XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 45 di Mercoledì 25 giugno 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI), Tano Grasso.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Capacchione Rosaria  ... 11 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 11 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 12 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 13 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 13 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 14 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 14 
Bindi Rosy , Presidente ... 14 
Bossa Luisa (PD)  ... 14 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 15 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 15 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 16 
Manfredi Massimiliano (PD)  ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 18 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 18 
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 18 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 18 
Bindi Rosy , Presidente ... 18 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 18 
Bindi Rosy , Presidente ... 19 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 19 
Bindi Rosy , Presidente ... 19 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 19 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 19 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 19 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 19 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 19 
Bindi Rosy , Presidente ... 19 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 20 
Bindi Rosy , Presidente ... 20 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 20 
Bindi Rosy , Presidente ... 20 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 20 
Bindi Rosy , Presidente ... 20 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 20 
Bindi Rosy , Presidente ... 20 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 21 
Bindi Rosy , Presidente ... 21 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI) ... 21 
Bindi Rosy , Presidente ... 22

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.20.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente)

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI), Tano Grasso.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI), dottor Tano Grasso, già prevista per la scorsa settimana e poi rinviata a causa di concomitanti lavori d'Aula. L'audizione ha a oggetto il tema della lotta all'usura e al racket e le proposte per rendere il sistema di prevenzione antiracket più efficiente e trasparente, con particolare riguardo a destinazione, utilizzo e controllo dei fondi pubblici. Ricordo, come di consueto, che la seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta. Do ora la parola al Presidente Grasso, che ringrazio per la sua presenza, e che è accompagnato dai due vicepresidenti.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Ringrazio la Commissione per l'opportunità che ci offre. Sono accompagnato da Rosario D'Angelo, vicepresidente vicario e responsabile delle associazioni antiracket della Campania, e da Franco Pizzuto, l'altro vicepresidente della FAI. Credo sia opportuno affrontare le due questioni che il presidente ha posto e inizierei subito dal provare a fare una riflessione, un'analisi sintetica, sullo stato della lotta al racket, formulando anche una proposta operativa. Se si confronta la situazione di oggi con quella del 1990, siamo in un altro mondo. Allora la prospettiva di un imprenditore che non voleva piegarsi erano la solitudine, il disprezzo dei propri colleghi e spesso la morte, come ci ricorda la vicenda di Libero Grassi. Se a un commerciante che non ubbidiva tempestivamente ai voleri mafiosi veniva distrutto il negozio con un attentato e costui aveva dei risparmi da parte, poteva riaprire, altrimenti la sua saracinesca sarebbe rimasta abbassata per sempre. Quando poi un imprenditore avesse cercato conforto in qualche struttura delle forze dell'ordine, avrebbe spesso incontrato rassegnazione e formalismi. Su tutti e tre questi aspetti oggi la situazione è notevolmente cambiata. Intanto c’è il modello che opera dal 1990, ossia l'associazione antiracket, e che da Capo d'Orlando si è costantemente diffuso in tutte le regioni a radicamento mafioso. L'antiracket ha risolto concretamente sul campo i principali problemi di un imprenditore non acquiescente: la solitudine, l'isolamento, la sicurezza per la vita e per Pag. 4l'azienda. Questo modello si è diffuso perché ha funzionato. Migliaia di commercianti hanno denunciato il pizzo attraverso le associazioni e mai nessuno è stato oggetto di rappresaglia alla persona. Solo in qualche raro caso vi sono state ritorsioni sull'azienda. In secondo luogo, opera ormai a regime la legislazione antiracket che risarcisce chi subisce un danno. Si tratta di un decisivo strumento che annulla il valore dell'atto intimidatorio. In terzo luogo, negli ultimi anni c’è stata la straordinaria svolta di Confindustria Sicilia, che ha operato una vera rivoluzione copernicana. È cambiato, inoltre, l'atteggiamento delle mafie rispetto agli imprenditori non acquiescenti. In parte ciò è effetto della grave crisi economica che da anni colpisce in maniera dura tante piccole e medie aziende. L'intelligenza strategica delle mafie ha portato ad attenuare la pressione estorsiva sul commercio, ma non sull'edilizia. Chiedere il pizzo a commercianti in gravi difficoltà con le banche, con il fisco e con i fornitori equivale oggi a una quasi probabile denuncia. Non a caso, ha assunto più rilievo la funzione dell'intermediario, il cosiddetto amico buono, colui che, non essendo un mafioso, ma un collega e a volte un amico della vittima, rappresenta il modo di aggirare la difficoltà del contatto diretto vittima-mafioso. La dinamica descritta da Buscetta, «basta uno sguardo del mafioso per capire che è tempo di mettersi a posto», per fortuna, appartiene alla storia. Questo cambiamento di atteggiamento delle mafie è anche effetto della maggiore forza degli imprenditori antiracket. A Napoli, come a Palermo, il commerciante che aderisce all'associazione antiracket è immune da richieste estorsive. Alcuni collaboratori di giustizia, sia siciliani, sia campani, hanno raccontato che, quando i mafiosi sanno che il proprietario di un negozio aderisce all'associazione, passano oltre e non avanzano alcuna richiesta, per la semplice ragione che sarebbero altissime le probabilità di denuncia. Una maggiore tolleranza si registra anche nei confronti di chi va a testimoniare anche al di fuori dei meccanismi associativi. Colpire il commerciante oggi avrebbe per la mafia un costo altissimo – l'antiracket su questo è intervenuta alzando questo costo – rispetto agli anni Ottanta, quando veniva ucciso un imprenditore senza alcuna reazione della società civile e delle istituzioni.
  Adesso bisogna parlare dei tanti «però», delle tante questioni aperte. Adesso il bicchiere va visto mezzo vuoto. Purtroppo, è ancora ampiamente diffusa una storica sottovalutazione dei fenomeni estorsivi e dell'associazionismo antiracket. Per esempio, sotto quest'ultimo aspetto nella rappresentazione mediatica passa quasi sempre solo il coraggio di chi denuncia. Invece, l'antiracket è un'esperienza antieroica, abissalmente distante dallo stereotipo dell'eroe solitario e impavido, sempre a rischio. La nostra forza non è il coraggio, ma l'intelligenza e l'intuizione che ci porta a confrontarci con le mafie sul concreto terreno del controllo del territorio secondo un approccio strategico. Specularmente, anche se rispetto a vent'anni fa si sono fatti passi avanti, si tende a considerare le attività mafiose ai danni delle imprese come fenomeni secondari o comunque riconducibili alla cosiddetta mafia militare, non comprendendo che non c’è mafia senza pizzo, perché non ci può essere mafia senza esercizio di potere su un determinato territorio. La svolta della Confindustria – altra questione aperta – non ha innescato un analogo meccanismo nelle altre associazioni di categoria. In merito bisogna essere assolutamente chiari: una grande associazione di categoria a dimensione nazionale, con sedi centrali e periferiche, con abbondante personale dirigente e dipendente e che associa la maggior parte dei lavoratori autonomi non può pensare di mettersi la coscienza a posto organizzando un convegno all'anno e sparando numeri a uso della stampa per guadagnare spazio sui giornali e sulle televisioni. È bene ricordare che, se le associazioni antiracket sono nate agli inizi degli anni Novanta, è stato solo perché le associazioni di rappresentanza non facevano il loro dovere di tutelare la libertà di impresa dei propri associati. Dopo oltre venti anni le cose Pag. 5sono cambiate solo di facciata. C’è stata qualche eccezione in alcune aree, ma la sostanza in larga parte è rimasta immutata. Le associazioni di categoria hanno un ruolo decisivo nel contrasto al racket e devono essere costantemente richiamate alla loro responsabilità istituzionale.
  Infine, vengo alla riflessione più importante: il motivo per cui in tante aree si continua a pagare pacificamente il pizzo. Oggi la stragrande maggioranza degli imprenditori continua a essere acquiescente. La paura spiega solo in piccola parte l'acquiescenza, considerato che l'associazionismo ha dimostrato con centinaia di esempi che si può denunciare senza incorrere in una rappresaglia e solo in rari casi avendo una scorta. Il vero problema è rappresentato da quegli imprenditori per i quali l'acquiescenza è l'effetto di una convenienza indiretta. Non parlo di quegli imprenditori che con le mafie stabiliscono un rapporto di reciprocità, dei cosiddetti collusi, per i quali c’è il codice penale a sanzionare i loro comportamenti. Parlo, invece, di chi si trova in una posizione svantaggiata, non paritaria, rispetto alle mafie, senza alcuna consapevole reciprocità. Costoro vivono il pagamento del pizzo come il costo indispensabile per essere legittimati a stare sul mercato, un mercato speciale qual è quello egemonizzato dalla mafia. Di solito si tratta di imprese di dimensioni medie e medio-piccole e i loro comportamenti non sono sanzionabili penalmente. Ci si limita a dire di sì senza alcuna contropartita diretta. La convenienza è di ordine ambientale. Un tipico esempio è quello di un piccolo imprenditore edile in un medio centro della Calabria, con dieci operai, che lavora con i privati e costruisce piccole case di abitazione o ristruttura edifici. Questo muratore sa bene che la sua attività si svolge in terra di mafia. Sa altrettanto bene che, se denunciasse o rifiutasse l'acquiescenza, vedrebbe sensibilmente diminuire le commesse. L'impiegato comunale, quello della banca, il commerciante non lo chiamerebbero più per rifare la cucina o il bagno, e non lo chiamerebbero più spontaneamente non perché sottoposti a intimidazione o a pressioni mafiose, non c’è bisogno di queste. È sufficiente interpretare l'aria mafiosa. È questa la più grande difficoltà che noi abbiamo di fronte. La strategia dell'antiracket, il modello dell'associazione, da sola non basta più. È necessario intervenire su un diverso livello. Se quell'imprenditore ha una convenienza nell'acquiescenza, bisogna allora togliergli questa convenienza, fare diventare sconveniente la sottomissione alle regole mafiose. Deve diventare conveniente l'opposizione alla mafia. Dirlo è facile, realizzare un percorso è assai più difficile. Bisogna costruire una convenienza capovolta. Qual è la soluzione migliore ? Noi escludiamo subito l'ipotesi di tributare un premio a chi denuncia, per esempio, l'affidamento diretto dei lavori. Salva la buona fede di chi avanza tale proposta, ciò costituisce un grave errore, perché indebolisce le ragioni dell'esposizione dell'imprenditore, riducendola immediatamente a mercede. Se si monetizza il coraggio, si espone di più chi denuncia in cambio di un premio. Dal punto di vista processuale la sua testimonianza perderebbe quella linearità e attenuerebbe quell'affidabilità che la rendono sufficiente per una condanna. Può anche indurre a pensare a un'area di privilegio nel mercato, ma questo è l'opposto che vuole chi si ribella al racket, il quale vuole la possibilità di un mercato libero. Noi vogliamo imprenditori normali e non protetti. In sostanza, siamo di fronte a un classico caso di eterogenesi dei fini. Per costruire una strategia capace di determinare una convenienza capovolta è necessario conoscere i meccanismi che favoriscono la stessa acquiescenza. Bisogna, in primo luogo, considerare su chi grava il costo del racket. Anche se può apparire paradossale, il vero gravoso costo lo ha chi resiste e si oppone al racket, non l'acquiescente, che paga il pizzo, ma ricava un vantaggio indiretto. Servono, allora, iniziative per realizzare una forma di compensazione capace di far recuperare a chi resiste lo svantaggio imprenditoriale rispetto agli altri e il miglior modo di conseguirla è quello di sanzionare l'acquiescenza. Anche in questo caso, però, Pag. 6noi escludiamo subito la sanzione penale, in quanto è inefficace. Se per un imprenditore non ha alcuna deterrenza l'eventuale pena per il reato di favoreggiamento, che deterrenza potrebbe avere quella per l'acquiescenza ? Essa rischia, inoltre, di apparire come una norma vessatoria e, pertanto, controproducente ai fini dell'instaurarsi di un nuovo rapporto di fiducia con le istituzioni. Funzionano assai meglio altri due tipi di sanzione. La riprovazione è un meccanismo che si sta rivelando molto interessante. Il nuovo atteggiamento dei cittadini e dei consumatori rende un clima più favorevole verso i commercianti che denunciano. Ciò non è solo un problema di simpatia, ma attira meccanismi virtuosi sotto il profilo economico. Poi c’è la forza dei codici etici delle associazioni di categoria, sul modello di Confindustria Sicilia, che prevedono l'espulsione dall'associazione del socio che paga. Nel 2007 la FAI aveva avanzato la proposta di rendere obbligatoria la denuncia, prevedendo sanzioni amministrative in un disegno di legge d'iniziativa popolare. Nel «decreto sicurezza» del 2009 questa proposta è diventata legge dello Stato, ovvero la norma che sanziona il caso di imprenditori acquiescenti impegnati nella realizzazione di opere pubbliche, prevedendo l'esclusione dalle gare d'appalto per tre anni. Con questa norma si interviene per riequilibrare la concorrenza sul mercato, colpendo chi gode di una posizione di vantaggio grazie alla convivenza e distoglie risorse della comunità a vantaggio di organizzazioni mafiose. Chi si aggiudica un appalto, per esempio, per costruire una scuola elementare e paga il pizzo utilizza soldi della comunità per finanziare la mafia. L'acquiescenza in tale contesto acquista una gravità maggiore, perché dirotta soldi non propri, ma della comunità per finanziare qualcosa che aggredisce la comunità medesima. È venuto il tempo di estendere l'efficacia di questa norma e di renderla più incisiva. Un esempio concreto è ispirato da una recente indagine della DDA di Lecce. Si è scoperto che i titolari dei lidi balneari pagano regolarmente il pizzo e che nessuno denuncia. Ebbene, questi imprenditori svolgono la loro attività in forza di una concessione statale. La spiaggia non è di loro proprietà, ma è nostra, dei cittadini. Se loro pagano il pizzo, lo pagano anche per nostro conto e fanno affari perché noi abbiamo concesso loro le spiagge demaniali. In un caso come questo lo Stato deve revocare la concessione. Analogamente, bisogna intervenire in tutte quelle attività economiche che si svolgono sulla base di autorizzazione statale. Un'ultima considerazione riguarda la forte connessione tra il pizzo e i mafiosi e la tangente ai politici.
  Racket e corruzione sono, pur nella distinzione delle dinamiche – l'imprenditore che corrompe ha un immediato e diretto interesse – in larga parte complementari. La legittimazione della tangente politica legittima il pizzo mafioso e viceversa. Quando si paga il pizzo, si manifesta un cedimento che rinuncia alla piena sovranità imprenditoriale e che dispone anche alla corruzione politica. La sanzione dell'esclusione dal mercato per un determinato numero di anni potrebbe riguardare anche le imprese corruttrici e concusse. C’è poi tutta una parte della relazione che riguarda gli aspetti processuali e penali, che salto e che poi magari allegherò agli atti per utilizzare meglio il mio tempo e, quindi, per affrontare la seconda parte del tema di quest'audizione, in particolare svolgendo qualche riflessione su recenti polemiche sull'antimafia a pagamento. Preliminarmente, va precisato che un conto sono le critiche, anche dure, un altro è quando, senza conoscere e forse senza neanche voler conoscere, si spara nel mucchio, in un pericoloso gioco di delegittimazione delle associazioni antiracket. Lo scorso 16 maggio il Presidente del Consiglio, rispondendo a una polemica di Beppe Grillo, ha detto: «Io non prendo lezioni da Grillo, che attacca Cantone, da anni sotto scorta». Io non condivido per nulla l'impostazione del Presidente Renzi. Sono convinto che nessuno possa considerarsi al riparo da critiche e polemiche per il fatto di vivere sotto scorta perché è a rischio. Io sono sotto scorta da ventitré anni.Pag. 7
