XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 15 di Mercoledì 24 giugno 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PROBLEMATICHE CONCERNENTI L'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI DELLE REGIONI AD AUTONOMIA SPECIALE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL RUOLO DELLE COMMISSIONI PARITETICHE PREVISTE DAGLI STATUTI MEDESIMI

Audizione del Presidente della Regione Autonoma della Sardegna, Francesco Pigliaru, e di Ilenia Ruggiu, componente della Commissione paritetica della Regione Autonoma della Sardegna.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 
Pigliaru Francesco , presidente della regione autonoma della Sardegna ... 2 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 8 
Ruggiu Ilenia , componente della Commissione paritetica della Regione autonoma della Sardegna ... 8 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente della Regione Autonoma della Sardegna, Francesco Pigliaru, e di Ilenia Ruggiu, componente della Commissione paritetica della Regione Autonoma della Sardegna.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche concernenti l'attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale, con particolare riferimento al ruolo delle commissioni paritetiche previste dagli statuti medesimi, l'audizione del presidente della regione autonoma della Sardegna, Francesco Pigliaru, e di Ilenia Ruggiu, componente della Commissione paritetica della Regione Autonoma della Sardegna.
  Il presidente della regione è accompagnato dall'assessore Gianmario Demuro e dalla portavoce Daniela Anna Franca Sari.
  Do la parola a presidente Pigliaru per lo svolgimento della relazione.

  FRANCESCO PIGLIARU, presidente della regione autonoma della Sardegna. Ringrazio il presidente della Commissione bicamerale per le questioni regionali, il senatore Gianpiero D'Alia e tutti voi, membri della Commissione, per l'opportunità di discutere in questa audizione delle questioni relative alla specialità della regione autonoma della Sardegna e allo stato della sua attuazione; nei prossimi giorni consegneremo i documenti ai quali faccio riferimento durante questa audizione.
  Affronterò molto rapidamente quattro argomenti, che riflettono anche il senso delle risposte specifiche alle vostre domande e do il senso generale del nostro punto di vista.
  Inizio dal problema della specialità, perché è del tutto evidente che la domanda di fondo essenziale è quale sia oggi, nel 2015, il senso della specialità. Naturalmente, questa risposta varia da specialità a specialità, perché il concetto stesso di specialità implica questo approccio.
  Quindi, parlo principalmente della Sardegna, per dire che le motivazioni storiche che nel 1948 hanno consentito di definire la Sardegna come regione a statuto speciale sono ancora presenti, attuali e sono in realtà modernissime, come cercherò di evidenziare.
  Ho avuto già modo più volte – in effetti anche da ultimo in un dossier che è stato presentato al capo del Governo, Matteo Renzi, il 28 maggio – di sottolineare con la massima enfasi possibile il fatto che un aspetto essenziale della specialità è un problema che riteniamo da sempre sottovalutato, recentemente ancora più che nel passato, dall'Italia e dall'Unione europea, che pone i cittadini e le imprese in una posizione di obiettivo svantaggio. Questa condizione si chiama insularità e perifericità della Sardegna.Pag. 3
  Lungi da me fare lamentele generiche, perché non è assolutamente questo il punto. Abbiamo invece la piena consapevolezza, e vogliamo renderne tutti consapevoli, che l'insularità ha alcuni importanti vantaggi – uno dei quali consiste, essendo al centro del Mediterraneo, nell'avere delle coste tra le più belle del mondo e quindi avere una situazione ambientale di grande privilegio – ma anche dei costi che, proprio per evitare discorsi di generico lamento, possono essere misurati per eventualmente valutare possibili misure di mitigazione e correzione.
  Il punto essenziale è che questi costi sono intrinsecamente legati a un problema di insularità. Infatti, sebbene sia apparentemente pleonastico ricordare che la Sardegna è un'isola e sebbene il trattato per il funzionamento dell'Unione europea riconosca la specialità come condizione insulare, lo Stato italiano non ha in effetti mai sviluppato in sede europea una politica dell'insularità che in particolare riguardi la seconda isola per estensione del Mediterraneo e certamente la più distante dalla terraferma tra le grandi isole.
  Ricordo che l'Unione europea riconosce interventi specifici per le regioni insulari ultra periferiche, come Canarie ed Azzorre, ma invece è rimasta muta nel ragionare intorno ai problemi legati all'insularità periferica, ma non ultra periferica, nonostante l'articolo 174 ne riconosca genericamente i problemi.
  Intorno a questo dato geografico quindi c’è uno sviluppo storico differenziato, una cultura che ha creato una forte identità, ma il dato obiettivo della perifericità e insularità costituisce il punto di partenza sul quale voglio spendere qualche minuto per una precisa perimetrazione della specialità.
  So che il Presidente del Consiglio, Gianfranco Ganau, ha già citato alcuni dati di una ricerca sulla base della quale abbiamo consegnato un dossier al Primo Ministro. Permettetemi di ricordare alcuni punti fondamentali di questa ricerca sull'insularità.
