XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 138 di Giovedì 16 novembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lainati Giorgio , Presidente ... 3 

Audizione del presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Angelo Marcello Cardani:
Lainati Giorgio , Presidente ... 3 
Cardani Angelo Marcello , presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ... 3 
Lainati Giorgio , Presidente ... 11 
Airola Alberto  ... 11 
Lainati Giorgio , Presidente ... 13 
Airola Alberto  ... 13 
Gasparri Maurizio  ... 13 
Ciampolillo Lello  ... 14 
Cardani Angelo Marcello , presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ... 15 
Airola Alberto  ... 16 
Cardani Angelo Marcello , presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ... 16 
Lainati Giorgio , Presidente ... 16 
Votano Giulio , vicedirettore della direzione dei contenuti audiovisivi dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ... 16 
Airola Alberto  ... 17 
Lainati Giorgio , Presidente ... 17 
Airola Alberto  ... 17 
Votano Giulio , direzione dei contenuti audiovisivi dell'Agcom ... 17 
Lainati Giorgio , Presidente ... 17 
Votano Giulio , vicedirettore della direzione dei contenuti audiovisivi e multimediali dell'Agcom ... 18 
Airola Alberto  ... 18 
Votano Giulio , vicedirettore della direzione dei contenuti audiovisivi dell'Agcom ... 18 
Airola Alberto  ... 18 
Votano Giulio , vicedirettore della direzione dei contenuti audiovisivi dell'Agcom ... 18 
Airola Alberto  ... 18 
Lainati Giorgio , Presidente ... 18 
Airola Alberto  ... 18 
Votano Giulio , vicedirettore della direzione dei contenuti audiovisivi dell'Agcom ... 18 
Airola Alberto  ... 19 
Votano Giulio , vicedirettore della direzione dei contenuti audiovisivi dell'Agcom ... 19 
Airola Alberto  ... 19 
Lainati Giorgio , Presidente ... 19

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GIORGIO LAINATI

  La seduta comincia alle 14.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Angelo Marcello Cardani.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Presidente dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, Angelo Marcello Cardani.
  Sono inoltre presenti il dottor Giulio Votano, vicedirettore della direzione contenuti audiovisivi e multimediali, la dottoressa Piera Messana, consigliere dello staff del presidente, e il dottor David Nebiolo, capo ufficio stampa, che ringrazio per la loro presenza.
  Quest'audizione si inquadra nell'ambito dell'attività istruttoria che la Commissione ha deciso di avviare propedeuticamente all'espressione del parere sul Contratto Nazionale di Servizio 2018-2022.
  Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
  Do la parola al presidente, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, eventuali domande e richieste di chiarimento.
  Peraltro, vedo, e la ringrazio vivamente, presidente, che ha portato un importante contributo documentale.

