XVII Legislatura

Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'Accordo di Schengen, di vigilanza sull'attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Martedì 10 dicembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 

Audizione del direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno, Giovanni Pinto:
Ravetto Laura , Presidente ... 3 
Pinto Giovanni , direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno ... 3 
Ravetto Laura , Presidente ... 5 
Pinto Giovanni , direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno ... 5 
Ravetto Laura , Presidente ... 11 
Pinto Giovanni , direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno ... 11 
Ravetto Laura , Presidente ... 12 
Frusone Luca (M5S)  ... 13 
Pinto Giovanni , direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno ... 13 
Ravetto Laura , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
LAURA RAVETTO

  La seduta comincia alle 10,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno, Giovanni Pinto.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno, dottor Giovanni Pinto, che ha maturato un'esperienza di quarantuno anni di servizio, quindi potrà senz'altro aiutarci.
  Le sarei grata, dottor Pinto, se ci aggiornasse circa la situazione generale del controllo delle frontiere sia aeree sia terrestri, con particolare attenzione alle recenti misure di contenimento in ordine all'emergenza che ha coinvolto Lampedusa nell'ambito dell'operazione «Mare Nostrum». Vorremmo che ci fornisse alcuni approfondimenti relativamente alle modalità con cui la sua direzione si occupa della gestione degli stranieri che entrano regolarmente in Italia e vi permangono.
  Le chiederemmo inoltre informazioni sulle attività di prevenzione e contrasto dei fenomeni criminali connessi alla tratta dei clandestini, e di aiutarci a capire la materia relativa agli accordi di cooperazione attualmente siglati con i Paesi di origine.
  Nel corso dell'audizione con il prefetto Pria è emersa l'esigenza per noi di approfondire la problematica della scadenza dei titoli di soggiorno di immigrati detenuti e del loro successivo transito nei centri di identificazione ed espulsione (CIE).
  Do quindi la parola al direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno, dottor Giovanni Pinto.

  GIOVANNI PINTO, direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno. Grazie, Presidente. Gli argomenti sono molteplici, ma devo fare un importante chiarimento di carattere preliminare.
  La direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, creata nel 2002 con la legge Bossi-Fini, si occupa essenzialmente dei flussi migratori e della presenza degli stranieri regolarmente soggiornanti, nonché di tutte le problematiche collegate. Non si interessa delle investigazioni e del contrasto delle organizzazioni criminali coinvolte nel traffico di illegali, perché tale materia è devoluta alla direzione centrale anticrimine. Naturalmente abbiamo delle indicazioni, però la materia è seguita specificamente dalla direzione centrale anticrimine, Servizio centrale operativo (SCO), che con le squadre mobili ha un rapporto costante di connessione e di informazione. Naturalmente noi contribuiamo a fornire alle squadre mobili le informazioni acquisite attraverso alcuni nostri dipendenti, che definiamo task force per l'immigrazione e che mandiamo nei luoghi di sbarco o sulle navi (come per Pag. 4l'operazione «Mare Nostrum») per acquisire tutte le informazioni di intelligence di prima mano, che possono essere utilmente sfruttate a fini investigativi.
  Ciò posto, arriverei subito alla prima questione da lei formulata, il controllo delle frontiere terrestri. Come è noto, le frontiere interne tra i Paesi aderenti all'Accordo di Schengen sono state abolite e tutte le nostre frontiere nazionali terrestri sono con Paesi aderenti a quell'Accordo. In progressione c’è stata prima l'abolizione dei controlli alle frontiere con l'Austria e poi successivamente con Francia, Svizzera e Slovenia. Ciò non toglie che alle frontiere terrestri permane un'attività di controllo di retrovalico, perché anche a livello europeo sono stati accertati i cosiddetti «movimenti secondari», cioè i flussi migratori di coloro che da un Paese membro si recano in un altro Paese membro, che non sono movimenti illegali propriamente detti, come ad esempio nel caso dei siriani o degli eritrei, che tendono a raggiungere i nuclei familiari, i parenti, gli amici che si sono insediati stabilmente in altri Paesi dell'Unione europea e quindi transitano attraverso l'Italia, la Svizzera e l'Austria.
  Le correnti di traffico migratorio attuali, per quanto riguarda la nostra area geografica, sono essenzialmente due: quella del Mediterraneo centrale via mare e quella della rotta balcanica, ma quest'ultima naturalmente si interseca con l'Italia settentrionale, dal momento che molti immigrati che percorrono tutta la tratta balcanica tendono a recarsi in Belgio o in Francia e quindi attraversano una parte del territorio. Anche i traghetti sviluppano regolarmente un collegamento fra Patrasso, Igoumenitsa e i porti di Bari e Ancona. Risale ad alcuni giorni fa il rinvenimento in un automezzo di un certo numero di stranieri illegali, che sono stati rimandati in Grecia, in virtù dell'accordo di riammissione esistente con quella nazione.
  L'attività presso le frontiere terrestri riguarda soprattutto i controlli di retrovalico. È in fase di sviluppo un'attività di riordino della Polizia di Stato, per cui si tenderà ad attribuire alle questure territorialmente competenti e gravitanti in quelle giurisdizioni l'attività di controllo di retrovalico, che per il momento è assicurata dagli 11 settori di polizia di frontiera terrestre; i 3 settori della frontiera con l'Austria sono già passati nella competenza della questura di Bolzano, mentre gli altri 11 settori continuano a vivere una loro autonoma dimensione, riferita soprattutto ai controlli retrostanti.
