XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 115 di Venerdì 24 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Lainati Giorgio , Presidente ... 3 

AUDIZIONI NELL'AMBITO DELLO SCHEMA DI DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI CONCERNENTE L'AFFIDAMENTO IN CONCESSIONE DEL SERVIZIO PUBBLICO RADIOFONICO, TELEVISIVO E MULTIMEDIALE, CON L'ANNESSO SCHEMA DI CONVENZIONE (ATTO N. 399).

Audizione del viceministro dell'economia
e delle finanze, Enrico Morando.

Lainati Giorgio , Presidente ... 3 ,
Morando Enrico , viceministro dell'economia e delle finanze ... 3 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 8 ,
Margiotta Salvatore  ... 9 ,
Rossi Maurizio  ... 9 ,
Airola Alberto  ... 11 ,
Nesci Dalila (M5S)  ... 12 ,
Ciampolillo Lello  ... 12 ,
Minzolini Augusto  ... 13 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 14 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 15 ,
Morando Enrico , viceministro dell'economia e delle finanze ... 15 ,
Ciampolillo Lello  ... 18 ,
Morando Enrico , viceministro dell'economia e delle finanze ... 18 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 19 

AUDIZIONI NELL'AMBITO DELLO SCHEMA DI DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI CONCERNENTE L'AFFIDAMENTO IN CONCESSIONE DEL SERVIZIO PUBBLICO RADIOFONICO, TELEVISIVO E MULTIMEDIALE, CON L'ANNESSO SCHEMA DI CONVENZIONE (ATTO N. 399).

Audizione della direttrice generale dell'EBU-European Broadcasting Union, Ingrid Deltenre.
Lainati Giorgio , Presidente ... 19 ,
Rossi Maurizio  ... 19 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 19 ,
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'Ebu ... 19 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 22 ,
Rossi Maurizio  ... 22 ,
Airola Alberto  ... 23 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 24 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 24 ,
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'Ebu ... 24 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 26 ,
Rossi Maurizio  ... 26 ,
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'Ebu ... 26 ,
Rossi Maurizio  ... 26 ,
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'Ebu ... 27 ,
Rossi Maurizio  ... 27 ,
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'Ebu ... 27 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 27 

AUDIZIONI NELL'AMBITO DELLO SCHEMA DI DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI CONCERNENTE L'AFFIDAMENTO IN CONCESSIONE DEL SERVIZIO PUBBLICO RADIOFONICO, TELEVISIVO E MULTIMEDIALE, CON L'ANNESSO SCHEMA DI CONVENZIONE (ATTO N. 399)

Audizione del presidente della Corte dei conti, Arturo Martucci di Scarfizzi.
Lainati Giorgio , Presidente ... 27 ,
Laterza Enrica , presidente di sezione della Corte dei conti ... 28 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 33 ,
Rossi Maurizio  ... 33 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 35 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 35 ,
Ruta Roberto  ... 35 ,
Airola Alberto  ... 36 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 36 ,
Laterza Enrica , presidente di sezione della Corte dei conti ... 37 ,
Calamaro Luciano , presidente di sezione della Corte dei conti ... 37 ,
Della Ventura Piergiorgio , consigliere della Corte dei conti ... 38 ,
Calamaro Luciano , presidente di sezione della Corte dei conti ... 38 ,
Rossi Maurizio  ... 38 ,
Calamaro Luciano , presidente di sezione della Corte dei conti ... 38 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 38 ,
Calamaro Luciano , presidente di sezione della Corte dei conti ... 38 ,
Rossi Maurizio  ... 38 ,
Calamaro Luciano , presidente di sezione della Corte dei conti ... 39 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 39 ,
Rossi Maurizio  ... 39 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 39 ,
D'Amico Natale Maria Alfonso , consigliere della Corte dei conti ... 39 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 40 ,
Calamaro Luciano , presidente di sezione della Corte dei conti ... 40 ,
Ruta Roberto  ... 40 ,
Calamaro Luciano , presidente di sezione della Corte dei conti ... 41 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 41 ,
Calamaro Luciano , presidente di sezione della Corte dei conti ... 41 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 41 ,
Della Ventura Piergiorgio , consigliere della Corte dei conti ... 41 ,
Airola Alberto  ... 42 ,
Della Ventura Piergiorgio , consigliere della Corte dei conti ... 42 ,
Laterza Enrica , presidente di sezione della Corte dei conti ... 42 ,
Della Ventura Piergiorgio , consigliere della Corte dei conti ... 42 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 42 

AUDIZIONI NELL'AMBITO DELLO SCHEMA DI DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI CONCERNENTE L'AFFIDAMENTO IN CONCESSIONE DEL SERVIZIO PUBBLICO RADIOFONICO, TELEVISIVO E MULTIMEDIALE, CON L'ANNESSO SCHEMA DI CONVENZIONE (ATTO N. 399)

Audizione di rappresentanti dell'Associazione Rai BENE COMUNE – IndigneRai.
Lainati Giorgio , Presidente ... 42 ,
Laganà Riccardo , presidente dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai ... 43 ,
Grottola Emidio , coordinamento dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai ... 43 ,
Laganà Riccardo , presidente dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai ... 47 ,
Airola Alberto  ... 48 ,
Laganà Riccardo , presidente dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai ... 48 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 48 ,
Laganà Riccardo , presidente dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai ... 48 ,
Rossi Maurizio  ... 50 ,
Grottola Emidio , coordinamento dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai ... 51 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 51 ,
Rossi Maurizio  ... 51 ,
Airola Alberto  ... 51 ,
Ruta Roberto  ... 51 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 52 ,
Grottola Emidio , coordinamento dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai ... 53 ,
Laganà Riccardo , presidente dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai ... 54 ,
Grottola Emidio , coordinamento dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai ... 54 ,
Laganà Riccardo , presidente dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai ... 54 ,
Lainati Giorgio , Presidente ... 54

