieme ad oltre 200 sopravvissuti, tra i quali 60 bambini, per lo più migranti siriani partiti dalla Libia, tra i quali due figlie del signor Mohamad Jammo, primario dell'Unità di terapia intensiva e anestesia del Ibn Roshad Hospital di Aleppo.
In relazione all'evento sono tuttora indagati alcuni ufficiali della Marina militare e del Corpo delle Capitanerie di porto, il personale in servizio presso il Centro di soccorso di Roma, ai quali viene contestato il reato di omissione di soccorso e omicidio colposo, nonostante anche in questo caso l'evento sia avvenuto interamente, come si Pag. 12è detto, nell'area di specifica responsabilità maltese, e la responsabilità del coordinamento delle operazioni fosse stata formalmente ed inequivocabilmente assunta dalla competente autorità maltese, il Centro di soccorso di Malta.
Ciò per il fatto che il Centro nazionale di soccorso italiano sarebbe stato il primo Centro di soccorso al quale è pervenuta la richiesta di soccorso, richiesta peraltro prontamente girata alle autorità maltesi dal personale di servizio, come previsto dalle procedure SAR, unitamente a tutte le informazioni a disposizione, in quanto il naufragio è avvenuto in un punto più vicino alle coste italiane che a quelle maltesi. Da notare peraltro che le autorità maltesi hanno richiesto la collaborazione delle autorità SAR italiane solo successivamente, quando ormai era troppo tardi.
PRESIDENTE. Scusi, però qui era un evento di maggiore vicinanza alle coste italiane rispetto alle coste maltesi. Se fosse stato più vicino alle coste maltesi io posso escludere, perché come legale ne sarei veramente sorpresa, che non ci fosse perlomeno una corresponsabilità di Malta, perché non credo che basti dire che è sufficiente telefonare per primo al responsabile se uno ha una barca di migranti che gli muore davanti, a ridosso delle coste dello Stato; almeno una corresponsabilità dello Stato che li lascia morire davanti ci deve essere, altrimenti è come dire che se trovo una persona che mi muore davanti a 2 centimetri però telefono al commissario per avvertirlo, lui è responsabile, anche se magari è a tre ore di macchina per salvarlo, mentre io, anche se mi muore davanti, non sono responsabile!
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Presidente, non possiamo intaccare l'organizzazione SAR, la convenzione vuole certezza, la convenzione disciplina espressamente le responsabilità. Non l'ho detto prima, ma la Convenzione sul diritto del mare dà dei diritti agli Stati, la Convenzione sulla ricerca e soccorso dà dei doveri, il dovere di soccorrere. Se io dichiaro un'area, devo avere la capacità di intervenire nell'area di cui ritengo di essere responsabile.
In quel caso l'area dove avveniva la richiesta di soccorso era area di responsabilità maltese, quindi il Centro di soccorso responsabile era l'autorità maltese, però vediamo oggi un'indagine portata avanti in Italia per aver ricevuto la chiamata. Tra l'altro, quel giorno c'erano circa 23 operazioni di soccorso contemporaneamente, quindi in quel caso l'assunzione di responsabilità da parte del maltese... lui ha assunto la responsabilità, quindi il meccanismo del soccorso è stato mantenuto integro, però, come vede, il fatto di aver ricevuto la prima chiamata non esime purtroppo dal portare avanti un'indagine nei confronti di chi ha ricevuto la chiamata.
Questo conferma ancora una volta che aver ricevuto la prima chiamata dà la responsabilità dell'attivazione dell'operazione di soccorso, ma che comunque deve poi essere assunta da un altro che porta avanti l'operazione con la responsabilità, quando questo non avviene, a maggior ragione rimane nella responsabilità del primo che ha ricevuto la chiamata.
PRESIDENTE. Questo è chiarissimo, e vi ringrazio per il vostro lavoro, ma il tema è un altro: non credo si possa escludere la corresponsabilità dello Stato che aveva il perimetro di competenza, quindi la mia domanda è se sia stata aperta un'inchiesta solo nei confronti dell'Italia o anche nei confronti di Malta che, a quanto lei ci spiega, aveva quella competenza e non è intervenuta solo perché voi siete stati chiamati per primi, perché altrimenti sarà un circolo vizioso che porteremo avanti per secoli.
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Allora, a me non risulta che Malta abbia avviato un'inchiesta su questo soccorso...
PRESIDENTE. La mia domanda è: il Governo italiano come si comporta in questi casi? Si apre un file nei confronti del nostro Governo per potenziali omissioni? Il nostro Governo chiede un accertamento di corresponsabilità dei soggetti o degli Pag. 13Stati che avevano l'area di competenza SAR? Questa è la mia domanda.
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. In questo caso si rientra nella competenza dell'autorità giudiziaria, quindi credo che sia più una questione giuridica...
PRESIDENTE. Sarà bene accertare se anche lo Stato italiano fa presente queste cose. È comunque interessante, abbiamo capito una cosa non indifferente, è un punto determinante. Grazie.
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Ricordo anche altri tragici naufragi. Avete visto di recente la fiction I fantasmi di Portopalo, parliamo del Natale 1996, quindi questo evidenzia come la quasi totalità degli intercetti operati in mare dagli organi di polizia (Frontex, unità militari incluse) soprattutto per i flussi provenienti dalla Libia per i noti problemi di stabilità politica e istituzionale di quel Paese, comporti inevitabilmente un'attività di search and rescue e venga pertanto svolta sotto il coordinamento operativo di un Centro di soccorso, di norma quello italiano e quindi della Guardia costiera.
Le attività più propriamente di polizia di frontiera vengono pertanto svolte successivamente allo sbarco, che possibilmente deve avvenire in un luogo sede di hotspot, dove gli organi del Ministero dell'interno, supportati dall'agenzia Frontex e dagli altri organismi interessati, possano garantire più facilmente i controlli di polizia, sanitari e umanitari previsti dalla normativa nazionale ed europea.
Tale situazione è peraltro resa evidente anche dal fatto che l'articolo 4 dell'ultimo Regolamento europeo del 2016, quello costitutivo dall'Agenzia della guardia di frontiera e costiera europea, prevede espressamente che nel corso delle operazioni di controllo delle frontiere marittime le attività SAR continuino comunque ad essere avviate e condotte in conformità a quanto previsto dal precedente Regolamento 656 del 2014, ovverosia in conformità alle norme di diritto internazionale sulla ricerca e soccorso, quindi sotto il coordinamento del competente Centro di coordinamento del soccorso marittimo nazionale.
Come dirò meglio più avanti trattando gli aspetti operativi, la contestuale e coordinata presenza nell'area operativa di interessi e di mezzi deputati alle attività di polizia e sicurezza e di mezzi dedicati al SAR consente di controllare la quasi totalità dei flussi provenienti dalle coste libiche (tengo a precisare che nessuno arriva in Italia non identificato) evitando pertanto i cosiddetti «sbarchi clandestini e incontrollati», che invece continuano saltuariamente lungo altre direttrici di flusso (ieri il procuratore di Siracusa ha citato alcuni flussi provenienti dall'area orientale, come anche alcuni eventi sull'area occidentale in Sardegna e in Sicilia) dove non sono attivi dispositivi navali stabilmente operanti in alto mare, ma unicamente attività di pattugliamento programmato nell'ambito dell'operazione Triton di Frontex.
Un più stretto coordinamento tra le due attività consente inoltre di anticipare alcune attività investigative, che altrimenti potrebbero essere effettuate solo successivamente allo sbarco.
Per concludere i cenni sul quadro normativo, occorre infine soffermarsi sulla particolare situazione della Libia, che dopo la caduta del regime di Gheddafi nell'ottobre 2011 è precipitata in una situazione di crisi istituzionale e di sostanziale anarchia, che tra l'altro ha favorito la nascita di un'economia illegale, basata anche sulla tratta e sul traffico di migranti (alcune fonti parlano addirittura del 16 per cento del PIL nazionale).
