XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Mercoledì 16 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»

Audizione dei professori Paolo Caretti, Antonio D'Atena e Marco Olivetti.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Caretti Paolo , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Firenze ... 3 
D'Atena Antonio , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 6 
Olivetti Marco , Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi LUMSA di Roma ... 8 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione dei professori Paolo Caretti, Antonio D'Atena e Marco Olivetti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca all'audizione di Paolo Caretti, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Firenze, Antonio D'Atena, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata», e Marco Olivetti, professore di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi LUMSA di Roma.
  Nel ringraziare i presenti della loro disponibilità, do la parola al professor Paolo Caretti.

  PAOLO CARETTI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Firenze. Grazie, presidente. I dossier che abbiamo ricevuto per questa audizione sono del tutto esaurienti per quello che riguarda i profili di diritto comparato e l'evoluzione del «sistema delle conferenze», per cui non farò riferimento a questi profili, che sono la premessa del discorso che farò.
  Mi limito a qualche considerazione sui nodi problematici principali che riguardano il rapporto tra le competenze e il ruolo del futuro Senato e il cosiddetto «sistema delle conferenze».
  Faccio, però, una breve premessa. Le mie sono, infatti, considerazioni che scontano in pieno un dato incerto, cioè il punto di riferimento principale: che cosa sarà il nuovo Senato. È evidente che, ogni volta che nasce una nuova istituzione, un conto sono le definizioni testuali delle sue competenze, un altro è, poi, il ruolo che effettivamente essa riesce a giocare nella dialettica con le altre istituzioni. Questo si verifica sempre. Nel nostro caso, però, vi è un problema di incertezza accentuato perché ancora oggi la composizione del nuovo Senato è, appunto, incerta. Per i profili che ci interessano è evidente che la presenza dei Presidenti delle Regioni o meno nel Senato è un elemento importante. È incerto, inoltre, come il nuovo Senato si organizzerà e come intenderà svolgere le numerose funzioni che gli vengono attribuite. Non sappiamo se, nello svolgimento concreto delle sue attività, il nuovo Senato intenderà accentuare il suo ruolo di co-legislatore o puntare, invece, su quello di valutatore delle politiche pubbliche, dunque evidenziare di più la sua funzione di organo di controllo. Insomma, sono tutti elementi di incertezza che naturalmente pesano sulle considerazioni che faccio in questa sede.
  Fatta questa premessa, condivido che il punto di partenza per affrontare in prospettiva il rapporto tra il nuovo Senato e il «sistema delle conferenze» sia la funzione principale che il testo della proposta di riforma attribuisce al Parlamento, cioè quella di svolgere un ruolo di raccordo tra Stato e autonomie regionali e locali e tra Stato, autonomie locali e Unione europea. Questo ruolo di raccordo mi pare sia la Pag. 4cifra istituzionale del nuovo Senato, ovvero la funzione principale per la quale esso è nato.
  Credo, dunque, che si tratti di interrogarsi su quali potrebbero essere le modalità attraverso le quali questa funzione di raccordo può essere esercitata. Peraltro, «funzione di raccordo» è un termine atecnico, quindi bisogna cercare di capire in che modo si intende. Essendo il Senato concepito come seconda Camera del Parlamento, il primo terreno sul quale interrogarsi per dare sostanza a questa funzione di raccordo è quello della legislazione. Allora, l'interrogativo potrebbe essere riassunto in questi termini: in che modo le competenze che oggi il nuovo Senato si vede attribuite sul piano della regolazione legislativa possono essere considerate sufficienti ad assorbire le competenze che oggi, sul piano legislativo, svolge il «sistema delle conferenze», in particolare la Conferenza Stato-Regioni e province autonome?
  Credo che a questo interrogativo si debba dare, innanzitutto, una risposta negativa. Oggi, infatti, ci troviamo di fronte a un sistema in cui la Conferenza Stato-Regioni e Province autonome ha una competenza generale a esaminare e a esprimere il suo parere preventivo su ogni schema di disegno di legge, decreto legislativo e regolamento che attenga a materie di interesse regionale. Si tratta quindi di una competenza generale ad esprimere un parere sugli schemi. La Conferenza interviene, pertanto, nella fase della formazione dell'iniziativa legislativa, con un impegno del Governo a riportare il parere. Peraltro, questo parere si esprime non tanto in termini di parere positivo o negativo, ma anche attraverso la proposizione di modifiche, emendamenti e osservazioni. Il Governo è obbligato a riportare tutto questo nel corso dei lavori parlamentari.