  ANGELO MARCELLO CARDANI, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Ringrazio lei e tutti i suoi colleghi di quest'invito che onora me e i colleghi del collegio dell'Autorità che qui rappresento, invito a un'audizione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nell'ambito del processo che porterà alla stipula del nuovo contratto di servizio con la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo. La consultazione costituisce un'importante occasione per scambiare reciproche riflessioni sul ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo alla luce dei mutamenti tecnologici intervenuti nel settore dei media. In quest'ottica, l'Autorità ritiene necessario che il nuovo contratto di servizio sia caratterizzato, attraverso un più intenso impegno in ricerca, innovazione e formazione, da un più efficace adeguamento al contesto odierno e futuro, da una migliore aderenza alla missione del servizio pubblico e dal raggiungimento degli obiettivi fissati dalla legge.
  La definizione degli obblighi del servizio pubblico radiofonico televisivo e multimediale che il nuovo contratto deve dettagliare in attuazione della convenzione adottata con il DPCM del 28 aprile 2017, richiede anzitutto una definizione preliminare di tale servizio nel nuovo contesto della comunicazione multipiattaforma. Pur partendo dall'assunto che la nozione di servizio pubblico è tutt'altro che univoca, non si può negare che la struttura dei precedenti contratti di servizio fosse strettamente Pag. 4 legata al mondo analogico e ai modelli di fruizione mediatica a esso associati, e quindi poco funzionale a una verifica stringente degli obiettivi del servizio pubblico. Per di più, tale nozione si è mostrata non del tutto adeguata a onorare la missione del servizio pubblico, in quanto condizionata in buona misura dai modelli televisivi dei broadcaster privati.
  Il dettaglio degli obblighi del servizio pubblico deve dunque costituire un'articolazione concreta della missione, enfatizzando il carattere distintivo di tale attività rispetto a quella esercitata dagli operatori privati, che, seppur vincolati alla responsabilità derivante dalla regolamentazione di servizi di interesse generale a tutela dei mercati caratterizzati da forte valenza sociale e culturale, non possono che essere orientati alla libertà di impresa e alla garanzia di comportamenti proconcorrenziali.
  Dopo una breve premessa, vorrei toccare alcuni aspetti particolarmente significativi che ritengo degni di approfondimento per migliorare il nuovo contratto.
  Nel documento «Orientamenti sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale per il prossimo quinquennio» trasmesso al Ministro dello sviluppo economico lo scorso 25 luglio, l'Autorità ha fornito il proprio contributo alla predisposizione del nuovo contratto di servizio, e in particolare all'individuazione degli obblighi specifici che caratterizzeranno l'attività della concessionaria per il prossimo quinquennio. Oltre all'individuazione di una serie di aree tematiche che il contratto avrebbe dovuto tenere in considerazione, nel documento l'Autorità ha ribadito che il dettaglio degli obblighi del servizio pubblico deve costituire un'articolazione concreta della missione, enfatizzando la cifra distintiva di tale attività rispetto a quella esercitata dagli operatori privati. Nel medesimo documento l'Autorità ha sottolineato che la qualità, sia dal punto di vista tecnologico sia dal punto di vista dei contenuti, costituisce il parametro principale e distintivo della misurazione dell'efficienza e dell'efficacia del servizio pubblico, anche con riferimento all'allocazione delle risorse economiche. A tale ultimo riguardo, l'Autorità ha sottolineato la necessità di condurre verifiche periodiche sull'adempimento degli obblighi e sulla relazione tra strumenti obiettivi attraverso la puntuale misurazione di questi ultimi con opportuni indicatori. Il conseguimento degli obiettivi contrattualizzati mediante l'utilizzo di indicatori predefiniti quali, tra gli altri, i budget investiti, gli obiettivi di coesione sociale, l'incremento della programmazione fruibile da soggetti con disabilità sensoriale, progetti sperimentali, valorizzazione dei contenuti di archivio disponibili, quota dei programmi di media e digital literacy, riconquista del pubblico in età evolutiva o più giovane, permetterebbe infatti di valutare nel corso del tempo l'efficacia degli strumenti, l'impiego delle risorse, la loro destinazione e l'opportunità di sperimentare nuove strategie. Il tema della qualità dell'informazione e della rappresentazione del pluralismo sociale nell'offerta dei contenuti promossi dal servizio pubblico diventa, infatti, ancor più rilevante con la crescita esponenziale rilevata dall'Autorità e da autorevoli enti di ricerca del ricorso alla rete in generale, e ai social media in particolare, come fonte esclusiva di informazione, specie per i più giovani.
  A questo divario generazionale di tipo informativo si affianca un crescente divario culturale, alimentato dalla frammentazione informativa nella rete della rappresentazione sociale dei fenomeni che pervadono la società italiana. Come ha di recente scritto Cass Sunstein, la costruzione nella rete del palinsesto informativo individuale minimizza l'esposizione al nuovo, al diverso, all'inaspettato. In questo quadro, la missione del servizio pubblico appare rinnovata nella misura in cui diventa necessario alimentare l'esposizione a rappresentazioni della società, da un lato, dissimili da quelle che autonomamente cercheremmo nella rete dell’echo chamber e, dall'altro, capace di cementificare la coesione sociale e di attirare nello stesso pubblico più generazioni di spettatori anche dai profili sociali diversi.
  Come non ha mancato di rilevare l'Autorità in diverse occasioni, e da ultimo con Pag. 5la propria indagine sul pluralismo informativo locale, la coesione sociale è misurabile da opportuni indicatori già sperimentati in esperienze estere, e può quindi essere un obiettivo del servizio pubblico da esplicitare con maggior vigore. In questo senso, la necessità di rinnovare la definizione caratteristica del servizio pubblico alla luce del mutato scenario e di individuare nella qualità dell'offerta i tratti distintivi di tale servizio, richiede una maggiore discontinuità rispetto a quella fin qui riscontrata.
  Sebbene non manchino novità di rilievo, in un contesto che peraltro opportunamente distingue, in analogia a quanto accade in altri Paesi europei, tra i princìpi della missione del servizio pubblico e gli obblighi specifici per la sua attuazione, quali l'offerta per l'estero e in lingua inglese o il rilancio del ruolo del servizio pubblico nell'industria dell'audiovisivo nel complesso, l'impostazione del nuovo contratto dovrebbe essere più coraggiosa e innovativa.
  In diversi passaggi, infatti, il nuovo contratto ricalca quello attuale, relativo al triennio 2010-2012 e tuttora vigente, ad esempio l'indicazione dei generi, di cui all'articolo 3, comma 2, informazione generale, programmi di servizio, culturali e di intrattenimento, sportivi, per minori, opere italiane ed europee, che, secondo quanto previsto dall'articolo 23, comma 1, lettera a), devono costituire il 70 per cento della programmazione delle reti generaliste e tematiche, 80 per cento per la terza rete. Si riproduce la distinzione tra due categorie di offerta, una più di servizio pubblico rispetto all'altra. Questa impostazione palesa un limite di adattamento all'evoluzione e alla continua ibridazione dei linguaggi e dei formati televisivi. Non è un caso che l'elenco fornito all'articolo 3, comma 2, risulti molto lungo, proprio nello sforzo di essere esaustivo. Appare anche non del tutto in linea con gli orientamenti degli altri servizi pubblici europei, dove prevale l'attenzione a un equilibrato mix di tutti i generi, purché utili a mantenere un legame con un pubblico quanto più ampio possibile, ovvero a identificarsi con i bisogni di un servizio individuato dal pubblico quale distintivo e rappresentativo di valori sociali utili al perseguimento dell'obiettivo di coesione sociale.
  Il nuovo contratto, nella descrizione degli ambiti tematici di intervento, recepisce opportunamente alcuni orientamenti formulati dall'Autorità sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico. Mi riferisco, in particolare, alla valorizzazione dell'offerta rivolta ai giovani e all'adozione delle best practice internazionali per contrastare la diffusione di fake news alimentata da un atteggiamento passivo e inerte da parte di un pubblico, che andrebbe invece costantemente stimolato all'abitudine alla riflessione critica, favorendo ed esaltando la dimensione pluralistica nell'offerta di contenuti, non solo prettamente informativi. Ritengo, tuttavia, che gli obblighi previsti dall'articolo 23 del nuovo contratto non entrino nel merito della specificazione che tali linee guida richiedevano.
  Quanto al superamento degli stereotipi di genere, osservo come manchi nel nuovo contratto una più incisiva previsione di dettaglio, e infatti nulla aggiungendo rispetto ai princìpi generali (articolo 2, comma 3, lettera f)), gli obblighi specifici (articolo 23, comma 1, lettera o), n. 2) impongono di «realizzare un monitoraggio che consenta di verificare la rappresentanza non stereotipata del ruolo della donna e della figura femminile nei diversi ambiti della società». A tal riguardo, come già rappresentato negli orientamenti, sarebbe invece auspicabile l'inserimento di una più incisiva previsione che consenta di superare la rappresentazione della donna come operante prevalentemente in ambito privato rispetto alla sfera pubblica, in cui predomina la figura maschile, dovendosi dare maggiore attenzione a un ventaglio più ampio di professionalità e di ceti sociali, non solo medio-alto, discostandosi da modelli esteticamente perfetti, con una presenza più seria e meno incline al sessismo.
  Di seguito ci sono alcuni temi degni di approfondimento.
  Con riferimento all'offerta informativa (articoli 6 e 23, comma 1, lettera e)), l'Autorità esprime un generale apprezzamento Pag. 6per la rinnovata attenzione mostrata al profilo dell'informazione, nella consapevolezza che il rispetto del pluralismo sociale non si limita al momento della comunicazione delle notizie, manifestandosi anche nella più generale offerta di contenuti di rilevanza sociale. In particolare, si registra con favore la previsione dell'attivazione di strumenti volti a rilanciare il data journalism e la verifica immediata delle notizie e dei dati per contrastare la diffusione di fake news attraverso la costituzione di un osservatorio permanente, unitamente alla maggiore sensibilizzazione dei giornalisti in ordine ai principi del fact checking. Nel documento inviato al MISE l'Autorità aveva segnalato l'esigenza di un particolare controllo sulle fonti, definito nella formula fact checking, a fronte dei rischi che caratterizzano l'informazione nell'era digitale, che si sintetizzano nell'espressione fake news, e degli effetti sociali delle strategie di disinformazione. È una nuova frontiera, questa, per il servizio pubblico, che va incoraggiata e rafforzata al fine di preservare il bene pubblico dell'informazione corretta, del dovere di informare e del diritto a essere informati.