Manca un Governo centrale ma speriamo che le notizie di questi giorni ci aiutino, la fotografia oggi in prima pagina de Il Messaggero con il titolo «È la nuova alba per la Libia», quindi ci potrà dare un nuovo scenario. Il problema è soprattutto terrestre, perché la presenza di molteplici tribù e clan concentra i flussi migratori verso l'Europa, tra l'altro in Libia l'immigrazione clandestina è un reato punito con la detenzione a tempo indeterminato, quindi vengono detenuti in centri molto famosi, inoltre, favorisce le attività di organizzazioni criminali che operano indisturbate, Pag. 14potendo contare a livello locale sulla protezione di tribù o clan di riferimento.
La complessità della situazione è ben dettagliata nei periodici rapporti redatti dall'OIM. In passato, in Libia c'erano anche 2,5 milioni di migranti, attualmente sono rimasti 1 milione, ma molti di loro erano lì per lavorare, non per partire. La situazione del Paese ha spinto purtroppo a fuggire, quindi ha messo in piedi tutta questa organizzazione criminale, che ha portato al fenomeno che conosciamo.
Il problema che noi riscontriamo ultimamente è anche il rapporto con le autorità libiche; in questo momento abbiamo un'attività aperta con una delle Guardie costiere (in Libia ci sono due Guardie costiere, una appartiene alla Marina militare, l'altra appartiene al Ministero dell'interno), abbiamo contribuito sotto l'operazione Sophia alla formazione basilare della Guardia costiera militare e la polizia di sicurezza.
Siamo stati invitati dalla Commissione europea, dalla DG HOME e dall'External Action Service e successivamente, attraverso la dichiarazione dei Capi di Stato e di governo di Malta del 3 febbraio, a guidare un progetto di cooperazione con la Guardia costiera militare libica, affinché detto Paese provveda a definire e dichiarare formalmente una propria area di responsabilità SAR ed una propria organizzazione SAR, sotto il coordinamento di un proprio Centro nazionale di coordinamento del soccorso in mare, in conformità ai requisiti previsti dalla normativa internazionale. La prima fase del progetto è in fase di avvio, ma auspichiamo di poterlo completare entro il 2018, il tutto ovviamente è legato alla stabilizzazione del Paese.
PRESIDENTE. Ma siete ottimisti?
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Dopo la foto di oggi sì, credo che la foto di oggi ci debba spingere all'ottimismo, ogni tanto una luce in fondo al tunnel... non c'è altra soluzione perché la situazione è quella che è, però speriamo bene.
Coloro con i quali siamo in contatto ultimamente ci danno delle risposte, stanno dimostrando una certa capacità di intervento e quelli che sono in Italia e in Tunisia hanno chiesto i mezzi all'Europa e ci sarà sicuramente un aiuto, hanno chiesto i mezzi anche ad altre nazioni, quindi la disponibilità di mezzi sembra esserci.
Veniamo all'aspetto più volte richiamato del luogo sicuro di sbarco. Come si è già accennato, l'individuazione di un idoneo luogo sicuro, in inglese place of safety abbreviato in POS, è un'operazione complessa, rientrante nella responsabilità primaria del Centro di soccorso che coordina le operazioni di soccorso, ma che coinvolge necessariamente una serie di attori, ognuno dei quali ha obblighi particolari ai sensi del diritto internazionale marittimo, nonché di altre disposizioni di diritto internazionale che non riguardano direttamente il SAR, come ad esempio la Convenzione sui diritti dell'uomo e dei rifugiati.
Anche quando l'operazione di soccorso in mare delle persone bisognose di assistenza è stata portata quasi a compimento, possono insorgere problemi per ottenere il consenso di uno Stato diverso da quello al quale appartiene il suddetto Centro di soccorso, allo sbarco sul suo territorio delle persone soccorse, in particolare quando sia evidente trattarsi di migranti.
Per tale motivo, a seguito del noto caso che vide coinvolta la nave porta container norvegese Tampa respinta dai porti australiani dopo aver soccorso in mare un gruppo di migranti, gli Stati membri dell'Organizzazione marittima internazionale nell'anno 2004 hanno adottato appositi emendamenti a due importanti convenzioni marittime internazionali già citate, che disciplinano la materia, le convenzioni SOLAS e SAR. Ciò allo scopo di assicurare che all'obbligo del comandante della nave di prestare assistenza faccia da necessario complemento l'obbligo degli Stati di coordinare le operazioni e fornire ogni possibile assistenza alla nave soccorritrice, liberandola quanto prima dall'onere sostenuto in adempimento del dovere di soccorso.
In particolare, tali emendamenti e le discendenti linee guida emanate dall'IMO hanno stabilito l'obbligo per lo Stato cui appartiene il Centro di soccorso che per primo abbia ricevuto la notizia dell'evento Pag. 15o che comunque abbia assunto il coordinamento delle operazioni di soccorso di individuare sul proprio territorio un luogo sicuro ove sbarcare le persone soccorse, qualora non vi sia la possibilità di raggiungere un accordo con uno Stato il cui territorio fosse eventualmente più prossimo alla zona dell'evento.
Risulta pertanto evidente che una nave con centinaia di persone a bordo non possa essere abbandonata alla deriva, per di più priva delle più elementari condizioni di sicurezza, sovraccarica, senza un equipaggio professionale, né idonee attrezzature e strumenti di navigazione. Un tale comportamento infatti metterebbe a rischio non solo la vita dei migranti, ma anche la sicurezza della navigazione in genere (vedasi in particolare, come in precedenza accennato, l'allarme generato negli anni a partire dal 2000, ma soprattutto tra il 2014 e l'inizio del 2015 con le navi provenienti dalla Turchia).
Ciò indipendentemente dal fatto che in una situazione di potenziale pericolo per la vita umana in mare si è in presenza di una situazione che impone di adempiere prioritariamente all'obbligo universalmente riconosciuto di prestare immediata assistenza e far sbarcare quanto prima dette persone in un luogo sicuro.
PRESIDENTE. Scusi, io ho una domanda: lei ci sta dicendo che lo Stato che per primo riceve la chiamata per individuare dei migranti in difficoltà deve individuare sul proprio territorio, perché ne ha la responsabilità, il porto sicuro. Lei prima ci ha parlato di un caso in cui la Norvegia ricevette la chiamata, quindi lei ci sta dicendo che, se domani la telefonata fosse fatta dall'altra parte del globo e fossimo in quelle acque territoriali, uno Stato sarebbe competente sul suo territorio a far arrivare la nave.
A me sembra un po’ strano, nel senso che lo comprendo se il Paese che riceve per primo la chiamata è nelle vicinanze, ma una persona che è a tre ore di macchina non può essere competente per salvare uno che è a un secondo da tantissime altre persone! Non è possibile che questo principio della prima chiamata risulti non prevalente rispetto ai criteri di buonsenso, cioè il porto vicino più sicuro, perché il rischio è far morire i migranti solo perché bisogna responsabilizzare quello che ha ricevuto prima la chiamata, che magari è il più distante.
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Aggiungiamo l'altro tassello: alla prima chiamata, se viene assunta la responsabilità da un altro Centro di coordinamento, il coordinamento passa all'altro centro.
PRESIDENTE. Allora arriviamo lì: se Malta è più vicina alla nave dei migranti, anche se l'Italia ha ricevuto per prima la chiamata, l'Italia chiama Malta e cosa fa Malta, dice «no, non li prendo»?
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Sì.
PRESIDENTE. Allora è questo il punto!
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Noi ogni volta che riceviamo la chiamata di soccorso informiamo i Centri di soccorso vicini, anche perché adesso le do un altro elemento legato a Malta...
PRESIDENTE. Quindi anche la Tunisia dice no...
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Sì, anche la Tunisia. Poi vi rappresenterò anche il caso in cui noi abbiamo chiesto lo sbarco appositamente in Tunisia e per due volte è stato rifiutato. Questo è avvenuto circa un mese fa.
La normativa SAR internazionale prevede che tutte le questioni che non riguardano il SAR in senso stretto relative allo stato giuridico delle persone soccorse, alla presenza o meno dei prescritti requisiti per il loro ingresso legittimo nel territorio dello Stato costiero interessato o per acquisire il diritto alla protezione internazionale debbano di norma essere affrontate e risolte solo a seguito dello sbarco in un luogo sicuro e non debbano causare indebiti ritardi allo sbarco delle persone soccorse e Pag. 16alla liberazione della nave soccorritrice dall'onere assunto.
