XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 137 di Mercoledì 17 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione dell'on.Matteo Orfini e del prof. Fabrizio Barca:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Orfini Matteo (PD)  ... 4 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Barca Fabrizio  ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Costantino Celeste (SI-SEL)  ... 15 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL)  ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL)  ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Esposito Stefano  ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 18 
Buemi Enrico  ... 19 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 19 
Gaetti Luigi  ... 20 
Fava Claudio (SI-SEL)  ... 20 
Orfini Matteo (PD)  ... 21 
Fava Claudio (SI-SEL)  ... 21 
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI)  ... 22 
Bindi Rosy , Presidente ... 22 
Di Lello Marco (Misto-PSI-PLI)  ... 22 
Bulgarelli Elisa  ... 22 
Bindi Rosy , Presidente ... 23 
Carbone Ernesto (PD)  ... 23 
Bindi Rosy , Presidente ... 23 
Carbone Ernesto (PD)  ... 23 
Bindi Rosy , Presidente ... 23 
Carbone Ernesto (PD)  ... 23 
Bindi Rosy , Presidente ... 24 
Orfini Matteo (PD)  ... 24 
Costantino Celeste (SI-SEL)  ... 24 
Orfini Matteo (PD)  ... 24 
Bindi Rosy , Presidente ... 24 
Orfini Matteo (PD)  ... 24 
Bindi Rosy , Presidente ... 24 
Orfini Matteo (PD)  ... 24 
Bindi Rosy , Presidente ... 24 
Orfini Matteo (PD)  ... 24 
Bindi Rosy , Presidente ... 24 
Barca Fabrizio  ... 24 
Bindi Rosy , Presidente ... 24 
Barca Fabrizio  ... 24 
Bindi Rosy , Presidente ... 25 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 26 
Bindi Rosy , Presidente ... 26 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 26 
Bindi Rosy , Presidente ... 26

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione dell'on. Matteo Orfini e del prof. Fabrizio Barca.

  PRESIDENTE. Desidero innanzitutto comunicare che il deputato Sammarco entra a far parte della nostra Commissione da oggi, in sostituzione della deputata Bianchi, che come sapete è stata nominata sottosegretario. Ringrazio l'onorevole Dorina Bianchi per l'attività svolta e formulo un augurio di buon lavoro all'onorevole Sammarco.
  Avverto inoltre, e ricordo, che lunedì 22 febbraio una delegazione della Commissione si recherà in missione a Lecce per un approfondimento sulla situazione della criminalità organizzata nel distretto giudiziario di Lecce, che comprende anche le province di Brindisi e Taranto.
  A tale proposito, ricordo anche che in vista di tale missione domani, giovedì 18 febbraio, alle ore 14, si svolgerà l'audizione del presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, che ne ha fatto richiesta con lettera del 4 febbraio scorso. Come sapete, i presidenti delle regioni vengono sempre auditi in sede nazionale. Di norma lo facciamo successivamente, ma il presidente Emiliano ha chiesto di essere ascoltato prima e l'Ufficio di Presidenza ha ritenuto opportuno accogliere la sua richiesta.
  Volevo anche ricordare che ho provveduto a inoltrare la richiesta al presidente della regione Lazio perché, soprattutto per l'inchiesta di mafia capitale, per le vicende di Ostia e di altri comuni sciolti per infiltrazioni mafiose, o che comunque hanno avuto la Commissione di accesso, ritengo che lo si debba ascoltare prima della conclusione della nostra inchiesta.
  Comunico altresì che è stato costituito il X comitato «Infiltrazioni mafiose nel gioco lecito e illecito», che sarà coordinato dal senatore Stefano Vaccari e che avvierà ufficialmente i propri lavori la prossima settimana, credo giovedì prossimo.
  L'ordine del giorno reca l'audizione dell'onorevole Matteo Orfini, presidente del Partito Democratico, e del professor Fabrizio Barca. L'audizione odierna rientra negli approfondimenti dedicati alla situazione della criminalità organizzata a Roma, a seguito dell'inchiesta su mafia capitale. L'onorevole Orfini, presidente del Partito Democratico, e il professor Barca, già Ministro del Governo Monti, sono oggi ascoltati in qualità di dirigenti del PD, impegnati rispettivamente come commissario straordinario del partito a Roma e come incaricato della mappatura dei circoli del PD romano.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta.Pag. 4
  Ringraziando entrambi, do la parola all'onorevole Orfini.

