XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 42 di Mercoledì 18 giugno 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 

Audizione del presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo, Daniele Marannano:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 
Marannano Daniele , presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo ... 2 
Caradonna Salvatore , avvocato dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Marannano Daniele , presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Bossa Luisa (PD)  ... 8 
Mattiello Davide (PD)  ... 9 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 9 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 9 
Marannano Daniele , presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo ... 9 
Caradonna Salvatore , avvocato dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Caradonna Salvatore , avvocato dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Marannano Daniele , presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Lumia Giuseppe  ... 13 
Marannano Daniele , presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo ... 14 
Mattiello Davide (PD)  ... 14 
Caradonna Salvatore , avvocato dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo ... 14 
Gaetti Luigi , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.35.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo, Daniele Marannano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo, Daniele Marannano. L'audizione ha ad oggetto il tema della lotta all'usura e al racket e le proposte per rendere il sistema di prevenzione antiracket più efficiente e trasparente, con particolare riguardo alla destinazione, utilizzo e controllo dei fondi pubblici. Ricordo come di consueto che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che ove necessario i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta. Cedo ora la parola al presidente Marannano, che ringrazio per la sua presenza.

  DANIELE MARANNANO, presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo. Grazie, presidente. Buon pomeriggio a tutti. L'audizione di quest'oggi si inserisce per la nostra associazione in un momento storico, infatti, tra pochi giorni, il 28 giugno prossimo, ricorrono dieci anni dalla nascita di Addiopizzo. Momenti come questi sono sicuramente un'occasione in cui sentiamo il bisogno di trarre un bilancio chiaro, senza infingimenti, come del resto è sempre stato nel nostro modo di esprimerci ma soprattutto di operare. Prima però di entrare nel merito di ciò che è stato fatto in questi anni e del percorso nel quale oggi si colloca l'attività dell'associazione – la cui azione rimane territorialmente localizzata su Palermo e provincia, anche se i riverberi e l'eco di questa attività spesso si sono sviluppati oltre il territorio siciliano – consideriamo necessario partire dal contesto storico in cui si origina l'esperienza del nostro movimento. Addiopizzo nasce da una mobilitazione dal basso di semplici e comuni cittadini, che hanno fatto della lotta al racket dell'estorsione e al sistema di potere mafioso la propria ragion d'essere. Tutto ha avuto origine il 29 giugno del 2004, quando con centinaia di adesivi listati a lutto che tappezzavano la città di Palermo il centro storico si risveglia con un messaggio: «un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità». Con quel messaggio non è stato fatto altro che affermare tra le strade della città una verità che tutti sapevano e che fino a quel momento rappresentava un tabù, che non era stato minimamente messo in discussione. Ricordo che l'allora procura distrettuale antimafia di Palermo sosteneva che l'80 per cento degli operatori economici pagasse il pizzo, ma nessuno riconosceva quanto fosse diffuso il fenomeno delle estorsioni, non si parlava di tutto ciò, le Pag. 3denunce si contavano sulle dita di una mano, ma soprattutto nessuno fino a quel momento, a parte gli addetti ai lavori, aveva fatto granché rispetto a questo stato di cose. Questo era il contesto nel quale nel 2004 si genera l'esperienza di Addiopizzo, un contesto dove vi era un vero e proprio vuoto pneumatico, un vuoto storico, sociale, culturale, un vuoto politico nel quale fino a quel momento non tutti, anzi pochi avevano fatto fino in fondo la loro parte. Se è vero come è vero che il fenomeno delle estorsioni era così capillarmente diffuso e per certi versi lo è ancora oggi, è altrettanto evidente che anche i cittadini, nella misura in cui si recano in un esercizio commerciale o in un'impresa per effettuare i loro banali e quotidiani acquisti e quella stessa impresa o esercizio commerciale nella migliore delle ipotesi è acquiescente perché paga il pizzo e nella peggiore è in mano alla criminalità organizzata attraverso dei prestanome, pur senza volerlo e senza saperlo contribuiscono con i loro acquisti a finanziare le casse dell'organizzazione mafiosa. Per la prima volta nella storia ventennale del movimento antiracket viene concepita a Palermo da Addiopizzo un'idea che poi diventerà il «progetto del consumo critico», un'idea che allarga la dimensione sociale dell'attività di prevenzione e contrasto ma più in generale di sensibilizzazione al fenomeno dell'estorsione e al sistema di potere mafioso estendendola dagli operatori economici alla responsabilità dei cittadini. Con il consumo critico cerchiamo di contendere pezzi di territorio e di economia alla criminalità organizzata, sensibilizzando i cittadini anche attraverso il lavoro che da anni svolgiamo in centinaia di scuole di Palermo e provincia, sensibilizzando a praticare i loro acquisti proprio presso quegli esercizi commerciali e quelle imprese che in questi anni hanno maturato la forza e il coraggio di affrancarsi dal fenomeno delle estorsioni. Il senso del consumo critico è anche quello di creare una vera e propria cintura di protezione sociale attorno agli operatori economici che maturano il coraggio di denunciare, quella stessa cintura di protezione che mancava negli anni ’90 e che ha determinato l'assassinio di Libero Grassi, ucciso perché ha resistito al fenomeno delle estorsioni, ma ucciso soprattutto perché in quella sua scelta di ribellione è stato lasciato solo e isolato dalla città, dai suoi colleghi e dalle istituzioni. Il senso del nostro impegno, il senso del consumo critico è proprio quello di creare una rete di protezione attorno a chi compie la scelta di denunciare. Oggi Addiopizzo raccoglie quasi 900 operatori economici che si oppongono al fenomeno delle estorsioni, sono nomi e cognomi di dominio pubblico in elenchi trasparenti, alla portata di tutti. Sul sistema del consumo critico riteniamo opportuno rilevare due aspetti, che abbiamo avuto modo di raccogliere in questi anni di attività sul territorio soprattutto nell'attività svolta nelle aule dei tribunali. Diversi collaboratori di giustizia che hanno fatto parte di importanti famiglie mafiose palermitane come quelle di Villagrazia Santa Maria di Gesù, di Resuttana, di Palermo di Porta Nuova, riferendosi proprio all'idea del consumo critico hanno avuto modo di rappresentare ai magistrati che li hanno interrogati che, laddove l'operatore economico si manifesta pubblicamente attraverso l'adesione a una rete come quella di Addiopizzo, l'organizzazione criminale cosa nostra non manda i suoi sodali a esprimere richieste estorsive. Queste sono dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia che produrremo agli atti di questa audizione. Ne cito alcuni: Pasta della famiglia mafiosa di Resuttana, Di Maio della famiglia Villagrazia Santa Maria di Gesù, Vitale della famiglia mafiosa di Porta Nuova. Sono dichiarazioni che ci confermano l'efficacia del sistema, ci confermano quanto sia utile aderire preventivamente a una rete come quella di Addiopizzo perché l'organizzazione mafiosa possa comprendere che da parte degli operatori economici interessati non c’è alcuna disponibilità a cedere a qualsiasi forma di imposizione o di richiesta estorsiva. L'adesione alla rete di Addiopizzo diventa quindi una sorta di deterrente, di denuncia preventiva, di salvacondotto per Pag. 4tenere lontane le pretese della criminalità organizzata. Rispetto al dato degli attuali aderenti alla rete di Addiopizzo, dobbiamo riconoscere che in termini assoluti 900 operatori economici sono assolutamente poca cosa rispetto alle migliaia di attività economiche che operano su Palermo e provincia, sono poca cosa rispetto alle dimensioni del fenomeno, però è un dato che va letto tenendo presente il percorso e il contesto storico da cui si genera questa esperienza. È un percorso nel quale nel 2004 vivevamo in una situazione di vuoto pneumatico, di vuoto sociale e storico molto forte, nel quale nemmeno le associazioni di categoria dei commercianti che rivendicavano persino la tradizione di Libero Grassi avevano avuto il ruolo che avrebbero dovuto avere. In termini assoluti, quindi, sono poca cosa i 900 operatori economici, perché sono migliaia le attività economiche che operano a Palermo e in provincia, sono poca cosa perché il fenomeno rimane diffuso, però è anche vero che da questa rete dal 2004 ad oggi si sono generate le prime storie di denuncia, i primi casi di imprenditori e commercianti che, non sentendosi più soli e isolati come poteva accadere in passato, hanno trovato la forza e il coraggio di denunciare. In questa sede, a margine del mio intervento, se il presidente consente, l'avvocato Caradonna entrerà nel merito di alcuni dati che riguardano le denunce e le collaborazioni di imprenditori e commercianti presso il nucleo investigativo dei Carabinieri di Palermo, la sezione criminalità organizzata della squadra mobile di Palermo, dati che riguardano i processi in cui l'associazione si è costituita parte civile insieme alle persone offese, assistite in questi anni. Rispetto a questi dati di cui parlerà l'avvocato, vorrei esprimere solo una considerazione. In questi anni di attività sul territorio abbiamo maturato una convinzione, secondo cui uno dei principali parametri attraverso cui si misura la serietà e l'efficacia dell'azione di un'associazione antiracket è rappresentato dalle denunce. L'attività di sensibilizzazione e di proselitismo sul territorio è importante, è fondamentale perché contribuisce a creare quel terreno fertile da cui poi si possono generare le denunce, però quando si parla di associazioni antiracket l'attività di sensibilizzazione sul territorio non può essere assolutamente sufficiente se non è accompagnata dalle collaborazioni e dalle denunce che si riesce a produrre sul territorio. Come abbiamo più volte ribadito in diverse circostanze e occasioni, riteniamo che debbano essere rivisti i requisiti fissati