  A fronte di questo ruolo della Conferenza Stato-Regioni e province autonome, che cosa si vede attribuito il Senato in termini di legislazione? Abbiamo un Senato co-legislatore con leggi bicamerali che, però, riguardano soltanto materie ordinamentali (la legislazione elettorale per i comuni, la disciplina delle funzioni fondamentali degli enti locali e così via). Sono, dunque, tutte materie in cui il Senato è co-legislatore, ma non riguardano mai la sostanza della legislazione regionale, cioè la legislazione di settore.
  Da questo punto di vista, è evidente che già c'è uno scarto tra le competenze del nuovo Senato e quelle che ha oggi in funzione – il punto di partenza è sempre quello – del raccordo tra centro e periferia sul piano della legislazione. Si potrebbe dire che il Senato può chiedere l'esame di tutti i disegni di legge, anche di quelli che riguardano le singole materie di competenza regionale. Tuttavia, questo richiamo è la stessa cosa dell'obbligo per il Governo di presentare alla Conferenza Stato-regioni tutti gli schemi? È una cosa completamente diversa. Infatti, in quel caso, c'è un obbligo generale e una competenza generale all'esame degli schemi, perché le regioni intervengono prima ancora che si formi il disegno di legge o lo schema di decreto legislativo. Qui, invece, siamo di fronte a un controllo meramente eventuale. Inoltre, una volta che si eserciti il potere di richiamo di riesame del disegno di legge, questo esame è ristretto in un termine temporale ridottissimo (30 giorni).
  Quindi, se teniamo conto di questi elementi, non è difficile cogliere uno scarto tra quella che è oggi la funzione di raccordo assicurata sul piano della legislazione dalla Conferenza Stato-Regioni e Province autonome e quello che potrebbe essere domani, a regime, il ruolo del Senato su questo terreno. Si aprirebbe, pertanto, una contraddizione, nel senso che se si volesse abolire il «sistema delle conferenze» ci troveremmo di fronte a una funzione di raccordo del Senato più debole di quella che oggi è assicurata dalla Conferenza Stato-Regioni. È una contraddizione, quindi, con una delle finalità principali della proposta di riforma costituzionale.
  Quali possono essere le strade per superare questa contraddizione? Personalmente, ne vedo due. Una è quella di mantenere, appunto, il controllo da parte della Conferenza Stato-Regioni sugli schemi. Si tratta di un controllo preventivo in senso Pag. 5stretto perché incide sulla stessa formazione dell'atto di iniziativa. È un controllo che parte proprio dall'inizio, quindi, più che un raccordo sui testi, riguarda i testi stessi prima che diventino formalmente un disegno di legge o un decreto legislativo. Tuttavia, nel momento in cui il disegno di legge arriva alla Camera, si potrebbe prevedere l'obbligo da parte del Governo di comunicarlo al Senato, insieme a una sorta di scheda tecnica, corredata non soltanto dalla relazione del Governo, ma anche da tutti i pareri che su quella proposta di testo sono stati avanzati in sede di Conferenza Stato-Regioni. Imporre al Governo l'obbligo di corredare la comunicazione consentirebbe al Senato un esame molto più consapevole di quel disegno di legge rispetto all'ipotesi di ricezione di un disegno di legge corredato solo da una relazione governativa.
  Una seconda soluzione potrebbe essere quella di spostare il punto di riferimento di questi pareri della Conferenza permanente Stato-Regioni e province autonome dall'area del Governo a quella del Senato. Insomma, si potrebbe fare del Senato un co-destinatario dei pareri che la Conferenza Stato-Regioni e Province autonome esprime su testi che non sono ancora formalizzati come disegni di legge. Anche qui, la trasmissione diretta di pareri dalla Conferenza al Senato consentirebbe al Senato una presa di posizione molto più consapevole sugli atti che formalmente arrivano perché si potrebbe avvalere di un lavoro istruttorio o comunque del punto di vista delle Regioni e delle autonomie locali su quel determinato testo.
  Che cosa si potrebbe immaginare sul terreno dell'attuale «sistema delle conferenze» in questa prospettiva? Siccome il legislatore di riforma ha scelto di fare del Senato un'unica sede di rappresentanza delle autonomie infraregionali e delle Regioni, con ogni probabilità – non per un discorso meramente di simmetria – la costruzione, da sempre un po’ barocca, del «sistema delle conferenze» (Conferenza Stato-Città, Conferenza Stato-Regioni e Province autonome e Conferenza unificata) potrebbe essere francamente superata. Come il Senato è immaginato quale punto di riferimento unitario di raccordo tra Stato, regioni e autonomie locali, penso si potrebbe tranquillamente arrivare alla costituzione di un'unica Conferenza Stato, regioni, province autonome ed enti locali che sia l'interfaccia di un Senato che ormai è stato concepito come rappresentante unitario. Sapete che, peraltro, ci sono state polemiche su questa riforma perché c'era chi non era d'accordo, compreso il sottoscritto. Tuttavia, se la prospettiva è questa non vedo perché, sul piano della conferenza Stato-regioni, si debba mantenere questo discorso.