  Penso anche che non possano esserci aree di privilegio giudiziario e politico. Se qualcuno avanza delle critiche nei nostri confronti, queste sono bene accette sempre, anche quando sono dure. Se qualcuno ci contesta iniziative inefficaci, queste contestazioni sono per noi uno stimolo a migliorare. Un'altra cosa è, però, la delegittimazione. Si tratta, purtroppo, di una cosa seria, se ascoltiamo le parole del procuratore della DDA di Caltanissetta, il quale ha denunciato il tentativo di «screditare» chi fa antimafia con i fatti, come Confindustria, FAI e Addiopizzo. Il procuratore individua gli artefici della «campagna di delegittimazione» in «centri occulti». Non so a che cosa faccia concretamente riferimento. So, però, bene una cosa per esperienza diretta: da sempre la maggiore preoccupazione per la sicurezza l'abbiamo avvertita quando ci siamo trovati contro gruppi di imprenditori. Il timore si fonda sul fatto che costoro segnalano la loro insofferenza nei nostri confronti e le loro difficoltà a seguito delle nostre iniziative all'organizzazione mafiosa, manifestando l'inefficacia della loro protezione. I boss, per legittimare la propria funzione, possono essere indotti ad atti estremi. Quando si supera la soglia delle critiche e si giunge alla delegittimazione ? Semplicemente quando si alimentano sospetti e si lanciano accuse generiche e insinuazioni, quando, senza alcuna responsabilità nell'uso delle parole, si individua nella FAI la casta dell'antiracket. Si può non essere più d'accordo su una scelta, anche se prima era condivisa, come quella di partecipare ai progetti del PON Sicurezza, ma non si può parlare di industria dell'antiracket per quelle persone che hanno deciso con coerenza di portare avanti quell'iniziativa. Io sono andato a consultare il dizionario della Treccani, in vista di questa audizione, per cercare la definizione di casta, allo scopo di essere il più preciso possibile: «Con senso spregiativo [...] ordine di persone che si considera per nascita o per condizione separato dagli altri e gode o si attribuisce speciali diritti o privilegi [...]; casta privilegiata». Quindi, «casta» equivale a «privilegio». Parlare di casta senza che neanche lontanamente ci sia un'ombra di privilegio – al contrario, ci sono vite di sofferenze e fatiche – e trasfigurare completamente i fatti, offrendo una rappresentazione completamente falsa, può avere solo due spiegazioni: o si è del tutto stupidi, o c’è un calcolato disegno che, con accanimento quotidiano, mira alla distruzione del movimento antiracket. Come si fa a non capire, o forse lo si capisce troppo bene, che, quando si va in un'aula di tribunale con dieci o cinquanta mafiosi e si viene bollati come «casta», si indebolisce la forza di chi denuncia e si espongono a rischio i dirigenti dell'associazione ? «Allora quello che mi denuncia – pensa il mafioso – non lo fa perché ritiene di difendersi e di restare libero, ma perché ha un secondo fine. Non è disinteressato». Se si è uomini e donne del privilegio, con quale credibilità si possono incontrare imprenditori da convincere a denunciare ? Noi non abbiamo altro a cui rivolgerci che la prestigiosa Commissione antimafia. Alle spalle, per nostra scelta, non abbiamo partiti, né associazioni, né sindacati. Abbiamo solo la nostra credibilità e il nostro onore. Se per un quarto di secolo siamo riusciti, senza mezzi e senza tutele, a stare sul campo è per il nostro capitale sociale. Se ancora oggi siamo qui, è per il debito che abbiamo con quelle centinaia e centinaia di colleghi che prima abbiamo convinto a denunciare e poi abbiamo accompagnato in tribunale. Noi chiediamo, quindi, formalmente alla Commissione antimafia di impegnarsi in un'azione di tutela nei nostri confronti. C’è poi «la grande bufala» – è questo il titolo di un articolo de Il Mattino – per cui l'antimafia a pagamento non sarebbe una missione civile. Io trovo demagogica e ipocrita la discussione su «volontariato sì, professionismo no». Parlo come colui che ha sempre rivendicato d'essere un professionista dell'antimafia. Giustamente Umberto Santino, prestigiosissimo studioso di mafia, sposta l'opzione tra professionisti, da un lato, e dilettanti e opportunisti, dall'altro. Quando le associazioni antiracket fanno seriamente il loro lavoro, si trovano Pag. 8ad affrontare questioni delicatissime, che riguardano la sicurezza di chi denuncia e la stabilità economica della loro azienda. Quando non si tratta di seguire solo uno o due di questi imprenditori, ma decine e decine, si richiede un impegno rigorosamente professionalizzato e a tempo pieno. È per questo motivo che la FAI ha deciso di cogliere l'opportunità offerta dai progetti del PON Sicurezza: per avere più strumenti nell'interesse delle vittime. C’è poi l'ipocrisia. La polemica contro i professionisti è a volte svolta da altri professionisti che operano al riparo di sicuri stipendi assicurati da associazioni di categoria. Il problema non è se chi opera nella militanza mafiosa sia o meno un professionista, ma quanto il suo lavoro sia utile, efficace e incisivo. Da sempre noi abbiamo misurato la nostra credibilità sulle denunce e sui processi. Un esempio di critica seria e costruttiva si ha quando Raffaele Cantone parla del rischio di concepire l'antimafia quale un lavoro come un altro. Siamo ancora d'accordo con lui sul fatto che le associazioni non debbano e non possano diventare istituzioni senz'anima. Noi ce la mettiamo tutta per evitare questi rischi e soprattutto vogliamo rassicurarlo, per quanto riguarda la FAI, sul rischio dell'allontanamento di quanti da decenni si sono spesi come volontari sul fronte antimafia e antiracket. Basta frequentare le nostre iniziative. Cito un solo dato. Sono sessantotto le associazioni aderenti alla FAI, di cui solo dodici sono i presidenti che ricevono un compenso nell'ambito del PON. Gli altri cinquantasei presidenti svolgono la loro attività in termini di assoluto volontariato, e con loro centinaia di altri dirigenti delle associazioni. Basta farsi un giro e verificare. Da sempre i dirigenti della FAI, a parte il sottoscritto, che ha avuto incarichi pubblici, hanno svolto la propria attività in termini di esclusivo volontariato. Solo dalla fine del 2012 alcuni di loro, in gran parte selezionati attraverso un pubblico concorso da parte del Ministero dell'interno nell'ambito del PON Sicurezza, ricevono un compenso per il loro lavoro. Grazie al PON noi siamo in grado di svolgere un'attività con più strumenti e con più professionalità. Questo è tutt'altro che un allontanamento dei volontari. La partecipazione al PON ha accresciuto la credibilità anche istituzionale della FAI e, di conseguenza, si sono avvicinati tanti nuovi commercianti, da quelli di Castelvetrano e Niscemi, vere zone di frontiera, a quelli del Vomero a Napoli, solo per fare alcuni esempi. Qualcuno poi, scandalizzato, parla di istituzionalizzazione dell'antiracket. Ma stiamo scherzando ? Per fortuna – si è trattato di una grande conquista e di una capacità acquisita sul campo – le associazioni antiracket hanno saputo mettere a regime un preciso modello. Io rivendico come un fatto assolutamente positivo che oggi le associazioni abbiano una dimensione paraistituzionale e soprattutto che questa dimensione venga riconosciuta da magistrati e forze dell'ordine. Noi abbiamo una specificità che altre esperienze antimafia non hanno, o che non hanno in questa misura: noi operiamo con le vittime, le incoraggiamo a denunciare, le accompagniamo negli uffici della polizia giudiziaria, le seguiamo durante e dopo il processo. Il dirigente dell'associazione svolge un ruolo delicatissimo, intanto perché partecipa del segreto investigativo e della sicurezza delle vittime. In questo lavoro noi interloquiamo con la polizia giudiziaria – i nostri interlocutori privilegiati sono forze dell'ordine, magistrati e prefetti – e la nostra interlocuzione funziona se siamo credibili. Per esempio, ed è questa la ragione per cui le nostre associazioni sono rigorosamente apartitiche, interveniamo nel dibattito pubblico solo in casi estremi, mettendo da parte le nostre singole convinzioni. Grazie al PON noi abbiamo addirittura avviato un'attività di formazione integrata che coinvolge dirigenti delle associazioni e forze dell'ordine. Cito solo Napoli, con la partecipazione di ventuno ufficiali di polizia giudiziaria e di venti rappresentanti delle associazioni antiracket impegnati per due giorni, mattina e sera, a discutere sulle modalità delle indagini, sugli strumenti legislativi, sulle dinamiche psicologiche delle vittime, sul ruolo delle associazioni. Pag. 9Questo nuovo ruolo, in parte riconosciuto da precise norme e in parte costruito sul campo, presenta un'altra faccia della medaglia: serve molto più rigore nella costituzione delle associazioni antiracket. Noi seguiamo delle procedure molto rigide, codificate in un documento pubblico. Per far nascere un'associazione con quindici imprenditori bisogna lavorare per un anno, passo dopo passo, con le forze dell'ordine. Non si improvvisa un'associazione e la selezione dei soci è un passaggio delicatissimo, il cui nascere viene controllato preventivamente da Polizia e Carabinieri. Del resto, una volta nata l'associazione, il prefetto competente ha un obbligo di legge: prima di riconoscerla, iscrivendola all'albo, deve fare un controllo esaminando soggetto per soggetto, iscritto per iscritto. Noi proviamo a fare qualcosa in più: anche di fronte a un'ombra quell'imprenditore ne è escluso o non si costituisce l'associazione. Quella per avere più rigore, per avere norme più rigorose nella valutazione delle associazioni antiracket e dei requisiti soggettivi richiesti ai loro soci è stata una battaglia storica della FAI. Su quest'ultimo punto si è ottenuto un risultato importante con il decreto ministeriale del 2007. Purtroppo, resta ancora vaga la valutazione di merito sulle associazioni. Su questo punto all'epoca abbiamo polemizzato con il Ministero dell'interno. È sufficiente che cinque persone incensurate decidano di far nascere un'associazione e questa viene automaticamente iscritta all'albo della prefettura, senza valutazione sul merito dell'attività. Su questo punto va modificato il decreto ministeriale. Noi per primi abbiamo interesse a eliminare ogni zona d'ombra che possa offuscare la credibilità delle associazioni e dell'interesse del nostro stesso lavoro. Questo rigore non deve essere confuso con un facile moralismo. Per me vale molto di più la denuncia di un imprenditore che ha pagato il pizzo per anni rispetto a quella di chi viene fatto oggetto di richiesta estorsiva magari per la prima volta. Nel primo caso si toglie all'associazione mafiosa un pilastro sul quale poteva poggiare. Noi esistiamo per offrire una sponda, un'occasione di riscatto a chi paga. Il target privilegiato non è solo chi riceve oggi per la prima volta una richiesta estorsiva, ma chi già paga e che così noi riusciamo a sottrarre all'influenza dell'organizzazione criminale. La stessa legge n. 44 del 1999, per la prima volta, all'articolo 5 introduce il risarcimento anche a favore di coloro che prima erano acquiescenti e che poi decidono di denunciare, modificando la vecchia previsione che riconosceva tale diritto solo a chi non aveva mai pagato il pizzo. Se non si riconosce valore a queste cose anche in funzione di esempio, di un modello da offrire all'opinione pubblica, si finisce per creare una limitazione anche a tutti gli altri che decidono di denunciare. Se criminalizziamo un imprenditore che fino a oggi ha pagato, ma che decide di intraprendere la strada della denuncia, finiamo con lo scoraggiare anche tutti gli altri a denunciare e, in questo modo, non facciamo altro che un favore alla mafia. In questo senso e da questo punto di vista noi non abbiamo paura di sporcarci le mani. Spendo qualche parola nel merito dei progetti del PON Sicurezza. Una delle critiche rivolte alla procedura di avvio del PON è che il Ministero avrebbe compiuto con arbitrarietà la scelta dell'individuazione dei partner e non avrebbe rispettato le regole per gli appalti pubblici. Tali critiche sono del tutto infondate. In primo luogo, tutti i soggetti legittimati a ruolo di partner sono stati coinvolti dal Ministero e sollecitati a presentare ipotesi di progetto, dapprima le associazioni antiracket – la FAI all'epoca era l'unica associazione esistente di rilevanza nazionale – e successivamente le associazioni di rappresentanza delle categorie, a partire da Confesercenti. In secondo luogo, in una lettera inviata il 16 luglio 2009 dal commissario Marino alle associazioni di categoria si esplicitava quanto segue: «La procedura di consultazione che si sta avviando trova il proprio fondamento nel disposto dell'articolo 57 [...], il quale prevede che le stazioni appaltanti possono aggiudicare contratti relativi a lavori, servizi e forniture mediante procedura negoziata, senza Pag. 10la previa pubblicazione di un bando, qualora, per ragioni di natura tecnica, il servizio stesso possa essere svolto soltanto da un numero circoscritto di operatori. Non vi è dubbio – prosegue il prefetto Marino – che il ricorso alla procedura negoziata in luogo dell'evidenza pubblica, nel rispetto, tuttavia, dei princìpi comunitari, nazionali [...], è motivato dalla considerazione che l'attività di servizio che si intende ora sostenere e potenziare con i progetti di che trattasi e che si concretizza in una mirata e completa azione di assistenza e sostegno degli operatori e potenziali vittime di estorsione e usura non può che intestarsi a codeste associazioni di categoria, oltre che, per altre ragioni, a quelle antiracket e antiusura, il cui ruolo è contemplato nel vigente ordinamento». Non a caso, alcune delle associazioni di categoria hanno partecipato a vari incontri per concordare i contenuti dei progetti. Con riferimento a Confesercenti e Confcommercio, in un verbale del Ministero dell'interno di una riunione del 2 maggio 2011, i loro rappresentanti «lamentano il ritardo nella presentazione da parte del commissario del Governo alla segreteria tecnica delle proposte progettuali di reciproca competenza prodotte in bozze sin dall'anno 2007». Le associazioni di categoria, quindi, non solo erano state invitate a presentare i progetti, ma avevano anche già iniziato a presentarli, tant’è che nella medesima riunione si parla anche dei dettagli. Si comprende, dunque, la ragione per cui poi ci si sottrae all'impegno assunto leggendo un'altra parte dello stesso verbale, in cui si fa riferimento «all'iniziale resistenza dei partner di progetto ad accettare per le spese di tipo Fondo sociale la rendicontazione a costi reali». Tutto questo si comprende ancora meglio se si considera la precedente programmazione 2000-2006, Misura 2.3 «Risorse umane per la legalità», che non prevedeva tale procedura e stanziava a favore, tra gli altri, di Confesercenti la somma di 1,6 milioni di euro per realizzare quattro manifestazioni nazionali e sessanta provinciali. Si comprende bene la netta discontinuità, con riferimento alla trasparenza e alla efficacia, dei nuovi PON. Infatti, non solo attraverso la rendicontazione a costi reali si assicura una seria soglia di verifica e trasparenza, ma con l'individuazione di precisi obiettivi riscontrabili attraverso gli indicatori di risultato si garantisce l'efficacia. Altro che convegni, della cui effettuazione pochi si sono accorti, ma concreti risultati sul fronte della costituzione di associazioni antiracket, delle parti civili nei processi, dell'adesione al consumo critico e via elencando. Il PON rappresenta una straordinaria occasione e sarebbe potuta esserlo ancora di più se ognuno avesse fatto la propria parte, spendendo l'intera somma di 37 milioni, invece dei tredici utilizzati. Le idee progettuali scaturiscono da due concrete esperienze. Perché si fa il PON ? Per queste due concrete esperienze. La prima è quella del commissario antiracket negli anni 2000-2011, quando, a seguito di un massiccio investimento economico, 5 miliardi di vecchie lire, si realizzarono importanti iniziative su tutto il territorio, culminate nella conferenza nazionale, presieduta dal Presidente della Repubblica, che produssero, per la prima volta da anni, un sensibile incremento nel numero delle denunce per estorsione e usura. L'altra esperienza è quella svolta a freddo, per iniziativa del sindaco Iervolino, nella città di Napoli, dove nei dieci anni precedenti al 2002 non era nata alcuna associazione. A seguito di mirati interventi si è avuto un notevole incremento nel numero delle denunce, passate da meno di cento nel 2001 a 614 nel 2006. Oggi ci sono quindici associazioni aderenti alla FAI e ben 310 costituzioni di parte civile dal 2005 a oggi.
  Il senso era proprio questo: se si è riusciti in due momenti storici a realizzare questi risultati, perché non utilizzare gli investimenti del PON per riprodurre questi esempi a livello nazionale ?
  Presidente, ho portato la relazione su tutta l'attività del PON. Abbiamo deciso di portarla in forma integrale, come l'abbiamo mandata al Ministero dell'interno, chiedendo se sia possibile segretarla. Tutte le cose che ho citato le ho qui in allegato. Se lo ritenete, per esempio, quelle lettere Pag. 11al Ministero dell'interno e i verbali del Ministero dell'interno possiamo lasciarli in allegato.

