PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ROBERTO FICO
La seduta comincia alle 13.55.
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.
Audizioni nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399) – Audizione del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399), del presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
Sono, inoltre, presenti, il capo di gabinetto, Filippo Arena, e la portavoce, Luisa Cordova, che ringrazio per la loro presenza.
Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
Do la parola al presidente Pitruzzella, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.
GIOVANNI PITRUZZELLA, presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Sono io che ringrazio il presidente e tutti i componenti della Commissione di aver richiesto quest'audizione per confrontarsi con il punto di vista dell'Autorità antitrust in una materia così delicata, che è sottoposta alla vostra giurisdizione.
Naturalmente, non manca occasione per dire che le autorità indipendenti hanno un rapporto di accountability col Parlamento. Ferma la loro assoluta indipendenza, quello con il Parlamento, secondo me, è un rapporto che va massimamente preso in considerazione e c'è sempre, al di là di questo caso specifico, la disponibilità a un confronto, nel convincimento che anche le autorità indipendenti si muovano nell'ambito di un complessivo sistema istituzionale.
Detto questo, avendo distribuito un testo scritto la scorsa settimana, mi limito a ricordare i punti più importanti dal nostro osservatorio.
Il primo aspetto è che certamente vediamo con grande favore il fatto che si eviti un'antica tendenza all'utilizzo del regime della prorogatio. C'è ormai, grazie anche ai lavori della Commissione, la prospettiva di avere un quadro certo e trasparente, in cui inserire lo svolgimento del servizio pubblico radiotelevisivo.
In questa prospettiva e fatta questa premessa, quali sono i punti che, secondo noi, sono di particolare importanza? In primo Pag. 4luogo, c'è il fatto che il servizio pubblico radiotelevisivo, quindi anche il soggetto, debba essere inserito nell'ambito del contesto digitale, che caratterizza l'intera filiera del settore e che ha portato all'affermazione di modalità di consumo, e anche di assetti produttivi e distributivi, diversi da quelli tradizionali. La convenzione fa giustamente riferimento a un servizio pubblico non solo radiofonico e televisivo, ma anche multimediale. L'affermarsi di internet, quindi di una piattaforma distributiva dei contenuti audiovisivi che modifica le abitudini di consumo degli italiani, può creare nuovi mercati, con ricadute positive anche per la nostra industria e nuove opportunità per la Rai. D'altra parte, secondo noi, è molto importante la collocazione del servizio pubblico in un'ottica che trascenda le tradizionali tecnologie, anche perché la Rai può essere un driver importante per lo sviluppo di una cultura digitale nel Paese. Credo che questa possa essere una leva da utilizzare anche in futuro. In tal senso, si accoglie con particolare favore la previsione dell'articolo 3, secondo cui la società concessionaria deve garantire che la programmazione in live streaming sia fruibile sulla piattaforma IP. È auspicabile che tale offerta su internet costituisca solamente una parte di un più ampio paniere di servizi on line offerti dalla Rai. Direi che probabilmente la prospettiva è quella di un'estensione, al di là dello streaming, con l'offerta di servizi di media audiovisivi non lineari on demand e l'utilizzo di portali e applicazioni per dispositivi di nuova generazione.
Un altro punto per noi importante riguarda l'annosa questione sul rapporto tra servizio pubblico e attività commerciali, anche perché ci troviamo di fronte a una notevole concentrazione di risorse, sia nel mercato della raccolta pubblicitaria televisiva sia nel mercato delle pay tv. Gli aspetti di maggior rilievo riguardano: quali sono i contenuti del servizio pubblico, ossia la definizione dei contenuti; un aspetto su cui probabilmente si tratta di ragionare, ossia quello delle modalità utilizzate per assicurare la separazione del servizio pubblico dalle attività commerciali; la gestione delle piattaforme trasmissive. Certamente, la presenza di un servizio pubblico radiotelevisivo è espressione di un interesse di tutela e promozione degli aspetti culturali e delle diversità nazionali, riconosciuto dall'articolo 167 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, però, nel riconoscere tale tutela e nel riconoscere che ci deve essere un servizio pubblico, è necessario assicurare la proporzionalità degli strumenti utilizzati, al fine di raggiungere gli obiettivi del servizio pubblico. Lo dico perché, altrimenti, c'è il rischio anche di distorsioni concorrenziali nei mercati interessati.
Si auspica che l'oggetto della concessione sia, nei limiti del realismo, il più definito possibile. D'altra parte, tutto ciò ha un immediato punto di attacco con le note modalità di finanziamento del servizio pubblico, perché, come sappiamo, la bozza prevede che il concessionario possa utilizzare fonti di finanziamento miste, sia il canone sia la raccolta pubblicitaria. Il punto per noi cruciale è quello di evitare che le risorse pubbliche siano utilizzate per fini diversi da quello dell'adempimento del servizio pubblico. C'è sempre la necessità di assicurare che le risorse pubbliche siano utilizzate per l'assolvimento del servizio di natura pubblica e che tali risorse non vadano utilizzate per creare un vantaggio competitivo, che altera il gioco normale della concorrenza nel mercato della raccolta pubblicitaria su un mezzo televisivo. D'altra parte, sappiamo che è strettamente collegata a questa esigenza la previsione di uno strumento della separazione contabile, tra attività di servizio pubblico e attività commerciali. Si tratta di uno strumento utile, ma, forse, non risolutivo. Anche la Corte dei conti, in più occasioni, ha detto che lo strumento della separazione contabile non è il modo più efficace per realizzare la separazione tra servizio pubblico e attività commerciali. D'altra parte, la commistione – lo ripeto – può creare distorsioni sia nell'acquisizione dei contenuti di natura commerciale sia nell'offerta di spazi pubblicitari televisivi. Non so se c'è il tempo per farlo, però certamente l'auspicio è che quantomeno si dica che la separazione Pag. 5contabile è il livello minimo di garanzia della separazione e che si potranno mettere in cantiere anche delle forme più spinte di separazione.
Un altro aspetto interessante riguarda il fatto che l'evoluzione tecnologica non si esaurisce nello sviluppo di internet, ma interessa anche le future evoluzioni del digitale terrestre, che comunque è, allo stato, la più importante piattaforma per la trasmissione e la fruizione di contenuti audiovisivi in Italia. In questo caso, vi è l'esigenza di una ristrutturazione della capacità trasmissiva, utilizzata dagli operatori in rete, per consentire il refarming della banda 700 megahertz a vantaggio dei servizi di banda larga, ultralarga e mobile. In questa prospettiva, è utile che sia imposto alla Rai l'obbligo di operare, anche attraverso la partecipata Rai Way, all'avanguardia nella sperimentazione dell'uso delle nuove tecnologie nonché di assicurare – è questo il punto – un uso ottimale delle risorse frequenziali messe a disposizione. Lo Stato probabilmente libererà alcune risorse e consentirà di sviluppare la banda ultra larga, che per noi è una cosa importantissima. La concessione naturalmente comprende l'installazione e l'esercizio degli impianti tecnici destinati alla diffusione dei programmi sonori e televisivi. Si è previsto che per gli sviluppi a lungo termine – questo è un aspetto delicato – possano essere realizzati impianti comuni con altri operatori televisivi e di telecomunicazioni. Questo introduce un cambiamento dell'assetto del mercato, perché, oggi, abbiamo una distinzione tra tower company e operatori di rete. Le tower company, tra cui ci sono quella che appartiene alla galassia Mediaset e Rai Way, operano nel mercato dell'ospitalità di impianti televisivi, offrendo spazi fisici delle proprie strutture agli operatori di rete, potendo anche offrire servizi di manutenzione e di istallazione degli impianti. In questo caso, ci sono quei due operatori: Rai Way ed EI Towers. In merito, c'è la prospettiva di impianti comuni e di una forma di concentrazione, che apre spazio a scenari che debbono essere quantomeno tenuti sotto particolare attenzione, perché un'integrazione verticale tra chi gestisce le torri e chi è l'operatore di rete e l'eventuale eliminazione, come si prospetta in qualche momento, di una concorrenza tra queste tower company potrebbero portare chi è verticalmente integrato a sfruttare le torri per creare delle distorsioni competitive. In altri termini, lo dico brutalmente: io avvantaggio la qualità del segnale che proviene da me, mentre rendo di minor qualità il messaggio che proviene da altri operatori di rete. Il rapporto con le tower company e le forme di integrazione verticale è una cosa su cui, non solo in sede di stipula della convenzione, ma credo subito dopo, sia opportuno che il Parlamento tenga l'attenzione ben vigile.
Questi sono i profili più importanti e sono a disposizione per le vostre eventuali domande.
ALBERTO AIROLA. I miei colleghi faranno domande specifiche, mentre io mi terrò un po’ più sul generico. Innanzitutto, vorrei avere chiarimenti sulle vostre percezioni. So che vi sta molto a cuore il tema del conflitto di interessi e della mancanza di una legge, che, anche in Italia, limiti e regoli il corretto comportamento dei soggetti presenti sul mercato, da tempo immemore. All'interno della Rai, esistono numerosi casi, che non si profilano esattamente, da un punto di vista penale o comunque giuridico, come conflitti di interessi, ma che, in qualche modo, violano il codice etico di comportamento. Come abbiamo avuto modo di sentire in un'altra audizione, quella della Associazione dei lavoratori della Rai, il Comitato etico ha una responsabilità anche giuridica, quindi ha un ruolo di un certo peso, ma il fatto che, a volte, questo non assuma il suo ruolo appieno è una questione gravosa in Rai. Mi riferisco a tutta una serie di relazioni, per lo più professionali, che sono interne e soprattutto esterne e che riguardano soggetti, magari interni, che poi escono e creano società. In tal senso, vi chiedo se avevate osservazioni da fare e se pensate che si possa inserire, già in una concessione di questo genere, un appunto, anche se sicuramente risulterebbe più utile metterlo in un contratto di servizio. Pag. 6
La seconda questione – e concludo – riguarda il rischio di distorsioni sul mercato. Ci confrontiamo spesso con un'azienda, che cambia habitus, a seconda delle problematiche, da azienda privata e azienda pubblica, perché, di fatto, questa è una società che, pur essendo di natura pubblica, gode di finanziamenti di natura privata, che arrivano dalla pubblicità. Può essere una soluzione, come avviene in altri Paesi, quella di una differenziazione societaria tra la parte della Rai che usa esclusivamente il denaro pubblico e quello che potrebbe essere un canale che fa capo a una società che usa soltanto il denaro privato? Lo dico anche alla luce di un aspetto, forse anche particolare in Italia, per il quale la Rai, pur essendo una società a finanziamento misto, ha un obbligo totale e di trasmissione al 100 per cento di servizio pubblico, quindi è molto difficile una differenziazione. La questione dei bollini, posta molto tempo fa per individuare programmi eseguiti con soldi pubblici e quelli che non lo sono, è una situazione che abbiamo superato perché la differenziazione era irrealizzabile e andava in contrasto con la mission fondamentale della Rai, cioè quella di fare il servizio pubblico. Vorrei sapere se, in tal senso, anche voi avevate suggerimenti. Tale differenziazione potrebbe giovare oppure semplicemente ci ritroviamo una contabilità separata, che poi è una contabilità, di fatto, economica e puramente formale, ma non sostanziale?
MAURIZIO ROSSI. Grazie per la relazione, come sempre estremamente interessante da leggere. Le pongo alcune domande, anche sulla sua relazione, che ho avuto la fortuna di poter leggere prima.
Quale può essere il contenuto del servizio pubblico radiotelevisivo, nel senso dei suoi legittimi confini? Mi spiego: ritiene che una mancata individuazione chiara dei programmi di servizio pubblico, possa consentire al concessionario di investire denaro pubblico per produrre e acquistare programmi, che, di fatto, siano commerciali e volti a creare audience, all'interno dei quali inserire pubblicità. In tal modo, non vi sarebbe un'evidente violazione delle regole del mercato? Tengo a dire che ho posto una domanda specifica ad Agcom, che ha il controllo della separazione contabile, chiedendo se loro controllano anche quali sono i titoli dei programmi che vengono inseriti perché si tratta del punto fondamentale da regolamentare in una convenzione, secondo il mio giudizio. L'Agcom ha chiarito che non è sua competenza valutare se i programmi inseriti nella contabilità separata siano assimilabili o meno al servizio pubblico e che verifica solo la correttezza della contabilità. Inoltre, l'Agcom ha specificato: «come già detto, lo strumento si è dimostrato del tutto inefficace, anche in ragione dell'ampia discrezionalità di cui dispone la concessionaria pubblica, nella definizione dei tre aggregati».
In secondo luogo, le chiedo se sia ammissibile, secondo lei, la vendita di spazi pubblicitari effettuati dal concessionario, immediatamente prima, durante e dopo le trasmissioni dichiarate di servizio pubblico, o se si configuri un indebito vantaggio competitivo, con conseguente distorsione della concorrenza. Vi riporto un esempio. La Rai è l'unica a partire, se avrà la concessione, con un contratto da 20 miliardi di euro. A fronte di questo, la Rai si può permettere di comprare la partita della Nazionale, che nessun altro potrebbe permettersi di comprare a un determinato importo. Ora, stabiliamo che la partita nazionale sia servizio pubblico, ma quello che non condivido – lo chiedo a lei – è che si spendano 20 milioni, quindi una cifra enorme, per comprare un determinato prodotto e poi si inserisca al suo interno la pubblicità, o addirittura creare pacchetti, con due spot in quel punto e altri 50 in altri punti. Secondo me, questo è da valutare molto bene. Abbiamo avuto vent'anni di esperienza di un certo tipo, ma cerchiamo di capire cosa fare nei prossimi dieci.
In terzo luogo, le chiedo se sia necessario, al fine di preservare la legittimità comunitaria della concessione, la separazione strutturale nonché funzionale del servizio pubblico dall'attività commerciale.
Vengo, ora, ai punti che, leggendo la sua relazione, mi sono venuti in mente. Lei scrive che la convenzione ha un carattere generale e che nei contratti di servizio Pag. 7saranno individuati diritti e obblighi. Si può, secondo lei, firmare una concessione, peraltro del valore di 20 miliardi di euro, senza gli obblighi e solo con gli indirizzi generali? Vi faccio l'esempio che riportano sempre tutti, a partire da quelli della Rai. La BBC ha recentemente, nei termini e senza alcuna proroga, ottenuto la concessione denominata «BBC Royal Charter», integrata contestualmente da un dettagliato e corposo agreement applicativo, che sarebbe un insieme della convenzione che stiamo analizzando e del contratto di servizio. Non ci sono tempi disallineati tra concessione e quanto stabilito nell'agreement, ossia il ruolo, la missione, gli obblighi, l'organizzazione e il modello di finanziamento sia da canone sia da altri proventi, come pubblicità e cessione di diritti.
Le ricordo, presidente, che tutto questo viene demandato a un contratto di servizio e che ora stiamo applicando un contratto di servizio del 2010, perché non è stato mai firmato né applicato quello uscito dalla nostra Commissione, che comunque sarebbe stato del 2013 e del 2015, quindi, se la Rai non lo applica, non accade nulla. Secondo me, è assolutamente illegittimo firmare una concessione senza gli obblighi inseriti.