  D'altra parte, ci sono accordi di cooperazione transfrontaliera con alcuni Paesi e anche, a livello europeo, le cosiddette operazioni «Impact», che consistono in un'attività di controllo per intercettare gli immigrati e quindi procedere alle riammissioni e ai provvedimenti di allontanamento laddove ne ricorrano i presupposti. Poiché nel tempo c’è stato un consolidamento di queste iniziative, esistono alcuni uffici di collaborazione transfrontalieri. Mi riferisco a Ventimiglia, dove convivono per uno scambio di informazioni, di cooperazione, perquisizioni e informazioni per le riammissioni, Polizia, Gendarmeria e Dogana francesi, e dal lato italiano Guardia di finanza, Carabinieri e Polizia di Stato.
  Uffici di collaborazione analoghi esistono a Bardonecchia, Chiasso, Brogeda, Tarvisio e sono praticamente sotto l'egida della polizia criminale, in quanto la componente immigrazione è solo uno degli aspetti del più ampio spettro di attività che sviluppano.
  La frontiera aerea insieme a quella marittima si definisce una frontiera esterna non già perché è un aeroporto o un porto, dato di descrizione quasi tassonomico, ma perché è tale in relazione ai collegamenti. Se un collegamento viene da Parigi è collegamento non di frontiera, un collegamento intra Schengen, e i passeggeri non sono assoggettati a controllo, ma diversa è la condizione di chi viene dagli Stati Uniti o dall'Africa, per il quale diventa una frontiera esterna con tutti i controlli che ciò comporta. Naturalmente stiamo assistendo anche in questo tipo di frontiera a fenomeni nuovi, nel senso che il gap esistente fra aree più ricche e aree più povere sollecita la spinta di alcuni fenomeni migratori, non solamente quelli Pag. 5che si sviluppano via mare e sono i più spettacolari e clamorosi (la spettacolarizzazione del flusso migratorio via mare è solo una quota parte del fenomeno più generale), ma anche attraverso gli aeroporti.
  Egiziani e algerini acquistano biglietti «strumentali» per transitare attraverso Roma-Fiumicino con destinazione altri Paesi. Gli egiziani seguono il percorso Cairo-Roma-Tbilisi, gli algerini Algeri o Orano-Roma-Istanbul. Nel momento in cui arrivano in transito, in alcuni casi chiedono asilo politico e noi dobbiamo – per rispetto delle norme in materia di asilo – prendere in considerazione la loro domanda, perché altrimenti incorreremmo nel mancato rispetto del principio del non-refoulement. Talora sono esposti al rischio gli aeroporti stessi, perché in alcuni casi le persone non chiedono asilo, ma cercano di eludere i controlli addirittura fuggendo in pista, per cui siamo dovuti intervenire.
  Qui si frappone però una particolarità, ovvero che la quasi totalità di quei passeggeri sono trasportati dall'Alitalia. Questa è un una caratteristica.
  Sulle frontiere aeree adesso c’è un processo di sviluppo, è stato presentato un pacchetto a livello europeo con le cosiddette smart borders, le frontiere intelligenti, con l'introduzione di alcuni sistemi come l'Entry/Exit System, che è ancora in fieri, in quanto c’è una progettualità per fare in modo che sia censito ogni straniero che entra in Europa e che non ne esce. Ciò riguarda non solamente gli immigrati clandestini, che vengono rintracciati all'atto dell'ingresso e per i quali si presuppone vengano adottati provvedimenti di respingimento o di espulsione, a seconda dei casi, ma soprattutto per il fenomeno dei cosiddetti overstayers, cioè coloro che entrano legittimamente nel nostro Paese così come in Europa in forza di un visto, o di un passaporto in corso di validità ancorché esente da visto, e al termine del periodo previsto (in genere 90 giorni su 180, prima erano 3 su 6 mesi, c’è stato uno sviluppo dialettico su questa terminologia) rimangono e vanno a ingrossare le fila della clandestinità.

  PRESIDENTE. Scusi se la interrompo. A proposito della considerazione sull'Alitalia, vorrei capire se le altre compagnie aeree abbiano sistemi differenti.

  GIOVANNI PINTO, direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno. No, gli immigrati da Algeri possono preferire l'Alitalia perché offre una tariffa più bassa, che favorisce questo tipo di biglietto rispetto ad altre tariffe più alte. Poiché l'Air Algerie o l'EgyptAir lavorano «in casa» e sono più selettive, gli immigrati trovano maggiore facilità con l'Alitalia, ma ad onor del vero per quanto riguarda gli egiziani il fenomeno è stato bloccato, perché abbiamo chiesto all'Alitalia di recedere dalla vendita dei biglietti in transito.
  C’è una possibilità tecnica per frenare questo fenomeno: l'introduzione del visto di transito aeroportuale nei confronti di questi Paesi. Si tratta di un provvedimento che dal punto di vista diplomatico e delle relazioni bilaterali può essere forte e non facilmente accettabile, però è una possibilità tecnica di risolvere il problema.