  PRESIDENTE. Naturalmente, siamo interessati a tutta la documentazione. Se ce la può lasciare, per noi è materiale prezioso. Voglio ringraziare, anche perché è evidente che, per il momento nel quale si è collocata quest'audizione, ha consentito al presidente della FAI di rispondere anche ad alcune obiezioni che erano state mosse sia sugli organi di stampa, sia su esposti, sia qui in audizione da parte di organizzazioni precedentemente audite. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROSARIA CAPACCHIONE. Grazie, presidente, per le informazioni che ci ha reso. Se mi permette, vorrei chiedere qualche integrazione, anche per sgomberare il campo da ulteriori polemiche. Credo che la chiarezza e la trasparenza siano l'arma migliore per replicare a sospetti e insinuazioni. Vorrei partire da una questione che riguarda, più che genericamente, in maniera particolare, il mio territorio. Lei sa che io vengo dalla provincia di Caserta. Recentemente è diventata pubblica una parte di informativa del ROS dei Carabinieri che riguardava un'associazione antiracket che doveva essere collegata alla FAI composta da una serie imprenditori connessi al clan Zagaria, i quali avevano chiesto di aderire all'associazione e che hanno fatto anche diversi incontri a Casapesenna e nelle zone limitrofe dell'agro aversano, con l'obiettivo di denunciare il racket. Essendo, però, per come sostiene il ROS, tutt'altro genere di persone, il loro obiettivo sarebbe stato quello di strumentalizzare le associazioni antiracket. Vorrei sapere più o meno lei come si è regolato, chi le ha presentate, come si sono accreditate con la FAI, se lei era al corrente che alcune di queste persone non avessero le certificazioni antimafia e che, quindi, fossero persone già sospettate prima, perché è successo e perché si è interrotta l'iniziativa. Vorrei sapere anche, per esempio, il tipo di assistenza che la FAI fornisce alle vittime nel corso dei processi, quando si costituiscono parte civile, con riferimento non solo a chi denuncia le estorsioni, ma anche all'assistenza che si fa ai familiari delle vittime di omicidi, per esempio. Che tipo di servizio viene offerto, come viene offerto, qual è la qualità dell'assistenza, ci sono contributi da parte di qualcuno ? Rispetto al PON, infine, vorrei sapere se ci può dire complessivamente a quanto è ammontato il finanziamento di cui ha usufruito la FAI, oltre a quello che immagino sia scritto nel rendiconto che ci ha depositato, in che cosa si è manifestata l'attività del PON e anche quanto è stato il contributo di cui ha usufruito.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Purtroppo, forse è opportuno che sulla vicenda di Casapesenna l'audizione venga segretata.