  In effetti, l'insularità nel mondo attuale ha una caratteristica molto importante. Nel momento in cui le politiche di coesione e di sviluppo si traducono in gran parte, o in parte significativa, in politiche di connessione in rete, la condizione insulare crea svantaggi profondi perché rende particolarmente difficili quelle connessioni.
  Tutti parliamo di rete, di economie di network ed ecco che in questo l'insularità diventa una caratteristica molto particolare, interessante da esplorare e intorno alla quale misurare gli eventuali svantaggi. Le politiche di integrazione sono quindi necessariamente diverse per un'isola rispetto alle regioni continentali, dove la diffusione spaziale dello sviluppo è garantita dalla prossimità del collegamento dei vari network.
  Mi viene sempre da fare il seguente esempio: molto spesso si confonde l'insularità con la perifericità, la distanza. In Italia, abbiamo evidenti esempi di distanza dai mercati centrali. Gran parte del Mezzogiorno è distante dai mercati centrali ricchi e sappiamo che nella sua storia questo ha creato uno svantaggio del Mezzogiorno che ancora oggi non è stato compensato.
  Ebbene, la distanza è una cosa e l'insularità è concettualmente un'altra cosa. Faccio un esempio molto semplice, che possiamo anche riprendere: la Sardegna è l'unica regione italiana senza metano e c’è una precisa motivazione economica per questo. Il problema è che il collegamento della Sardegna nel network è reso difficile e costosissimo a causa dell'insularità.
  Il metano arriva in Calabria. Se ci fosse continuità territoriale, arriverebbe anche al centro dell'Africa senza nessun problema di distanza, perché mentre il tubo del metano avanza i costi fissi di quella rete possono essere scaricati continuamente su un'utenza che è sempre presente. È la rottura territoriale che rende infinitamente più alti i costi del collegamento.
  Questo è un carattere specifico dell'insularità. Una regione anche molto più distante in termini di chilometri da un Pag. 4centro, ma in continuità territoriale con esso, può collegarsi a un network a costi molto inferiori rispetto a quello che può fare un'isola che, dal punto di vista geografico, appare più vicina, ma che è vittima di un'interruzione territoriale. Questo è il principio generale che voglio ricordare e che dà un senso di chiara modernità del problema dell'insularità in una economia a network.
  Ci sono moltissimi altri esempi che possono essere fatti. Uno naturalmente è quello dell'idea, della conoscenza e dell'innovazione tecnologica. Parliamo di network sociali, della densità come elemento fondamentale per lo sviluppo e il trasferimento di conoscenza. Avere territori contigui dà un vantaggio, in termini di trasferimento facile, morbido, della conoscenza; un'interruzione geografica, tipica dell'insularità, crea dei problemi anche in quella direzione.
  Ci sono mille esempi che possono essere fatti dal punto di vista della misurazione di quelli che in economia si chiamano spillover di conoscenza; e abbiamo molte ricerche che lo dimostrano.
  Vi sono anche aspetti un po’ più paradossali quando si guardano i dati delle università. Per esempio, quando il Ministero dell'istruzione deve decidere come distribuire il fondo per le Università, l'FFO, succede che tra i parametri ci sia un indicatore che chiede premialmente quanti studenti presenti all'interno dell'università provengano da altre regioni. Ebbene, tra Calabria e Campania, tra Umbria, Toscana e Lazio, lo scambio di studenti è infinitamente maggiore. C’è un fatto geografico e naturale, per cui molti studenti delle regioni limitrofe vanno nell'università della regione confinante e questo per la Sardegna è certamente un elemento penalizzante.
  Parametri di questo tipo esistono anche nella sanità, nella possibilità di distribuire i costi della sanità creando sinergie con le regioni confinanti, quindi più ci si pensa e più vediamo quanti problemi di questa natura si pongano e siano specificamente associati al problema della insularità.
  Quindi, l'insularità non solo produce incrementi di costi, di trasporto passeggeri e merci, ma crea anche una discontinuità nelle attività, ritardi e debolezze nelle commissioni e nei processi a diffusione spaziale dello sviluppo.
  La Sardegna non ha mezzi di trasporto alternativi rispetto a nave o aereo, non ha infrastrutture e passanti da sfruttare, non ha regioni confinanti con le quali fare sinergie, non può avvantaggiarsi del contagio geografico delle conoscenze e così via.
  Vorrei citare un altro aspetto molto rapidamente. Se confrontate due regioni come la Sardegna e il Molise per esempio – e non è un confronto casuale – vedrete che hanno la stessa densità geografica. Hanno una popolazione scarsamente densa e quindi, dal punto di vista della costruzione di infrastrutture, hanno un problema comune. Se guardate quanti chilometri di ferrovia ha il Molise, l'indicatore mostra che vi sono 6 chilometri di ferrovia ogni 100 chilometri quadrati di territorio; la Sardegna ne ha 1,7-1,8.