  Per quanto concerne gli overstayers, oggi è una giornata particolarmente ricca perché questa notte 1.200 immigrati sono giunti in Sicilia, a Lampedusa, o sono in corso di trasferimento. C’è stata un'interruzione, evidentemente legata al maltempo e alle cattive condizioni meteorologiche, ma non appena queste si sono dissipate è ripreso un traffico di una certa rilevanza. Queste 1.200 persone rappresentano un impegno notevole anche per chi è dedicato a questo tipo di attività. Quest'anno gli arrivi sono 42.000. Nel 2011, con la «Primavera araba» arrivammo a 62.000; nel 2010, in virtù di relazioni diplomatiche con la Libia, il numero era sceso a 4.000, poi è risalito a 35.000, ma la quantità tendenzialmente è stata più o meno costante. Pag. 6
  Adesso non se ne fanno più, ma prima c'erano le cosiddette «regolarizzazioni» o «sanatorie». Uno dei primi provvedimenti legislativi adottati in materia fu il cosiddetto decreto Dini. Se si sommano i dieci anni precedenti di tutti gli sbarchi clandestini, si arriva a 300.000-400.000 persone, ma la regolarizzazione comporta un milione di persone che si regolarizzano. Le nazionalità che richiesero la regolarizzazione non erano certamente marocchini, algerini e tunisini, bensì ucraini e di altri Paesi dell'Europa orientale. Ciò significa che molti di quei soggetti erano entrati attraverso altre frontiere, soltanto che il dato dell'immigrazione via mare è molto visibile, si spettacolarizza, è anche drammatico perché oggettivamente la tragedia del 3 ottobre scorso ha mosso gli animi. Poi parlerò di «Mare Nostrum», evidenziando le ricadute della situazione. È chiaro che una simile tragedia colpisce l'opinione pubblica e la sensibilità politica, ponendo in primo piano la necessità di adottare gli strumenti per la salvaguardia della vita umana in mare, che peraltro sono già previsti da varie convenzioni internazionali; quella di Amburgo sul soccorso marittimo, quella sul traffico marittimo, quella sulla salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS). Esiste una panoplia di provvedimenti.
  È però evidente che c’è un'immigrazione strisciante, quotidiana, uno stillicidio che passa sia attraverso le frontiere terrestri sia soprattutto attraverso una legittimazione ufficiale di ingresso nel territorio italiano e territorio Schengen per poi rimanere. L'Unione europea si sta preoccupando di attuare un sistema (peraltro oltremodo costoso), l’Entry/Exit system, proprio per cercare di capire quanta gente entri e quanta esca, perché ogni anno si può fare una verifica della differenza fra entrati e usciti, cioè di coloro che evidentemente gravitano nell'ambito del territorio europeo.
  Bisogna anche fare una considerazione più ampia: si può parlare di territorio nazionale, ma bisogna avere sotto gli occhi un ambito territoriale molto più vasto. Consideriamo per esempio un dato ufficiale: l'80 per cento dei richiedenti asilo si indirizza in sette Paesi dell'Unione, per quanto riguarda la residenza, non la richiesta (che dovrebbe essere formalizzata nel Paese di primo ingresso). I cosiddetti pool factors sono concentrati in otto Stati: Germania, Svezia, Paesi nordici, Belgio, Francia, secondo preferenze ancestrali di richiamo; ad esempio gli eritrei hanno nuclei originari stabilmente residenti in Svezia e quindi la Svezia è per loro il Paese di elezione.
  Questo è il fenomeno nella sua portata generale. Per quanto riguarda l'immigrazione clandestina allo stato attuale, bisogna dire che l'Europa, e quindi di riflesso anche l'Italia, si è dotata di strumenti di percezione e di valutazione di analisi senza precedenti. L'organizzazione dell'agenzia Frontex – tanto discussa, con il regolamento del Consiglio del 2004 entrato in funzione nel 2005 e rivisitato profondamente nel 2011 per conferire all'agenzia una maggiore efficacia e operatività – si è dotata di strumenti straordinari dal punto di vista dell'analisi del rischio, perché ci sono un settore operativo dove si parla di rimpatrio assistito obbligato, quindi con l'assistenza da parte di Frontex agli Stati membri, un'unità di analisi del rischio, un'unità che si occupa della parte operativa.
  Nelle unità del rischio sono stati messi in funzione strumenti di raccolta delle informazioni e di sviluppo delle analisi particolarmente importanti, perché nelle valutazioni raccolte quotidianamente sui flussi migratori legali è apparso uno scenario importante, ben determinato. Esistono essenzialmente due flussi che riguardano l'Europa: il primo concerne il Mediterraneo centrale, soprattutto attraverso la Libia, ed è composto da persone che giungono in Libia anche perché quel Paese ormai ha una realtà clanica e non esiste un governo affidabile. Quando c’è una polverizzazione delle istituzioni di un Paese, infatti, le organizzazioni criminali, che preesistevano e avevano delle roccaforti precise in alcune località, vedono il potenziamento delle proprie possibilità. Le persone giungono attraverso due rotte ben Pag. 7precise, prima fra le quali il Corno d'Africa. Su 41.000 immigrati, ormai gli eritrei incalzano i siriani; tutti parlano dei siriani ma gli eritrei sono un numero notevolissimo. Giungono in Libia attraverso l'Etiopia e il Ciad. Di solito, il «carico» (scusate questa espressione poco gradevole) si fa durante l'inverno, quando l'attraversamento del deserto è più agevole per le condizioni meteorologiche, e ci si ferma in molti casi in Libia, dove si lavorava in nero (ma adesso bisognerà vedere quale sarà lo sviluppo della situazione interna libica), si raccoglieva il quantum necessario per pagare il traghettatore e l'organizzatore per il trasferimento verso la Sicilia.
  La seconda via è quella del Sahel, che passa attraverso il Niger e la parte settentrionale dell'Algeria, e coinvolge cittadini maliani, senegalesi, nigeriani, che sono l'altra parte della medaglia.