  Sotto il profilo della promozione delle opere audiovisive europee e indipendenti, corre l'obbligo per quest'Autorità di rilevare il rischio di possibili disallineamenti rispetto ai decreti attuativi della legge 14 novembre 2016, n. 220, recante «Disciplina del cinema e dell'audiovisivo», in corso di adozione, e al processo di revisione anch'esso in corso della direttiva 2010/13/UE sui servizi di media audiovisivi. Sebbene l'eventuale disallineamento con la direttiva costituisca un rischio inevitabile, atteso l’iter ancora lungo di definizione del testo, quello con i decreti legislativi in corso di approvazione potrebbe essere evitato attendendo la loro adozione definitiva, prevista per il prossimo 11 dicembre. Si consideri, al riguardo, che lo schema di decreto legislativo recante «Riforma delle disposizioni legislative in materia di promozione delle opere europee e italiane da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi», a norma dell'articolo 34 della legge 14 novembre 2016, n. 220, adottato lo scorso 2 ottobre, introduce profonde modifiche al sistema di promozione della produzione europea, con particolare riferimento a quella indipendente e italiana, prevedendo un complesso sistema di quote differenziate, con specifiche percentuali per quanto riguarda la concessionaria del servizio pubblico. Considerando l'impatto che gli obblighi in materia di produzione audiovisiva hanno sulla programmazione e pianificazione delle attività di impresa, appare evidente che un disallineamento tra le disposizioni del nuovo contratto e le modifiche che verranno introdotte alla disciplina generale in attuazione della legge 220 del 2016 sarebbe foriero di incertezze interpretative e impatterebbe sull'attività di monitoraggio dell'Autorità. L'Autorità ritiene pertanto necessario che il nuovo contratto di servizio assicuri l'adeguamento alle disposizioni del decreto attuativo della legge 220 del 2016 laddove queste venissero definitivamente adottate in un momento successivo alla sottoscrizione del contratto.
  Nel merito del testo, persiste all'articolo 23, comma 2, il contrasto con il TUSMAR quanto alla definizione di investimenti. La bozza di contratto continua infatti a definire come investimenti «la configurazione di costo, che comprende gli importi corrisposti a terzi per l'acquisto dei diritti e le utilizzazioni delle opere, i costi per la produzione interna ed esterna e gli specifici costi di promozione e distribuzione nonché quelli per l'edizione e le spese accessorie direttamente afferenti ai prodotti di cui alla medesima lettera f)». Come già evidenziato nel documento di luglio, tale definizione non è conforme a quella più restrittiva contenuta nel TUSMAR e non corrisponde all'obiettivo di servizio pubblico della quota addizionale su Rai di garantire, anche attraverso una maggiore trasparenza e semplificazione degli investimenti sostenuti, la produzione terza indipendente, il che determina disparità di trattamento con i fornitori di servizi di media audiovisivi privati. Nel documento sugli orientamenti, l'Autorità già rilevava questa discriminazione e affermava che i costi di distribuzione non possono concorrere al raggiungimento della soglia di investimenti previsti Pag. 7dalla legge, così come richiedeva la trasparenza sulle spese accessorie. Si esprimono perplessità, infine, per la scelta compiuta con l'articolo 23 di non affidare ad Agcom l'elaborazione delle linee guida di contrattazione per quanto riguarda i diritti di sfruttamento. Si tratta di un rilievo già proposto nella segnalazione al Governo sulla produzione audiovisiva inviata nel febbraio 2016 nonché del documento di orientamenti che nasce dalla necessità di favorire il coordinamento nelle iniziative di regolazione del settore, e di evitare così trattamenti diversificati tra operatori. Auspichiamo, quindi, che in sede di definitiva approvazione dei decreti legislativi si possa risolvere questo vulnus affidando all'Autorità anche il compito di definire le linee guida di contrattazione, e dunque i princìpi e i criteri cui le negoziazioni tra le parti devono ispirarsi nonché il compito di vigilare sull'adeguatezza dei codici di condotta e degli schemi contrattuali da questi derivanti.
  Quanto ai minori, l'articolo 8 del contratto di servizio individua sette princìpi di base, relativi all'offerta indirizzata ai minori di età e rivolta alla formazione e sensibilizzazione delle persone in età evolutiva, ai valori civici, alla cultura della legalità, allo sviluppo delle capacità critiche e dello spirito di partecipazione. Nello specifico, oltre a ribadire l'esistenza di una fascia oraria tra le 7 e le 23 destinata a una visione familiare, e quindi soggetta a una specifica cura nel rispetto delle esigenze di fruizione e della peculiare sensibilità dei soggetti minori di età presumibilmente all'ascolto, l'articolo 23, lettera g), traduce i princìpi negli obblighi di realizzare un canale tematico dedicato ai bambini, privo di messaggi pubblicitari, che utilizzi pluralità di forme di comunicazione allo scopo di accrescerne la sensibilità, e un canale tematico per adolescenti, integrato con l'offerta on line e social, che miri a sviluppare l'approccio critico sui temi di carattere sociale. Va rilevato come in tale ambito il contratto di servizio non abbia a oggi recepito quanto già suggerito da Agcom nei propri orientamenti in merito all'opportunità di indicare in concreto le linee di indirizzo per promuovere accesso e fruizione anche agli utenti minorenni, unitamente alle misure di protezione, che tengano conto dell'acclarata inadeguatezza di alcune tra quelle fin qui adottate (bollini o fasce protette). Sul punto, infatti, il contratto reca una sola previsione di principio, non fornendo linee di indirizzo e misure da adottare in concreto.
  La tutela della dignità della persona e la non discriminazione, intesa come diritto di ogni singola persona ad avere accesso al servizio, riguarda ambiti di intervento che connotano e qualificano il servizio pubblico di un Paese. Nel documento trasmesso al MISE l'Autorità ha sollecitato azioni concrete per restituire cittadinanza alle persone con disabilità. Spiace dover osservare che sono state disattese le indicazioni formulate dall'Autorità su un tema di così grande rilievo civile e culturale. Giova qui richiamare che l'Autorità ha ricevuto diverse segnalazioni relative a ripetuti malfunzionamenti nella sottotitolazione, segno che su questo terreno sono necessari vincoli e forme di monitoraggio più stringenti. È noto, ma in questa sede è bene ribadirlo, che la scorsa estate l'Ente nazionale sordi (Ens) ha promosso una petizione rivolta al Presidente della Repubblica ad alte cariche governative e politiche e ai presidenti della Rai e dell'European Disability Forum. In vista del rinnovo del contratto di servizio, data la persistente impossibilità di accedere a tutti i canali televisivi dell'operatore pubblico e degli operatori privati, i presidenti delle sezioni territoriali dell'Ens, soci dell'ente medesimo, hanno formulato istanze circostanziate. In particolare, con la petizione è stato chiesto che il nuovo contratto di servizio, oltre a garantire l'accesso all'intera programmazione delle reti generaliste, preveda l'accessibilità sulla base di un cronoprogramma a tutte le reti di servizio pubblico. Con la petizione si auspica anche che il Parlamento italiano, in conformità con gli interventi già condotti in altri Paesi europei, estenda gradualmente agli operatori privati l'obbligo di rendere fruibile l'intera offerta televisiva. Sulle istanze sollevate dall'Ens l'Autorità non può che ribadire di aver Pag. 8indicato la progressiva fruibilità di tutti i canali Rai come ulteriore obbligo di servizio già nelle linee guida emanate per il contratto di servizio relativo al triennio 2013-2015 (delibera n. 587/12/CONS), mai entrato in vigore. Tornando al contratto di servizio 2018-2022, il dettato dell'articolo 23, comma 1, lettera h), relativo all'offerta per le persone con disabilità, non si discosta, come in precedenza accennato, da quanto previsto all'articolo 13 del contratto di servizio 2010-2012, giacché impone obblighi con esclusivo riferimento alla fruizione delle reti generaliste, peraltro fissando la soglia minima dei contenuti da sottotitolare all'80 per cento della programmazione di tali reti. Si prevede, invero, che la Rai predisponga anche un piano di intervento per sviluppare sistemi idonei a favorire la fruizione di prodotti radiotelevisivi. Cionondimeno, in assenza di obiettivi operativi e di parametri temporali intermedi puntuali – basti pensare all'esperienza inglese e alle soglie fissate per la BBC – l'attività di vigilanza appare priva di strumenti efficaci di intervento. La verifica degli adempimenti contrattuali resta, dunque, un nodo irrisolto. Obblighi di accesso universale e di non discriminazione delle persone con disabilità dovrebbero, tra l'altro, essere previsti anche con riferimento ai programmi e servizi offerti via web, anche alla luce della crescente penetrazione e della maggiore flessibilità del prodotto ai servizi interattivi.
  Come già rappresentato, molti ambiti di intervento del contratto indicano efficacemente le finalità da conseguire, ma non anche gli obiettivi quantitativi di dettaglio da raggiungere e la tempistica per il loro conseguimento. È il caso, tra l'altro, delle previsioni sulle audiovideoteche, peraltro disciplinate solo dall'articolo 13 del contratto e non anche dall'articolo 23, e sull'offerta per l'estero e in lingua inglese. Al riguardo, sebbene l'Autorità avesse indicato un obbligo più ampio sulla disponibilità degli archivi e l'accesso al pubblico con strumenti digitali, si registra con favore il recepimento a livello di principio delle indicazioni formulate dall'Autorità in tema di sviluppo e valorizzazione delle audiovideoteche. Tuttavia, anche su questa tematica sarebbe auspicabile un regime di vincoli più stringente e un maggior grado di dettaglio in ordine ai compiti gravanti sulla concessionaria.
  L'Autorità nei propri orientamenti ha sottolineato come la concessionaria sia chiamata per sua natura a svolgere un ruolo di driver e di guida all'innovazione tecnologica, anticipando, sostenendo e accompagnando i processi di mutamento e sviluppo tecnologico a beneficio sia dei cittadini sia dell'intero sistema. Alcuni richiami al contributo che la concessionaria è chiamata a fornire in tema di ricerca e innovazione sono contenuti nei princìpi generali del nuovo contratto (articolo 2, comma 1, lettera m), così come negli impegni relativi all'attuazione dell'offerta multimediale (articolo 5, comma 2, lettera i). Tali enunciazioni, tuttavia, risultano piuttosto generiche e non sembrano valorizzare il ruolo del servizio pubblico quale leader dello sviluppo tecnologico dell'audiovisivo nel Paese né sembrano richiamare la Rai a una più puntuale declinazione della sperimentazione è necessaria in questo campo. Il nuovo contratto non fa più riferimento, ad esempio, al Centro ricerche e innovazione tecnologica di Torino, che era invece menzionato nel contratto 2010-2012, seppure limitatamente alla sua funzione di distretto produttivo Rai specializzato nell'offerta dedicata al pubblico dei bambini, senza pregiudizio per la normale produzione (articolo 12, comma 2 del Contratto 2010-2012). A tal proposito, si evidenzia che, nel corso della consultazione dei principali stakeholder condotta dall'Autorità a seguito dell'approvazione dello schema di convenzione di cui al DPCM 28 aprile 2017, è emerso un interesse ancora vivo per il ruolo svolto dal centro.
  Con riferimento alle singole tecnologie, il contratto disciplina correttamente in maniera dettagliata il ruolo della concessionaria in merito al processo di liberazione della banda frequenziale 700 megahertz, anche con riferimento alla realizzazione di una rete digitale nazionale, da mettere principalmente a disposizione dei fornitori di servizi media audiovisivi in ambito locale Pag. 9(articolo 14, comma 3). Tuttavia, il contratto dovrebbe altresì far riferimento agli impegni che la concessionaria dovrebbe assumere con riferimento allo sviluppo di tecnologie e a favorire la condivisione delle infrastrutture realizzate per la diffusione del segnale sia televisivo sia radiofonico.