  Questo dimostra, per esempio, che la difficoltà della Sardegna non è la scarsa densità di popolazione, che pure è un problema, ma è data da un fattore specifico di insularità. Se posso aggiungere, è del tutto evidente che una ferrovia terribilmente inefficiente, come quella che ha la Sardegna, ha a che fare con l'insularità per un motivo molto semplice: se la Sardegna, come il Molise, fossero al centro del network, lo Stato italiano avrebbe investito molto su quella ferrovia, perché sarebbe un pezzo di network e l'inefficienza del Molise si tradurrebbe nell'inefficienza dell'intero network. Invece, l'inefficienza delle ferrovie della Sardegna non si traduce in inefficienza del network perché è tenuta, dalla geografia, separata dal network.
  Questa è una delle motivazioni, credo, per cui la Sardegna oggi, fatto pari a 100 l'indice medio infrastrutturale delle ferrovie italiane, ha un valore pari a 17, infinitamente più basso per esempio di quello del Mezzogiorno.
  Questi sono tutti elementi strettissimamente legati al problema dell'insularità. Ci Pag. 5sono altri aspetti sui quali non voglio attardarmi e che riguardano le imprese. Abbiamo evidenza che le imprese sarde abbiano una tendenza a non esternalizzare, a fare troppo, non essendo circondate dalla possibilità di approvvigionarsi da altre imprese specializzate negli input. Un indicatore tipico dell'inefficienza dell'impresa è che ha troppo all'interno della propria produzione, senza possibilità di acquistare input da un sistema di imprese specializzate circostanti.
  Infine, abbiamo evidenza che la logistica è un altro classico problema dell'insularità. Per alimentare la distribuzione della Calabria posso appoggiarmi su una logistica che distribuisce anche in Campania. Questo di nuovo spalma i costi fissi enormemente tra le due regioni, per cui approvvigionare la Calabria è infinitamente più semplice e più efficiente, in termini di costo, di quanto non succeda in Sardegna.
  Alcuni dati dimostrano che il costo della logistica difficoltosa nelle isole per l'interruzione territoriale è pari almeno al 10 per cento rispetto a una regione analoga come distanza e che c’è un costo nascosto che riguarda gli assortimenti.
  Oltre al costo monetario del 10 per cento in più, c’è anche un assortimento delle merci rese disponibili per le popolazioni locali di un'isola che è nettamente inferiore a quello reso disponibile in situazioni analoghe ma non insulari.
  Insomma, spero di avervi convinto del fatto che il problema dell'insularità ha una sua altissima modernità e contemporaneità, per i motivi che ho appena detto. Non è certo l'unico motivo della specialità della Sardegna, ma è un dato permanente e attuale. La geografia non cambia. Può cambiare il modo in cui la stessa impatta sulle condizioni di vita, ma possiamo dire che nell'economia di un network l'insularità è un problema che va tenuto presente con la massima chiarezza e consapevolezza.
  Siccome il problema dell'insularità, come credo di aver dimostrato, svolge e mantiene tutto il suo interesse e tutta la sua rilevanza anche in un mondo che cambia, e qualche volta anche di più in un mondo che cambia, ecco che l'autonomia è essenziale per presidiare le conseguenze permanenti, seppur mutevoli, che questa specialità implica.
  Credo che l'autonomia sia lì anche per discutere con lo Stato, qualche volta anche in condizioni eventuali di conflitto, per esempio su problemi che hanno a che fare con le entrate riconosciute alla Sardegna. Oggi, il calcolo degli accantonamenti, ossia le partite in riduzione delle entrate regionali che servono a contribuire alla copertura del debito pubblico, vengono calcolate senza dare alcun peso al problema della insularità.
  Se l'insularità implica degli svantaggi obiettivi, misurabili e facilmente condivisibili anche in termini di misurazione scientifica, credo che nel calcolo degli accantonamenti, questo aspetto, questo misurabile svantaggio specifico della Sardegna, dovrebbe essere tenuto in conto e chiederemo che questo venga considerato.
  Passo ora ad affrontare molto velocemente altri tre punti. Uno di essi non riguarda specificamente la specialità delle regioni a statuto speciale, ma permettetemi una veloce digressione sul problema del regionalismo e decentramento versus il neo-centralismo. Mi pare che sia un tema importante che tocca anche le regioni speciali, ma forse è una questione più generale.
  In merito, voglio dire una cosa molto rapida su questo punto. L'Italia è notoriamente il Paese occidentale con la massima eterogeneità regionale e quindi ha una questione regionale, in positivo e in negativo. È studiata in tutto il mondo per la sua enorme eterogeneità interna. Sarebbe strano far finta che questo problema non esista e correre verso un neo-centralismo che, per la verità, nei decenni passati ha contribuito a generare questa gravissima eterogeneità regionale, in termini per esempio di tassi di occupazione, di reddito pro capite e così via.