  PRESIDENTE. Propongo di procedere in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Vengo all'assistenza alle vittime. Da questo punto di vista dobbiamo essere assolutamente grati ai nostri avvocati, che fanno questo lavoro, ahimè, in termini quasi di esclusivo volontariato. Nel senso che il compenso dell'avvocato che assiste le vittime è il seguente: se c’è l'articolo 7, l'aggravante mafiosa, o vi è il reato di associazione mafiosa, il compenso dell'avvocato oscilla, per un processo che a volte può durare, come quello di Ercolano, mesi e mesi, tra 1.500 e 2.000 euro. Sono soldi che non dà la persona, la vittima, ma che eroga la legge n. 512 del 1999 per pagare le spese legali. Di fatto, quindi, i nostri avvocati assistono volontariamente le persone. Una delle cose più pazzesche che esistano nella normativa è questa modifica della legge n. 512 fatta dal Governo Berlusconi. La Pag. 12legge n. 512 prevedeva – nella vecchia formulazione – che il giudice desse un risarcimento alla FAI. Se la FAI si è costituita parte civile, ha diritto a 50 mila euro. Bene. Prima questi 50 mila euro venivano erogati. Da quando fu fatta questa modifica, nel 2009, dal Governo Berlusconi il risarcimento stabilito dal giudice non viene più erogato. Viene erogato solo alle persone singole. La domanda è: se il giudice a me ha riconosciuto un risarcimento che mi deve dare il mafioso, io al mafioso non posso andare a chiedere soldi per una ragione semplicissima, ossia perché, se uno è mafioso, e l'ha stabilito il giudice, per definizione non possiede nulla. La legge n. 512 risolveva questo problema. È una norma, a mio giudizio, assolutamente pazzesca, ma mi fermo qui per non entrare nei dettagli. Passo alla terza questione, e la ringrazio anche di questa. Noi non riceviamo contributi. Il PON non consiste in contributi che vengono erogati. La vecchia programmazione funzionava nel modo che segue. Io consegno tutto l'elenco delle somme spese fino al 31 dicembre – ogni anno ve le presentiamo – voce per voce, persona per persona. È tutto scritto qui. Come funziona ? Perché non è un contributo ? Non è un contributo per un motivo semplicissimo, ossia perché la modalità di pagamento è cambiata. Mentre prima si davano i soldi a chi gestiva il PON, che li spendeva e poi li rendicontava, adesso non funziona più così. Prima io debbo spendere i soldi, debbo dimostrare di averli spesi, debbo dimostrare che quella spesa è aderente al PON e poi, dopo due livelli di controllo, uno del responsabile dell'obiettivo e l'altro dell'autorità di gestione, questi soldi vengono girati a noi.

