XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Giovedì 23 aprile 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 

SULLE PROBLEMATICHE CONCERNENTI L'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI DELLE REGIONI AD AUTONOMIA SPECIALE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL RUOLO DELLE COMMISSIONI PARITETICHE PREVISTE DAGLI STATUTI MEDESIMI

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti, del dottor Roberto Chieppa, Consigliere di Stato, e del Vicepresidente della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome, Franco Iacop.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 
Falcucci Mario , Presidente di coordinamento della Sezione delle autonomie della Corte dei conti ... 2 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 5 
Falcucci Mario , Presidente di coordinamento della Sezione delle autonomie della Corte dei conti ... 6 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 6 
Chieppa Roberto , Consigliere di Stato ... 6 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 9 
Iacop Franco , Vicepresidente della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome ... 9 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 12 
Gigli Gian Luigi (PI-CD)  ... 12 
Ribaudo Francesco (PD)  ... 13 
Kronbichler Florian (SEL)  ... 13 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 14 
Falcucci Mario , Presidente di coordinamento della Sezione delle autonomie della Corte dei conti ... 14 
Chieppa Roberto , Consigliere di Stato ... 15 
Iacop Franco , Vicepresidente della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome ... 16 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti, del dottor Roberto Chieppa, Consigliere di Stato, e del Vicepresidente della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome, Franco Iacop.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti, del dr. Roberto Chieppa, Consigliere di Stato, e del Vicepresidente della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome, Franco Iacop, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche connesse alle procedure di attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale e, in tale contesto, al ruolo delle Commissioni paritetiche previste dagli statuti medesimi.
  Nel ringraziare i presenti per la loro disponibilità, darei subito la parola al consigliere Mario Falcucci, presidente di coordinamento della sezione delle autonomie della Corte dei conti, che ringrazio.

  MARIO FALCUCCI, Presidente di coordinamento della Sezione delle autonomie della Corte dei conti. Sono io che ringrazio lei, presidente, anche a nome del presidente Squitieri, che mi ha delegato a partecipare a questa riunione. Evidentemente, le considerazioni che svolgerò sono della Corte dei conti e non mie personali.
  Abbiamo predisposto un testo molto articolato di più di 70 cartelle tra testo, appendici e tabelle. Non vi leggerò neppure la relazione, di circa trenta cartelle, perché penso che il presidente D'Alia esporrebbe il cartellino rosso a quel punto. Mi limiterò a leggere quattro cartelle della relazione che abbiamo steso. Noto che proprio la partecipazione anche dei rappresentanti delle regioni a statuto speciale in questa seduta accentua il clima di dialogo continuo che abbiamo proprio attraverso la Conferenza delle regioni e il coordinamento dei Consigli regionali. Mi fa particolarmente piacere esporre le nostre considerazioni anche in presenza dei rappresentanti regionali.
  In premessa, vorrei dire ancora che esprimiamo qui una posizione generale, mentre, come ricordava il presidente D'Alia, poi ci sarà un'audizione dei Presidenti delle sezioni regionali che lavorano nelle regioni ad autonomia speciale, quindi il nostro sarà un discorso più di quadro di sistema.
  Ricordo ancora che, tra le attività che svolgiamo, c’è la parifica dei rendiconti regionali e vi assicuro che quella che sembrava un'attività da addetti ai lavori è adesso anche sotto esame da parte della Commissione europea e di Eurostat. Non a caso, nei mesi scorsi ISTAT ha dovuto rispondere a delle osservazioni che avevamo fatto in sede di parifica, quindi il mondo delle autonomie speciali insieme a Pag. 3quello autonomie ordinarie è sotto la lente di Eurostat per gli ovvi problemi di consolidamento dei conti.
  Alcune delle problematiche attengono al fatto che l'esame che facciamo sui dati si riferisce alla contabilità finanziaria, mentre sapete che i dati delle regioni vengono rielaborati in termini di contabilità economica, quindi è sempre difficile estrarre i punti nodali della gestione. Troverete nelle tabelle i dati dell'indebitamento, dei residui della gestione in termini di impegno e di pagamenti: su tutti questi aggregati il peso delle regioni a statuto speciale è sempre tra il 20 e il 25 per cento, a seconda delle grandezze prese in considerazione, quindi stiamo parlando di un volume di risorse non certo trascurabile. Vi leggerei alcune cartelle estratte dal testo che abbiamo predisposto.
  La recente riflessione sulla riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, sfociata nel disegno di legge costituzionale Atto Camera 2613-A, non sembra riguardare le regioni a statuto speciale, anche se la prospettata riforma potrebbe determinare non trascurabili implicazioni sull'assetto di questo comparto. Restano, d'altro canto, in parte irrisolti i problemi legati all'attuazione degli statuti a seguito della revisione costituzionale del 2001. Sulla scia dei reiterati interventi della Corte costituzionale, della nuova governance europea dei conti pubblici e del protrarsi della crisi economica, un ruolo di assoluto rilievo ha finito per assumere il principio di coordinamento della finanza pubblica, finalizzato al rispetto degli obiettivi concordati in sede europea.
  Non rientra nelle attribuzioni della Corte pronunciarsi circa l'esigenza dell'integrale mantenimento o meno del modello autonomistico sancito nella Costituzione del 1948. Spetta invece alla Corte, dal suo osservatorio del controllo, esprimere giudizi complessivi di ordine istituzionale e finanziario sull'esperienza applicativa degli statuti di autonomia delle regioni e delle province autonome.
  In tale contesto vengono in evidenza i compiti delle Commissioni paritetiche nell'attuazione degli statuti e il ruolo crescente assunto dagli strumenti pattizi in materia finanziaria. La disciplina dei rapporti finanziari è stata negli ultimi anni prevalentemente affidata alla legge di stabilità sulla base di intese bilaterali. I ritardi riscontrati nell'attuazione degli statuti possono essere attribuiti anche alla discontinuità dell'azione delle Commissioni, legata principalmente alla necessità della loro ricomposizione ad ogni avvicendarsi dei Governi nazionali e regionali ed alla complessità delle procedure istruttorie. Queste ultime, infatti, risentono di una non compiuta regolamentazione delle fasi di formazione degli schemi di decreto che includono l'esame da parte delle Commissioni paritetiche e dell'intervento nel procedimento delle amministrazioni statali coinvolte.
  Tali difficoltà potrebbero trovare in alcuni casi ulteriore ostacolo nell'esigenza di dare attuazione a norme statutarie risalenti, che si confrontano con un quadro normativo in continua evoluzione. Per queste ragioni, la funzione di interpretazione dello statuto assegnata alla norma attuativa conserva una sua pregnante attualità. Negli ambiti di attuazione non connessi alla materia finanziaria lo strumento operativo oggi previsto è quello del decreto legislativo, che potrebbe essere maggiormente funzionale se accompagnato dall'introduzione di meccanismi che consentano una più spedita conclusione dei procedimenti concertativi.