Condivido con lei l'importanza di internet, ma mi pongo un'altra domanda: non rischiamo di andare a ledere ulteriormente la concorrenza anche di tutti i soggetti in internet, quelli della carta stampata e dei siti? Intanto, vorrei capire se questo è con o senza pubblicità. Non è che, per caso, vengono fatti investimenti sproporzionati in quel settore? Supponiamo che un soggetto privato investa un milione di euro e la Rai, per prendere clic, ne investa 50, perché ha il denaro pubblico, non si crea solo il fatto che la Rai possa togliere la pubblicità agli altri soggetti, ma anche il fatto che magari la Rai possa portare via decine di milioni di clic, che creano un problema competitivo su tutti gli altri soggetti. Non a caso in Germania, gli editori televisivi e della carta stampata, quindi tutti editori privati, sono riusciti a bloccare l'investimento della televisione tedesca del servizio pubblico su internet. Pare che si non possa addirittura archiviare materiale oltre 15 giorni.
Lei faceva riferimento al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al fine di evitare distorsioni, e ha anche aggiunto che «definire chiaramente i contenuti del servizio pubblico costituisce un passo necessario, anche per assicurare un'efficace separazione tra quest'ultimo e le attività commerciali». Lei si augura anche che «l'oggetto della concessione e la definizione della missione del servizio pubblico possano essere declinate con un elevato livello di dettaglio». Lo condivido assolutamente, però, presidente, mi perdoni: per l'importanza di quello che dice lei, come si può pensare di demandare elementi così essenziali della concessione ad atti successivi e non contestuali alla stessa, che potrebbero non essere mai fatti? Lei ha giustamente anche detto che «tale finanziamento non deve alterare il normale gioco della concorrenza» e che «si devono individuare esplicitamente quali siano le autorità di garanzia e di settore, cui fa riferimento la norma e che devono vigilare sulla reale concorrenza». Ho anche letto nella sua relazione: «devono essere trovate soluzioni strutturali, che consentano di distinguere chiaramente l'attività svolta per la fornitura del servizio pubblico e l'attività prettamente commerciale». Non mi pare che possa essere sufficiente quanto previsto e ora scritto nella convenzione, tramite lo strumento della separazione contabile, come ha anche detto chiaramente l'Agcom nella sua audizione. Il presidente Cardani ha detto quanto segue: «il modello attuale di separazione è inadeguato». La Commissione europea, sebbene autorizzi anche la separazione puramente contabile, invita a una separazione funzionale, richiedendo all'operatore di collocare le attività di servizio pubblico, divise da quelle commerciali, che vanno inserite in modo indipendente, quindi non ritiene indispensabile la separazione societaria o funzionale, nel rispetto del cittadino?
Vorrei sottolineare un ultimo punto. La Corte dei conti è del mio stesso parere e non di quello del collega Airola: sarebbe da mettere il famoso bollino blu. C'è la necessità Pag. 8 di una chiarezza per i cittadini di conoscere i programmi che pagano con i soldi del canone e renderne possibile il riconoscimento cosa che forse potrebbe chiarire anche il problema di quali siano i programmi in cui vediamo la pubblicità. Un meccanismo va assolutamente trovato: questo era più semplice e lo propose il Viceministro Catricalà.
VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Ringrazio anch'io il presidente Pitruzzella per l'audizione di oggi e per la memoria, che ci è stata consegnata e che credo sia molto utile al lavoro di questa Commissione.
Ormai quasi la totalità delle audizioni ha visto interventi del collega Rossi per indicare il fatto che, a suo giudizio, non ha fondamento giuridico il rinnovo della concessione o uno schema di convenzione. Nelle prime audizioni, ho elencato, punto per punto, il motivo per cui ho un'opinione diametralmente opposta. Da un po’ di audizioni, ho rinunciato a farlo, richiamando gli interventi precedenti, per cui, anche oggi, non ribadisco le considerazioni che ho già avuto modo di fare. Peraltro, c'è un nodo tutto politico, sottoposto al confronto tra i gruppi. Stasera, ci sarà la discussione generale e vedremo come questo nodo verrà affrontato e risolto dai gruppi.
Vorrei semplicemente richiamare un aspetto, che mi sembra interessante, anche perché questo era stato sollevato già in un'altra audizione. Si tratta del riferimento fatto dal presidente Pitruzzella in maniera molto puntuale su una possibilità, individuata in convenzione: se ricordo bene, questa non è di per sé un'indicazione, ma potrebbe diventare, per come era definita, una prospettiva, per cui ci possa essere un operatore unico sulle torri, su cui poi viaggiano diversi operatori di rete. È un dibattito di cui eravamo stati anche, dal punto di vista politico, partecipi, come componenti della Commissione, allorché era stata allocata in borsa una quota di Rai Way. Un dibattito che credo di interesse per questo Paese dal punto di vista degli assetti industriali, perché, anche guardando agli altri Paesi europei, ci sono scelte diverse in termini di operatori unici. In alcuni casi, questi sono pubblici e, in altri casi, sono privati, quindi disgiungere la proprietà delle torri dagli operatori di rete ha avuto effetti, che si possono giudicare in maniera diversa, ma che, rispetto al mercato, sono anche di apertura. L'impressione che ho avuto leggendo la convenzione, è che, in realtà, come su altre questioni, la convenzione non dia di per sé un'indicazione. In riferimento al riassetto dei canali non generalisti, la convenzione non dice che la Rai deve aumentarli o diminuirli, ma semplicemente non impedisce che ci possa essere una scelta aziendale.
Su questa materia immagino che la Rai possa eventualmente fare una scelta di concerto con l'azionista, anche perché si tratta di una scelta di carattere industriale e di sistema Paese.
Vorrei ringraziare il presidente Pitruzzella per aver richiamato questo tema. In riferimento agli aspetti della convenzione e soprattutto se, in prospettiva, la situazione si dovesse dischiudere, l'aver richiamato questo tema ci consente di affrontare una discussione con la piena consapevolezza delle criticità che un passaggio come questo potrebbe implicare.
ROBERTO RUTA. Stavo leggendo la relazione e, visto che sono arrivato leggermente in ritardo, ne completerò la lettura con la massima attenzione. Leggevo, intanto, uno dei temi sollevati da vari colleghi e non ultimo dal collega Rossi, che abbiamo tutti bene in mente: al di là di questo atto, che è la cornice nella quale poi bisogna muoversi, c'è bisogno di fare il contratto di servizio vero e proprio, di durata quinquennale. Credo che, magari anche all'interno dell'atto che stiamo per votare, individuare un termine, per poter poi fare il contratto di servizio, potrebbe essere uno strumento utile. Certamente, si tratta di un atto negoziale, quindi, sotto questo profilo, c'è bisogno del consenso delle parti, per cui, se non si dovesse trovare il consenso delle parti, trattandosi di un atto negoziale, questo non potrebbe essere imposto. Tuttavia, sarebbe necessario un termine quasi programmatorio. Lo dico a beneficio di tutti: per quanto quel termine possa essere dato anche come forma di stimolo, penso Pag. 9che potremmo, al limite, definire alcune cose necessarie, nel caso in cui non fosse stipulato il contratto di servizio entro una determinata data, per esempio, entro tre o sei mesi dall'atto che stiamo per votare, esprimendo il nostro parere. Magari individuare due o tre contenuti necessari in questo atto, nel caso in cui non venga stipulato entro quei termini il contratto di servizio, potrebbe essere una forma di tutela per tutti. Anche sulla fattibilità giuridica di una cosa del genere, chiederei un'espressione di parere.
PRESIDENTE. Vorrei chiederle una precisazione sulla contabilità separata. Fermo restando che penso che il servizio pubblico debba fare servizio pubblico al 100 per cento, mi chiedo: la contabilità separata, funzionale rispetto a due funzioni, quella commerciale tramite la raccolta pubblicitaria e quella di servizio pubblico tramite la raccolta del canone, come dovrebbe essere esplicitata? Lo chiedo perché, se faccio una trasmissione pagata al 100 per cento della pubblicità, ma la faccio nelle strutture Rai, quindi con telecamera, capannone e filo elettrico della Rai, comunque quella viene pagata dal servizio pubblico, anche se poi magari il contratto con l'autore viene fatto con l'entrata pubblicitaria. Sulla separazione, potremmo dire che o questa è netta, con un canale finanziato totalmente, anche nelle strutture, dalla pubblicità, quindi tutto è pubblicità, però si tratta sempre di servizio pubblico, oppure, dall'altro lato, faccio servizio pubblico solo con il canone. In alternativa, devo trovare la giusta via di mezzo per descrivere una contabilità separata, tra le trasmissioni all'interno del bilancio della Rai. Mi chiedo come immaginate una contabilità separata. La immaginate come una contabilità funzionale, nel senso di due società distinte e separate, o come una società all'interno della quale che c'è tutto?
MAURIZIO ROSSI. Quello che lei ha chiesto riguarda una mia domanda fatta alla Rai, cui non hanno risposto.
GIOVANNI PITRUZZELLA, presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Comincio dal tema cruciale, che è quello del rapporto tra organizzazione del servizio pubblico e organizzazione dell'attività commerciale.
Senza giri di parole, l'opinione dell'Antitrust, anche espressa non solo in questa audizione, ma anche precedentemente in sede di audizione e discussione sul disegno di legge di modifica dell'assetto della Rai, è nel senso che certamente la separazione contabile, così com'è, ha funzionato male. È difficile dal punto di vista tecnico renderla efficiente: la strada da percorrere, a nostro avviso, per evitare distorsioni concorrenziali, ma anche per assicurare la qualità del servizio, perché le due cose sono due facce della stessa medaglia, è quella di raggiungere una separazione societaria, quindi due società distinte, che avranno bilanci distinti e che consentiranno di verificare quali costi si sopportano e per quali obiettivi. In questo modo, c'è anche una maggiore accountability nei confronti del pubblico, che dovrebbe essere il nostro punto di riferimento. Il pubblico, che eroga i soldi per il servizio pubblico, saprà per che cosa questi soldi sono erogati, per quali finalità e per quali programmi. Dall'altro lato, per quanto riguarda l'attività commerciale, ci sarà un criterio per la raccolta pubblicitaria e comunque un mercato che definirà se una cosa, da quell'ottica, funziona o meno. La nostra prospettiva è stata già espressa precedentemente, quindi non posso che richiamare il precedente orientamento; l'alternativa potrebbe essere quella prospettata, cioè quella di una società unica con canali differenziati. Anche in quel caso, ci sarebbe la possibilità di individuare che cosa viene finanziato con i soldi del canone e che cosa si regge sulla raccolta pubblicitaria, se si differenzia nettamente quello che fa servizio pubblico da quello che fa altro. Ora, non so se si possa già fare qualcosa con questa concessione, però probabilmente il tema, secondo il nostro punto di vista, andrebbe tenuto vivo in prospettiva.
Un'altra questione emersa riguarda i contenuti della concessione. Certo, quanto più è dettagliata una concessione, con individuazione chiara degli obblighi, meglio è ed è naturale che ci sia un alto livello di discrezionalità politica e amministrativa, nello stabilire Pag. 10la linea di confine. Se molti aspetti sono ancora generici nella concessione, il contratto di servizio diventa di estrema importanza. Il rischio è sempre che il contratto di servizio diventi l'araba fenice che non riusciamo a trovare, per cui probabilmente introdurre qualche meccanismo in concessione, che crei un incentivo o, dall'altro lato, un disincentivo a evitare che permanga una soluzione di vuoto, sarebbe opportuno.
Certo, è necessario fissare un termine, però da solo il termine non basta, perché non ci sarebbe alcun meccanismo sanzionatorio, per cui si dovrebbero prevedere forme di incentivazione o disincentivazione, anche finanziaria, in ordine alla stipula del contratto di servizio entro quel termine. Lo dico perché, altrimenti, questo resta un rapporto in cui gli obblighi sono un po’ troppo sfumati.
Quella sul conflitto d'interesse è una questione a me cara personalmente, ma non riguarda la Commissione di vigilanza. Ho, più volte, richiamato l'attenzione del Parlamento sulla necessità di una revisione e abbiamo fatto anche segnalazioni e proposte. Poi, per carità, il decisore politico è sovrano, però ci limitiamo a dire che il problema nel Paese esiste. Questo problema, come anche lei giustamente ha detto, non riguarda semplicemente i titolari delle cariche di governo, come per la legge Frattini. Si tratta di un problema di portata più ampia, la cui soluzione serve non soltanto alla democrazia e alla trasparenza, ma anche al buon funzionamento dei mercati, perché, laddove esistono questi conflitti, in realtà non c'è concorrenza, ma c'è un crony capitalism e, spesso, ci sono rapporti perversi tra pubblico e privato. Lei ha sottolineato la possibilità che magari ci siano ruoli sovrapponibili, il che non significa che uno non possa uscire e andare a fare un altro mestiere, anzi questo ben venga, perché, altrimenti, saremmo solo bloccati tutti in una gabbia burocratica, però ci deve essere chiarezza di ruoli e non sovrapposizioni. Ricordo incidentalmente che l'Antitrust affrontò un paio di anni fa un caso, che riguardava gli appalti pubblici in Rai, con sanzioni e credo ci siano stati, a valle, anche procedimenti penali. Il tema, secondo me, è molto serio, però non mi pare che ci siano spunti al riguardo...
ALBERTO AIROLA. Vorrei un ulteriore chiarimento. Solo per capire: nel caso si andasse verso una netta separazione societaria, che si riverbera su canali, per cui poniamo il caso, come mi pare sia quello della BBC, in cui abbiamo un canale senza pubblicità e un canale con la pubblicità, finanziato con soldi anche provenienti da pubblici o privati, si potrebbe configurare una concorrenza sleale a livello di brand?
GIOVANNI PITRUZZELLA, presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Dal punto di vista tecnico, posso dire di no. In effetti, quando usiamo il termine «concorrenza sleale», poi lo allarghiamo, tante volte, al di là del punto di vista tecnico. Da un punto di vista tecnico, il fatto che ci sia il brand Rai con due canali separati e con regole chiare non mi pare che travalichi nell'illecito, perché il problema fondamentale è avere regole chiare per quanto riguarda quello che si fa, che cosa si fa e con quali risorse finanziarie. Poi, un problema di opportunità politica può sempre porsi, ma si tratta di tematica diversa da quella tecnico-giuridica.
MAURIZIO ROSSI. Secondo lei, questa concessione si può firmare anche in assenza di un allegato di obblighi di servizio, senza rischiare di incorrere in infrazioni o, comunque, nel fatto che qualcuno possa eccepire? La soluzione che ho proposto alla Corte dei conti era: «secondo voi, a tutela dell'erario pubblico, sarebbe opportuno e necessario sottoporre l'affidamento della nuova concessione alla clausola sospensiva dell'adozione del contratto di servizio?»