  ANDREA VECCHIO. Voglio anch'io ringraziare Tano Grasso. Non lo chiamo presidente, lo chiamo semplicemente Tano perché lo conosco da tantissimo tempo e mi è stato anche lui a fianco in particolari circostanze. Tu hai consegnato una relazione e hai chiesto di segretarla. In questa relazione immagino che ci sia l'analisi di una serie di spese. Qual è il motivo della segretazione ? Sono spese che possono essere conosciute ? La destinazione di queste spese può essere conosciuta, o ci sono, invece, delle spese particolari che non è opportuno che vengano conosciute e diffuse ? Questo è un elemento che disturba chi ascolta. Inoltre, nel territorio c’è una certa prevenzione verso le associazioni antimafia. Io non le distinguo tra quelle aderenti alla FAI e quelle non aderenti. A volte sono anche in concorrenza, credo, ma nel territorio questo non si capisce. Non c’è una chiara identificazione. Nel territorio molte di queste associazioni antiracket a volte hanno avuto comportamenti particolari. Forse un po’ dell'animosità che io ho visto nella tua esposizione, in cui era celata un po’ di rabbia, dipende dall'attività di queste pseudo associazioni antimafia che hanno gettato qualche ombra sull'intera attività.
  Io credo che, per chiarezza, queste cose vadano denunciate per nome e cognome. È da un anno che sono in politica e vedo che si fanno tanti discorsi, che si citano tante vicende, ma sempre in maniera molto nebulosa. Poiché nella mia prima vita io ho fatto l'imprenditore e sono abituato al fatto che a una cosa corrispondessero una descrizione, un numero, una quantità e un prezzo, sono abituato a ragionare con le quantità e con le cose chiare, non con le cose dette e non dette, che si devono interpretare. Peraltro, non ho studiato filosofia e, quindi, non saprei neanche come approcciarmi a queste questioni. Quanto ai PON, tu sai che nel territorio, soprattutto nel meridione d'Italia – è uscita fuori una notizia la settimana scorsa, in Sicilia, che ha coinvolto il mio paese, Acireale, insieme ad Aci Castello – un PON può essere gestito senza minimamente rendicontare, senza far andare nel territorio un centesimo del denaro che è stato incassato. In questo caso sono 2,5 milioni. Dovevano fare delle attività per la pesca, ma la pesca non ha visto niente. Hanno fatto questo con l'acquiescenza dei comuni, che, con una delibera, hanno dato quasi un patrocinio e hanno incassato il 100 per cento, con la complicità dei funzionari regionali. L'opinione pubblica, la Pag. 13gente che legge il giornale, la gente che va al bar tutti questi piccoli particolari non li può conoscere e, quindi, quando sente che hanno finanziato un PON alla FAI, si fa tanti romanzi nella testa, si fanno tante scene. Io credo che la chiarezza si essenziale. Rinnovo, quindi, la domanda, sul perché quella questione sia segretata, poiché ritengo che la chiarezza sia alla base di ogni cosa. Poiché ti conosco, io credo che tu abbia interesse a fare questa chiarezza.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Mi permetto di spiegare le ragioni della mia rabbia. Le ragioni della mia rabbia non hanno a che fare con quello che hai detto tu. La ragione della mia rabbia è solo una, ossia che io non posso accettare che né io, né i miei colleghi veniamo definiti «casta».

  PRESIDENTE. Figuriamoci noi.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Onorevole, mi fermo qui. Chiudiamola qui.

  ANDREA VECCHIO. Anch'io faccio parte di questa presunta casta e non me ne sono accorto.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). No, l'antiracket non può essere definita una casta. Se tu definisci l'antiracket una casta, compi un'opera di pura delegittimazione. Punto. Non può essere casta perché c’è una persona che ha un compenso di 30 mila euro lordi l'anno. Siamo al manicomio ? Se tu mi chiami «casta» una persona che ha un compenso lordo di 30 mila euro l'anno, siamo al manicomio. O chiami «casta» una persona che ha un compenso di 59 mila euro ? No, solo di questo si parla. Di casta, di industria, di antimafia a pagamento in questo contesto. Qui affondava la mia rabbia. Andiamo con ordine. Ercolano è una delle realtà in assoluto più importanti di questi venticinque anni, perché vi si è realizzato un miracolo. Sono contento che l'onorevole Bossa sia presente in quest'audizione, perché lì si è realizzata la denuncia collettiva, così come si era fatta a Capo d'Orlando nel 1990. Non solo. Così come è accaduto a Capo d'Orlando, in un territorio molto più difficile di Ercolano – noi siamo in paradiso al confronto, in un territorio molto più difficile di Capo d'Orlando – l'azione antiracket ha bloccato l'attività criminale. Rispetto a Ercolano non c'era confronto tra le due situazioni, purtroppo per Ercolano. Abbiamo bloccato l'attività criminale. Oggi sono in giro solo i figli e qualche donna, figli minorenni piccoli e qualche donna. C’è stata una realtà in cui si parlava di decine di omicidi l'anno.
  Quanto alla segretazione, nella relazione non ci sono solo le spese. C’è anche tutta l'attività che noi abbiamo fatto e soprattutto c’è un punto, che noi abbiamo discusso molto tra di noi se pubblicizzare o meno. C’è un punto molto delicato e fondamentale. Io non posso dire che sto costituendo l'associazione antiracket, ad esempio ad Acireale, perché, se dico questo, creo una situazione di rischio. Quando faccio nascere un'associazione, lo sanno il questore e il comandante provinciale dei Carabinieri e basta, e, in alcuni luoghi, il prefetto. In seguito ci viene chiesto «Dove eravate ?». Per un anno io sono andato lì e nessuno aveva visto che ci ero andato. Quando nasce l'associazione, la pubblicizzo. Ci sono dati molto delicati. Mi permetto di dire che l'attività antiracket è un'attività molto delicata da questo punto di vista. I dati sono in vostro possesso.

  PRESIDENTE. L'aspetto contabile non è contenuto soltanto in questa relazione. È pubblico anche presso il Ministero dell'interno. È il resto che non è pubblico. Il comitato sul regime degli atti ci potrebbe aiutare a fare questo lavoro...

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). L'altra domanda è sui PON. Questo non è il PON Pag. 14della FAI. È il PON del Ministero dell'interno. La FAI è partner. Chi realizza il PON, il beneficiario del PON, è l'Ufficio del commissario antiracket, che ha come partner la FAI. Non è paragonabile a tanti altri PON che si fanno in giro. È il Ministero dell'interno che decide tutto. La FAI è partner esecutiva del progetto. Con le altre associazioni – ringrazio soprattutto per questa domanda – c’è un problema serio, che ho accennato nella mia relazione. Nel 2007 io ho duramente litigato al Ministero dell'interno, perché prima addirittura c'era un regolamento che consentiva di far parte dell'associazione anche a persone che erano indagate, anche per estorsione e usura, purché non fossero condannate. Questa era la vecchia norma. Nel 2007 questo aspetto si risolve, finalmente, anche se si può migliorare. Noi abbiamo litigato col Ministero, perché noi dicevamo che non basta l'analisi formale, perché è un lavoro delicato l'associazione antiracket. A volte una persona che può avere bisogno – penso soprattutto a una vittima di usura, per l'estorsione è più difficile che ciò accada – nella disperazione si collega con Internet, trova un'associazione, la vede iscritta al Ministero dell'interno, si presenta e chiede aiuto. Dopodiché, che questa associazione sia attrezzata nessuno è in grado di dirlo. I prefetti dovrebbero fare una valutazione di merito. In provincia di Catania ci sono decine e decine di associazioni. Il problema è quante di queste associazioni producono denunce. Perché Ercolano ha senso ? Perché a Ercolano si producono denunce. Un'associazione antiracket ha senso che esista se produce denunce. Il prefetto deve valutare questo. Se il presidente dell'associazione antiracket il capo della squadra mobile non l'ha mai visto neanche in faccia, è chiaro che quella è un'associazione sulla carta. Quello è il metro di misura.
  Si rischia di fare danno alle persone che si rivolgono all'associazione, che hanno bisogno e che incontrano una persona che non ha i requisiti.
  Purtroppo, nel movimento antiracket si è determinata una rottura, che ha fatto danno, ma non perché c’è concorrenza. Non è questo il punto. Ha fatto danno per un'altra ragione, che voglio esplicitare, anche questa delicata.

  PRESIDENTE. Segretiamo ?

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Sì.

  PRESIDENTE. Propongo di procedere in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole sindaco Bossa.