  Sullo specifico versante dei rapporti finanziari sia lo strumento del decreto legislativo sia quello delle leggi statali adottate previa intesa costituiscono procedimenti da ritenersi entrambi validamente percorribili. Si tratta di una produzione normativa accomunata dalla caratteristica di essere dotata di forza specifica rispetto alla legge ordinaria. Si rileva dall'osservazione oggettiva che nella materia finanziaria la tendenza affermatasi negli ultimi anni è quella del costante ricorso all'emanazione di una legge statale preceduta da una fase concertativa. In un quadro di finanza pubblica deteriorato, ciò è dovuto all'esigenza di dare risposte tempestive alle pressanti istanze di coordinamento finanziario Pag. 4ai fini del consolidamento dei conti pubblici e del rispetto dei vincoli comunitari.
  D'altronde, la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto tali priorità di intervento ritenendo ammissibile che, laddove il procedimento concertato non sia ancora approdato ad un'intesa, la legge statale possa comunque produrre i suoi effetti per un periodo limitato (recente sentenza n. 19 del 2015). In applicazione degli stessi princìpi, la Consulta ha dichiarato illegittima una modificazione unilaterale del contributo richiesto alle regioni a statuto speciale in assenza della predeterminazione dei criteri e delle necessarie previe intese (sentenza n. 65 del 2015).
  L'adozione di norme statali previo accordo, in quanto fondata su strumenti condivisi, ha comportato anche un effetto deflattivo del contenzioso costituzionale. A seguito, infatti, del raggiungimento delle intese, talune regioni a statuto speciale hanno rinunciato ai ricorsi già proposti. Qui si fa riferimento alle sentenze nn. 19, 46 e 65 di quest'anno.
  È da ricordare che quello delle norme finanziarie è solo uno degli ambiti di disciplina che potrebbe essere affidato alle norme di attuazione, e che l'emanazione dei decreti legislativi può produrre un irrigidimento della disciplina rispetto ad una legge ordinaria statale. Nel processo di revisione costituzionale, il previsto ridimensionamento delle funzioni assegnato alle regioni ordinarie potrebbe accentuare il divario con le regioni a statuto speciale.
  Ad avviso della Corte, nella complessiva riallocazione delle funzioni tra diversi livelli di governo risulta essenziale la verifica dei raccordi tra funzioni, fabbisogni e risorse assegnate. Appare comunque necessaria una riforma per assicurare alle regioni a statuto speciale per quanto possibile e nell'ambito del concorso al risanamento del Paese certezze e stabilità di gettito con riferimento anche alle funzioni intestate agli enti sulla base delle norme di attuazione degli statuti. Tralascio alcune cose meno importanti ed a cui ho in qualche modo fatto cenno: si parla di 40 miliardi di euro all'anno in termini di impegno e di spesa.
  Le regioni a statuto speciale e le province di Trento e Bolzano, che hanno mantenuto la loro autonomia differenziata anche dopo la riforma del Titolo V della Costituzione e che sono destinatarie della clausola di maggior favore di cui all'articolo 10, comma 1, della legge costituzionale n. 3 del 2001, sino ad adeguamento dei rispettivi statuti, sono chiamate a modificare la disciplina della propria potestà finanziaria alla stregua della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia in coerenza con i princìpi del nuovo articolo 119 della Costituzione, aventi un'efficacia non limitata alle sole regioni a statuto ordinario, ma riferibili al sistema complessivo delle autonomie territoriali.
  L'esigenza di procedere ad una riforma della disciplina dell'autonomia finanziaria deriva anche dalla legge n. 42 del 2009, con la quale il Governo è stato delegato a dare attuazione all'articolo 119 della Costituzione. La legge, pur applicandosi alle regioni a statuto speciale solo per alcuni aspetti specifici, all'articolo 27 impone anche alle regioni speciali le regole di matrice solidaristica che sostanziano il principio unitario e ribadisce il principio bilaterale che da sempre caratterizza i rapporti tra Stato e autonomie speciali.
  Anche se le fonti dell'autonomia finanziaria delle regioni a statuto speciale, a differenza di quanto previsto per le regioni a statuto ordinario, continuano a essere costituite dagli statuti e dalle rispettive norme di attuazione, è da ricordare la circostanza che, sul piano dell'autonomia finanziaria e del coordinamento con la finanza statale, l'esigenza di adeguamento è stata realizzata di frequente con un percorso differente; e ciò sulla base di specifiche previsioni statutarie, che per le disposizioni in materia finanziaria consentono la modifica attraverso una legge ordinaria dello Stato il cui contenuto sia stato oggetto di accordo tra lo Stato e la regione o la provincia autonoma. È una sorta di decostituzionalizzazione che ha dato quali frutti gli accordi siglati a far Pag. 5tempo, in particolare, dal 2009 tra talune regioni a statuto speciale e province autonome e lo Stato.
  La definizione bilaterale delle misure da assumere per il coordinamento della finanza pubblica, prima di tradursi nelle norme di attuazione, ha così trovato riconoscimento normativo attraverso leggi ordinarie rinforzate. Ciò nondimeno e senza disconoscere l'indubbia utilità dei nuovi strumenti pattizi, è da ritenere che anche la materia finanziaria postuli quale momento di chiusura la modifica delle norme di attuazione degli statuti, da definire allo stato attraverso le consuete procedure in seno alle Commissioni paritetiche, le quali, nonostante criticità funzionali e lentezze, costituiscono ancora sede appropriata per la ponderazione degli interessi statali e delle autonomie speciali in ambito regionale.
  Quel che merita evidenziazione è che, comunque, anche il comparto delle autonomie speciali non può essere affrancato dal principio del coordinamento della finanza pubblica ed è sottoposto, al pari degli altri soggetti istituzionali, alle regole della Costituzione economica del nostro Paese. Sul piano delle risorse gestite nel sistema delle autonomie differenziate, può ricordarsi che l'incidenza delle entrate e delle spese degli enti ad autonomia speciale sui corrispondenti aggregati dell'intero comparto regionale, pur attestandosi su livelli ancora elevati, è segnata negli ultimi anni da un progressivo lento arretramento, evidentemente per effetto delle manovre correttive adottate per far fronte all'emergenza finanziaria e ai vincoli concordati in sede europea.
  È noto, peraltro, che l'area delle autonomie speciali è contraddistinta da un forte grado di asimmetria in termini di acquisizione delle entrate, di correlata capacità di spesa, di funzioni esercitate e di regimi contabili. Su quest'aspetto, una spinta verso la uniformità sarà data dal processo di armonizzazione in atto.
  Sembrano maturi i tempi per procedere alla definizione di un quadro unitario di princìpi fondamentali e di criteri generali per tutte le autonomie speciali, che, nel rispetto dei princìpi costituzionali di tutela delle minoranze, di pari opportunità, di non discriminazione, di perequazione, di solidarietà e di salvaguardia dei livelli essenziali dei diritti civili e sociali, assicuri una stretta correlazione tra risorse finanziarie e funzioni svolte da ogni singola regione nel rispetto degli impegni derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. Le differenziazioni dovrebbero riferirsi ad ambiti di funzione esercitate e non basarsi su meccanismi di mero ordine fiscale sganciati da ogni riferimento a misure oggettive di fabbisogni, in coerenza con i princìpi affermati dalla Corte costituzionale anche nella sentenza n. 19 del 2015.
  In tale quadro dovrebbero muoversi sia le intese, gli accordi e le negoziazioni tra Stato e regioni ad autonomia speciale, che sul piano finanziario stanno assumendo un ruolo sempre maggiore, sia le modifiche delle norme di attuazione, che, sentite le Commissioni paritetiche, costituiscono ancora oggi l'approdo naturale.