  MATTEO ORFINI. Ringrazio tutti voi di questa occasione di riflessione comune e di interlocuzione che mi consentirà, spero, di raccontare, ovviamente nel minor tempo possibile per non tediarvi, quello che mi sono trovato a gestire negli ultimi quattordici mesi ormai, cioè una delle crisi politiche più gravi e complicate della vita della città di Roma, della capitale d'Italia.
  Credo di averlo fatto con l'onestà intellettuale di non negare l'esistenza e la gravità di un problema, di non sminuire l'entità del problema e di non provare a nascondere la polvere sotto il tappeto. Ci tengo a iniziare da qui perché nel momento in cui sono diventato commissario del Partito Democratico di Roma, subito dopo l'esplosione pubblica della notizia dell'inchiesta di mafia capitale con i primi provvedimenti giudiziari, c'era un dibattito nel mio partito, nella città di Roma, direi persino nel Paese, su quanto l'impianto di quell'inchiesta fosse o meno da considerare forzato.
  Come sapete, perché è agli atti del dibattito pubblico, c'era chi nel mio partito, nella città di Roma e nel Paese, riteneva eccessiva la contestazione dell'aggravante mafiosa per la vicenda romana. Persino il titolo «mafia capitale» era considerato eccessivo.
  Senza voler esagerare il ruolo che ho avuto in questa vicenda, credo e rivendico di aver svolto da questo punto di vista una funzione positiva nel produrre uno scatto di consapevolezza, sicuramente nel mio partito, perché dal primo momento non solo ho detto che ritenevo condivisibile l'impianto della procura, ma ho voluto dire con parole chiare, senza concessioni a chi sposava, o alludeva, a una lettura diversa, che per Roma era giusto parlare di mafia, perché si trattava di mafia e di un sistema mafioso.
  Ho detto – e lo rivendico – che quel sistema mafioso aveva infettato il sistema politico della città e non solo. Ho detto che aveva infettato le classi dirigenti della città, perché mafia capitale è un fenomeno che non riguarda solo la politica, ma anche il mondo dell'impresa, del lavoro e dell'informazione. Leggendo le carte e le notizie che sono emerse in questi mesi si vede quanto quel sistema criminale aveva i suoi terminali nel mondo dell'informazione.
  Ha infettato anche il mondo dell'associazionismo. Voi avete dedicato delle sessioni di questa Commissione al mondo dell'antimafia, ad esempio di Ostia, dove credo e ritengo ci siano alcune realtà che sono state anch'esse infettate da un sistema criminale. Quindi, c'era una responsabilità delle classi dirigenti della città e anche del Partito Democratico di Roma, del mio partito.
  Non parlo esclusivamente di una responsabilità penale – questo lo diranno i processi e d'altra parte, da questo punto di vista, rivendico la scelta, che dimostra come il Partito Democratico di Roma sia stato danneggiato da alcuni suoi esponenti, di costituirci come parte civile al processo di mafia capitale, costituzione che è stata accolta – ma di una responsabilità politica, quindi per me ancor più grave da un certo punto di vista. Infatti, chiama in causa tutto il Partito Democratico di Roma e anche chi, come me, ne è figlio, nel senso che sono cresciuto al suo interno e vengo da quella storia. È vero che negli ultimi anni non ho avuto alcun incarico in quella realtà, però sono un dirigente politico, faccio il presidente nazionale del partito, sono stato eletto a Roma e sono un figlio di quel partito.
  La responsabilità politica sta tutta nella domanda che molti ci hanno fatto in questi mesi e che io per primo mi sono fatto, nel momento in cui ho letto le prime notizie sull'indagine, cioè come è stato possibile non accorgersi di quello che accadeva nella città di Roma. Potrei dire – e dico – che è una responsabilità che non riguarda solo noi, solo la politica, ma che coinvolge realtà istituzionali che avevano molti strumenti in più rispetto alla politica per accorgersi di quello che stava accadendo nella città.Pag. 5
  Mi chiedo come sia stato possibile che tante di queste cose siano avvenute, che un sistema criminale così radicato e così plurale come quello delle cosche che hanno preso il potere a Roma abbia attecchito nella città, senza che la procura della Repubblica «pre-Pignatone» si sia adeguatamente accorta o impegnata nel contrastarlo. Mi chiedo come sia stato possibile avere nella città di Roma un prefetto – precedente a quello attualmente in carica – che negava la presenza delle infiltrazioni mafiose nella città. Mi chiedo, ho chiesto, e sono stato anche un po’ preso in giro per questo, come sia stato possibile che una personalità nota alle cronache, a leggere i giornali, e nota ai nostri servizi, come Carminati, abbia potuto svolgere un ruolo così importante senza che nessuno se ne accorgesse; domanda che ho rivolto, nel mio ruolo di parlamentare, al COPASIR, e sulla quale spero qualcuno si stia interrogando all'interno di quella Commissione.
  Questa responsabilità ce l'avevamo anche noi, ce l'ha il Partito Democratico. Come è stato possibile non accorgersi di quello che stava accadendo nella città ? La risposta è sicuramente complicata. Ho provato a trovare delle ragioni e in questi mesi ho cercato di mettere in campo dei provvedimenti e delle misure che correggessero gli errori del passato. Credo che una delle principali responsabilità che il mio partito aveva era nelle sua modalità di funzionamento.
  Parliamo di un partito che a Roma era sempre più ostaggio di uno scontro interno, degenerato nelle modalità, nel senso che molto poco si occupava dei problemi della città e molto di più invece dell'organizzazione in filiere verticali di potere interne al Partito Democratico. Evidentemente ha finito per non vedere quello che accadeva nella città, e il combinato disposto tra questa degenerazione e le modalità istituzionali con cui funziona la politica. Del resto un partito degenerato in quel modo, in un sistema in cui tutto si sceglie attraverso il voto di preferenza o le primarie che sono, nel momento in cui si decide sul singolo parlamentare, la traduzione in un altro strumento di un voto di preferenza, è un partito che è più esposto al rischio di infiltrazioni. Alla politica prevale infatti l'ansia di rafforzare il proprio testo, imbarcando «la qualunque» in quel partito, avallando fenomeni di trasformismo e rischiando di essere molto più esposti, perché è una competizione in cui la politica non c’è più, a rischio di infiltrazioni.
  Queste sono parole e analisi che, nel momento in cui sono diventato commissario, ho subito espresso pubblicamente, dicendo in questo anno, insieme a Fabrizio Barca, le parole più dure pronunciate dalla politica nei confronti del mio partito. Siamo stati più duri noi verso il Partito Democratico di Roma di qualunque nostro duro e leale oppositore.
  Credo che molto di quello che è successo a Roma sia accaduto per il modo in cui i cinque anni della consiliatura Alemanno sono stati vissuti dal Partito Democratico, quando – qualcuno di noi lo denunciò già allora – c’è stata un'opposizione, per certi versi eccessivamente consociativa, alla giunta Alemanno, che ha consentito inconsapevolmente (lo dico a voce alta e lo sottolineo perché ovviamente non c'era un nesso consapevole), che crescesse, in quello che Carminati chiamava mondo di mezzo e mondo di sotto, all'ombra di quel consociativismo politico, un patto criminale tra criminali: Carminati e Buzzi, in questo caso specifico.
  Credo che molto abbia pesato la mancanza degli anticorpi e della consapevolezza delle classi dirigenti di cui dicevo, politica non solo, sul rischio della presenza mafiosa a Roma. Questo è un fenomeno che conoscete meglio di me e che si ripete in molte delle città e delle realtà che non sono abituate alla mafia, in cui non ci si rende conto e non si hanno gli anticorpi per prevenire il rischio dell'infiltrazione e la presa del potere delle organizzazioni criminali.
  Sicuramente tutto ciò è accaduto anche a Roma dove su questi temi, nonostante il lavoro prezioso che molte associazioni – parlo di quelle vere, antimafia Pag. 6– hanno fatto in questi anni per segnalare che qualcosa stava accadendo nella città, la politica, e quindi anche noi, ha sicuramente sottovalutato quel rischio. Per queste ragioni, siamo arrivati in ritardo. Il Partito Democratico è arrivato in ritardo e ha questa storica responsabilità nella città.
  Nel momento in cui ho riconosciuto il problema e ho fatto questa analisi, ho subito tentato di mettere in campo una reazione politica. Giova ribadirlo, anche se dovrebbe essere scontato: la politica non ha gli strumenti di reazione, né quelli di investigazione che hanno altri organi dello Stato e altre istituzioni e quindi a un problema politico risponde con le risorse e gli strumenti della politica. Ho proceduto prima di tutto lavorando a stroncare e a rivedere quel meccanismo degenerato di funzionamento della nostra vita interna.
  Intanto, ho cercato di andare fino in fondo nell'analisi di quello che c'era, chiedendo a Fabrizio Barca – non entro nel merito del lavoro che ha fatto per la federazione di Roma, perché lo farà lui successivamente immagino – di verificare se la lettura che davo del Partito Democratico di Roma fosse corrispondente a verità.
  Quindi abbiamo messo in campo un processo sicuramente unico nella storia del nostro Paese, ma credo di poter allargare anche al resto d'Europa. Abbiamo attuato questa modalità, in cui un partito decide di produrre e promuovere una valutazione vera, sincera e spietata su se stesso e sui propri meccanismi di funzionamento.
  Sulla base di quel lavoro, abbiamo proceduto a una riorganizzazione del nostro partito, delle sue modalità di funzionamento e anche a un riorientamento delle modalità di vita politica della nostra comunità che oggi, a quattordici mesi di distanza, funziona, vive e lavora in modo molto diverso, per fortuna, rispetto a come faceva.
  Non mi sono limitato al lavoro di riorganizzazione di analisi interna, sul quale non approfondisco perché lo farà Barca, ma ho cercato di reagire a quella mancanza di anticorpi, a quella inconsapevolezza di cui parlavo, della politica e delle classi dirigenti della città, svolgendo un'azione politica che avesse l'obiettivo di alzare l'asticella della legalità e del contrasto all'illegalità per tutti, compresa l'amministrazione comunale romana.
  Come ripeto, è una reazione politica che però partiva dalla necessità di far capire alle organizzazioni criminali, alla città e a noi stessi, che su alcuni aspetti non si poteva più scherzare e che bisognava che la politica reagisse alla criminalità in modo chiaro e visibile.
  Uno dei primi atti è stato quello di mandare un subcommissario in uno dei territori più complicati di Roma, di cui vi siete occupati anche voi, il X Municipio – che non è solo Ostia, ma che per comodità definiremo Ostia in questo caso – non perché avessi particolari notizie, ma perché chiunque vive a Roma sa che quello è un territorio dove il rischio di infiltrazione, anzi, dove la presenza della criminalità, è maggiore.
  Nel momento in cui ho deciso di commissariare quel territorio, ho scelto un esponente di questa Commissione per segnalare esplicitamente alla città e alla criminalità organizzata che cambiava la lettura che il Partito Democratico dava di quel territorio. Non era un territorio qualunque dove c'era la criminalità da contrastare, ma il territorio più mafioso della città di Roma e quindi andava contrastata in modo chiaro, esplicito e visibile una lettura riduzionista della presenza della mafia.
  In questi mesi ho assistito a un convegno, mi pare che fosse la presentazione del rapporto sulle mafie nel Lazio dell'osservatorio regionale, in cui il procuratore Prestipino ci spiegò che il negazionismo sulla mafia è pericoloso, ma lo è ancor di più il riduzionismo, quando si dice che la mafia c’è, però...