  Con riferimento alla radio digitale, il contratto in discussione si limita a prevedere che la Rai debba «valorizzare il mezzo radiofonico anche tramite la tecnologia DAB+ e le nuove tecnologie multipiattaforma» (articolo 23, comma 1, lettera m, n. 3). Come sottolineato invece dall'Autorità nei suoi orientamenti, «il contratto di servizio, nel considerare ormai superata la fase di sperimentazione, dovrebbe essere in grado di definire una road map percorribile per la concessionaria, volta all'incremento della copertura della rete del servizio pubblico almeno allineata a quelli dei principali consorzi privati, il cui sviluppo rappresenta un fattore fondamentale e atteso da tutto il mercato». Si potrebbe anche prevedere di utilizzare le risorse e le infrastrutture di Rai a disposizione di terzi anche al fine di stimolarne l'innovazione.
  Le norme introdotte dall'articolo 18 del contratto di servizio, relative alla neutralità tecnologica, sembrano porsi in continuità con l'attuale assetto, così come individuato dal vigente contratto di servizio, ma in discontinuità con quanto previsto dalla convenzione. La previsione dell'articolo 1, comma 1, della convenzione, in base alla quale la concessionaria è tenuta alla diffusione dei propri contenuti su tutte le piattaforme distributive, appare contraddetta dalle previsioni dell'articolo 18, che impone alla concessionaria di assicurare la diffusione attraverso almeno una piattaforma distributiva di ogni piattaforma tecnologica. Desta inoltre qualche perplessità la circostanza che il contratto sembri voler stabilire una gerarchia tra le piattaforme tecnologiche laddove, così come in precedenza aveva fatto anche la convenzione, viene indicato, all'articolo 23, comma 1, lettera j), che la ricevibilità gratuita debba essere assicurata primariamente attraverso l'etere e, solo quando ciò non sia possibile, attraverso il cavo, termine che peraltro appare antistorico rispetto alle tecnologie trasmissive basate sul protocollo IP, o con il satellite. L'Autorità, come indicato nei suoi orientamenti, ritiene che debba essere considerata prioritaria la possibilità per l'utente di accedere gratuitamente alla programmazione di servizio pubblico secondo un principio di universalità, non discriminazione e neutralità tecnologica.
  Se non ci sono dubbi sugli aspetti relativi all'obbligo di must carry (comma 1), andrebbe risolta in termini di chiarezza e univocità l'indicazione recata dall'articolo 18 in tema di obbligo di offerta dei contenuti di servizio pubblico a piattaforme distributive terze non aperte al pubblico, il cosiddetto must offer, di cui al comma 2. Mentre, infatti, il primo comma dell'articolo 18 pare voler escludere il ricorso a obblighi di must offer in capo alla concessionaria, il secondo comma sembra voler introdurre un'imposizione di questa natura. Questo punto è di notevole importanza, specialmente laddove si consideri che, sempre ai sensi del secondo comma dell'articolo 18, il contratto prevede che i soggetti interessati, ossia la concessionaria e gli operatori titolari di piattaforme distributive e televisive, possano richiedere all'Autorità di verificare e stabilire le condizioni necessarie per la conclusione degli accordi. Si tratta di accordi commerciali liberamente negoziati e non di obblighi. Questi andrebbero quindi esclusi dal contratto di servizio pubblico e rimandati alle competenze di gestione e risoluzione generale di controversie tra operatori.
  Coerentemente con quanto previsto dalla convenzione e in linea con le disposizioni della norma di rango primario (articolo 47 del TUSMAR, in particolare i commi 1 e 2), il nuovo contratto ribadisce, all'articolo 14, il ricorso alla contabilità separata quale strumento idoneo a valutare il costo di fornitura del servizio pubblico radiotelevisivo e multimediale e accertare che le risorse pubbliche derivanti dal canone siano utilizzate unicamente per la realizzazione dei compiti del servizio pubblico. Oltre a confermare i rilievi mossi nei suoi orientamenti circa la complessità della concreta attuazione dei sistemi di contabilità separata, Pag. 10 a fronte di risultati poco soddisfacenti sia sotto il profilo di una maggiore efficienza della concessionaria sia sotto il profilo di un'accresciuta percezione del carattere distintivo della sua offerta da parte del pubblico, l'Autorità ravvisa un ulteriore elemento di criticità del nuovo contratto di servizio nella misura in cui ripropone il meccanismo basato sui generi, cui nella versione del contratto ora in vigore si fa riferimento all'articolo 9, con la locuzione «generi predeterminati», al fine di individuare il contenuto minimo obbligatorio del servizio pubblico radiotelevisivo. Peraltro, non deve essere trascurato l'impatto di tale previsione sul processo di approvazione da parte dell'Autorità dello schema di contabilità separata, sulla base del quale la concessionaria predispone il bilancio di esercizio. Giova sottolineare che, peraltro, con l'attuale impostazione della contabilità separata, la parte preponderante del canone viene giustificata dai mancati ricavi pubblicitari determinati dai minori affollamenti tanto dei programmi dei cosiddetti generi predeterminati quanto degli altri programmi. Conseguentemente, qualsiasi riduzione dei ricavi pubblicitari della Rai, indipendentemente dall'attribuzione all'aggregato servizio pubblico o all'aggregato commerciale, si deve tradurre in un maggior fabbisogno di canone. Il limite del meccanismo basato sui generi, che porta all'imputazione nel bilancio della Rai delle voci dei costi e dei ricavi a essi relativi all'aggregato di servizio pubblico e all'imputazione all'aggregato commerciale delle medesime voci relative agli altri generi di programmazione, è rappresentato dalla sua neutralità rispetto alla qualità del servizio pubblico e dalla conseguente incapacità a garantire che il canone sia effettivamente utilizzato per offrire programmi distintivi rispetto a quelli delle emittenti commerciali, e dunque, in ultima analisi, dall'impossibilità di utilizzare il canone per lo svolgimento del servizio pubblico.
  Per altro profilo si segnalano alcune problematiche interpretative con riferimento al combinato disposto tra l'articolo 23, comma 1, lettera q), e l'articolo 19 del nuovo contratto di servizio.
  La prima disposizione, in particolare, prevede che la Rai è tenuta a presentare all'Autorità un progetto operativo finalizzato ad assicurare l'applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 19. L'articolo 19, primo comma, a sua volta stabilisce che il costo delle attività derivanti dal servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale è coperto a norma dell'articolo 13, comma 1, della convenzione, che fa riferimento alle funzioni del canone. Il secondo comma, invece, fa riferimento all'obbligo della Rai di adottare criteri tecnici ed economici di gestione idonei a consentire il raggiungimento di obiettivi di efficienza aziendale e di razionalizzazione del proprio assetto organizzativo. Posto che l'Agcom non ha competenze specifiche in materia di gestione economico-finanziaria, non si comprende il richiamo all'articolo 19 da parte dell'articolo 23, comma 1, lettera q). Probabilmente, il richiamo corretto dovrebbe riguardare l'articolo 20, relativo alla contabilità separata, come sembra confermato, oltre che dalle competenze dell'Autorità in materia, dalla circostanza che la lettera q) dell'articolo 23 si riferisca espressamente alla contabilità separata.
  Si ribadisce, infine, quanto già osservato negli orientamenti in merito alla necessità della certezza di risorse da canone, e dunque al fatto che il suo ammontare debba essere stabilito per i cinque anni di durata del contratto di servizio.
  Per quanto riguarda la disciplina della diffusione di messaggi pubblicitari e di comunicati commerciali, il contratto di servizio ne dispone all'articolo 23, lettera r), laddove ribadisce, e non avrebbe potuto altrimenti, l'assoggettamento della Rai al regime di posizionamento e di affollamento di cui alle norme primarie del TUSMAR (articoli 37 e 38), oltre a prevedere obblighi accessori, quali l'esclusione della pubblicità dai canali tematici per bambini, il divieto di pubblicità del gioco d'azzardo e alcuni princìpi afferenti alla conclusione dei contratti di diffusione pubblicitaria, che devono rispettare i princìpi di concorrenza, trasparenza e non discriminazione.
  Un riferimento ulteriore alla pubblicità è contenuto, inoltre, nell'articolo 25, che Pag. 11assoggetta la Rai a un obbligo di informativa annuale al MISE, al MEF, ad Agcom e alla Commissione di vigilanza su alcuni dati afferenti al mercato pubblicitario (la ripartizione del mercato, ricavi pubblicitari Rai e così via), sugli indici di affollamento pubblicitario per fascia oraria e a livello complessivo. Anche in questo caso va rilevato come il nuovo contratto di servizio non abbia tenuto in considerazione le indicazioni fornite da Agcom. Non vi è alcun cenno alla ripartizione delle risorse tra canone e pubblicità. Peraltro, nel documento era stata evidenziata l'esigenza di specificare in concreto, al di là del mero rinvio alle fonti normative primarie costituite dalle disposizioni del TUSMAR, le linee per un'applicazione uniforme dei limiti di affollamento pubblicitario alla generalità dei canali esercìti dalla concessionaria, e ciò al fine di consentire «all'Autorità il pieno ed efficace esercizio dell'attività di vigilanza». Un ulteriore sforzo andrebbe fatto per consentire una più puntuale verifica dell'uso delle risorse pubbliche rispetto a quelle commerciali e il controllo della non distorsione della concorrenza, auspicata del resto anche nella convenzione, prevedendo, come in altri servizi pubblici europei che operano in regime misto, obblighi di trasparenza e pubblicazione delle offerte presentate dagli inserzionisti. L'assenza di riferimenti nel contratto di servizio a tale tematica, che pure presenta significativi risvolti sia sulle attività della concessionaria sia sul complessivo assetto del mercato pubblicitario, sembra indicare che ogni attività interpretativa del dettato normativo volta a un eventuale adeguamento alla mutata realtà del contesto audiovisivo e multimediale sia esclusa dall'ambito convenzionale, e dunque rimessa in toto all'Autorità di vigilanza senza chiarire su quali basi questa debba o possa discostarsi dalle interpretazioni pregresse.
  Posto che le apposite disposizioni del TUSMAR conferiscono precise competenze di vigilanza e sanzionatorie all'Agcom, a presidio del rilievo pubblicistico degli eventuali inadempimenti agli obblighi di servizio pubblico sarebbe opportuno che il nuovo contratto di servizio introducesse, come auspicato dall'Autorità, alcune puntuali previsioni sulla ripartizione dei compiti tra Agcom e MISE, fornendo una chiara distinzione dei rispettivi ruoli, nel rispetto delle prerogative che le norme di rango primario attribuiscono esclusivamente all'autorità di settore, ciò al fine di evitare sovrapposizioni ed eventuali conflitti nella valutazione della corretta attuazione delle previsioni di natura convenzionale e di quelle di natura legislativa e regolamentare.
  Con specifico riferimento alle attività di monitoraggio e di competenza dell'Agcom, muovendo dalla negativa esperienza maturata dall'Autorità durante i precedenti contratti, che nulla hanno precisato al riguardo, sarebbe auspicabile l'inserimento nell'articolo 23 di uno specifico punto che individui le procedure da seguire per la verifica nel medio e lungo termine del rispetto degli obblighi previsti dal contratto in capo alla concessionaria. Si dovrebbero, infine, individuare anche parametri quantitativi e qualitativi per verificare la rispondenza del servizio reso ai bisogni collettivi e alla rappresentanza della società.