  Ho fatto queste considerazioni con riferimento al punto principale. Parliamo, infatti, di una seconda Camera di un Parlamento, che ha nella legislazione il suo fulcro. Naturalmente, sul piano delle conferenze e dei raccordi tra Stato, Regioni e autonomie locali resta fuori tutto il terreno dell'amministrazione, che, soprattutto nella filosofia di questa riforma, diventa decisivo.
  Le Regioni mantengono una potestà legislativa, ma mi pare che il baricentro dei rapporti Stato-Regione sia completamente diverso rispetto a quello della riforma del 2001. In quel caso si puntava soprattutto a una valorizzazione della funzione legislativa regionale, invece in questa riforma si intravede un'ipotesi di sviluppo del nostro regionalismo soprattutto sul terreno dell'amministrazione. Pertanto, quello che chiamo ancora «sistema delle conferenze» potrebbe svolgere una funzione fondamentale con un'unica Conferenza Stato, regioni ed enti locali. Possiamo, inoltre, pensare anche ad altri organi, come nell'esperienza tedesca – qui abbiamo due maestri di diritto comparato – che dimostra che un conto è avere la rappresentanza delle autonomie regionali in Parlamento, cioè nel Bundesrat, un altro è avere degli organi comuni di raccordo sul terreno amministrativo, dove, per quello che riguarda la nostra esperienza, potrebbe giocare un ruolo fondamentale il principio di leale collaborazione che la Corte ha elaborato in tante occasioni. Pag. 6
  Vorrei sottolineare un altro punto. Se è vero che la prospettiva nella quale si muove la riforma è quella di un possibile sviluppo del nostro regionalismo soprattutto sul versante amministrativo, questa ipotetica Conferenza unica, corredata da altri organi di raccordo, dovrebbe svolgere una funzione fondamentale, che è stata il vero limite nell'attuazione della riforma del Titolo V del 2001, cioè la mancata attuazione dell'articolo 118. Infatti, non si è mai provveduto alla riallocazione delle funzioni amministrative secondo i nuovi principi dell'articolo 118, che resta invariato per questa parte, ovvero riguardo ai principi di sussidiarietà e differenziazione. Questo è stato il vero limite. Ora, se si va verso un regionalismo prevalentemente, anche se non esclusivamente, orientato sul versante amministrativo, l'attuazione dell'articolo 118 della Costituzione, secondo questi nuovi principi e questa riallocazione delle funzioni amministrative tra Stato, regioni ed enti locali, diventa un elemento decisivo.
  Allora, credo che questa ipotetica Conferenza unica potrebbe avviare, con l'aiuto di altri organi comuni tra Stato e Regioni, proprio questa attività di attuazione, secondo lo schema che è stato seguito dall'inizio della nostra esperienza regionale per le Regioni a statuto speciale con le commissioni paritetiche che progressivamente hanno proceduto al trasferimento alle regioni di funzioni amministrative. Peraltro, esse hanno lavorato per decenni proprio perché, naturalmente, nel corso del tempo le esigenze e il contesto sono cambiati. Insomma, vedo in questo compito quello che potrebbe essere il ruolo fondamentale di questa nuova ipotetica Conferenza unica. Grazie.

  ANTONIO D'ATENA, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Risponderò seguendo l'ordine dei quesiti che sono stati posti, con una brevissima premessa. La riforma del Senato e la sua trasformazione in un organo rappresentativo degli enti territoriali e soprattutto delle regioni costituisce il tassello mancante della riforma del 2001. Immediatamente si è segnalato che mancava questo elemento essenziale, mancanza che era dovuta a diverse ragioni. Personalmente, ero scettico sul fatto che queste ragioni potessero essere modificate, ma prendo atto che in questa legislatura si sono create le condizioni per realizzare una riforma profonda.
  In mancanza di un Senato rappresentativo degli enti territoriali, il vuoto è stato colmato dall'unica istituzione cooperativa esistente, che era la rete delle conferenze, nei modi che ha ricordato molto opportunamente il collega Paolo Caretti. Sotto questo aspetto, è molto significativo che la Corte costituzionale abbia fatto appello alle conferenze in relazione a problemi specifici, rispetto ai quali ha richiesto che intervenisse un momento cooperativo in conferenza.
  Il primo esempio riguarda gli oggetti a imputazione multipla. Di fronte a un oggetto che non si colloca soltanto in una, ma in più materie di competenza dello Stato e delle Regioni, quindi rispetto alle quali si deve decidere qual è il legislatore competente, la Corte dice che se c'è un criterio di prevalenza da far valere, la materia prevalente attrae tutto il resto; se il criterio non c'è, bisogna dare la parola alla politica, quindi mettere in circolo le conferenze.