In tale quadro normativo, pertanto, non vi è dubbio che il fenomeno migratorio via mare comporti problematiche specifiche, che investono anche la conduzione delle operazioni di soccorso, ancorché queste, come si è detto, debbano prescindere dallo status delle persone in pericolo, con particolare riguardo all'individuazione di un idoneo luogo sicuro per lo sbarco delle persone soccorse. È infatti vero che si è in presenza di un'operazione di soccorso anche quando è ben noto che la situazione di pericolo è volontariamente provocata dalle organizzazioni criminali che gestiscono la tratta e il traffico di migranti sulla pelle di questi ultimi.
Ieri ci hanno rubato la nostra frase, se il piromane chiama i vigili del fuoco non significa che il vigile del fuoco non intervenga perché l'ha chiamato il piromane, quindi l'intervento in questo caso è doveroso.
PRESIDENTE. Chi vi ha rubato la frase?
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Non glielo dico. È però altrettanto vero che tale volontarietà, unitamente alla frequenza con cui si verificano gli eventi e quindi gli interventi di soccorso, nonché l'elevato numero delle persone che occorre soccorrere e trasportare in relazione ad ogni singolo evento con la seguente necessità di disporre nei luoghi di sbarco in apposito complesso il servizio di assistenza sanitario e di ordine pubblico, travalica l'ordinario quadro normativo per cui la responsabilità del soccorso in mare è affidato ai singoli Stati.
A ciò si aggiungono le ancora più rilevanti problematiche dell'accoglienza successiva allo sbarco, che pertanto attengono non ad aspetti che riguardano la normativa SAR, bensì alla normativa nazionale ed europea sul controllo dei flussi migratori. Sono proprio queste problematiche ad influenzare maggiormente i diversi comportamenti degli Stati nelle modalità di gestione dei flussi migratori via mare, in particolare nell'applicazione della normativa e delle procedure SAR. È per tale motivo che, dopo aver analizzato la problematica nell'ambito di una riunione, in un High level interagency meeting nel marzo 2015 indetta dall'IMO anche su nostra iniziativa, alla quale hanno partecipato tutte le principali agenzie delle Nazioni Unite, i rappresentanti di tutti gli Stati hanno convenuto che non sussista la necessità di modificare la normativa SAR, ma occorra invece agire sotto altri profili che esulano dal quadro di detta normativa.
È infatti apparso evidente che si è in presenza di un fenomeno umanitario epocale, peraltro non più emergenziale ma strutturale, che non può pertanto essere affrontato e rimanere a carico dei singoli Stati, richiedendo necessariamente un concreto intervento della comunità internazionale.
Per quanto riguarda l'Unione europea è noto che il principale elemento condizionante il modo di gestire la situazione in mare risulta rappresentato dal Regolamento di Dublino, il quale impone allo Stato europeo dove avviene il primo ingresso dei migranti irregolari di farsi carico non solo di determinarne l'esatto status, in particolare quello di potenziale rifugiato o non, ma anche, salvo casi limitati, della loro accoglienza e dell'eventuale rimpatrio nei Paesi di origine, qualora siano riconosciuti non avere titolo a protezione internazionale con tutti i rilevanti oneri economici e sociali conseguenti.
È per tale motivo che tutti gli Stati si dichiarano disposti ad ottemperare ed eventualmente concorrere all'obbligo di soccorso in mare, peraltro generalmente riconosciuto anche in via consuetudinaria dal diritto internazionale, ma operano poi dei distinguo quando potrebbero essere coinvolti nella responsabilità del coordinamento delle operazioni SAR e quindi nell'individuazione sul proprio territorio di un luogo sicuro ove sbarcare le persone soccorse.
Il Governo responsabile della missione Search and rescue in cui le persone soccorse sono state recuperate ha infatti la responsabilità di provare a individuare detto luogo sicuro o comunque di dare assicurazione che tale luogo sicuro sia fornito in Pag. 17accordo con tutte le altre autorità nazionali e non eventualmente interessate. Per un Paese europeo perciò accogliere a terra le persone soccorse in ottemperanza alla normativa SAR comporta anche i conseguenti obblighi ed oneri previsti dal citato Regolamento di Dublino.
A questo punto, però, un osservatore attento potrebbe rilevare che non vi dovrebbe essere nessuna differenza tra un'operazione SAR e un'operazione di polizia diretta al controllo delle frontiere esterne europee, in quanto, in applicazione del principio di non-refoulement nonché del Regolamento europeo che disciplina le operazioni Frontex e dal discendente piano operativo, anche le persone che fossero ritenute non in pericolo e quindi intercettate in mare e non soccorse dovrebbero comunque essere portate a terra nel territorio del Paese che ospita la specifica operazione nazionale ed europea: l'Italia per quanto riguarda l'operazione Triton, la Grecia per quanto riguarda l'operazione Poseidon, la Spagna per l'operazione Indalo.
In realtà, la differenza risiede nel fatto che l'obbligo del SAR prescinde dai limiti della piena giurisdizione marittima dello Stato costiero, non è neppure limitato alla specifica area di responsabilità SAR, che comunque non è un'area di giurisdizione e pertanto si estende di norma ben oltre le acque territoriali e l'eventuale zona contigua, mentre l'attività di polizia al di fuori delle acque territoriali, attività di low enforcement, è soggetta a ben precisi limiti stabiliti dalla normativa nazionale e nel rispetto di quella internazionale.
La conseguenza pratica è che, se un'imbarcazione carica di migranti localizzata al di fuori delle acque territoriali di uno Stato costiero è ritenuta versare in una situazione di potenziale pericolo, caso SAR, scatta l'obbligo di immediato intervento e quindi del successivo trasporto a terra delle persone soccorse. Se invece detta imbarcazione non è ritenuta versare in situazione di pericolo, l'attività di polizia delle autorità dello Stato costiero normalmente si limita al monitoraggio della situazione, allo scopo di verificare se la destinazione appaia essere quella di detto Stato costiero.
Solo in tal caso scatta l'intervento di polizia, inizialmente a scopo preventivo, mirato quindi a cercare di prevenire l'ingresso o il transito, considerato potenzialmente offensivo, dell'imbarcazione nelle proprie acque territoriali, sempre nei limiti di quanto legittimamente è possibile ai sensi delle norme internazionali.
L'accompagnamento a terra e l'ingresso nel territorio dello Stato costiero di dette persone si avrebbe solo nel caso in cui l'azione preventiva e deterrente non abbia effetto o sia ravvisata la violazione delle norme dello Stato costiero, che comporti la necessità di adozione di provvedimenti autoritativi di esercizio della giurisdizione, in particolare, in base a quanto previsto dalle norme italiane (Codice penale, Testo Unico dell'immigrazione e norme discendenti), l'abbordaggio e sequestro dell'imbarcazione con la conseguente denuncia alla competente autorità giudiziaria delle persone fermate per i reati di immigrazione clandestina o favoreggiamento della stessa.
In questo scenario complesso, la posizione geografica dell'Italia nel Mediterraneo centrale la rende privilegiata destinazione finale delle rotte seguite dai flussi migratori provenienti dalla Libia o dal Mediterraneo orientale. Dalla Libia perché più vicina o comunque più idonea ad accogliere numeri consistenti di migranti, dal Mediterraneo orientale perché la chiusura della rotta balcanica rende la Grecia una porta di comunicazione verso l'Europa meno praticabile.
Quanto sopra inoltre spiega perché, anche quando la rotta di dette imbarcazioni attraversa aree di responsabilità SAR o anche di giurisdizione di altri Paesi, questi ultimi tendano a sottovalutare le condizioni di potenziale pericolo in cui esse normalmente versano, limitandosi a monitorare la situazione fino a quando escono dalla loro area di specifica responsabilità.
Lo scopo è evidente: considerarla una mera situazione di polizia e non ritenersi quindi obbligati ad un intervento di soccorso, che risulta invece inevitabile per l'autorità dello Stato costiero oltre le cui acque l'imbarcazione non può procedere, Pag. 18l'Italia. La questione sarà comunque approfondita nel capitolo successivo.