  Qualcosa è cambiato rispetto ad anni recenti: la composizione di questi flussi riguarda in molti casi cittadini che in principio sarebbero destinatari di un sistema di protezione internazionale. Mi riferisco evidentemente ai siriani, all'Eritrea che, con la coscrizione obbligatoria e il regime autoritario, ha una certa dimensione, però permane sempre una frangia composta da migranti economici, anche se anno dopo anno diventa sempre più difficile distinguere coloro che vengono solo per una ricerca di condizioni migliori di lavoro e per un movente economico da chi effettivamente, oltre al motivo economico, ha nel proprio Paese di origine una situazione di riduzione delle libertà, perché quasi tutti i Paesi africani, alcuni in maniera più eclatante, altri in maniera surrettizia, hanno gli stessi problemi.
  Dopo il 3 ottobre c’è stato un grande battage emotivo; la tragedia è stata difficile da accettare, in quanto l'episodio ha coinvolto circa 500 persone. Anche politicamente, il nostro Governo ha sottolineato la situazione, evidenziando anche un aspetto fondamentale: al di là del fenomeno migratorio, ci sono pur sempre persone in mare che bisogna salvaguardare. All'indomani della tragedia c’è stata anche una risoluzione del Parlamento europeo che, nel richiamare la solidarietà, ha sottolineato l'importanza di salvaguardare la vita umana in mare.
  Purtroppo è necessario registrare una situazione oggettiva: nessuno ferma quei migranti, che partono direttamente dalla Libia e arrivano sulle coste lampedusane o siciliane. Cipro e Malta, per la loro dimensione strutturale di piccoli Paesi privi di capacità ricettive, li lasciano passare e lo stesso avviene attraverso il Mare Egeo, perché la crisi siriana ha determinato una diaspora non solo per i siriani. Ci sono 2,5 milioni di siriani fuori dal proprio Paese, la maggior parte dei quali residente in Libano (circa 800.000, ma qualcuno dice siano addirittura 1 milione), con altre consistenti quote in Giordania, in Turchia e in Egitto.
  C’è un dato da considerare per capire perché ci sia stata un'esplosione migratoria a partire dallo scorso luglio (su 42.000 arrivi che abbiamo registrato nel 2013, soltanto 9.000 riguardano i mesi fino a giugno). Andando a leggere le segnalazioni e le informazioni che vanno al di là del dato di polizia, risulta che in Egitto erano riparati moltissimi siriani, i quali erano stati accolti lì senza obbligo di visto, con una situazione di assoluta disponibilità. Quando i siriani giungevano in Egitto, infatti, al governo c'erano i Fratelli Musulmani. In seguito, c’è stata la deposizione del presidente Morsi e, poiché alcune manifestazioni hanno visto i siriani coinvolti a sostegno dei Fratelli Musulmani, c’è stato un giro di vite da parte delle nuove autorità egiziane e innanzitutto è stato reintrodotto l'obbligo del visto. Molti siriani che avevano partecipato alle manifestazioni a favore di Morsi e contro l’establishment che si stava delineando sono stati tratti in arresto e, anche se non c’è stato un pogrom, termine che sarebbe esagerato, comunque i siriani non sono stati più ben accolti. Secondo le informazioni forniteci dagli esperti di immigrazione, ciò ha determinato un affievolimento progressivo della presenza dei siriani in Egitto, tanto che attualmente sono scesi a circa 120.000.Pag. 8
  Questa situazione ha rappresentato un detonatore per ulteriori partenze: molti siriani hanno lasciato l'Egitto ma non sono tornati in Siria; si sono invece diretti nei Paesi limitrofi (Libano, Turchia, Iraq, Giordania) e in parte hanno preso la via del mare. Anche prima dell'operazione «Mare Nostrum», infatti, sulla base di attività di investigazione e d'inchiesta, molti soggetti sono stati già tratti in arresto e in tre casi (l'ultimo dei quali proprio nell'ambito di «Mare Nostrum») sono state intercettate e sequestrate navi madri che, arrivate a 120-130 miglia dalle coste lampedusane, scaricavano su altre navi minori gli immigrati, con tutte le conseguenze che si possono immaginare.
  Il fenomeno a grandi linee è questo. L'Italia è una piattaforma ideale per raggiungere l'Europa dal punto di vista geografico ed è circondata da Stati membri dell'Unione europea che sono in evidente difficoltà. Cipro è molto vicina per i migranti, ma non vogliono andarci perché, una volta arrivati lì, come pure a Malta, non hanno risolto il loro problema, ma devono intraprendere un ulteriore viaggio in un territorio che non è confident, perché lì non trovano le organizzazioni criminali operanti in Libia e in generale in Africa che li possono favorire, e trovano atteggiamenti meno impegnati nell'attività di search and rescue. Quindi le navi passano e vengono raccolte da noi. Il fenomeno naturalmente ha le sue stagionalità, è legato alle condizioni meteorologiche, ma il trend è essenzialmente quello che ho appena descritto.
  Dopo la tragedia del 3 ottobre, come tutti sanno, c’è stata la visita del presidente della Commissione europea, Barroso, e del commissario per gli affari interni Malmström, tutti i Paesi hanno espresso la propria solidarietà per l'immane tragedia con numerosi bambini tra le vittime, e tutto questo ha determinato anche l'assunzione di iniziative a livello politico e a livello europeo.
  Il Consiglio giustizia e affari interni del 18 ottobre ha incaricato la Commissione di istituire una task force mediterranea, il Parlamento ha approvato la risoluzione che ho citato, auspicando che gli Stati membri intervengano in mare per la raccolta delle persone, per evitare che ci siano altre vittime. La task force mediterranea sotto l'egida della Commissione si è riunita due volte a Bruxelles con una check-list di misure da adottare, avendo individuato alcune aree di intervento. I lavori della task force, a cui ho partecipato a Bruxelles, sono stati oggetto di una comunicazione della Commissione al Consiglio giustizia e affari interni svoltasi a Bruxelles il 5 dicembre. Il commissario europeo Cecilia Malmström ha presentato tutto e il Consiglio europeo di fine anno si esprimerà al riguardo in modo definitivo.