  L'altro aspetto è la chiamata in sussidiarietà per l'esercizio delle funzioni amministrative e per l'attrazione delle funzioni legislative e per alcune competenze finalistiche o trasversali dello Stato, rispetto alle quali la Corte richiede che ci sia l'intervento di un accordo in conferenza. Mi riferisco ai livelli essenziali delle prestazioni, soprattutto i livelli essenziali di assistenza (LEA) e i livelli essenziali di assistenza sociale (LIVEAS).
  Allora, se si considera che questo è stato il ruolo che nel tempo le conferenze hanno conquistato, bisogna prendere atto del fatto che la riforma del Senato, per un certo aspetto, è stata un'occasione parzialmente sprecata, perché le funzioni del Senato non coprono tutte quelle che la Corte costituzionale rimetteva alle conferenze (mi riferisco a queste che ho richiamato).
  A questo punto ci sarà un problema sul quale dovrà esprimersi la Corte costituzionale, la quale dovrà chiedersi se, una volta Pag. 7creata quell'istanza cooperativa in difetto della quale la stessa Corte giustificava il ricorso al circuito alternativo delle conferenze, questo circuito sia ancora utilizzabile. Io mi auguro di sì, ma questo è un primo punto sul quale la Corte costituzionale si dovrà confrontare.
  L'altra domanda riguarda l'eventuale presenza nel Senato dei Presidenti delle Regioni. Ebbene, credo che non possano farne parte, perché i membri del Senato sono eletti dai consigli regionali sulla base delle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri regionali in occasione del rinnovo dei consigli stessi. Penso, quindi, che non ci sia modo di far recuperare il Presidente. Lo dico con rammarico, perché quando ho avuto l'opportunità e l'onore di essere consultato dalla I Commissione della Camera dei deputati ho proposto un'ipotesi di Senato federale di cui facessero parte i Presidenti o loro delegati, oltre ai rappresentanti dei Consigli. Peraltro, il Senato, secondo questa ipotesi, si sarebbe dovuto esprimere con voto di delegazione come in Germania e avrebbe dovuto avere un'organizzazione per gruppi a base regionale e non partitica. L'ipotesi, però, non è passata. Secondo me, la mancanza dei Presidenti è un difetto, ma non credo che si possa ovviare a questo punto in base alla disciplina vigente.
  Sulla questione delle funzioni di raccordo, direi che è una norma che ha un contenuto fondamentalmente programmatico, perché si indica un fine, ma non il modo in cui avviene questo raccordo. Si potrebbe pensare che sia una sintesi descrittiva. I compiti che esercita il Senato e che vengono specificamente individuati adempiono a queste funzioni di raccordo. A questo punto, bisogna vedere nella prassi come questo ruolo riuscirà a configurarsi.
  Passo alla terza questione. Secondo la giurisprudenza dalla Corte costituzionale il sistema delle conferenze costituisce una delle sedi più qualificate per l'elaborazione di regole destinate a integrare il parametro della leale collaborazione. Ora, la riforma istituisce il Senato, che partecipa al procedimento legislativo, quindi in una certa misura – sul punto tornerò dopo – il ruolo delle conferenze potrebbe considerarsi assorbito dal ruolo del Senato. Vi sono, però, degli aspetti – quelli che ho richiamato prima – per i quali il Senato non mi sembra che abbia la possibilità di sostituire con successo quanto fanno oggi le conferenze.
  Come potranno riflettersi i nuovi criteri di riparto della potestà legislativa e regolamentare e la cosiddetta «clausola di supremazia» sul ruolo delle conferenze? Questo è un tema che avrebbe dovuto essere affrontato. D'altra parte, la riforma non si è occupata deliberatamente delle conferenze. Non credo che la clausola di supremazia possa aprire lo spazio a un ruolo delle conferenze perché c'è un procedimento formalizzato rispetto al quale non so in quale misura le conferenze potrebbero giocare. C'è da dire che l'attuale riparto delle competenze presenta degli elementi di continuità con il passato. La disciplina dell'amministrazione resta fondamentalmente inalterata ed è rispetto a essa che il ruolo cooperativo delle conferenze si è sviluppato soprattutto per la sussidiarietà. Restano, poi, altri problemi. Teoricamente, dunque, uno spazio per le conferenze e per risolvere questi problemi dovrebbe residuare.