Si comprende pertanto perché le richieste di soccorso e le informazioni relative a imbarcazioni in potenziale pericolo siano principalmente indirizzate all'autorità SAR italiana.
Tornando alla questione del POS, in base alla normativa italiana il Ministero dell'interno ha la responsabilità di coordinare, attraverso l'opera delle prefetture competenti per territorio, la gestione dell'accoglienza a terra, la quale coinvolge numerose autorità pubbliche (autorità marittime e portuali, forze di polizia, autorità sanitarie, regionali, doganali), coadiuvate da altri soggetti privati (organismi di volontariato) e internazionali (UNHCR, IOM, Frontex). Pertanto, nel caso di interventi di soccorso connessi con i fenomeni migratori, l'indicazione dello specifico POS, oltre a tener conto delle eventuali esigenze e problematiche di carattere prettamente nautico, deve essere necessariamente concertata tra il Centro di soccorso e le competenti autorità del Ministero dell'Interno.
Occorre peraltro precisare che, allo scopo di snellire le procedure per l'individuazione del POS, quando la nave soccorritrice sia un assetto governativo nazionale (Marina, Guardia di finanza, Carabinieri) o facente parte di una delle due operazioni europee Triton o Sophia, su richiesta dei Comandi complessi dai quali dette navi dipendono sono state redatte apposite procedure operative standard, con le quali il Centro nazionale di soccorso marittimo di Roma ha autorizzato questi ultimi a interloquire direttamente con i competenti organi del Ministero degli Interni, attraverso il National Coordination Centre ubicato presso il Ministero degli Interni, che a sua volta si relaziona con il Dipartimento per le libertà civili, una volta recuperate a bordo le persone da soccorrere, tenendo comunque informato il competente Centro di soccorso fino al termine dell'operazione.
Ciò anche al fine di poter meglio contemperare le problematiche tecnico-nautiche delle navi soccorritrici con quelle dell'accoglienza a terra. Il Centro nazionale di soccorso si occupa pertanto di definire direttamente il POS con il Ministero degli Interni non solo per le navi della Guardia costiera che non stiano operando nell'ambito delle summenzionate operazioni, ma anche per le navi mercantili, incluso ovviamente quelle operate dalle ONG, e le altre navi che non dipendano da uno dei suddetti Comandi complessi.
Un altro elemento che è bene precisare è quello relativo alla corretta individuazione del luogo sicuro di sbarco, ovvero il luogo dove le operazioni di soccorso devono considerarsi terminate da parte del Centro di coordinamento del soccorso. Per evitare facili equivoci è opportuno evidenziare che il luogo sicuro di sbarco, per poter essere considerato tale, deve rispondere a una serie di requisiti da verificare caso per caso in relazione alle specifiche situazioni. Secondo quanto prescritto dalle specifiche linee guida elaborate dall'IMO con la più volte menzionata risoluzione, 167(78) del 2004, deve essere il luogo dove la vita delle persone soccorse non è più minacciata e dove è possibile far fronte ai loro bisogni fondamentali (cibo, riparo e cure sanitarie).
Non può comunque essere considerato sicuro un luogo dove vi sia serio rischio che la singola persona interessata possa essere soggetta alla pena di morte, a tortura, persecuzione, trattamenti inumani o degradanti, o anche dove la sua vita o la sua libertà siano minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità, orientamento sessuale, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o orientamento politico. Va inoltre tenuto in considerazione che tali disposizioni vanno lette anche in relazione al principio di non-refoulement, divieto di respingimento collettivo e indiscriminato che impone di esaminare la situazione specifica delle singole persone. Infatti, un luogo sicuro per alcuni potrebbe non esserlo per altri (si veda al riguardo quanto detto più avanti in tema di diritto internazionale dei rifugiati).
Appare pertanto evidente che può essere estremamente difficile per il Centro di soccorso ma anche per il comandante della nave, che in quanto soggetto alla giurisdizione dello Stato di bandiera secondo il Pag. 19diritto internazionale ha anche la responsabilità della sorte delle persone a bordo, determinare se un luogo ubicato al di fuori dalla sua area di responsabilità abbia o meno tutte dette caratteristiche, salvo ovviamente casi di forza maggiore.
Occorre al riguardo evidenziare che lo stesso Regolamento europeo per le operazioni di Frontex, nel dettare le regole di comportamento generali per le navi dei vari Paesi europei partecipanti alle operazioni di controllo delle frontiere marittime, conferma esplicitamente anch'esso l'obbligo di rispettare i princìpi e i criteri sopra enunciati non solo nelle attività di polizia condotte sotto il coordinamento del competente centro di Coordinamento internazionale, ma anche nelle attività di search and rescue condotte sotto il coordinamento del competente Centro di soccorso marittimo.
La summenzionata difficoltà di operare una simile valutazione sia per il competente Centro di soccorso sia per il comandante della nave soccorritrice risulta ulteriormente acuita quando si tratta di eventi SAR che coinvolgono diverse centinaia di persone di varie razze ed etnie, con le quali quindi è in genere difficile, se non impossibile, comunicare in modo appropriato in assenza di appropriati mediatori culturali.
Si è già detto che il POS può anche essere individuato nel territorio di un altro Stato costiero, soprattutto qualora si tratti di un luogo sicuro più vicino all'area in cui sono state soccorse le persone in pericolo; tuttavia tale individuazione compete alle autorità SAR dello Stato costiero interessato, al quale il Centro di soccorso che coordina le operazioni può solo rivolgere una richiesta motivata, che potrebbe però non essere accolta, specie qualora non esistano specifici accordi preventivi.
Come si è già detto, in caso di rifiuto da parte dell'autorità di un altro Paese a concedere l'autorizzazione allo sbarco in un porto situato nel proprio territorio, lo Stato cui appartiene la MRCC che coordina le operazioni ha l'obbligo di individuare il POS sul suo territorio per garantire l'integrità dei servizi sociali. Quando il POS è individuato nella propria area di responsabilità, invece, la questione è relativamente più semplice, in quanto è fatto obbligo ai Centri di coordinamento di soccorso di mantenere efficaci piani di operazioni, nonché accordi di coordinamento con tutte le varie autorità ed enti interessati a terra.
Sorvolo sui cenni del diritto internazionale.
PRESIDENTE. Sì, anche perché abbiamo il numero legale al Senato...
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Vado all'operatività. Vi richiamo solo la sentenza Hirsi della Corte dei Diritti dell'uomo che ci ha condannati proprio per un'attività di respingimento.
Gli aspetti operativi. Vi descrivo ora le operazioni di ricerca e soccorso e di polizia per il controllo delle frontiere. Al fine di poter compiutamente rappresentare l'attività operativa del Centro di coordinamento marittimo della Guardia costiera occorre iniziare dalla descrizione di come vengono gestite le operazioni di soccorso, seguendo le varie fasi.
Prima fase, l'acquisizione dell'informazione. Si è detto molto su come arrivano le chiamate, adesso lo descriviamo. La ricezione di una richiesta di soccorso o di un'informazione relativa a persone o navi in potenziale, grave ed imminente pericolo in mare può giungere al Centro nazionale di coordinamento soccorso marittimo essenzialmente in tre modi: ricezione di una segnalazione diretta da parte delle persone che si dichiarano in pericolo via radio, via telefono o via telefono satellitare; ricezione di una segnalazione diretta da navi mercantili, aeromobili o navi militari o comunque governative, a seguito di avvistamenti effettuati da loro stessi o da unità dipendenti da Comandi complessi; segnalazione indiretta via telefono, via mail, via sms o altro da parte di persone (sedicenti familiari, amici, mediatori culturali, persone non immediatamente identificabili) che si dichiarano a conoscenza di una situazione di emergenza in atto che richieda soccorso, oppure da parte di altri organi pubblici (forze di polizia, vigili del fuoco) cui dette persone si sono rivolte. Pag. 20
Nelle situazioni SAR connesse ai flussi migratori via mare vi sono anche delle modalità tipiche, che dipendono peraltro dalle zone da cui originano le differenti direttrici di flusso. Ad esempio, nella vasta zona al largo delle coste libiche si sono maggiormente avute chiamate dirette da parte delle imbarcazioni a mezzo telefono satellitare, di cui quasi tutte venivano dotate dalle varie organizzazioni criminali, chiamate dirette al Centro nazionale di soccorso o anche a Centri secondari, per lo più Palermo e l'Ufficio marittimo di Lampedusa, a seconda delle abitudini e del modus operandi della specifica organizzazione criminale.