  È emerso un atteggiamento estremamente variegato dei Paesi dell'Unione europea. Partendo dalla tragedia del 3 ottobre, è stata posta in evidenza l'esigenza di impegnarsi per la salvaguardia della vita umana in mare. Molti Paesi, pur condividendo le linee generali (e stavolta nel Consiglio giustizia e affari interni, contrariamente ai gruppi tecnici, l'approccio politico è stato più soft perché ci si rendeva conto della delicatezza dell'argomento), hanno sottolineato però che fare operazioni di search and rescue in maniera ufficiale, determinata, pubblica rischia di diventare un pool factor, perché le organizzazioni criminali e gli immigrati sanno che nelle vicinanze delle coste di partenza ci sono le unità navali che vanno a salvarli.
  Il fenomeno attuale dell'immigrazione clandestina non è più costituito da persone improvvisate; ormai hanno tutti i telefoni Thuraya con i recapiti telefonici delle capitanerie di porto, della Marina: parte la telefonata, assistita anche in alcuni casi da organizzazioni, sulle quali per rispetto di investigazione non posso pronunciarmi, che fanno pressione sulle unità delle capitanerie di porto e della Marina perché vadano subito a raccogliere i migranti, anche perché l'onda lunga della tragedia del 3 ottobre ha giustamente determinato uno stato di allerta.
  Un bravo tiratore sa che, se spara una rosa di colpi, tra un colpo e l'altro si crea Pag. 9un vuoto. Se ogni colpo è un'unità navale, nel momento in cui lo spazio tra le unità navali si allarga, si crea un vuoto, dove è più facile attraversare. Nonostante le operazioni in corso, ci sono stati arrivi incontrollati: l'altro giorno è giunta a Lampedusa un'altra barca e circa 70 tunisini sono arrivati a Pantelleria.
  Anche volendo non è possibile evitarlo; anche se il dispositivo a cui farò cenno è articolato in una componente navale e una aerea, non può controllare tutto, quindi inevitabilmente si può creare un vuoto e purtroppo anche ripetersi una tragedia come quella del 3 ottobre.
  Questa è la situazione nella sua gravità. «Mare Nostrum» è praticamente una piccola flotta composta da una landing platform dock (LPD) di grande capacità, due pattugliatori e due fregate e svolge la sua attività fra Lampedusa e le coste africane; fino a ieri aveva svolto 18 interventi che oggi sono diventati 24, e ha raccolto circa 4.000 immigrati (erano 2.900, ma 1.200 sono arrivati questa notte).
  Noi della polizia abbiamo mandato a bordo di queste unità alcuni team di fotosegnalamento per l'assunzione di impronte digitali, alcuni mediatori linguistici che conoscono l'arabo, il tigrino, l'eritreo, perché la prima fase dell'accosto alle imbarcazioni con clandestini è oltremodo delicata e carica di timore, anche se adesso si sarà probabilmente diffuso il messaggio che le navi militari italiane li raccolgono e li portano in Italia. Nell'ambito del search and rescue è previsto che la capitaneria di porto competente possa nominare anche un mercantile come responsabile dell'operazione, quindi in passato è capitato che non volessero salirvi perché temevano di essere riportati in Libia.
  D'altra parte, occorre tener presente che noi ci siamo dovuti difendere dalla sentenza Hirsi, emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo nel 2012. In seguito al fatto che avevamo rimandato indietro in Libia alcune barche, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha visto in questo intervento una violazione del principio del non-refoulement, accusandoci di non aver dato ai migranti la possibilità di chiedere asilo e di averli rinviati in un Paese scarsamente affidabile (si parla del 2009, quindi di un'epoca antecedente la «Primavera araba»), che non aveva firmato la Convenzione di Ginevra, anche se aveva firmato la Convenzione africana sul rispetto dei diritti umani. È una pronuncia che naturalmente viene tenuta in massimo conto. Frontex, a seguito dalla rivisitazione del regolamento nel 2011, in particolare dell'articolo 26, è stata obbligata a prevedere un foro di consultazione in materia di asilo con l'Alto commissariato dell'ONU per i rifugiati (UNHCR), con le organizzazioni non governative, l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), l'European asylum support office (EASO), e ha individuato nell'ambito della stessa agenzia un fundamental rights officer, cioè una persona che svolge inchieste negli Stati membri per verificare se durante le operazioni si siano comportati conformemente alle convenzioni internazionali, attenendosi al rispetto del principio del non-refoulement. Questa è la temperie.
  Vorrei sottoporre alla vostra attenzione una riflessione importante: quali sono le possibili ricette ? In questo momento non ne vedo o, se ci sono, sono molto al di là. Noi abbiamo un dilemma: la salvaguardia della vita umana in mare è primordiale, anche se gli altri Paesi forse non hanno questa sensibilità, quindi il search and rescue, le convenzioni internazionali, l'obbligo di salvare vite umane è un diritto primordiale, ma d'altra le politiche di contenimento dei fenomeni migratori non possono essere gestite senza la collaborazione dei Paesi di origine, di transito o di partenza, perché solo ad essi può essere richiesto un fenomeno di contenimento.