  Il futuro assetto costituzionale e la ridefinizione delle funzioni del «sistema delle conferenze» richiederanno la revisione delle procedure di negoziazione tra Stato ed enti territoriali. Come potranno configurarsi queste procedure? Schematicamente, direi che nelle materie coperte da leggi bicamerali, in realtà, si realizza una sorta di accordo tra Stato e Regioni, nel quale interviene, attraverso la partecipazione al procedimento bicamerale, un'istanza che rappresenta le Regioni. Nelle altre tutto dipenderà dal ruolo – mi riallaccio alle cose molto interessanti che ci ha detto Paolo Caretti – che assumerà la procedura di proposta emendativa, peraltro costretta entro limiti temporali abbastanza ridotti, che il Senato potrà giocare su tutte le leggi. Bisogna, però, vedere come funzionerà il Senato, cosa che è tutta da scoprire. Se funzionerà come il Bundesrat tedesco, che compie un esame tecnico di tutta la legislazione, utilizzando Pag. 8 anche in sede di Commissione le competenze dei funzionari regionali, riuscirà ad occupare gran parte del ruolo. Resta il fatto che, attualmente, le conferenze intercettano in anteprima il testo legislativo, qui, invece, l'intervento sarebbe successivo. La prima soluzione proposta da Caretti sembra una risposta brillante al problema, cioè accumulare questi elementi consultivi e metterli a disposizione della Camera politica. Tra l'altro, tutto questo accumulo di pareri potrà anche essere un elemento utile alla Corte costituzionale per risolvere problemi di potenziale conflitto di competenze che si potranno porre durante l'esercizio concreto. Non ci possiamo, infatti, illudere che, una volta fissati dei confini attraverso le materie, si possa pretendere che tutta la realtà sia incasellata definitivamente. Ci sono delle zone d'ombra e di confine rispetto alle quali si possono porre dei problemi di competenza. Secondo me, questo accumulo di interventi a carattere consultivo può offrire degli elementi molto importanti anche ai fini del sindacato della Corte costituzionale.
  Riguardo alle criticità nel funzionamento attuale delle conferenze, a me sembra che, tutto sommato, il sistema funzioni e che una certa informalità, molto criticata in sede dottrinale, si giustifichi nella sostanza. Questo ce lo dice, peraltro, la Corte costituzionale, perché il raccordo con le istituzioni funziona. Le conferenze sono, infatti, sedi miste, ma funziona il raccordo con le istituzioni che rappresentano le regioni (la Conferenza delle Regioni, dei Presidenti delle giunte e quella dei Presidenti di assemblea, in qualche caso) e le associazioni degli enti locali.
  Veniamo ora alla domanda sul contributo della Conferenza delle Assemblee legislative delle Regioni, con riferimento alla partecipazione dell'Italia alla formazione delle politiche europee. Ora, teoricamente, il Senato riformato potrebbe coprire questo ruolo. D'altra parte, quando l'articolo 55, comma quinto, lo chiama al raccordo tra gli enti territoriali e l'Unione europea, penso che evochi proprio una funzione di questo tipo. C'è un fatto, però, che non dobbiamo trascurare, ovvero che dal punto di vista strutturale la Conferenza delle Assemblee presenta un valore aggiunto dal momento che in quella sede ciascuna regione è rappresentata singolarmente, quindi è una sede di rappresentanza paritaria, per cui la voce di ciascuna Regione pesa nello stesso modo. Nel Senato, invece, ci sono degli squilibri rappresentativi molto forti. Non ho le competenze tecnico-matematiche per fare da solo le simulazioni, per cui faccio riferimento a quelle realizzate dal Servizio studi della Camera dei deputati. La Lombardia ha 14 rappresentanti; 10 regioni solo 2. Allora, è chiaro che una sede di questo tipo dà una rappresentanza molto imperfetta. Se questi sono i numeri, siamo lontani dagli standard che trovano applicazione negli ordinamenti federali.
  Riguardo al ruolo delle assemblee rappresentative nell'ambito delle conferenze, penso che il ruolo del Senato dovrebbe essere sufficiente a dare una rappresentanza alle assemblee.
  Resta – questa è una considerazione finale – un certo rammarico che questi problemi, delicati e fondamentali, di architettura istituzionale siano rimasti estranei all'elaborazione della riforma.
  Se mi posso permettere un rilievo critico, la mia impressione è che la riforma si sia fatta tenendo conto di quello che è scritto nel testo della disciplina che si intendeva riformare, senza considerare tutto quell'accumulo di esperienza e di giurisprudenza che in tutto questo arco di tempo si è venuto accumulando. Quindi, nel momento in cui ci poniamo nella prospettiva dell'attuazione della riforma, dobbiamo affrontare il problema del collegamento tra questi due piani. Grazie.

  MARCO OLIVETTI, Professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi LUMSA di Roma. Ringrazio la Commissione per l'invito a partecipare a questa riflessione. Individuerei il punto di partenza in quello che, con molta semplificazione, mi sentirei di definire un dato minimo di diritto comparato, che è duplice. Da un lato, dico una banalità: qualsiasi sistema multilivello richiede forme organizzate di raccordo tra i diversi livelli di governo; dall'altro, c'è il dato, forse meno Pag. 9banale, che, a quanto mi è dato di sapere, in quasi tutti i sistemi federali e regionali esiste una pluralità di sistemi di raccordo, anche laddove esiste una consolidata tradizione di Camera delle autonomie territoriali.