nel decreto ministeriale n. 220 del 2007, che stabilisce l'iscrizione delle associazioni antiracket agli albi prefettizi. So che il prefetto Belgiorno qualche settimana fa ha predisposto una circolare che è stata inviata a tutti i prefetti dei capoluoghi delle regioni, chiedendo di svolgere delle verifiche in ordine ai requisiti fissati nello stesso decreto ministeriale e puntualizzando di tenere più in attenzione l'attività di accompagnamento alla denuncia delle vittime. Riteniamo che la circolare sia un buon punto di partenza, ma che siano necessari interventi correttivi al decreto ministeriale, tenendo presente che la serietà e l'efficacia dell'azione di un'associazione antiracket si misura soprattutto attraverso le collaborazioni e le denunce che riesce a produrre sul territorio. Come abbiamo ribadito anche in altre occasioni, gli albi prefettizi pullulano di associazioni antiracket di cui sul territorio non si registra alcunché, e ci assumiamo, come del resto abbiamo fatto in altre occasioni, la responsabilità di queste dichiarazioni. Ciò porta a una vera e propria carovana di costituzioni di parte civile nei processi di mafia e di estorsione da parte delle medesime associazioni, che sul territorio non svolgono alcuna attività e che si costituiscono nei processi in ragione di una legittimazione statutaria e non sostanziale, cioè non definita dalle attività svolte sul territorio in cui operano, probabilmente perché la costituzione di parte civile consente agli avvocati di avere rifuse le spese legali attraverso il fondo previsto dalla legge n. 512 del 1999. Noi riteniamo che questo tema vada urgentemente posto all'attenzione del Parlamento, perché in base all'esperienza maturata in questi anni sul territorio un'associazione antiracket Pag. 5deve avere tra i suoi scopi principali quello di produrre denunce e collaborazioni. Sebbene le forze dell'ordine e i magistrati – parlo dell'attività su Palermo e provincia – abbiano fatto un lavoro enorme che ha di fatto disarticolato l'organizzazione mafiosa, il fenomeno delle estorsioni oggi a Palermo rimane ancora diffuso, ancorché rispetto al passato si siano indubbiamente create le condizioni per le quali commercianti e imprenditori possono decidere di denunciare senza essere lasciati soli e isolati, ma in condizioni di sicurezza e con limitati rischi per la propria incolumità e l'attività economica che esercitano. Si sono aperte delle crepe nel muro dell'omertà, ma questo muro non è stato abbattuto. Manca ancora la mobilitazione di massa in grado di portare al fenomeno delle denunce collettive. Cito un caso su tutti, che è recente e ci vede direttamente coinvolti, l'operazione antimafia Reset svolta dai Carabinieri e dalla direzione distrettuale antimafia di Palermo, che ha interessato qualche settimana fa il mandamento mafioso di Bagheria. In questo caso così come in pochi altri si è riusciti a creare il fenomeno delle denunce collettive, per cui diversi operatori economici di uno stesso territorio hanno collaborato e denunciato, e ciò è avvenuto in condizioni di sicurezza proprio perché la denuncia è stata collettiva ed è maturata nel medesimo territorio in cui gli operatori economici esercitano la loro attività. Purtroppo i casi come questi si contano sulle dita di una mano quest'anno, ma speriamo che a breve ci possa essere un importante seguito dell'attività repressiva condotta dalle forze dell'ordine e dai magistrati, è un dato rispetto al quale dobbiamo confrontarci, che ci deve portare a una seria riflessione. Così come è giusto riconoscere senza scadere in toni trionfalistici che dal 2004 ad oggi le denunce sono indubbiamente cresciute, è altrettanto onesto riconoscere che non sono cresciute in termini esponenziali, quindi c’è qualcosa che non ha funzionato. Ci dovremmo chiedere quindi perché quel muro non sia stato abbattuto. In base all'esperienza sul territorio, riteniamo che in questo scenario ci siano ancora oggi a Palermo e provincia importanti sacche di imprenditori e commercianti che continuano a piegarsi alle logiche di cosa nostra, perché con l'organizzazione criminale hanno instaurato un rapporto di contiguità che non è necessariamente di natura illecita, ma è un rapporto di do ut des, di scambio di benefici per cui lo stesso operatore economico che si ritrova estorto e corrisponde periodicamente una cifra al suo taglieggiatore interloquisce con il medesimo al quale chiede di intervenire per risolvere una serie di problemi legati all'esercizio della propria attività economica. Si tratta ad esempio di problemi di recupero crediti, per cui, invece di adire le normali, anche se accidentate, vie della giustizia civile, capita che operatori economici che soggiacciono alle logiche di cosa nostra interpellino lo stesso estorsore che recupera – purtroppo prontamente e tempestivamente – il credito, di problemi di concorrenza, di problemi di vicinato o legati a vertenze sindacali che vengono risolte dagli stessi estorsori a cui la vittima corrisponde il pizzo. Questo è un fenomeno diffuso, che limita la crescita delle denunce e rispetto al quale sarebbe opportuno intervenire con delle misure. Siamo convinti che i cambiamenti si originino sul territorio ancor prima che attraverso degli interventi legislativi, però nel caso di questo fenomeno di acquiescenza, di contiguità riteniamo utile ragionare su misure amministrative, non penali, che rendano sconveniente tale fenomeno di acquiescenza, riprendendo lo spirito delle norme sul cosiddetto «obbligo di denuncia» varate con il pacchetto sicurezza del 2009, «obbligo di denuncia» che interessa però imprenditori che contraggono con la pubblica amministrazione. Riprendere lo spirito di quella norma e riadattarlo anche per altri operatori economici prevedendo misure amministrative sanzionatorie, non penali, può essere sicuramente un modo per contrastare il diffuso fenomeno di contiguità che si instaura tra grosse sacche di operatori economici e l'organizzazione mafiosa. Ci sono poi tutti gli altri operatori economici che ancora oggi soggiacciono alle logiche di Pag. 6cosa nostra perché avvertono isolamento, paura, sfiducia. Rispetto a ciò noi siamo convinti che occorra una vera e propria rivoluzione culturale, che investa tutti gli attori sociali: i cittadini, le organizzazioni rappresentative quindi anche le associazioni antiracket, gli ordini professionali, la stessa classe politica rispetto alla quale, con il rispetto che le si deve e la centralità che le si riconosce nella società in cui viviamo, ricordiamo in base all'esperienza maturata in questi anni come non sia semplice convincere operatori economici a denunciare se dall'alto non provengono modelli di comportamento esemplari. Riteniamo che questo sia un limite soprattutto nei confronti di quegli operatori economici, di quei commercianti e di quegli imprenditori che non hanno ancora maturato la forza e il coraggio di denunciare, perché avvertono molta sfiducia nel contesto in cui vivono e operano. Siamo ancora un'avanguardia – è doveroso riconoscercelo –, dell'intero popolo con cui si aprì la stagione di Addiopizzo del 2004 non c’è traccia, siamo convinti che il cambiamento non si potrà mai realizzare se si continuerà a perpetrare l'irresponsabile esercizio della delega ad altri di ciò che dovrebbe essere a carico di ciascuno, siamo convinti che l'antimafia e l'antiracket debbano rilanciarsi e che per giungere a tale fine l'azione debba essere ancora più incisiva sul territorio. Laddove infatti c’è cura e attenzione sul territorio sicuramente viene meno il terreno fertile in cui possono attecchire la criminalità organizzata e l'illegalità diffusa. Sulla base di questo principio la strategia di Addiopizzo, anche attraverso lo strumento del PON Sicurezza che è gestito in partnership con l'ufficio del commissario nazionale antiracket, si è evoluto negli ultimi due anni. La rete di consumo critico fatta da imprenditori e commercianti che si oppongono al fenomeno delle estorsioni viene messa al centro per la realizzazione di investimenti collettivi a Palermo, per la realizzazione di interventi di riqualificazione urbana e sociale sul territorio. In che modo ? Il cittadino che effettua il suo acquisto presso l'esercente o l'imprenditore che fa parte della rete di Addiopizzo si vede riconosciuto uno sconto etico, che viene destinato a un fondo comune e trasparente, i cui proventi poi saranno impiegati per realizzare un intervento di riqualificazione urbana e sociale sul territorio. La logica è uguale ma contraria a quella adoperata da cosa nostra e dalle organizzazioni criminali, che hanno la cassa comune in cui raccolgono i proventi delle estorsioni per sostenere il cosiddetto «welfare criminale», quindi per il mantenimento delle famiglie dei detenuti e il pagamento delle spese dei legali. Allo stesso modo, con la rete di consumo critico fatta da commercianti e imprenditori pizzo-free, che non pagano il pizzo e che hanno denunciato, si producono economie virtuose che si restituiscono al territorio. In questo solco noi proseguiremo la nostra attività a Palermo e provincia, con i limiti che ciascuna associazione può avere, ma con la tenacia e l'entusiasmo di sempre, affinché si possa realizzare quella rivoluzione culturale che è indispensabile per un reale cambiamento. Tutte le attività di cui ho relazionato e la prospettiva rappresentata si inseriscono dall'ottobre del 2012 nell'ambito di un progetto PON Sicurezza, che stiamo gestendo in partnership con l'ufficio del commissario nazionale antiracket. Gli obiettivi, le azioni, i risultati, le spese sono di dominio pubblico perché presenti sul nostro sito Internet. Lasciamo agli atti della Commissione ulteriore documentazione e siamo disponibili a qualsiasi chiarimento. Concludo con una considerazione finale, che è maturata in questi anni di esperienza sul territorio. Noi riteniamo che per l'attività di cui ci occupiamo dobbiamo essere in grado di soddisfare le aspettative molto impegnative delle persone che ci chiedono un sostegno, aspettative impegnative che richiedono preparazione, competenza, professionalità, tempestività. Per tale ragione riteniamo che strumenti come quelli messi a disposizione attraverso la programmazione europea non possano che qualificare ulteriormente l'azione che svolgiamo sul territorio, con la consapevolezza che tutto debba essere gestito in assoluta trasparenza Pag. 7e nel rispetto delle regole. Riteniamo che strumenti come questi, peraltro messi a disposizione anche nella precedente programmazione per altre associazioni di categoria, non possano svilire lo spirito di volontariato che rimane e sta alla base del nostro movimento e della nostra azione.