PRESIDENTE. Si tratta di un altro intervento...
MAURIZIO ROSSI. La mia è una domanda...
PRESIDENTE. Le chiedo di porre per iscritto la domanda, cui risponderanno.
Pag. 11MAURIZIO ROSSI. Volentieri.
GIOVANNI PITRUZZELLA, presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Mi sono limitato a esprimere il punto di vista dell'Antitrust, com'è ovvio che sia, perché non vengo qua a titolo personale, ma come Antitrust, quindi per parlare dei profili della convenzione che riguardano la concorrenza. Non ho espresso alcun parere, né in positivo né in negativo, sulla legittimità e sui profili erariali, perché questi aspetti non riguardano il mio compito. Poi, se vogliamo, ne possiamo anche parlare, ma non sarebbe questo il momento adatto, perché andrei oltre il mio ruolo, il che non sarebbe rispettoso nei confronti del Parlamento.
PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Pitruzzella e dichiaro l'audizione.
La seduta è sospesa.
La seduta, sospesa alle 14.35, riprende alle 20.20.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GIORGIO LAINATI
Sulla pubblicità dei lavori.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso.
Esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione – (Atto n. 399) (relatori Peluffo e Rossi).
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, ricordo che l'ordine del giorno reca l'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399), su cui la Commissione è chiamata, ai sensi dell'articolo 49, comma 1-quinquies, del decreto legislativo n. 177 del 2005, a esprimere il proprio parere.
Prima di dare la parola ai relatori, onorevole Peluffo e senatore Rossi, desidero ringraziare i numerosi auditi e i componenti della Commissione che hanno concorso all'approfondita istruttoria sul provvedimento in esame.
Propongo che, analogamente a quanto avviene per le audizioni, anche per questa seduta sia pubblicato il resoconto stenografico.
(La Commissione concorda)
Come convenuto nella riunione dell'Ufficio di Presidenza dello scorso 24 marzo l'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri avrà inizio con gli interventi dei relatori, come ho detto pochi istanti fa, l'onorevole Peluffo e il senatore Rossi, ai quali seguiranno quelli dei rappresentanti, uno per ciascun Gruppo, e di chi intende intervenire.
Do la parola all'onorevole Peluffo e, successivamente, al senatore Rossi e quindi agli altri iscritti a parlare.
VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Una parte significativa delle audizioni, per quanto riguarda almeno i nostri interventi, ha fatto emergere un punto di vista diverso tra me e il senatore Rossi, come abbiamo messo in evidenza nei rispettivi interventi intorno al tema del fondamento giuridico del rinnovo della concessione Rai. A me è capitato di ricordare in più di un'occasione come, essendo inserito in norma primaria, non credo ci sia una questione di questa natura. Il senatore Rossi ha addotto le motivazioni per cui ha un'opinione diversa.
Anche rispetto all'argomento oggetto di discussione in termini di interventi sull'ordine dei lavori e sul tempo concesso alla Commissione per esprimere il parere voglio ricordare che è previsto dalla legge che il tempo per la Commissione sia di 30 giorni. Pertanto, un'eventuale proroga, com'era stata Pag. 12richiesta anche dalla lettera del Presidente Gasparri, non muterebbe questo tempo. Personalmente credo che siano già state fatte diverse proroghe della concessione. Non mi trovo neanche convinto sul fatto che siano state fatte precedentemente. A parte quello, mi sembra di rilievo oggi, per esempio, anche il richiamo in audizione dell'Antitrust, secondo cui è bene che ci sia un punto fermo in termini di certezza e che non si sia ricorsi a ulteriori proroghe. Credo che rispetto all'oggetto del nostro lavoro, ossia gli obblighi e i doveri del servizio pubblico, sia giusto ricordare che il meccanismo previsto dalla norma è che questo aspetto sia compreso nell'atto concessorio con lo schema di convenzione su cui siamo chiamati a esprimere un parere – è giusto ricordarlo – obbligatorio, ma non vincolante, e che si chiude con il contratto di servizio. Anche dal punto di vista giuridico gli obblighi e i doveri del servizio pubblico sono, quindi, identificati con un combinato disposto rappresentato dallo schema di convenzione nell'atto concessorio, che include anche il nostro parere, e dal contratto di servizio. Mi sembrava giusto ricordarlo perché, secondo me, abbiamo di fronte anche una scelta di carattere politico: se riteniamo, come Commissione, che la seduta di discussione generale di questa sera debba proprio servire per capire l'orientamento dei Gruppi, o se riteniamo che ci sia uno spazio per una condivisione in Commissione di un testo. Ovviamente, quanto più è ampia la condivisione, tanto più conferisce forza non solo istituzionale, ma anche politica a questo testo, che ha più possibilità di entrare dentro lo schema di convenzione in termini di recepimento. Per questo motivo, fatte queste considerazioni – mi sembrava doveroso anche per un confronto tra di noi che sia il più franco e corretto possibile – vorrei riprendere alcune questioni che sono emerse nel corso delle audizioni e che potrebbero costituire quanto meno il nucleo di una prima discussione da affrontare stasera, per poi valutare e decidere per quanto riguarda il prosieguo.
Mi sembra un dato interessante che in diverse audizioni ci fosse un giudizio positivo su questo schema di convenzione, anche con alcuni elementi di novità inseriti. Cito tra tutti la valutazione che ha fatto la direttrice Deltenre dell'EBU. Soprattutto ci sono alcuni elementi ricorrenti in più di un'audizione che potrebbero essere già accorpati in termini di questioni che potrebbero costituire un nucleo di approfondimento.
La prima questione – mi ricollego direttamente alle considerazioni fatte precedentemente – riguarda i tempi e le modalità del contratto di servizio, all'articolo 6. Su questo c'è una sensibilità attenta e diffusa di questa Commissione per quanto riguarda l'esperienza che abbiamo avuto. Questa è la Commissione che si era cimentata con il parere sul contratto di servizio, di cui era stato relatore il senatore Margiotta, parere approvato all'unanimità, ma che poi non è mai riuscito a vivere, visto che il contratto di servizio non è mai stato approvato. Questa Commissione, per l'esperienza che ha fatto, su tempi e modalità del contratto di servizio ha, quindi, un vissuto condiviso molto specifico, che forse potrebbe diventare anche stimolo per un'identificazione nella convenzione di un richiamo a che ci siano tempi certi rispetto all'approvazione del contratto di servizio, anche perché il meccanismo è il confronto tra Governo e azienda Rai. Su questo poi c'è il parere della Commissione e poi entro 45 giorni il recepimento. Quindi, forse la prima condizione è chiedere che ci siano tempi certi rispetto al percorso del contratto di servizio. Potremmo anche chiedere di ridurre questi tempi, indicando non solo di avere tempi certi ma anche di ridurli. Poi, visto che anche oggi questo era nelle riflessioni del Presidente Pitruzzella, forse si possono introdurre meccanismi che possano rendere anche più vincolante il fatto che venga adottato quel contratto di servizio. Il presidente Pitruzzella oggi l'ha espresso in termini ampi. Parlava di meccanismi incentivanti o disincentivanti all'azienda rispetto all'approvazione del contratto di servizio. Introdurre dei meccanismi potrebbe essere una modalità che tiene insieme tempi certi, riduzione dei tempi e la certezza che il contratto venga adottato.
La seconda questione trattata in diverse audizioni è la certezza delle risorse, il presidio di indipendenza dell'azienda Rai. Questo Pag. 13tema ha avuto una declinazione ricorrente – penso all'Agcom, ai vertici Rai, ai sindacati, all'EBU e allo stesso Ministero dell'economia e finanze – quando si è declinato questo aspetto in riferimento al fatto che sarebbe auspicabile che il canone fosse determinato su base pluriennale. Alcuni auditi indicavano un tempo già identificato, come quello di cinque anni, che corrisponde alla durata del contratto di servizio. Una prima questione comunque è un canone la cui quantificazione possa essere identificata su base pluriennale. Sappiamo che dal punto di vista tecnico anche della norma ciò non è semplice, perché è giusto ricordare che la determinazione annuale del canone è in norma primaria nel TUSMAR, ma questa è un'esigenza che è emersa con chiarezza e che, peraltro, non esclude quello che è previsto all'articolo 13, comma 2, cioè la verifica sullo stato di avanzamento del raggiungimento degli obiettivi. Come diceva lo stesso Morando, può essere un canone su base pluriennale con una verifica annuale sul raggiungimento degli obiettivi individuati in contratto di servizio. Tra l'altro, sui soggetti per la verifica, che nel testo sono identificati in Ministero dello sviluppo economico e Agcom, abbiamo ricevuto anche una sottolineatura, una sollecitazione durante l'audizione dei vertici Rai, quando il consigliere Diaconale diceva che tra i soggetti vigilanti non c'è la Commissione di vigilanza. Questo forse può essere un ulteriore elemento di riflessione per la Commissione.
C'è anche una questione che in quell'audizione era stata sollevata da un altro consigliere d'amministrazione, Siddi, il quale faceva riferimento al fatto che l’«extragettito» – lo metto tra virgolette perché non è corretto; su questo abbiamo ascoltato quindici minuti di determinazioni – non è un tema da convenzione, anche perché era nella legge di stabilità, che prevede sul triennio la ripartizione di questo «extragettito», che non va solo alla Rai, ma anche al Fondo per la riduzione della pressione fiscale e al Fondo per il pluralismo. Quindi, come diceva il Sottosegretario Giacomelli, ha una durata al momento triennale.
La terza questione, che a sua volta figurava in diverse audizioni, è la contabilità separata. Intanto qui abbiamo un dato, fornito dal Viceministro Morando, che indica come ci sia una tendenza consolidata dal 2012 alla riduzione dei costi di servizio pubblico. È un dato che ci è stato comunicato. Lui poi aggiungeva, dal punto di vista dei parametri del ministero, senza una riduzione della qualità. Il punto sollevato dallo stesso Viceministro Morando, ma anche dalla Corte dei conti, dall'Antitrust e da Agcom era, in riferimento alla contabilità separata, intanto un richiamo a come abbia funzionato – c'è un giudizio diffuso negativo su come abbia funzionato – e anche a come sia difficile renderla operativa. Mi sembra che nelle diverse audizioni siano state indicate tre opzioni per renderla più stringente. La prima, quella che abbiamo sentito richiamare oggi anche da Pitruzzella, è la separazione societaria. Su questo, in realtà, non può intervenire la convenzione. Deve intervenire la legge, com'era, per esempio, la legge Gentiloni, per chi se la ricorda, che prevedeva una divisione societaria, tant'è che oggi lo stesso Pitruzzella riconosceva che forse questo è un tema «da tenere vivo in prospettiva». Una seconda opzione è quella che indicava l'Agcom, ossia una separazione funzionale all'interno dell'azienda Rai, tra due divisioni, l'una che afferisce a quanto finanziato dal canone e l'altra che afferisce a quanto finanziato dalla raccolta pubblicitaria. Poi c'è una terza opzione, che era quella che offriva il Viceministro Morando quando parlava di una puntuale verifica micro – ha utilizzato questo aggettivo – sui criteri di imputazione dei costi relativi alla contabilità separata da poter offrire agli organi vigilanti.
C'è poi una quarta questione, che a sua volta è stata trattata in diverse audizioni (APT, Anica, Doc/It), che riguarda il sostegno alla produzione audiovisiva. Si è messo in evidenza come questa sia un'innovazione di questo schema di convenzione, che la prevede per la prima volta. APT ha sottolineato come sarebbe necessario anche aggettivare «produzioni indipendenti», ma al di là di questo, mi sembra una questione che è stata sottolineata. A fianco di questa c'è un'ulteriore sottolineatura sui cosiddetti diritti secondari. L'hanno sollevato ANICA e DOC/IT, oggetto di discussione, sempre in Commissione, Pag. 14 in occasione del contratto di servizio. A me sembra essere questa più materia da contratto di servizio, ma è emersa nelle audizioni. Si tratta di capire se ci possa essere e se abbia senso che ci sia un riferimento anche in schema di convenzione.
Per non essere lungo, cito soltanto alcune questioni emerse in alcune audizioni che forse possono essere anch'esse elemento di approfondimento.
Sulla pubblicità, visto che il richiamo in convenzione sulla leale concorrenza e trasparenza era stato ripreso dallo stesso Sottosegretario Giacomelli, abbiamo acquisito, in realtà, la valutazione dalla Rai, che indicava che non c'è una pratica di dumping. Non so se poi sia arrivato quel dato preciso che avevamo chiesto, che forse è di una determinata utilità. Abbiamo poi i dati che ci ha consegnato il Viceministro Morando.
C'è un'altra questione, sollevata dalla consigliera Borioni nell'audizione dei vertici Rai, che riguardava l'articolo 3, lettera d) sulla promozione della crescita culturale in termini complessivi, che è il lavoro e lo sforzo – l'abbiamo ricordato – anche della Commissione cultura alla Camera.
Agcom poi chiedeva una più chiara individuazione degli obblighi di pluralismo in termini di pluralismo politico, istituzionale e sociale. Credo che questo richiami anche quell'atto di indirizzo sul pluralismo che in questa Commissione si era affermato allorché la delibera dell'Agcom si era a sua volta interrotta. Forse questo è un richiamo di carattere più generale.
La direttrice Deltenre ha sollevato una questione sulla possibilità, prevista nello schema di convenzione, della riduzione del numero dei canali non generalisti. La sua considerazione era che forse anch'esso è più tema da contratto di servizio.
Aggiungo queste ultime cose, che cito solo come titolo. All'articolo 1, comma 7, lettera a) – era stato sottolineato anche dalla presidente Maggioni – si parla della rappresentazione veritiera dei fatti, che può apparire una cosa scontata. In realtà, per il dibattito complessivo che si sta svolgendo anche nei rami del Parlamento con iniziative, convegni e discussione di ipotesi di proposte di legge, c'è tutto il tema che va sotto il titolo giornalistico di post-verità e fake news, che credo abbia un respiro e un significato particolare.
Poi c'è un aspetto su quello che può essere il contributo del servizio pubblico su due questioni. Una è prevista dalla norma introdotta con il decreto fiscale che prevede l'educazione finanziaria, previdenziale e assicurativa. Ciò che ho sollevato in audizione – questa è una mia opinione – è che, se si tratta di promuovere questo tipo di consapevolezza nei consumatori, forse su questo il servizio pubblico può dare un contributo sul versante appunto dell'educazione finanziaria, previdenziale e assicurativa e anche sul versante dei consumi energetici, come da lettera dell'Autorità garante dell'energia che ci è stata recapitata.
Infine – non si smette mai di imparare – abbiamo imparato con l'audizione del Sottosegretario Giacomelli che c'era un refuso per cui il friulano non era nel testo e abbiamo anche imparato che la scadenza, che pensavamo essere il 30, è, in realtà, il 29, ragion per cui c'è un giorno in meno anche per quanto riguarda il nostro percorso, altrimenti esisterebbe un giorno di vacatio in cui la Rai si troverebbe a esercitare il servizio pubblico senza averne la titolarità.