  Credo che l'eterogeneità possa essere una ricchezza. Voglio citare soltanto il fatto che il regionalismo, se ben gestito, ha enormi vantaggi. Come regione Sardegna, Pag. 6ad esempio, sono molto interessato a migliorare i dati del nostro sistema dell'istruzione. Abbiamo un alto tasso di dispersione scolastica, oltre che dei livelli di apprendimento, misurati da Pisa OCSE e INVALSI, che sono molto migliorabili e che devono essere migliorati.
  Nel momento in cui disegno una politica per intervenire, per migliorare questo dato così importante, il mio sguardo difficilmente si rivolge a esperienze fatte a livello di Governo centrale. Sono decisamente più interessato a cercare le migliori esperienze e, da questo punto di vista, frugare, ispirarmi e conoscere esperienze fatte in venti regioni italiane mi dà un ventaglio di pratiche estremamente ricco, in negativo e in positivo. Alcune di queste esperienze nelle regioni italiane sono straordinariamente positive, molto più positive di quelle che lo Stato centrale potrebbe mai mettere in campo.
  Allora, preferisco andare in Friuli, in Trentino, dove i risultati scolastici sono molto buoni, ragionare con quelle regioni e cercare di capire quali sono le politiche che hanno funzionato. Credo che questa sia una grandissima ricchezza e penso che – per essere brevissimo su questo punto – un saggio Stato centrale, invece di oscillare continuamente tra decentramenti frettolosi e malissimo disegnati, e tendenze neo-centralistiche, dovrebbe rendersi conto che un regionalismo ben gestito è una grande ricchezza e anche un grande rischio.
  Quello che dovrebbe fare uno Stato centrale è mediare la diffusione delle migliori pratiche che sono state inventate in qualche angolo del nostro Paese, ma che hanno tutto il potenziale per diventare politiche da diffondere in tutte le regioni.
  Credo che questo regionalismo differenziato nel quale si consente la sperimentazione regionale, si individuano le migliori pratiche, con uno Stato centrale che promuove la diffusione delle buone pratiche, soprattutto a favore delle regioni che sono in difficoltà su argomenti specifici sarebbe molto saggio e riconoscerebbe la grande importanza che un regionalismo ben gestito può avere per rendere questa regione più uniforme e complessivamente più giusta, inclusiva ed efficiente.
  Il penultimo punto riguarda l'identità. Il dato geografico immutabile dell'insularità ha naturalmente anche un portato di storia e di identità. Come è noto, così come per il Trentino Alto Adige e la Valle d'Aosta, la Sardegna non ha un dialetto dell'italiano, ma una lingua che segnala una forte identità e una forte differenziazione nello sviluppo culturale, certamente legata all'insularità, che è fortissimamente sentita, oggi come nel passato e forse più.
  Una recente ricerca condotta dall'Università di Cagliari contemporaneamente a quelle di Edimburgo e della Catalogna rivela per esempio che nove sardi su dieci vorrebbero ancora oggi un governo locale con più poteri di quelli attuali. Si parla spesso di impopolarità delle regioni nell'opinione pubblica. Ebbene, mi piace segnalare che nel caso della Sardegna, e credo spesso delle regioni a statuto speciale, questo non è vero, ma è vero il contrario; questo è un dato certamente molto interessante, un ulteriore aspetto di specialità.
  Tali aspetti, che spingono verso l'auspicio di avere un governo locale con ancora più poteri di quelli attuali, rivela un forte sentimento di identità, oltre che la necessità di uno statuto con più regole specifiche che principi. Dunque, è ormai un patrimonio comune nella mia isola la richiesta di un maggiore auto governo.
  Ciò conferma che la visione della specialità solo come compensazione dei divari sul lato economico è frutto di una semplificazione che non ha particolarmente senso di questi tempi, soprattutto se consideriamo che, in Sardegna, la quasi totalità della rappresentanza politica declina la specialità come pratica della responsabilità, nella gestione dell'istruzione e della ricerca, della politiche linguistiche e ambientali, del patrimonio paesistico e culturale, delle infrastrutture materiali e materiali, delle entrate tributarie e del sistema fiscale.
  Vengo all'ultimo punto, quello degli strumenti per l'effettività della specialità. Pag. 7Come tradurre la specialità in regole ? Qui sono più esplicitamente vicino alle vostre domande.
  Vogliamo rivendicare la nostra autonomia speciale, interpretando la specialità in una accezione moderna e dinamica, come ho tentato di dimostrare, perché crediamo di poterlo fare con la massima convinzione. Allora, con lo statuto speciale, intendiamo riscrivere con chiarezza un rapporto di piena reciprocità con lo Stato, che preveda un nuovo riparto delle competenze legislative e delle competenze amministrative, sulla base di un principio di sussidiarietà e di adeguatezza.
  Il nostro statuto deve prevedere maggiori potestà legislative in materia finanziaria e fiscale e un trattamento finanziario più favorevole per i motivi che ho citato sopra. Deve concentrarsi sull'affermazione di diritti speciali che concorrano a rafforzare l'idea della nostra diversità: il diritto alla continuità territoriale – tema naturalmente davvero cruciale per un'isola – il diritto alla cultura, alla nostra identità, a competere con lo Stato per individuare standard ambientali più severi.