  SALVATORE CARADONNA, avvocato dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo. Buonasera presidente e onorevoli commissari, sono Salvatore Caradonna, fondatore e componente attivista e da otto anni legale del comitato Addiopizzo. Vorrei brevemente rappresentarvi alcuni dati di processi in cui il comitato Addiopizzo si è costituito dal 2007 al 2014 unitamente alle vittime di estorsione di cui ha supportato e seguito le denunce in fase di indagine. In 8 anni di attività le vittime denuncianti seguite da Addiopizzo o comunque i soggetti che hanno collaborato con gli organi inquirenti ad oggi sono 102; 44 sono i processi in cui Addiopizzo si è costituito parte civile al fianco degli imprenditori e dei commercianti vittime. Questi dati vanno letti secondo una logica particolare. Non è una fredda rappresentazione di attività, ma Addiopizzo è presente ormai in quasi tutti i procedimenti che vengono istruiti a Palermo, perché, unitamente alla legittimazione formale di cui parlava Daniele Marannano, ovvero determinati interessi e beni previsti dallo statuto, Addiopizzo ha anche una legittimazione sostanziale a costituirsi parte civile, perché, come diceva bene Daniele Marannano, ha prodotto e produce fatti processuali. Unitamente all'attività di sensibilizzazione sociale vi è un livello ulteriore e normale per un'associazione antiracket come Addiopizzo: la produzione di fatti processuali, di denunce. Se tutta l'attività di sensibilizzazione da dieci anni a questa parte non avesse avuto uno sbocco nel processo, sarebbe stata un'attività fine a se stessa. Di qui quindi la legittimazione sostanziale a stare nei processi accanto alle vittime. Di contro, si assiste, invece, negli ultimi anni a una smisurata proliferazione di enti e associazioni che non sono presenti e nulla producono nel territorio, ma che per i motivi più disparati comunque trovano ingresso. Questo andazzo da qualche mese ha subìto un freno da parte dei giudici dell'udienza preliminare piuttosto che dai giudici dei tribunali di Palermo, che con ordinanze e sentenze escludono queste associazioni proprio perché non riescono a dimostrare un danno patito dalla presenza dell'associazione mafiosa e della pulviscolare attività estorsiva nel territorio, perché non producono fatti processuali, non dimostrano di aver subìto un danno poiché non hanno assistito imprenditori e commercianti. I giudici da qualche tempo, quindi, escludono questo tipo di associazioni, mentre di Addiopizzo, invece, parlano addirittura i collaboratori di giustizia, che danno un'interpretazione autentica di cosa nostra della legittimità dell'operato del comitato Addiopizzo nella città di Palermo. I pentiti, e sono tanti, lo dicono chiaramente: noi non andiamo dai commercianti che aderiscono – l'adesione è visibile perché l'adesivo è affisso sulle vetrine – perché sono denunce scontate. Magari nella stessa strada ci saranno altri dieci imprenditori che pagano, quindi sappiamo che da quell'imprenditore scomodo che aderisce ad Addiopizzo non possiamo andare, perché ovviamente è una denuncia sicura. I pentiti di gran parte delle famiglie palermitane offrono, quindi, un'interpretazione autentica dell'operato e dell'efficacia dell'attività del comitato sul territorio di Palermo. La legittimazione sostanziale deriva dalla produzione di fatti processuali, ma anche dall'attività che si svolge in generale sul territorio, nelle scuole. Quasi quotidianamente tutti noi volontari prendiamo parte a incontri nelle scuole, ma, mentre ricordo che negli anni ’80 gli incontri nelle scuole che abbiamo fatto tutti erano freddi e distaccati, noi coinvolgiamo i ragazzi a entrare insieme nelle attività commerciali del quartiere di Brancaccio. Immaginate intere classi che entrano durante questi incontri con Addiopizzo e offrono questionari ai commercianti per monitorare la percezione del racket in quel territorio. L'ultimo tema Pag. 8che vorrei rappresentarvi è quello dei commercianti e degli imprenditori che rispondono del reato di favoreggiamento di cui all'articolo 378 del codice penale, negando di aver subìto estorsione, addirittura anche qualora il collaboratore di giustizia dichiari al magistrato di essere andato personalmente da quel commerciante o quell'imprenditore. Anche di fronte all'estorsore che aveva posto in essere una minaccia concreta e che è passato nelle fila dei collaboratori di giustizia, il commerciante o imprenditori continua a negare. Il comitato Addiopizzo da cinque anni a questa parte ha deciso – prima associazione a farlo, in quanto neanche Confindustria in prima battuta lo aveva deciso – di costituirsi parte civile non soltanto contro gli estorsori, ma anche contro commercianti e imprenditori imputati di favoreggiamento. Sulla base di quale motivazione giuridica ? La condotta del favoreggiatore a nostro avviso causa un danno ad associazioni come Addiopizzo che assistono categorie produttive che si oppongono al pizzo, perché delegittima chi in quello stesso territorio si è esposto pubblicamente denunciando, quindi è una grande conquista anche dal punto di vista giuridico. Il commerciante o imprenditore favoreggiatore nega l'evidenza e non per paura, come sappiamo bene perché di fronte alla paura le associazioni antiracket riescono a produrre denunce, mentre di fronte alla connivenza, all'acquiescenza, alla vicinanza non si produce alcunché. Sappiamo quindi che quella condotta è penalmente rilevante e il comitato si costituisce contro i favoreggiatori perché quella condotta espone chi in questo territorio collabora e denuncia. Per la prima volta a Palermo il giudice Mario Conte, in un giudizio nei confronti di esponenti mafiosi del clan della Noce, ha stabilito che quella condotta crea un danno ad associazioni come Addiopizzo, perché espone, delegittima, mette a rischio e a repentaglio i beni e la vita di chi invece nello stesso territorio ha collaborato con la magistratura e le forze dell'ordine grazie anche all'operato del comitato Addiopizzo. Rispetto a queste condotte qualche tempo fa teorizzammo l'applicazione di sanzioni interdittive o pecuniarie nei confronti degli imprenditori condannati per l'articolo 378 c.p., le stesse misure previste dalla legge n. 575 del 1965, «Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, anche straniere», quindi impossibilità di accedere a finanziamenti, revoche e sospensioni di licenze e autorizzazioni, divieto di pubblicizzare beni dell'impresa del soggetto che ha favorito i propri estorsori, divieto di accedere a mutui. Nell'ottica di un aumento della collaborazione degli imprenditori queste misure di tipo interdittivo e pecuniario dovrebbero essere valutate nelle sedi più opportune anche a tutela di chi si espone e collabora.