  LUISA BOSSA. Grazie, per il «sindaco». È la cosa più bella che io abbia mai fatto. Saluto Tano Grasso, da sempre impegnato nelle nostre realtà e testimone nella mia città che il racket può essere sconfitto. Mi fa molto piacere, Tano, che lei sia qui, perché può toglierci alcuni dubbi e perplessità, come ha già fatto rispondendo anche ad altre domande dei miei colleghi. Come sappiamo, di associazioni antiracket e antipizzo ormai ve ne sono tantissime sul territorio nazionale, soprattutto al Sud. Abbiamo letto che i progetti PON vengono assegnati in partenariato, come lei poco fa ci ha chiarito, più o meno sempre alle stesse associazioni. Lei ha risposto ampiamente, e io per questo la ringrazio, però le faccio questa domanda. Se è vero che le altre associazioni non sono in grado, come lei ci ha fatto capire, di presentare elaborazioni teoriche all'altezza della sfida, se non sono in grado di presentare contenuti idonei, la FAI può aiutare a crescere queste altre realtà ? Io non credo che tra questi soggetti ci possa essere competizione. Io credo che si lavori tutti per lo stesso risultato. Lei ci ha detto prima che non c’è un'unità. Allora ognuno va per conto proprio, ognuno va per i fatti propri ? Come si può ovviare a tutto questo ? Noi possiamo aiutarla, oppure ognuno è padrone in casa Pag. 15propria, per rifare il verso a un brutto slogan che abbiamo sentito negli anni precedenti ?

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Intanto io non mi permetterei mai di dire che altre associazioni non sono in grado. Non mi permetto minimamente di dire che altre non sono in grado, anche perché quelle che hanno svolto delle critiche nei nostri confronti hanno approvato tutta l'attività della FAI, PON incluso. Sono uscite dalla FAI dopo che i progetti del PON sono stati approvati. Non è questo il punto. Il punto è ciò che si è. Una cosa ho imparato, in un quarto di secolo è il principio del pluralismo. L'idea che ci sia una sola antimafia, o che qualcuno usi l'espressione «vera antimafia», è un'idea, secondo me, sbagliatissima. Ci sono le antimafie, c’è una pluralità di antimafie. Quando uno dice che c’è la vera antimafia, direttamente compie un'opera di delegittimazione di chi la pensa diversamente. Così noi non cambiamo. Per fare un esempio, io ho il massimo rispetto per la storia intellettuale e culturale di Antonio Ingroia, ma non condivido le cose che dice. Sono onorato di frequentarlo, quando lo frequento, ma condivido pochissimo le cose che lui dice politicamente, nonché in tema di politica giudiziaria. C’è una diversità. Io non dico che lui non è antimafia. Ingroia è autorevole espressione dell'antimafia, ma sono altrettanto autorevoli espressioni dell'antimafia il professor Fiandaca o lo storico Salvatore Lupo. Bisogna abituarsi a concentrare l'idea in questa prospettiva di pluralità: ci sono le antimafie, non c’è l'antimafia. Io non sento neanche in concorrenza le altre associazioni. È chiaro che in un clima più favorevole, in cui ci si confronta, si lavora meglio. Lei mi consente di dire che noi ufficiosamente abbiamo fatto un passaggio, per esempio nei confronti di SOS Impresa, per chiedere: «Scusate, voi esistete, fate la vostra attività, noi facciamo la nostra. Stabiliamo un patto di consultazione», anche per evitare situazioni come quella che ho appena ascoltato. «Se io vado a fare l'associazione antiracket, ad esempio, ad Acireale è inutile che ci vada anche tu. Sentiamoci. Facciamo un semplice patto di consultazione». Abbiamo insistito, debbo dirle – è la prima volta che lo dico pubblicamente – abbiamo insistito molto perché si realizzasse un patto di consultazione. Dopodiché, noi abbiamo un metodo e altre associazioni ne hanno altri, altrettanto legittimi. Abbiamo trovato le porte chiuse e il diniego. Le riferisco anche la data: all'inizio della scorsa estate. Abbiamo parlato, ma c’è stato un diniego totale. Certo, se quelli sono convinti che io sia casta, che ci posso fare ? Questa è la prima volta che noi partecipiamo a un PON. Fino al 2012 il bilancio della FAI era un bilancio di circa 7-8 mila euro. L'unica spesa della FAI erano i biglietti aerei per me, quando andavo in giro e, negli ultimi anni, prima no, la bolletta del mio telefonino. Dopodiché, c'era volontariato totale. Io potevo fare quello che facevo perché ero consulente del comune di Napoli. La FAI aveva zero. Solo a partire dal 2012, per la prima volta, arriva quest'opportunità, e noi la cogliamo. Il criterio è che si sprecano, che tornano indietro 25 milioni di euro. I due terzi tornano indietro, quando si potevano utilizzare.

  FRANCESCO D'UVA. Ringrazio il presidente Tano Grasso per essere qui. Ci accomunano le origini orlandine. Lui è più grande di me e conosce Capo d'Orlando decisamente meglio, ma c’è sicuramente questo legame delle origini. Io voglio superare tutto quello che abbiamo detto in merito al concetto di casta, più che altro i commenti dei colleghi che, purtroppo, sembrano estranei al clima che stiamo cercando di costruire in questa Commissione, lasciando fuori i rancori di forze politiche. Per l'antimafia dobbiamo cercare di lavorare tutti insieme. Vorrei chiedere una cosa a una persona molto esperta di questo fenomeno delle estorsioni. Non ho capito un passaggio, quello relativo al fatto che alcuni continuano a pagare il pizzo per una questione ambientale. Si parlava – è la cosa più ovvia – Pag. 16delle imprese di costruzioni. Questo sembrerebbe far capire che tutti i negozi, in generale, e tutte le botteghe commerciali, in realtà, non abbiano paura, ma abbiano più una convenienza ambientale. In realtà, io credo che ci siano ancora – non ne ho contezza, ma lo immagino – botteghe, negozi e attività commerciali che continuano a pagare il pizzo. Perché ? Lei ha fatto un ragionamento validissimo, che mi trova pienamente d'accordo. Come spieghiamo il fatto che, in realtà, ci sono ancora determinate attività commerciali che continuano a pagare il pizzo ?

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Purtroppo, mi permetto di correggerla, e la ringrazio di questa domanda: non ci sono alcune attività commerciali che pagano il pizzo, ce ne sono alcune che non lo pagano. Noi non ci rendiamo conto di questo, quando parliamo di pizzo, anche oggi, nel 2014. Per esempio, penso a Caserta. Non c’è dubbio sull'attività di contrasto inimmaginabile che lì è stata fatta da parte dell'autorità giudiziaria. È straordinaria. Sono cose mai viste, che neanche potevamo sognarci. Dieci anni fa, se noi dicevamo quello che si faceva ai tempi di Spartacus, ci dicevano «Siete pazzi». Eppure in una zona come quella, con risultati straordinari, il numero di persone che denunciano si conta non dico sulle dita di una mano, ma sono pochissime e spesso quelle che denunciano non sono buone. La stragrande maggioranza degli operatori economici oggi paga il pizzo. Non è uniforme la realtà geografica. In alcune aree del messinese si paga di meno. La pressione è meno forte rispetto alla provincia di Reggio Calabria, a quella di Trapani o a quella di Agrigento. La stragrande maggioranza degli operatori economici, però, paga il pizzo. Il mio ragionamento qual è ? Cosa bisogna fare con queste persone ? Ci sono due strategie. Per costruire la strategia, debbo capire il movente, e il movente di una parte di queste è la paura. Nella relazione l'ho tagliato, ma per il piccolo bottegaio, il salumiere, quello che ha il negozio commerciale, l'azienda familiare, la piccola e piccolissima azienda, l'elemento della paura è più sostanzioso. Poi, invece, c’è una serie di attività economiche – io le ho citate – medio e medio-piccole in cui la paura è marginale, secondo me. Più che la paura, pesa nel movente il fatto che l'interessato capisce che, se denuncia, si trova fuori mercato. Quando io faccio l'esempio del muratore, ammetto che un muratore è una persona perbene. L'impiegato di banca, il commerciante, il direttore didattico sono tre persone perbene, eppure tutti sanno che, se il muratore denuncia, nessuno di loro lo chiama più per farsi ristrutturare il bagno. Questo è il punto. La convenienza è ambientale. In alcune aree, ampie purtroppo, del nostro Mezzogiorno, dove le regole dell'economia sono determinate dalla mafia, si deve stare dentro questo meccanismo, ma senza essere complice. Non c’è bisogno di essere colluso. Quella è un'altra ipotesi. La definizione che do io è che il pizzo non è il costo della protezione. Era il costo della protezione a metà dell'Ottocento. A metà dell'Ottocento la protezione era un servizio reale che la mafia offriva. Oggi non è più il costo della protezione. Oggi il pizzo è il costo della legittimazione. Tu non devi essere protetto, come nell'Ottocento, ma devi essere autorizzato a fare il mestiere di imprenditore. Questa è la sfida più difficile. Quanto all'altra strategia, su quello che ha paura come si opera ? Per questo motivo io ho fatto quella proposta. Ad oggi non ne ho pensate di migliori. Parlo della proposta della sanzione amministrativa. Tu hai il lido balneare e paghi il pizzo. Io ti revoco la concessione. In questo modo che faccio ? Ti faccio un danno, ma favorisco chi, invece, gestisce il lido senza pagare il pizzo. Questa è un'idea. Di migliori non ne ho trovate. Discutiamo se ce ne sono di migliori, ma questa può essere una risposta, mentre per i casi in cui c’è la paura, la strategia è una sola: convincere gli interessati a uno a uno. C’è un'efficacissima definizione che dà Maurizio De Lucia – non so se l'avete ascoltato – magistrato della DNA: «Dopo il sessantasettesimo Pag. 17commerciante che denuncia bisogna convincere il sessantottesimo e il sessantanovesimo». Bisogna convincerli uno o a uno. Per fortuna, da quando siamo impegnati su questo fronte, da Capo d'Orlando nel 1990, il numero è sempre cresciuto.