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
GIORGIO LAINATI

  La seduta comincia alle 9.10

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del viceministro dell'economia
e delle finanze, Enrico Morando.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399), del Viceministro dell'economia e delle finanze, Enrico Morando, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
  Do la parola al Viceministro Morando, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  ENRICO MORANDO, viceministro dell'economia e delle finanze. L'audizione che è stata richiesta al Ministero dell'economia e delle finanze si riferisce alla natura di azionista della Rai del Ministero dell'economia e delle finanze, e si riferisce anche all'articolo 13 della Convenzione al nostro esame, relativo al finanziamento del servizio pubblico, articolo 13 che va letto unitamente a quanto è previsto nell'articolo 14, relativo alla cosiddetta «contabilità separata» nel bilancio Rai tra ciò che riguarda il sistema dei costi e le relative entrate da canone per la copertura di quei costi per il servizio pubblico, e invece ciò che riguarda l'attività commerciale in senso proprio.
  Comincerei dal finanziamento del servizio pubblico, cioè dall'articolo 13, con le sue connessioni con l'articolo 14. Secondo l'articolo 13 (qui dico delle cose che richiamo solo per comodità di ragionamento) il costo delle attività relative al servizio pubblico è coperto da una quota del canone di abbonamento, «in misura tale da assicurare l'equilibrato assetto economico della gestione – così si esprime la Convenzione – degli obblighi derivanti alla Rai da leggi vigenti, dalla Convenzione e dal contratto di servizio». Sia pure immaginando che siano cifre note alla Commissione, richiamo l'andamento del gettito 2016 del canone Rai rispetto alle previsioni assestate del bilancio di previsione 2016. Le maggiori entrate versate sono pari a (questo è il dato finale, come vedremo) 301 milioni di euro. A questa cifra versata al 31/12/2016 (sottolineo «versata», perché, come vedremo, ci saranno code in positivo in cui il versamento avverrà nel 2017 o è già avvenuto nel 2017, ma riguardano sempre somme relative al 2016) si dovranno aggiungere circa (qui il dato non è ancora definitivo e quindi mi scuso con la Commissione, ma debbo dire «circa») 80 milioni Pag. 4 di euro, sempre riferite a entrate di competenza 2016, ma versate successivamente al 31/12 dello stesso anno. A questo, che possiamo definire per comodità – per quanto sia un'espressione atecnica – extragettito, si giunge partendo dalla cifra di 2 miliardi circa di entrate totali da prelievo del canone. A questa cifra bisogna sottrarre 21,7 milioni di euro, che sono somme rimborsate dalle imprese elettriche ai clienti, in applicazione della normativa vigente, relativa a cifre per canone versate ma non dovute dagli utenti, così si giunge a una cifra di entrate complessiva di 1 miliardo e 982 milioni.
  Confrontando questa cifra versata con la previsione assestata, che – ricordo – era pari a 1 miliardo e 681 milioni, si giunge alla definizione di una differenza positiva, pari a 301 milioni di euro, come dicevo prima.
  Qui mi sia consentito un rapidissimo commento: considerato che a questo che continuo a chiamare extragettito con un'espressione atecnica, come ho già detto, si giunge, come è noto, in presenza di una significativa riduzione del canone rispetto agli anni precedenti, è difficile resistere alla tentazione di mettere in evidenza quanto sia costato per il cittadino utente da un lato e per il bilancio dello Stato dall'altro il grande ritardo col quale si è proceduto alla innovazione del pagamento tramite bolletta.
  Poiché gli esempi internazionali che utilizzavano già questo metodo risalgono a un bel po’ di anni fa (almeno dieci) e poiché da almeno dieci anni in Italia si è cominciato a proporre l'adozione di questa soluzione, non è difficile calcolare quale effetto finanziario gigantesco, cioè calcolato in miliardi e non in milioni di euro, si sarebbe potuto determinare a vantaggio o dei cittadini contribuenti, in questo caso utenti, o dell'erario se l'adozione di questo metodo fosse stata fatta in tempi più rapidi.
  Vengo ora più puntualmente, una volta registrato il volume delle entrate, alla destinazione dello stesso extragettito. Poiché la legislazione vigente, come sapete, impone di ripartire l'extragettito tra diverse finalità fissate dalla legge (quindi il Governo non ha alcuna discrezionalità su questo punto), si è proceduto di conseguenza al riparto di 201 milioni (cito cifre tonde anche se naturalmente ci sono degli arrotondamenti) alla Rai, 21,7 milioni per le compensazioni operate a favore dei clienti dalle società che gestiscono il servizio elettrico per canoni versati e non dovuti, 99,389 milioni per le finalità di cui al comma 160 dell'articolo 1 della legge n. 208 del dicembre 2015, la legge di stabilità per il 2016. Questo comma 160 (lo ricordo solo per comodità di ragionamento, queste cose le sapete meglio di me e quindi non ce ne sarebbe bisogno) stabilisce che nel 2016 il 33 per cento dell'extragettito, cioè quello che residua rispetto al versamento alla Rai, sia destinato alla esenzione dal pagamento del canone per gli ultrasettantacinquenni con soglia di reddito sino a 8.000 euro, al Fondo per il pluralismo dell'informazione, il cosiddetto (anche qui con espressione atecnica) Fondo per l'editoria, comunemente noto soprattutto durante le sessioni di bilancio perché ci perdiamo le notti per stabilire quante risorse dedichiamo ai nostri amici delle televisioni locali, con dispute perenni che finiscono quasi sempre con un accordo che impieghiamo molto tempo a raggiungere. C'è poi una terza destinazione – fatevi dire dal mio punto di vista, cioè di chi si occupa del bilancio, sistematicamente sacrificata – che è il Fondo per la riduzione della pressione fiscale. Secondo la legislazione vigente questo riparto (lo ricordo perché sono in vista modificazioni di particolare rilievo, che influiranno significativamente sull'andamento delle cose nei prossimi anni) nel 2017 prenderà un profilo diverso da quello che ha preso per il 2016, perché si passerà dal 33 al 50 per cento delle risorse del cosiddetto «extragettito» e questo si ripeterà nel 2018 (sto semplicemente citando la legislazione vigente, non sto commentando: dico che è così perché così dicono le leggi), mentre nel 2019 (anche qui non sto dicendo né che sia bene, né che sia male, mi limito a dire che è così) a legislazione vigente l'extragettito andrà tutto alla Rai.
  Ovviamente deciderà il Parlamento in sede di legge di bilancio se confermare Pag. 5questa previsione oppure modificarla, però ad oggi il riparto avviene 2016, 2017, 2018, e poi dal 2019 non c'è riparto, la legislazione vigente non introduce né obbligo di riparto, né specifica in che direzione farlo, perché un riparto che non si fa non si può fare in nessuna direzione.
  Questo dal lato delle entrate e mi pare che non ci sia bisogno di commento, l'ho già fatto, insomma bisogna riconoscere che l'operazione del nuovo metodo di riscossione ha dato risultati decisamente positivi. Adesso possiamo affrontare il terreno della spesa.
  Nella fattispecie, se discutiamo di canone, la spesa è quella relativa ai costi del servizio pubblico. Credo sia interesse della Commissione avere un'indicazione precisa circa l'andamento di questi costi nel tempo (mi riferisco non ai costi della Rai, ma ai costi del servizio pubblico fissati nel bilancio della Rai) per valutare le tendenze in atto e le prospettive di equilibrio o squilibrio tra costi sopportati ed entrate da canone. È infatti necessario avere una valutazione dell'evoluzione di questi costi nel tempo.
  È noto che le risorse del canone, come da contabilità separata, non devono per legge finanziare attività dell'azienda estranee a quelle inerenti al servizio pubblico, come fissato dalla Convenzione e dal contratto di servizio.
  Guardando le risultanze dei conti separati, quindi di questa contabilità separata tra attività di tipo commerciale e attività di servizio pubblico, si vede che il costo della fornitura del servizio pubblico è passato dai 2 miliardi e 311 milioni del 2011 ai 2 miliardi e 327 del 2012, ai 2,001 miliardi del 2013, ai 2,034 del 2014 e a 1 miliardo e 960 del 2015. Negli ultimi tre anni, quindi, si è manifestata chiaramente una tendenza alla riduzione, senza che – almeno a valutazione nostra – si sia arrecato particolare o visibile pregiudizio alla qualità e alla quantità del servizio reso rispetto agli anni precedenti. Non è un giudizio assoluto sulla qualità del servizio, è semplicemente un giudizio relativo: a nostro avviso gli obblighi derivanti dal contratto di servizio si sono mantenuti sostanzialmente costanti, l'adempimento degli obblighi a sua volta è risultato sostanzialmente costante, in un regime di costi che negli ultimi tre anni è venuto significativamente riducendosi.