  PRESIDENTE. Grazie. Avete consegnato del materiale sicuramente importante, ma mi chiedevo se comprenda anche una sorta di rendicontazione dell'utilizzo dei finanziamenti ricevuti.

  DANIELE MARANNANO, presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo. In realtà no. Le rendicontazioni delle spese effettuate sono pubblicate sul sito dell'associazione, ma ci riserviamo comunque di produrle nei prossimi giorni.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LUISA BOSSA. Grazie, presidente. Intanto grazie per la vostra presenza qui. Lei ha detto che alcuni collaboratori di giustizia hanno dichiarato che laddove vi sia la presenza di operatori economici che denunciano la richiesta di pizzo la famiglia mafiosa non fa ricorso all'estorsione, e ha anche riconosciuto – le do atto della sua onestà intellettuale – che 900 operatori che denunciano sono pochi. Se, quindi, è vero che la famiglia mafiosa ha almeno una certa preoccupazione per il fenomeno «denuncia», come mai tutti gli operatori economici non lo fanno ? Vorrei che lei si sforzasse di dirci cosa manca. Non pretendo certo un'analisi ab urbe condita, ma cosa manca perché questo Pag. 9succeda ? Cosa le suggerisce l'esperienza ? Lei prima ha anche aggiunto un po’ genericamente che manca una rivoluzione culturale, quindi mi avrebbe già risposto, ma io le chiedo in cosa a Palermo, in Sicilia, ma anche altrove – io vengo da Napoli – potrebbe consistere questa rivoluzione culturale, da dove cominciare, perché dicevo con l'amica Rosaria Capacchione che da anni sentiamo sempre le stesse cose, non c’è niente di nuovo sotto il sole e probabilmente è il ripetersi di questo che fa la rivoluzione culturale.