  PRESIDENTE. La ringraziamo, presidente, per questa relazione molto approfondita. L'hanno ascoltata anche i relatori del parere, l'onorevole Lupi per la maggioranza e l'onorevole Nesci per l'opposizione. Do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  ALBERTO AIROLA. Grazie di essere qua. La ringrazio anche a titolo personale della solidarietà che mi è arrivata da lei dopo la mia aggressione.
  Entro subito nel merito. Manca la parte multimediale. Purtroppo, su questo la Rai, che dovrebbe fare addirittura da driver sul mercato broadcast internazionale e multimediale internazionale, è crollata in questa legislatura completamente nel suo tentativo di riformarsi. Che ci sia troppa rincorsa alla TV commerciale è pienamente condivisibile: cercheremo di modificarlo.
  Le vorrei chiedere espressamente della questione delle risorse: lei vede nel sistema Pag. 12di finanziamento del servizio pubblico previsto da questo contratto la possibilità che esista una sorta di «ti do i soldi se tu mi dimostri certe cose», quindi un controllo finanziario ed economico da parte del Governo?
  Un'altra cosa che lei non ha citato, o almeno forse mi è sfuggita, è la presenza in questo contratto, agli articolo 21 e 22, di ben due comitati nuovi; una commissione paritetica, appositamente istituita presso il Ministro dello sviluppo economico, composta da otto membri (quattro designati dal ministero e quattro dalla Rai), che dovrebbero vigilare, in particolare su come viene applicato il contratto e un comitato di confronto. All'articolo 22 si dice infatti che: «Entro tre mesi dalla data di pubblicazione del presente contratto, è istituita per la durata del contratto stesso un comitato quale sede permanente di confronto tra il ministero e la Rai, che ha carattere consultivo, esprime pareri e avanza proposte in ordine alla programmazione sociale e alle iniziative assunte dalla Rai ai sensi dell'articolo 9 del presente contratto». Chi sono? Chi li nomina? Mi sembra un po’ vago. «Il comitato è composto da dodici membri, di cui sei nominati dal ministero, scelti tra rappresentanti di commissioni, consulte e organizzazioni senza scopo di lucro, con competenza sui temi di cui all'articolo 9, e sei nominati dalla Rai». Come lavorerà, quanto sarà ascoltato non si capisce. Per di più, questo sarà pagato dalla Rai. Mi sembra anche una sovrapposizione rispetto, forse, alcune prerogative che dovrebbe invece avere l'Authority.
  Andiamo avanti: mancanza sui social. In questo siamo completamente d'accordo, ma fa fede il riferimento principale, cioè manca la parte multimediale, pur avendo la Rai delle eccellenze sui social. Ricordo che la Gabanelli, pietra dello scandalo recente, era seguita da circa 1.400.000 follower su Facebook, quindi la qualità paga, e questo la Rai ogni tanto sembra continuare a non capirlo.
  Anche noi rileviamo la fumosità della Rai sulla questione dell'estero. In questo contratto vorremmo definire chiaramente che cosa significa questa produzione inglese. Lei che cosa intende? Lo chiederò anche alla Rai, ma oltre ai contenuti, si intende un canale dedicato, che avevano chiamato Rai World o in altro modo?
  Dell'argomento fake news si è parlato molto, e anche molto a sproposito. Mi trovo molto d'accordo con lei, e mi fa molto piacere, sul fatto che dovrebbe bastare un fact checking fatto costantemente da tutte le trasmissioni di informazione – si potrebbe fare addirittura nei talk – e dai programmi di alfabetizzazione. Non possiamo fare dei programmi in cui spieghiamo le fake news, perché dovremmo invece dare gli strumenti ai cittadini per trovare su Internet stesso la possibilità di individuare le fake news. Internet è il primo che svela la fake news. Dovrebbero farlo i giornalisti, forse, il corso sulle fake news.
  Trovo che in questo contratto di servizio si ripetano molto spesso – lo conterò, così avrò almeno un numero esatto di volte – i termini «pluralismo» ed «equità», quasi a voler garantire qualcosa che di fatto non c'è. Ribadisco che su questo è vostro compito vigilare. Magari li cancelliamo un po’ di volte e li scriviamo una volta sola, ma poi questo deve restare un principio cardine.
  Quanto al disallineamento ai decreti-legge cinema, forse si riferiva anche al 496, il parere su cui abbiamo votato ieri nelle Commissioni 7ª e 8ª? Noi abbiamo espresso voto contrario, proprio perché ci sembrava assolutamente fuori luogo. Intanto, non riguarda la Rai da un certo punto di vista, ma gli editori liberi e l'intromissione dello Stato nella programmazione che è fuori luogo, peraltro probabilmente col rischio di favorire più quantitativamente e non qualitativamente la produzione.
  Molto importante, la Rai aggira le quote di produzione. Come lo fa? Coi documentari, per esempio, dicendo – mi confermi se ho capito bene quello che ha detto – che compra, o comunque contrattualizza prodotti esterni senza rientrare, senza essere coinvolta nel processo produttivo, creativo e distributivo.
  Vorrei un esempio, perché non ho capito, per mia mancanza probabilmente, di cosa intende quando parla di affidare ad Agcom le linee guida di contrattazione, Pag. 13princìpi e criteri di negoziazione. Mi può fare un esempio concreto?
  Anche noi abbiamo condiviso la valorizzazione dell'archivio e delle audioteche.