  Va posto in rilievo in questo ambito il ruolo della Corte dei conti, organo di rilevanza costituzionale dello Stato-comunità, nella verifica dell'attuazione anche nelle autonomie speciali dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica, funzione esercitata in particolare dalle sezioni regionali di controllo nell'ambito dei giudizi di parificazione dei rendiconti generali regionali.
  In tale ottica, vanno considerate le innovazioni recate dal decreto-legge n. 174 del 2012, che richiedono, alla luce della sentenza n. 39 del 2014 della Corte costituzionale, una sollecita emanazione della disciplina di attuazione statutaria dei controlli della Corte nelle regioni a statuto speciale.

  PRESIDENTE. La ringrazio, presidente, anche per il lavoro che la Corte ha inteso fornirci con questa relazione analitica, che abbiamo già messo in distribuzione. Consentitemi di salutare e ringraziare anche Adolfo Teobaldo De Girolamo, Presidente preposto al referto della sezione autonomie, Francesco Petronio, Presidente della Pag. 6sezione regionale controllo per la Sardegna, Carlo Chiappinelli, presidente della sezione regionale controllo Friuli-Venezia Giulia, la consigliera Adelisa Corsetti, magistrato della sezione autonomie, il consigliere Alfredo Grasselli, magistrato della sezione autonomie, il consigliere Paolo Peluffo, magistrato preposto all'ufficio stampa, e il dottor Roberto Marletta, funzionario dell'ufficio stampa. Prima di passare la parola al dottor Chieppa, chiedo se vi siano altri magistrati che intendono prendere la parola.

  MARIO FALCUCCI, Presidente di coordinamento della Sezione delle autonomie della Corte dei conti. Se posso aggiungere una considerazione, ovviamente ogni anno facciamo un referto sulla finanza regionale. Le assicuro che la convocazione oggi a questa riunione ci ha consentito anche di approfondire temi che poi saranno ulteriormente sottolineati nell'ambito del prossimo referto, quindi per noi è stata un'utile occasione di approfondimento.

  PRESIDENTE. Anche da questo punto di vista la ringraziamo, perché siamo un po’ più utili di quanto forse non immaginiamo.
  Do quindi la parola al dottor Roberto Chieppa, consigliere di Stato, che ringrazio.

  ROBERTO CHIEPPA, Consigliere di Stato. Mi riservo di farvi avere un testo successivamente al mio intervento, nel quale cercherò di dare delle possibili risposte ai quesiti che ho visto che sono stati posti al centro dell'indagine conoscitiva, per poi trarre delle conclusioni finali.
  Mi sembra che uno dei punti principali dell'indagine sia di cercare di individuare le ragioni della ritardata, in alcuni casi mancata, attuazione delle norme degli statuti speciali. Ci si chiede da cosa dipenda, se dalla vaghezza di alcune disposizioni degli statuti o dal procedimento di attuazione. Penso che di questi ritardi nel corso del tempo, le ragioni siano molteplici e possano variare da regione a regione. Forse per alcune regioni a statuto speciale la vaghezza di alcune norme statutarie aveva consentito una maggiore libertà di manovra e di possibilità di trattativa in passato.
  È avvenuto anche nel passato che spesso le norme di attuazione degli statuti delle regioni a statuto speciale hanno seguìto con ritardo quello che avveniva con le regioni ordinarie. Molto spesso, tale ritardo non era compensato da una maggiore incisività dei trasferimenti. Abbiamo molti esempi, che citerò negli atti che lascerò, in cui il trasferimento di funzioni e competenze alle regioni ordinarie è seguìto da norme di attuazione che nulla hanno aggiunto, ma con ritardo hanno trasferito competenze alle regioni a statuto speciale. Questo ha fatto parlare la dottrina di una sorta di specialità in negativo, in cui le regioni a statuto speciale in alcuni casi rincorrevano le competenze delle regioni ordinarie. Non sempre è stato così: vi sono stati anche esempi virtuosi in cui questo non è avvenuto.
  Questi ritardi hanno avuto cause diverse. Alcune sono state già ricordate dal collega della Corte dei conti: situazioni di stallo all'interno delle Commissioni paritetiche, ritardi nella composizione nei rinnovi delle stesse Commissioni, cambi di legislatura e di Governo, un'inerzia del Governo dopo l'elaborazione dei testi dei decreti da parte delle Commissioni, a volte una scarsa inventiva nel cercare di sfruttare l'autonomia speciale.
  Altro punto posto al centro dell'indagine è lo strumento del decreto legislativo e la natura dei decreti legislativi emanati dopo il lavoro delle Commissioni paritetiche. Sapete che vi fu un contrasto in dottrina e nella giurisprudenza costituzionale tra le tesi sul valore da attribuire alle Commissioni paritetiche. Questo contrasto si è da tempo risolto, nel senso che le norme di attuazione si pongono in un livello intermedio tra Costituzione e legge ordinaria, e proprio questa sovraordinazione rispetto alla legge ordinaria costituisce lo strumento che consente di dare piena attuazione agli statuti speciali. Questo comporta che, da un lato, le norme di attuazione possono essere oggetto di sindacato Pag. 7di costituzionalità, ovviamente rispetto alla Costituzione; dall'altro, integrano un parametro utilizzabile dalla Corte in sede di giudizio di legittimità di leggi statali o regionali. Le norme di attuazione possono essere non solo secundum legem, ma anche praeter legem.
  Penso che questa maggiore efficacia e resistenza sia indispensabile per garantire la piena attuazione degli statuti speciali. Molto spesso, nel procedimento di formazione delle norme di attuazione, la loro maggiore forza non è compresa dalle amministrazioni statali. Io ho fatto parte di Commissioni paritetiche e molto spesso nel corso del procedimento viene obiettato, a fronte di una certa proposta, l'esistenza della norma di legge ordinaria che prevede una cosa diversa. È evidente che obiezioni di questo tipo non possono in alcun modo ostacolare il processo di formazione delle norme di attuazione. Norme di attuazione senza questa natura di maggiore efficacia non avrebbero alcun senso, in quanto la loro vincolatività sarebbe solamente apparente.
  Sul concreto funzionamento delle Commissioni paritetiche ho fatto prima riferimento ad alcuni elementi critici, alcune situazioni di stallo che si possono creare. Molto spesso, manca un rapporto continuo tra le parti e i componenti di rispettiva nomina, soprattutto a volte dalla parte statale. Sicuramente bisognerebbe introdurre meccanismi che evitino queste situazioni di stallo: soprattutto quando il cambio di legislatura statale si differenzia, come sempre avviene, dal cambio di legislatura regionale o delle province autonome, i periodi di stallo rischiano di essere eccessivamente lunghi.
  Sul procedimento la prassi ha individuato alcuni punti critici. Che cosa succede ? I testi, una volta elaborati dalle Commissioni paritetiche, quindi superata la fase del confronto bilaterale e arrivati ad un accordo bilaterale da parte dei rappresentanti in seno alla Commissione, subiscono un rallentamento dopo questa fase. In realtà, dopo quest'ultima, la fase cosiddetta tecnica di formazione dei testi si dovrebbe ritenere conclusa, se non per qualche limitata operazione di drafting, e si dovrebbe entrare solo in una fase politica. Non sempre è così.