MAURIZIO ROSSI. Innanzitutto voglio spiegare al collega Peluffo, con il massimo rispetto, che non ho voluto sempre ripetere le stesse domande. Erano soggetti diversi. Evidentemente è per questo che posso essere sembrato magari un po’ noioso nel richiedere più volte le stesse cose. Dovevo avere risposte da soggetti diversi. Questa è la motivazione.
Ritengo, cari colleghi, che la materia che siamo chiamati a trattare sia di estrema complessità. Non si può trattare in modo superficiale. È verissimo quanto dice Peluffo: abbiamo 30 giorni, ma diciamo che abbiamo 30 giorni perché abbiamo una scadenza. Sappiamo benissimo che in altra occasione i 30 giorni non solo non sarebbero stati rispettati, ma si sarebbe potuta conoscere la convenzione molto prima. Siamo costretti a fare un lavoro in tempi strettissimi che meriterebbe, invece, un tempo molto, molto più lungo. Premetto Pag. 15che ad oggi mi mancano molte risposte che attendo prima di poter completare una mia posizione e che, quindi, non ho ancora una posizione assolutamente definita, in questo momento. Non ritengo, per esempio, che la Rai abbia risposto alle domande che ho posto in modo compiuto, peraltro come relatore, nel senso che ha fornito risposte abbastanza generiche su molti punti, rimandando anche a documenti che andrebbero studiati approfonditamente. Pertanto, invito, se possibile, la Rai a prendere le domande che ho cortesemente fornito in modo scritto e a rispondermi a una a una, in qualcuna anche dicendo che non ritiene che sia di sua competenza rispondere. Anche quella è una risposta. Mi mancano risposte da parte della Rai. Non hanno potuto ancora rispondere per iscritto, come abbiamo chiesto e come ho chiesto, la Corte dei conti, l'EBU e l'Antitrust. Consegnerò le domande stasera o domani mattina. Immagino che forniranno sicuramente quanto prima le loro risposte. Siamo anche in attesa, come sappiamo, dei contributi di tutti coloro che non abbiamo audito, ai quali abbiamo richiesto un contributo scritto. Anche i singoli commissari hanno potuto richiedere l'intervento di una persona da loro indicata. Tutti questi pareri vanno ricevuti e letti prima di poterci esprimere.
PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ROBERTO FICO
MAURIZIO ROSSI. In ogni caso, dopo aver fatto queste interessantissime audizioni, dobbiamo ritenere di avere quattro obiettivi primari da raggiungere.
Il primo è il rispetto delle normative comunitarie, che – lo ricordo a tutti – sono prevalenti sulle leggi degli Stati membri. Occorre evitare possibili infrazioni europee al Paese che possono causare sanzioni e annullamento della convenzione. Il secondo obiettivo è difendere i diritti dei cittadini che pagano il canone, l'anello debole della catena. Che si paghi tanto o poco, è inaccettabile che si dica loro oggi di pagare e che poi verrà detto loro successivamente qual è il servizio che verrà fornito. Questa è la mancanza del contratto. Questo lo dico nel rispetto dei cittadini. Anzi, a maggior ragione oggi che c'è il metodo del prelievo, condivisibile – non è che ci dovesse essere l'evasione – è ancor più indispensabile e doveroso che la nuova concessione del servizio pubblico fornisca un miglior servizio rispetto al passato e abbia un'assoluta chiarezza ed evidenza dei singoli programmi che i cittadini pagano. Condivido quello che ha detto la Corte dei conti sul fatto che vadano segnalati i programmi di servizio pubblico. Chiamiamolo bollino blu. Le metodologie sono diverse. Può anche esserci un cartello all'inizio del programma, senza tenere un bollino per tutta la sua durata. In questo programma deve essere tenuto almeno un banner che passa per dieci secondi, in modo che uno lo sappia.
Dobbiamo evitare che si configuri un danno erariale. Il danno erariale, secondo me, è un tema che, di nuovo, può nascere dagli utenti. Un cittadino che paga il canone o centinaia, o migliaia di cittadini, se si dovessero consociare, potrebbero benissimo sostenere che, in mancanza degli obblighi che derivano dal contratto di servizio, stanno pagando il canone senza che si sappia per che cosa lo stanno pagando. Questo potrebbe far scaturire denunce di danno erariale su cui tutta la filiera che ha approvato il documento potrebbe avere delle responsabilità.
Il quarto punto è che venga assolutamente evitato – è quello che dicevamo anche oggi con il Presidente Pitruzzella – che il concessionario approfitti dell'aiuto di Stato, creando un vantaggio competitivo e una conseguente distorsione del mercato. Il soggetto concessionario infatti può decidere autonomamente l'imputazione e manca totalmente di organi di controllo. Ricordo a tutti che l'Agcom ha dichiarato che controlla solo la correttezza del sistema di separazione, ma non entra assolutamente sull'impostazione dei programmi per vedere se siano o meno di servizio pubblico. La totale inadeguatezza del sistema di separazione contabile è del tutto insufficiente ed è stata richiamata in diversi punti dalle Pag. 16autorevoli relazioni di Agcom, Corte dei conti e Antitrust. Questa situazione, che ha visto una politica di prezzi inimmaginabili da chi già è forte di 2 miliardi di canone, ha creato di fatto un terremoto nel mondo di tutti i media ed è grave che sia nato proprio dall'azienda di Stato, che è in evidente vantaggio competitivo. Credo che il dumping ci sia stato nel passato e che sia ancora presente, proprio per l'inserimento in programmi acquistati con i soldi del canone di spot e sponsor a cui è stata venduta a pacchetto anche altra pubblicità in programmi, scontistica oltre al 90 per cento e pagamenti di percentuali ai centri media per acquisire la pubblicità, il sistema cumulativo di affollamento pubblicitario tra i diversi canali. Non c'entra nulla, quindi, il costo... Non voglio tediarvi su come vada calcolato, ma è sbagliato come lo calcola la Rai. La Rai ha fatto un costo al secondo. Il costo della pubblicità – alcuni di voi lo sanno – si calcola per GRP, non per costo al secondo. Supponiamo che la Rai abbia il 40 per cento di share e venda a un determinato prezzo e che un altro soggetto abbia il 25 e venda a un altro prezzo. Non si possono prendere i due valori e metterli alla pari. Si deve fare la proporzione al numero di ascoltatori. Il GRP è il costo per ogni soggetto contattato. È quello il punto. Chiedo alla Rai di darmi quel valore, non l'aumento o la diminuzione di costo al secondo. Chiaramente sono dati che ognuno si gestisce un po’ come vuole. È difficile farlo in assoluto. Se però prendiamo le agenzie di pubblicità e i centri media, vediamo che calcolano il costo a GRP. Vorrei sapere qual è il costo GRP di Rai e qual è il costo GRP degli altri soggetti.
Potrei entrare sulle analisi che mi hanno evidenziato persone con cui ho studiato la convenzione, che disquisiscono anche sull'interpretazione della Carta di Nizza o del Trattato di Amsterdam, che ha citato anche l'EBU. È chiara l'indubbia predominanza delle leggi comunitarie su quelle italiane. Quello che dobbiamo ipotizzare – secondo me, ne abbiamo il dovere – è che, nel momento in cui questo documento finisce alla Comunità europea, possa essere ritenuto illegittimo, secondo le norme europee, non quelle italiane, che sono predominanti sulle leggi di ogni Stato membro.
L'altro punto è quello che vi dicevo, ossia il dubbio che vi sia un danno erariale se non vengono dati, contestualmente alla concessione, anche gli obblighi che sarebbero nel contratto di servizio. Ho portato più volte l'esempio di che cosa ha fatto la BBC, ma anche di che cosa hanno fatto tutte le televisioni d'Europa. Siamo il primo caso nella storia dell'Europa che abbia fatto delle proroghe a una concessione. Già le proroghe sulle concessione, per quello che Pitruzzella diceva, non vanno fatte più, perché sono già dubbie a livello europeo le proroghe delle concessioni. Altra questione è che viene data una concessione direttamente a Rai per legge. Ribadisco, è legittimo ed è previsto dalla normativa comunitaria che venga dato a un unico soggetto, ma la normativa comunitaria dice che, quando si dà a un unico soggetto senza passare da gara, si deve spiegare perché si ritiene che quel soggetto sia l'unico in grado di fornire quel servizio. Non ho detto che non si possa. Nessuno ad oggi ha spiegato perché la Rai sia l'unico soggetto in grado di erogare quel servizio. Mi è solo stato detto che la legge dice che è dato alla Rai. Quello non è sufficiente a livello europeo. È dal 2013 che parliamo della scadenza della concessione del 6 maggio 2016, con il Viceministro Catricalà, giurista di primissimo livello, che aveva suggerito già allora le strade da percorrere. Questa Commissione ha poi varato anche, con grande ritardo – lo ricorderete – il parere sul contratto di servizio (l'ha citato anche Peluffo), che non è mai stato applicato comunque dal 2013 al 2015.
Oggi andiamo avanti con una discrezionalità da parte della Rai su moltissimi punti e il punto fondamentale è che cosa si va a imputare al servizio pubblico. Porto un esempio. Ballando con le stelle è un programma che potrebbe anche piacermi, un programma che può piacere a molti. Che però venga imputato al servizio pubblico e poi venga pagato il cachet ad Alba Parietti e a Selvaggia Lucarelli per vedere la loro lite con i soldi del canone è considerabile servizio pubblico? Se fosse vero Pag. 17che il programma di Mika è costato 1.400.000 euro a puntata, pagato con soldi pubblici, è legittimo o no? Se poi invece si pagano 1.400.000 euro con la pubblicità e c'è una netta separazione, non ho assolutamente nulla da dire. Io metto in dubbio questo.
Nel discorso del vantaggio competitivo non metto in dubbio che la partita della Nazionale non sia servizio pubblico. Metto in dubbio, e sinceramente mi vergogno come cittadino, che venga comprata una partita magari a un costo che nessun privato adotta. È lì che scatta il vantaggio competitivo. Io con i soldi del canone compro una partita a una cifra folle, perché è la partita della nazionale e prima parto con la pubblicità, peraltro dei giochi d'azzardo. Questa è veramente la ciliegina sulla torta. Si compra la partita, si prende una parte dei soldi del canone, non si mette pubblicità dall'inizio alla fine e nessuno ha nulla da dire. Il problema è l'inserimento della pubblicità. Addirittura avendo quel programma che magari fa il 40-50 per cento di share, io, che ho iniziato nel 1977 vendendo pubblicità – è un settore che conosco abbastanza bene – so benissimo come funziona: ti do la partita della Nazionale, ti metto due spot lì poi te ne compri altri 10 là, altri 20 là, altri 30 là e creo un pacchetto di vendita che chiaramente utilizza il vantaggio competitivo, perché ho dei programmi che ho comprato con i soldi del denaro pubblico. Questo è illegittimo. Questo va bloccato e ciò andava stabilito, secondo me, assolutamente all'interno della convenzione.
In Inghilterra l’agreement che accompagna la concessione alla BBC è un documento corposo che stabilisce tutto – l'ho ribadito più volte oggi – ossia gli introiti, quanto di pubblicità, che peraltro nel caso della BBC è solamente sui canali che vanno in giro per il mondo, la vendita dei diritti di tutto il materiale della BBC, eccetera. Loro l'hanno fatto, ma hanno modificato anche l'organizzazione. Pare che addirittura sia stato fatto un cambio molto forte nella BBC. Un gran numero di persone che occupavano determinati settori e non è più, con la nuova concessione, in BBC. Sono stati presi invece 200 producer che stanno pensando a come fare la nuova BBC. È stato fatto veramente un cambio epocale nella nuova concessione della BBC. Noi vogliamo firmare e autorizzare, con il nostro parere – è su questo che esprimo veramente un fortissimo dubbio prima di dire che sono completamente non disponibile a trovare una soluzione e a trovare un parere condiviso, ma lo trovo difficile – un contratto da 20 miliardi di euro in nome dei cittadini che rappresentiamo, che sono coloro che pagano il canone. Ciò senza alcun obbligo. Dico obbligo, non vaghe promesse del tutto eludibili e procrastinabili, come sappiamo che ad oggi è il contratto di servizio.
Cosa siamo chiamati a fare qui in Commissione? Gli interessi della Rai, di tutte le sue lobby, della politica, degli affari, delle posizioni di vendita, accordi più o meno chiari o gli interessi dei cittadini? Occorre avere rispetto delle normative comunitarie, rispetto della concorrenza ed evitare vantaggi competitivi che possano determinare il futuro di tutte le aziende dell'informazione del Paese e di tutti i dipendenti che stanno nelle aziende dell'informazione del Paese, giornali, radio, televisioni e anche siti Internet ormai. Da relatore, peraltro, per la prima volta nel mio mandato, sento l'obbligo di difendere i cittadini e il libero mercato. La concorrenza leale non si può mettere a parole, così com'è stata messa nella convenzione. Deve essere regolamentata in un modo preciso. Non lo possiamo fare in dieci giorni. È una questione complicata. Avrebbe dovuto farlo il Governo. Preciso che non è colpa della Rai se è arrivato questo documento, nella maniera più assoluta. Avremmo dovuto guardare gli ultimi vent'anni di ciò che è accaduto in Rai e, come si fa di solito, guardare indietro, guardare quali sono stati i problemi e quali gli errori e creare una nuova convenzione che fosse una cosa nuova, attinente ai prossimi dieci anni che ci troviamo davanti. Lo dico chiaramente: sono convinto che sarebbe stata giusta una gara almeno su una parte del canone per determinate tipologie di servizi. Semplificando, condivido molto quello che dice Minoli: sono convinto che debba essere la Rai il concessionario Pag. 18 del servizio pubblico, ma non nel modo in cui lo è stata fino a oggi, che noi stiamo per avallare perché non riusciremo a regolamentarlo in un modo assoluto, anzi neanche minimo, ed è quello che vogliono. Il mio parere è che quello che si vuole sia una cosa che poi si gestisce come si vuole, anzi che si vada avanti esattamente come ora. So benissimo che, tra l'altro, il nostro parere di fatto non è un parere vincolante, ma è chiaro che a noi corre l'obbligo – e a me corre l'obbligo, come relatore – di far presenti i punti che vi ho fatto presenti, di cui sono fermamente convinto, al di là delle polemiche che qualcuno ha voluto fare sul mio teorico conflitto di interessi. È veramente quanto di più ridicolo possa esistere.
Mi sono impegnato e ringrazio chi mi ha voluto. Vorrei precisare una cosa: non ho chiesto a nessuno di fare il relatore e mai ci avrei pensato nella vita. Ho persino detto a tutti che verrà fuori la cosa di un mio conflitto d'interesse, che sarà ridicola, ma, non sapendo che altro dire, utilizzeranno. Non controbattono le mie osservazioni tecniche, anche perché ho tre professori universitari che stanno lavorando con me su questa documentazione. No, mi attaccano sul fatto che sono in conflitto di interessi. Ho un voto – forse neanche, potrei anche non votare – esprimo delle mie opinioni, studio come mai ho studiato nella vita (tra l'altro, non sono neanche mai stato un grande studioso, a dire la verità, ma lo sto facendo con impegno, come mi sembra giusto farlo) e porto le mie considerazioni. Dopodiché, saranno i voti della Commissione a contare. Il mio voto è del tutto ininfluente. Le mie riflessioni forse, invece, possono convincervi che ci sono una verità, uno studio e dei punti apprezzabili magari nelle considerazioni che vi sto facendo per queste ragioni.