  MASSIMILIANO MANFREDI. Anch'io ringrazio il presidente Grasso. Non so se si ricorda, ma abbiamo lavorato insieme ai tempi della prima giunta Iervolino. Lui lavorava con l'assessore De Masi. Io ho due curiosità. Una più specifica sui finanziamenti la pongo dopo. La prima è una valutazione su un impatto. Si sta diffondendo, vista anche la carenza di liquidità che c’è negli esercizi commerciali in alcune zone del Mezzogiorno, per esempio nella zona di Secondigliano, Scampia e Ponticelli, una sostituzione al pizzo economico inteso nella maniera classica con l'imposizione di fornitori da parte del racket locale. Volevo chiederle una valutazione in merito a questo elemento, considerando che, in realtà, si va a scoprire che dietro questi fornitori c’è poi la camorra direttamente imprenditrice. C’è un'evoluzione del fenomeno. In secondo luogo, per quanto riguarda la vicenda del PON e dei finanziamenti, io ho una curiosità mia, perché questo è un fenomeno macro. La FAI si è occupata della realizzazione di due sportelli, a Napoli e Palermo, di antiusura e di assistenza delle vittime e ha avuto un finanziamento di circa 1,8 milioni di euro sotto questo aspetto. Per curiosità, vorrei sapere il tipo di attività che si faceva, ma non è questo il motivo principale della domanda. Mi ha colpito che parallelamente siano stati finanziati a Confindustria Sicilia altri due sportelli, a Caserta e a Caltanissetta, due città molto più piccole, per un importo superiore ai 3 milioni di euro. Poi Confindustria si è resa conto di non essere in grado di svolgere queste attività e ha chiesto alla FAI, con un protocollo, di svolgerne alcune. Effettivamente, essendo questo un fenomeno curioso e macro – so che voi siete solo uno dei soggetti – le volevo chiedere un parere su questa vicenda che mi era balzata agli occhi. So che la densità della popolazione non è un fattore, ma effettivamente è stato un fenomeno strano.

  PRESIDENTE. Anche perché su questo punto non abbiamo avuto risposte troppo esaurienti da Confindustria e, quindi, se ce le offre Tano Grasso, ne siamo contenti.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Sulla tendenza, la pressione estorsiva oggi è diminuita – questo è un dato generalizzato sia siciliano, sia campano – tranne che nell'edilizia. Nell'edilizia è immutata, e si capisce perché, ossia perché il mafioso il commerciante lo vede in crisi. L'imprenditore edile, invece, lo vede lavorare con i soldi pubblici e scatta un altro meccanismo. Capisce che quello magari paga la tangente al politico e, quindi, non capisce perché non la debba pagare a lui, ossia al mafioso. Ciò che è accaduto è che, e questo è un dato molto allarmante, non ci sono tanto le forniture, su cui già funzionava il meccanismo, ma c’è una nuova dinamica dell'usura. L'usura è un fenomeno che tipicamente non è mafioso. Cosa nostra ci teneva a rivendicare con forza il fatto che nessun uomo d'onore praticasse l'usura. Diverso è il ragionamento in Calabria e ancora più diverso è a Napoli. Una nuova frontiera che riguarda le attività commerciali è l'usura non come si conosceva un tempo, cioè quella dell'usuraio di paese, ma l'usura mafiosa, che è molto più insidiosa. Lei ha citato una zona. In quella zona che lei ha citato noi ci siamo trovati, in una recente indagine, che ha avuto l'esito a gennaio di quest'anno, addirittura con un fenomeno cui io, quando me l'hanno raccontato, non credevo. Riguarda il clan dei Contini, i quali imponevano ad alcuni commercianti di prendersi il denaro. Quando uno me lo raccontò per la prima volta, io dissi: «Mi vuoi prendere in giro ? Il mafioso viene da te e ti impone di prenderti 100 mila euro o 200 mila euro ?». Gli dava i soldi. È chiara la dinamica. Poco dopo si scopre subito. Era un modo per entrare in società Pag. 18di fatto e per acquisire la proprietà dell'azienda. Mentre con il pizzo comunque il mafioso fa il mafioso e il commerciante fa il commerciante, a libertà limitata, ma comunque continua a farlo, in questo caso il commerciante diventerà il commesso del mafioso. A volte se la passerà anche meglio, dal punto di vista del commerciante, perché per un commerciante, con i tempi che corrono, è meglio fare il commesso a stipendio. Lo dico da commerciante io stesso, da figlio e nipote di commercianti. Ricordo l'incubo che avevano i miei, la notte, per le cambiali e la banca. È meglio non avere pensieri. È molto insidioso questo fenomeno. Il protocollo che noi abbiamo fatto con Confindustria, che rivendichiamo come un modello, è una cosa, secondo me, di grande valore politico. Vengo al punto e mi spiego. Perché è di grande valore politico ? Perché giustamente, sia Lo Bello, sia Montante si sono detti: «Noi siamo un soggetto politico. Confindustria è un'organizzazione di rappresentanza. Noi promuoviamo e sensibilizziamo, ma la gestione concreta del nostro associato, che ha una richiesta di estorsione e deve denunciare, non siamo in grado di farla. Diciamo esplicitamente che noi non abbiamo il know-how per farla». L'accordo in via sperimentale, solo per la Sicilia, è che, quando c’è un imprenditore aderente a Confindustria che ha un problema di estorsione, gestiamo noi questa storia di estorsione. La gestiamo con la Polizia.

  PRESIDENTE. E su Caserta ?

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Non è legata al PON. Questo protocollo non è legato al PON. Al PON si fa riferimento, se lei va a vedere sul sito, ma sono cose completamente diverse. Se lei vede il protocollo, si fa riferimento al PON, ma al progetto a cui partecipa la FAI. Al progetto della Confindustria non c’è alcun riferimento. Del resto, uno degli obiettivi che ci pone l'Unione europea con il PON è promuovere rapporti di questo tipo.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Cambio completamente argomento. Vista la sua presenza e anche le battute che abbiamo fatto sulla casta, vorrei fare una domanda un po’ impertinente. Lei è stato in un festival, di cui c’è stata adesso un'ultima edizione, Trame, a Lamezia. Come mai in questo festival non ci sono mai i politici ? O meglio, ci sono quando sono ministri o ex sindaci, come la Lanzetta, ma i parlamentari, anche quelli in prima linea nelle Commissioni antimafia, non hanno albergo in questi posti. Esiste un'antimafia che isola anche coloro che l'antimafia la fanno in maniera diversa da coloro che presentano questo tipo di caratteristiche ?

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). La ringrazio. La domanda non è impertinente, anzi, mi consente di chiarire e di fornire un'informazione. Io ho inventato Trame e ho fatto solo la prima edizione. Dopodiché, non ci ho messo più il dito. Non ci sono più neanche passato. Non ho elementi per rispondere. Posso, però, dirle – rispondo per me, per la prima edizione – che allora io feci un ragionamento calcolato. Eravamo nel 2011 e, fra le altre cose, svolgevo l'attività – ahimè – di assessore alla cultura del comune di Lamezia. Quando si fece Trame per la prima volta, io feci una scelta calcolata di far partecipare solo autori di libri, perché Trame era una festa sui libri. Qualche politico c'era, anzi, cito uno che c'era: Francesco Forgione, che aveva scritto un bellissimo libro. In quel momento aveva scritto un bellissimo libro. Quando ho gestito Trame, quindi, non c'era alcun politico invitato tranne che non fosse autore di libri. L'unico in quell'edizione a essere autore di libri era Forgione. Se si fa un festival sui libri, non si può fare, con tutto il rispetto, la passerella per politici o ex politici.

  PRESIDENTE. Va bene. Comunque continua questo stile, mi pare di capire.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket Pag. 19e antiusura italiane (FAI). Addirittura nella prima edizione io ho litigato perché mi ero assentato per alcuni minuti e avevano fatto concludere il sindaco. A mio parere, neanche il sindaco avrebbe dovuto parlare. Io andai a cena in quel momento, perché accompagnai alcuni ospiti. Tornai, mi trovai il discorso del sindaco e litigai con i miei collaboratori.

  PRESIDENTE. Posso chiederle perché non è più assessore a Lamezia ?

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). No...

  PRESIDENTE. Questo non si può chiedere...

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Ci vorrebbe un'audizione intera. Io adoro la Calabria. La cosa più bella che faccio dagli ultimi quindici anni la faccio in Calabria: insegno a Catanzaro, all'università, alla facoltà di giurisprudenza. Sono molto legato alla Calabria. È la cosa più bella che faccio.

  ANDREA VECCHIO. Intervengo velocemente. Intanto non mi hai invitato a Lamezia. Io ho scritto un libro sulla mafia e non mi hai invitato.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Era sul cibo.