  Quella progressiva serie di «però» tagliuzza all'infinito il fenomeno mafioso fino a renderlo residuale nella percezione. È un po’ quello che nella storia di questi anni è avvenuto con la politica a Pag. 7Ostia. Si è detto che la mafia c'era, però anche che era un territorio di un certo tipo e che c'erano tante cose positive. È verissimo, però bisognava cambiare la lettura di quel territorio e scegliere un esponente della Commissione antimafia come subcommissario del Partito Democratico. Potremmo discutere delle peculiarità dell'esponente selezionato, però scegliere un membro di questa Commissione era già un segnale esplicito di un cambio di visione e di priorità della politica su quel territorio.
  Nel momento in cui lo abbiamo fatto, abbiamo agito con una strategia chiara: quella di realizzare cose che raramente, anzi direi mai, la politica in questa città aveva fatto, cioè sfidare apertamente i clan, chiamandoli per nome, spiegando che loro erano il problema di quel territorio e sfidando le amministrazioni municipali e comunali a reagire all'esistenza di un problema, alzando l'asticella del livello del contrasto all'illegalità ed essendo conseguenti a questa sfida.
  Ovviamente, abbiamo avuto risposte differenti. C’è stata una risposta positiva da parte del comune di Roma, e soprattutto dell'assessore Sabella che su quel territorio si è speso non poco; motivo per cui lo voglio ancora una volta ringraziare. C’è stata poi una reazione molto più timida e diversa da parte dell'amministrazione municipale che ci ha portato a fare le scelte conseguenti, note alle cronache, dopo aver tentato di rilanciare anche quell'esperienza, sfidandola a fare di più nel contrasto all'illegalità.
  Soprattutto, abbiamo chiesto di smettere di chiudere un occhio su un sistema vasto di illegalità che in quel territorio non coinvolgeva solo il livello del «mondo di sotto», ma anche pezzi di economia «legale», rompendo anche un tabù, quello che tutto sommato si doveva far finta di non vedere, ossia che un pezzo di economia legale di legale avesse molto poco.
  Abbiamo detto parole in più di un'occasione, ad esempio sul sistema dell'imprenditoria balneare di quel territorio, per cui siamo stati minacciati ripetutamente di querele che non sono mai arrivate in tutta evidenza, perché avevamo ragione noi.
  Gli eventi successivi – oggi è stato sequestrato un ulteriore pezzo di un importante stabilimento – hanno dimostrato che un pezzo dell'economia di quel territorio viveva nell'illegalità diffusa. Credo che questo non sia alieno dall'organizzazione di un sistema più complesso, in cui c’è un pezzo di economia legale, un pezzo di economia molto più illegale, con un controllo discutibile che ha chiuso in una gabbia le potenzialità di sviluppo di quel territorio e lo ha sequestrato di fatto ai cittadini. Lo abbiamo affermato come lo sto dicendo qui, assumendoci delle responsabilità e dei rischi, perché ritenevamo che andasse esplicitata una realtà che è potuta crescere in quel modo perché ha avuto in questi anni coperture trasversali, e non solo politiche.
  Mi sono trovato in più di un'occasione – lo dico assumendomi la responsabilità delle mie parole – a rimanere stupito di alcune sentenze, guarda caso sempre monocratiche, del Consiglio di Stato, su alcuni ricorsi relativi alle operazioni di sequestro di determinati stabilimenti balneari.
  Credo che avremo da riflettere molto a lungo su come un sistema economico importante, cresciuto nell'illegalità diffusa, non sia stato affrontato e sradicato mai, negli anni, in questa città, fino a quando, su iniziativa del Partito Democratico di Roma, non abbiamo iniziato ad aggredirlo nelle modalità che dicevo.
  Ho fatto l'esempio di Ostia perché è quello che ha fatto discutere di più questa città, ma potrei dire lo stesso sul VI Municipio di cui vi siete occupati e di cui avete avuto modo di audire il presidente, immagino, facendovi una vostra radicata e puntuale idea.
  Potrei parlare di come abbiamo costruito un rinnovamento insieme all'amministrazione comunale, stimolando l'assemblea comunale verso determinati sistemi di gare di appalti, o di come abbiamo avviato un'opera di analisi e verifica puntuale di quello che avveniva nelle municipalizzate Pag. 8del comune di Roma. Tutto questo ha portato a una riflessione su alcuni strumenti che quando furono inseriti nell'amministrazione, vent'anni fa, nelle giunte degli anni Novanta, erano di forte modernizzazione e hanno fatto bene alla città, ma con il tempo hanno rischiato di divenire, o sono addirittura divenuti, criminogeni. Alcuni di quegli strumenti amministrativi andrebbero forse indagati e verificati puntualmente nella loro capacità di essere ancora efficaci.
  Questo lavoro mi ha portato e mi porta a fare due riflessioni sostanzialmente, che riguardano non solo la politica, ma anche l'amministrazione. Svolgerò prima queste ultime. Gli strumenti e le norme amministrative, che evidentemente un'amministrazione comunale deve applicare, in questo anno non hanno aiutato. In molte occasioni, l'ex sindaco Marino, i presidenti di Municipio e io stesso nel mio ruolo politico ho avvertito l'esigenza, per fare un esempio chiaro, di portare nel comune di Roma, almeno per un periodo limitato di tempo, nuovi dirigenti, presi altrove, invece di ricorrere esclusivamente alla rotazione dei dirigenti stessi. Se hai un sospetto su un dirigente, lo puoi far ruotare, però sempre a dirigere qualcosa lo devi mettere, e poi il numero di dirigenti a disposizione è sempre quello. Ce ne sono di bravissimi, ma ce ne sono anche altri che invece hanno avuto e hanno dei problemi. Ciò non significa che si debbano cambiare quelle norme, ma che forse in alcuni contesti, in alcuni situazioni, avere la possibilità di agire in modo differente aiuterebbe ad affrontare i problemi.
  Arrivo così alla seconda riflessione, più di scenario – so che ne avete discusso, perché l'ho letto nei resoconti delle vostre sedute – per cui quando si arriva in una situazione come quella del comune di Roma di «scioglimento-non scioglimento», si è di fronte a un bivio un po’ rozzo, che obbliga a fare delle scelte non sempre sufficienti a trovare le risposte utili ai cittadini.
  Credo sia stato giusto non sciogliere il comune di Roma perché la discontinuità politica c’è stata, così come c’è stata una reazione al fenomeno criminale, e perché in tutta evidenza non è responsabilità di chi in questi anni ha gestito il comune quello che è successo negli anni precedenti; ha altre responsabilità dal mio punto di vista, ma non queste.
  Quando si decide – giustamente, lo ripeto – di non sciogliere, non è detto che si abbiano tutti gli strumenti necessari a bonificare una situazione comunque malata. D'altra parte, lo scioglimento produce anch'esso dei problemi, visto che parliamo di un comune enorme come quello di Roma. Tuttavia, se anche rimaniamo a un caso come quello del Municipio di Ostia, di circa 200 mila anime – quasi 300, non ci arriva – con le dimensioni di una grande città italiana, e quindi con un territorio molto complesso, la struttura commissariale che sostituisce l'amministrazione sciolta fa evidentemente una gran fatica a dare tutte le risposte quotidianamente necessarie ai cittadini nel rapporto con un'amministrazione. Questo è pericoloso non solo per la difficoltà nell'erogare i servizi e nel garantire efficienza, ma anche perché può persino far prevalere una lettura pericolosa, per cui si stava meglio quando c'era l'amministrazione infiltrata piuttosto che adesso che ci sono i commissari, perché almeno c'era qualcuno che rispondeva.
  In situazioni così delicate, studiare degli strumenti intermedi, una sorta di affiancamento a un'amministrazione – riflettiamoci nella nostra veste di legislatori – sarebbe utile perché il bivio «scioglimento-non scioglimento» oggi rischia di produrre soluzioni inefficaci, in un caso e nell'altro.
  Per quanto riguarda la riflessione più politica – e su questo concluderò – al di là della strumentalizzazione del dibattito pubblico che c’è sempre stata, ci sarà sempre tra noi ed è legittimo e inevitabile che ci sia in politica, credo che sarebbe sbagliato chiedere a un partito politico di capire e agire sulla base di strumenti che non può avere. Abbiamo il dovere di Pag. 9limitarci alla reazione e alla prevenzione politica, però penso che si possa fare, come ho provato a dimostrare quest'anno, molto di più rispetto al passato.
  Ritengo inoltre che quello che è avvenuto ha insegnato molto al Partito Democratico di Roma e ha prodotto un cambiamento reale, per la scelta che abbiamo fatto, non scontata, di prendere sul serio quello che era accaduto e di assumerci delle responsabilità che andavano ben oltre, probabilmente, quelle reali che persino la città ci ha attribuito.
  In questi quattordici mesi, molti del mio partito mi hanno rinfacciato di aver parlato troppo male del Partito Democratico in modo da renderlo, nella percezione dei cittadini, quasi come l'unico responsabile di mafia capitale, cosa che – dice l'evidenza giudiziaria – non è, altrimenti non saremmo neanche stati accolti come parte civile.
  Invece io rivendico quella scelta, le parole che ho detto qui e quelle che ho detto in questi quattordici mesi, perché penso che di fronte a una sfida così pericolosa che la criminalità organizzata, che la mafia, ha lanciato alla nostra città, occorra una reazione adeguata e all'altezza, anche se il proprio partito, la propria parte, paga un prezzo, perché di fronte a una sfida così pericolosa si reagisce guardando all'interesse generale e non all'interesse di parte.
  L'elemento di preoccupazione sul quale voglio concludere è che quel tipo di reazione in questa città l'abbiamo avuta solo noi. Nessun pezzo delle classi dirigenti di questa città, né la destra coinvolta più di noi nella vicenda di mafia capitale, né il mondo dell'impresa, hanno avuto uno straccio di reazione alla vicenda stessa. Questo onestamente mi preoccupa, da cittadino romano e da esponente di quella classe dirigente diffusa, perché ci vedo una grande inadeguatezza, che rischia di produrre una certa fatica nell'operazione di rigenerazione della città di cui abbiamo tutti un grande bisogno. Da questo punto di vista, il Partito Democratico oggi in qualche modo può essere addirittura – almeno io lo considero tale e lo rivendico orgogliosamente – un modello, per come ha reagito e per quello che ha fatto in quest'anno.
  Non mi permetterei mai di dire – e ho finito davvero – che il Partito Democratico sia immune da rischi, perché penso che non lo sia nessun soggetto politico. Del resto, la criminalità organizzata va dove c’è il potere, e dove c’è la politica c’è il potere, sia che si governi sia che si sia all'opposizione. Quindi, siamo tutti esposti a rischio.
  Per questo credo che sarebbe opportuno che tutti quanti facessero un lavoro serio e approfondito, come quello che abbiamo svolto noi. La lotta alla criminalità organizzata dovrebbe infatti essere patrimonio comune, e non oggetto di campagna elettorale tra di noi.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Orfini. Come ha sottolineato, abbiamo avanzato la proposta della terza via per il caso di Roma, ma con l'intenzione di codificarla in un eventuale progetto di legge che potrebbe accompagnare l'iniziativa già assunta dal Governo in proposito.
  Darei adesso la parola al professor Fabrizio Barca, economista, dirigente generale del Ministero dell'economia, già Ministro – come ho prima ricordato – del Governo Monti, che era stato incaricato di fare una mappatura dei circoli del PD romano e di mettere in evidenza problemi, ma anche di avanzare proposte.