  Negli anni, salvo poche eccezioni (il 2013 da quanto risulta dalla contabilità separata), si è determinato uno squilibrio, cioè un costo non finanziato dal canone per la prestazione del servizio, squilibrio che è venuto riducendosi dai 287 milioni, secondo le risultanze del 2011, ai 40 milioni del 2015. Questo squilibrio, secondo le risultanze (anche qui non sto commentando, sto semplicemente dicendo i numeri), si è venuto accumulando del tempo e l'emersione in bilancio Rai del cosiddetto «credito maturato in rapporto alla prestazione del servizio pubblico» non è sistematicamente evidenziata rispetto all'equilibrio di bilancio complessivo della Rai in ragione del fatto che la normativa vigente, per la sua evidenziazione in bilancio di questo specifico credito, dipende dall'emanazione di un decreto ministeriale che non è mai stato emanato.
  Secondo i dati disponibili, però, il credito ha dimensioni significative, si è venuto accumulando nel tempo, ma è in fase di progressiva riduzione, come ho cercato di dire prima.
  In definitiva a questo proposito in questa ultima fase sullo specifico del finanziamento del servizio pubblico si è delineata una tendenza molto positiva dal lato delle entrate dedicate al finanziamento del servizio pubblico, grazie all'innovazione introdotta del cosiddetto «canone in bolletta», mentre lo sforzo di riduzione della spesa, che deve accompagnarsi, come è ovvio, alla riqualificazione e al miglioramento nelle prestazioni del servizio pubblico, sembra conseguire primi importanti risultati, ma certo non ha avuto un'evoluzione positiva clamorosa come quella che si è avuta dal lato delle entrate.
  Quanto all'articolo 14 relativamente alla contabilità separata, non c'è per la verità molto da aggiungere a ciò che è puntualmente previsto dal comma 2 di questo articolo circa la sua tenuta e i relativi controlli, perché ciò che è previsto risponde agli standard internazionali e nazionali, Pag. 6 adottati per la tenuta delle contabilità separate (è inutile che adesso faccia un richiamo puntuale a questa regolazione, visto che è quella standard e non sono previste particolari deroghe).
  Dato il rilievo che le risultanze della contabilità separata hanno per l'equilibrio tra entrate da canone e costi del servizio pubblico, e dato il divieto tassativo ribadito nel comma 3 della bozza di Convenzione, il divieto di utilizzare il canone per finanziare attività non inerenti al servizio pubblico, è importante che le autorità vigilanti, che non siamo noi, e di regolazione, conducano una puntuale verifica «micro», non eccessivamente «macro», sui criteri di imputazione dei costi all'una o all'altra contabilità. È chiaro infatti che le risultanze della contabilità separata circa l'equilibrio tra costi e entrate per l'erogazione del servizio pubblico sono molto legate a ciò che nella contabilità separata si definisce costo da erogazione di servizio pubblico, cioè trasmissione di servizio pubblico, perché, se mettessi dentro le prestazioni di servizio pubblico attività commerciali, l'equilibrio contabile verrebbe violato per l'introduzione di costi ultronei nella contabilità separata relativa al servizio. Quindi una valutazione «micro», direi tendenzialmente «trasmissione per trasmissione» usando il linguaggio popolare, programma per programma, dell'imputazione alle due contabilità è assolutamente fondamentale per verificare il rispetto del divieto e l'andamento equilibrato del rapporto tra costi e ricavi.
  Le domande che vengono in mente in proposito sono molte, non sono io che devo rispondere a quelle domande, però le autorità vigilanti devono esercitare con grande puntualità questa funzione, in maniera tale che sia sempre possibile avere la garanzia che sia rispettato il divieto di finanziare con il canone attività commerciali, e che sia garantito l'equilibrio tra costi e ricavi da canone e costi di prestazione del servizio.
  Naturalmente sono qua per rispondere alle domande, immediatamente se saprò rispondere ed eventualmente in seguito per iscritto se non avrò gli elementi per farlo. Questo per quanto riguarda l'articolo 13 e l'articolo 14, finanziamento del servizio pubblico. Spero di avere almeno fornito i dati di base per una vostra valutazione.
  Vengo ora agli aspetti che ci riguardano come azionista. Vorrei precisare prima di tutto a questo proposito le caratteristiche essenziali del nostro punto di vista: noi siamo l'azionista, non siamo il vigilante, non siamo l'autorità politica che interviene con una regolazione fissata per legge su queste materie, quindi l'ambito delle cose che dirò sarà ristretto all'esercizio dell'attività di azionista, io non mi occupo di «regolazione» come ve ne occupate voi, intesa come quella fissata dalle leggi, e nemmeno di attività puntuale di vigilanza, che è svolta da un altro Ministero, le cui competenze non ho nessuna intenzione di invadere, anche perché fatico già a fare il mio mestiere, figuratevi se voglio provare a fare il mestiere di altri!
  In primo luogo sappiamo che siamo un azionista particolare, non siamo un azionista qualsiasi che si occupa del valore del suo investimento: siamo un azionista che deve prima di tutto preoccuparsi che la società che possiede sia in grado di favorire la prestazione di un servizio di qualità, il migliore possibile. Questo è un compito che spetta anche a noi, sia pure nell'ambito dell'esercizio delle sole funzioni di azionista. In secondo luogo dobbiamo cercare di favorire da parte dell'azienda il conseguimento di obiettivi sempre più elevati di efficienza economica, perché, se non consegue obiettivi sempre migliori di efficienza economica, la società perde valore e l'azionista non può dichiararsi soddisfatto di questo esito. In terzo luogo dobbiamo preoccuparci di valorizzare pienamente un asset, che ha rilievo strategico per il Paese per diverse ragioni, sia per il rilievo civile, culturale ed economico del servizio fornito, che è rilevante, sia per il contributo che può fornire una società come questa allo sviluppo dell'industria nazionale nel campo dell'audiovisivo, che a sua volta, essendo la Rai uno dei protagonisti di questo mercato, di questa attività industriale, è un contributo particolarmente significativo, e sappiamo come questo campo connesso a quello dell'alta tecnologia e delle comunicazioni Pag. 7abbia un peso nello sviluppo dell'economia nazionale, sia naturalmente per quello che riguarda altri aspetti, legati alla gestione del risparmio.
  La Rai è una società che ha emesso titoli obbligazionari su mercati regolati, quindi è chiaro che un buon andamento nel processo di valorizzazione della società è connesso anche alla tutela del risparmio di questi investitori e al merito di credito di una società che noi possediamo, quindi è chiaro che il nostro punto di vista, se volete, è limitato, ma è questo, quindi ho cercato di precisarlo.
  In questo contesto, alla luce di questo punto di vista che ho cercato di chiarire, vorrei fare due osservazioni sui contenuti della bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri al vostro esame. La prima è questa: la quota del canone è assegnato alla Rai per coprire il costo delle attività di servizio pubblico secondo questa bozza, se noi l'abbiamo interpretata correttamente (pensiamo di sì), è assegnata annualmente, sulla base della verifica a sua volta annuale delle realizzazioni degli obiettivi di efficientamento e razionalizzazione, indicati nel contratto nazionale di servizio. Ribadisco che questo punto è legato anche allo sviluppo di attività di vigilanza, di regolazione che riguarda altri soggetti, però noi sommessamente facciamo notare che, nell'esercizio della nostra funzione di azionista per le società controllate dal Tesoro, raccomandiamo sistematicamente agli amministratori delle stesse, da noi nominati, di favorire il più possibile l'assunzione di orizzonti di medio termine nella definizione dei piani e quindi nella definizione del sistema dei costi e del sistema degli obiettivi. Perché? Perché un orizzonte più lungo di quello annuale sembra essere, nella media delle gestioni aziendali, una condizione per la buona gestione di qualsiasi azienda, della Rai come di qualsiasi altra azienda. Non siamo noi che definiamo se questo orizzonte debba essere di 5 o di 3 anni, ma, se abbiamo interpretato bene, appare comunque piuttosto limitante l'orizzonte di un solo anno. Mi si potrebbe obiettare che, se l'orizzonte per ipotesi venisse fissato a tre anni e anche le verifiche del conseguimento degli obiettivi fossero a tre anni, potrebbe determinarsi una situazione paradossale, nella quale scopriamo il terzo anno che da tre anni abbiamo una gestione che chiameremo tralignante, cioè che non ha conseguito obiettivi, non ha perseguito gli obiettivi stessi. Per noi è chiaro che gli obiettivi a fini di dare certezza e le relative entrate dovrebbero avere un orizzonte pluriennale, e che invece la verifica del progresso verso il conseguimento degli obiettivi deve assolutamente restare annuale, cioè non stiamo proponendo di ignorare la necessità di un monitoraggio attentissimo di breve periodo sul conseguimento degli obiettivi, quindi non ignoriamo la necessità di articolare l'obiettivo triennale in obiettivi annuali, in tappe, in un contesto però di certezza delle risorse, per cui a obiettivo pluriennale corrisponde quota pluriennale assegnata in via di principio, salva la verifica annuale, che può anche determinare il fatto che la quota cambi in rapporto al conseguimento più o meno rapido degli obiettivi fissati per il triennio.