  Io parlo di elaborazione, ma i vari statuti utilizzano forme diverse per i compiti delle Commissioni paritetiche. La prassi dimostra come la proposta venga quasi esclusivamente dalle regioni o dalle province autonome, e forse lo Stato dovrebbe un po’ riflettere sulla ragione per cui a volte non prende egli stesso l'iniziativa di dare attuazione agli statuti. In ogni caso, su quella proposta si acquisiscono i pareri di tutte le amministrazioni statali interessate. È evidente che il parere negativo, espresso non a livello politico ma dall'apparato burocratico di una determinata amministrazione, non possa ostare al prosieguo dei lavori. Molto spesso, infatti, come dicevo, questi pareri non tengono conto che le norme di attuazione sono in grado di imporsi anche rispetto alle norme di legge ordinaria.
  Una volta formatosi il consenso tecnico all'interno della Commissione, queste norme vengono trattate spesso come ordinari atti normativi, e quindi sottoposti a un pre-Consiglio dei ministri, in cui intervengono nuovamente le strutture tecniche delle amministrazioni e spesso si riapre il problema non sulla mera operazione di drafting, ma proprio sul contenuto delle norme. Penso che questa fase non dovrebbe essere possibile. Ben possono passare dal cosiddetto pre-Consiglio dei ministri, che può anche essere una prassi, ma solo per un'opera di drafting, non per mettere in discussione il contenuto delle norme.
  Ovviamente, questo non significa che vi sia un obbligo del Governo ad approvare le norme. Il Governo può decidere come scelta politica di non approvarle, e in questo forse dovrebbe essere – non conosco il rango della norma che deve prevederlo – previsto un obbligo del Consiglio dei ministri a prendere in esame entro un termine ragionevole le proposte delle Commissioni. Questa è una tesi che sostenne anche il professor Silvestri, all'epoca Pag. 8Presidente della Corte costituzionale, oggi Presidente emerito, e quindi è una tesi autorevolmente sostenuta.
  A mio avviso, un altro miglioramento è la possibilità di dare pubblicità alle proposte, ai pareri, ai verbali, all'iter delle norme nelle Commissioni paritetiche. Attualmente, questa pubblicità non esiste. Le singole Commissioni dovrebbero calendarizzare le proprie riunioni, potrebbero prevedere una programmazione dei propri lavori, dovrebbe esservi un maggior raccordo tra le Commissioni paritetiche. Spesso vengono trattati, pur nell'ambito della diversità degli statuti, questioni analoghe nell'inconsapevolezza che la sta trattando anche l'altra Commissione paritetica. Ho visto spesso su questioni analoghe pareri diversi delle amministrazioni statali. Forse delle riunioni dei componenti delle Commissioni paritetiche, sia quelli di rappresentanza regionale sia quelli rappresentanza statale, una comunicazione reciproca degli ordini del giorno, potrebbero essere utilizzate.
  Penso che lo strumento delle Commissioni paritetiche delle norme di attuazione per le ragioni che ho detto sia ancora valido: che può essere perfezionato, ma sicuramente una regolazione condivisa ha maggiore possibilità di essere ben attuata e di prevenire i conflitti.
  Mi accingo a trarre le conclusioni. In fondo, in questi giorni stiamo sentendo anche sui mass media domande poste sulla permanenza delle ragioni che hanno indotto a istituire e a mantenere, anche dopo la riforma del Titolo V, le autonomie speciali. Presterei molta attenzione e ho molte perplessità sulla tesi di chi ne propone l'abolizione. Le autonomie speciali non furono il frutto di un accordo concluso per mere ragioni di opportunità politica. Trovano una ragione in peculiarità, a seconda delle singole regioni e province autonome, nell'assetto e nelle caratteristiche di ciascun territorio, di ciascuna popolazione.
  Non essendone la creazione l'effetto di pure evoluzioni politiche, ma un portato della storia, penso che non sia possibile la loro cancellazione per effetto, appunto, di pura volontà politica. Oltretutto, per singole regioni ci sono problemi anche di diverso tipo. Nel caso del Trentino-Alto Adige, ad esempio, vi è un problema di rispetto degli accordi internazionali, in altre c’è l'esigenza di tutelare le minoranze linguistiche, per cui ci sarebbe un problema anche con la prima parte della Costituzione. Né penso neanche che la strada possa essere quella di rendere più speciali le regioni ordinarie: è evidente che, se tutte le regioni diventassero speciali, nessuna lo sarebbe. Altro è l'autonomia differenziata prevista dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
  Penso, però, che un problema di corretto utilizzo delle risorse, per il quale a mio avviso i documenti della Corte dei conti possono indicare le migliori modalità, sia il nucleo del dibattito che riguarda i lavori di questa Commissione. Ricorderete che, nella dichiarazione di Aosta del 2006, le autonomie speciali rivendicarono il proprio ruolo, perché era il momento in cui si iniziavano a porre un po’ in discussione le ragioni della loro esistenza. Penso che da quel momento sia cambiato qualcosa, si sia modificata un po’ la giurisprudenza della Corte costituzionale. Le stesse regioni e province autonome hanno acquisito consapevolezza, derivante anche dalla crisi economica, che qualcosa era cambiato.
  Il legislatore statale ha introdotto delle norme, poi ritenute costituzionalmente legittime dalla Corte costituzionale, con cui ha cercato di prevedere modalità di attuazione di autonomie speciali che poi comportino anche dei risparmi per lo Stato. All'inizio, queste norme furono contestate dalle regioni a statuto speciale. Anche l'ultimissima stagione degli accordi, quelli conclusi nel 2014, dimostra come il bilateralismo nei rapporti tra Stato e autonomie speciali porti buoni frutti. Innanzitutto, ha consentito di risolvere una serie di questioni: come ha fatto la già citata sentenza n. 19 del 2015, dando atto della rinuncia ai ricorsi da parte di molte regioni che nel frattempo hanno fatto accordi. Con essi avevano ottenuto tutte e due le parti, Stato e autonomie speciali, Pag. 9innanzitutto la certezza sui trasferimenti, sul quantum con cui dovevano compartecipare alla perequazione le regioni a statuto speciale.
  Penso che la certezza dei soldi che si hanno a disposizione sia molto importante, e che non possa spesso attendere i tempi del giudizio costituzionale. Ha ottenuto poi una serie di possibilità diversificate, tra cui il credito e la possibilità di prevedere crediti di imposta: una serie di possibilità sicuramente interessanti.
  Penso che i vantaggi che si hanno da quest'utilizzo degli accordi – anche il sistema delle Commissioni paritetiche è fondato sull'accordo tecnico al proprio interno – siano molto interessanti da sviluppare, anche nell'ambito di trasferimenti di competenze che non seguano più i vecchi criteri (ma credo si sia abbandonato da tempo il criterio dei costi storici di quelle competenze in capo allo Stato), ma che comportino risparmi per lo Stato. Qui è la sfida delle autonomie speciali: dimostrare che con l'assunzione delle competenze, esse possono essere meglio esercitate dalle autonomie speciali con risparmio per lo Stato, che se ne libera, e con assunzione diretta più virtuosa ed efficiente da parte delle regioni a statuto speciale.