  FABRIZIO BARCA. Ringrazio l'Ufficio di Presidenza che ha ritenuto di audirmi assieme al presidente Matteo Orfini.
  Sono particolarmente grato perché la valutazione di efficacia dell'azione pubblica e dei partiti, che secondo la nostra Costituzione sono un bene pubblico perché sono riconosciuti come strumento fondamentale della democrazia, è quanto di più remoto esista nel nostro Paese dalla pratica quotidiana, tanto all'interno dell'amministrazione pubblica quanto all'interno dei partiti.
  L'occasione che ho avuto, su richiesta del commissario, di effettuare questa valutazione di cui adesso vi do alcuni elementi Pag. 10di metodo e di risultato, è stata importante ed è per me un privilegio potervela sottoporre.
  Rispetto a quello che ha detto Orfini appena adesso, ritengo che la valutazione in itinere di qualunque azione pubblica, sia essa all'interno del pubblico, sia essa un'azione collettiva di un partito, è ciò che può consentire di evitare di scoprire gli errori troppo tardi. Se la valutazione e l'auto-valutazione diventano uno strumento permanente dell'attività pubblica, consentono di identificare in itinere i problemi che emergono e di risolverli.
  La proposta di valutare la qualità dei centodieci circoli del PD di Roma, che poi si riveleranno essere centootto, in quanto due risultano inattivi, viene dal commissario nel dicembre del 2014. Mi domandai allora perché mi venisse chiesto. Condivido con voi la risposta che mi diedi dopo molta esitazione; un'esitazione legata non alla motivazione, che trovavo molto appropriata, ma – confesso – all'estrema difficoltà di ciò che mi si chiedeva.
  Sono un iscritto, non un dirigente del Partito Democratico. Sono un valutatore e territorialista. Quando mi fu chiesto da Orfini, da nove mesi, nel mio tempo libero, conducevo un'attività, con dei fondi raccolti attraverso un crowdfunding, di progettazione in giro per l'Italia che mi aveva portato a mettere insieme un gruppo di persone in grado di fare un mestiere di questo genere. Avevo una squadra. Avevamo sviluppato un metodo di lavoro, anche se non avevamo fatto valutazioni, ma iniziative progettuali. Soprattutto – ne abbiamo discusso parecchio – avevamo costruito e immaginato uno standard di buon partito.
  La valutazione dei fatti che mi veniva chiesta – preferisco leggere dal testo del rapporto che è su web, ma di cui comunque vi lascerò una copia – la mappa che mi si chiedeva non avrebbero e non hanno riguardato la legalità dei comportamenti di iscritti al PD, tema proprio dell'indagine giudiziaria, né la regolarità delle iscrizioni o il rispetto delle regole dello statuto o del codice etico del Partito Democratico da parte degli organi federali. Non riguardava neanche, aggiungevo, i comportamenti degli iscritti dal punto di vista morale, perché non avevamo l'autorità per farlo e per la mia personale lontananza da quel narcisismo etico, come scrivevano nel rapporto, che assume una sorta di superiorità morale del valutatore.
  Facevamo dunque una cosa molto semplice: valutavamo se i circoli del Partito Democratico servivano ad interessi generali o ad alcuni interessi particolari. Insomma, facevamo una valutazione politica, che non è morale, né legale e neanche di rispetto delle regole.
  Ogni volta che valuti – lo condivido con voi, perché questo è il mio mestiere – devi avere uno standard, perché per dire se una cosa è buona, cattiva, o mezza buona e mezza cattiva, devi definire cosa è buono. Quindi avevamo uno standard che abbiamo reso esplicito, che può non essere condiviso e che alcuni non hanno condiviso.
  Tale standard è riassunto in modo molto semplice: è buono un circolo di un partito – questo non vale solo per il PD, nella nostra definizione – nel quale gli interessi particolari e personali, che non hanno in sé nulla di male in questo mondo, sono soggiogati, sono strumento di un interesse generale che possa essere tradotto in obiettivi misurabili, narrabili ai cittadini. Pertanto, si parla di un partito che sia aperto all'esterno, che non lavori in segreto, che sia autonomo dallo Stato, dalla pubblica amministrazione, e non sia dunque, il corifeo, il megafono dell'amministrazione e, anche se questa è retta dal suo partito, che abbia progetti con obiettivi misurabili e che sia organizzato per raggiungerli.
  Avevamo tale standard e questa abbiamo usato nella valutazione. Ci siamo cioè chiesti in che misura ogni singolo circolo coincidesse con questo standard, ovvero se ne allontanasse.
  Con chi lo abbiamo fatto è rilevante. Abbiamo proceduto all'inizio con un gruppo di nove ricercatori che già avevano lavorato con me in modo volontario in giro per l'Italia, scoprendo poi che a Roma ci sono molte persone dell'università, giovani Pag. 11e meno giovani, trentuno ricercatori che, senza un euro, erano disposti a fare questa cosa. Una larghissima parte di loro non era iscritta al Partito Democratico – non mi è mai capitato di chiedere a loro quale fosse la tessera, se l'avessero – ma prendevano un impegno di riservatezza ed erano metodologicamente capaci. Venivano da tre università della città di Roma e sono stati loro a condurre gran parte del lavoro.
  L'accordo preso con Matteo Orfini era che ci fosse data, come si chiama in questi casi, una lettera di presentazione nei circoli che consentisse a queste persone di svolgervi un'indagine; che avessimo i numeri essenziali, il numero degli iscritti dell'ultimo periodo, per vedere le dinamiche dell'andamento degli iscritti, che era uno degli elementi che a noi interessava, potenziali rivelatori di situazioni anomale; infine, secondo l'accordo che prendemmo con Matteo Orfini, i risultati che avremmo ottenuto li avremmo messi sul web immediatamente e sarebbero diventati pubblici. Questo andava a garanzia della indipendenza e dell'autonomia della valutazione che conducevamo e che, come sapete, sono requisiti fondamentali. Ottenuti e verificati questi requisiti, siamo partiti.
  Prima di dirvi il risultato, devo dirvi il metodo. Del resto, il risultato è inintelligibile, se non vi dico il metodo, che esprimo in alcune parole chiave. Prima di tutto viene l'oggetto della rilevazione, come ho già detto, che sono i centodieci circoli, però non basta. Un circolo di cosa è responsabile ? A quali cittadini deve rispondere ? Ci siamo dati una risposta molto semplice – per fortuna i numeri il Partito Democratico li ha – e sono le aree della città, i seggi elettorali di cui il circolo si assume la responsabilità di vigilanza, di servizio, durante le elezioni. Quindi, ogni circolo ha un certo gruppo di seggi elettorali.
  Questo ha determinato un fattore metodologicamente importante: abbiamo definito i «confini della responsabilità». In molti casi abbiamo scoperto che erano confini condivisi e percepiti e in altri casi abbiamo individuato sovrapposizioni. Quindi, abbiamo individuato i confini delle sezioni. Non solo. Tale attività ci ha consentito di fare una mappatura delle centodieci aree, con le 155 zone urbanistiche della città.
  Ciò ha permesso di utilizzare tutti i dati pubblici esistenti che abbiamo: censuari, sulle scuole, dati del censimento appena uscito, i dati di scuola in chiaro, i dati di una vecchia e bellissima indagine delle camere di commercio e quant'altro, per riportarli alle centodieci aree, in modo tale che potevamo avere per ogni area una valutazione del suo disagio economico, della sua situazione sociale, dello stato dell'attenzione nelle scuole, della pressione degli immigrati, della difficoltà dei servizi nel rispondere ai cittadini.
  Questo è importante, perché se devi verificare se un circolo sta lavorando nell'interesse dei cittadini o per se stesso, devi capire una cosa semplice, che ci dicemmo subito con Matteo Orfini, ossia se ne sanno qualcosa dei problemi dei loro cittadini o se neanche li conoscono, perché la loro agenda è un'altra.
  Le trentuno persone di cui vi dicevo, quando andavano nei circoli, avevano nella loro borsa queste informazioni già elaborate che gli consentivano di superare il diaframma che in letteratura si chiama asimmetria informativa, per cui quando fai un'indagine su delle persone se quelle sono cattive, ti portano a spasso e se invece sono buone non lo fanno.
  Quando fai queste valutazioni, il rischio è che puoi essere catturato dalle persone presso cui fai la valutazione che ne sanno molto più di te. Chi va a fare un'indagine deve conoscere il quartiere, aver letto tutti i ritagli di giornale – per fortuna c’è Internet – essere cioè premunito e non cascarci quando gli raccontano cose che non stanno in piedi.
  Il secondo punto delicato è che non ci bastava la definizione di buon partito, che vi ho già dato, che vi convinca o meno, perché dovevamo anche capire tutto il resto che cosa fosse. Era tutto cattivo ? No, evidentemente.Pag. 12
  La realtà è complessa e quindi abbiamo definito dei gradi, che se volete sono di bontà o cattiveria, che funzionano nel seguente modo. Se anche non riesci a progettare, perché non ce la fai, non ti sei mai attrezzato, non fai mutualismo nel tuo quartiere, non lavori per i tuoi cittadini, ma, nonostante tutto, assolvi all'interesse generale agendo come ponte fra i cittadini e le istituzioni, porti la voce, i bisogni, le grida, le arrabbiature dei cittadini, sei ancora un partito interessante. Non sei un «partito progettuale», ma sei un «partito-ponte», che cura interessi generali.
  Ci spostiamo ora verso il meno buono: non fai questo, non porti la voce dei cittadini, non hai particolare sensibilità per i programmi dei cittadini nel tuo quartiere, però hai una forte identità valoriale e fai molta attività di formazione, di incontri, di riunioni, discuti dei problemi del mondo, internazionali, dei problemi etici, eccetera. Ebbene, in questo caso non hai una funzione per i tuoi cittadini, ma sei un partito identitario; l'abbiamo così definito, un po’ chiuso ma identitario.
  Nel terzo caso – ci stiamo spostando verso le aree problematiche – non fai praticamente niente, sei un partito inerte. Ci sei, ti incontri, ti vedi, ma non fai neanche le attività culturali. Non si vede che svolgi delle attività. Non lavori nell'interesse di qualcuno, non sei monopolizzato da qualcuno, però non fai granché. L'abbiamo definito «inerzia catturabile», perché se un circolo è completamente inerte, non ha gli enzimi e non ha il vaccino, può diventare appetitoso per qualcuno che si vuole costruire un suo uso giro, che magari arriva, ci infila dentro degli iscritti, se ne impadronisce e lo usa.
  Alla fine, c’è la definizione di un partito nel quale l'interesse particolare non è al servizio di un interesse generale di un partito, ma di qualcuno. È monopolizzato da una figura, da uno solo. Al suo interno gli innovatori sono repressi perché non si vuole che vengano dette cose particolari e dove, l'attenzione e l'autonomia dall'amministrazione è scarsissima, se non nulla, addirittura con un'identità di persone, o comunque con uno schiacciamento. Quel circolo appare come megafono dell'istituzione e non dei cittadini. Questo l'abbiamo definito «potere per il potere», ed è a proposito di questa forma che abbiamo parlato di partito politicamente dannoso. Non fa bene alla politica, non solo perché non fa nulla per i propri cittadini, ma danneggia perché crea delle filiere monopolistiche e dà l'immagine della politica che sta allontanando il 96 per cento degli italiani dai partiti.
  Nei mesi di lavoro abbiamo capito che pure questo era troppo semplice, perché la realtà è complessa. Dunque abbiamo compreso che nei circoli che facevano bene progettazione, c'erano magari dei segnali di formazione di gruppi di potere non gradevole e che, nei circoli che facevano potere per il potere, c'era un bravo gruppo di ragazzi innovatori, o anche di vecchi innovatori, che non riusciva ad emergere.
  Allora abbiamo inventato un segno «+» e «-», per cui a quelli che andava male gli abbiamo messo il segno «+» e a quelli che pure andavano bene gli abbiamo messo un segno «-» e abbiamo reso più problematico il quadro – il mondo è così – però abbiamo mantenuto una certa semplicità.
  Le informazioni da dove le abbiamo ricavate ? L'ho già detto: gli scritti e tutti gli esiti congressuali, dal commissario e dai dati della federazione; i dati sul contesto economico sociale e demografico li abbiamo presi da fonti diverse e il resto dalle interviste. È inutile che ve la tiri lunga. Abbiamo costruito un questionario composto da 213 domande, per rivolgere le quali bisogna prima farsi rispondere a una ventina o trentina per mail e poi fare delle interviste.
  Le interviste nei circoli non sono state fatte solo con il responsabile, ma con l'intero coordinamento, che in un partito che ha caratteristiche democratiche consente di avere all'interno delle voci contrastanti. Sentire dieci persone vuol dire Pag. 13avere la possibilità di creare delle contraddizioni e quindi di raccogliere l'informazione.
  Le interviste erano condotte da questi giovani. Personalmente – la mia attività si limitava al sabato, la domenica e la sera – non ho svolto alcuna intervista, anche perché la mia presenza le avrebbe squilibrate, date le caratteristiche della persona.
  Cosa abbiamo rilevato ? Non vi sto a leggere tutte quante le domande, però è importante che vi dica che tipo di fenomeni siamo andati a rilevare. Ci siamo domandati quanto fosse aperto il circolo; quante ore stesse aperto; quante persone fossero impegnate; se avessero rapporti con l'organizzazione di cittadinanza attiva del territorio; se ricevessero donazioni e se facessero feste.
  Poi abbiamo cercato di capire se era un partito che mobilitava persone, se facevano iniziative e chi ci andava, ovvero abbiamo cercato di capire se avevano rapporti clientelari con i cittadini del territorio, con una serie di domande ben poste, visto che il mestiere di queste trentuno persone era rivolgere delle domande che potessero comprendere se il rapporto con i cittadini era clientelare o di mobilitazione.
  Vi riferisco ora l'elemento più ovvio di tutti, così non lo chiedete dopo. Il balzo forte degli iscritti è stato un elemento che abbiamo indagato a lungo. Ci siamo domandati se questo balzo degli iscritti, passati da cento a duecentocinquanta, guarda caso nell'anno congressuale 2013, denotasse una straordinaria capacità del gruppo dirigente del circolo di fare il lavoro, o lo spostamento nel circolo di un numero di iscritti che serviva a impadronirsene per conto di qualcuno. Abbiamo cercato di far emergere questo elemento attraverso le nostre domande.
  Abbiamo poi indagato il rapporto con l'amministrazione, per capire se era dialettico o schiacciato.
  Altro aspetto esaminato è stato quello dell'organizzazione. Non puoi avere un partito fatto bene se tra i tuoi direttivi non ci sono i briefing che vengano resi pubblici a tutti i membri del circolo. Insomma, sono elementi banali di organizzazione che valgono per un'impresa, per un'associazione, come per una cooperativa sociale.
  Da ultimo, viene la capacità progettuale. Hanno scelto di cambiare qualcosa ? La vita dei cittadini ? Una scuola ? Un pezzo di territorio ? Un ospedale che chiudeva ? Si sono posti degli obiettivi ? E, se se li sono dati, hanno saputo perseguirli ?
  Infine, prima di dirvi i risultati, che conoscete, e darvene il senso, vi dico come abbiamo fatto, dalle informazioni raccolte, ad assegnare ogni circolo a una delle tipologie. Abbiamo utilizzato un metodo in tre stadi. È la cosa che mi preme più di comunicarvi, perché – lo dico senza spocchia – modificandolo e riguardandolo, mi piacerebbe vedere utilizzato questo metodo. Tra l'altro, nel Partito Democratico è una metodologia che altre parti d'Italia stanno chiedendo.
  In primo luogo c’è un fattore molto semplice. Avendo posto 213 domande, se mi hai dato certi numeri, se sei un circolo aperto un'ora a settimana, ciò indirizza in una direzione piuttosto che in un'altra. Quindi, vi è stata un'attribuzione di tipo automatico in relazione alle domande; il che tuttavia può condurre a errori anche gravi. Del resto, le valutazioni sono quantitative e qualitative.
  Quindi, abbiamo fatto tre giorni di focus, in cui tutti e trentuno abbiamo discusso per dodici ore al giorno, per tre giorni, ogni singolo caso, consentendo a ognuno di noi di contestare le attribuzioni fatte dagli altri, grattando e vedendo se c'erano argomentazioni qualitative.
  In seguito, in un'occasione pubblica organizzata presso il Festival dell'Unità, abbiamo comunicato i risultati. Abbiamo detto che eravamo pronti a rivederli, se i circoli che improvvisamente si sentivano attribuiti a uno o all'altro avevano degli elementi nuovi che, di fronte a quella valutazione, potevano esibire. La mattina dopo ci siamo detti disponibili, nella federazione del Partito Democratico, a ricevere tutti i circoli.Pag. 14
  Vi riporto un dato interessante che vi dà il senso del livello di confronto che la valutazione può provocare: trentacinque circoli del Partito Democratico, tutti quelli che erano stati giudicati male, salvo due, il giorno dopo, chi con modi garbati, chi gridando, uno solo con una bottiglia di vetro in mano, si sono recati da noi, hanno discusso e ci hanno dato degli elementi.
  In quattordici casi, i circoli del PD hanno scritto una memoria che hanno pubblicato sul web. In tre casi abbiamo ritenuto che le informazioni forniteci in quel momento, di sano confronto dialettico, erano tali da modificare la nostra valutazione.
  I numeri sono i seguenti. Dei centootto circoli – il risultato successivo a questo ultimo momento dialettico è il seguente – venticinque, cioè poco meno di un quarto, si sono rivelati essere a nostro giudizio circoli «potere per il potere», dove si trovavano cioè l'interesse particolare, la monopolizzazione, lo schiacciamento sull'amministrazione eccetera.
  In quarantasei casi abbiamo trovato una situazione intermedia, identitaria o inerziale, e in trentasette casi abbiamo trovato una capacità progettuale, o comunque una capacità di mettere l'interesse generale in testa a quello particolare, cioè di svolgere una funzione nei confronti della cittadinanza. Questo è il risultato, detto in due parole.
  Poi abbiamo trovato tredici casi buoni, ma con degli elementi di rischio (dei «-») e otto casi cattivi, ma con degli elementi di progettualità, indicando l'esistenza di una mescolanza, com’è naturale che sia.
  Vengo alle conclusioni.
  Abbiamo scritto i nostri commenti, che sono disponibili nel documento. Ebbene, tutto questo ci ha suggerito che anche in un partito non curato adeguatamente negli anni precedenti, quello che ha descritto adesso Matteo Orfini, e che non aveva condotto processi di autovalutazione, potessero esistere tante realtà attive, che evidentemente non attendevano altro. Forse prima di un'inchiesta giudiziaria attendevano una nuova e diversa federazione, se però arriva anche dopo un'inchiesta giudiziaria perché un partito come il Partito Democratico ha la forza di guardarsi dentro, ben venga.
  Quindi è stato un interessante segnale di quella che è la nostra società, non sorprendente dal punto di vista di chi ha fatto valutazioni nella pubblica amministrazione.
  Emergeva inoltre un forte mescolamento, come ho appena detto, e una fortissima connessione con le criticità sociali, ma fino a un certo punto. Voglio dire che non abbiamo rilevato una corrispondenza biunivoca fra le aree di altissima criticità sociale e le aree dove il Partito Democratico non riusciva a essere un partito.
  Ciò significa che ci sono dei casi in cui se tu diventi «potere per il potere» in un'area molto critica, è più comprensibile in situazioni di non presidio delle istituzioni, dove hai una situazione di cooperative sociali improprie, o un sistema di consorzi di autorecupero che non funzionano.
  Anche in alcune aree della città particolarmente critiche abbiamo rilevato l'esistenza di circoli del Partito Democratico attivi nel territorio. Evidentemente non erano stati in grado di invertire le cose, ma erano attivi. Viceversa, in aree della città dove non c'era un'elevata criticità sociale abbiamo trovato delle situazioni arretrate.
  Chiudo con una sola battuta. La mia sensazione va al di là della vicenda romana e dell'utilità che questi risultati hanno rappresentato per l'attività successiva, su cui magari sarà Matteo Orfini a voler ritornare, in relazione alle decisioni del commissario. Quindi, al di là della funzione di utilità, se devo consegnarvi una mia riflessione generale, è che nelle modalità più opportune, quella della forte persuasione morale e dell'obbligo normativo, il fatto che la previsione costituzionale dell'esistenza di partiti costituzionalmente previsti preveda che gli stessi svolgano un'attività di valutazione e di auto-valutazione al loro interno, alla luce della vicenda avvenuta all'interno del Partito Pag. 15Democratico di Roma, dà il segnale che valutare, soprattutto quando lo fai non in condizioni emergenziali, ma in maniera ordinaria e in itinere, nell'anno di grazia 2016, è uno strumento più forte del vecchio sistema del controllo di attuazione delle regole.
  Il sistema dei partiti di controllo delle regole corrisponde a quello della Corte dei conti, tanto per essere chiari, dove quello che guardi è l'aderenza alle procedure. Esiste ormai in tutto il mondo un'altra considerazione che è la seguente: l'organizzazione pubblica, ovvero il partito, serve a qualcosa ? Produce un risultato ? Se sì, quale ? Questo non si presta a una valutazione procedurale, ma di efficacia, di cui grazie a voi ho avuto la possibilità di dare testimonianza.