Mi è dispiaciuto, sinceramente, quando qualcuno mi ha detto che seguo la linea di Gasparri. Forse è Gasparri che segue la mia, con tutto il rispetto di Maurizio. Non è la mia posizione, né politica, né partitica. Questa posizione ce l'ho da tantissimo tempo. Non è una posizione politica. Sono convinto. Posso segnalare alcuni aspetti che, secondo me, se si dovessero inserire nella convenzione, andrebbero inseriti, perché sarebbero veramente quello che mi sarei aspettato. Sono punti precisi. Ne cito alcuni e poi li vedremo più avanti.
Con riguardo alla sicura contestualità tra concessione e obblighi, non c'è soluzione. Questo è illegittimo a livello comunitario se non viene fatto, secondo me. Se arriverà un esposto o verrà mandata la documentazione, il rischio che questo possa portare a un'infrazione potrebbe esserci.
Poi c'è la netta separazione societaria tra servizio pubblico e commerciale. Questo andava messa in convenzione, non rimandata a un contratto di servizio che scrive la Rai. Figuriamoci se lo scrive. Questo doveva essere messo in convenzione. Doveva essere presa questa decisione e doveva prenderla il Governo. Il Governo doveva dire che d'ora in poi c'è una società che fa servizio pubblico in cui inserisce anche gli ammortamenti, il personale che fa il servizio pubblico. Sono 6.000. Dall'altra parte ci sono gli altri 6.000 che fanno il commerciale. Tutte le produzioni di Caschetto, di Presti e di altri vanno a finire di là. Se lo pagano con la pubblicità, lo facciano. Non dico di no. Dall'altra parte ho dei canali puliti, senza pubblicità come in Germania, dove dopo le 20 non si può mettere la pubblicità, o in Inghilterra, dove non la mettono proprio assolutamente. Si paga di più di canone? Faremo un po’ meno canali e cercheremo di risparmiare qualche cosa dalla parte del servizio pubblico per non aumentare il canone, ma non si deve pensare che si deve pagare meno canone e questo uccide il mercato dei prossimi dieci anni di tutto il resto del mondo dell'informazione. Questo non è un discorso che può andar bene. Troviamo un canone che consenta di fare un buon servizio pubblico e si facciano altri canali con una netta separazione, come invita – lo sappiamo benissimo – la Commissione europea, la quale dice che è legittimo fare solamente la separazione contabile, ma invita a fare ormai una separazione funzionale. La Deltenre ha detto che non si è capito bene che cosa sia. Comunque è chiaro che la separazione funzionale, come abbiamo sentito anche da alcune audizioni, Pag. 19potrebbe essere il top, la separazione societaria, oppure in un'unica societaria due aree totalmente diverse. A quel punto, si definisce quali sono i programmi che vengono inseriti da una parte e dall'altra. A proposito della definizione del numero massimo di canali di servizio pubblico, mi dovete spiegare perché in tutta Europa – noi siamo sempre originali – i canali di servizio pubblico sono 3, 4, 5 e in Italia sono 15. Perché? Stiamo festeggiando adesso i sessant'anni. Adeguiamoci anche noi al resto d'Europa. Poi se ne fanno altri se si è capaci, se si riesce a fare tutto. Ci si carica il personale e se ne fanno altri, come ripeto più volte, commerciali. Ricordo che c'era chi diceva addirittura che il canale di servizio pubblico dovesse essere uno solo. Se gli altri ne hanno tre o cinque, adeguiamoci al massimo del resto d'Europa.
Vengo alla definizione contestuale della concessione del piano news con l'obbligo di accorpamento di tutte le redazioni in una unica come modello internazionale ormai acclarato. Ovunque c'è un'unica redazione che poi ha varie ramificazioni di specializzazione. Questo non deve deciderlo la Rai, perché la mettiamo in una problematica enorme. Mettiamo il consiglio d'amministrazione contro i dipendenti, contro l'UsigRai. Questo deve deciderlo il Governo. Il Governo non può demandare sempre tutte le decisioni per lavarsene le mani: o queste decisioni le prende, o sono cose che non si faranno, o sarà molto complicato farle.
Ci sono poi l'eliminazione della pubblicità dai programmi di servizio pubblico e la chiara separazione di costi e ricavi, compresi i costi generali e gli ammortamenti tra le due tipologie di servizio pubblico e commerciale. Tenete conto che, se diminuiamo il numero di canali da 15 a 3, per esempio, o a 5, automaticamente il costo per la Rai dell'affitto degli impianti, per quanto riguarda il servizio pubblico – il commerciale non ci interessa – scenderebbe da circa 220 milioni che paga a Rai Way a 100, risparmiando 120 milioni all'anno, che sono pari a 1 miliardo e 200 milioni di euro in dieci anni. Non è una sciocchezza una cifra del genere. È fattibile. Poi la parte commerciale della Rai si affitta gli altri canali che le servono. Non so se ne affitta altri dieci o solo tre, perché chiaramente deve iniziare a fare i conti se ce la fa a coprire o meno.
Questi sono i punti primari che al momento intendevo segnalare a tutti i colleghi, spiegando che sono studiati e sono approfonditi. Non dico certo e non ho la presunzione di dire che siano la verità assoluta, ci mancherebbe ancora, ma vi garantisco che sono punti sui quali credo che tutta la Commissione debba riflettere.
ROBERTO RUTA. Cerco di attenermi esattamente ai cinque minuti come il presidente non ha detto, ma normalmente dice. Quindi, mi atterrò ai cinque minuti. Procedo in maniera diretta. Faccio una sola considerazione. Mi riporto a quanto già evidenziato dal relatore di maggioranza, l'onorevole Peluffo, per tutte le cose che ha evidenziato in tutte le audizioni che abbiamo svolto.
Per quanto guarda il relatore di minoranza, alcune cose si comprendono bene. Potremmo aver fatto la gara per la concessione. Probabilmente in un sistema liberale questo sarebbe stato richiesto. Dobbiamo definire, però, forse una volta per tutte se, che si chiami Rai o in altro modo, esista l'esigenza in una democrazia avanzata come quella dell'Italia – per la tradizione italiana, non perché in altri luoghi non debba esserci per forza, ma per come è costruita l'Italia, per come si è evoluta – e se fosse necessario o meno avere una struttura televisiva radiofonica, multimediale che producesse servizio pubblico. Certo, se ci rassegniamo all'idea che il servizio pubblico era, come nella prima Repubblica, Rai Uno, Rai Due, Rai Tre, DC-PSI-PCI o, come nella seconda Repubblica, in un'altra maniera, declinata in maniera più o meno diversa, questo significa aver rinunciato a essere all'avanguardia, a essere innovativi.
L'atto concessorio che è stato fatto – è da vent'anni che non veniva fatto un nuovo atto concessorio con il decreto del Presidente del Consiglio – ha fatto delle scelte e a quelle, ovviamente, ci atteniamo. La discussione poteva e doveva essere forse preventiva e non successiva. Questo lo dico per chiarezza. Lo dico a tutti. Questa discussione Pag. 20 avrebbe dovuto essere fatta molto bene dalle due Camere e quindi da una bicamerale come questa prima di emettere il decreto. In quel contesto probabilmente avremmo potuto fornire un contributo ampio e significativo per capire se fosse necessario avere un servizio pubblico e come e che cosa dovesse fare. A quel punto, si sarebbe potuto discutere in maniera molto più convincente e in maniera più consapevole se si dovesse stringere il campo del servizio pubblico a determinate stringenti funzioni o se, invece, lo si dovesse fare il più possibile largo. Peraltro, rimane la contraddizione se sia un soggetto privato, ancorché con veste pubblica, tra i privati e si pone il problema della concorrenza e se la restante parte di quel settore, che ovviamente non va stracciato, ma va considerato in pieno, sia l'emittenza nazionale, sia le emittenti locali, debba essere considerata un luogo dove si perdono per forza soldi o se invece possa essere pienamente in regime di concorrenza anche per servizi, come è stato evidenziato, che sono di rilevanza pubblica e importanti. È stato fatto l'esempio della partita della Nazionale, ma si possono fare tantissimi altri esempi: il merito va a chi lo fa senza canone, sotto questo profilo.
Detto questo – vado rapidamente alla conclusione – a noi interessava che il servizio pubblico fosse svolto per garantire non solo e non tanto, ovviamente in maniera non secondaria, una corretta informazione. Credo che nell'atto concessorio ci siano passi in avanti e che ci sia una serie di cose altamente innovative. Questo lo dobbiamo dire. Rispetto a vent'anni fa non c'è paragone. Leggendo quello di vent'anni fa e quello che è stato prodotto ora sicuramente si vedono passi da gigante innovativi importanti. Ci sono cose che però non sono state introdotte fino in fondo. Ci sarebbe potuto essere ancora più coraggio. Si sarebbero potuti introdurre più elementi innovativi, si sarebbe potuta definire meglio la mission, si sarebbe potuto dire esattamente quanto si vuole puntare con l'atto di concessione, per esempio, ad aumentare molto la cultura alla legalità. Sono cose che già la Rai fa in larga parte, ma si poteva definire come investire proprio in cultura della legalità, contro le mafie e contro la criminalità organizzata, in cultura ambientale, in cultura che evidenziasse l'importanza del nostro suolo, nella cultura a una corretta alimentazione, nella tutela dei diritti dell'infanzia, delle donne, delle altre culture e delle altre confessioni religiose, nell'importanza dell'integrazione, nell'importanza di tutto ciò che è una corretta convivenza civile e quindi cultura della legalità anche nel senso di conoscere i propri diritti e i propri doveri, oltre che nelle conoscenze finanziarie, già evidenziate, del mondo delle assicurazioni, per essere cittadini sempre più consapevoli. Credo che la Rai non abbia alcuna voglia di rinunciare a svolgere questo ruolo. Anzi, nell'atto di concessione ci sono elementi innovativi che vanno in questa direzione. Vanno potenziati come nel contratto di servizio. Per questo motivo condivido l'idea che il contratto di servizio non possa essere contestuale. Avrebbe potuto anche essere, teoricamente, contestuale. Occorre, però, che ci sia un termine, questo sì. Mi rivolgo al capogruppo Peluffo e al presidente. Nel momento in cui esprimiamo il nostro parere, auspico che ci sia un termine preciso fissato per stipulare il contratto di servizio tra lo Stato italiano, il ministero e la Rai, perché nel contratto di servizio ci sono i diritti e i doveri e occorre un termine entro cui va stipulato. Essendo pure atto negoziale, ovviamente non c'è un modo di avere la certezza che si faccia, ma, poiché non c'è la certezza, occorre evidenziare già nell'atto concessorio alcuni doveri e obblighi del concessionario minimi e inderogabili, che stiano lì a definire come esaltare questi aspetti della mission che ora ho elencato, che credo siano patrimonio di tutti e che tutti condividiamo in questa Commissione bicamerale. Occorre capire come introdurre dei doveri minimi che, con o senza il contratto di servizio, siano vigenti e cogenti e che siano, ovviamente, un obbligo già ora per la Rai.
Abbiamo evidenziato – e concludo – tra le ultime due questioni, tra le tantissime che abbiamo evidenziato (ci vorrebbe un'ora solo per dirle tutte) la valorizzazione delle Pag. 21risorse umane interne alla Rai, questo patrimonio enorme e straordinario. Anche per questo c'è un atto concessorio in favore della Rai. La valorizzazione di quelle risorse può far fare un passo da gigante alla Rai, ottenendo anche una limitazione dei costi della Rai e un'esaltazione di tutto quello che può essere conoscenza per i cittadini.
Concludo con la mission di essere presenti nel settore multimediale e di potenziare Rai Cinema nella funzione di produzione sia di cinema, sia di fiction, nonché di documentari. Non si comprende perché la Rai non debba stare su quel pezzo all'altezza della BBC o di altri grandi enti di produzione. Credo che lo possiamo fare, anche perché abbiamo, oltretutto, un patrimonio artistico, storico, culturale e architettonico qui in casa. Abbiamo la possibilità di lasciare non una traccia qualunque, ma di fare promozione del nostro Paese e di quello che contiene in tutto il mondo. Credo che abbiamo un duplice, anzi triplice interesse a farlo: gl'investimenti in questa direzione devono essere quanto mai ingenti e soprattutto utilizzati per fare davvero produzione in Italia.
MAURIZIO GASPARRI. Presidente, in premessa, cercherò di non essere troppo lungo, ma le chiedo di parlare qualche minuto in più, per due ragioni: in primo luogo, perché la discussione che stiamo facendo è importante ed è uno degli atti qualificanti, in secondo luogo perché non c'è nessun altro del mio Gruppo.
PRESIDENTE. Senatore Gasparri, prima ho ringraziato l'onorevole Ruta, ma è una discussione che dobbiamo fare in modo ampio. Quindi, c'è tutto il tempo perché anche i relatori possano segnare le varie tematiche.
MAURIZIO GASPARRI. Vorrei capire come ci regoleremo. Ci verranno dati dei testi per poterli emendare entro un termine. Spero che si possa fare con modalità di lavoro compatibili con le esigenze del lavoro parlamentare. Segnalo ai relatori alcune questioni perché le audizioni, al di là di averle potute seguire direttamente leggendo gli atti, segnalano degli aspetti. L'audizione di Cardani ci indica una serie di questioni. Torna sulla questione della separazione contabile, cosa alla quale tengo molto, avendola introdotta per legge. Sappiamo che è un po’ complicato attuarla. Prima anche il senatore Rossi richiamava il problema di bollini e indicazioni su programmi pagati dal canone. Ricordo che anni fa un direttore generale della Rai diceva che tutto quello che la Rai trasmetteva, in fondo, era servizio pubblico, perché anche l'intrattenimento svolgeva funzioni complessive di attuazione di un mandato pubblico. Su questo si può discutere, ma un problema di contabilità e di maggiore precisione ci viene indicato in maniera molto chiara dall'Autorità delle comunicazioni. Segnalo ai relatori le parti che ci sono in questa relazione, così evito di illustrarle di nuovo o di ripeterle. Le indico come schema di orientamento.