  Sono tornato alla direzione dell'immigrazione e della polizia delle frontiere alla fine del luglio scorso, in piena bagarre, e ho incontrato l'ambasciatore turco, abbiamo fatto una tornata negoziale di nuovo in Libia, ho incontrato l'ambasciatore algerino e a giorni avrò una tornata negoziale con i tunisini, mi sono confrontato con l'ambasciatore egiziano (gli egiziani Pag. 10sono attivissimi nel bloccare le partenze). Noi assistiamo 500.000 siriani, ignoriamo quanti siano in Libia perché la Libia attualmente non è un interlocutore unico. Ci troviamo di fronte a Paesi che ospitano centinaia di migliaia di richiedenti asilo legittimati alla protezione internazionale, con problemi di gestione. Ho già spiegato quanto è successo in Egitto, dove a una fase di accoglienza è seguita una fase di non gradimento per motivi politici interni. Queste sono le difficoltà oggettive.
  I provvedimenti presentati di recente al Consiglio giustizia e affari interni dalla Commissione europea riguardano una serie di misure, prime fra le quali i pattugliamenti congiunti di Frontex, che noi facciamo da quando Frontex è stata creata. Io vi sono stato per 23 anni, quando facevamo l'operazione Nettuno; adesso si chiamano operazioni «Hermes» ed «Aeneas».
  Le uniche operazioni che hanno avuto successo sono state quelle spagnole davanti alle Canarie, perché si era instaurato un rapporto di collaborazione, previo versamento di corrispettivi di assistenza ai senegalesi. Si trattava comunque di un fenomeno molto ridotto, non paragonabile alle dimensioni di quello che stiamo vivendo ora. Si è riusciti ad arginare il fenomeno, tenendo presente poi che il Marocco per la Spagna è come per noi la Slovenia, ci sono le enclaves di Ceuta e Melilla, c’è una lunga tradizione di collaborazione tra i due Governi.
  Noi abbiamo fatto accordi di riammissione con tutti, però il fenomeno Libia, con la sola eccezione del 2010, è stato diluviale e ci sono dei focolai retrostanti di continua spinta ai fenomeni migratori.
  Sono state proposte politiche di resettlement, creando posti in Europa per un safe arrival, un arrivo sicuro dei migranti. Alcuni Paesi le hanno attuate con grande successo, ma hanno riguardato 5.000 persone in tutto, quindi lascio alla considerazione di voi tutti, tenendo conto dell'arrivo di 50.000 immigrati in 10 mesi, come possa incidere realmente il resettlement attualmente configurato.
  Si parla quindi di operazioni estese di Frontex, anche con la partecipazione di unità militari. Frontex è un'agenzia per la gestione della collaborazione operativa alle frontiere esterne, ed è civile; il suo mandato secondo regolamento non prevede il coinvolgimento di strutture militari, a meno che non siano inserite in un contesto di polizia civile. C’è stata quindi anche la partecipazione di unità militari, ma sotto l'egida di un'organizzazione di polizia, perché altrimenti sarebbe fuori dal mandato e costituirebbe una pericolosa deriva militare di quel tipo di organizzazione, però questa è una riflessione del tutto personale. Il 5 dicembre i Ministri dell'interno hanno dichiarato chiaramente che Frontex ha un compito di polizia di frontiera e non militare.
  Per quanto riguarda la collaborazione con Paesi terzi, anche Frontex in virtù del nuovo regolamento del 2011 ha una competenza specifica: può mandare funzionari di collegamento, può proporre progetti finanziati dalla Commissione ed essere un po’ il capofila. Tenete presente che in questi Paesi c’è un magma di iniziative: in Libia c’è l'European Union border assistance mission (EUBAM), la Commissione europea se ne sta occupando, i Paesi a livello bilaterale hanno sviluppato iniziative, se non altro per tenere la porta della collaborazione mezza aperta.
  Abbiamo quindi una task force che collabora e a giorni si terrà una riunione. Ho rilanciato un progetto, «Sahamed» (Sahara – Mediterraneo), che è un follow up del progetto «Across Sahara» lanciato alle frontiere tra il Niger e la Libia, e prevede il rifacimento di alcune strutture di accoglienza in territorio libico. Il progetto, nel quale sono coinvolti anche il Comitato italiano rifugiati e l'OIM, prevede inoltre la fornitura di natanti, la formazione di attività di navigazione, la formazione professionale per personale libico. Il progetto è finanziato dalla Commissione europea in misura cospicua, con 10 milioni di euro; noi partecipiamo con una quota risibile di 600.000 euro. Si cercherà di sviluppare il progetto da un punto di vista non solo di contrasto, ma anche di Pag. 11assistenza, in quanto si parla della ristrutturazione di alcuni centri di accoglienza che ho visitato e che sono allucinanti: locali chiusi, senza finestre, dove gli immigrati vengono collocati in condizioni miste, non ci sono bagni. Questa è la realtà che ho visto in pieno deserto, in un fetore mortale, per cui ho aperto la porta e l'ho richiusa immediatamente perché non avrei potuto resistere. Si tratta senza alcuna enfasi di una situazione aberrante. Ci sono innumerevoli motocicli Ape con le sospensioni rinforzate perché devono percorrere il deserto con «carichi» umani abnormi, C’è bisogno effettivamente di certi interventi, nonché del contrasto alle organizzazioni criminali.
  Abbiamo avviato una quantità di attività investigative a livello criminale, però tutto si arena quando, avendo intercettato soggetti che operano nei Paesi di transito o di partenza, non abbiamo risposta dagli Stati terzi con i quali abbiamo un rapporto e non ci viene detto nulla di un determinato soggetto che risulta essere implicato.

  PRESIDENTE. Quali sono prevalentemente i Paesi implicati ?

  GIOVANNI PINTO, direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno. I Paesi terzi di appartenenza, in primo luogo, però bisogna distinguere i Paesi di origine e i Paesi di ultima partenza. Il Paese più importante in questo momento è certamente la Libia, che è anche fuori controllo.