Tali telefoni satellitari consentono al segnalante che ne sia a conoscenza di leggere e comunicare direttamente le coordinate relative alla posizione del natante, o comunque al Centro di soccorso di acquisire tale posizione tramite il provider di telefonia, ancorché ubicato fuori dall'Italia.
PRESIDENTE. Sito negli Emirati Arabi.
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. È vero, perché il Centro operativo si trova negli Emirati Arabi, quindi noi siamo soggetti a qualcuno che decide quando passarci la posizione del chiamante in funzione di vari parametri, che non sono sotto il nostro controllo.
Sono diversi mesi tuttavia che, a seguito di continui adattamenti del modus operandi delle organizzazioni criminali operanti in Libia in relazione all'evolversi della situazione, tra cui presumibilmente anche la presenza di un maggior numero di navi militari al largo delle coste libiche, si è registrato un minor numero di chiamate dirette, mentre contestualmente è aumentato il numero delle segnalazioni pervenute a seguito di avvistamenti diretti da parte di navi militari soprattutto, navi delle ONG e mercantili.
Passiamo al processo di verifica dell'informazione. L'informazione acquisita viene subito processata e valutata dal personale di turno presso il Centro di soccorso in servizio H24 che, dopo averne verificato nell'immediato per quanto possibile la plausibile attendibilità, procede ad adottare tutte le immediate azioni da compiere, secondo quanto previsto dalla procedura internazionale standard, tra le quali allertare ed informare tutti i Centri di soccorso potenzialmente interessati, Tunisia e Malta, in relazione all'area dell'evento, se è nota, nonché le navi e gli enti che potrebbero intervenire o fornire utili informazioni, valutare le azioni più opportune da avviare in relazione alle informazioni disponibili e al presumibile scenario, cercare di acquisire ulteriori informazioni e contestualmente acquisire conoscenza dello scenario relativo all'area interessata, allo scopo anche di individuare eventuali navi che potrebbero prestare assistenza qualora necessario.
Si evidenzia al riguardo che le fasi dell'emergenza SAR non si limitano al solo distress, pericolo grave e imminente ancorché solo ragionevole, ma a diverse fasi: la fase di incertezza, la fase di allarme e alla fine la fase di distress. Identifichiamo il migliore assetto possibile.
Una volta ritenuta ragionevolmente probabile l'esistenza di una situazione di distress, occorre individuare i migliori assetti da impiegare per l'effettuazione del soccorso, che in relazione allo specifico scenario possono essere sia dipendenti mezzi specializzati SAR sia assetti di altre amministrazioni inserite come tali nel piano nazionale, e financo qualsiasi nave mercantile o militare che risulti presente in prossimità dell'area interessata, anche se per consuetudine derivante dalla terminologia inglese nelle comunicazioni si usano i termini dirottare ed ordinare.
È bene precisare che quando viene richiesto l'impiego di navi di bandiera non italiana, e come tali soggetti esclusivamente alla giurisdizione dello Stato di cui battono la bandiera, non si tratta di provvedimenti autoritativi, in quanto, come si è visto nel delineare il quadro normativo, la sola comunicazione dell'esistenza di una situazione di pericolo per la vita umana in mare obbliga il comandante di qualsiasi unità ad intervenire immediatamente in assistenza ed a porsi sotto il coordinamento del competente Centro di coordinamento del soccorso marittimo. Pag. 21
Ovviamente il tipo di unità da impiegare viene valutato sulla base di molteplici fattori, subordinatamente all'effettiva possibilità di operare un'adeguata scelta, tempo necessario per raggiungere l'unità in difficoltà, capacità operative dell'assetto, merci pericolose eventualmente a bordo (spesso dobbiamo intervenire con delle petroliere, che sono di per sé un elemento di pericolo insito nel carico trasportato) e soprattutto anche per la capacità di primo soccorso, assistenza da prestare e capacità di recupero...
PRESIDENTE. Scusi, contrammiraglio, visto che ci sono ancora dieci pagine e dei capitoli che mi interessano particolarmente (mi riferisco a Malta e alle ONG), autorizzo la pubblicazione della sua relazione e degli altri documenti da lei predisposti in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato). Non che questo non stia a cuore, però purtroppo tra venti minuti c'è il voto d'Aula, quindi mi scuso e la ringrazio, però se mi arriva ai due punti, ONG e Malta, posso anche lasciare ai commissari la possibilità di intervenire.
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Sì, però tengo a precisare un elemento legato a come si svolge poi l'operazione di soccorso. Noi abbiamo a che fare a volte con molte operazioni simultanee. L'anno scorso abbiamo avuto un picco di circa 53 interventi contemporanei, che non significa 53 chiamate, ma significa 53 per 3, nel senso che ogni mezzo ha un avvistamento, una chiamata, ha un familiare, quindi potete capire la complessità dell'operazione, ma il coordinamento (tengo a precisarlo) vede in noi, essendo il Corpo responsabile delle operazioni di coordinamento, una forza, una capacità esclusiva nel poter coordinare qualsiasi mezzo in mare; siamo arrivati a coordinare anche 20 unità contemporaneamente!
Difficoltà di coordinamento nella zona di operazioni quindi non c'è, e questo senza intaccare la struttura nazionale, tengo a precisare che non intacchiamo assolutamente la capacità di risposta alle emergenze nazionali e l'attività di polizia in tutti i settori (ambientali, pesca, Demanio marittimo, sicurezza della navigazione), che non viene inficiata dallo sforzo che viene fatto nel settore.
Venendo alla sua domanda...
PRESIDENTE. Vedo qui quattro capitoli: Tunisia, Malta, organizzazioni non governative e navi mercantili.
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Allora, vediamo qual è il contributo delle operazioni SAR nei Paesi del Mediterraneo centrale. La Libia ha ratificato la Convenzione del 1979, ma finora non ha dichiarato una propria area SAR di responsabilità, né ha costituito una propria organizzazione SAR secondo i criteri fissati dalle norme internazionali.
Quando dunque riceviamo una richiesta di soccorso da imbarcazioni con migranti in navigazione in acque territoriali libiche, che ormai sono potenziali casi SAR, noi non possiamo far altro che informare la Guardia costiera militare libica, che ha base a Tripoli, la quale finora ha reagito in modo altalenante, a volte non ha risposto, a volte ha risposto che non aveva mezzi e la possibilità di intervenire oppure non aveva l'autorità di consentire al Centro italiano di coordinare le operazioni all'interno delle acque territoriali; altre volte ha invece vietato di intervenire, ma non sempre ha effettivamente operato, altre volte infine è intervenuta direttamente, informandoci o non informandoci, quindi molti casi sono stati risolti direttamente senza che ne fossimo a conoscenza.
Tengo a precisare che l'ingresso nelle acque territoriali, come ho detto all'inizio del mio intervento, seppur previsto dalle convenzioni internazionali non è mai stato esercitato in maniera autonoma dal Centro di soccorso e dalle unità coordinate da noi, ma sono sempre state effettuate attraverso una richiesta al Centro di soccorso libico, che ci ha o meno autorizzati, ci sono stati dei dinieghi: ci sono state delle autorizzazioni. Questo per rifarmi ad alcuni eventi che sono stati presentati dai media, dove le unità ONG o mercantili o unità di soccorso sono entrate nelle acque territoriali ma, Pag. 22per quanto ci riguarda, fino ad ora tutte le unità che sono intervenute sono sempre state autorizzate, i casi sono sporadici, sono circa 16 nell'anno 2016, quindi nessuna unità è entrata autonomamente quando sotto il nostro coordinamento.