  Spero di avere dato l'idea di quale sia la nostra obiezione, noi preferiremmo nettamente che in sede di Convenzione ci fosse un'articolazione: ferma la verifica annuale e la necessità di articolare gli obiettivi pluriennali in obiettivi annuali, pensiamo che sarebbe preferibile un allungamento del periodo di certezza per l'assegnazione della quota da canone, a cui corrispondano obiettivi pluriennali chiaramente definiti e articolati per anno; verifica annuale, obiettivi pluriennali.
  A noi sembra che qualsiasi ipotesi di soluzione diversa da questa potrebbe compromettere una buona gestione della società, quindi dal punto di vista dell'azionista, se non c'è una buona gestione e la società perde di valore, segnaliamo un problema. Per gli amministratori caricati della responsabilità di conseguire gli obiettivi avere certezza delle risorse necessarie per il conseguimento degli stessi negli anni sembrerebbe una condizione essenziale per conseguire effettivamente i risultati, risultati e obiettivi sui quali noi non mettiamo la nostra iniziativa e il Pag. 8nostro parere perché solo altri soggetti che devono definirli, da questa Commissione fino agli amministratori.
  Un secondo elemento su cui desidero richiamare la vostra attenzione è quello relativo all'attività Rai di tipo commerciale. Fin qui ho parlato di una questione che riguarda la gestione del servizio pubblico, ma, come si sa, la Rai fa anche un'attività commerciale. Ovviamente dal buon andamento dell'attività commerciale a sua volta dipende il valore della Rai, se io parlo da azionista devo occuparmi anche di questa seconda attività, non soltanto della prima. Dato il carattere peculiare della Rai, che certo non ci possiamo permettere di ignorare e in ogni caso non vogliamo ignorare, e la sua natura di concessionaria di servizio pubblico, il Parlamento ha provveduto con la legge (poi via via gli organismi a ciò deputati hanno fissato regolazioni anche più puntuali) a fissare regole sui limiti di affollamento pubblicitario rigorosamente presidiati dall'Agcom, dal Ministero dello sviluppo economico, però fissati nella regolazione generale, (non sto a spiegare a voi l'affollamento pubblicitario, perché immagino che sappiate spiegarlo a me molto meglio). Questi limiti vanno assolutamente ribaditi e rispettati, perché, se non lo fossero, si determinerebbe quell'incrocio tra attività di servizio pubblico e attività di società che svolge un'attività commerciale che non può essere tollerato ed è vietato in modo esplicito dalla legge. Non proponiamo quindi (sarebbe assurdo) di rimuovere o ritoccare questi limiti, cosa che dovete decidere voi, ma, assunti quei limiti, manifestiamo qualche perplessità sull'ipotesi, che a noi sembra emergere dalla Convenzione ma se sbagliamo quanto sto per dire non vale, di articolare ulteriormente questi limiti tra i «canali». Se ho capito bene, è una soluzione che ipotizza che per canale trasmissivo ci sia la determinazione dei limiti di affollamento, tetti e limitazioni che naturalmente, se vengono fissati, dovranno essere rispettati, ma a noi sembra più corretto definirli in termini complessivi per quanto riguarda il bilancio della Rai nel suo complesso e fissare un tetto alla raccolta di pubblicità per via del fatto che la Rai, a differenza delle altre emittenti, dei suoi concorrenti, ha una forte entrata da canone, che finanzia la prestazione del servizio pubblico. Naturalmente concordo pienamente con l'esigenza di fornire ogni garanzia circa i prezzi praticati e il loro carattere di prezzi di mercato, non ispirati all'obiettivo di una concorrenza sleale nei confronti dei competitori (questo è assolutamente fondamentale). Segnalo in proposito (ma immagino che abbiate informazioni anche più puntuali) che, per quello che è stato possibile almeno a me rintracciare nei dati relativi ai prezzi della pubblicità praticati nel corso di questa ultima fase dalla Rai e dai suoi concorrenti (sembrano centinaia, ma in Italia i veri concorrenti della Rai sono uno solo), facendo una comparazione, i prezzi praticati dalla Rai nel 2016 rispetto a quelli del 2015, quindi Rai su Rai, risultano aumentati dell'11,6 per cento ed essere superiori rispetto a quelli praticati dal competitore rispettivamente del 25 per cento nel 2015 e del 39 per cento nel 2016, in virtù di un andamento divergente dei due prezzi, cioè quelli Rai a crescere, quelli Mediaset, secondo la tabellina Ministro dello sviluppo economico che abbiamo potuto consultare, a scendere. Sembrerebbe in base ai dati che ho esaminato che non sia quindi ipotizzabile la presenza in questo momento di un'operazione aggressiva della Rai nei confronti dei competitori sul versante dei prezzi della pubblicità, per questa ragione a noi non sembra che ci sia la necessità di un intervento che, fermo questo andamento e fermi i limiti fissati, articoli ulteriormente e quindi irrigidisca alla gestione della Rai, attribuendo a ogni canale trasmissivo vincoli di pubblicità.
  Avrei terminato, signor presidente, ma sono qua per rispondere alle altre domande.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto, signor viceministro, per la sua relazione davvero molto approfondita e per l'analisi accurata del documento che stiamo esaminando, le sono molto grato e credo di poter interpretare anche l'opinione dei miei colleghi deputati e senatori. Do la parola ai Pag. 9colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SALVATORE MARGIOTTA. Grazie, presidente, sarò brevissimo, con pochissime domande puntuali. Anch'io mi unisco alle congratulazioni del presidente perché, come sempre peraltro nello stile del viceministro Morando, abbiamo avuto una relazione competente, attenta e dettagliata, soprattutto per chi, come me, è molto affezionato ai numeri: finalmente li abbiamo, perché venerdì scorso ho chiesto dati analoghi al direttore generale, rimanendo anche un po’ perplesso di fronte a un po’ di confusione che è stata fatta, sulla quale lei fa chiarezza, ma anche i numeri sul costo della pubblicità, un altro dato che non riuscivamo ad avere e che è invece assolutamente importante. Una battuta mi viene, perché quando lei ha parlato di un unico competitor ho pensato che il suo corregionale Cairo non sarebbe contento di questo, ma è una battuta! Ho anche apprezzato che lei abbia parlato di definizione tecnica a proposito di extragettito, perché anche su questo c'è una lunga concione, in quanto riteniamo che non sia extragettito, ma recupero dell'evasione, per cui va benissimo.
  Alla fine vorrei capire bene (anche se era già contenuto nella sua relazione, vorrei che fosse esplicitato), essendoci stato un aumento in virtù del canone Rai di 200 milioni, anche quando si passasse, come si passerà, a un abbassamento del canone, il contributo versato dal Ministero dell'economia e delle finanze a Rai sarà sempre maggiore, sia pur di meno, non di 201 milioni, di quanto prima della riforma del canone il Ministero dell'economia e delle finanze versava alla Rai. Questo mi pare un dato molto importante da capire in modo esaustivo e chiaro, anche per mettere fine a polemiche, se è come dico io, oppure alimentarle ulteriormente, se è come a volte sostiene l'azienda.
  Seconda questione. Lei ha fatto riferimento a questo tema, che solo parzialmente esula, perché anzi è tutto all'interno della riforma del canone, alla legge n. 208 del 2015. Avendo avuto negli ultimi giorni riunioni con un po’ di mondi delle TV locali, che si lamentano del fatto che il regolamento non è ancora pronto, e avendo assistito in Commissione VIII al Senato alla ricostruzione dell'iter fatto fino adesso di una trentina di passaggi tra Ministero dello sviluppo economico, Ministero dell'economia e delle finanze, DAGL, ci può dire se tra un po’ di tempo riusciremo a chiudere questa partita del regolamento? Le TV private chiedono che altrimenti i fondi siano erogati ai sensi del vecchio regolamento, persino rinunciando a questa quota in più che non è da poco, perché rientra in quei 99 milioni a cui lei ha fatto riferimento di differenza tra i 400 e i 301.
  Non posso non chiederle qualcosa sulla polemica sul compenso degli artisti, troppo attuale perché non chieda una sua opinione al riguardo. Infine, tema che esula dalla Convenzione, ci sono dei rilievi che l'ANAC il 15 settembre dello scorso anno ha sollevato a proposito di alcune assunzioni in Rai, sostenendo che debba essere il Ministero dell'economia e delle finanze a dare risposta. La Rai sostiene non solo di aver coinvolto immediatamente il Ministero dell'economia e delle finanze, ma anche di averlo sollecitato. Poiché il 15 settembre è abbastanza lontano, mi chiedevo se ci sia ancora bisogno di molti mesi per dare una propria opinione oppure se la questione posta dall'ANAC, essendo marginale, non meriti risposta.