  ANDREA VECCHIO. Il mio libro era sul cibo e sulla mafia. Per quanto riguarda l'edilizia, più volte tu hai messo l'accento sul fatto che l'edilizia è il settore più vulnerabile. Questo è vero, perché nell'edilizia la maggior parte delle persone sono le meno attrezzate culturalmente e, quindi, sono più deboli a resistere. Tuttavia, se nell'edilizia c’è qualcuno che resiste e che utilizza questo fatto come un motivo pubblicitario, l'estorsione, il tentativo di estorsione, la visita dei mafiosi si allontanano. Questo facciamo noi. La prima cosa che facciamo, quando andiamo in un paese diverso, in un paese nuovo, facciamo due cose: andiamo a trovare i Carabinieri o la Polizia del luogo e mettiamo grandi cartelli con il nome della nostra impresa. Non si avvicinano. Solo questo volevo dire.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). È un altro assist per me. Questa cosa l'abbiamo inventata noi, insieme ai Carabinieri e all'associazione dei costruttori di Napoli, l'ACEN. Abbiamo fatto un protocollo con loro, che si trova anche sul sito, in cui l'impresa edile, prima di iniziare i lavori nel cantiere, mette un grande manifesto con scritto «Patto antiracket» e il logo dell'associazione costruttori, della FAI e dei Carabinieri. I Carabinieri avviano, prima dell'inizio dei lavori, un'attività di vigilanza preventiva e di regola nessuno si presenta, perché ha un effetto deterrente il dichiararsi.

  PRESIDENTE. Credo che abbiamo avuto risposte a molti interrogativi che avevano mosso questa nostra piccola inchiesta, provocata da dichiarazioni che potevano in qualche modo gettare un'ombra sull'operato di associazioni che noi riteniamo, invece, più di altre realtà del nostro Paese, non possano permettere di essere attraversate dalle ombre stesse. L'idea era quella di risentire il prefetto Belgiorno. Naturalmente, adesso il commissario antiracket è cambiato e, quindi, dovremmo accelerare anche un'audizione con il nuovo commissario. Ci sono ancora tre aspetti che vorrei chiarire e che hanno in parte trovato una risposta nella relazione che ci è stata illustrata. Vorrei, però, capire se ho compreso bene. Nel momento in cui la FAI diventa partner del Ministero dell'interno, evidentemente collabora ai progetti che poi vengono finanziati, ma diventa anche, insieme al Ministero, decisore dei progetti degli altri, o no ? Queste due cose sono nettamente separate ?

Pag. 20

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Assolutamente. Noi non entriamo minimamente nel merito. È un rapporto tra Ministero e altri.

  PRESIDENTE. Benissimo. La specialità della vostra collaborazione consiste nel fatto che c’è comunque un affidamento, che c’è un rapporto privilegiato, che siete un partner privilegiato del Ministero, da questo punto di vista.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). No. Eravamo l'unico partner. I privilegi succedono da altre parti. Noi non siamo stati partner privilegiati, perché era solo la FAI, nel momento in cui si è approvato il progetto, ad avere rilevanza nazionale. Non c'erano altre associazioni.

  PRESIDENTE. Poiché noi riteniamo che sia comunque sempre un delitto non usare i fondi pubblici, tanto più in questa materia, la domanda ad altri possibili partner l'abbiamo rivolta. Abbiamo chiesto: «Perché non partecipate ?». Uno può anche decidere di non farlo, ma quello che a noi preoccupa sono due aspetti. Il primo è che ci sono alcune zone scoperte. La domanda è: siete in grado di coprire anche alcune zone che sono a rischio, che sono tra quelle che noi sappiamo bene essere oggetto di particolare attenzione dei poteri mafiosi, dell'estorsione e del racket, oppure, e questa è una domanda che fa eco a quello che ha fatto l'onorevole Bossa, si potrebbe prevedere fra i vostri programmi la capacità di formare e di far crescere altre realtà ? Questo sempre in quella visione plurale alla quale lei faceva riferimento, che non necessariamente tocca i due estremi come Ingroia e Fiandaca. C’è anche una via di mezzo di sfumature diverse, dentro le quali si può costruire un terreno comune. L'idea che ci siano fondi non utilizzati per mancanza di concorrenti e di domande che pervengono e, quindi, di possibilità di svolgere il lavoro ci preoccupa. Collegata a questa c’è un'altra domanda. Sia voi, sia Addiopizzo avete lamentato il poco rigore da parte delle prefetture nell'iscrizione delle associazioni antiracket. È pensabile una sorta di codice dentro il quale sia possibile tributare una sorta di riconoscimento, alla luce di criteri che siano applicabili e utilizzabili su tutto il territorio nazionale, che non lasci una discrezionalità in larga parte dovuta a mancanza di strumenti per la valutazione di queste associazioni ?
  Anche questo è un aspetto che ci inquieta. Ci preoccupa il fatto che ci siano aree scoperte, che ci siano fondi non utilizzati e che ci sia un uso improprio dell'antiracket e dell'antimafia. Questo è un altro punto sul quale questa Commissione sarebbe interessata a conoscere la vostra possibilità anche di azione. Un altro aspetto collegato a questo è il seguente: ci sono state associazioni non aderenti alla FAI che siano entrate dentro i progetti di cui voi siete guida ? Associazioni più piccole, che non hanno la possibilità di partecipare a livello nazionale e che non necessariamente aderiscono alla FAI, possono entrare a far parte di un progetto vostro ? Non c’è altra strada.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Non è nostro il progetto.

  PRESIDENTE. Ho capito che il progetto è del PON Sicurezza, ma di fatto questo progetto voi lo gestite, oppure no ?

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Facendo quello che è previsto nel progetto, passo per passo.

  PRESIDENTE. Benissimo. Questo non lo mette in dubbio nessuno. La nostra Pag. 21domanda penso sia piuttosto diffusa, perché ciascuno di noi conosce realtà piccole che potrebbero dare una mano in alcuni territori, ma che non hanno la forza di poter diventare associazione nazionale e che magari potrebbero non aderire al FAI perché vogliono mantenere la loro autonomia. Qual è il modo per coinvolgere queste realtà ? Come ce ne sono alcune che sono impropriamente registrate «antiracket», così ce ne sono altre che fanno un lavoro egregio e che non hanno la possibilità di partecipare, non perché qualcuno le escluda, ma perché non hanno la forza. Come si fa a irrobustire queste gambe ? Questo è il punto. Mi domando come attuare un progetto di formazione e di promozione, nel rispetto dell'identità, del pluralismo, delle diversità che sono presenti in questo mondo – capisco che il pluralismo qualche volta rende incontrollabile la situazione, ma qualche volta, come lei ha detto, è una ricchezza – per poter utilizzare gli altri fondi. Ci è molto chiaro che c’è chi si è autoescluso. Questo ci è molto chiaro, dopo questo ciclo di audizioni. È piuttosto singolare che poi domandi perché altri partecipano, quando nessuno ha escluso nessun altro. Lo chiedo per aumentare le potenzialità. Tutto qui.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Cerco di spiegarmi adeguatamente. Noi abbiamo una modalità operativa tutta particolare. Faccio un esempio. Per far nascere un'associazione antiracket noi non la riconosciamo se impiega meno di un anno. Perché ? Perché il lavoro di formazione sperimentato ha la durata di un anno almeno. Parliamo di mettere insieme quindici persone, non 1.500. In Italia è nato un partito che ha governato l'Italia nell'arco di pochi mesi, nel 1994. Per fare un'associazione antiracket ci vuole più di un anno, perché, seguendo quelle procedure, si ha la probabilità di essere un po’ più rigorosi rispetto agli obiettivi e perché le persone devono essere preparate. Bisogna stare attenti. È una questione particolarmente delicata. Dopodiché, noi siamo iperspecializzati. Noi siamo associazione antimafia in quanto associazione antiracket, ma non siamo associazione antimafia. Nelle scuole andiamo perché a volte non se ne può fare a meno, perché a volte è necessario, ma i nostri interlocutori sono gli operatori economici. Abbiamo un segmento iperspecializzato, da questo punto di vista. Nel Sud, se c’è un'associazione che non fa riferimento alla FAI e che ha un'attività completamente aperta e disponibile, io non la conosco. Il problema drammatico, invece, è un altro, che io mi permetto di illustrare. Per noi il problema drammatico è il Nord. Noi non abbiamo tempo ed energie, ma nel Nord non c’è una sola iniziativa che abbia la credibilità per parlare con gli imprenditori del Nord, a parte Confindustria, che ormai è un punto di riferimento per tutto il territorio nazionale. Noi potremmo essere d'aiuto, per esempio, in queste aree del Nord e potremmo svolgere un'attività di formazione che aiuti da questo punto di vista. È ovvio che noi siamo a completa disposizione e che ce la mettiamo tutta per far nascere e per rafforzare le associazioni che esistono. Io ho una perplessità sui codici. Qual è la perplessità che ho ? Noi abbiamo messo per iscritto come si fa l'associazione e tutte queste cose. Ve le lasciamo. Sono tutti documenti. Chi assegna il bollino ? Dopo Confindustria, il codice etico quasi tutti l'hanno approvato. Il problema non è approvarlo, ma è fare come Confindustria in Sicilia, ossia dare seguito e credibilità.

  PRESIDENTE. Non è un bollino statico.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI). Io mi proporrei l'obiettivo di fare un ragionamento più mirato con le prefetture. Di fatto le associazioni antiracket non sono come le Pag. 22altre associazioni. Sono associazioni para- istituzionali. Io ho detto una cosa che nessuno ha ripreso: noi siamo titolari del segreto istruttorio, siamo partecipi del segreto istruttorio. È doveroso che il prefetto metta il massimo di attenzione per capire se un'associazione sia un'associazione valida o non valida. Su questo bisogna incalzare. Bisogna rendere più rigoroso quel decreto e chiedere: «Tu, associazione, cosa hai fatto ? Hai presentato libri ? Non sei associazione antiracket, sei associazione antimafia. Per essere associazione antiracket devi tutelare gli operatori economici e produrre denunce».

  PRESIDENTE. Va bene. Ringrazio il nostro ospite e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.10.