  PRESIDENTE. Le chiedo scusa, ma siamo un po’ oltre il tempo massimo.

  ALBERTO AIROLA. Ancora due cose e ho finito, presidente.
  Il Centro ricerche di Torino – non so se l'ha visto, io sono torinese – è diventato un rudere, ed era un'eccellenza.
  Il contratto di servizio dovrebbe definire una road map completa. Anche su questo servono la massima azione e controllo. Non mi intendo di bande e frequenze, ma so che ci sono numerose problematicità.
  Un ultimo punto, e concludo, presidente, è la contabilità separata e l'annosa questione di come gestirla. Con la trasparenza? Dicendo che è stato realizzato un programma, Tale e quale show, con i soldi provenienti da..., o il famoso bollino, che già ci hanno bocciato tutti, persino la Deltenre, direttore generale dell'Ebu, o semplicemente realizzando programmi di servizio pubblico anche con i proventi dei soldi della pubblicità? Mi pare che questa sia la soluzione migliore. Mi pare che sia quella che ha suggerito anche lei.

  MAURIZIO GASPARRI. Ringrazio il presidente Cardani.
  Ovviamente, le considerazioni che ha fatto sono importanti, perché danno una serie di spunti, che dovremo esaminare. Dovremmo dare il parere entro la metà di dicembre su questo importante documento, e le sue considerazioni hanno offerto una serie di spunti puntuali su una serie di tematiche di grande rilievo. Saranno una traccia per emendare il testo del contratto di servizio.
  Ho anche ascoltato dal presidente che alcune considerazioni sono state già segnalate al Governo per un'altra forma di consultazione, di consulenza dovuta al ruolo dell'Autorità anche nei confronti del Governo. Da quel che ho capito – leggeremo il testo – non sono state tutte recepite, o talune sono state chiaramente ignorate. Ha fatto riferimenti molto precisi a punti vari dall'articolo 23 e ad altre questioni. Avremo il tempo di esaminare il suo testo. Laddove ci saranno, sicuramente, vari punti su cui troveremo condivisione, il nostro gruppo si farà promotore di proposte ai relatori affinché il contratto sia arricchito da questi spunti.
  Le consultazioni, le nostre audizioni servono a una panoramica ampia, che parte da una realtà istituzionale fondamentale, dotata di poteri e competenze, per dire con naturalezza la propria, e quindi esamineremo nel dettaglio e ci faremo carico di certi temi.
  Voglio cogliere questa occasione, ma perdendo un ulteriore minuto e basta, per dire che la questione che più ci preoccupa in generale, visto che adesso dobbiamo rinnovare il contratto di servizio, è il tema del pluralismo, che è sì quello anche sociale a cui ha fatto accenno il presidente Cardani, ma c'è anche il pluralismo tout court, il pluralismo che riguarda le idee, le culture, la politica. Del resto, come sempre, viene richiamato nella legge vigente, nei primi articoli del TUSMAR, ma anche nel contratto di servizio, nei princìpi generali, non a caso all'articolo 2. Il tema del pluralismo è una vexata quaestio. Quando si arriva alle scadenze democratico-elettorali, spesso la stessa Autorità, per i poteri che la legge le affida, è investita da controversie, vicende varie. Ci stiamo avvicinando alla tornata elettorale politica e regionale, quindi ci sarà lavoro per tutti, nelle rispettive competenze.
  Dico a noi stessi, in questo caso, come Commissione, che su questo tema dobbiamo cogliere l'occasione del contratto di servizio per denunciare il mancato rispetto di certe questioni da parte della Rai in tutte le varie fasi, anche attuali, al di fuori e al di là delle fasi della par condicio, che determinano contestazioni, discussioni puntuali su minutaggi e altro. Anche fuori dalla par condicio, come è noto, ci sono doveri di equilibrio e di pluralismo che la Rai, anche nell'attuale gestione e in quella che l'ha preceduta, non ha rispettato.
  Per non rendere formale, retorica, un po’ di maniera la discussione sul contratto Pag. 14di servizio, credo che nelle nostre conclusioni dovremo richiamare con maggiore forza quanto avviene, se no ci mettiamo l'anima in pace coi richiami rituali. Le leggi, il contratto di servizio, la concessione invocano il pluralismo, ma il pluralismo realizzato non c'è. Anche attualmente, nei programmi, nei talk show, c'è una monocultura prevalente, c'è un dispendio gigantesco di risorse. Si potrebbero produrre film come Ben Hur o Via col vento con quello che costano trasmissioni che fanno il 3 per cento. Credo che su questo tema, al di là degli aspetti normativi degli emendamenti – anche oggi potremo trarre spunto dall'intervento del presidente Cardani – dovremo fare di questo contratto di servizio un baluardo con sanzioni concrete per la tutela del pluralismo non solo nelle fasi elettorali. Oggi il pluralismo per la Rai non esiste.

  LELLO CIAMPOLILLO. Ringrazio il presidente Cardani per essere qui.
  Innanzitutto, parleremo delle frequenze. C'è una questione sottoposta anche al Sottosegretario Giacomelli, che però ci ha dato delle risposte che tutto sommato non ci hanno convinto. Ci saranno delle frequenze, almeno una, in banda terza, e questa verrà assegnata alla Rai, che dovrà fare questo MUX regionale. La banda terza ha un problema che, evidentemente, non abbiamo compreso. Il Governo fa finta che questo problema non ci sia. Per ricevere i canali in banda terza, serve un'antenna dedicata, che non è quella che va poi dai canali dal 21 in poi. Quest'antenna non c'è più sui terrazzi dei condomini degli italiani. Quest'antenna praticamente è scomparsa. Questo canale in una prima fase verrà utilizzato dai contenuti Rai per il 40 per cento della capacità totale di banda e per il 60 per cento dai fornitori di contenuti privati. Perché sia ricevuto sui televisori degli italiani, ci sarà bisogno di avere quest'antenna. Bisognerà anche ricanalizzare il centralino che funziona all'interno dei condomini. La domanda è: è solo una frequenza quella che Rai utilizzerà per questo Mux regionale o più di una frequenza? come pensa Rai di risolvere questo problema? anche se Rai Way accende i trasmettitori in banda terza, chi vede questo canale, chi riuscirà a riceverlo? avete pensato a come risolvere questo problema?
  Poi c'è la questione del passaggio al T2. Approfitto proprio della sua presenza, presidente Cardani. Se il sistema di trasmissione T2 può essere utile per sopperire alla carenza di frequenza che ci sarà, visto che verranno spente molte frequenze per liberare i canali in favore del 5G della telefonia mobile, vorremmo capire perché viene fatto in momenti diversi il passaggio al T2. È previsto che avvenga prima per le televisioni locali, che a un certo punto, in anticipo di almeno un anno, forse un anno e mezzo rispetto alle nazionali, dovranno trasmettere in T2, quindi tutte le persone che a casa posseggono il decoder, anche se in HD, in H264 o in MPEG-264 riescono a riceverlo, chi non ha il ricevitore T2 di colpo si sveglia la mattina e non vede più le televisioni locali. Ovviamente, questo dà un grande vantaggio alle nazionali, perché alla fine le persone di colpo potranno vedere solo le nazionali. Questo non ci sembra corretto nei confronti dell'emittenza televisiva privata. Sembra studiato appositamente per dare il colpo definitivo all'emittenza locale e dire: ci avete stancato, dobbiamo favorire le TV nazionali, magari forse anche quelle private. In questo modo, si fanno chiudere tutte le locali, e quindi ci si libera di quest'informazione indipendente, che forse al Governo dà fastidio, perché un po’ l'informazione locale riesce a essere indipendente.
  Le ricordo, però, presidente Cardani, che secondo la classifica mondiale per la libertà di stampa siamo al 52° posto, ma in Europa l'Italia è colorata diversamente: tutta l'Europa è in libertà di stampa, l'Italia invece viene considerata all'estero in semilibertà di stampa. Cancellare l'emittenza locale, quindi l'informazione locale, di colpo, dalla mattina alla sera, con un anno di anticipo, ci sembra veramente un colpo di mano inaspettato, o meglio forse da questo Governo e anche da quelli precedenti ce lo si poteva aspettare. Può spiegarci perché? Secondo noi, è molto più semplice che, se si deve fare il T2, passino tutti contemporaneamente. Ancora meglio, se proprio ci Pag. 15deve essere una disparità, cioè qualcuno lo deve fare prima, magari lo fa la Rai insieme alle nazionali e poi lo fanno le locali, o, ancora più semplice, tutti insieme.
  Faccio solo un passaggio veloce sul DAB+. Visto che lei l'ha citato, Radio Rai dovrebbe coprire, e oggi non lo fa, tutta Italia in DAB+. Ci sono alcune regioni scoperte completamente dal DAB, perché l'Agcom ha deciso di farlo – lei è proprio il presidente dell'Agcom – potremmo dire a rate, ma non si capisce perché oggi ci siano in quelle zone scoperte da Rai emittenti nazionali che invece hanno ricevuto tempo addietro frequenze sperimentali, che continuano a utilizzare, e non ci sia la Rai nel DAB.
  Se vediamo poi che grossi gruppi nazionali stanno comprando grosse emittenti locali in FM, vuol dire che forse qualcuno ha interesse a che non si sviluppi questo DAB+. Ogni volta che viene qui, parla sempre di questo DAB+, ma appare invece, al contrario, che questo DAB non s'abbia da fare per chi ha investito tanti soldi e continua a investirli. Qualcuno ha comprato una grossa rete regionale qui nel Lazio, per la quale ha speso 25 milioni di euro. Se compro l'FM e qualcuno, anche la Rai, mi fa il DAB, l'FM perde di valore: che compro a fare il DAB? Questo è quello che, probabilmente, hanno pensato i grossi gruppi nazionali. Il DAB incide meno dal punto di vista dell'inquinamento elettromagnetico e costa meno, perché si fanno pochissimi impianti e di bassa potenza, che non sono certo impianti energivori come quelli dell'FM. Questo DAB+, presidente Cardani, lo facciamo o dobbiamo dire che lo facciamo ma perché non si faccia, perché oggi lo facciamo fare solo ad alcuni? Ovviamente, nessuno ha interesse a comprarsi un ricevitore DAB. Perché l'ascoltatore dovrebbe comprare una radio DAB per ascoltare le stesse cose che può ascoltare in FM? Ecco perché il DAB non si sviluppa. Sembra un piano fatto appositamente per favorire tutti quei gruppi che a oggi continuano a investire nell'FM, mentre noi parliamo di DAB, ma se ne parla soltanto.