  MAURIZIO ROSSI. Il viceministro ha fatto una bellissima relazione e ha chiarito molti punti: su alcuni ho una posizione un po’ differente dalla sua, ma sono dati estremamente interessanti. Ho preparato comunque delle domande. Come in altre occasioni, chiedo se sia possibile ricevere delle risposte, anche per iscritto, perché per comporre le relazioni è importante annotarsi veramente bene quello che dite.
  Ho molte perplessità sulla Convenzione che stiamo analizzando, sono quattro anni che parliamo di come si debba impostare la nuova concessione di servizio pubblico e tutto quello che il Governo è riuscito a partorire è questo schema di Convenzione, che non dice nulla. Lo dico prima di entrare nell'analisi di alcuni punti fondamentali. Sarebbe auspicabile che il Governo e l'azionista di Rai, qui da lei rappresentato, Pag. 10prendessero in seria considerazione l'ipotesi di procedere a una nuova proroga di sei mesi. Intanto, se le proroghe della concessione sono illegittime, lo sono anche quelle precedenti, quindi non cambia nulla a farne una in più. In tal modo potreste arrivare a proporre a questa Commissione uno schema di Convenzione ben più articolato, che rispetti le normative italiane ed europee in materia di concessione, e consenta, come è doveroso, contestualmente al rilascio della concessione, di stabilire in modo chiaro e inequivocabile diritti e obblighi del concessionario, e non demandi ad atti successivi, come il contratto di servizio, il piano news e il piano industriale.
  Desidero in proposito ricordare cosa accadde in Inghilterra, perché si parla sempre della BBC, quindi parliamone anche in questi casi. Il Royal BBC Charter, che è la nostra concessione, ha integrato contestualmente un dettagliato e corposo agreement applicativo, che sarebbe la nostra Convenzione, nonché contratto, ma sono unificati, non spacchettati in due tempi, come è normale per qualsiasi concessione al mondo, perché gli obblighi del concessionario vanno definiti il giorno in cui viene firmata la concessione, questa di 20 miliardi di euro, che non è cosa da poco. In quello vengono stabiliti in modo corposo, non vago come in questa convenzione, il ruolo, la missione, gli obblighi, l'organizzazione, il modello di finanziamento sia da canone sia da altri proventi come pubblicità e cessione di diritti, di cui la BBC tra l'altro incamera cifre veramente rilevanti.
  Le sarà noto che tutti i contratti di servizio Rai sono sempre stati applicati con anni di ritardo rispetto alle scadenze naturali, e che ad oggi è in vigore quello scaduto nel 2012, in quanto l'ultimo su cui la Commissione ha approvato un parere, non è mai stato applicato: come facciamo ad affidarci a un contratto di servizio a venire, che diciamo a sei mesi, ma, se sarà fra cinque anni, non accade assolutamente nulla, né sanzioni, né nulla? Al fine di evitare al mio Paese infrazioni europee, perché queste lo sono, ed evitare, quando si saprà in Europa come viene gestita questa convenzione in Italia, eventuali cause in sede nazionale e comunitaria per violazione dei primari princìpi sulla concorrenza, le chiedo cortesemente di rispondere alle seguenti domande. Condivide che questo schema di convenzione è del tutto carente di indicazioni essenziali, che devono accompagnare una concessione? Che non è pensabile che la nostra Commissione riscriva di fatto integralmente la convenzione, sostituendosi ai compiti del Ministero, peraltro in soli trenta giorni? Che questa convenzione non illustra in modo ampio e chiaro, come avrebbe dovuto, non essendo inserito nella legge, la motivazione per cui Rai sarebbe l'unico soggetto in grado di assolvere agli obblighi di servizio pubblico, motivazione ritenuta indispensabile dalle norme europee quando si affida una concessione senza passare da gare? Si può dare una concessione senza passare da gara, non è vietato, ma l'Europa dice che, se lo si fa, si deve motivare perché quel soggetto sia l'unico in grado di farlo, e non è mai stato scritto né nella legge, né nella convenzione, io lo aspettavo nella convenzione. Condivide che non è conforme alla normativa italiana ed europea che venga affidata una concessione, del valore di 20 miliardi di euro, senza che contestualmente vengano stabiliti in modo preciso gli obblighi, senza demandare ad atti successivi, di cui alcuni addirittura discrezionali del concessionario? Che va stabilito obbligo di separazione funzionale, come detto in Commissione anche da Agcom e come ha chiesto la Commissione europea agli Stati membri, che può voler dire una separazione netta anche societaria tra canali di servizio pubblico e canali commerciali, consentendo in modo efficace le esigenze di trasparenza postulate dall'ordinamento comunitario? Il minimo è la separazione contabile, ma l'Europa ha recentemente chiesto agli Stati membri di andare avanti, di fare la separazione funzionale. Che va stabilito in modo inequivocabile come il soggetto concessionario che riceve 20 miliardi di euro non possa mai, in alcun modo approfittare degli aiuti di Stato, trovandosi in un netto vantaggio competitivo nei confronti di tutto il resto del panorama dei media del Paese, evitando in tal modo possibili, Pag. 11 gravi distorsioni del mercato e conseguenti crisi occupazionali in tutto il resto dei media concorrenti? Questo – mi permetta, signor viceministro – non è solo Mediaset, è tutto il mondo dell'informazione, tutto il mondo delle televisioni nazionali, i giornali e tutto il resto, meno le locali che ormai non ne prendono più, quindi non c'entrano nulla in questa partita, ma c'entra tutto il mondo dell'informazione, decine di migliaia di dipendenti. Che come nel resto d'Europa l'inserimento di pubblicità nei programmi pagati con l'aiuto di Stato vada fortemente limitato o eliminato, se ci fosse una separazione funzionale, e non possa diventare invece oggetto di vendite a pacchetto multicanale? Si rammentano in proposito le norme europee in materia di aiuti di Stato al servizio pubblico, che obbligano a vigilare sull'assenza di sussidi incrociati tra attività finanziate dal canone e attività commerciali, che lei ha citato prima. Che i limiti di affollamento vadano ridefiniti in modo chiaro e inequivocabile con netta distinzione e rapportati a ogni singolo canale, mai cumulabili fra di loro? Perché vengono fatti dei giochi in quello, laddove (ne parliamo in altro momento perché abbiamo poco tempo) il valore della pubblicità non è un valore assoluto, ma è legato al numero di ascoltatori e si chiama GRP, quindi la Rai ha aumentato, ma il GRP della Rai è ancora nettamente inferiore a quello degli altri media. Che il concessionario pubblico debba mantenere sconti sui listini molto limitati, anche a seguito del limitato affollamento, e che sia inibito pagare percentuali ai centri media, che pare siano arrivati a 20 milioni di euro, partendo da 4-5, per ottenere contratti? Come ha fatto bene la Francia, inseriamolo anche qua. Che vada stabilito in convenzione il numero di canali del servizio pubblico, come avviene nel resto d'Europa, che sono in tutti gli Stati da 3 a 5, non 15, e 6 radiofonici? Che è indispensabile indicare, conoscere e inserire in convenzione il piano news, che è il vero punto primario del servizio pubblico, stabilendo anche la necessità di creare un'unica redazione e definendo i canali dedicati all'informazione? Tale processo non potrà mai avvenire per autonoma decisione del concessionario, ma deve essere indicato dal concedente. Che è necessario indicare il numero di frequenze massimo utilizzabile, con conseguente risparmio di 100 milioni di euro all'anno?
  Potrei aggiungere ancora molto, signor viceministro, ma le chiedo alla luce di quanto esposto se non ritenga la via migliore quella che le chiedevo in premessa: fate un'ulteriore proroga, valutate anche la conformità alle normative comunitarie della concessione e convenzione che intendete affidare. Grazie.