  Sicuramente, una riforma degli statuti può essere necessaria e utile. In attesa di questa riforma, credo che già oggi vi siano i germi nell'ordinamento per sperimentare nuove forme di autonomia all'interno degli attuali statuti delle regioni a statuto speciale, nella consapevolezza che un'autonomia forte e differenziata non può consistere in una rivendicazione egoistica di competenze o di autonomia contabile. A mio giudizio, di questo vi è ormai consapevolezza all'interno delle autonomie speciali.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto il consigliere Chieppa.
  Saluto i rappresentanti della conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome, il dottor Roberto Bizzo, vicepresidente del Consiglio della provincia autonoma di Bolzano; il dottor Bruno Dorigatti, presidente del Consiglio della provincia autonoma di Trento; il dottor Gianfranco Ganau, presidente del Consiglio regionale della Sardegna; il dottor Franco Iacop, presidente del Consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia; i tecnici della conferenza, Paolo Pietrangeli, Sabina Carulli, Alfonso Di Giovanni, Dolores Laie Augusto Viola.
  Darei la parola al presidente del consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, dottor Franco Iacop, che ringrazio, per la sua relazione.

  FRANCO IACOP, Vicepresidente della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome. Sono io a ringraziare lei, presidente, come gli onorevoli componenti della Commissione bicamerale, per quest'audizione che riteniamo assolutamente importante, soprattutto in questa fase storico-politica di riforme, e quindi anche di riflessione sull'ordinamento dello Stato e sulla permanenza, come è stato detto, di alcune forme particolari, quali sono appunto nell'ordinamento statale le autonomie speciali.
  Voglio portare anche il saluto del collega presidente Ardizzone della Sicilia, che per ragioni di salute ha dovuto improvvisamente disertare quest'incontro, cui teneva molto, e del presidente della Val d'Aosta Rollandin, che per ragioni politiche, siccome stanno ridefinendo accordi politici di maggioranza, è rimasto bloccato in regione.
  La nostra relazione consta di una parte illustrativa generale e di una parte per la quale, rispetto ad una serie di quesiti posti, ogni Consiglio regionale ha specificato la propria posizione. Vorrei dire innanzitutto che le relazioni sia del presidente Falcucci, che saluto insieme a tutti i suoi colleghi presidenti e consiglieri della Corte dei conti, sia del consigliere Chieppa hanno sostanzialmente inquadrato, e direi quasi esaustivamente trattato temi che fanno parte anche della relazione che abbiamo predisposto come coordinamento dei presidenti delle Assemblee legislative Pag. 10delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, ritrovandoci in gran parte in quello che è stato affermato.
  Dall'incontro che abbiamo avuto con lei, presidente D'Alia, in sede di Conferenza abbiamo condiviso come di fatto, rispetto all'esito dei precedenti lavori della Commissione circa l'assottigliamento delle competenze delle autonomie speciali riferite agli effetti dell'approvazione del Titolo V al tempo, siamo passati oggi ad una nuova opportunità, stante la riforma costituzionale in corso, che sostanzialmente riconosce, e direi quasi a questo punto riprende, il tema delle autonomie speciali nel confermare l'articolo 116, primo comma, fissando di fatto l'esistenza, e quindi la permanenza del sistema delle autonomie speciali nell'ordinamento statale.
  Chiaramente, siamo convinti che le ragioni della specialità, che hanno profili differenti a seconda di ogni singola autonomia speciale, permangano e siano ancora attuali. Siamo convinti che non ci siano solo ragioni storiche identitarie, che ovviamente sono la base fondante del riconoscimento del sistema delle autonomie speciali, ma anche, con diversa intensità ed articolazione a seconda delle diverse autonomie, ragioni geografiche, tra cui l'insularità e l'integrazione con i territori transfrontalieri.
  Cito l'esempio della mia regione, che è stata per anni una frontiera chiusa di sistema, di contrapposizione, mentre ora è diventata una frontiera molto aperta, con un grado di integrazione, di prossimità e anche di relazione con il sistema dell'ampliamento dell'Unione europea che oggi pone questioni assolutamente diverse, sempre originali, sempre uniche, nella dimensione di queste relazioni.
  Proprio in chiave europea vorrei richiamare il Trattato di Lisbona, dove di fatto vengono riconosciute le autonomie territoriali locali e dove la potestà legislativa regionale è considerata elemento costitutivo delle politiche nazionali ed europee e tratto importante delle politiche di coesione dell'Unione europea, appunto attraverso la caratterizzazione locale e territoriale del sistema delle regioni. Siamo convinti, come è scritto nei testi, che gli elementi caratterizzanti la specialità sia l'esistenza di fonti atipiche di rango primario e sub-costituzionale, alle quali è riservata l'attuazione degli statuti costituzionali.
  Questo, però, non può avvenire, come oggi, con l'aggravamento procedurale che spesso porta, per le ragioni ampiamente riportate soprattutto dal consigliere Chieppa, ad un appesantimento della partecipazione e dell'attuazione delle norme statutarie relativamente alla temporalità delle discussioni e del confronto all'interno del sistema delle Commissioni paritetiche. Siamo convinti, però, che vadano mantenuti e valorizzati questi istituti non solo di garanzia, ma soprattutto di adeguamento ed evoluzione della specialità. A nostro avviso, questo è proprio il luogo in cui si possono raggiungere ed ottenere questi risultati.
  Il tema della possibile riespansione degli elementi distintivi della specialità, le peculiarità delle diverse collettività, le forme istituzionali di discipline normative proprie di ogni singola autonomia speciale debbono trovare nelle Commissioni paritetiche il luogo nel quale si può sviluppare e riprendere il tema, appunto, della caratterizzazione della specialità.
  Siamo anche convinti, però, che questo modello delle regioni speciali possa offrire elementi per l'implementazione di forme concrete di autonomia aderenti anche alle specifiche esigenze delle singole regioni ordinarie. Siccome nella riforma costituzionale viene mantenuto anche l'articolo 116, terzo comma, il quale di fatto apre l'opportunità anche al sistema della regioni ordinarie non con una generale, come diceva il consigliere Chieppa, specializzazione delle autonomie ordinarie, ma attraverso processi di rapporto bilaterale responsabile tra sistema regionale e Governo e Stato centrale, ecco che l'esperienza delle paritetiche può essere utile per elaborare le forme di relazione e di sviluppo di questa previsione. Se questa sarà mantenuta all'interno dell'articolo 116, terzo comma, come abbiamo ragione Pag. 11ormai di considerare, ciò rappresenterà un'opportunità per lo sviluppo del nuovo regionalismo nel nostro Paese.
  Rimarchiamo poi ovviamente – questo sarà oggetto delle audizioni successive, che so che questa Commissione ha già in calendario – che le Commissioni paritetiche sono singole e originali per ogni autonomia speciale, quindi i temi verranno sviluppati nelle singole audizioni, che riguardano la specificità singola. Al di là, però, delle differenze testuali di ogni singolo statuto, che prevede formule anche diverse di intervento, di partecipazione, di livello di intervento sia del governo regionale sia dell'Assemblea legislativa regionale, sembra che il modello consensuale sia quello che prevale in questo senso, anche a seguito delle sentenze ripetute della Corte costituzionale.