  Il binomio Commissioni paritetiche e decreti legislativi che contengono le norme di attuazione, dal punto di vista strettamente tecnico, costituisce ancora oggi la migliore soluzione a tutela dell'autonomia, come espressamente affermato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 213 del 1998.
  Le norme di attuazione, nella nostra opinione, si sono rivelate infatti un utile strumento per dare sostanza alla specialità. Sono dotate di una particolare forza formale nel sistema delle fonti del diritto, in quanto si riferiscono direttamente alla legge costituzionale, allo statuto, e si impongono sulle leggi ordinarie. Ad esse, inoltre, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha attribuito non solo la funzione di attuazione, bensì anche di integrazione degli Statuti speciali, i quali, come tutte le disposizioni costituzionali devono conservare la capacità di adeguarsi alle novità istituzionali e anche alle novità del mondo in qualche misura.
  I decreti legislativi che contengono le cosiddette norme di attuazione degli Statuti svolgono dunque appieno questo ruolo, perché solo su base consensuale alla forma dello statuto può essere assicurata la sostanza amministrativa necessaria per il suo proficuo inveramento.
  Ciò detto, in Sardegna non è forse sfruttata a oggi al meglio la possibilità di approvare in sede di Commissione paritetica Stato-Regioni efficaci norme di attuazione dello statuto; il che non vuol dire che lo strumento non sia valido. Tramite tale strumento è possibile circoscrivere la congiunturale azione accentratrice dello Stato, in sede di approvazione degli atti legislativi e della Corte costituzionale, in sede di giudizio, sul rispetto delle competenze legislative attribuite, pre-contrattando l'ampiezza delle funzioni di competenza regionale.
  Le norme di attuazione consentono di non lasciare, alla sola iniziativa del legislatore nazionale, la determinazione dei rispettivi ambiti di competenza legislativa dello Stato e della regione. La più recente giurisprudenza della Corte costituzionale ha posto in evidenza, infatti, come, in presenza di norme di attuazione ben redatte, sia possibile ancorare le competenze regionali a un parametro costituzionale certo, rendendo particolarmente difficile la sottrazione delle competenze alle regioni speciali; si veda per esempio la Corte costituzionale, sentenza 314 del 2009.
  Per concludere, è certamente opportuna una revisione dei meccanismi di funzionamento delle Commissioni paritetiche e della nomina dei loro componenti per garantire una maggiore effettività delle loro azioni su questi punti che cito velocemente; ma naturalmente nelle nostre risposte ci sono esemplificazioni e motivazioni di queste affermazioni.
  In questa fase di riforma del Titolo V e della seconda parte della Costituzione, la previsione di una clausola di salvaguardia che prevede l'intesa per l'adeguamento è inoltre sicuramente una soluzione positiva. Per la prima volta viene sancito in Costituzione, in forma espressa, lo strumento Pag. 8pattizio e con esso un importante strumento di leale cooperazione tra lo Stato e le regioni speciali.
  I dubbi sull'uso dell'intesa che sono stati sollevati in dottrina, e da parte di alcuni studiosi in precedenti audizioni in quest'Aula, possono certamente essere affrontati e risolti in sede tecnica, se necessario anche attraverso l'approvazione di norme di rango costituzionale che ne specifichino i profili attuativi.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente della regione Sardegna, Pigliaru, per il contributo e per i documenti che ci farà pervenire successivamente.
  Do quindi la parola alla professoressa Ruggiu, che ringrazio.

  ILENIA RUGGIU, componente della Commissione paritetica della Regione autonoma della Sardegna. Il mio intervento seguirà la scansione che mi avete assegnato proponendomi gli otto quesiti.
  Inizio dalla prima domanda e cioè se sia utile insistere sulla necessità di norme di attuazione per attuare lo statuto sardo. La risposta è sì, sicuramente, per due motivi.
  Il primo motivo è di ordine generale ed è dato dal fatto che le norme di attuazione sono ancora oggi lo strumento più forte e più realisticamente utilizzabile per implementare l'autonomia, visto che la riforma dello statuto, che sarebbe lo strumento più forte, è politicamente più complessa e anche più lunga.
  Il secondo motivo è il fatto che, come il presidente Pigliaru ha evidenziato, la regione Sardegna detiene il primato negativo di approvazione di norme di attuazione, sia in assoluto rispetto alle altre regioni speciali dal ’48 a oggi, sia nella seconda fase del regionalismo, quella appunto partita dal 2001, del cosiddetto regionalismo forte.
  Dal 2001, in questi tredici anni di funzionamento del Titolo V sono state approvate in tutto settantuno norme di attuazione. Pensate che il Trentino Alto Adige ne ha approvate ventotto e la Sardegna soltanto cinque, quindi effettivamente è uno strumento ancora poco utilizzato e che la Sardegna avrebbe bisogno di implementare.