  ALBERTO AIROLA. Questa mattina audiremo anche la direttrice di EBU, Ingrid Deltenre, a cui chiederemo il parere su questo aspetto del finanziamento per la determinazione annuale del canone e quindi delle risorse che, come faceva notare giustamente anche lei, devono essere (non userei «sembrerebbe importante» ma «devono») certe.
  A prescindere dai nostri grossi dubbi (per usare un eufemismo) sulla validità di una legge che affida la governance della Rai direttamente alla nomina di un amministratore delegato dotato di ampi poteri, di cui già avevamo parlato anche con la direttrice dell'EBU, per cui la Rai ha un capo di nomina governativa che a sua volta nomina tutti i dirigenti sotto di lui, l'ulteriore sistema di controllo è economico, oltre che potrebbe verificarsi la nomina di un amministratore delegato amico del Governo, l'altro strumento è il ricatto economico. Su questo articolo 13, comma 2 lei ha cercato giustamente di dividere la verifica annuale su un piano triennale, ma il grosso problema è che la Rai in questo periodo sta affrontando una trasformazione molto profonda o deve affrontarla, perché non abbiamo ancora un piano editoriale approvato definitivamente dal consiglio di amministrazione, non abbiamo un contratto di servizio, come faceva notare il relatore di minoranza Rossi, e questo inficia molto la chiarezza nella determinazione sia delle risorse, sia dei servizi, la controparte che il servizio pubblico deve dare allo Stato quando fa servizio pubblico. Questo è un punto nodale che ritengo vada sviscerato e Pag. 12modificato, e penso che a questo punto una proroga sarebbe opportuna, perché non posso acquistare un prodotto senza un contratto che definisca cosa sia quel prodotto, questo nella vita quotidiana non avviene, quindi figuriamoci nella concessione! Vedo la stessa vaghezza nella questione della contabilità separata, perché purtroppo la Rai continua a mettersi, secondo le situazioni, il cappello di azienda pubblica o privata secondo il suo ritorno.
  Anch'io come il collega Margiotta ho dei dubbi nel chiamare extragettito quello che mi sembra antropologicamente italiano chiamare extragettito (per fare una battuta), nel senso che è un recupero di un evaso che è assolutamente un gettito, non dovrebbe essere considerato extra, e considerarlo extra porta al dubbio che questa grossa fetta per il pluralismo dell'editoria sia un po'uno scippo alla Rai per finanziare altri competitor. È vero d'altro canto (e su questo ci sarebbe da riflettere) che la Rai è obbligata a separare le attività di servizio pubblico dalle attività non di servizio pubblico (anche questo non si sa bene, non essendoci un contratto di servizio) con le contabilità separate. Cosa vuol dire, che domani posso stabilire, indipendentemente dalla vaghezza di questo testo della concessione, che la Rai dovrà fare delle cose che non sono servizio pubblico con i soldi della pubblicità, mentre sarà costretta a farlo con controllori come Agcom? Conoscete la mia opinione su Agcom, che non è solo la mia, perché abbiamo sentito parlare di quote, che riguardano il compito del servizio pubblico di finanziare certi tipi e certe categorie di prodotti, e quasi tutti i soggetti che abbiamo audìto, soprattutto i fornitori di contenuti a Rai, hanno espresso dubbi sul rispetto di queste quote, che invece sarebbero fondamentali. In una situazione normale, con un'azienda che fa servizio pubblico e si è tecnologicamente adeguata in prospettiva futura al grosso cambiamento tecnologico di fruizione (ricordiamo la telefonia e il web) restare un pochino più sul vago in un contratto di concessione, premesso che ci dovrebbe essere il contratto di servizio pubblico, potrebbe ancora andare, ma nel momento in cui la Rai sta facendo questi profondi cambiamenti diventa un problema.
  Ci sono vari aspetti che mi sembrano critici, ma sorvolo perché abbiamo poco tempo. Costi pubblicitari: la Rai costerebbe quindi agli inserzionisti l'11 per cento in più rispetto a un competitor? Anche sulla scelta di non mettere un tetto di pubblicità a ogni canale ho dei seri dubbi. Il collega Margiotta chiede dell'ANAC e anche a me sembra che come committente il Ministero dell'economia e delle finanze dovrebbe esprimersi su questo, perché è grave che con 11 nomine di dirigenti esterni (poi magari avrà modo di rispondere in maniera scritta) continuino a fare il loro lavoro.
  Sul tetto agli artisti penso che il Ministero dell'economia e delle finanze non abbia molto da esprimersi, però rientra anche questo in una visione di corretta collocazione sul mercato di un soggetto che un giorno si mette il cappello da azienda pubblica e quello dopo no, giustificando così anche dei comportamenti.
  Un'ultima domanda sulle penali: «gravi e reiterate inosservanze degli obblighi derivanti dalla presente convenzione – la decadenza all'articolo 16 – può decadere l'affidamento del servizio pubblico radiofonico e televisivo alla Rai». Mi sembra che, non citando il contratto di servizio e limitandosi a questo, su questo punto, essendo molto generiche le «gravi e reiterate inosservanze degli obblighi», si possa usare una leva di ricatto nei confronti del servizio pubblico, che dovrebbe essere più indipendente possibile.