  PRESIDENTE. Ho otto iscritti a parlare. Chiederei ai nostri auditi il sacrificio di prendere degli appunti, così poi rispondete tutti insieme, altrimenti facciamo delle disparità di trattamento tra i primi e gli ultimi. Alle 15.30 si riprendono i lavori al Senato e sarà presente il Presidente del Consiglio.
  È inutile che mi raccomandi sulla brevità delle domande.

  CELESTE COSTANTINO. Condivido molto le premesse della relazione dell'onorevole Orfini, nel senso che è innegabile che in territori in cui storicamente non si avverte la presenza della mafia è complicato prendere coscienza del problema.
  Infatti, anche adesso che un'inchiesta esiste ed è stato certificato che la mafia a Roma c’è, effettivamente permangono ancora molto negazionismo e molto riduzionismo. Indubbiamente c’è e c’è stato, anche dentro il Partito Democratico, chi si è fatto coinvolgere del tutto in buona fede, senza capire forse realmente che cosa stesse succedendo.
  Dopodiché, credo anche che non possiamo passare da un eccesso all'altro. Quando lei dice che nel periodo di Alemanno c’è stato un atteggiamento consociativo involontario, intanto vorrei che mi specificasse meglio che cosa intende dire per «atteggiamento consociativo» e poi penso che l'involontario non possa valere a 360 gradi, nel senso che su questo le chiedo di entrare un po’ nel merito.
  Oltre a ciò, non penso nemmeno che si possano ridurre tutte le scelte che avete fatto sotto il cappello dell'opportunità politica. Su questo faccio delle domande specifiche. Lei ha chiesto l'autosospensione di D'Ausilio come capogruppo in un consiglio comunale, del presidente Tassone dal X Municipio, e state cercando in tutti i modi di sfiduciare il presidente Scipioni al VI Municipio. Ebbene, intanto non siete un partito giustizialista. Davanti al primo avviso di garanzia non avete mai chiesto le dimissioni ai vostri rappresentanti istituzionali. Allora, pensare che tutto si possa ridurre ad una questione di opportunità politica trovo che sia profondamente sbagliato. Siccome siamo in una Commissione antimafia, penso che lei sappia perché ha chiesto le dimissioni, e il perché della richiesta di sfiducia di questi rappresentanti istituzionali.
  Se non lo vogliamo fare in maniera pubblica e lo vogliamo fare in maniera segreta va bene, però delle risposte in più da lei me le aspetto, come commissario.

  FRANCESCO D'UVA. Signor presidente, ringrazio il presidente Orfini per essere qui, peraltro è anche collega della Commissione cultura.
  Vorrei porre alcune domande, quindi la prego di prendere appunti. Il 18 marzo 2015 avete fatto una conferenza stampa lei, Esposito (collega della Commissione antimafia, qui presente) e l'ex presidente di Ostia Tassone, che oggi dovrebbe essere agli arresti. In quel giorno l'avete spinto alle dimissioni ? Se è così, perché ? Di che cosa eravate venuti a conoscenza ?
  Risulta, peraltro, che proprio nello stesso giorno avete cercato di organizzare un incontro tra Marino e Tassone al Campidoglio. Vi risulta questa cosa ? Se sì, per quale motivo ? Si è parlato per caso di rimpasto di giunta con Tassone ? Capisco che la risposta è sì.Pag. 16
  Pongo allora delle domande che eventualmente avrei rivolto dopo la sua risposta, presidente, però ho capito che è così.
  Le prime intercettazioni su Tassone risultano a dicembre 2014. Perché avete aspettato quattro mesi per farlo dimettere, di fatto ? Se si parla di Tassone, a dicembre 2014 ricorderete la metafora di «mungere la mucca»... Erano quelle no ? Poi le dimissioni sono arrivate dopo quattro mesi, quindi si tratta di capire se c’è stato qualche elemento in più. Per caso avete avuto contezza di suoi legami con i clan ? Si può arrivare a questo ?
  Del caso Tassone chi si è occupato all'interno del Partito Democratico, se è lecito chiedere ? Se n’è occupato lei, immagino Esposito, e qualcun altro all'interno del PD ? Ad esempio, a Renzi, in quanto segretario del Partito Democratico, avevate riferito dubbi su Tassone, gli avevate detto qualcosa, insomma ?
  A margine, Tassone è ancora iscritto al Partito Democratico ? Per caso qualcuno ha provato, prima delle sue dimissioni, a dare copertura politica e mediatica a Tassone ? Mi chiedo anche questo, cioè se prima di arrivare alla decisione delle sue dimissioni qualcuno ha provato in qualche modo a cercare di minimizzare la cosa all'interno del Partito Democratico.
  Chiusa la questione Tassone, torniamo un pochino indietro nel tempo, in particolare alla cena di autofinanziamento del PD, organizzata da Renzi il 7 novembre 2014 al salone delle Tre Fontane di Roma. Era presente anche Salvatore Buzzi. Le chiedo quanto versò in favore del Partito Democratico – se ricorda la cifra esatta – e se quei soldi sono stati restituiti. Ricorda se, per caso, parlò con Renzi o con altri soggetti del Partito Democratico presenti quella sera e che magari oggi rivestono ruoli di governo.
  Inoltre, le chiedo se oltre a Buzzi c'erano anche altri soggetti finanziatori finiti nell'inchiesta mafia capitale. Se sì, le chiedo di farcelo sapere.
  Su Scipioni – torniamo al presente – già la collega Costantino ha chiesto. Scipioni è stato audito recentemente e gli abbiamo chiesto se fosse o meno iscritto a tutti gli effetti al Partito Democratico. Ha risposto di sì, però dalle agenzie di stampa ho capito qualcosa di diverso, proprio dalle sue parole. Ci può chiarire questo punto ? Peraltro, a noi risulta che i primi di dicembre si sono svolte due distinte iniziative, entrambe targate Partito Democratico: una che faceva capo a Scipioni e un'altra di persone ritenute vicino a lei, presidente Orfini.
  Mi chiedevo, dunque, quali fossero i motivi di distanza tra lei e Scipioni. Grazie.

  PRESIDENTE. Immagino che i colleghi del MoVimento 5 Stelle che interverranno successivamente non avranno da fare altre venticinque domande.

  FRANCESCO D'UVA. Di solito sono molto conciso. Questa volta mi sono permesso...

  PRESIDENTE. Era nell'economia del tempo che abbiamo a disposizione.

  STEFANIA PRESTIGIACOMO. Grazie, presidente. Ringrazio anch'io Orfini e Barca per il loro intervento. Sottoscrivo le domande che hanno appena posto i colleghi Costantino e D'Uva, quindi mi attendo anch'io delle risposte in questo senso.
  Vorrei fare più che altro una considerazione e una domanda di carattere politico. Appurato che a Roma esiste la mafia, che poi per alcuni è mafia e per altri è criminalità organizzata, ma comunque appurato che esiste questa malattia, e che esiste non da ieri, e tenuto conto del fatto che a Roma hanno amministrato, negli ultimi anni, sindaci del Partito Democratico e solo per una breve parentesi vi è stata un'amministrazione a guida centro-destra, quella di Alemanno, ho notato che si è molto puntato il dito contro Alemanno, soprattutto da parte dei media, mentre è calato abbastanza il silenzio sulle altre amministrazioni.
  Credo che quella di Orfini e Barca sia stata un'iniziativa quanto mai opportuna. Se c’è il marcio nell'amministrazione di Roma è evidente che una parte politica – Pag. 17non tutta – ha collaborato e ha contribuito a che questo marciume si diffondesse e certamente questo è un dato di fatto che riguarda non soltanto gli ultimi anni, ma è risalente nel tempo.
  Barca ha fatto un'indagine sociologica sul ruolo delle sezioni del PD a Roma. O magari il compito di Barca era quello di verificare se questo marciume era anche dentro le sedi del Partito Democratico ? Per quelle che sono state le indiscrezioni di stampa, Barca ha depositato una relazione sulla quale c’è stato abbastanza riserbo... Lo comprendiamo, non doveva essere pubblica, però...

  PRESIDENTE. La relazione è pubblica.