  Per quanto riguarda il secondo quesito, dove si chiede se la mancata attuazione dello statuto dipenda essenzialmente dalla mancata adozione di norme di attuazione, in realtà a mio avviso la responsabilità va attribuita a tre grandi fattori. Sicuramente un terzo di responsabilità spetta a questa carenza di norme di attuazione dello statuto, ma l'altro terzo spetta, soprattutto nella fase che si è aperta dal 2001 ad oggi, al fatto che lo Stato centrale non ha perfettamente interiorizzato il regionalismo e quindi ha impugnato moltissime leggi regionali, anche quelle sarde – penso per esempio alla legge c.d. salva coste – con cui si portavano avanti delle politiche di differenziazione.
  L'altro terzo di responsabilità è regionale. Ad esempio, penso alla mancata modifica o implementazione dello statuto sardo stesso, che è vecchio e non è riuscito a rinnovarsi. Per quanto alcuni aspetti dall'autonomia siano ancora presenti, essenzialmente nel ’48 lo statuto sardo costruiva una specialità che significava Piano di rinascita e che era tutta concepita intorno all'arretratezza della Sardegna, per cui ad esempio nello statuto non c’è traccia di tutti quegli elementi identitari che pure ad oggi costituiscono uno dei fondamenti della specialità.
  A mio avviso, dunque, occorre un ripensamento dell'autonomia, anche vedendo che cosa accade a livello comparato, dove sono partiti fortissimi processi di regionalizzazione – penso al 1998 con la Scozia e al 2006 con la Catalogna e la questione del regionalismo spagnolo – che consentirebbero di avviare una conversazione costituzionale sulla specialità sarda; avrebbe perciò più senso attuare un'autonomia ripensata già nello statuto. Ciò detto, essendo le norme di attuazione lo strumento realisticamente più utilizzabile, a mio avviso vale la pena insistere su questo.
  Il vostro terzo quesito pone la questione della vaghezza di alcune disposizioni degli Statuti speciali che non consentirebbero Pag. 9alle norme di attuazione di innervarsi e di saldarsi a norme statutarie certe. Come la vostra stessa domanda suggerisce, questo è sicuramente un problema. Direi che la questione della vaghezza della scrittura degli statuti speciali si rinviene soprattutto negli elenchi che riguardano le competenze, le materie. Le liste presenti nello statuto sono a mio avviso datate, sia nei contenuti, sia nella tecnica di redazione.
  Attualmente – e cito di nuovo Scozia e Catalogna – le tecniche di redazione delle materie sono molto più raffinate, per cui capire chi fa che cosa è molto più chiaro. Si usano delle tecniche di scrittura innanzitutto più lunghe e più dettagliate. Lo Scotland Act delinea chi fa che cosa tra Londra ed Edimburgo in ben venticinque pagine. Non dico che uno statuto speciale, che è anche una legge costituzionale, debba essere così lungo, però ad esempio lo statuto catalano, che assomiglia, sia per posizione nel sistema delle fonti, che per tradizione giuridica, dettaglia ben novanta materie, con una tecnica che si chiama di blindatura.
  Quindi, c’è più certezza a monte, che evita anche il contenzioso e gli operatori politici sono più sicuri. Hanno un testo a cui far riferimento. Ovviamente una riscrittura, una sottrazione di vaghezza allo statuto implicherebbe un discorso di revisione dello stesso e di nuovo si rimanda al problema della praticabilità di questa riforma.
  All'interno di questa domanda, ci si chiede di spiegare la questione sorta in relazione alla vertenza entrate. Il 7 aprile del 2011, il Consiglio regionale sardo aveva dato il suo assenso ad una norma di attuazione sulle entrate, che poi non è mai diventata decreto legislativo, perché il Governo non l'ha mai approvata. Quindi, direi che siamo in una situazione di stallo politico, dovuta alla mancanza di un accordo.
  Come ripeto, la vicenda che mi chiedete di ricostruire aveva visto la Commissione paritetica e il Consiglio regionale, quindi la regione, esprimere parere positivo, però poi è intervenuta una retromarcia, o comunque un arresto, da parte del Governo.
  Vengo al quarto quesito che verte sulla necessità eventuale di rivedere i meccanismi di funzionamento delle Commissioni paritetiche e in particolare le procedure di nomina e di sostituzione dei componenti. In proposito, vorrei affrontare tre aspetti.
  Le Commissioni paritetiche sono essenzialmente degli organi di consulenza tecnica e giuridica, per come funzionano nella prassi, più che degli autentici organi collaborativi. Nel caso della Sardegna, la Commissione paritetica è rimasta per molto tempo latente, talvolta proprio perché non esisteva, non era stata nominata.
  Gli statuti sono molto vaghi sulle Commissioni paritetiche e affidano il loro funzionamento principalmente a delle prassi. Tuttavia, proprio per l'importanza di questi organi, o meglio delle norme di attuazione che producono nell'attuazione della specialità, forse sarebbe necessario qualche intervento normativo che consolidi alcune prassi e ne corregga delle altre.