  DAVIDE MATTIELLO. Grazie ad Addiopizzo, ben ritrovati. Il V Comitato si occupa in particolare di vittime di mafia e testimoni di giustizia, quindi sono attento ai profili di sicurezza.
  Se non ho capito male, sono circa 900 i commercianti, gli imprenditori che aderiscono ad Addiopizzo non pagando il pizzo, 102 quelli che avete accompagnato alla denuncia nei processi. Quanti di questi sono stati poi sottoposti a programmi di protezione o a misure speciali, di questi quanti sono riusciti a continuare a vivere decorosamente, portando avanti la propria attività economica senza perderla ? La morale di queste domande è la preoccupazione di una certa sovraesposizione della vittima del reato che diventa fonte di prova, tanto che mi ha colpito molto l'esempio della denuncia collettiva. Mi chiedo se quella forma di denuncia, che inserisce l'individuo all'interno del gruppo, non possa diventare paradigma del modo con cui aiutare chi vuole ribellarsi ad arrivare alla denuncia senza sovraesposizione.

  ANDREA VECCHIO. Desidero ringraziare Daniele Marannano che conosco da tempo e tutti i suoi collaboratori per la genialità nell'elaborare quella frase da affiggere su tutte le mura di Palermo. Credo che operino in un ambito estremamente difficile, perché la media culturale dei commercianti di una città come Palermo, di un territorio come la provincia di Palermo, di un territorio come la Sicilia è molto bassa, ed ecco perché questa è la schiera di quelli che hanno aderito al programma di Addiopizzo. Credo che, conoscendo la media dei commercianti palermitani e siciliani e quelli che hanno denunciato, potrebbero effettuare un'analisi di questo tipo per distinguere il livello culturale e sociale di quelli che hanno aderito. Chi mi conosce sa che ho utilizzato sempre una metafora, affermando che noi, il popolo, siamo un gregge di pecore e l'estorsore, il mafioso che cura questo gregge lo munge e lo tosa. Se però per caso in mezzo al gregge c’è un cane maremmano che il pastore estorsore scambia per una pecora e cerca di mungere, questo lo azzannerà alla caviglia per poi scappare. Siccome il gregge è numeroso, il pastore ha interesse non a inseguire il cane maremmano scappato, ma a occuparsi del gregge rimasto nel recinto. Gli imprenditori e i commercianti che aderiscono sono pochi forse perché i cani maremmani sono pochi e molte le pecore.

  FRANCESCO D'UVA. Voglio ringraziare Addiopizzo per la presenza qui e per aver sempre dato un esempio di risveglio in Sicilia, a Palermo ma anche a Messina, città da cui provengo, vi stimo molto. Detto questo, devo porre una domanda apparentemente scomoda, però ritengo così elevata la caratura morale di chi mi sta di fronte da non temere la risposta. Nel comitato di solidarietà vittime dell'estorsione e dell'usura sono riuniti i membri delle associazioni antiracket, per cui vorrei sapere se qualcuno dell'associazione Addiopizzo ne faccia parte ed eventualmente capire se la stessa persona sia legale di qualche vittima che dovrebbe ricevere i fondi. Si tratta di una domanda apparentemente scomoda perché sono certo della risposta, ma mi sembrava giusto lasciarlo agli atti e sapere se eventualmente sia successo in passato.