  DALILA NESCI. Siccome più volte questa mattina ha parlato di programmazione e dell'importanza della pianificazione per quello che c'è dietro il progetto aziendale e culturale della Rai, poiché la nomina del direttore generale è in scadenza l'anno prossimo, state già pianificando il rinnovo del direttore generale? Ci vuole anticipare qualcosa?

  LELLO CIAMPOLILLO. Anch'io sarò abbastanza rapido. Il Governo, come ben sappiamo, ha portato il canone sulla bolletta elettrica, quindi vorrei conoscerne il risultato Pag. 13 sotto il punto di vista di come vengano spesi questi soldi dei cittadini, visto che vengono richiesti in questo modo.
  Come ho avuto già modo di evidenziare in altre audizioni, Rai Way comincia ad acquistare tralicci dalle società private, quindi vorrei sapere se lei abbia avuto modo di verificare questa situazione, perché quando i soldi sono pubblici e vanno nelle società private sono fuori controllo. Rai Way ha acquisito una intera società al sud, che possiede 30 tralicci, ma ha acquisito l'intero capitale, quindi anche i dipendenti, a fronte di una spesa di circa 8,5 milioni di euro. Vogliamo capire come si giustifichino questi acquisti, visto che le società vengono acquisite interamente, anche nell'ottica del contenimento dei costi, perché si tratta di una spesa che va a gravare sui cittadini che devono pagare il canone e sopportare che in una televisione come la Rai che fa servizio pubblico si debba parlare delle donne dell'est, dei pacchi, e che ora si comprino delle società private, magari anche per risolvere la situazione di qualche imprenditore. Vogliamo sapere: i soldi pubblici quando vanno nelle S.p.A. non sono più pubblici? C'è un controllo o si possono spendere come si vuole? Non ci si venga a dire che si tratta di operazioni strategiche, perché per i cittadini può essere strategico anche fare una TAC in tempi utili, senza dover ricorrere alla sanità privata. Noi facciamo pagare un canone per discutere delle ragazze dell'est e per il gioco dei pacchi, non ci sono soldi per i servizi pubblici essenziali, però ci sono per comprare le antenne dei privati. Volevo sapere se lei abbia avuto modo di seguire in particolare questo acquisto di Rai Way.
  Sullo schema di convenzione, all'articolo 7, comma 1, come lei ben sa è previsto che la Rai possa diventare operatore di rete conto terzi, laddove si dice che «il Ministero assegnerà le frequenze necessarie al fine di consentire la diffusione dei contenuti di fornitori in ambito nazionale e locale», quindi diventerà anche operatore di rete. Quante frequenze verranno assegnate? Oggi ce ne sono già troppe secondo noi, perché Rai Way utilizza dalle 5 alle 6 frequenze, quindi 5 o 6 mux che sono eccessivi.
  Un'ultima domanda sul futuro della radio digitale. Il DAB, che è il futuro della radio digitale, potrebbe essere molto utile a Rai soprattutto se parliamo di un servizio che ci riguarda molto da vicino, Radio Parlamento. Come lei ben sa, infatti, Radio Parlamento oggi costa alla Rai circa 5 milioni di euro l'anno ma non riesce a garantire la copertura ai cittadini, anche perché è stato impedito dalla normativa di estendere la copertura, tanto che per questo motivo il Governo ha assegnato a Radio Radicale i lavori parlamentari per 10 milioni di euro. Utilizzando il DAB si potrebbe coprire facilmente tutta la nazione, far sì che Radio Parlamento possa effettuare davvero il servizio per cui è nata, mentre oggi ha le mani legate. Abbiamo scoperto che, a seguito di una delibera dell'Agcom, la n. 664/09, nel 2009 si è deciso di bloccare la sperimentazione del DAB, quindi oggi un consorzio di emittenti nelle zone dove non sono state assegnate le frequenze per il DAB non può chiedere più la sperimentazione, l'ha potuta richiedere nel 2009 solo chi c'era all'epoca, quindi entro trenta giorni da quella data chi aveva già chiesto la sperimentazione poteva chiedere la proroga. Il meccanismo di questa delibera dell'Agcom di fatto è servito a blindare il DAB, che non serve evidentemente a soggetti grossi e si è deciso con una delibera di evitare che si potesse espandere, quindi nessun cittadino italiano sarà interessato a comprare ricevitori DAB, che oggi fanno solo i soliti noti, ecco perché il DAB non è esploso e non può neanche essere utilizzato dalla Rai, perché è un servizio che non interessa a nessuno, esiste, ma deve essere fatto solo dai soliti noti che sono riusciti ad avere l'autorizzazione.