  Il sistema tedesco, dove opera la Camera delle Regioni, che è stata per lungo tempo il modello al quale molti studiosi hanno guardato, è anche il sistema in cui i meccanismi di raccordo sono comunque altri, anche a livello di sistemi di conferenze, se vogliamo chiamarli in questo modo. Quindi, la pluralità dei meccanismi di raccordo è un dato non solo italiano e verrà accentuato se la riforma entrerà in vigore, perché ci troveremo con almeno tre circuiti collaborativi, quello delle conferenze, di cui è stato fatto un quadro chiarissimo ed esauriente nei due interventi dei colleghi che mi hanno preceduto; quello politico sulle funzioni legislative del Senato e, infine, quello di tutti gli organismi misti di carattere settoriale o più o meno tecnico che, spesso, a cascata rispetto al «sistema delle conferenze», operano in vario modo nel nostro ordinamento. La pluralità delle sedi di raccordo non è un'anomalia, come si potrebbe pensare a uno sguardo superficiale dall'esterno, ma un dato costitutivo delle esperienze federali e regionali.
  Nel nostro ordinamento mancava del tutto una sede politica di raccordo con funzioni di compartecipazione delle autonomie all'esercizio della funzione legislativa. Questo ruolo dovrebbe spettare al Senato. Peraltro, non è mai spettato alle conferenze, anche se nel 1980-82 la Commissione presieduta da Bassanini presentò delle proposte, di cui qualcosa poi fu utilizzato nell'istituzione della Conferenza Stato-Regioni, con l'idea che essa avesse anche funzioni di indirizzo politico. A quanto mi risulta, non avendo memoria diretta di quel periodo, questo è rimasto nell'ambito dei progetti che non hanno mai trovato realizzazione. Comunque, se vi è una pluralità di sistemi di raccordo, la prima conclusione cui credo si possa arrivare, che era implicita in quanto è stato detto, è che non è sensato parlare di sopprimere o di marginalizzare il «sistema delle conferenze». Ci sarà, ovviamente, un problema di fare emergere gradualmente e di rendere complementari e armonici diversi meccanismi di coordinamento, ovvero di coordinare i coordinatori, rendendo comunicanti – il professor Caretti ci ha dato alcune indicazioni molto interessanti – i diversi meccanismi di raccordo.
  Riguardo alla presenza dei Presidenti di Regione nel futuro Senato – sto seguendo lo schema che ci è stato inviato – credo sia un po’ problematica, soprattutto se il Senato si configurerà come un organo di lavoro intenso, come è possibile che sia. Mi pare che la compatibilità tra le diverse sedi – dunque, oltre al ruolo, in sé politico, di vertice dell'amministrazione, quella di membro della seconda Camera – sia poco gestibile. Viceversa, mi chiedo se non si possa operare sul piano della legge elettorale, servendosi dell'articolo 122, primo comma, quindi delle norme di principio, creando una sorta di listino senatoriale nelle candidature per l'elezione del consiglio regionale, che, essendovi per i vari candidati, potrebbe essere, nelle Regioni che hanno più senatori, un modo per adempiere – con un meccanismo da costruire – anche nell'emendamento a prima firma della senatrice Finocchiaro che richiede un collegamento con l'elezione popolare.
  Si potrebbe, pertanto, eleggere i senatori su proposta del Presidente della Giunta regionale, che avrebbe i «suoi» uomini in Senato, ma vi sarebbero anche gli uomini degli altri candidati nelle Regioni più grandi. Ho in testa il supplente, che Antonio D'Atena citava poc'anzi e che nel sistema tedesco è possibile. Nel nostro mi pare che il regolamento del Senato non possa spingersi a tanto. Non credo, dunque, nella riserva di regolamento, ma bisognerebbe trovare un meccanismo di questo tipo per rendere presenti i Presidenti di Regione nel Senato, senza che ci siano direttamente. Non so, però, quali margini abbiamo a disposizione nell'intelaiatura del testo costituzionale.
  In merito al secondo quesito – mi soffermerò di più sui primi due, poi andrò più rapidamente sugli altri – ovvero l'impatto della nuova sede di raccordo su quelle Pag. 10precedenti, proverei a schematizzare un po’ rozzamente i problemi, per ragionare, da tre punti di vista diversi. Il primo riguarda le funzioni del Senato che non incidono sulle precedenti attribuzioni delle conferenze, quindi, in particolare, il concorso all'esercizio della funzione legislativa. Qui c'è tutta la questione del parere delle conferenze sugli schemi di decreti legislativi e di progetti di legge di cui ha parlato il professor Caretti. Credo che, a parte questa questione, questo sia il campo nuovo del Senato.