  ANGELO MARCELLO CARDANI, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Non prenderò moltissimo tempo, perché una serie di domande che mi sono state rivolte sono estremamente tecniche, in particolare quelle del senatore Ciampolillo, che ha citato una serie di elementi molto precisi e, proprio perché precisi, estremamente dettagliati e tecnici. Purtroppo, nella mia posizione ho una visione «a volo d'uccello» di queste cose, e non voglio dare risposte sbagliate, ma garantisco che risponderemo per iscritto e molto rapidamente, come abbiamo fatto in precedenza. Riconosco che vi sono alcuni punti di grande interesse, perché alcuni elementi non sono chiari. Come spesso succede, ma non devo certo suggerirlo io, che sono un tecnico, a persone come loro, che hanno un'esperienza politica, la tecnica è usata in chiave politica, e quindi può essere usata in maniera distorsiva.
  Il senatore Gasparri ci ha promesso un'analisi di quello che esponiamo. Se del caso, di un sostegno non posso che ringraziarlo sentitamente. Il tema del pluralismo politico, senatore, è ovviamente un tema di enorme importanza, ma lei stesso mi pare abbia avanzato una spiegazione. Si arriva con questi temi grossissimi sotto decisione, e quindi quelli che potrebbero essere dei cambiamenti epocali vengono poi sempre rimandati perché manca una settimana e non si possono affrontare. In realtà, è un vero peccato.
  Senatore Airola, la sua è invece una combinazione di domande molto tecniche, alle quali, per quanto possiamo, risponderà il dottor Votano, sicuramente più competente di me. Su qualcosa, invece, risponderemo per iscritto. Quello che posso anticipare, ripeto con la mia competenza modesta di elementi tecnici, è che sicuramente una nota di rimpianto per il Centro di Torino c'è nella nostra relazione. Che poi fosse solo nel Centro di Torino o in generale la competenza Rai... Negli anni Cinquanta e Sessanta, la Rai era un riferimento in tutta Europa. Non lo è più, purtroppo. Rai dovrebbe, e in parte credo lo faccia, «agganciare» le altre piattaforme, per una serie di motivi, non ultimo il fatto che c'è uno scollamento generazionale fortissimo. C'è una classe importante di utenti, perché saranno le famiglie di domani – ora Pag. 16sono semplicemente dei giovani – che utilizza piattaforme alternative rispetto alla piattaforma televisiva. Rai sta cercando di tornare ad agganciarli.
  Il problema delle fake news è gigantesco, e lei giustamente ricorda che col fact checking si può risolvere. Se usiamo il termine cyber crime per indicare tutto l'uso distorto, dal cyber-bullismo alle fake news, all’hate speech e così via, tutto ciò che c'è di illegale, irregolare, antagonista della società sulla rete è perfettamente colto dalla struttura giuridica attuale. Il problema è che i tempi sono totalmente diversi. Un magistrato che attacca notizie false o hate speech, arriva a chiudere il procedimento quando non c'è più nemmeno memoria di quest'evento. Quello dell'uso illegale della rete è un problema di riforma dell'aspetto penale, per essere molto specifici, non tanto perché non esista, ma perché è di una lentezza tale che non coglie il problema.

  ALBERTO AIROLA. Mi scusi, ma proprio per questo Internet ha gli stessi strumenti. E la Rai, se avesse un rilancio tecnologico come piattaforma, potrebbe anche essere un faro in questo, con una sezione dedicata alle grandi bufale: «I politici si sono aumentati del quadruplo gli stipendi». Se lo si digita come testo, già si hanno siti che individuano quella come fake news. Forse, non c'è bisogno di Agcom, non c'è bisogno di Rai. Servirebbe un'alfabetizzazione in particolare sull'uso corretto di internet, che la Rai potrebbe fare.

  ANGELO MARCELLO CARDANI, presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Lei ha sicuramente ragione. È una risposta parziale, ma è una risposta importante. L'unica risposta strutturale a questo tipo di fenomeni è proprio l'educazione, cioè formare, ricontattando e riagganciandomi ai ragazzi, a un uso responsabile della rete, laddove purtroppo la rete comincia a costituire una valanga, una palla di neve che scende diventando ogni momento più grossa per un motivo banale. A chi lancia messaggi nella rete appare per un brevissimo periodo l'idea di avere una platea infinita, ma subito dopo si rende conto di avere una platea infinita che deve condividere con un'infinità di altri utenti. C'è la tendenza al gridare, e il gridare si traduce in rete con linguaggio violento, aggressivo, linguaggio che più di altri cattura la fantasia e l'immaginazione di chi legge.
  Di nuovo, la palla di neve non solo cresce, ma si colora sempre più di sangue. Adesso sto usando un'espressione forse troppo tragica, ma di fatto è un'incitazione insita nella logica della rete, nell'uso distorto della rete a una violenza sempre maggiore. Dato che questo non è un fenomeno che è qui temporaneamente, ma un'evoluzione che è qui per restare, dobbiamo riappropriarci dell'uso corretto di questo mezzo di comunicazione e far sì che possa essere usato per i suoi scopi migliori.
  Quanto al canale in inglese, al momento non ho molte informazioni. Preferirei essere più preciso per iscritto.
  Sugli altri aspetti (comitato, finanziamento, risorse), se il presidente è d'accordo, passerei la parola al dottor Votano, che sarà rapidissimo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente e do la parola al dottor Giulio Votano per ulteriori approfondimenti, credo anche in relazione agli ultimi due interventi.