  Secondo queste ultime, le Commissioni paritetiche, per quanto dotate di parere consultivo obbligatorio ma non vincolante, devono essere poste in grado di esaminare ed esprimere il proprio avviso in schemi di decreti legislativi che il Governo, a conclusione del proprio lavoro preparatorio, si appresta definitivamente ad adottare ai fini dell'attuazione della disciplina statutaria. Questo serve, ovviamente, per confrontare il testo dell'accordo preliminare uscito dalle Commissioni paritetiche, e quello che poi, come diceva il consigliere Chieppa, è il risultato di un'ulteriore mediazione e riflessione, che va al di là della pura valutazione tecnica dello strumento, ma diventa di fatto una seconda valutazione politica unilaterale da parte degli organi del Governo, dei ministeri e dell'amministrazione centrale.
  In questo senso, crediamo sia importante che nell'indagine conoscitiva possano essere offerti elementi interessanti con un'audizione specifica dei rappresentanti del Governo con competenza sulla materia, per comprendere proprio quale sia e quale debba essere la finalità dell'intervento degli organi del Governo sull'iter procedurale dell'attuazione delle norme statutarie. È vero, infatti, che dipende anche fortemente dalla capacità di ciascuna regione, ed è chiaro che esiste un accordo anche di natura politica tra le parti nello sviluppo del confronto in paritetica e nel successivo passaggio verso l'approvazione del Governo; è altrettanto vero, però, che questo non può far dipendere l'esito dell'accordo intervenuto in Commissione paritetica dalle mutate condizioni di rappresentanza governativa e, ancor di più, di rappresentanza politica. Al mutare della politica nel corso della procedura già avviata o conclusa in Commissione paritetica, non può mutare l'atteggiamento o la valutazione né si può intervenire a cambiare unilateralmente i contenuti dell'accordo stesso.
  Su questo punto il dato sicuramente va in qualche maniera riferito ad un percorso procedimentale che deve essere, con un intervento legato alla definizione di quelle che possono essere delle procedure fissate, più garantista rispetto a quanto non sia oggi nella valutazione, come dicevamo, delle fasi finali per giungere alla decretazione.
  C’è il tema dell'intervento legislativo per quanto riguarda l'ordinamento finanziario regionale. In questo caso, c’è stata l'espressione anche da parte di autorevoli auditi stamattina sulla necessità di riportare anche questo in qualche modo all'interno della dimensione negoziale, che poi trova nella Commissione paritetica la sintesi: ovviamente, questa è una parte importante. C’è la questione, anche ribadita, della necessità o dell'opportunità che sia previsto o riferito all'attività delle Commissioni paritetiche il tema delle intese politiche Stato-regioni. Questo dovrebbe essere di fatto l'aspetto propedeutico al lavoro delle Commissioni paritetiche.
  L'applicazione di quel modello consensualistico è stata evidenziata dalla Corte costituzionale e anche dal presidente Silvestri, che ha avuto modo di svolgere una lectio magistralis in occasione dei 50 anni del consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia, dove lo ha riportato come il modello a cui tendere non solo per la piena attuazione della dimensione delle specialità, ma anche per un regionalismo avanzato, consensuale, concertato, partecipato. Esso trova nella definizione del corpo Pag. 12politico e nello sviluppo nelle Commissioni paritetiche della parte attuativa il principio del leale rapporto tra le istituzioni, siano esse lo Stato o le autonomie locali.
  In questo senso, credo che anche la previsione dell'articolo 39 del disegno di legge costituzionale, che di fatto prevede una revisione degli statuti a seguito dell'intesa, possa essere affrontata con queste forme consensualistiche e concertate, definendo anche nuove procedure per quanto attiene allo sviluppo del lavoro delle Commissioni paritetiche e, ovviamente, facendo tesoro delle prassi finora sviluppate e tendendo da queste ad una loro codificazione. In ogni caso, l'obiettivo è che i processi decisionali abbiano tempi certi, risposte adeguate e responsabilità di intervento affidate alle parti, che rendano merito ed attuazione agli sviluppi e i risultati della procedura consensuale e concertata tra le amministrazioni.
  Concluderei qui per lasciare la parola ai miei colleghi che volessero aggiungere qualcosa, onde definire i propri aspetti peculiari, che sono poi la ricchezza delle autonomie e delle specialità autonome.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Iacop anche per averci consegnato un documento che riassume non solo i termini delle questioni oggetto della nostra indagine conoscitiva, ma anche l'opinione delle Assemblee elettive delle regioni ad autonomia differenziata.
  Dal momento che non ci sono altri auditi che vogliono intervenire e considerato che abbiamo circa venti minuti di tempo, perché poi iniziano i lavori della Camera e del Senato, do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAN LUIGI GIGLI. Anzitutto, vorrei dare tre piccolissime pennellate, una su quanto appena riferito dal presidente Iacop. Rispetto al modello di revisione consensuale, penso che l'emendamento approvato in sede di riforma costituzionale che riguarda i poteri sostitutivi dello Stato, con limitazione di questi fino all'approvazione dei nuovi statuti, possa dare garanzie che il modello consensuale in qualche modo andrà avanti. Raccolgo il suo invito a vedere le autonomie speciali come modello per forme di regionalismo differenziato, con possibilità di assunzione di nuove competenze anche per le regioni ordinarie.
  Per quanto riguarda la relazione del presidente Chieppa, che ho visto con molto interesse, ritengo che l'impostazione che ha dato sia sostanzialmente quella più corretta, cioè una visione tutto sommato rispettosa del principio di sussidiarietà letto come un esercizio di responsabilità, se non ho capito male, e quindi del tutto diversa da chi vede nelle regioni a statuto speciale un'isola di privilegi e basta.
  Il dato politico con il quale, però, ci confrontiamo oggi è assolutamente diverso. La marea montante è di tipo neocentralistico e prevede al massimo, dal punto di vista delle autonomie, l'individuazione di macroregioni, temi questi con i quali nella discussione della riforma costituzionale ci si è ampiamente confrontati. Tra l'altro, il discorso delle macroregioni porrebbe dei quesiti non di poco rilievo rispetto alla ragione stessa per cui furono istituite le regioni in Italia, cioè per un avvicinamento della sede di governo al cittadino – cosa che viceversa a mio avviso, nell'ipotesi delle macroregioni, andrebbe ulteriormente a perdersi e a diluirsi.
  Qui viene il punto dalla questione, sul quale chiederei invece una riflessione e, se possibile, dei dati ulteriori al presidente Falcucci. Credo che tutto si giochi alla fine su questo punto: se siamo in grado di dimostrare che il rapporto tra risorse e funzioni o, se vogliamo, tra competenze e costi, non è sbilanciato, cioè se l'esercizio della responsabilità si accompagna quantomeno ad una non dilatazione della spesa e, auspicabilmente, come diceva il presidente Chieppa, anche ad una possibilità per lo Stato di esercitare dei risparmi. Secondo me, questo è il quesito di fondo.
  Dovremmo riuscire a capire quanto costa oggi l'autonomia speciale rispetto alle funzioni che esercita o a nuove funzioni che possa acquisire e se è in grado Pag. 13di sottrarre allo Stato competenze, ma in nome di una migliore qualità delle funzioni assegnate e anche di un risparmio. Viceversa, il pendant di tutto questo è capire se – anche qui la Corte dei conti ci dovrebbe aiutare – rispetto all'ipotesi opposta che si va delineando, delle macroregioni nelle quali per esempio una serie di autonomie dovrebbero diluirsi, sia effettivamente prevedibile che esse poi comportino qualche forma di risparmio, di cui non sono per niente convinto, cioè se effettivamente ci sarebbe una possibilità di risparmio ulteriore.