  DANIELE MARANNANO, presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo. Inizio dalla fine. Io ho fatto parte del comitato di solidarietà, ma non sono un legale. Laddove è capitato, come risulta agli atti dei verbali, che si siano trattate Pag. 10delle istanze di vittime di estorsione seguite dall'associazione io non ho partecipato alle sedute e alle deliberazioni in questione, posto che non sono un legale e quindi non ci sarebbe stato comunque un diretto interesse. Procedo casualmente rispetto alle questioni poste, lasciando all'avvocato Caradonna il compito di completare le risposte con il suo intervento. Per quanto attiene alla sicurezza degli operatori economici, tra i 900 operatori economici c’è chi ha denunciato e c’è anche chi non ha mai avuto alcun problema ma ha deciso comunque di aderire alla rete, perché condivide lo spirito e i princìpi che ne stanno alla base, proprio per l'effetto deterrente che ha l'adesione alla rete in termini di denuncia preventiva. Al dato che forniva l'avvocato poco fa mi permetto di aggiungerne un altro: sono 102-105 gli operatori economici che sono stati accompagnati a denunciare o che hanno collaborato in sede di sommarie informazioni testimoniali, le cui collaborazioni poi sono sfociate in atti processuali, però sono molte decine i commercianti e gli imprenditori che abbiamo seguito in questi anni in quanto vittime di fatti riconducibili a finalità estorsive: l'intimidazione con l'utilizzo dell'attack, che è uno dei gesti classici perpetrati soprattutto in Sicilia e che rappresenta un chiaro segnale intimidatorio di cosa nostra nei confronti dell'operatore economico, e altri atti delittuosi ascrivibili a una matrice estorsivo-mafiosa. Abbiamo seguito davvero tanti di questi casi ed è successo che a questi non siano seguite delle richieste estorsive, perché l'imprenditore è stato tempestivo nell'interpellare l'associazione antiracket o nel contattare le forze di polizia. Come emerge dalle indagini dell'autorità giudiziaria, la sola presenza della volante che interviene al momento di un'intimidazione ai danni di un imprenditore o di un commerciante è un chiaro segnale di indisponibilità da parte dell'operatore economico a cedere a ogni forma di richiesta estorsiva, per cui a quell'atto intimidatorio spesso non segue altro. Diciamo questo perché, oltre ai 102, abbiamo seguito tante altre decine di commercianti e di imprenditori per questo genere di problema, che comunque si ascrive nel novero dei fatti estorsivi intimidatori. Tra quelli che hanno collaborato e hanno denunciato all'inizio, quando è nata l'esperienza di Addiopizzo, era quasi un automatismo la sottoposizione degli operatori economici che collaboravano a misure di tutela personale o forme di vigilanza attorno all'obiettivo sensibile. All'inizio era un automatismo: era quasi certa la tutela di chi maturava la forza e il coraggio di denunciare. Non mi riferisco all'inserimento in programmi e misure speciali di protezione, ma a una tutela personale disposta dal comitato per l'ordine e la sicurezza territoriale e locale. Oggi, rispetto al passato non è più così. Se all'inizio la maggior parte degli operatori economici che denunciavano si trovava costretta a subire una tutela, oggi chi denuncia e collabora può farlo continuando a lavorare in condizioni di normalità e di serenità. Ci sono poi casi straordinari, definiti tali per come si sviluppano le attività investigative e per la complessità del soggetto stesso che denuncia, per i quali diventa necessario porre in essere delle misure di tutela. Rispetto alle questioni di sicurezza, però, e per la nostra esperienza su Palermo e provincia credo che oggi siano meno di dieci gli operatori economici che sono sottoposti a tutela e hanno forme di vigilanza dinamica e dedicata, mentre ricordo che all'inizio quasi tutti. Non erano molti, però era quasi un automatismo. Un altro capitolo riguarda i testimoni di giustizia, che vengono inseriti all'interno del programma di protezione. A Palermo noi abbiamo seguito un paio di casi che sono particolari proprio per come si sono sviluppate le attività di indagine, che purtroppo, nonostante la straordinaria professionalità delle forze dell'ordine e dei magistrati, hanno determinato una sovraesposizione del commerciante per il quale si è dovuti intervenire con l'inserimento all'interno del programma di protezione e lo spostamento in località protetta. Si tratta di casi marginali, anche se siamo perfettamente consapevoli che la gestione all'interno dei Pag. 11programmi di protezione non è affatto semplice. Del resto, le cronache ci dicono frequentemente quanto sia complesso vivere all'interno di un programma di protezione ed evidenziano le difficoltà, i limiti, le falle degli stessi programmi di protezione. Oggi, però, la maggior parte degli operatori economici che assistiamo, che accompagniamo a denunciare o che collaborano in sede di sommarie informazioni testimoniali possono compiere questa scelta senza straordinarie ripercussioni sulla loro incolumità e la loro attività economica. È chiaro però – mi riallaccio alla prima domanda posta – che le denunce ancora oggi non crescono in termini esponenziali anche perché si vengono a creare grossi problemi nella fase «post denuncia». Rispetto al passato ci sono tutte le condizioni per cui i commercianti e gli imprenditori possono decidere di denunciare senza essere lasciati soli – mi riferisco all'esperienza palermitana e della provincia, salvo casi straordinari – ma altra fase è il «post denuncia». L'imprenditore denuncia, c’è massima attenzione da parte delle forze dell'ordine e dell'autorità giudiziaria, si svolgono delle indagini, si addiviene a provvedimenti di fermo o a ordinanze di custodia cautelare, magari testimonia in aula laddove gli imputati scelgano il dibattimento. Tuttavia, accade spesso, soprattutto per merito dell'attività investigativa svolta dalle forze dell'ordine, che gli imputati scelgano il rito abbreviato e questa scelta faccia sì che l'imprenditore non debba sottoporsi alla testimonianza in aula che è qualcosa di molto complesso, che causa forti preoccupazioni e difficoltà soprattutto di carattere psicologico. La fase di denuncia, la fase processuale oggi si svolge nel migliore dei modi, mentre il problema si crea dopo, al di fuori del processo. In quale contesto si inserisce l'attività economica di chi ha denunciato ? In un contesto in cui la maggior parte degli operatori economici continua a pagare, in cui – consentitemi la formula poco adatta al consesso in cui mi trovo – il commerciante che ha denunciato viene considerato uno sbirro, colui che ha fatto arrestare un padre di famiglia. Questi retaggi costituiscono un forte tappo culturale, un limite alla rottura del muro. Gli imprenditori e i commercianti che oggi denunciano in sicurezza si ritrovano dinanzi uno scenario di incertezze, perché purtroppo si ritrovano boicottati dal contesto in cui operano, boicottati dai loro fornitori che di punto in bianco, proprio in ragione della denuncia, cambiano atteggiamento nei confronti della vittima, si ritrovano con istituti di credito che di punto in bianco dimezzano se non tolgono gli affidamenti, sebbene, come è capitato, l'attività del denunciante registri un incremento di fatturato, si ritrovano a operare in un contesto in cui ancora oggi prevale una mentalità fortemente mafiosa. Mi rendo conto che sembra si parli di astrattezze, di cose difficili da toccare, da percepire, però per quella che è la nostra esperienza sul territorio muovendoci per strada avvertiamo tutta l'ostilità che si respira in determinate aree della città. Dove si sono create le condizioni per denunciare, il contesto non è complessivamente maturo, favorevole, vicino a determinate scelte. Si tratta di un contesto in cui le varie articolazioni della società – ne ho citato alcune poc'anzi ma altre all'inizio della mia relazione: gli ordini professionali e altre organizzazioni rappresentative – non fanno fino in fondo la loro parte. Un commerciante o un imprenditore sul punto di decidere se denunciare o meno ci chiede due cose: cosa gli succeda dopo e, prima di maturare questa scelta, perché gli stiamo chiedendo di fare questa scelta se attorno ha il deserto. Questo è il contesto in cui ci troviamo a operare, un contesto nel quale sicuramente si sono fatti dal 2004 ad oggi molti passi avanti, ma in cui siamo un'avanguardia, siamo una minoranza. Noi cercheremo di essere ancora più presenti sul territorio, di essere in grado di fornire delle risposte quanto più qualificate, tempestive e rassicuranti ai commercianti e agli imprenditori che entrano in contatto con la nostra rete, però è chiaro che questa è una battaglia che si può vincere solo se c’è una mobilitazione di massa, una mobilitazione da parte di quanti compongono la società.

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  SALVATORE CARADONNA, avvocato dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo. Cerco di integrare queste riflessioni e inizio proprio con il tema trattato. Una riflessione che facciamo spesso con i ragazzi è che a mio avviso bisogna interrogarsi sulla qualità del tessuto economico e produttivo palermitano per capire perché a Palermo si denuncia poco e comunque rispetto al periodo precedente al 2004 c’è stata un'esplosione del numero delle collaborazioni rispetto al deserto precedente. A Palermo non si denuncia in parte e in minoranza secondo noi per paura, non si denuncia perché si è fortemente compromessi culturalmente ma anche materialmente con un ambiente mafioso. Soltanto leggendo decine di provvedimenti giudiziari, richieste di ordinanze di custodia cautelare, abbiamo compreso che i mafiosi stessi hanno attività, in quanto gran parte di questi soggetti non sono impiegati pubblici e pochi sono totalmente disoccupati. Questi hanno attività – bar, paninoteche, pizzerie e negozi di alta moda – di cui Palermo è piena, basta leggere i provvedimenti degli ultimi trent'anni in occasione dello studio della Fondazione Chinnici «I costi dell'illegalità» in tema di lotta al racket e alla mafia. Queste persone hanno monopolizzato il tessuto economico e produttivo di Palermo sia con loro imprese, sia grazie a prestanome, parenti e soggetti vicini. Se moltiplichiamo per tutta Palermo queste attività, a fronte di 80 mila aziende e imprese commerciali capiamo bene come questo numero sia esponenziale e perché non si possa parlare di denuncia. C’è poi quella gran fetta di società civile che non si schiera non perché vicina ad ambienti mafiosi o perché ha paura: come ultimamente il professor Nando Dalla Chiesa ha rappresentato in un suo libro, non si schiera perché non vuole schierarsi per nessun motivo in particolare. Questa è la tragedia della società siciliana: sono gli onesti che non si schierano, che non prendono parte a questi movimenti. Domande legittime come perché le denunce non sono 80 mila a Palermo...

  PRESIDENTE. Addiopizzo è prevalentemente a Palermo e provincia.