  STEFANIA PRESTIGIACOMO. È pubblica ? Bene. Allora, forse ci sono più relazioni; forse c’è una relazione pubblica e una non pubblica. Però dalle indiscrezioni che sono circolate e che certamente non sono contenute in questo testo pubblico – quindi forse c’è il dossier bis allegato che però non è stato reso pubblico – si è parlato di gruppi di politici che svolgevano affari loschi, di cosche affaristiche.
  Ora, non mi sembra che dalle parole che Barca ha riferito qui sia emerso questo. È giusto che si parli di studiare il ruolo del partito, che il partito è un organo costituzionale se raggiunge gli obiettivi prefissati dalla Costituzione, se riesce a essere pervasivo, a rappresentare i problemi del territorio nel quale opera eccetera, però insomma, Barca, lei non ci ha detto niente di quello che almeno noi ci aspettavamo.
  Avete appurato che questo marciume è anche dentro le vostre sedi, sì o no ? Se sì, perché non lo dichiarate in maniera pubblica e non prendete provvedimenti ? È chiaro che le iniziative rispetto ai rappresentanti istituzionali – e quindi attendo anch'io le risposte alle domande che ha fatto il collega D'Uva – non sono iniziative che possano limitarsi al singolo esponente di quel Municipio piuttosto che di un altro, perché quell'esponente del Municipio sicuramente è collegato con la realtà del partito di quell'area, di quel territorio. Pensare che l'azione di un singolo dentro il Municipio sia legata esclusivamente alla singola persona e che non abbia attorno un gruppo di sostegno, di potere, che sia dentro il partito, è abbastanza inverosimile.
  Le chiederei – se vuole lo possiamo fare anche non in sede pubblica – di essere un po’ più preciso. Se viene qui a raccontarci l'indagine sociologica, anche se è interessantissima e lei è bravissimo, però questo lo può fare tranquillamente un ricercatore dell'università, a cui possiamo commissionare questo studio, magari anche per altri partiti, poi ci ragioniamo e qualcuno ci farà la tesi.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola al senatore Esposito vorrei fare due precisazioni. Il professor Barca, che naturalmente poi risponderà, è stato invitato qui per riferire dell'inchiesta condotta sui circoli del PD, con rapporto e sintesi già pubblicata nel sito del partito e depositata del resto oggi. Dopodiché risponderà alle domande dell'onorevole Prestigiacomo.
  Per quanto riguarda, invece, le amministrazioni precedenti, ricordo a tutti che la nostra inchiesta inizia dopo l'audizione del procuratore Pignatone, il quale ha basato la sua ordinanza sul principio che il fenomeno di mafia capitale si radica nel comune di Roma con l'amministrazione Alemanno. La nostra inchiesta è limitata a questo aspetto. Abbiamo incominciato il nostro percorso partendo da questa affermazione.

  STEFANO ESPOSITO. Grazie, presidente. Rivolgerò poi una domanda al presidente Orfini, anche se, per ovvie ragioni, io potrei rispondere, in sequenza, almeno sulle questioni che riguardano Ostia. Ma non lo farò, perché è giusto che ci sia la divisione... Però vorrei, in particolare all'onorevole Prestigiacomo, segnalare che il lavoro che è stato fatto dal Partito Democratico ha prodotto come prima scelta quella di commissariare tutti i Municipi – per la parte che riguarda il PD, naturalmente, non per la parte istituzionale – in Pag. 18una logica di dare una visione esterna a quella che era invece una gestione consolidata, senza esprimere giudizi di merito, che sono invece contenuti nella relazione Barca, peraltro nota da molti mesi.
  Capisco che ci sia interesse per questo percorso, perché non mi risulta che altre forze politiche abbiano fatto la stessa scelta. Parlo di quelle che dispongono di un radicamento territoriale e quindi di un'organizzazione sul territorio; ovviamente chi non ne dispone e gestisce le relazioni esclusivamente sulla rete, fa difficoltà a commissariare Internet.
  Siccome abbiamo visto quanto sia complicato gestire i rapporti nei circoli del territorio e quanto lo sia altrettanto sulla rete, senza richiamare qui situazioni di cui abbiamo discusso, consiglierei a tutti di leggere quello che Barca ha prodotto. La relazione racconta secondo me davvero molto bene e risponde a quel tema che noi stiamo a mio parere continuando ad omettere su Roma, anche se ci è stato continuamente ripetuto in tutte le audizioni, sia dal procuratore della Repubblica sia dal prefetto Gabrielli: questa è una città che ha un problema di clientela. Potremmo parlarne a lungo, ma questo è il cuore.
  È una questione di millenni naturalmente, senatore Buemi, lei ha ragione, ma oggi la declinazione della clientela è quella che poi produce corruzione e che ci ha portato, grazie al lavoro della procura, a chiamarla – perché è dimostrata – «mafia capitale».
  Non vorrei che il lavoro del Partito Democratico non fosse utile anche alle altre forze politiche. In questo senso chiedo al presidente Orfini – poi valuterà lui se farlo in segreta oppure in pubblica – come un gruppo dirigente, seppur di natura commissariale, con gli strumenti di cui dispone un partito, sia arrivato attraverso un percorso, che al collega D'Uva appare contraddittorio (quindi, presidente Orfini, risponda a questa mia domanda), a capire che non c'erano più le condizioni per dare fiducia al presidente del X Municipio, senza disporre né di informazioni riservate, né potendoci basare, onorevole D'Uva, su delle intercettazioni dove la «mucca da mungere» non era questione che riguardava Tassone.
  Vorrei che fosse chiaro: «mucca da mungere» non aveva attinenza con Tassone. Le intercettazioni di Tassone riguardavano altri aspetti, sui quali si può riflettere. L'intercettazione peraltro viene riportata negli atti esclusivamente come corollario degli arresti o delle azioni penali a cui – lo voglio ricordare – Tassone è stato sottoposto solo nel giugno del 2015. Noi abbiamo fatto un percorso, con i nostri limitati strumenti e con le nostre limitate intelligenze, che se raccontato magari torna utile e potrebbe aiutare in futuro a evitare di scambiare dei ricatti solo come pressioni politiche, per esempio. Noi lì abbiamo fatto una scelta.
  Presidente Orfini, credo che varrebbe la pena di spiegare quel percorso, che nella sostanza è durato dodici giorni. Questo è, secondo me, un pezzo che può aiutare questa Commissione a comprendere quello che è accaduto su Ostia. A Ostia nulla è come appare; stanotte c’è stato l'ennesimo incendio di un chiosco sul lungomare, lo stesso che otto mesi fa venne interessato da un attentato. Naturalmente lo stesso gestore – personalmente citai questo fatto in questa Commissione – che allora disse di non aver mai ricevuto minacce e che si era trattato di una ragazzata, anche questa mattina, chiamato a sporgere denuncia, dice di non sapere come mai venga colpito.
  La mia richiesta è quella di raccontare il percorso che ci ha portato, il 24 di marzo, a dimissionare il presidente del X Municipio.

  PRESIDENTE. Prima di passare la parola al senatore Buemi, consegno ai nostri auditi una domanda che parte dalla constatazione che è innegabile la reazione e l'immediatezza della reazione che c’è stata, che peraltro non si è limitata a espellere o a chiedere le dimissioni, ma ha cercato di mettere in campo, attraverso anche la ricerca di Barca, un percorso positivo e anche propositivo per il futuro.Pag. 19
  La domanda che nasce è la seguente: in che cosa pensate di aver individuato strumenti che consentano alla politica di intervenire prima che intervenga la magistratura ? In fondo è la domanda che ci accompagna in questa nostra inchiesta, nel rapporto tra mafia e politica.

  ENRICO BUEMI. Grazie, presidente. Premesso che apprezzo lo sforzo che sta facendo il Partito Democratico a Roma perché, al di là e al di fuori delle strumentalizzazioni di comodo, è un compito difficilissimo, e che tutti, prima di puntare il dito verso la pagliuzza, dovrebbero estrarre la trave, il ruolo di improvvisato pubblico ministero non mi interessa.
  Qui tento di svolgere il ruolo di legislatore e quindi, accanto alle curiosità, alcune pruriginose altre meno, rispetto alle inchieste di mafia, vorrei che si rispondesse a una domanda di fondo. L'assenza di una strumentazione giuridica pubblica pregnante, anche coercitiva, di valenza interna ed esterna, cioè di regole precise, modalità di iscrizione al partito rispondenti a certi formalismi, un controllo democratico sulle iscrizioni, una evidenza pubblica delle iscrizioni, cioè tutti quegli elementi che introducono apertura di sistema e controllo sociale, ripeto, con valenza pubblica, quanto possono aver influenzato un processo di contaminazione, degenerazione e infiltrazione mafiosa del Partito Democratico a Roma, e di conseguenza – o in alternativa, perché le due realtà possono anche avere logiche e condizionamenti diversi – della pubblica amministrazione ? Io sono convinto che la mafia non ha bisogno dei partiti per infiltrare oggi la pubblica amministrazione, però ci possono anche essere obiettivi convergenti di pezzi deviati di pubblica amministrazione e di forza politica.
  La domanda di fondo è questa: l'assenza dell'applicazione del riconoscimento giuridico dei partiti e di una sua regolamentazione di diritto pubblico quanto può aver influenzato questa situazione ?

  ANDREA VECCHIO. Grazie dell'opportunità che ci date di parlare di questi argomenti.
  Io non ho natura poliziesca, quindi fate bene a condurre le indagini che state conducendo, ma non voglio entrare nel merito di queste cose, perché non credo che appartengano a noi. Noi dobbiamo fare piuttosto una lettura politica di quello che è successo e io, per leggere in maniera politica quello che è successo, vi invito a un paio di riflessioni. Si tratta di riflessioni che abbiamo fatto spesso, qui dentro, a proposito dei comuni sciolti per mafia.
  È una norma inefficace, è una norma superata, perché il veicolo principale per il quale la mafia, la delinquenza, la malavita, la corruzione entrano nelle pubbliche amministrazioni non è la politica. Forse la politica c'entra, ma c'entra in minima parte. Il veicolo principale è la burocrazia.
  Allora, se sciogliamo un comune per mafia e non azzeriamo tutta la burocrazia di quell'ente, soprattutto i dirigenti apicali, non abbiamo risolto niente. Queste sono le difficoltà che state incontrando ancora oggi al Municipio di Roma, al comune di Roma, a proposito dei dirigenti.
  L'altra riflessione che vorrei fare riguarda la nomina dei dirigenti. In Italia, dappertutto, i dirigenti vengono eletti, vengono nominati, vengono promossi per un paio di meriti: la corrispondenza con la politica, l'essere stati al servizio della politica, l'essere stati conniventi con la politica, quindi quella politica in un certo modo li deve ricompensare. E non è mai la politica sana, la politica corretta, che ricompensa quei dirigenti.
  In più, per una norma che credo più assurda non potrebbe essere, quella della promozione per anzianità, quando si raggiunge un certo periodo in una posizione si passa alla posizione superiore. Questo è aberrante. I dirigenti devono essere scelti con procedure particolari, prendendoli dall'università, dal mondo del lavoro, senza attingere sempre ai soliti bacini della pubblica amministrazione. La pubblica amministrazione, purtroppo, in Italia è la meno efficiente di tutte.
  L'ultima nota vorrei farla sulla presenza della mafia in Italia. Io sono meridionale, sono siciliano; come si direbbe nel continente, sono un terrone, ma di questo Pag. 20sono orgoglioso. La mafia in Italia è stata radicata soprattutto dall'unità d'Italia in poi, dal 1861. Quando i vari governi nazionali hanno utilizzato i baroni latifondisti siciliani per avere la maggioranza al governo, hanno consentito loro di schiavizzare gli operai nei latifondi. Da qui è nato il connubio tra la mafia e la politica. Se non facciamo questo esame, se non partiamo da lontano, il fenomeno mafioso lo attribuiamo al sud, alla Sicilia, alla Calabria, alla Campania. Ma non è così. Il fenomeno mafioso è nato in quei territori, ma è stato coltivato e alimentato dalla politica nazionale.
  Non ho domande da fare.