  FRANCESCO RIBAUDO. Ho capito che un punto è condiviso da tutti: le Commissioni paritetiche sono in realtà lo strumento necessario per l'attuazione, ma i processi di attuazione non vanno avanti perché la Commissione è tecnica, ma poi dovrebbe decidere il Governo, la politica, su patti e accordi stipulati a livello tecnico.
  Mi fa piacere che da parte di tutti vi sia l'esigenza di stabilire tempi certi per l'attuazione dei singoli passaggi, perché in Sicilia abbiamo vissuto con drammaticità questi ritardi: è di stamattina la notizia che la Corte costituzionale ci aveva dato ragione su tutto quello che riguardava accise e così via. Questi ritardi hanno alimentato i contenziosi. Fermo restando che le Commissioni paritetiche servono, sono utili e sono strumento di attuazione, dobbiamo forse modificarne il procedimento, che deve essere regolato tutto un po’ meglio, forse integrato nella fase iniziale anche da questa Commissione con elementi politici. Abbiamo parlato nel corso dell'altra audizione di far partecipare forse prima la politica, di integrare la Commissione, in maniera che la decisione dell'attuazione arrivi con un consenso già anche politico. Il rischio è che possano restare strutture tecniche che alla fine non riescono a dare risposte.
  Inoltre, il presidente Falcucci diceva che queste regioni a statuto speciale partecipano ai princìpi di finanza pubblica. I tagli arrivano e arrivano per tutti, e quindi sotto l'aspetto finanziario quest'autonomia non è perfettamente piena: nel momento in cui lo Stato decide che tutte le regioni, i comuni, gli enti locali partecipano alla spending review e ai princìpi di finanza pubblica, dobbiamo capire come si può coniugare meglio questa partecipazione, viste le nostre specialità e viste le regioni a statuto speciale.
  Anche qui ci sono dei conflitti. Mi risulta che, rispetto ai tagli e ai princìpi di finanza pubblica, ogni anno le cinque regioni a statuto speciale avanzino ricorsi per tentare di ottenere delle limitazioni. Anche qui dovremmo chiarire meglio.
  Mi convince anche il fatto che si lasci il terzo comma dell'articolo 116, perché è possibile che molte regioni possano avere un minimo di autonomia anche differenziata su alcuni argomenti e materie, a maggior ragione perché c’è un divenire continuo. La nuova società propone condizioni e aspetti speciali e particolari, quindi è giusto che si mantenga quell'articolo, fermi restando i princìpi generali.

  FLORIAN KRONBICHLER. Notavo nella relazione del consigliere Falcucci non quello che abbiamo sentito da altri auditi, che si ponevano addirittura spesso la questione della necessità o dell'opportunità o di «specializzare» le regioni ordinarie o di «ordinarizzare» quelle speciali, e quindi di appiattirle sullo stesso livello, come se questo fosse un obiettivo; mentre la specialità, se non si differenzia, non è tale. Noto, però, che qui è come se si sostenesse la necessità di unificare le speciali tra loro. Non ne vedo la necessità e l'opportunità: penso che anche tra loro tutte abbiano diverse ragioni e debbano mantenere quelle diversità. Questo non deve essere un problema.
  In secondo luogo, consigliere Chieppa, non crede che il presunto venir meno dell'efficacia politica Commissioni dipenda anche un po’ dalla composizione nell'andare dei tempi delle Commissioni, che, a differenza del collega, non ritengo siano tecniche. Sono Commissioni altamente politiche. Ha parlato così all'inizio della legislatura con il Ministro Delrio, allora Ministro per gli affari regionali: egli sosteneva la politicità delle Commissioni. Pag. 14Sono, però, Commissioni politiche: almeno per quanto riguarda la nostra della provincia di Bolzano, in cui lo Stato praticamente non c’è. Può darsi che sia questa la ragione per cui si perde autorevolezza: i Consigli prendono atto, ma è il Governo a decidere per conto suo una seconda fase e se ne infischia di quanto è stato concordato nelle Commissioni, che a volte molto paritetiche non sono.

  PRESIDENTE. Colleghi, abbiamo dieci minuti prima di chiudere i nostri lavori. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  MARIO FALCUCCI, Presidente di coordinamento della Sezione delle autonomie della Corte dei conti. Per quanto riguarda uno dei profili sottolineati dall'onorevole Gigli, evidentemente le osservazioni sulle macroregioni sono di grande rilievo: secondo me, verrebbe meno l'avvicinamento alle popolazioni, ma soprattutto verrebbero meno le specificità richiamate anche nell'ultimo intervento. Da questo punto di vista, quindi, fermo restando che la mia valutazione non è politica, presidente, come ho detto nel mio testo, certamente vedo delle difficoltà e delle contraddizioni qualora si istituissero le macroregioni.
  Se posso dare una risposta collettiva, ma lo ripeto, quasi «spot», per quanto riguarda ciò che ha detto l'onorevole Ribaudo, ovviamente la nostra stella polare, se leggete attentamente la nostra relazione, è tutta basata sul raccordo tra competenze, fabbisogni e assegnazione di risorse. Questo significa che la specificità risiede nella diversa latitudine delle competenze, che però deve sempre essere agganciata ad un'analisi dei costi. Adesso nessuno può sottrarsi al principio dell'equilibrio di bilancio costituzionalizzato: va benissimo, quindi, che ci sia una differenziazione e attribuzioni diverse, ma sempre sul presupposto che ci sia un raccordo tra competenza e costo.
  Ancora, il tema delle macroregioni e in genere di queste dispute tra neocentralismo ed enfatizzazione della specialità mi riporta ad una vicenda recente, sulla quale ho avuto modo di intervenire per ben due volte nelle Commissioni affari costituzionali. Mi riferisco alla «soppressione» delle province. A quel testo, che poi sarebbe diventato la legge n. 56 del 2014, abbiamo mosso una serie di obiezioni istituzionali, organizzative e finanziarie, perché c’è un'ondata anche in questo momento contro le regioni così come c'era due anni fa contro le province.
  Invito, però, davvero i legislatori ad affrontare a mente fredda i problemi e non sotto la spinta di scandali o mala gestione. Vediamo con le province i problemi che stiamo avendo in questo momento. Quando sento parlare di macroregioni, al di là di quanto ha sottolineato l'onorevole Gigli, penso anche a quanto sia complicato dal punto di vista organizzativo rimodulare appunto competenze e istituzioni. Direi che sono cose in apparenza importanti, che solleticano molto anche la fantasia dei cittadini e soprattutto dei mass media, ma bisognerebbe sempre partire dai costi.
  Noi non abbiamo detto nella relazione che le regioni a statuto speciale debbono essere coinvolte nei costi standard, ma abbiamo parlato di questo raccordo tra competenze e costi, mentre la costruzione dei corsi standard è più complicata. Certamente, però, ai fini di cui stiamo parlando, come accennava l'onorevole Ribaudo, vanno tenute presenti due aspetti [qual è il secondo ?] le esigenze di spending review, ovviamente difficile da attuare, specialmente qualora, come si è fatto fino adesso, si proceda con tagli lineari.