Bisogna ricordare anche l'aspetto legato alle due unità, Guardia costiera militare e Guardia costiera civile. Quella militare e quella in contatto con noi, che dipende dal Governo ufficialmente appoggiato e riconosciuto dalla comunità internazionale che si occupa della fascia costiera Tripolitania. È infatti noto che singoli settori operino più o meno in modo autonomo e con finalità non sempre chiare; la zona più occidentale di Zuara, ad esempio, sembra rispondere più direttamente alle milizie locali, la zona di Zawiya più ad est è stata interessata da diversi, discutibili episodi e anche dal sospetto di dirette collusioni delle autorità locali con il traffico di migranti (queste riportate dalla stampa). Ad ogni modo, la base della Guardia costiera di Tripoli risulta non possedere al momento idonei mezzi di comunicazione, di cui prossimamente verranno dotati, per cui si spera che possano intervenire.
Se ci sarà in futuro una concreta, decisa azione di controllo del fenomeno, si dovrebbe prevedere a breve attraverso due delle quattro unità libiche che saranno riconsegnate, più altre unità che nel giro di poco tempo verranno restituite.
Malta insieme all'Italia è il Paese più direttamente esposto ai flussi migratori provenienti dalle coste libiche. La vastissima area SAR marittima si sovrappone in parte a quella italiana, comprendendo parte delle acque territoriali italiane, e su questo c'è stata una forte protesta della Farnesina supportata da nostre indicazioni, quindi è ben risaputa la rivendicazione nazionale, è in atto il contenzioso.
Ciò in quanto Malta ha preteso di far coincidere la propria Search and rescue region marittima con la Flight information region, area di controllo dello spazio aereo, rifiutandosi finora di raggiungere un accordo bilaterale con l'Italia per armonizzare i confini delle rispettive aree SAR.
Malta tra l'altro è l'unica nazione europea a non aver ratificato gli emendamenti del 2004 alla convenzione SAR e SOLAS e a non aver quindi accettato le discendenti linee guida dell'IMO relative alla determinazione del luogo sicuro di sbarco. Ciò in quanto tali disposizioni, al fine di garantire i comandanti delle navi soccorritrici, assegnano tale specifica responsabilità allo Stato costiero cui appartiene l'MRCC competente a coordinare le operazioni SAR; essendo l'area SAR maltese la prima che incontra i flussi provenienti dalla Libia, in mancanza di un accordo europeo o internazionale concernente la gestione dell'accoglienza dei migranti soccorsi e sbarcati sul suo territorio, il piccolo Stato di Malta avrebbe corso il rischio di trovarsi da solo di fronte ad un fenomeno di carattere epocale e ormai divenuto strutturale.
Quanto precede spiega anche l'atteggiamento delle autorità maltesi a livello operativo, già in precedenza descritto, mirato ad evitare per quanto possibile di intervenire su flussi che riescono poi a proseguire verso l'Italia come ultima tappa finale, e in passato i contenziosi al riguardo con le autorità italiane, contenziosi che sono stati di fatto appianati da quando sono state lanciate le operazioni Triton e Sophia.
Vado alle ONG. A partire dalla prima metà dell'anno 2015 e soprattutto nella seconda metà dell'anno 2016 nello scenario del Mediterraneo centrale si è assistito ad un crescente aumento della presenza di varie unità di ONG, con lo scopo di colmare il vuoto rappresentato dall'assenza di un'operazione SAR europea e concorrere pertanto alle operazioni di soccorso a favore dei migranti provenienti dalle coste libiche, operando sotto il coordinamento del Centro nazionale di soccorso marittimo sulla base delle norme e procedure internazionali SAR precedentemente descritte, considerato di fatto il Centro di soccorso del Mediterraneo (così riportava testualmente il testo di una recente interrogazione parlamentare tedesca).
Nello specifico, la presenza nel Mediterraneo centrale delle organizzazioni non governative nel corso degli anni può essere così riassunta: 1 unità nel 2014 con un Pag. 23assetto di Moas, 3 nel 2015 con 4 assetti e 10 nel 2016 con 12 assetti. In relazione alle varie notizie diffuse circa la presenza di un elevato numero di ONG nell'area interessata dall'operazione, si evidenzia che non risulta vi sia mai stata la presenza, in particolare nel 2016, di tutte le ONG contemporaneamente in area di operazione, dato che anch'esse hanno necessità di turnazione e soste tecniche e che alcune di esse sono in genere sempre impegnate nel trasporto dei migranti soccorsi nel luogo sicuro loro assegnato.
La presenza dei propri assetti nell'area di interesse viene pianificata autonomamente dalle singole ONG in funzione delle rispettive esigenze operative e delle valutazioni operate dai responsabili delle loro rispettive missioni. La maggior parte delle stesse ha concordato di adottare su base volontaria un comune codice di condotta, con il quale si impegna al rispetto non solo dei comuni princìpi statutari, ma anche delle procedure SAR previste a livello internazionale, attraverso il Manuale IAMSAR in primis.
Faccio un distinguo per quanto riguarda la capacità (lei prima ha fatto la domanda sul trasporto o non trasporto), perché effettivamente alcune unità non sono idonee al trasporto, quindi sono unità che fanno il primo avvistamento, forniscono la prima assistenza, hanno dei medici per il primo soccorso e quindi poi siamo costretti a trasportarli su unità più grandi di qualsiasi tipo. A volte sono loro stesse in difficoltà, perché sono unità piccole e le condizioni meteo influenzano in questo.
Tengo a precisare comunque che la presenza delle ONG non comporta quello che viene detto un fattore di attrazione, ma spesso non dà impulso alle partenze. In questi giorni abbiamo un tempo abbastanza tranquillo, ci sono diverse unità mercantili, ONG, militari, e non sta succedendo niente. In altri anni abbiamo avuto fenomeni simili, quindi il fenomeno è governato esclusivamente a terra, secondo modalità decise dalle organizzazioni criminali, che quindi alla fine non possono essere...
PRESIDENTE. Lei sta dicendo che secondo la sua esperienza le ONG presenti non sono un pull factor e quindi non sono un incentivo alla tratta e quindi allo scafismo? Escludiamo assolutamente correità, collusioni, non stiamo dicendo quello, però secondo lei non sono neanche un pull factor?
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Guardi, il fenomeno libico inizia negli anni 2009, cioè dal 2009 il fenomeno aveva delle sue caratteristiche e si è sviluppato nel tempo. Le grandi tragedie hanno fatto scattare diverse operazioni militari e non militari, quindi il fenomeno è lì, ormai tutti sanno che ci sono varie unità. Non dimentichiamo che ci sono anche delle piattaforme di perforazione con delle unità di supporto che spesso siamo chiamati ad impiegare e soprattutto (abbiamo presentato il nostro Rapporto 2016, ma lo stiamo verificando in questi giorni) nel 2014 abbiamo dirottato 800 navi mercantili e 250 di esse hanno soccorso 40.000 persone, nel 2015 abbiamo più o meno pareggiato tra le ONG e i mercantili, nel 2016 hanno prevalso le ONG, nel 2017 nel weekend di Pasqua, grazie ai mercantili, siamo riusciti a soccorrere 8000 persone in tre giorni. Quindi il fenomeno è dettato da una situazione che è quella della presenza di unità di qualsiasi genere nello scenario.
PRESIDENTE. Non lo vedo qui indicato, ma lei ha detto che molti non hanno facoltà di trasporto, però altri sì. Cosa fanno, caricano i migranti o no? Quando battono bandiera di un altro Stato interviene Dublino oppure comunque non c'è la responsabilità dello Stato di bandiera?
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Innanzitutto tengo a precisare che per noi qualsiasi unità in mare può essere impiegata per un'operazione di soccorso, per noi le ONG sono dei mercantili alla pari di altri, più o meno specializzati, quindi nell'immediatezza dell'evento SAR chiunque interviene per l'operazione di soccorso.
PRESIDENTE. Il trasporto...
Pag. 24NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Alcune fanno parte del soccorso, alcune sono in grado di portarli a terra. Dublino si applica nel momento in cui si arriva a terra, Dublino non è applicabile a bordo delle navi, il caso Hirsi lo dimostra, unità governative che non hanno personale specializzato a bordo per poter fare lo screening non possono essere considerate la frontiera d'ingresso per l'applicazione della Convenzione di Dublino.
PRESIDENTE. Quindi voi le lasciate trasportare da noi...
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. No, le facciamo trasportare da noi, perché poi dobbiamo chiaramente cercare di tener conto di altri elementi.