  Il primo attiene alla nomina e alla sostituzione dei componenti. Se nell'articolo 56 dello Statuto si scrivesse che la Commissione paritetica è un organo di collaborazione permanente, che quindi deve esserci tra lo Stato e la regione, rinnovabile nella sua composizione ad ogni legislatura, si garantirebbe, innanzitutto, l'esistenza dell'organo; e quando un organo esiste è più difficile che resti inerte.
  Allo stesso modo, essendo i suoi componenti espressione di sensibilità politica, si dovrebbe garantire il rinnovo della composizione o, in caso di mancanza di rinnovo, la permanenza dei vecchi membri. Quindi, la natura permanente dell'organo, che ora non è garantita – perché in Sardegna per anni non si è avuta una Commissione paritetica – garantirebbe una maggiore stabilità dell'organo.
  Tra le altre prassi che segnalo e che potrebbero essere riviste senza neanche la necessità di riforme statutaria, quella che suggerisco è relativa a una maggiore stabilizzazione dell'organo. Le altre sono delle prassi che servirebbero a prevedere Pag. 10nella Commissione paritetica, accanto alla presenza dei funzionari ministeriali, che ci sono sempre nelle riunioni che si svolgono a Roma, anche la presenza di funzionari regionali, proprio per garantire un maggiore equilibrio.
  Ad ogni modo, come avete evidenziato anche voi nella domanda, mi sembra che la questione principale sia quella di garantire una maggiore stabilità all'organo.
  Il quinto quesito chiedeva in che modo venga assicurato il collegamento tra l'operato della componente regionale all'interno della Commissione paritetica e la Giunta regionale. Sul punto ci sono delle prassi che assicurano uno strettissimo collegamento.
  Per quanto riguarda la mia esperienza, la parte regionale si presenta in Commissione paritetica avendo previamente concordato e formalizzato, tramite una delibera di Giunta, le posizioni che intende assumere. In questo, la parte regionale è estremamente scrupolosa; tant’è che a volte anche delle modifiche che ha avanzato la parte statale in Commissione paritetica sono poi state riproposte all'approvazione della Giunta.
  Quindi, mi sembra che sul punto la prassi che si è instaurata in Sardegna assicuri uno strettissimo collegamento. Semmai questa prassi, che a mio avviso è positiva, in qualche modo riduce, ma non è necessariamente un difetto, il ruolo della Commissione paritetica nel suo insieme perché, come saprete, l'articolo 56 dello statuto sardo che disciplina la Commissione paritetica consente a questo organo anche un ruolo propositivo. Si prevede, infatti, che la Commissione paritetica «proporrà» norme di attuazione e le assegna quindi un ruolo autonomo.
  Nella prassi, però, l'organo nel suo insieme ha un ruolo più tecnico di lavoro sul testo, di aggiustamento e coordinamento giuridico, proprio perché il potere di proposta promana essenzialmente dalla parte regionale. Come ripeto, tuttavia, vista la natura politica essenziale all'attuazione della specialità, e forse è anche giusto che sia così, si potrebbe pensare a un maggior coordinamento e a un ruolo propositivo dell'intera Commissione che poi ovviamente interagisca nel suo insieme con la Giunta.
  Vengo al quesito che poneva domande sul ruolo del parere del Consiglio regionale previsto dallo statuto e su quanto lo stesso sia tempestivo o quanto invece rischi di bloccare l'iter di approvazione delle norme di attuazione.
  Ebbene, non essendoci un obbligo e una fissazione del termine, la parola «tempestivo» è relativa. Non stiamo parlando di un procedimento amministrativo, ma dell'adozione di un decreto legislativo, quindi di un atto politico, in cui entrano in gioco i tempi di calendarizzazione dentro il Consiglio regionale, i tempi della politica e anche la volontà politica.
Rinvio più nel dettaglio alla memoria che presenterò, dove ho analizzato le sorti e le vicende delle tre norme di attuazione che abbiamo attualmente pendenti, ereditate dalla precedente legislatura: la norma sui grandi invalidi del lavoro, la norma sul trasporto pubblico locale e quella delle entrate.
  Per alcune di queste, il Consiglio regionale ha arrestato e bloccato la norma di attuazione però sempre per rilievi seri che aveva da fare. Ad esempio, per la norma sui grandi invalidi ha chiesto che venissero dettagliate maggiormente le risorse. Quindi, in genere, se c’è un'inerzia del Consiglio regionale non è fine a se stessa, ma è una richiesta di integrazione e di adattamento.
  I tempi medi sono di qualche mese. Ad esempio, l'ultima norma approvata dalla precedente Commissione paritetica sulla sanità penitenziaria aveva visto il testo trasmesso dal Governo al Consiglio regionale sardo nel giugno del 2010 approvato nell'ottobre del 2010, quindi parliamo di tempi lunghi.