  Qualcuno malevolmente sostiene che da quando sono in corso le operazioni di «Mare Nostrum» il prezzo del biglietto si sia dimezzato, perché alla partenza si hanno subito le navi vicine: è una sorta di assicurazione di viaggio. Questo però non deve essere un elemento dirimente, perché lo scopo principale è la salvaguardia della vita umana in mare.
  Naturalmente i Paesi più lontani e che guardano al fenomeno con diffidenza non condividono questa politica di avvicinamento alle coste africane.
  Da un lato ci sono più misure, quali il resettlement, il contrasto all'immigrazione illegale, i pacchetti per creare canali di ingresso sicuri, la rivisitazione delle politiche di ingresso attraverso progettualità di diverso tipo, una check list abbastanza ricca ma di lungo respiro, ma noi abbiamo la gente da salvare in mare: in questo momento 1.000 persone stanno partendo. In attesa che maturi tutto l'insieme dei provvedimenti, chi gestisce l'evento ? Se nessuno gestisce l'evento e la vocazione di questa gente è partire verso l'Italia, che facciamo ? È un problema veramente difficile. I migranti magari giungono in Italia per proseguire verso il Belgio, però il nostro è territorio di approdo. Questa è la descrizione oggettiva di quello che c’è. Potete immaginare il senso di frustrazione che a volte si prova di fronte a queste situazioni.
  Non siamo stati inerti, abbiamo eseguito 144 voli di rimpatrio. Un'altra misura un po’ grottesca è rappresentata dalle politiche di ritorno, per cui ho chiesto retoricamente se un siriano debba essere portato ad Aleppo, a Damasco o a Latakia. Possiamo rimpatriare verso Paesi sicuri, ma non possiamo portare il siriano a Latakia, Damasco o Aleppo, l'eritreo ad Asmara, il sudanese animista a Khartoum.
  Con la Tunisia abbiamo accordi e attuiamo i rimpatri, come pure con la Nigeria. Adesso avremo una tornata negoziale e sto cercando di introdurre in questi accordi il principio della condizionalità: non si possono continuare a dare aiuti indiscriminatamente, perché poi tutto si traduce solo e unicamente in soldi, che si trasformano in mezzi, in corsi, in assistenze tecniche di vario genere, ed è nato tutto un mondo che ruota attorno a questo business. Occorre la condizionalità, quindi: dammi risposte effettive perché io possa continuare a darti infrastrutture, mezzi e risorse. C’è anche il dilemma interno della polizia con le sue difficoltà; traiamo queste disponibilità da capitoli previsti per la collaborazione con i Paesi terzi e abbiamo le difficoltà ben note a tutti, per cui mi sembra doveroso che la spesa del danaro Pag. 12pubblico, sia pure per una funzione così importante, sia assistita da un risultato, altrimenti significa spargere denari senza risorse e senza alcun risultato.
  Riguardo ai detenuti, esiste la questione del rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto durante il periodo di detenzione hanno il diritto di rinnovarlo. Possono farlo attraverso il direttore del carcere, ma naturalmente l'istanza di rinnovo deve soddisfare le condizioni e non ci devono essere motivi ostativi al rinnovo del permesso di soggiorno. In relazione al reato commesso ci sarà eventualmente la revoca del permesso di soggiorno e conseguenti provvedimenti di allontanamento definivo dal territorio. Al posto dell'immediato accompagnamento alla frontiera previsto dalla legge Bossi-Fini è stato introdotto il concetto del lasso di tempo di 7-30 giorni per lasciare il territorio nazionale, a meno che non ci sia il fondato sospetto di fuga, prevedendo, nell'ipotesi in cui non ci sia il documento, il trattenimento nei CIE. La questione dello straniero in stato di detenzione è quindi così delimitata.
  C’è poi un aspetto diverso: nella prassi quotidiana abbiamo degli stranieri che, dopo aver scontato uno o due anni di pena detentiva, escono dall'istituto di pena senza un'identificazione e vanno ad alimentare la presenza nei CIE. Non c’è una grande densità di detenuti nei CIE, ma comunque già agli albori dell'organizzazione del Servizio immigrazione attivammo una procedura attraverso il Dipartimento affari penitenziari (DAP) affinché si creasse un processo virtuoso per l'identificazione degli stranieri già durante il periodo di detenzione. Chi rimane un anno e mezzo di permanenza in carcere, ad esempio, avrà avuto contatti con i parenti, avrà ricevuto lettere: tutti indici importanti ai fini di una rapida identificazione. Qui ci imbattiamo in quanto dicevo in merito all'aspetto della condizionalità: le rappresentanze diplomatiche chiedono i cartellini fotodattiloscopici, ma in molti casi a mio avviso è un aspetto dilatorio, perché passano mesi; in altri casi fanno l'intervista e finalmente si arriva all'identificazione.
  C’è un problema di riflesso: in ambito nazionale nei CIE, così denominati dal 2008, mentre prima erano denominati centri di permanenza temporanea e assistenza, i tempi di trattenimento si sono prolungati, perché si è passati dagli iniziali 30 giorni (20 più 10) a 30 più 30, fino ad arrivare a 18 mesi. Tuttavia, i tempi di trattenimento medi in un CIE sfiorano i 40-46 giorni, quindi anche quest'altra fola popolare va spazzata via, perché quasi nessuno vi permane per 18 mesi. Un ampliamento del periodo di trattenimento deve essere accompagnato da un riadattamento dei CIE, perché non è pensabile che un CIE creato per accogliere le persone per 30 giorni possa essere adatto per ospitarle per 18 mesi. Sono stati realizzati, oltretutto, con uno strabismo geografico iniziale: c’è stata un'attenzione massima alla creazione di CIE nel Sud e solo in un momento successivo anche nel Nord. I CIE sono stati realizzati con una grandezza diversa da un luogo all'altro. È quindi necessario arrivare a un nuovo approccio, che prevede uno stereotipo di CIE che sia confacente alle problematiche di ordine pubblico e a criteri di vivibilità.