  LUIGI GAETTI. Grazie, presidente. Come sa, sono sempre piuttosto rapido, però devo fare due precisazioni. Innanzitutto, il MoVimento 5 Stelle non ha solo una rete via Internet ma anche una rete territoriale. Essendo formato prevalentemente da giovani, ci si trova in momenti di incontro di solito in luoghi pubblici o in sale civiche, per le quali siamo abituati a pagare l'affitto.
  In secondo luogo, basta leggere alcuni articoli de La Repubblica del dicembre 2014 dove Buzzi, parlando con Testa, riferisce le frasi di Tassone.
  Vorrei fare una domanda. Abbiamo visto come a Quarto ci sia stata, nel MoVimento 5 Stelle, un'infiltrazione camorristica in un gruppo che non è per nulla organizzato e strutturato. Qui a Roma, invece, abbiamo visto che il gruppo è molto strutturato nelle sue articolazioni. Devo dire che lei ha fatto una bellissima presentazione e una bellissima diagnosi, però di terapia ne ho sentito parlare poco, cioè di azioni veramente concrete.
  Allora, le sottolineo due appunti che mi hanno stimolato la riflessione: il primo, quando lei parlava di filiere verticali; il secondo, a proposito del trasformismo.
  Le filiere verticali – questo è un mio pallino – sono anche molto favorite dal fatto che, a mio parere, chi vive di politica deve farlo per un periodo limitato, altrimenti le aberrazioni ci sono. Cito – ormai sono aterosclerotico, lo riporto quasi sempre – un bellissimo intervento di Giovanni Sartori al festival della letteratura di Mantova, la mia città, nel quale spiegò molto bene questo aspetto. Ritengo che un turnover in questo senso sia molto importante. Quindi vorrei sentire anche il suo parere a questo riguardo.
  Sul trasformismo, mi rendo conto che quando uno è stato eletto con un gruppo e vota per un altro gruppo, quest'ultimo non può certo rifiutare quel voto, però che si premino i trasformismi con vicepresidenze o lavori o appalti mi lascia un po’ perplesso.
  Da ultimo, mi aveva colpito una frase pronunciata in questa sede da Marino, allorché si lamentò dell'amministrazione Alemanno che affittò decine di appartamenti medio-piccoli molto lontano dal centro, vicino al raccordo anulare, al prezzo di 2.500 euro al mese. Quando racconto questo fatto, aggiungo che abito a 450 passi dal Senato e spendo 1.300 euro al mese.
  Anche chi, come me, non conosce la città, capisce che non c’è stato, secondo me, da parte dei consiglieri comunali un controllo. Forse è quello che lei intendeva quando parlava anche di un'opposizione non particolarmente attenta.
  Ecco, un procuratore parlò di inerzia dei controlli e qui c’è stata certamente inerzia, questo è un dato oggettivo e inconfutabile. Forse questo non è un reato penale, però persone che non si sono comportate come avrebbe richiesto il ruolo che avevano, secondo me un passo indietro dovrebbero farlo. Vorrei sapere se alle persone che hanno omesso questi controlli voi state dicendo che, sebbene non si tratti di un reato penale, sarebbe bene che un passo indietro comunque lo facciano.
  Quando Alemanno assume i suoi funzionari ovviamente fa una delibera e io credo che chi è in un consiglio comunale dovrebbe verificare.
  Un dato così macroscopico lo capirebbe anche uno che non è della città di Roma.

  CLAUDIO FAVA. Io ho apprezzato le due relazioni, l'efficacia empirica del metodo Pag. 21proposto e declinato dal professore Barca nella sua ricerca e anche la franchezza e l'onestà con cui il presidente Orfini dice «siamo arrivati in ritardo». Credo che sia un punto di autocritica che su Roma, e non solo su Roma, dovrebbe rivolgersi la politica nel suo complesso.
  Ci sono, tuttavia, due punti sui quali vorrei interloquire con il presidente Orfini. Uno riguarda lo scioglimento del comune di Roma. Il presidente sa che sia io che la collega Costantino siamo fra coloro che hanno sostenuto la necessità e l'utilità del commissariamento di Ostia e di evitare di andare a questo rito salvifico delle elezioni se non si è in condizione di fare una bonifica completa e compiuta, per le cose che lei ha detto e che hanno ricordato i colleghi.
  Il presidente Orfini sa che questa Commissione è impegnata per trovare uno strumento intermedio tra la presa d'atto e lo scioglimento e il commissariamento. In attesa che questi strumenti intermedi esistano sul piano normativo, ci siamo anche chiesti – non perché dipendesse da noi, ma sul piano della lettura politica – se fosse indispensabile uno scioglimento del comune di Roma.
  Al di là di ciò che ciascuno di noi pensa, lei dice che non si è proceduto a uno scioglimento perché la discontinuità politica c’è stata. Ecco, questa risposta mi preoccupa un po’, perché io non leggo una discontinuità politica soltanto nelle dimissioni di Marino.
  Se fosse sufficiente attribuire al sindaco...

  MATTEO ORFINI. Nelle elezioni...

  CLAUDIO FAVA. Ah, lei dice prima ! Allora la preoccupazione c’è ancora di più. Credo che il punto non sia il sindaco. Certo, con responsabilità totalmente diverse – rispondendo anche alla collega Prestigiacomo – poiché è chiaro che si è parlato di Alemanno perché stiamo parlando dell'unico sindaco imputato di reati specifici legati all'amministrazione, ma la sensazione che noi abbiamo ricavato, e che credo abbia ricavato anche lei, è che il malessere, la metastasi fosse molto più interna, intestina, profonda, non simmetrica alla funzione e alla presenza di un sindaco.
  Allora, perché lei dice che è sufficiente ? Mi rendo conto che sciogliere la capitale è un atto di responsabilità politica grave, però vorrei che questo ce lo dicessimo, cioè che potessimo anche dirci che preferiamo andare ad elezioni perché diciotto mesi di commissariamento rischiano di essere un prezzo troppo alto e questa è una ragione per cui dobbiamo arrivare rapidamente a strumenti normativi diversi.
  Non vorrei, però, che questo fosse un tentativo di lettura un po’ in deminutio del modo in cui l'amministrazione, anche a livelli medio-bassi, ha rappresentato il punto di coltura che poi ha determinato la vicenda di mafia capitale.
  Passo alla seconda domanda. Il «mondo di mezzo» non esiste soltanto a Roma. Roma è la capitale, Roma è la platea in cui questo mondo si esibisce anche con conseguenze e rumori particolarmente visibili e fastidiosi, ma la sensazione è che questo tentativo di utilizzare, come diceva il professore Barca, l'inerzia catturabile di una sezione o di un partito esista altrove.
  Torno alla Sicilia, a Castelvetrano, che non è Roma ma non è nemmeno solo una città di 30 mila abitanti, poiché è anche il luogo in cui si manifesta in tutta la sua fantasia e volgarità l'egemonia culturale di cosa nostra attraverso Matteo Messina Denaro. Nello stesso consiglio comunale c’è il capogruppo del Partito Democratico che ha subìto pesanti attentati, che hanno portato alla condanna degli attentatori, e formazioni politiche che stanno aderendo al Partito Democratico dentro le quali siedono coloro che dicono che Matteo Messina Denaro è il punto di riferimento della loro esistenza, sul piano morale e sul piano civile.
  Questa valutazione in itinere, al di là della sezione del partito, ma intesa come capacità di intercettare e di bonificare prima, è una intenzione che voi pensate di estendere al di là di Roma e che siete già Pag. 22in condizione di fare ? Glielo chiedo perché il tema dell’«inerzia catturabile» è un tema che riguarda la debolezza complessiva della politica. E la debolezza della politica, o la terzietà dei ceti dirigenti che non si vogliono mescolare, è un tema che a Roma ha avuto una grande visibilità, ma che io ho ritrovato in Brianza, in Emilia, in Liguria, ovviamente in Sicilia e in Calabria. Mi piacerebbe conoscere la sua opinione. Grazie.

  MARCO DI LELLO. Signor presidente, anche io ho molto apprezzato le parole del presidente Orfini e del professore Barca, ma devo dire che ho apprezzato ancora di più i fatti che hanno preceduto questa audizione e la nettezza delle scelte.
  Vedo con piacere che il professore Barca non ha smesso la sua passione per la linguistica, per cui all’«inerzia catturabile» si può rispondere con la «mobilitazione cognitiva».
  Vorrei porre due domande puntuali, però per la prima, presidente, vorrei chiedere la secretazione, se è possibile.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  MARCO DI LELLO. Sempre dal presidente Orfini vorrei una risposta dal suo punto di vista di legislatore e di dirigente politico del più grande partito italiano. Da un lato, ci parla del tema dell'affiancamento, che è un tema che noi avevamo immaginato proprio in quei mesi, ossia immaginare una figura terza tra il commissariamento e l'inerzia o il non far nulla. Io le chiedo se, da dirigente di partito, si è fatto un'idea su come proteggere i partiti dalle invasioni e dal rischio di infiltrazioni.
  Anche i cultori della purezza del MoVimento 5 Stelle hanno toccato sulla loro pelle viva i rischi di infiltrazione. Non so a cosa il senatore Gaetti facesse riferimento quando parlava di gruppo non organizzato a Quarto. Se vuole la storia del clan Polverino si tratta di parecchi tomi. Le posso garantire che è un gruppo sicuramente non secondo a Buzzi-Carminati, anzi se la gioca con i grandi gruppi criminali della storia italiana. Al di là di questa divagazione, è evidente che nessuno può dichiararsi immune.
  So che lei sta lavorando anche a un'ipotesi di revisione dello statuto. Ecco, io sono molto interessato al tema e, come me, credo la Commissione, visto che tra gli obiettivi della legge istitutiva, e che abbiamo scelto di portare avanti in questa Commissione, vi è quello di provare a trovare soluzioni al rischio di infiltrazioni e di intreccio tra mafia e politica, che, ahimè, è un rischio che tutti i giorni ci rendiamo conto essere concreto.