  Il secondo ambito è quello delle funzioni delle conferenze che non sarebbero toccate dalla riforma. A me sembra che qui vadano tutte le funzioni sostanzialmente amministrative, quindi gran parte dell'attività delle conferenze (pareri, intese, accordi e deliberazioni, a volte anche con efficacia esterna, partecipazione a decisioni sul riparto dei fondi tra le regioni).
  Poi, vi è ovviamente un'area nella quale alcune funzioni delle conferenze potrebbero essere attratte dai nuovi compiti del Senato. Problematicamente, senza avere una convinzione profonda su questo punto, ma prospettandolo come possibilità, avendo il nuovo Senato funzioni di partecipazione alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione europea – in questo contesto deve svolgere un ruolo di raccordo – mi chiedo se le competenze della sessione comunitaria della Conferenza Stato-regioni (articoli 22-23 della legge n. 234 del 2012) non siano tra le candidate a rientrare in questa categoria di funzioni che potrebbero essere aspirate dal nuovo Senato.
  Per esempio, in questi articoli si dice, appunto, che la conferenza Stato-regioni si esprime sugli indirizzi generali relativi all'elaborazione e all'attuazione degli atti dell'Unione europea che riguardano le competenze delle regioni e delle province autonome; sui criteri e sulle modalità di conformare l'esercizio delle funzioni delle regioni e le province autonome all'osservanza e all'adempimento degli obblighi di cui all'articolo 1 della stessa legge; sugli schermi di disegni di legge europea e di legge di delegazione europea.
  Ecco, forse questo è un ambito che potrebbe essere risucchiato dal sistema di raccordo del Senato. Comunque, qui si pone anche il problema di cui dicevo, del rapporto fra i pareri preventivi che attengono alla funzione legislativa e la funzione successiva del Senato. È vero che in tale contesto c'è una partecipazione generale, ma è generale – se non sbaglio – sui progetti di legge governativi. Il Senato, però, potrebbe intervenire anche sui non governativi, che sono meno importanti, ma ci sono. Bisognerà, dunque, fare un fine tuning. A questo proposito, mi chiedo se non serva uno strumento apposito per fare una ricognizione sistematica di tutte le competenze delle conferenze e poi, probabilmente con la legge di delegazione, quindi con decreto legislativo, vedere quali passano al Senato, per cui le conferenze smettono di esercitarle. Mi chiedo, cioè, se non serva un intervento normativo per chiarire questo punto che non credo si possa lasciare semplicemente all'armonizzazione automatica nei rapporti tra i due organi.
  Un'altra questione riguarda i poteri di nomina perché il Senato dovrebbe avere la competenza a dare un parere sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge. Credo che qui non ci sia sovrapposizione automatica con i numerosissimi poteri di nomina delle conferenze, ma anche questa è una riflessione che va fatta.
  In questo scenario le conferenze resterebbero la sede della cooperazione amministrativa. Per quanto il riparto di competenze sia modificato in maniera sensibile dalla riforma costituzionale da cui prendiamo spunto, come è stato detto l'articolo 118 rimane immutato, pertanto il trasferimento di funzioni legislative dalle regioni allo Stato previsto da questa riforma non dovrebbe necessariamente significare anche ulteriore trasferimento di funzioni amministrative dalle regioni e dal sistema degli enti locali verso lo Stato. Non voglio arrivare a riprendere idee di pietrificazione, ma si potrebbe presumere che vi sia un onere di motivazione molto forte nello spostamento di queste materie verso l'alto, quindi un controllo stretto di ragionevolezza. Proprio per queste motivazioni, potrebbe, Pag. 11 dunque, sostenersi che le esigenze che hanno generato il «sistema delle conferenze» sul piano amministrativo rimarranno e dovrebbero essere preservate.
  Un ulteriore passaggio – mi avvio alla conclusione – è il problema delle negoziazioni tra Stato ed enti territoriali. Giustamente, prima venivano citate le commissioni paritetiche, che sono un meccanismo che funziona molto bene per quel che riguarda le regioni a statuto speciale, ma che è sempre stato difficile trasferire e immaginare in forme analoghe nel rapporto tra Stato e regioni ordinarie.