  SALVATORE CARADONNA, avvocato dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo. A Palermo auspicabilmente fra cinque anni assisteremo alla denuncia collettiva di 20 mila commercianti, ma occorre fare questa valutazione per comprendere meglio il contesto in cui si opera: Palermo a nostro avviso in questo momento non è una città da 100 denunce al mese, Palermo non è la Capo d'Orlando degli anni ’90, Palermo è altro. Il numero delle denunce fluttua nel tempo in base anche agli arresti, alla zona, in quanto Brancaccio non è via Libertà, anche se a via Libertà si paga e pagano i grossi negozi, non la bottega fortemente intimidita di Brancaccio. Il numero comunque è molto elastico, e ripeto che per rispondere compiutamente a questa domanda bisogna interrogarsi sulla qualità del tessuto economico di Palermo, sulla convenienza della connivenza o comunque dell'inattività nei confronti del bene comune. Lo ha rappresentato bene il professor Nando Dalla Chiesa e io lo condivido: gran parte degli onesti non si schiera, ed è questo il problema di Palermo. Per quanto riguarda il problema dell'esposizione, in otto anni di attività si è trattato di una decina di imprenditori, quasi tutti della prima ora. Noi siamo sicuri e rappresentiamo agli imprenditori con cui lavoriamo che la ragione di esposizione non deriva dalla denuncia. Questo è un punto fondamentale: il commerciante si espone in due occasioni, quando è solo a gestire la vicenda, per cui tratta con l'estorsore, chiede lo sconto e il tempo, magari lo prende anche in giro dicendo di aver già altri e l'estorsore non può tollerare la presa in giro, e quando si espone pubblicamente, quando cerca di avere un richiamo pubblico per la vicenda. Noi quindi diciamo due cose: in primo luogo, devi gestire con l'associazione per non esporti, in secondo luogo, non devi andare in televisione, perché l'estorsore perdona la denuncia perché sa che prima o poi ci può essere un imprenditore che denuncia, Pag. 13ma non perdona di essere sbattuto in televisione, magari anche con delle riflessioni nei confronti di un uomo che ha una famiglia, quindi la farà pagare. L'ho provato nei processi a cui abbiamo assistito, nei quali i figli dichiaravano che il padre stava pagando però il denunciante non doveva andare in televisione a dirlo. Ovviamente si parla di offese gratuite, conosco bene la sua storia, onorevole Vecchio, si parla di altri obiettivi. Si deve gestire con intelligenza, non si possono offendere pubblicamente delle persone, e poi la gestione solidale della denuncia.

  PRESIDENTE. Io vi chiedo scusa ma, siccome all'ordine del giorno della Camera c’è la votazione della risoluzione sui beni confiscati votata ieri al Senato, vorrei assistere alle dichiarazioni di voto, quindi pregherei il vicepresidente Gaetti di presiedere. Vi ringrazio molto, però forse non siamo stati abbastanza precisi nel formulare l'oggetto di questa audizione, in quanto uno dei motivi per cui abbiamo deciso di audirvi è legato ad alcune accuse che sono state mosse al mondo dell'antiracket e dell'antiusura nell'utilizzazione dei fondi del PON Sicurezza. Siccome come ha detto il collega D'Uva non abbiamo timore a fare domande perché sappiamo che gli interlocutori le possono reggere, a noi interessa che ci rispondiate a una domanda che riguarda fondi assegnati senza progetti, senza rendicontazione. Sappiamo che non è così e non sarà sicuramente così, però per noi è molto importante ricostruire l'entità e la modalità di utilizzazione di questi fondi e il rapporto con la Commissione e con le istituzioni responsabili della loro assegnazione. Come ci dicevamo anche in occasione della mia presenza alla vostra festa a Palermo, infatti, nessuno si può permettere delle ombre, men che meno questo mondo, che basa la propria forza su tanti aspetti, sul coraggio ma anche sulla correttezza del comportamento. Questa Commissione è assolutamente interessata a dimostrare l'infondatezza delle accuse che vi sono state rivolte, quindi non abbiamo timori da questo punto di vista, l'infondatezza anche solo dei dubbi emersi. Questo è il nostro obiettivo principale.

  DANIELE MARANNANO, presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo. Posto che siamo assolutamente disponibili a fornire tutta la documentazione richiestaci e lo faremo a breve, salvo che ci sia sfuggito qualcosa, però non mi pare che nei confronti di Addiopizzo siano state sollevate accuse o contestazioni, ma rimaniamo disponibili a fornire in questa e in altre sedi...

  PRESIDENTE. In particolare no, ma nei confronti del modo con cui vengono utilizzati i fondi del PON Sicurezza sì, in maniera generica, che sono le accuse peggiori, perché se si dice «tu hai fatto questo» si può dimostrare che non è vero. Siamo quindi assolutamente interessati a ristabilire con voi la correttezza dei fatti, quindi, proprio conoscendo lo straordinario lavoro che fate, non riteniamo giusto – uso volutamente questa parola – che questo lavoro venga minimamente intaccato da dubbi o ombre che qualcuno solleva. Il senso della nostra domanda è questo, non in maniera specifica ma nella utilizzazione complessiva dei fondi. Poiché le accuse improprie di un professionismo che si arricchisce sono venute da autorevoli personaggi, a partire dall'attuale responsabile dell'Autorità anticorruzione, capite perfettamente che per noi tutto questo è molto importante.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE LUIGI GAETTI

  GIUSEPPE LUMIA. Vorrei fare una domanda specifica alla luce della stima e dell'apprezzamento del lavoro che voi avete svolto in questi anni. Avete spiegato bene i motivi per cui la stragrande maggioranza degli operatori economici ancora non denuncia. Da anni mi chiedo quando saremo pronti per fare questo grande salto di qualità, se dipenda solo dal vostro lavoro, da un miglior lavoro delle istituzioni, Pag. 14da un lavoro di fondo sul piano culturale. Sicuramente si può migliorare, si può fare tanto facendo sistema, aguzzando l'ingegno e sviluppando una migliore progettualità e attività, ma ho l'impressione che rischiamo di andare incontro a delle delusioni se perseguiamo grandi numeri. Appare opportuna l'idea di un intervento legislativo per introdurre alla luce dell'esperienza la denuncia obbligatoria, con meccanismi non penali, ma amministrativi sul piano sia delle penalità, sia degli incentivi, per cui chi denuncia avrà dei vantaggi fiscali e contributivi senza precedenti, chi non denuncia avrà delle sanzioni amministrative come la sospensione temporanea dell'attività produttiva, commerciale o artigianale. Non ritenete che, piuttosto che spremere tutto quello che si può spremere, forse è giunto il tempo di accedere a questo tipo di strategia per andare sui grandi numeri ?