L'Autorità delle comunicazioni richiama altresì il tema centrale del pluralismo. Mi rendo conto che il concetto è di per sé filosofico, ma ho visto che giorni fa anche il direttore generale della Rai, rispondendo sul Messaggero a una sollecitazione di Roberto Gervaso in riferimento alla polemica recente sulla Perego, ha detto che dobbiamo rivedere i palinsesti e tutelare il pluralismo: il tema ritorna. Evidentemente anche il direttore generale non ritiene di aver assolto al meglio questa funzione e, partendo da una polemica che riguardava altri fatti – quella della Perego non atteneva al pluralismo, ma riguardava il tipo di messaggi e di contenuti – ha ripreso il discorso. L'Autorità delle comunicazioni riprende questo concetto e poi torna su un tema centrale, che è stato affrontato anche prima in maniera dettagliata dal senatore Rossi, arrivando a dire, a pagina 8, che la vicenda della pubblicità deve essere attenzionata perché – cito proprio l'Autorità delle comunicazioni – «il concorso del finanziamento da mercato può, in certa misura, essere giustificato e coerente con la natura pubblica dell'attività svolta» ma va a fare delle specificazioni, a pagina 8, sui limiti del finanziamento dal mercato. Questo Pag. 22 è un tema centrale. Cito Cardani come posizione assolutamente neutra rispetto al nostro dibattito politico. Cardani dice: «Appare coerente che gli spazi pubblicitari siano rigorosamente contingentati anche al di sotto dei tetti di affollamento attualmente previsti per ciascuna rete. Si potrebbe ipotizzare di eliminare la pubblicità tabellare su canali propriamente o esclusivamente finanziati dal canone». Sappiamo che ci sono limiti di affollamento stabiliti dalla legge, ma qui Cardani entra nel dettaglio, dicendo che si potrebbero anche fare interventi ancora più restrittivi sui canali finanziati completamente dal canone. Qui rientriamo nel tema di cosa sia il servizio pubblico o che cosa non sia. Se fosse vero quello che diceva quel direttore generale di quattro o cinque direttori generali fa che tutto è servizio pubblico... È una tesi che può avere un suo fondamento. Questo tema della pubblicità e degli affollamenti lo segnalo ai relatori in riferimento a quanto dice Cardani alle pagine 7 e 8 del suo intervento.
La Corte dei conti fa rilievi sull'eccesso di genericità nel testo che stiamo esaminando. Sappiamo che questa concezione si può basare su grandi princìpi, su grandi linee. Non deve essere troppo dettagliata, ma nemmeno troppo generica. La relazione della Corte dei conti, a pagina 13 e in altre, invita sostanzialmente a scandire meglio alcune funzioni. Stiamo facendo un atto che ha durata decennale, poi è vero che ci saranno i contratti di servizio. Ha un valore, come è stato detto, di 20 miliardi di euro. Capisco che ci sono larghi princìpi per pluralismo, libertà e valori, ma un po’ più di dettaglio non farebbe male. La Corte dei conti, nella sua relazione, parla anche dell'articolo 1, dicendo: «Non può non evidenziarsi l'insufficienza del (generico) richiamo alla trasparenza, argomento che avrebbe, invece, richiesto una specifica, esaustiva disciplina già in sede di convenzione». Questo riferimento non è da sottovalutare. Ricorderete la discussione concreta che abbiamo avuto tra l'Autorità anticorruzione e la Rai. Sono stati fatti rilievi sull'assunzione degli esterni e altri. Anche qui cito i testi, senza che li debba ripetere. Poi la Rai di fatto non ha mai risposto. Cantone qualche settimana fa, in un'intervista sul Fatto ha detto di non aver mai avuto risposta. Anche noi sappiamo che non c'è mai stata risposta, nemmeno sull'Istituto di vigilanza. Vi ricordate l'episodio del padre che selezionò il figlio? Lasciamo perdere le assunzioni di tutti i dirigenti esterni. Erano tutti necessari? Erano tutti geni? Non c'erano professionalità interne alla Rai? Sul tema della trasparenza nel concreto cito la querelle Cantone-Rai, che non ha trovato una soluzione, francamente, o una risposta. Cantone l'ha reiterato nell'intervista a un giornale. Non è una sede formale, ma è una sede sostanziale. La Corte dei conti dice anche questo all'articolo 1. Mi rivolgo ai relatori: anche noi, quando avremo una proposta di parere, faremo gli emendamenti.
Vado rapidamente. Pitruzzella torna sul concetto di servizio pubblico da definire in maniera dettagliata. Rivendico anche delle competenze alla Commissione e preannuncio proposte che intendo fare, ma – ripeto – lo dico preventivamente a chi deve stendere i pareri, così potremo anche fare cose più condivise. È successo nel passato. Sulla questione di rivedere la rimodulazione del numero dei canali – si parla di quelli non generalisti – quali saranno? Qual è l'orientamento dell'azienda? Noi lasciamo un mandato libero. È vero, e lo dico anche con qualche orgoglio, anni fa si diceva che non c'è il pluralismo e che non ci sono abbastanza canali. Io dicevo che con il digitale terrestre la moltiplicazione ci sarebbe stata. Nelle case ci saranno dei canali. Oggi la Rai ha dei canali che fanno lo 0 qualcosa di ascolto. Alcuni fanno anche 0,24. Capisco anch'io che, se ci fossero degli accorpamenti, sarebbe un bene. Non è necessario avere 15-16 canali. Si può avere il pluralismo. Diamo un mandato in bianco? L'editore sostanziale che, a mio avviso, ai sensi delle sentenze della Corte, è il Parlamento, non deve esprimere un parere? Un domani la Rai fa un piano e accorpa dei canali, cosa che, secondo me, è possibile, perché – ripeto – in alcuni casi abbiamo lo 0,20 o lo 0,10. Si può anche decidere di lasciare lo 0,10 e di fare un canale di teatro H24. È Pag. 23una scelta culturale ed editoriale che possiamo anche plaudire, ma basta che lo sappiamo. Non dobbiamo poi contestare che ha fatto lo 0,10. Credo che su queste, nella rimodulazione del numero dei canali, un vincolo di parere della Commissione parlamentare ci dovrebbe essere. Lo stesso discorso vale per il comma 7 dell'articolo 1 e il piano di riorganizzazione che potrebbe anche riguardare le testate giornalistiche: quali, come, perché? Abbiamo già visto che adesso c'è un'altra testata che si dovrebbe occupare dell'impatto sulla rete. È stato deciso dove, come? Abbiamo discusso qua a volte di cose di dettaglio e di quella cosa non si è parlato.
Il progetto sull'informazione ancora non c'è. Cito a memoria una lettera che ci è stata inviata giorni fa dal presidente Rai, che diceva che stanno ancora lavorando. Ora, noi facciamo la convenzione perché c'è una scadenza, il contratto di servizio lo faremo dopo: nel frattempo, la Rai ci dice, su una cosa sostanziale, che stanno discutendo. E se fanno un accorpamento di testate, ne fanno di nuove? È irrilevante? Noi che facciamo? Facciamo questa concessione, che vale 20 miliardi, e nel frattempo si decidono altre cose. Un vincolo all'editore sostanziale Parlamento, non a noi persone fisiche, lo vogliamo mettere, con un parere obbligatorio da esercitare nella Commissione parlamentare di vigilanza, appunto anche rispetto al comma 7 e a quella questione?
Anche all'articolo 3 ci sono questioni che dovremo approfondire, come la copertura del segnale, e qui abbiamo anche richiamato il problema dell'industria nazionale dell'audiovisivo, ce l'hanno detto le audizioni. Mi aspetto che qualche riflessione, qualche approfondimento – è stato detto anche dal relatore Peluffo – su questo punto, qualche considerazione a tutela delle produzioni nazionali si possa mettere. Il tema del pluralismo nella sua astrattezza è difficile da definire, nella sua concretezza è essenziale. Credo che serva una maggiore attenzione nella convenzione al tema del pluralismo che deve essere approfondito: che cos'è il pluralismo, se non la rappresentazione di diversi pareri, che non si esauriscono nelle forze politiche? Si possono anche articolare, infatti, in realtà sociali e associative di varia natura.
Per quanto riguarda la contabilità separata, credo che sia un tema che ci deve vedere presenti e attenti. Considero i riferimenti fatti ai testi delle pre-proposte anche di emendamento. I relatori hanno un punto di vista molto diverso, ma questo può essere anche un motivo di ricchezza. Dico anche al senatore Rossi che credo che il servizio pubblico non possa non essere svolto dalla Rai. Si è detto che si doveva fare la gara sul canone, anche miei colleghi di partito, persone che hanno ricoperto l'incarico di ministro. Credo che la copertura come segnale, le redazioni regionali, una serie di cose che ha solo la Rai, difficilmente sono replicabili da altri. Questo, però, non può portare a una pigrizia, per cui siccome la Rai è la storia dell'informazione pubblica, è l'informazione pubblica, ha le sedi regionali, allora facciamo la convenzione e va tutto in automatico. La Rai se lo deve guadagnare nella garanzia di pluralismo, nel sostegno all'industria. Mi scuso se cito una cosa che mi ha detto privatamente il senatore Margiotta, che credo sia ancora qui a seguire i nostri lavori, ma ho letto quella e-mail e gli ho chiesto un'interpretazione, e giustamente mi ha spiegato che ha fatto quella domanda sul canone per vedere prima della bolletta qual era l'incasso. La Rai si può anche lamentare che il Governo, per conquistare un po’ di consenso, ha detto che, anziché 100, il canone sarebbe stato 90 euro, secondo il vecchio principio giusto di pagare meno e pagare tutti. Si lamenta che avrà di meno, ma di meno rispetto a che? Se prima dell'obbligo della bolletta incassavi di meno, il nostro raffronto va fatto in sede storica. Anche su questo discorso connesso agli introiti pubblicitari e al canone in bolletta una riflessione va fatta. Non ragiono in maniera ostile alla Rai. Ripeto che non credo che il servizio pubblico si possa affidare ad altri, ma non ci può essere la rassegnazione, una sorta di pigro monopolio, per cui ad esempio la pubblicità ha affollamenti significativi. Pag. 24
Altra cosa, ultima, la dico ai due relatori: mettiamo una clausola antidumping. Abbiamo una discussione forte sul dumping pubblicitario della Rai, che è stato un fatto riconosciuto, tanto che, nelle prime audizioni che ha fatto nella sua veste di direttore generale Campo Dall'Orto, ha ammesso questo fatto, ovviamente attribuendolo alle gestioni precedenti. Poi gli sconti, le offerte 2 per 3, li avranno fatti tutte le televisioni – per carità – ma la Rai ha anche il canone, quindi alla fine ha anche queste altre entrate. Non è presente il collega Brunetta, che ha anche rappresentato – penso che lo farà – con dati storici sul dumping Rai che ha tratto dalla Nielsen e da altre fonti qualificate. Il direttore generale ci dice che questo non avviene più. Prendo per buona quest'affermazione, per generosità, visto che non ho qui un parametro, né ho le fatture della pubblicità. Credo, però, relatori, che un vincolo del servizio pubblico antidumping debba essere inserito nel momento in cui diamo questa concessione, questa possibilità, che poi si abbina al canone: quale azienda ha la certezza per dieci anni di 20 miliardi di presunti introiti? È una bella certezza, quindi qualche vincolo rispetto a un regime concorrenziale antidumping si può introdurre. C'è anche stato il precedente riconosciuto dalla Rai. Si può obiettare che lo hanno fatto anche altri, ma gli altri, se lo fanno, poi ci penserà l'Antitrust, gli organi di garanzia a evitare alterazioni alla concorrenza. Gli altri però non hanno la concessione di una durata temporale e con un incasso certi, quindi c'è una specificità, un vincolo in più, se no noi che ci stiamo a fare? Se poi Mediaset, LA7, fanno procedure di concorrenza sleale, andranno incontro alle sanzioni antitrust, ma non hanno un canone garantito. Su questa vicenda antidumping e pubblicità, invito davvero entrambi i relatori a fare una riflessione, non perché voglia svalutare il ruolo del relatore Rossi, ma il relatore di maggioranza per definizione almeno sulla carta gioca con i favori del pronostico. Poi, casomai, la partita si ribalta.
Mi fermo qui. Ho abusato di un po’ di tempo, ma, come avete visto, mi sono attenuto strettamente al merito, citando anche alcune fonti di audizioni che ci instradano verso qualche stesura ragionata del parere. Poi lo avremo, può darsi che alcune cose dette con spirito costruttivo ci eviteranno di fare emendamenti, se no questa è la linea, ammesso che ci sia una linea Gasparri – ringrazio Rossi per averla evocata – l'ho esternata alla luce dei fatti, avendo anche consapevolezza che per la Rai questo è un atto qualificante. Non dobbiamo avere una logica punitiva, ma nemmeno una pigrizia per cui è così da sempre, auguri e arrivederci. I soldi hanno un loro valore in una fase così complicata, e avere una certezza non è cosa da poco per un'azienda che, in tanti casi, sul pluralismo, sui richiami di Cantone e così via, non ha brillato. Voglio evitare connotazioni polemiche. A questo punto della giornata, interpreto questa come una riunione di lavoro. Abbiamo mille altre occasioni per altri tipi di considerazioni.
ALBERTO AIROLA. Sicuramente, ci troviamo in una congiuntura estremamente particolare, che probabilmente vent'anni fa non c'era, cioè quella di un servizio pubblico, un'azienda privata pubblica, che si sta profondamente trasformando per lanciarsi nel nuovo modo di fare comunicazione e servizio pubblico, che indubbiamente investe una trasformazione radicale, il passaggio da televisione a web. All'interno di questo momento epocale, ci troviamo con le questioni poste da questo documento, che stiamo analizzando in maniera riassuntiva, ma anche incompleta. Dall'altra parte, dovremo fare delle specificazioni in un documento successivo, anche se a breve termine, fatto salvo che alcune delle intenzioni, degli obblighi formalizzati, sono in fieri. Stiamo assistendo già infatti a un cambiamento della Rai, che ci è stato presentato qua, non ancora definitivo perché non votato dal consiglio di amministrazione, quello di Rai 24, che investirà indubbiamente anche l'apparato più analogico della televisione, su cui dobbiamo prendere delle decisioni. In questo documento vengono espresse delle intenzioni, tra cui per esempio la riduzione dei canali, la questione della contabilità separata, Pag. 25 e noi ci troviamo secondo me in una situazione intricata. Innanzitutto, come hanno espresso alcuni auditi (la Corte dei conti, l'EBU, l'Antitrust), tutti consiglierebbero di avere questi documenti approvati insieme, sia la convenzione sia il contratto di servizio. Alcuni propongono la strada di aumentare il livello di dettaglio e di definizione della convenzione; altri propongono di fare le due cose contestualmente – sarebbe auspicabile – e la terza sarebbe mantenere, che mi sembra la posizione del relatore di maggioranza, un testo più o meno snello di convenzione, per approvare al più presto un contratto di servizio pubblico. In tutto questo, c'è la questione della contabilità separata, che non è questione da poco, perché va a incidere pesantemente sull'idea di riforma del servizio pubblico che abbiamo in mente.