  ELISA BULGARELLI. Vorrei rivolgere una domanda all'onorevole Orfini. Lei all'inizio ha parlato di sottovalutazione del rischio per quanto riguarda tutto quello che è successo a Roma, ha detto che si è arrivati in ritardo, ha parlato di mancanza di consapevolezza.
  Mi chiedo questo come si concili innanzitutto con il fatto che il vostro presidente – comunque il Presidente del Consiglio è presidente del Partito Democratico – andasse in televisione a dichiarare che il comune di Roma non si sarebbe sciolto. A parte il fatto che non competeva a lui dichiararlo prima che fosse stato deciso, ma, al di là di questo, non sarebbe stato invece un segnale molto più forte sciogliere il comune di Roma ?
  Proprio perché eravate arrivati tardi, non avevate avuto la consapevolezza, volevate alzare l'asticella della legalità, sarebbe stato un segnale fortissimo sciogliere il comune di Roma, tanto più che lei ha parlato di discontinuità politica, ma non possiamo parlare di discontinuità amministrativa. Se andiamo a vedere – ormai è desecretata, quindi lo si può fare – la relazione della commissione di accesso, non dico sempre, ma spesso e volentieri si legge «in continuità con la precedente amministrazione». Insomma, possiamo parlare di discontinuità politica ma non di Pag. 23discontinuità amministrativa. Quindi, era un ulteriore motivo per sciogliere il comune di Roma.
  Allargherei ancora di più la visione: visto che lei è il presidente nazionale del PD, credo che questa visione che avete avuto su Roma dovrebbe essere allargata. Io sono dell'Emilia-Romagna e mi chiedo se voi siate consapevoli di quello che è successo nella mia regione. Le associazioni antimafia dell'Emilia-Romagna da tempo dichiaravano che la mafia era presente anche in Emilia-Romagna, ma è sempre stato negato fino a che non è arrivata la giustizia, con l'indagine «Aemilia». Non è chiaro, però, se siete – se siamo – consapevoli di quanto ci sia questa commistione con l'economia legale, che è pericolosissima, soprattutto in Emilia-Romagna. Non si può più far finta di non vederla, perché è diventata gravissima, non solo a livello di criminalità, ma anche a livello di economia, del bilancio dello Stato.
  Qui allargo ancora di più. Voi volete alzare l'asticella sulla legalità, dite che la politica del PD vuole reagire alla criminalità, ma poi mi ritrovo – cito esempi molto banali – nella ultima legge di stabilità che abbiamo approvato una norma su cui tutta la Commissione antimafia non si è ritrovata d'accordo, ossia il cambiamento del controllo della filiera degli autotrasportatori, che è una cosa gravissima per un partito che vuole alzare l'asticella sulla legalità e vuole fare una politica che reagisce alla criminalità.
  Potrei citarvi miliardi di esempi. Parliamo delle sofisticazioni, dove non si vede una grande lotta alla criminalità, della mafia che si occupa dell'agroalimentare. Se veramente si vuole alzare l'asticella sulla legalità, non possiamo farlo solo sul comune di Roma, perché Roma è la capitale. Siccome siete al governo, avete il dovere, secondo me, di alzarla su tutto, non chiudendo gli occhi quando fa comodo, soprattutto in un momento non solo così grave per quanto riguarda la criminalità, ma anche delicato per il bilancio dello Stato.
  Si parla infatti di miliardi e miliardi che rientrerebbero nella legalità, mentre noi continuiamo a regalare soldi alla criminalità.

  PRESIDENTE. A proposito della filiera agroalimentare, oggi è stato presentato il quarto rapporto della Fondazione presieduta da Caselli. È disponibile, ce l'ho anch'io e ve lo posso dare subito. Ho approfittato per chiedere al procuratore Caselli di venire non solo e non tanto a illustrarci il rapporto insieme, magari, alla Coldiretti e a Eurispes, ma le proposte della commissione da lui presieduta presso il Ministero della giustizia, che ha elaborato, come sapete, una nuova normativa che va a colpire proprio i reati che interessano l'agroalimentare, sulla falsariga di quello che è successo per i reati ambientali.

  ERNESTO CARBONE. Signor presidente, innanzitutto mi faccia ringraziare sia il professor Barca che il presidente Orfini per il lavoro che hanno fatto in questi mesi per il mio partito. Lo dico da iscritto e da militante del Partito Democratico...

  PRESIDENTE. Dirigente.

  ERNESTO CARBONE. In primis militante; dirigente viene dopo.
  Non mi trovo affatto d'accordo con le parole dell'onorevole Prestigiacomo quando dice che questa è stata semplicemente un'indagine sociologica. Credo che sia stata una cosa molto più profonda e molto più importante che un'indagine sociologica.
  Brevemente vorrei porre una domanda al presidente Orfini, che deciderà se rispondere in segreta o meno.

  PRESIDENTE. La domanda è pubblica ?

  ERNESTO CARBONE. Certo. Quando lei ha fatto riferimento a Ostia, dove c'erano palesemente dei rapporti mafiosi all'interno del Municipio, ha mai avuto il Pag. 24sentore di legami che queste organizzazioni criminali potessero avere anche con altri partiti politici ?

  PRESIDENTE. Credo che alle ore 16 incomincino i lavori nell'Aula di Montecitorio con il voto e i voti sono pochi. Si chiede uno sforzo ulteriore agli auditi. I deputati presenti sono Prestigiacomo, Fava, Costantino, Vecchio, Di Lello, Carbone, D'Uva. Anche in Senato si richiederà la presenza.
  Quindi, o rimandiamo a un'altra occasione, nella quale ci risponderete, se avete voglia di tornare, o dovrete avere una capacità di sintesi straordinaria.
  Il presidente Orfini ci prova, almeno comincia. Quando mi segnalerete che non si può più andare avanti interrompiamo.

  MATTEO ORFINI. Io provo, semmai ci fermiamo. Procedo nell'ordine cronologico con cui mi sono state poste le domande, quindi alcune saranno ripetitive.
  Onorevole Costantino, io non ho parlato – almeno non credo – di atteggiamento consociativo involontario, ma di atteggiamento consociativo che involontariamente ha prodotto o comunque ha finito per costruire le basi di legittimazione di un patto criminale, inconsapevole nel senso che ovviamente non c'era nessuna consapevolezza, in quell'opposizione consociativa, che poi sotto succedesse qualcosa di quella natura. Quindi, non c’è evidentemente una responsabilità penale su quello che è accaduto.
  Ritengo che sia stata un'opposizione consociativa, perché mentre su alcuni temi si è fatta una battaglia anche dura in consiglio comunale e nel partito, su altre grandi questioni che riguardavano gli equilibri di potere della città, le nomine eccetera, si è costruito un rapporto più dialogante con l'amministrazione Alemanno che, secondo me, visto oggi è stato un errore e anche visto allora, onestamente.

  CELESTE COSTANTINO. Può specificare ?

  MATTEO ORFINI. Posso specificare, ma è lunga. C’è stato anche un dibattito nel Partito Democratico se si dovesse partecipare o meno alle nomine di quei consigli di amministrazione che poi si sono comportati così male nella gestione delle municipalizzate. A quei tempi si decise di partecipare. Si è discusso se bisognava rimanere o meno dopo che c'era stato un avvitamento e si è deciso di rimanere. Le questioni sono tante.

  PRESIDENTE. Presidente, io ricevo segnali di rinvio...

  MATTEO ORFINI. Ditemi voi. Io posso rimanere. Se volete rinviare, rinviamo.

  PRESIDENTE. Sono loro che hanno problemi...

  MATTEO ORFINI. Ovviamente posso anche ritornare. Sono a vostra disposizione.

  PRESIDENTE. Questa sera come siete messi ?

  MATTEO ORFINI. Questa sera no.

  PRESIDENTE. Allora ci aggiorniamo perché in Aula ci sono pochissimi voti e i commissari vogliono andare a votare.
  Ringrazio molto gli auditi. Penso che sia stata un'audizione molto utile e importante e credo che dalle risposte alle domande potranno nascere anche ulteriori approfondimenti.

  FABRIZIO BARCA. Io risponderei subito, molto brevemente.

  PRESIDENTE. Va bene. Alla Camera hanno di nuovo sospeso.

  FABRIZIO BARCA. La risposta è molto semplice. Non esiste altro documento, se non questo – è sul web, ma comunque lo consegno – che è composto di due rapporti.
  Non lo definirei sociologico, ma, come ho detto prima, parlerei di un rapporto di Pag. 25valutazione di efficacia rispetto alla politica, che risponde alle seguenti domande: che cosa fanno e facevano i circoli del Partito Democratico; se quello che fanno serve l'interesse generale dei cittadini o se serve l'interesse di singole persone.
  Dei circoli che abbiamo classificato per il potere diamo un giudizio durissimo, che nel testo è così riassunto: «Si ritrovano qui casi assai diversi: alcuni mostrano andamenti del tesseramento non giustificabili; altri sono prede di conflittualità che paralizzano il circolo; per alcuni la guerra territoriale di Municipio ha segnato la via del »non si fanno prigionieri«; per altri non vi è mai stata ragione di vita o di esistenza diversa da quella dell'accrescere la presenza di una corrente o di una ditta individuale dentro gli organi collegiali del partito locale; alcune vicende congressuali sono state caratterizzate da assoluta opacità; alcune sono macchine potenti da tessere, altre sono piccole utilitarie». Quindi, con un linguaggio un po’ più colorito diciamo esattamente quello che prima avevo detto con una sintesi, ovverosia: sono dei circoli che servono un interesse particolare e, servendo un interesse particolare, sono evidentemente dei circoli che provocano dei danni, sono dannosi alla vita politica, sono dannosi ai cittadini, e quindi non svolgono la loro funzione politica. Tant’è vero che, sulla base di queste indicazioni, sono state prese delle decisioni che sicuramente il commissario Orfini potrà... Tanto erano pregnanti queste decisioni, tanto erano dure, questo lo si legge nelle reazioni che si sono determinate, anche nelle correzioni che in due casi abbiamo ritenuto di fare. Dare giudizi di una severità e durezza quale questa, sono giudizi di cui, in assenza di informazione, bisogna prendersi le responsabilità.
  Aggiungo soltanto che evidentemente l'identificazione dell'esistenza di meccanismi che un tempo avremmo definito clientelari, cioè della formazione di filiere clientelari, dal punto di vista analitico è tale da essere catturabile. La parola «catturabile» è legata a un fatto: esiste una vicinanza, una contiguità fra la monopolizzazione legale e la monopolizzazione illegale (me ne sono occupato tanti anni fa per questa Commissione, alla quale resi un rapporto ormai venticinque anni fa); non esiste uno «zero-uno». Processi non trasparenti, privi di concorrenza, nei quali i soggetti determinano e catturano, sono individuati dalla criminalità organizzata come particolarmente adatti alla loro attività, alla loro penetrazione, perché quel contesto di non trasparenza si presta. Da qui l'utilità, al di là del fatto strettamente politico. Uno può contrastare quanto vuole la criminalità organizzata, ma se i partiti hanno caratteristiche come queste, è evidente l'utilità che tutti i partiti lo facciano.
  Infine, è stato chiesto cosa si può fare. Credo che la previsione, anche eventualmente normativa, nell'attuazione degli articoli della Costituzione sui partiti, di processi valutativi aperti, non procedurali, che garantiscano la disponibilità di informazione all'esterno, sia e possa essere un elemento di trasparenza, qualunque sia la modalità organizzativa di un partito: consentire ad altri soggetti costantemente di valutare e di mettere in discussione gli organismi dirigenti.
  Questo, assieme all'identificazione, da parte delle unità territoriali dei partiti, di obiettivi misurabili da raggiungere annunciati ai cittadini, può determinare quella diversa modalità di selezione della classe dirigente a cui lei ha fatto riferimento, in quanto la classe dirigente che si seleziona viene provata rispetto alla seguente domanda «Ma tu, fino ad oggi, che hai fatto di utile per il territorio del circolo o del partito di cui facevi parte ?». Domanda alla quale oggi una parte dei gruppi dirigenti non è in grado di dare una risposta.
  Quindi, un cambiamento in questa direzione determinerebbe, a mio parere, una modalità trasparente di identificazione dei meriti e dei demeriti della classe dirigente e politica, che avrebbe l'effetto a cui lei faceva riferimento.

  PRESIDENTE. Siccome raccomandano tutti la massima puntualità per le ore Pag. 2616.20, chiedo al presidente Orfini di rendersi disponibile in una data successiva.

  FRANCESCO D'UVA. Se il presidente è disponibile, come ufficio di presidenza possiamo deciderlo adesso.

  PRESIDENTE. Potete darmi il mandato a stabilire con lui la data, senza passare per l'ufficio di presidenza.

  FRANCESCO D'UVA. Va benissimo. Intendevo esattamente questo, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie a tutti. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.05.