  DANIELE MARANNANO, presidente dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo. Nella relazione introduttiva ho fatto proprio riferimento a questa ipotesi, prendendo come spunto la norma che è stata introdotta nel pacchetto sicurezza del 2009, che interessa gli operatori economici che contraggono con la pubblica amministrazione. Lo spirito dovrebbe essere analogo, perché in quel caso si tratta di misure amministrative interdittive, perché impediscono agli operatori economici che non hanno collaborato di proseguire la contrattazione con la pubblica amministrazione. Questa opzione ci convince, la condividiamo soprattutto per disarticolare quelle sacche di commercianti e imprenditori che ancora oggi, per ragioni di convenienza, continuano ad assumere degli atteggiamenti acquiescenti rispetto al fenomeno estorsivo. Misure amministrative e non penali, perché abbiamo avuto modo di constatare in questi anni nei processi che il commerciante e l'imprenditore che non collabora e viene pure denunciato per favoreggiamento e successivamente rinviato a giudizio e processato non si pone tanto il problema del favoreggiamento e quindi dell'eventuale, molto probabile, sentenza penale di condanna quanto delle conseguenze economiche che tale procedimento può generare sulla propria attività. Da questo punto di vista, quindi, le misure amministrative che possono disarticolare le sacche di cui parlavo sono assolutamente condivisibili. Vorrei aggiungere una cosa rispetto a ciò che l'avvocato Caradonna evidenziava sulla esposizione mediatica. Sicuramente i modelli virtuosi di denuncia vanno sostenuti, promossi, valorizzati anche all'interno del circuito mediatico, ma è chiaro che, a seconda di come si gestisce tale esposizione, si possono generare conseguenze che possono risultare anche negative. Se, infatti, la sovraesposizione è gestita in maniera intelligente, dando un'idea di scelta che tenda alla normalità e non alla straordinarietà, perché se si opta per questa ultima ipotesi si rischia di creare un target, questo tipo di esposizione mediatica può essere positiva e fungere da traino nei confronti di altri operatori economici. Cosa diversa è invece promuovere dei modelli che tendono a tracciare la figura dell'imprenditore che denuncia come una figura di eroe solitario. Questa immagine, per l'impatto su commercianti e imprenditori che sono sul punto di denunciare, non agevola la scelta della denuncia. Ci capita spesso che il commerciante e l'imprenditore che deve decidere cosa fare ci chieda, infatti, se poi vada a finire come Tizio o come Caio, e se si ritroverà con i Carabinieri o la Polizia alle spalle. Non è facile, perché spesso l'unico o il principale messaggio che passa è quello diffuso dagli organi di informazione e non è facile spiegare che, oltre a quelle storie complesse, ci sono tante altre storie di collaborazione e di denuncia che tendono ad essere più normali, nonostante viviamo in un contesto poco normale.

  DAVIDE MATTIELLO. Scusate, l'esempio della denuncia collettiva...

  SALVATORE CARADONNA, avvocato dell'associazione antiracket e antiusura Addiopizzo. A Palermo ci sono stati casi di denuncia collettiva ed è un obiettivo che in Pag. 15determinati contesti territoriali cerchiamo di produrre. Aree di sviluppo industriale: ci siamo trovati a seguire e supportare gli imprenditori dell'area di sviluppo industriale di Carini. Quel contesto limitato, un contesto economico composto anche da imprenditori strutturati, ha favorito questo percorso collettivo di denuncia. Si tratta dell'operazione contro la famiglia mafiosa di Carini, in cui emersero addirittura dieci anni di estorsioni per importi considerevoli. La denuncia collettiva è il tema che ci aiuta anche a rappresentare la diminuzione del rischio per l'imprenditore. Quando noi lavoriamo su un territorio, come ultimamente a Bagheria, l'obiettivo che viene perseguito con relazioni, lavorando sotto traccia, parlando con determinati imprenditori è quello di raccogliere quanti più soggetti. A volte si riesce, anche perché poi queste vicende processuali arrivano nei procedimenti penali e c’è la spersonalizzazione della singola vicenda, perché in quel territorio risultano cinque o dieci imprenditori assistiti e seguiti durante la fase delle indagini dal comitato di Addiopizzo piuttosto che da un'altra associazione antiracket seria che opera sul territorio. È quindi un obiettivo, ma è tanto difficile per quel ragionamento che facevamo: tranne pochissimi casi non si assiste alla denuncia in una strada di venti, trenta o cinquanta imprenditori, perché c’è quello che ha paura, quello vicino che non si schiera, l'impresa contigua. In certi contesti territoriali, però, proprio per spersonalizzare le vicende stiamo lavorando per creare quell'aggregazione in fase di denuncia, che ha poi anche un risvolto processuale, e in alcuni casi ci stiamo riuscendo: Bagheria, Carini, Tommaso Natale, la Noce per certi versi, Palermo centro, corso Calatafimi. L'obiettivo è quello, però è molto difficile. Completando il discorso della legislazione di tipo interdittivo evidenzio come questa soluzione non sia però la panacea di tutti i mali, perché questa misura risolve soltanto quella frazione di problema, determinata dalla mancanza di collaborazione dei soggetti vicini. Non risolve il problema di chi ha paura, non risolve il problema di chi non si schiera. Non si può, quindi, pensare di risolvere il problema del pizzo punendo i commercianti, perché il tessuto è molto variegato. Bisogna punire sebbene amministrativamente – dal punto di vista penale c’è già la condanna per l'articolo 378 c.p. – bisogna sanzionare con misure interdittive o pecuniarie chi crea un danno al contesto economico di quella zona, non collaborando. Questo è il punto della misura interdittiva o pecuniaria: negando l'evidenza tu dimostri di non essere un imprenditore, di non creare ricchezza e sviluppo per la tua terra, quindi lo Stato si deve porre il problema della sanzione di quell'impresa perché quel soggetto è diventato altro, non è più l'imprenditore che genera ricchezza. La soluzione delle sanzioni interdittive risolve, quindi, soltanto una fetta. Va bene la legislazione di favore, la legge n. 512 del 1999 è una grande conquista di diritto, non soltanto la legge n. 44 del 1999, ma anche la n. 512, che rimborsa i risarcimenti ottenuti nei processi penali su cui il giudice si è pronunciato, perché in passato, in caso di incapienza da parte dell'imputato, la vittima, quello che aveva pagato 100 mila euro in dieci anni di pizzo, colui che aveva avuto distrutto il negozio per l'incendio, non aveva un ristoro. La legge n. 512 del 1999 deve essere tutelata, preservata, perché è una grande conquista del nostro Stato ed è una legge voluta dal movimento antimafia. Quelle leggi, n. 44 e n. 512, sono state scritte dalle associazioni antiracket, ecco perché bisogna pensare di correggere solo le storture. La previsione che il legale della vittima di mafia possa avere un ristoro delle spese legali stabilite dal giudice è una grande conquista di diritto, perché si garantisce alla vittima del reato un'assistenza legale in casi di difficoltà, quindi questi aspetti vanno tutelati e, come diceva il presidente, bisogna favorire la professionalità. Sono interessanti le riflessioni di Umberto Santino, che in questi giorni sui giornali ha dichiarato che occorre il professionismo dell'antimafia, ma quale tipo di professionismo ? Il professionismo sano, la professionalità, le competenze, capire come ci si rapporta con un magistrato a Pag. 16tutela della vittima, con le forze di polizia. Questo facciamo: dialoghiamo con questi soggetti per creare la tutela di un soggetto in quel momento debole, e non perché il magistrato o il carabiniere non si occupino della sicurezza del commerciante, ma perché fanno anche altro, accertano i fatti e la responsabilità penale. Occorre continuare a garantire un sistema di protezione che in questo momento è garantito dalle associazioni antiracket che lavorano seriamente sul territorio, quindi quella legge deve essere tutelata e bisogna ovviamente pensare a un sistema che elimini le storture, ma il sistema tiene bene.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.05.