  A me pare che questi vadano un po’ contro l'autonomia di tutte le amministrazioni, compresi i ministeri. Il taglio lineare, infatti, deve essere provocato all'interno della stessa amministrazione, non con interventi esterni sganciati da ogni riferimento di spesa storica, di analisi delle funzioni esercitate in concreto. A maggior ragione (ma qui è intervenuta più volte la Corte costituzionale), serve un'applicazione di dettaglio di misure nei riguardi delle regioni e in genere degli enti autonomi, ma soprattutto delle regioni a statuto speciale.Pag. 15
  Ovviamente, la mia valutazione parte sempre dal punto di vista istituzionale della Corte dei conti. La nostra bussola è questa: le competenze possono, forse devono essere diversificate in relazione alle specificità dei singoli territori, ma sempre agganciate ai costi. Giustamente, infatti, si è detto che al limite potrebbe esserci anche una gestione più economica delle nuove funzioni: ma allora valutiamole, non siamo dogmatici, vediamo in concreto se quelle funzioni sono svolte in maniera efficiente ed efficace o meno.
  L'onorevole Kronbichler diceva che la Corte vuole unificare la specialità: se è questo che si legge, preciso che non è nella nostra intenzione. Noi abbiamo parlato di un quadro generale di princìpi che nulla hanno a che fare con le competenze esercitate. Le competenze sono quelle che contraddistinguono la specialità, e su quelle non abbiamo nessuna sollecitazione da fare. Alcune regole anche di carattere finanziario, invece, di princìpi contabili – non a caso, ho citato il processo di armonizzazione in atto –, mi parrebbero cose dove un'omogeneità è pienamente giustificata; mentre riguardo al nodo della specialità le assicuro, onorevole, che non è così, non vogliamo una specialità «normalizzata».

  ROBERTO CHIEPPA, Consigliere di Stato. Il mio sarà proprio un intervento flash. Sono perfettamente consapevole che l'opinione politica e i mass media vanno in senso contrario, ma non spetta a me la valutazione politica. Penso che la sfida per le autonomie speciali sia di sfatare il mito che siano delle sacche di privilegio e, come è stato detto, e di dimostrare di poter offrire a minori costi una migliore qualità dei servizi e delle funzioni trasferite. Penso che questo sia il punto centrale, su cui le autonomie speciali e le Commissioni paritetiche devono lavorare.
  Forse bisogna superare l'esperienza delle regioni ordinarie, perché il federalismo a quel livello molto spesso ha portato a una duplicazione di costi, a livello statale e a livello locale. Questo è il punto. Certo, il corretto equilibrio tra l'autonomia e la partecipazione alla perequazione è sempre oggetto degli accordi che sono stati stipulati.
  A integrazione di quello che ha detto il presidente della Corte dei conti, è evidente che la specialità dipende dal territorio e dalla popolazione. A livello di prassi, forse qualcosa può essere unificato per avere delle procedure più chiare, efficaci e valide per tutti.
  Penso che sulla valenza politica o tecnica delle Commissioni paritetiche si debba fare un distinguo all'interno dei componenti. Penso che i rappresentanti regionali abbiano sempre avuto una maggiore legittimazione politica, un maggiore raccordo con la parte politica regionale. Anch'io sono stato rappresentante dello Stato e penso, però, che questo non sia avvenuto per i rappresentanti dello Stato. Quella è la sede tecnica per formare le norme e dovrebbe avere una legittimazione politica. Spesso questa non vi è stata o, comunque, è stata sottovalutata da parte statale per cui il problema si apriva dopo, quando arrivava in Consiglio dei ministri.
  Penso che una soluzione già emersa dalle parole pronunciate sia quella di far precedere nella prassi, come in fondo la Corte costituzionale con la sentenza n. 19 del 2015 sta incentivando, delle intese politiche a monte del lavoro delle Commissioni. L'intesa politica con cui si fissano i paletti, il contributo, le riserve, il quantum della partecipazione delle autonomie speciali alla perequazione, al patto di stabilità dovrebbero contenere anche un piano di quello che dovrebbe essere trasferito.
  A quel punto, il compito tecnico-politico della Commissione è più agevole, perché vi è a monte un'intesa politica che poi non può essere bloccata dalla singola amministrazione che obietta che secondo la norma deve farlo lei. Non ci sarebbe bisogno, poi, così del lavoro delle Commissioni paritetiche, che invece sostengono che la funzione può essere trasferita. Secondo me, questo è il punto. Può essere fatto a legislazione vigente, domani potrà essere anche previsto negli statuti, ma Pag. 16siamo concreti: credo che l'intesa politica a monte, quando si vanno a fissare tutti i parametri relativi anche a cosa si trasferisce, possa agevolare, anche perché costituisce la programmazione dei lavori, che attualmente non c’è, della Commissione paritetica.

  FRANCO IACOP, Vicepresidente della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle regioni e delle province autonome. Intervengo solo per lo spunto per una riflessione finale. Rispetto all'utilità delle Commissioni paritetiche, tema dell'audizione, credo che potremmo riassumere in questi termini: fino al 2006-2007, l'autonomia speciale e l'utilizzo anche degli strumenti è stato forse più un momento difensivo e direi anche di salvaguardia, se mi consentite, dei cosiddetti privilegi o presunti tali.
  È chiaro che la crisi economica, la necessità di partecipare alla solidarietà nazionale e così via ha cambiato e sta cambiando profondamente il registro dei rapporti anche tra le autonomie differenziate, seppur garantite. In Costituzione è stato inserito l'obbligo del pareggio di bilancio, la partecipazione, quindi obblighi costituzionalmente riferiti anche al sistema delle autonomie speciali. È in questo senso che si apre la stagione nuova, rinnovata anche del lavoro delle Commissioni paritetiche, giustamente inquadrate in quel sistema di rapporto consensuale e collaborativo, che possibilmente richiama la necessità a priori di un accordo politico che detti di fatto la strada.
  Si tratta di consolidare delle prassi, certamente non omogeneizzando e omologando né il sistema delle paritetiche né quello delle specialità, perché non avrebbe ragione di esistere allora singolarmente, ma riportandole all'interno di un processo, che a questo punto è responsabile, di chi chiede la partecipazione e di chi, ovviamente, è obbligato nel sistema Paese ad intervenire, salvaguardando e valorizzando le proprie peculiarità.
  Credo che questo sia oggi il rinnovato ruolo e il sistema nel quale inseriamo le paritetiche e possiamo valorizzare le autonomie, ovviamente differenziate. Com’è stato rilevato, credo che l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione sia oggi anche un'opportunità in questo Paese fatto di diversità, che vive sulle diversità, sulle singolarità, che sono però anche le nostre ricchezze, che possono poi utilmente sperimentare in ogni singola dimensione, sempre attraverso questi meccanismi. Credo che possiamo essere maturi e superare la crisi, per costruire un'Italia comunemente responsabile del proprio futuro.

  PRESIDENTE. Presidente, concludiamo dando un'informazione che nel corso dell'intervento del presidente Iacop era emersa: sentiremo il Sottosegretario Bressa, che si occupa, come sapete meglio di me, degli affari regionali e il Sottosegretario delegato alle politiche di coesione territoriale e sociale. Quindi avremo anche questo tipo di interlocuzione con il Governo.
  Ringrazio veramente tutti di cuore per la disponibilità e la partecipazione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.