  GIULIO VOTANO, vicedirettore della direzione dei contenuti audiovisivi dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Intervengo soprattutto sui tre temi toccati dal senatore Airola.
  In qualche modo, due sono connessi. Se non ho capito male, ha espresso un dubbio relativamente alla determinazione del canone e all'eventualità che il canone sia determinato sulla base del conseguimento degli obiettivi di servizio pubblico. Dall'altra parte, ha chiesto chiarimenti in merito alla posizione di Agcom sui criteri di trasparenza e separazione contabile, che afferiscono entrambi allo stesso problema, un problema che è stato evidenziato dall'Autorità nel documento che ha trasmesso al Ministro dello sviluppo economico e al sottosegretario, in luglio, e che il presidente Cardani ha sinteticamente ribadito nel testo dell'audizione di oggi. Pag. 17
  L'attribuzione, e quindi la separazione, delle risorse non è una scelta contendibile, nel senso che deriva da un preciso indirizzo in sede europea, giacché il nostro servizio pubblico beneficia di quelli che vengono qualificati come aiuti pubblici. Non è possibile, quindi, distrarre le risorse derivanti da canone su contenuti che non siano di servizio pubblico. È evidente che diventa fondamentale qualificare il contenuto di servizio pubblico, e uno dei rilievi che viene mosso sia alla Convenzione sia al contratto di servizio è che non c'è una specificazione di quale sia il contenuto di servizio pubblico. L'Autorità nel documento del 25 luglio aveva chiesto – nella sede dell'audizione si fa riferimento a quest'espressione – che il contratto fosse sostanzialmente un capitolato d'oneri, cioè che quantomeno fornisse dei criteri di determinazione. Oltretutto, l'Autorità è chiamata poi a deliberare sulla separazione contabile, e quindi sulla diversità di imputazione. Che il Governo abbia delle funzioni per la determinazione delle risorse da canone è un dato di fatto. Questo non è discutibile né l'Autorità può interloquire su questo. Quanto al fatto che l'Autorità non sia posta in condizione di fornire criteri oggettivi perché nel contratto di servizio si è reiterata quella ripartizione per generi che, come il presidente ha evidenziato nel suo intervento, è andata soggetta a un'ipertrofia, in quanto si sono aumentate le categorie, al punto da far sorgere il dubbio che non ci sia più nulla che non sia di servizio pubblico, sottoscriviamo la sua critica...la formulazione del contratto lascia questo dubbio, ma se così fosse, si metterebbe in discussione lo stesso sistema. Non viviamo in un sistema anglosassone, in cui c'è una rete del servizio pubblico totalmente priva di pubblicità, e quindi non si crea quest'equivoco. Viviamo in un sistema misto, che lascia presumere che comunque ci sia una quota di programmazione, di contenuto non di servizio pubblico. Il problema è che saremo chiamati a esprimerci come Autorità, se approvato in questo modo, su un contratto che non ci fornisce gli elementi per stabilire precisamente il discrimine.

  ALBERTO AIROLA. Può rispondermi anche in forma scritta. È veramente una questione annosa. È per quello che dico: che sia tutto servizio pubblico? A parte che lo share si può fare anche con programmi di servizio pubblico. Non ho mai capito perché lo share debba essere una cosa commerciale. Condivido l'osservazione del professor Cardani sul fatto che si rincorre troppo la TV commerciale. Lì è molto facile individuare ciò che non è servizio pubblico, ma a questo punto veramente come facciamo?

  PRESIDENTE. Credo che il dottor Votano possa dare risposte più tecniche. Forse, il senatore Airola vorrebbe che questo nodo politico fosse sciolto dai tecnici, ma forse è più complicato.

  ALBERTO AIROLA. Sono tecnici che comunque rappresentano l'Autorità garante nelle comunicazioni. Sono loro, in ultima istanza, i nostri paladini.

  GIULIO VOTANO, direzione dei contenuti audiovisivi dell'Agcom. Sì, ma non creatori di diritto. Noi siamo interpreti del diritto. Una risposta che posso abbozzare, del tutto istituzionale, è già contenuta nel documento del 25 luglio. Il presidente dell'Autorità, nell'evidenziare i risultati dell'analisi della convenzione, facendo riferimento anche a giurisprudenza di carattere europeo, aveva individuato una possibilità nella separazione funzionale. Quella che lei ventila è una scelta politica a cui l'Autorità non può dare un avallo, perché è appunto una scelta politica. L'Autorità, per determinare la diversa imputazione delle attività, aveva ventilato di riferirsi anche a modelli stranieri che fanno riferimento a una separazione funzionale. Questa, però, chiaramente è una scelta del tutto politica, che poi indubitabilmente ha ricadute sulle attività dell'Autorità, ma l'Autorità non ha nemmeno discrezionalità valutativa in quest'ambito.
  L'ultima rapidissima risposta è sempre sulle linee guida.

  PRESIDENTE. Anche se non è rapidissima, non importa, perché gli argomenti Pag. 18sono delicati. Può anche essere più lunga, la risposta.

  GIULIO VOTANO, vicedirettore della direzione dei contenuti audiovisivi e multimediali dell'Agcom. Diciamo sintetica e chiara, mi auguro. Nell'evidenziare che avrebbe forse dovuto essere destinataria dell'incarico di elaborare le linee guida sulla contrattazione dei diritti, l'Autorità si limita a osservare una sorta di asimmetria. Il contratto di servizio attribuisce a un comitato, uno dei due la cui costituzione ha criticato...

  ALBERTO AIROLA. Uno è più comprensibile, l'altro no.

  GIULIO VOTANO, vicedirettore della direzione dei contenuti audiovisivi dell'Agcom. Il problema, fondamentalmente, è che la Rai, nella contrattazione sui diritti in materia audiovisiva, opera sul mercato, ancorché la normativa le attribuisca degli obblighi rafforzati, e su questo è impregiudicata ogni valutazione che in altra sede è stata resa, ma opera accanto ad altri soggetti, che sono soggetti privati. L'Autorità si trova a dover regolare un mercato senza avere la possibilità di fornire linee di indirizzo su un operatore del mercato, che è pubblico, perché il contratto di servizio attribuisce a un'altra entità la funzione di dettagliare i princìpi generali di libera negoziazione. Ci sarebbe un eccesso di potere se entrasse nel comprimere la libertà di negoziazione. La funzione per cui i criteri siano di equità e non discriminazione è per i privati rimessa all'Autorità; per la concessionaria pubblica, no. L'Autorità si è limitata a osservare che forse questa funzione avrebbe dovuto essere unificata. Non si capisce neanche come sia possibile articolare il principio di non discriminazione non tenendo in considerazione uno dei maggiori operatori di mercato, la concessionaria pubblica.
  Sui criteri posso dire che è stato elaborato qualche esempio: il coinvolgimento di tutti gli operatori della filiera produttiva ai fini della definizione di queste linee guida. Questo potrebbe essere uno dei parametri.

  ALBERTO AIROLA. Scusi, non ho capito, sinceramente. La domanda verteva sulla contrattazione.

  GIULIO VOTANO, vicedirettore della direzione dei contenuti audiovisivi dell'Agcom. Sulla contrattazione dei diritti, mi sembra.

  ALBERTO AIROLA. Esatto. Le avevo chiesto un esempio pratico, ma le parlo da ignorante in questo senso. Può rispiegarmelo? A me non è chiaro.

  PRESIDENTE. Dottore, si può articolare meglio una risposta scritta che citi, in particolare, qualora lei lo ritenesse necessario e opportuno, la nota del 25 luglio. Ai colleghi trasmetterei delle note scritte con riferimento al vostro documento del 25 luglio. Chiaramente, queste risposte potranno contribuire in modo importante alla realizzazione del parere, perché verranno elaborate dai relatori.

  ALBERTO AIROLA. Ci sono, intanto, diversi stakeholder che si lamentano di questo. Ci sono contratti di pre-acquisto, per esempio, che sono sperperi mostruosi, perché stanno per tre o quattro anni fermi. Ci sono varie modalità di contrattazione sul mercato, poi avvenendo questo con soldi pubblici, manca la trasparenza. In questo senso, volevo capire bene che cosa intendesse l'Authority che sovraintende alla correttezza di questo tipo di gestione di diritti e prodotti.

  GIULIO VOTANO, vicedirettore della direzione dei contenuti audiovisivi dell'Agcom. Se la richiesta è quella di un'esemplificazione tipologica, è un po’ complesso. Quali possano essere le linee guida in materia di contrattazione dei diritti catch-up o la durata dei diritti secondari, mi riesce difficile spiegarlo. Non sarebbe nemmeno tanto corretto anticipare quelli che potrebbero essere i parametri che un'autorità investita del compito di elaborare le linee guida dovesse fornire. Peraltro, la proposta, o comunque il suggerimento che proveniva dall'Autorità era quello di un incarico che si facesse carico della posizione di tutti i Pag. 19vari operatori. Un'elaborazione di linee guida non è una produzione normativa autonoma dell'Autorità, ma a esito di un'attività di consultazione del mercato. Se mi chiede un'esemplificazione di questa tipologia, posso solo rinviare a un'esemplificazione elaborata per iscritto.

  ALBERTO AIROLA. Se ho capito bene, c'è un mercato, e la Rai opera in maniera diversa, o rischia di operare in maniera diversa rispetto al recinto in cui avvengono le contrattazioni nelle pratiche dei diritti.

  GIULIO VOTANO, vicedirettore della direzione dei contenuti audiovisivi dell'Agcom. Con questa norma c'è questo pericolo – non è un dato di fatto – in quanto viene attribuita una sorta di zona franca.

  ALBERTO AIROLA. Ho capito.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare il professor Cardani e gli altri rappresentanti dell'Agcom, do appuntamento a tutti alle 9 di domani mattina.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.10.