  È innegabile che ci sia la necessità di poter disporre di un periodo congruo per l'identificazione, e si potrebbe addirittura pensare che non ci sia un limite massimo e che il limite sia dettato dalla situazione della verifica; ma questa è un'altra storia, è organizzazione creativa che certamente ha un altro spunto di interesse.

  PRESIDENTE. Grazie, direttore, della sua relazione molto interessante, in cui ci ha fornito utili dati. Ci riserviamo di chiederle nei prossimi mesi un'ulteriore audizione perché oggi abbiamo tempi limitati, ma abbiamo capito che lei è una fonte di informazioni fondamentale. Ringraziamo anche il vicequestore aggiunto della Polizia di Stato, Raffaella Renzi, che l'ha accompagnata.Pag. 13
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  LUCA FRUSONE. Vorrei conoscere innanzitutto la percentuale di detenuti nei CIE. Per quanto riguarda Frontex, vorrei sapere se ci siano delle novità sul recepimento delle raccomandazioni fatte dal mediatore europeo per quanto riguarda il meccanismo per i reclami sui diritti umani fatto a novembre. Infine, lei all'inizio ha citato l'Entry/Exit System: vorrei capire tecnicamente come funzioni.

  GIOVANNI PINTO, direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno. Innanzitutto il dato sui detenuti è pari al 7 per cento, a testimonianza di quanto sostenevo prima sulla fola popolare. Solo 11 persone hanno tagliato il traguardo di 18 mesi, la media è di 46 giorni e la media dei riconoscimenti si è abbassata al 46 per cento dei trattenuti, identificati e rimpatriati.
  Per quanto concerne i diritti fondamentali, il nuovo regolamento Frontex rivisitato nel 2011 all'articolo 26 ha stabilito che il direttore esecutivo dell'Agenzia debba avvalersi di un foro consultivo in materia di asilo, rappresentato dall'UNHCR, dalle organizzazioni non governative, dall'EASO. È stato nominato all'interno dell'Agenzia il fundamental rights officer, che vigila sul rispetto delle disposizioni vigenti in materia di asilo. Mi sembra una risposta molto concreta. Nell'ultimo management board abbiamo avuto una relazione del fundamental rights officer che ha indicato le violazioni di alcuni Paesi membri che non cito, ma tra i quali posso assicurare che non c’è l'Italia.
  La terza domanda riguardava invece l'Entry/Exit System, che fa parte di un pacchetto denominato «Smart Board», che è una comunicazione della Commissione che ha già attraversato diverse presidenze e continuerà sotto il semestre di presidenza greca e quello di presidenza italiana. Consiste nel creare un sistema – peraltro molto costoso – di censimento degli stranieri quando entrano nel territorio comune Schengen e quando ne escono, in modo che ci sia un match di quando un soggetto è entrato e di quando è uscito. Ciò serve anche per verificare il cosiddetto straniero bona fide, perché attraverso una storia dei suoi spostamenti è possibile controllare se sia entrato e uscito più volte rispettando i termini e dimostrandosi quindi un soggetto affidabile. Questo si fa per recensire gli overstayers, perché non è necessario entrare clandestinamente, di soppiatto, sulle barche, nei treni, negli autobus o nei TIR, ma è sufficiente entrare in forza di un visto regolare e rimanere alla scadenza del visto, diventando overstayer. L'Entry/Exit System permette dunque il match, perché all'atto dell'ingresso il soggetto entra per tre mesi e al novantunesimo giorno un flag lo individua come overstayer. Se quindi aveva avuto un visto rilasciato, ad esempio, dall'ambasciata d'Italia a Karachi, si invia una segnalazione all'ambasciata informando che non è uscito, quindi è un irregolare. Accanto a questa situazione però c’è la registrazione del travel passenger (CTP), che è esattamente antinomica, perché cerca di introdurre una facilitazione per i passeggeri bona fide. Questo significa alleggerire le procedure di controllo all'atto dell'ingresso perché si tratta di soggetti affidabili. Ho avviato un gruppo di lavoro a Fiumicino con una società di gestione per cercare di dare efficienza ed efficacia ai gates elettronici che attraverso un passaporto elettronico accelerano le procedure all'atto dei controlli di frontiera. Ciò significa da un lato accelerare il transito attraverso i varchi, dall'altro dare minore carico di lavoro alla polizia di frontiera, visto che le risorse che sono quelle che sono.
  La razionalizzazione delle risorse passa certamente attraverso un ampio ricorso all'informatizzazione. È un discorso lungo, è stato già approvato, adesso ci sono degli studi di fattibilità, ma anche dei problemi di carattere giuridico per definire l'Entry/Exit System, perché sono implicate questioni di protezione dei dati e della privacy. Tuttavia nell'ultima riunione del Comitato Pag. 14strategico di immigrazione, frontiere e asilo è stato detto di non aspettare il risultato della ricerca tecnologica ma di affrontare intanto i problemi giuridici, in modo tale da fare il lavoro contestualmente, per cui quando la ricerca scientifica sarà finita ci troveremo abbinati con gli aspetti giuridici che nel frattempo saranno stati chiariti.

  PRESIDENTE. Ringrazio il direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere presso il Ministero dell'interno, Giovanni Pinto, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11,10.