L'attività di polizia. Ovviamente noi siamo i primi ad andare sulla scena, siamo ufficiali di polizia giudiziaria, abbiamo fatto diverse attività e portiamo a terra risultati tangibili di cui le forze di polizia e le autorità giudiziarie ci sono grate. Abbiamo fatto diverse attività, il Centro nazionale di soccorso ha la capacità di acquisire tantissime informazioni, abbiamo fatto anche un'attività più profonda investigativa sotto la Direzione distrettuale antimafia di Roma, dove abbiamo smantellato una rete di eritrei presenti sul territorio nazionale e fuori dal territorio nazionale.
Soluzioni. Il problema è operativo, noi in primis ci troviamo a fronteggiare la gestione di tale complesso fenomeno non solo con riferimento ai flussi di origine libica. Non dimentichiamo che l'anno scorso abbiamo avuto sei mesi di continui flussi provenienti dall'Egitto, con un passaggio su Bengasi, e sporadici arrivi dalla Grecia e dalla Turchia, quindi non possiamo pensare di trovare un'effettiva soluzione in mare.
L'attività di ricerca e soccorso e tutela della vita umana non può essere considerata né la causa, né la soluzione di tale problematica, la salvaguardia di ogni vita umana a prescindere dalla situazione in cui avvenga è unicamente un obbligo giuridico, a cui non ci si può legittimamente sottrarre. D'altro canto, come peraltro già evidenziato non solo dalle altre audizioni, ma dagli stessi dati statistici, l'attività di polizia e di contrasto delle organizzazioni criminali che gestiscono questo business non può certo limitarsi alle azioni in mare per evitare il riutilizzo di fatiscenti imbarcazioni dalle stesse utilizzate e nell'individuazione e fermo di centinaia di piccoli pesci cosiddetti «scafisti».
In questo quadro, le soluzioni possono essere ottenute solamente da interventi sul territorio, in primo luogo in Libia, per agevolare al massimo l'indispensabile processo di stabilizzazione, ma contestualmente anche nei Paesi di transito e di origine, con il fine ultimo di arrivare a poter agire anche sulle molteplici e complesse cause del fenomeno migratorio. Del resto, sono queste le linee di azione lungo le quali si sta muovendo il Governo e che ovviamente necessitano anche del supporto di un'azione politica coordinata e sinergica della Comunità europea, nonché possibilmente dell'intera comunità internazionale.
A livello operativo si inseriscono nell'azione di supporto a tale processo di stabilizzazione politica anche i vari programmi di cooperazione, tra i quali quello citato della Guardia costiera. Tuttavia, poiché da tali linee di azione non possono attendersi, per i motivi che tutti conosciamo, risultati sostanziali a brevissimo termine, allo stato attuale è ragionevole presupporre, per la sua posizione geografica, che il nostro Paese e la Guardia costiera italiana rimarranno ancora esposti in prima linea ai flussi via mare e ad evitabili naufragi.
Se tale analisi è corretta, l'unico modo per limitare le problematiche che la doverosa, ineluttabile attività di soccorso comporta sempre per il nostro Paese e in particolare per l'amministrazione dell'intera gestione del fenomeno successivamente allo sbarco di persone, è che tale onere possa venir ripartito fra tutti i Paesi membri dell'Unione europea in primis e possibilmente anche tra l'intera comunità internazionale (ricordo i boat people degli anni ’70). A livello tecnico potrebbe essere conseguito attraverso una revisione del cosiddetto Regolamento di Dublino. Grazie per l'attenzione.
PRESIDENTE. Grazie. Lascio subito la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Le dico che la ringrazio, che naturalmente noi siamo orgogliosi di qualunque persona salviate in mare, però approfondiremo sia il caso Hirsi, perché il principio internazionale dello Stato di bandiera e di approdo non può essere diminuito da una questione tecnica di applicazione del Regolamento di Dublino, nonché questa cosa della prima chiamata rispetto all'area di competenza, per cui a mio avviso ci deve essere una corresponsabilità.
Prego, onorevole Frusone.
LUCA FRUSONE. Innanzitutto vi ringrazio per essere qui e vorrei chiedervi un approfondimento sulla questione della polizia giudiziaria, cioè il vostro ruolo come polizia giudiziaria sulle imbarcazioni, gli eventuali limiti rispetto alla classica polizia giudiziaria «di terra», cioè la polizia che collabora con i magistrati, quindi la differenza, se la vostra attività possa essere limitata viste le particolarità in cui operate e se ci possa essere un'implementazione.
In questa sede anche delle ONG hanno parlato di una collaborazione (anche lei lo ha toccato quando ha parlato di Zawiya) tra scafisti e Guardia costiera libica. Visto che anche noi stiamo addestrando e dando un contributo alla Guardia costiera libica, come si potrebbe intervenire (so che esistono regole di diritto internazionale, stiamo parlando della giurisdizione ed uno Stato straniero) per interrompere questa collaborazione che c'è in alcune zone e di cui abbiamo avuto testimonianze da parte anche delle ONG? Grazie.
PRESIDENTE. Grazie a lei. Prego, onorevole Artini di Alternativa Libera.
MASSIMO ARTINI. Buongiorno e grazie, contrammiraglio. Io le chiedo molto velocemente a che punto sia l'addestramento della Guardia costiera libica da parte della nostra Guardia costiera. Lei ha fatto riferimento al numero di mercantili che sono implicati e mi interessava questo dato statisticamente. Il 2017 è poco rilevante, ma non per un discorso di pull factor bensì per un altro ragionamento che probabilmente faremo durante la disquisizione con le ONG. Vorrei comprendere quanto si sia ridotto l'impatto sui mercantili che nel 2013 e nel 2014 era anche un problema fortemente economico, quindi quale fosse nel 2014, 2015 e 2016 il numero dei mercantili utilizzati in percentuale rispetto ai migranti salvati, quale fosse l'impatto sui mercantili e l'impatto sulle ONG.
Infine, relativamente alla possibilità di perseguire non solamente lo scafista, che ormai non è più nemmeno uno scafista, cioè quello a cui viene data la bussola per puntare verso l'eventuale ONG che viene localizzata, se introdurre a livello internazionale una casistica per definire il reato di traffico di migranti come crimine contro l'umanità e quindi fare quel tipo di passaggio.
Questo è uno studio che credo sia fatto anche da altri e la informo che abbiamo fatto questa discussione durante l'interparlamentare a Malta, la settimana scorsa, ed è stata approvata da tutti i Parlamenti come conclusioni finali, quindi è un percorso che sta politicamente iniziando a implementarsi perché (le chiedo un commento) può essere utile per mantenere una filiera di verifica, dandogli un ambito di diritto internazionale, in cui c'è una legislazione più ampia e più semplice e si può semplificare la parte d'indagine. Grazie.
PRESIDENTE. Prego, senatore Arrigoni, Lega Nord.
PAOLO ARRIGONI. Grazie, contrammiraglio. Rivolgo un ringraziamento a tutte le donne e uomini della Guardia costiera-Capitaneria di porto per quello che siete chiamati a fare.
Due premesse: lei ha detto che le ONG a suo parere non rappresentano un fattore di attrazione, che in queste giornate di bel tempo non ci sono partenze, ma voglio osservare che da un mese e mezzo a questa parte, proprio da quando il procuratore Zuccaro è venuto in audizione in questo Comitato, è stato posto un faro sul problema delle ONG e quindi se Pag. 26non altro qualche precauzione da parte di qualcuno io ritengo sia stata presa.
La ringrazio per quello che ci ha detto, perché riteniamo che Malta, la Tunisia e gli altri Paesi europei stiano praticamente scaricando sul nostro Paese il grosso problema dell'immigrazione attraverso le procedure SAR e le convenzioni internazionali che alcuni Paesi non ratificano o alle quali non adempiono ed è innegabile che i trafficanti dei migranti sfruttano questa cosa anche attraverso le ONG, talune inconsapevoli, per favorire questo ingresso di migliaia di persone, numero che sta notevolmente aumentando.