  Da questo punto di vista, ci sono delle criticità sui tempi che si dilatano, però essendo le norme di attuazione degli atti politici non mi sentirei di suggerire l'adozione di una tempistica o di porre vincoli al Consiglio regionale.
  Mi avvio alle conclusioni sulle ultime due domande. A mio avviso, la mancata Pag. 11attuazione degli Statuti speciali non è la causa del contenzioso tra lo Stato e le regioni speciali.
  Certo, se vi fossero più norme di attuazione, ciò significherebbe che ci sono più politiche concordate. Tuttavia, vorrei segnalare che l'assenza di tante norme di attuazione in Sardegna semmai è una ragione per cui la Sardegna perde i ricorsi, a differenza del Trentino Alto Adige che può usare, come evidenziava il presidente Pigliaru, la norma di attuazione a supporto del parametro di costituzionalità che invoca a difesa della legge.
  Attribuire la causa del contenzioso all'assenza di norme di attuazione a mio avviso non è corretto. Le cause sono più ampie. Sono politiche e sono date dal fatto che anche dopo la riforma del Titolo V, da un lato lo Stato ha continuato a comportarsi in parte come se lo stesso non esistesse e dall'altro lato le regioni hanno spinto troppo oltre la loro autonomia; penso alla stessa Sardegna, con la legge sulla tassa sul lusso ai non residenti. In altri casi, però, lo Stato ha impugnato delle politiche; penso ad esempio alla famosa legge sul vino Tocai del Friuli.
  Quindi, capite che il livello di differenziazione è l'essenza del regionalismo. Se si vogliono avere delle politiche differenziate sul territorio, occorre guardare al regionalismo come a una palestra di democrazia, ma anche come a un laboratorio di politiche. Tuttavia, se lo Stato impugna la norma sul vino Tocai, oppure, come è successo in Sardegna, la c.d. norma salva coste o quella sul calendario venatorio, intervenendo sugli aspetti di differenziazione che la regione cerca di perseguire per adattare la legislazione alle sue specificità, è appunto questa la causa del contenzioso.
  A volte le regioni hanno effettivamente tirato la corda, però altre volte è proprio una mancanza di comprensione di che cosa è il regionalismo.
  Infine, vengo all'ultima questione e con questa chiudo. Chiedete quale sia il futuro della specialità nell'ipotesi in cui entrasse in vigore il nuovissimo Titolo V. Ci sono due scenari che in parte avrete prospettato nella vostra domanda e sono entrambi plausibili.
  Da un lato, è ipotizzabile che la specialità torni ad essere un punto di forza e di sicurezza e che quindi quella sindrome di inferiorità rispetto alle regioni ordinarie venga meno.
  Allo stesso tempo, nonostante la clausola di salvaguardia e il meccanismo dell'intesa previsto dal nuovissimo Titolo V, è possibile anche che ci sia una paura a riformare gli Statuti per evitare corse al ribasso all'autonomia, anziché al rialzo, visto che il quadro complessivo sicuramente sottrae autonomia, anche se a mio avviso il nuovissimo Titolo V in parte fotografa una situazione che già esiste dal 2008, cioè da quando la Corte costituzionale ha modificato la sua giurisprudenza che prima era in senso collaborativo e guardava le materia come intrecciate, per introdurre il criterio della prevalenza delle materie, riducendo così gli spazi di autonomia regionale.
  Su questo aspetto è difficile fare previsioni, però ritengo importante che – come peraltro accade a livello comparato, dove la specialità, il regionalismo differenziato interno, l'asimmetria tra le regioni e la regola – il nuovo Titolo V abbia conservato questo status differenziato tra regioni ordinarie e speciali.
  Con questo chiudo il mio intervento.

  PRESIDENTE. Ringrazio la professoressa Ruggiu. Purtroppo, visto che tra poco iniziano i lavori del Senato e della Camera, non abbiamo la possibilità di far fare delle domande ai colleghi, che possono comunque farci pervenire per iscritto e noi le gireremo ai nostri auditi.
  Ringrazio i relatori anche per la documentazione che ci trasmetteranno e per il lavoro che stiamo facendo, non solo in via generale, ma anche per la discussione che sarà in corso al Senato sulla riforma costituzionale, soprattutto sulla parte che riguarda le regioni ad autonomia differenziata, peraltro in collegamento con il lavoro che questa Commissione sta facendo anche con il Governo e con il sottosegretario Pag. 12Bressa, proprio per stabilizzare un rapporto certo e chiaro tra lo Stato e tutte le regioni ad autonomia differenziata.
  Vorrei ricordare ai colleghi che proseguiremo le audizioni giovedì 2 luglio, alle ore 8, con il presidente del Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, Franco Iacop e la settimana successiva con la presidente della regione, Debora Serrachiani; con Ivano Strizzolo, presidente della Commissione paritetica e con Carlo Chiappinelli, presidente della sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la regione Friuli-Venezia Giulia.
  Nel ringraziare i nostri ospiti per la disponibilità manifestata, dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.25.