Secondo l'articolo 11, la società concessionaria limiterà lo svolgimento di attività commerciali editoriali non rientranti nel servizio pubblico. Innanzitutto, ci dobbiamo porre una domanda: la Rai è costretta a fare servizio pubblico su tutti i fronti? La risposta è sì, mi pare di aver capito. È detto successivamente che «alla società è consentito svolgere, direttamente o attraverso società collegate, attività commerciali ed editoriali [nei limiti di quanto predisposto dal testo unico] connesse in genere alla diffusione di suoni, immagini e dati, nonché altre attività comunque connesse all'oggetto sociale, purché esse non risultino di pregiudizio al migliore svolgimento dei pubblici servizi concessi e concorrano alla equilibrata gestione aziendale». Di fatto, la Rai può fare attività commerciale, ma non deve travalicare nei suoi obblighi di servizio pubblico. Sottolineiamo che, in alcune audizioni molto più specifiche, da alcuni soggetti (Doc/it, APT e altri) ci è stato però denunciato un aggiramento proprio tramite artifizi contabili delle quote che la Rai dovrebbe obbligatoriamente rispettare per la produzione di prodotti culturali, quali i documentari, le fiction e così via. A questo punto, ci troviamo in difficoltà. Qual è la strada migliore? Definire già adesso in un documento di convenzione che deve esistere una separazione societaria netta tra quello che fa la Rai coi soldi pubblici e quello che fa coi soldi privati? Resta salvo anche che qui si prevede una riduzione dei canali, che sta già avvenendo in teoria, ma non ne siamo perfettamente al corrente, perché il direttore sta lavorando in maniera autonoma.
Se questo avvenisse, dovrebbe già essere previsto, nel procedere (consiglio di amministrazione, direzione, presidenza) della riforma Rai, ma anche nello stilare e nell'emendare questo documento, il fatto che questa divisione avvenga e quali sarebbero le mission dei canali assoggettati al regime di finanziamento pubblico e di quelli – si presume uno, non penso più di uno, visti gli introiti che prende la Rai dalla pubblicità – con maggiore libertà commerciale. Potrebbe essere una buona idea. Le fiction, una serie di intrattenimenti li realizzo e li mando in onda tramite il mio canale commerciale, le coproduzioni e via discorrendo, mentre finanzio esclusivamente con il canone una serie di altri prodotti culturali. Mi sembra che oramai la questione del bollino sia superata, anche perché appunto facilmente aggirabile. Così come si aggirano le quote, posso tranquillamente aggirare il senso di una produzione. Chi mi dice fino a che punto una cosa è servizio pubblico e culturale, perché infotainment o è intrattenimento o non lo è? Sono confini labili, difficilmente inquadrabili. Una soluzione potrebbe essere quella di emendare, non solo. Oltre al discorso che è stato fatto notare da tutti della certezza delle risorse, oltre ad alcuni aspetti, come la Corte dei conti che ci dice «occhio, che questo documento è troppo generico, servono strumenti più dettagliati per definire la trasparenza», e per questo consigliava di fare i due documenti insieme, potremmo emendare questo documento e renderlo estremamente dettagliato. Forse, è una buona soluzione.
Intenzioni, leggi e documenti ci sono, ma poi ci troviamo con un contratto di servizio pubblico del 2010-2012 ancora in voga, e dovevamo fare quello per il 2013-2015, quello successivo, che non è mai stato approvato. L'esperienza insegna che forse, saggiamente, bisognerebbe trasformare questo Pag. 26 in una convenzione con proto-dettagliamento per un contratto di servizio pubblico vero e proprio. Dall'altra parte, molti auditi sono entrati nel dettaglio, e in un dettaglio non da poco. Io, per esempio, non sono contrario all'educazione finanziaria nei termini posti da Banca d'Italia e Consob. Trovo che la Rai non abbia un'informazione economica. Alcune cose le possiamo aggiungere. Alcuni hanno parlato di informazione ambientale. Quando, però, entriamo nell'ambito del pluralismo religioso, dell'educazione alla legalità o addirittura delle lingue delle minoranze linguistiche, a me verrebbe da aggiungere il francoprovenzale al friulano. Dobbiamo entrare in questo livello di dettaglio in questo documento? Questa è la domanda che pongo ai relatori, a noi, e che secondo me deve essere un po’ la base della nostra riflessione. In un Paese normale faremmo una convenzione in cui sono fissati paletti generici, elastici, campi di esistenza sul numero dei canali, sulla trasposizione, sulla trasformazione della TV da analogica a media company e, all'interno di questi campi di esistenza, di questi paletti, aggiungeremmo il dettaglio su una serie di questioni. Dall'altra parte, il buonsenso mi suggerisce di iniziare a emendare questo documento in maniera molto più dettagliata, in modo che qualsiasi cosa succeda avremmo comunque la possibilità di aver fissato dei punti, ribadisco nell'incertezza comunque completa di un processo già in fieri, perché la Rai già sta cambiando. Come facciamo ad avere la certezza che tutto quello di cui discutiamo oggi, a parte che si tratta di un parere non vincolante, potrà essere recepito, elaborato e che ci potrà dare un vero servizio pubblico? Chiudo su questa domanda.
Ci sono molti altri punti evidenziati dai relatori di maggioranza, di minoranza, ma anche i colleghi. Una cosa che trovo gravissima è che manchi nell'articolo 12 la citazione della Vigilanza Rai. Si parla degli organi di controllo e noi non siamo citati. Lo valuterei. Senza entrare nel dettaglio, trovo che dobbiamo partire da questo. Le sanzioni che ci vengono consigliate potrebbero essere inserite nell'articolo 16: in fondo, ti do la concessione, ma se non rispetti quello che ti scrivo dopo, te la tolgo. Ribadisco che già siamo fuori legge, sia per la proroga della convenzione sia per la mancanza del contratto di servizio, quindi forse per non incorrere in sanzioni successive, per non incorrere in un testo di contratto che non vedremo mai, conviene applicarsi il più possibile su questa convenzione. È una questione che lascio aperta.
FRANCESCO VERDUCCI. Ringrazio i colleghi per i loro interventi, il relatore Peluffo e il relatore Rossi in particolare.
Anch'io voglio cominciare dicendo che mi pare importante questo momento di discussione che ci diamo come Commissione di vigilanza. Considero questo passaggio che facciamo pienamente un atto politico. Il rinnovo della concessione e della convenzione lo è a tutti gli effetti, non solo per le nostre competenze. Lo è a tutti gli effetti, perché stiamo qui ridefinendo la portata del servizio pubblico, quindi questo è un atto di grande rilievo per la società italiana, per i nostri concittadini, per la nostra democrazia, di cui il servizio pubblico radiotelevisivo è tanta parte. Voglio aggiungere che in questi vent'anni il mondo delle comunicazioni è profondamente cambiato. Noi discutiamo e approveremo la proposta di concessione facendo anche una prima analisi dopo il passaggio al digitale terrestre, quando la trasformazione del sistema dovuta all'accelerazione delle innovazioni tecnologiche legate al web e ai social media è sempre più vertiginosa, al punto che l'offerta televisiva è sempre più legata alla strumentazione on demand e i palinsesti sono sempre più modulati sulla capacità, le prerogative e la possibilità dello spettatore di configurarli a proprio piacimento e secondo propri gusti soggettivi. Questa è una rivoluzione, nella quale questo servizio pubblico, la concessionaria, deve stare a pieno titolo, pena un'irrilevanza, che naturalmente non possiamo permetterci. Al contrario, noi siamo qui per rilanciare il servizio pubblico italiano, perché vogliamo che abbia un ruolo centrale nella nostra società, di sostegno alla crescita civile e sociale del nostro Paese. Vogliamo che si distingua e abbia un valore Pag. 27anche a livello internazionale. Allora, è un bene che questo testo parta da una definizione molto solida di che cosa sia il servizio pubblico e di quanto sia connaturato all'inclusione, all'integrazione, alla questione sociale, alla crescita a cui prima facevo riferimento.
Penso che il nostro compito sia fare in modo di aiutare la Rai a essere sempre più coraggiosa negli anni a venire. Per essere all'altezza di quei presupposti, che poco fa provavo a enunciare, alla Rai serve più coraggio e non meno coraggio. Serve molta più innovazione a fronte di anni e decenni passati, che invece sono stati assolutamente conservativi, oltre che consociativi. Il servizio pubblico ha finito sempre più per omologarsi alle televisioni commerciali, perdendo una sua riconoscibilità, una sua identità, la capacità di stare appunto nel mercato distinguendosi, e perdendo anche una forte legittimazione sociale e credibilità nei confronti dell'opinione pubblica, che noi dobbiamo mettere in condizione la concessionaria di recuperare.
È un bene che in questa definizione di servizio pubblico ci sia una prima definizione anche di servizio pubblico multimediale. Uno dei temi della concessione è anche traguardare la concessionaria, come ci siamo detti più volte, verso una moderna media company, quindi centrare uno degli obiettivi fondamentali, quello dell'accesso per tutti, della ricezione universale, con tutte le piattaforme e con tutti gli strumenti che ci sono adesso e che ci saranno negli anni futuri. Nei prossimi anni – già lo sappiamo per esperienza – quello che oggi e nei prossimi giorni scriveremo sarà superato dalle innovazioni tecnologiche, che saranno velocissime. Del resto, c'è una conservazione che fa sì che abbiamo ancora un impianto dell'azienda legato agli assetti addirittura del 1975. Questo dice tutto su quanto coraggio e innovazione ci vogliano. Penso che ci voglia più coraggio su uno dei termini che questo testo che ci viene proposto dal Governo cita, quello riferito all'offerta televisiva e alla rimodulazione dei canali: laddove qui si dice «canali non generalisti», io penso che ci voglia più coraggio, e lo dico ai relatori, dire che ci vuole una rimodulazione dei canali della Rai, in modo che la concessionaria possa con il coraggio e la libertà necessari affrontare questo tema senza limitazioni, senza tabù, anche senza il tabù legato ai tre canali generalisti, che per tanti versi sono un unicum che c'è solamente nel nostro Paese.
Allo stesso modo, penso che vada molto spinta l'innovazione sul versante della riorganizzazione dell'informazione, citato nel testo. Penso che non basti dire che servono moduli in inglese. Sarebbe importante se questa Commissione desse l'indicazione che al nostro servizio pubblico serve un canale informativo in inglese. Penso che vada rafforzato un altro tema, che pure ho citato, fondamentale per le attese dei nostri concittadini: quello che riguarda tutta l'offerta televisiva dedicata ai minori senza alcuna pubblicità.
Il punto centrale sottolineato nel testo che stiamo discutendo, che è stato rimarcato e che voglio anch'io rimarcare, è come la concessionaria avrà e potrà avere sempre di più un ruolo nevralgico a sostegno dell'industria creativa nazionale dell'audiovisivo, permettendole di conquistare sempre più spazi nel mercato estero, e quindi essere un volano anche occupazionale per l'innovazione del settore. Penso che vada rafforzato il tema, a mio avviso decisivo, della trasparenza della concessionaria nel rapporto con i produttori. Penso che vada rafforzata la scrittura di codici trasparenti di commissioning, che vada incentivato non solo il pluralismo produttivo, ma una vera e propria competizione creativa, che sicuramente può far bene al nostro sistema anche in termini occupazionali. Penso che ci sia una mancanza nel testo che abbiamo, quella che riguarda la radio, che in tutte le concessioni che abbiamo avuto in precedenza è sempre stata citata. Penso che alla radio dobbiamo dedicare un passaggio del nostro testo. Abbiamo detto non solo nelle audizioni pertinenti con i dirigenti dei settori specifici, ma più volte anche alla presidente Maggioni e al direttore Campo Dall'Orto, che la radio è un cardine imprescindibile, quindi anche il suo rilancio e la sua riorganizzazione. Pag. 28
Concludo su due punti.
Il tema della certezza delle risorse è fondamentale per la concessionaria, è fondamentale per la Rai. Lo è non solo in termini economici, e quindi per la stabilità dell'azienda, ma lo è per l'autonomia dell'azienda, quindi per la sua indipendenza, per quelle prerogative di pluralismo, che appunto sono la chiave del servizio pubblico. Molto spesso diciamo di come legare le risorse da canone a una base pluriennale: visto che il contratto di servizio è di cinque anni, penso che quella durata quinquennale possa essere anche l'ambito di riferimento di questa certezza delle risorse.
L'ultimo punto, non meno importante, e anzi solo apparentemente ai margini di questo lavoro, ma in realtà fondamentale per gli obiettivi da centrare dell'azienda, è quello che riguarda i lavoratori della Rai. Nell'articolo 3 del nostro testo possiamo aggiungere un comma che parli con chiarezza e forza di tutela, dignità, salute delle professionalità che sono in Rai, sia dei dipendenti sia dei collaboratori, che parli di trasparenza, equità, merito, e che impegni non solo i vertici, ma la concessionaria su un terreno decisivo. Purtroppo, infatti, nella conservazione di questi anni abbiamo conservato l'elemento insopportabile di un'azienda che continua ad apparire sempre di più forte con i deboli e debole con i forti. Questo è un meccanismo che qui abbiamo il compito di scardinare.
ALBERTO AIROLA. Peraltro, riguardo ai lavoratori della Rai – ha ragione il collega Verducci – i comitati di redazione sono in agitazione proprio in questi giorni.
FEDERICO FORNARO. Credo che la discussione di questa sera dimostri, intanto, anche la necessità di un ruolo attivo e proattivo di questa Commissione. Considero questo non un passaggio ordinario, di routine, ma l'occasione anche per trovare soluzioni emendative che vadano nella direzione di molti ragionamenti fatti in questi ultimi anni.
Quanto al tema legato al carattere stesso e al livello di approfondimento della concessione, mi fermerei al rilievo della Corte dei conti, che credo non possiamo non considerare, quando espressamente parla di «eccesso di genericità negli obblighi». Credo che questo debba essere, e mi rivolgo ai due relatori, uno stimolo oggettivo, non l'indicazione di una forza politica o di una forza parlamentare. Se hanno un senso le audizioni, se hanno un senso le Authority – in questo caso, mi si passi il termine di Authority per la Corte dei conti – credo che questo vada messo in evidenza, e quindi l'invito è a provare, dove possibile, a diminuire questo livello di genericità negli obblighi, un elemento che personalmente tra l'altro condivido.
Fermo restando che sono d'accordo e non voglio aggiungere altro anche per questioni di tempo e vista l'ora, riguardo al tema della radio, che ricordava poc'anzi il collega Verducci, condivido totalmente la necessità di avere maggiore e specifica attenzione.