Detto questo, tre domande precise. Delle ONG che abbiamo audito Sea-Eye afferma che il 50 per cento delle operazioni che hanno fatto sono state assegnate dalla centrale operativa, mentre il 50 per cento è stato realizzato attraverso avvistamenti; ieri Medici senza frontiere audito da un'altra parte ha detto che il 30 per cento delle operazioni sono fatte su attività propria, su avvistamenti. Quando fanno queste azioni in modo autonomo, prima di svolgerle, di attivarle, di intraprenderle avvisano la centrale operativa della Capitaneria di porto oppure no? Avete delle evidenze di telefonate dirette tra trafficanti e queste imbarcazioni delle ONG?
Ci è stato detto dalle ONG audite che alcune operazioni sono state fatte all'interno delle acque territoriali libiche; lei prima ha detto che tutti gli ingressi sono stati autorizzati attraverso una richiesta all'autorità libica. Vi risultano dei fenomeni di spegnimento di trasponder da parte di queste imbarcazioni? Immagino che voi monitoriate H24 senza interruzioni la movimentazione di queste imbarcazioni; avete avuto dei buchi per certi periodi di tempo oppure avete una tracciatura secondo per secondo di queste imbarcazioni?
Sulle morti in mare che sono esplose, c'è un'ecatombe dal 2014 in avanti, da quando è stato introdotto Mare Nostrum praticamente, dalla fine del 2013, da una media dell'ultimo ventennio di circa 200 morti in mare ne abbiamo avute 3000 nel 2014, 3700 nel 2015, lo scorso anno 5100 circa e questi sono i dati che ci fornisce l'OIM, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni.
Come Guardia costiera avete dei dati in ordine alle morti in mare o alle presunte morti in mare? Grazie.
PRESIDENTE. Le lascio la parola per la replica, ma purtroppo dobbiamo essere molto veloci per l'Aula...
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. L'attività di polizia: già dal momento del soccorso le nostre unità che sono in mare hanno la capacità di portare avanti operazioni di polizia giudiziaria e appena salvate le persone sono pronte a fornire gli elementi, quindi riusciamo ad individuare immediatamente gli scafisti.
Per quanto riguarda l'attività di polizia giudiziaria a terra, se ci riusciamo lo facciamo fisicamente insieme alle altre forze di polizia perché lo possiamo fare, oppure impacchettiamo e diamo alle forze di polizia a terra per poter completare tutto. Vengono fatte anche diverse attività direttamente a terra dai colleghi delle direzioni marittime ma soprattutto abbiamo avuto quelle due operazioni a livello di Roma dove abbiamo condotto un'attività veramente investigativa, che ha smantellato la rete a terra, e credo che quello sia il risultato. Ovviamente ci sono poi dei protocolli di intesa, come ha citato ieri il procuratore di Siracusa, per questa attività.
Formazione della Guardia costiera libica. Noi abbiamo contribuito all'operazione Sophia per l'addestramento basilare di una componente della Guardia costiera libica, lo faremo sicuramente nel prosieguo del nostro progetto per quanto riguarda l'attività specialistica nel search and rescue, so che sono in corso diverse attività a cura della Guardia di finanza, del Ministero dell'interno e anche della Marina per la condotta delle unità che verranno riconsegnate. Per quanto riguarda la situazione a terra ovviamente un Governo forte potrà fare il resto.
In merito all'attività dei mercantili noi abbiamo il dato, nel Rapporto 2016 che Pag. 27abbiamo lasciato agli atti si evidenzia che il 16 per cento dei mercantili ha operato nel 2013, il 24 per cento nel 2014, e qui è comparso uno 0,8-0,9 per la prima ONG, nel 2015 il 10 per cento unità mercantili e 13 per cento ONG, nel 2016, 8 per cento navi mercantili, 26 per cento per le unità ONG. Questo è più o meno un andamento.
Lei ha detto bene, ci sono dei grossi oneri, e purtroppo ancora una volta oneri che ricadevano sugli armatori italiani, che poi si riverberavano sugli utenti finali, quindi questo ha permesso di sgravare le navi di bandiera italiana dall'onere del soccorso.
Il reato contro l'umanità credo possa essere uno strumento, in questo momento poter agire dal punto vista della polizia giudiziaria in alto mare non è semplice. Lo può fare l'autorità di polizia quando è direttamente coinvolta in un'attività che può essere ricondotta al proprio Paese, poi sappiamo benissimo cosa preveda l'UNCLOS, per poter esercitare le funzioni di polizia a bordo delle navi ci vuole il consenso dello Stato di bandiera, ovviamente tutto questo deve essere fatto a terra perché non c'è altra soluzione.
I mercantili. Come ho descritto prima, il comandante della nave è responsabile di intervenire immediatamente, a prescindere dal fatto che abbia informato prima o dopo l'autorità coordinatrice. Vi faccio un esempio che è avvenuto l'anno scorso: la nostra portaerei si è trovata con dieci gommoni intorno a sé, è molto alta la portaerei, non scende al di sotto del parallelo 34,20, e l'intervento del comandante è avvenuto a prescindere dal nostro coordinamento, quindi il comandante che trova intorno a sé delle unità (spesso succede alle unità di supporto alle piattaforme che si ritrovino barchini e gommoni) interviene a volte proprio per la precarietà dei mezzi direttamente e poi passa l'informazione.
Ecco perché, come ho detto, gli avvistamenti sono cambiati nel corso del 2016, ci sono stati notevoli avvistamenti che vengono fatti soprattutto con delle componenti aeree delle operazioni militari, che quindi ci permettono l'individuazione in tempi rapidissimi.
I mezzi vengono seguiti, vi ho fornito il dato per quanto riguarda l'autorizzazione all'ingresso, a noi risulta che le operazioni di soccorso condotte da mezzi coordinati da noi nelle acque territoriali, che sono circa 16, sono avvenute con la nostra autorizzazione. La visibilità del sensore AIS nella zona libica ovviamente è condizionata dal periodo dell'anno per una maggiore o minore propagazione o se ci sono delle nostre unità che ci rilanciano la posizione AIS perché questo lo possiamo fare, quindi in alcuni casi ci può essere uno spegnimento, ci può essere una mancata propagazione legata alla portata del segnale, trattandosi di un messaggio che passa attraverso i canali VHF, quindi in alcuni casi ci possono essere stati degli spegnimenti non volontari o comunque legati alla propagazione.
Quando abbiamo la nostra unità in mare, siamo in grado di monitorare con precisione la presenza di tutti i mercantili in zona attraverso i nostri sistemi satellitari e, tra l'altro, come avete visto, i media possono andare su Marine traffic e vedere quello che succede, ormai è diventato di dominio pubblico, c'è anche su Youtube.
PAOLO ARRIGONI. Le operazioni che svolgono le ONG in modo autonomo su avvistamento poi ve le comunicano?
NICOLA CARLONE, Contrammiraglio. Sì, assolutamente. Se ci sono contatti diretti non è noto.
PRESIDENTE. La ringrazio moltissimo. Ovviamente non avremmo mai potuto interrompere la sua replica, ancorché ci siano stati cinque minuti d'Aula, perché sarebbe stato non solo scortese, ma anche sgarbato nei confronti di una persona che ringraziamo di cuore, come ringraziamo il suo Corpo per quello che fate e per quello che ci avete detto oggi, portando un contributo di chiarezza a tutto il dibattito. Quindi, ringrazio lei e anche chi l'accompagna, cioè il capitano di vascello Sandro Gallinelli, Capo I ufficio del III Reparto del Comando generale del Corpo Pag. 28della Capitaneria di porto-Guardia costiera, il Capitano di vascello Sergio Liardo, Capo del III ufficio del III Reparto del Comando generale del Corpo della Capitaneria di porto-Guardia costiera, e il Capitano di fregata Fabrizio Giovannone, area Comandante generale ufficio atti normativi e parlamentari.
Dichiaro conclusa l'audizione.
La seduta termina alle 10.20.
Pag. 29ALLEGATO
Indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'Area Schengen, con particolare riferimento alle politiche dei paesi aderenti relative al controllo delle frontiere esterne e dei confini interni: Audizione del Contrammiraglio Nicola Carlone, Capo del III reparto Piani e Operazioni del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia costiera
DOCUMENTAZIONE CONSEGNATA AL COMITATO
NEL CORSO DELL'AUDIZIONE
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