  Tra l'altro, non stiamo parlando di dialogo nell'esercizio delle competenze, ma di trasferimenti di competenze. A livello di regioni ordinarie lo strumento, in teoria, è l'articolo 116, terzo comma, che, però, dovrebbe essere inteso non come hanno fatto alcune grandi Regioni del nord, ovvero come via verso uno statuto speciale, ma come negoziazione puntuale su singole specifiche materie, proprio come accade nelle paritetiche. Peraltro, io faccio parte di una di esse, che è la più piccola, e posso dire che non arriva mai al lavoro di una paritetica una questione di ridefinizione complessiva. Si tratta sempre di questioni «micro» su una specifica competenza e poi si decide come trasferirla. Il problema è se si può costruire un percorso analogo attorno all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione anche per quel che riguarda le Regioni ordinarie.
  Si citava prima l'ipotesi di una riforma del «sistema delle conferenze» che le unificasse. Nei materiali che ci sono stati inviati c'è un disegno di legge del Governo presentato in Parlamento nella scorsa legislatura che potrebbe essere un'ipotesi di partenza, ma forse da non realizzare subito per vedere prima quali funzioni vanno via dal «sistema delle conferenze» per passare al Senato e poi capire il sistema come rimane e quali aggiustamenti richiede.
  Riguardo al modo di lavoro delle conferenze, assistere a una di queste Conferenze Stato-regioni è interessante perché è un lavoro strettamente formale, non dico «antipolitico» nel senso in cui comunemente oggi si usa questo termine, ma «non politico», nel senso che è una discussione meramente ratificatoria di quanto le sedi collaborative precedenti hanno già realizzato. Questa è la sua ricchezza, ma anche il suo limite.
  Per questo la differenza con il Senato, che comunque è una Camera politica, con tutte le sue particolarità, è fortissima. Quindi, non credo che questo debba essere modificato in sé, ma ciò che conta è definirlo bene nel raccordo politico.
  Aggiungo che forse manca nel «sistema delle conferenze» qualcosa come la First Ministers’ Conference che c'è in Canada, cioè una sede inevitabilmente anche mediatica che chiami una volta o due volte all'anno i Presidenti di Regione – una sorta di conferenza dei capi di governo – ed eventualmente anche i sindaci metropolitani, dato il processo di trasformazione che abbiamo in itinere nel nostro sistema delle autonomie locali, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri, con un'agenda limitata, che sia anche una sede pubblica sulle grandi politiche, più che sulle questioni amministrative e sulle leggi. Infatti, in mezzo a questo campo resterebbero le grandi scelte politiche – per esempio, il piano infrastrutturale degli aeroporti o dei porti – che non necessariamente sono leggi, né amministrazione.
  Infine, abbiamo la Conferenza delle Assemblee legislative delle regioni. Direi che questa non è una Conferenza che può essere inserita nell'ambito del «sistema delle conferenze», perché ha natura completamente diversa. A maggior ragione l'avrebbe se si accettasse la lettura che ho proposto, cioè il Senato distinto dal «sistema delle conferenze».
  Come diceva il professor D'Atena, qui c'è uno spazio nel parere di sussidiarietà per la Conferenza delle Assemblee regionali nel rapporto con il Senato. Infatti, nel nostro bicameralismo perfetto e paritario, il ruolo delle due Assemblee legislative nazionali nell'esercizio del controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà da parte dei progetti di atti legislativi dell'Unione europea si è dislocato finora su un piano di sostanziale di parità, in cui i consigli regionali e questa Conferenza hanno avuto Pag. 12come interlocutori più o meno entrambe le Camere, in maniera indifferente.
  Ora, con un Senato di questo tipo è plausibile che il canale di comunicazione diventi la Camera delle autonomie, quindi non più indifferentemente le due Camere. C'è, allora, uno spazio per un ruolo anche più significativo della seconda Camera in questa prospettiva. Lo studio comparato del ruolo dei Parlamenti nazionali nel controllo di sussidiarietà dimostra forse una sola cosa, a quanto mi è sembrato di capire, cioè che a volte, paradossalmente, sono più forti le Camere alte perché, non avendo rapporto di fiducia con il Governo, non sono costrette a omogeneizzarsi alla linea politica di maggioranza che prevale nella Camera politica. Se questo ragionamento può essere accettato, i pareri del Senato potrebbero diventare svincolati anche dall'indirizzo politico del Governo che poi contribuisce a formare gli atti dell'Unione europea. Quindi, ci potrebbe essere una via di sviluppo interessante, anche qui sulla scia della legislazione vigente (ovvero della legge n. 234 del 2012), ma forse con qualche possibilità di innovazione.

  PRESIDENTE. I colleghi sono soddisfatti delle relazioni, quindi ringrazio gli intervenuti. Ricordo che mercoledì prossimo, 23 marzo, si svolgerà l'audizione di Franco Iacop, coordinatore della Conferenza dei presidenti delle Assemblee legislative delle Regioni e delle Province autonome e, a seguire, l'audizione dei professori Marcello Cecchetti, Alessandro Morelli e Simone Pajno.

  La seduta termina alle 9.05.