Torno su due questioni. La prima è quella della ricezione del segnale, che, come voi sapete, è stata oggetto più volte in passato di mie reprimende, anche un po’ scherzose. Se mi fermo all'elemento letterale di quanto contenuto nell'articolo 3, comma 1, lettera a), dovrei ritenermi soddisfatto: c'è un oggettivo, letterale e formale passo in avanti rispetto al passato quando si dice che la società concessionaria dovrà assicurare la ricezione gratuita del segnale al 100 per cento della popolazione via etere o, quando non sia possibile, via cavo e via satellite. C'è un ulteriore passo in avanti: se per l'accesso alla programmazione fosse necessaria una scheda di decrittazione, la concessionaria è tenuta a fornirla all'utente senza costi aggiuntivi, e questo è stato oggetto anche, credo, di sperimentazioni in alcune zone montane. Qua, però, c'è un «ma», ci scontriamo con la realtà. Se è un passo in avanti, oggettivamente, il fatto che la scheda di decrittazione sia fornita all'utente senza costi aggiuntivi, non possiamo non tener conto che abbiamo una quota dell'utenza, soprattutto nelle aree più marginali, quelle difficilmente raggiungibili via etere, quindi sostanzialmente raggiungibili solo via satellite, che è avanti negli anni, spesso in territori marginali, che si portano Pag. 29dietro normalmente anche condizioni economiche non particolarmente brillanti. Detto con una battuta: se oggi dico a un pensionato al minimo di uno dei territori che conosco che finalmente c'è il 100 per cento e finalmente gli do la scheda di decriptazione per poterla vedere, ovviamente l'obiezione che mi fa è che con la sua pensione al minimo non è in grado di sostenere il costo per l'installazione dell'antenna e quello che serve. Quello che chiedo è di completare la riflessione, utilizzando le risorse che ci sono, nonostante condivida le osservazioni del collega Margiotta sulla risposta che gli è stata data. Se, infatti, scoprissimo adesso che non c'è l'extragettito, allora ci siamo raccontati delle frottole sulla presenza dell'evasione. Siccome l'evasione c'era e attraverso questi nuovi metodi è stata fortissimamente contenuta, è evidente che c'è un extragettito. Potrebbe essere utilizzato questo extragettito, ovviamente trovando delle formule garantenti, che non diamo al miliardario o al milionario in euro di turno la parabola gratis, ma andando comunque in questa direzione, provando a capire come intervenire nella realtà. Diversamente, questa rischia di essere, e lo dico con sofferenza, una sorta di grida manzoniana. Ci siamo lavati e puliti la coscienza, ma nella realtà continueremo ad avere zone marginali che non saranno in grado di dare un segnale ai cittadini. Non ho la soluzione, ma in questa sede sento di rimandare come riflessione ai relatori quello di provare a inserire qualche elemento, veramente utilizzando risorse aggiuntive, che vada nella direzione di garantire l'accesso per questi soggetti più deboli.
L'ultimo tema è quello della certezza delle risorse. È una questione che abbiamo già più volte affrontato. È trattata dall'articolo 13. Va letto, ovviamente, assieme al tema investimenti e innovazione. Qua non mi dilungo oltre, sono un po’ più moderato del collega Verducci, mi accontenterei di un piano triennale rispetto al canone. Questo si collega anche con il carattere triennale del consiglio di amministrazione: quando si elegge un consiglio di amministrazione, gli si dice, sostanzialmente, che le risorse che attraverso il canone si mettono a disposizione sono per i tre anni di loro attività, per cui ragionare in una logica triennale potrebbe essere sufficiente. Sicuramente, la soluzione che qui è indicata di proseguire in questa logica di tipo annuale contrasta totalmente con la necessità per l'azienda di avere certezza delle risorse per poter fare investimenti. Credo che questo sia un tema strutturale, un tema vero e una questione da porre. Lo dico anche in una logica in cui, con il recupero dell'evasione, si possa anche andare ulteriormente a limare il canone. Non è detto che si definisca per i tre anni il canone e che rimanga fermo per i tre anni. Si può anche definire una limatura anno su anno. Quando dico certezza, vuol dire avere esattamente l'entità del ricavo da canone, che può essere anche calante in un'ipotesi, non deve essere necessariamente crescente, ma neanche essere sempre uguale. Credo che questo sia un elemento estremamente importante se vogliamo fare un salto di qualità e, soprattutto, se vogliamo realmente provare a fare un cambio di marcia nella direzione degli investimenti, dell'innovazione e delle questioni che meglio di me diversi colleghi hanno prima posto in evidenza.
LUIGI D'AMBROSIO LETTIERI. Sono agevolato, in quest'intervento, dal contributo degli interventi che mi hanno preceduto, che per qualità e per ampiezza penso abbiano toccato quasi tutti i punti sui quali è necessario che la Commissione svolga una riflessione approfondita, non come esercizio retorico, ma con lo scopo di fornire ai relatori degli elementi a supporto delle attività che ancora devono completare. A loro, naturalmente, va un particolare ringraziamento, sia al collega Peluffo sia al collega Rossi. Sono fiducioso, perché negli interventi che ho ascoltato non ho sentito atteggiamenti di pregiudizio viziati da contrapposizioni politiche. Questo mi lascia sperare che la Commissione di vigilanza possa e voglia, esprimendo – auspico che si voglia fare questo tentativo – un pensiero condiviso a larga maggioranza, se non all'unanimità, almeno in parte riparare a quello squilibrio dell'architettura istituzionale che porta il Parlamento in una condizione Pag. 30 di sudditanza rispetto alle decisioni del Governo. Il Governo ci ha già imposto un tour de force particolarmente impegnativo. Collega Peluffo – mi permetterà – i tempi sono stretti per un lavoro di qualità, ma non c'è un atteggiamento di ostruzione, bensì esattamente opposto, di disponibilità a concorrere, a dare un contributo, un pensiero propositivo nei metodi e nei contenuti. E credo che questo possa ristorare l'attività che la Commissione ha svolto, anche attraverso le numerosissime audizioni, forse poco frequentate e poco partecipate per motivi attinenti alle coincidenti attività parlamentari sul territorio. Voglio esprimere massima fiducia e apprezzamento per la presidenza e per i colleghi relatori, che con diligenza hanno svolto un lavoro assolutamente importante e anche qualitativamente utile per i contributi che sono emersi. La pluralità dei soggetti che sono stati auditi, il giusto equilibrio tra quelli istituzionali e quelli rappresentativi di interessi di soggetti privati, l'ascolto necessario degli organismi sindacali e rappresentativi dei lavoratori, credo che ci abbiano offerto una fotografia abbastanza puntuale dei punti di criticità, delle aspirazioni e di quali potrebbero essere le soluzioni nell'ambito di quel parere, che, ancorché non vincolante, è un parere obbligatorio. Ove fosse un parere negativo, indubbiamente inciderebbe – immaginiamo questo – probabilmente in modo pesante sulla restante parte della procedura, ci si occuperebbe anche attraverso il sistema mediatico del perché una Commissione di vigilanza ha espresso un parere negativo. Non c'è, però, un pregiudizio di base. Condivido quanto ha detto il collega Gasparri. Non pensiamo di poter privare la Rai della sua funzione, della sua mission, tuttavia ci interroghiamo sull'opportunità che i due provvedimenti non siano arrivati contestualmente. Pone qualche perplessità il fatto che oggi esprimiamo una valutazione sullo schema e domani si procederà con la valutazione sul contratto di servizio. Sono gli stessi organismi istituzionali a esprimersi con una prosa molto elegante, molto misurata, ma anche precisa, sull'opportunità che si fosse seguita un'altra strada.
Ho ascoltato ancora una volta le parole chiave che stanno nel vocabolario di questa Commissione: merito, trasparenza, competitività, pluralità. Ne abbiamo parlato molto in attesa di un piano industriale, nella fase prodromica e di gestazione. Oggi, siamo arrivati al punto che bisogna passare dalla poesia alla prosa. Dobbiamo esprimere un parere. Detto questo, siccome il parere o è negativo o è positivo, che a sua volta può essere condizionato o con raccomandazioni, l'invito che vorrei fare ai relatori è di compiere uno sforzo. Questo ci chiede anche la difficoltà dei tempi che vive la politica. Nelle valutazioni che sono state svolte, ognuno ha fatto dei riferimenti. Sono agevolato e non ripeterò i punti chiave delle valutazioni fatte dal presidente Pitruzzella, né ricorrerò alle puntuali osservazioni fatte dalla presidente di sezione della Corte dei conti, ma c'è un elemento che desta perplessità e preoccupazione, ed è quello della genericità di alcuni passaggi, in molti articoli, che produce – dice la Corte – delle perplessità. La genericità che produce perplessità, dunque, genera dubbi e produce situazioni di contrarietà.
Allora, siamo nella condizione di poterle superare? Ritengo che un po’ di osservazioni e raccomandazioni energiche, robuste e dettagliate possano riuscire a consegnare a questa Commissione il traguardo che deve raggiungere, che è quello di dare un parere autorevole propositivo misurato e condiviso. Sarà possibile? Devo dire che forse non tutti, in questa discussione generale, abbiamo assorbito nel ragionamento il contenuto delle valutazioni che sono state fatte dai soggetti auditi. Personalmente, mi sono perso almeno sei o sette report, non avendo avuto la possibilità e il privilegio di seguire, per mia incolpevole assenza, tutti i lavori delle audizioni. Questa è una discussione generale che, a beneficio del verbale – per carità – non dobbiamo rischiare di consegnare al trionfo dell'inutilità. La dobbiamo consegnare e, per quello che meritano, tutti gli interventi che prima di me sono stati proposti, all'attenzione dei relatori in primis e del presidente. Credo sia questo il metodo che dobbiamo seguire. Torno a dire non starò a ricordare tutti i Pag. 31punti su cui soprattutto Antitrust e Corte dei conti esprimono serie perplessità.
Aggiungo, se mi si permette, la necessità che quei princìpi di competitività possano essere raggiunti, tra l'altro, anche se avremo la capacità di rispettare il comparto privato. Abbiamo un'emittenza privata che svolge anche un importante servizio pubblico e che sostiene le ragioni di un'Italia fatta anche di tante piccole e medie imprese. Parlo di quell'emittenza privata che rappresenta il volano per lo sviluppo dell'economia dei territori, per la conoscenza dei brand territoriali, per la conoscenza degli idiomi e delle storie, che tra saperi e sapori producono PIL e generano occupazione. Già nell'ottobre 2007, le Commissioni riunite VII e IX della Camera avevano approvato una norma che prevedeva la vendita alle tv locali dei diritti televisivi a partire da una certa data congrua successiva alla prima messa in onda da parte delle emittenti televisive nazionali. Credo che, sulla base di quel principio, dovremmo prevedere la possibilità che nello schema di convenzione venga assorbita una disposizione che vincoli la Rai a cedere alle tv locali di pubblico interesse e a prezzi congrui, come è accaduto nel passato, una possibilità di accesso ai diritti televisivi.
L'altro è proprio il problema della raccolta pubblicitaria. Credo che anche sulla raccolta pubblicitaria si possa prevedere una specifica norma che metta in protezione, in una logica competitiva, l'attività delle emittenti private, che svolgono una funzione importante per le motivazioni che ho poc'anzi detto e che, a mio avviso, dobbiamo cercare di proteggere e tutelare con apposite previsioni nella stesura del parere. In tal senso esprimo il mio pensiero e l'auspicio che si possa proseguire nella direzione da me auspicata.
PRESIDENTE. Anch'io vorrei esprimere in generale un giudizio favorevole su come è andata la discussione di questa sera sulle varie tematiche, che sono state davvero puntuali. Spero che si riesca ad arrivare a un parere davvero forte e autorevole della Commissione e che si riesca a lavorare ancora bene e meglio insieme. Secondo me, è un punto fondamentale riuscire a consegnare un parere – lo chiedo soprattutto ai relatori di maggioranza e di minoranza – votato da tutti per portare un documento forte al Governo.
Detto questo, nel merito, velocemente, la convenzione deve senza dubbio riuscire a essere più chiara e un po’ più stringente, ma chiara in questo senso: ci sono cose che puoi fare e devi fare, perché quello è il tuo mandato, e le devi fare poi in una forma indipendente, ma devi fare quelle. La cultura deve essere quella della realizzazione degli obiettivi che il Governo con la concessione e il Parlamento danno. Deve essere chiarissimo quello che si deve fare. Dobbiamo instaurare in Rai una cultura del rispetto di quegli obiettivi, che vanno realizzati con l'indipendenza, l'unico modo in cui si può davvero realizzare quegli obiettivi, perché sono obiettivi indipendenti, che vanno realizzati con indipendenza nell'interesse collettivo di tutti gli italiani, che pagano il canone.
Serve chiarezza nel finanziamento delle risorse, perché è quello che può rendere indipendenti. Sono d'accordo con gli interventi di Verducci, in questo caso, sull'indipendenza rispetto alla sicurezza del finanziamento e al modo del finanziamento.
Condivido anche l'idea che il segnale debba essere raggiungibile al 100 e che si debba cercare di capire una modalità che non rimanga esclusivamente lì, ma sia poi a fondo. Non so se possa essere inserita qua, ma potremmo fare un richiamo al Governo su quest'aspetto per far sì che questa non resti lettera morta.
Su un altro punto non so quanto si potrà agire. La società cambia proprio velocemente. Abbiamo visto negli ultimi 5-10 anni quanto è cambiata la tecnologia. Cambia il mondo ancora prima delle leggi parlamentari, che arriveranno probabilmente sempre dopo, con una tecnologia che va velocissima, da Google a Facebook, adesso a Netflix. Ci troviamo sempre a lavorare con nuovi operatori e con nuove condizioni proprio culturali. Oggi, un ragazzo di quattordici anni che guarda il servizio pubblico è qualcosa che quasi non esiste più. Dovremmo non tanto cercare di far avvicinare i ragazzi alla Rai, quanto cercare di capire Pag. 32il loro mondo, far calare la Rai nella società futura.
Trovo una concessione ogni dieci anni un tempo un po’ lungo. Ogni cinque anni sarebbe più al passo con i tempi, ma i tempi che vediamo tutti. Concordo con gli interventi nelle scorse audizioni sul fatto che potremmo avere una congruità di tempi, cinque anni di concessione e cinque anni di contratto di servizio. Secondo me, sarebbe importante per riuscire a essere al passo con i giorni d'oggi, che vanno davvero veloci più di quello che immaginiamo, avendo poi l'Italia come riferimento, che va a una certa velocità, mentre un'altra parte di mondo sta andando velocissima. Dovremmo essere bravi a recepire ciò che succede nelle altre parti del mondo e a gestirlo qua prima che arrivi. Penso che cinque anni sia già un tempo lungo, ma già più ragionevole. Auguro buon lavoro alla Commissione e a tutti i commissari.
MAURIZIO ROSSI. Intervengo molto velocemente. È giustissimo quanto dice il presidente sul fatto che le tecnologie avanzano e ci sono soggetti continuamente nuovi. Aggiungo che loro sono totalmente senza regole, mentre tutti gli altri ce le hanno. Sul discorso della certezza delle risorse voglio solamente spiegare un concetto. Prendiamo qualsiasi tipologia di concessione: a livello europeo, per dare delle risorse, devono esserci degli impegni di investimento. In mancanza di un piano industriale e di impegni di investimento, non può essere data una certezza di risorse, perché è in antitesi con il concetto delle concessioni, quindi servirebbe proprio che ci fosse anche il piano industriale.
PRESIDENTE. È chiaro che gli obiettivi che si danno sono anche tecnologici, e di conseguenza ci saranno anche investimenti in tecnologia e in altro.
Dichiaro conclusa la seduta.
La seduta termina alle 22.15.