  AUGUSTO MINZOLINI. Intendo soffermarmi su due aspetti. Come avevo già detto al Consiglio di amministrazione, al presidente e al direttore generale della Rai, trovo singolare questa idea che la concessione venga data prima del contratto di servizio, del piano industriale, del piano delle news, perché sembra quasi che ci sia una sorta di diritto divino, perché non dico Pag. 14quello che propongo al mio interlocutore e faccio dopo questi piani, che sono esattamente la forma con cui voglio esaudire la concessione, sembra quasi che la Rai lo abbia per diritto divino. Mi sembra un elemento sbagliato di logica basilare, che oltretutto, indipendentemente dagli altri soggetti che sono sul mercato, favorisce la Rai, cioè non c'è quella competizione, quella concorrenza che porterebbe ad avere una maggiore capacità nella proposta e ad essere più efficace.
  Sono d'accordo su tutto, però c'è un problema di fondo che sta venendo fuori: non staremmo qui a parlare, se non ci fosse la Rai, che ha questo gruppo mastodontico con 14-15 canali (forse anche di più), con 3 reti e con tutto il resto, allora è chiaro che su una cosa del genere, che oltretutto interviene sui temi del mercato e delle risorse, uno si debba chiedere se non valga la pena ragionare, per aumentare il mercato e quindi anche il tipo di offerta, sulla possibile privatizzazione di una parte di essa, il secondo e il terzo canale. Da notizie di stampa che non so se siano vere ho appreso che addirittura il direttore generale della Rai sarebbe venuto da Padoan per proporgli un'ipotesi simile o comunque un'ipotesi di privatizzazione. Dico questo perché spesso, quando facciamo questi discorsi, diventano pesanti o forieri di polemiche soprattutto per le dimensioni di questa azienda, se non fosse così e fosse ad esempio un canale che fa servizio pubblico e si basa soltanto sul canone, nessuno avrebbe nulla da dire. In più, in un momento di difficoltà del mercato dell'informazione, è chiaro che una cosa del genere libererebbe maggiori risorse e favorirebbe un maggior pluralismo, perché non dimentichiamoci che andiamo avanti in una situazione quasi di assistenza per alcune testate proprio perché il mercato non lo permette più. Volevo chiederti una riflessione su questo punto.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Ringrazio anch'io il viceministro Morando che, come hanno ricordato anche altri colleghi, è stato molto puntuale nella sua comunicazione, peraltro questa Commissione conosce la puntualità nella comunicazione e nelle risposte del viceministro Morando che abbiamo già audito in altra occasione.
  I cultori della materia, cioè quanti seguono lo streaming e se c'è qualcuno che ha anche la pazienza di andare a leggersi i resoconti, avranno notato che anche oggi c'è stata una reiterazione di argomentazioni da parte del relatore, del senatore Rossi, io anche questa volta non riprendo cose che mi è capitato di dire, anche perché altrimenti ogni audizione diventa semplicemente la riproposizione di argomenti che sono conosciuti. Visto che oggi è stata riformulata una proposta, che avevamo ricevuto anche con una missiva del Presidente Gasparri, di un'ulteriore proroga di sei mesi della concessione, mi è già capitato di dire che non sono d'accordo, ma segnalo semplicemente che non risolve una questione rispetto al coinvolgimento della Commissione, perché è previsto nella norma che la Commissione abbia un mese di tempo per il proprio parere, quindi da questo punto di vista non cambia nulla. Forse è utile guardare ai precedenti, visti gli argomenti utilizzati, perché, se si va a guardare gli altri rinnovi della concessione, si ha un quadro più preciso del combinato disposto tra l'atto concessorio, lo schema di convenzione e poi il contratto di servizio. Se guardiamo i precedenti, ci rendiamo conto che stiamo seguendo una procedura che ha un fondamento, si sta facendo un lavoro utile e abbiamo il tempo per poterlo completare in maniera utile.
  Il viceministro Morando ci ha dato una serie di elementi utili alla nostra discussione. Il primo, che è stato richiamato, sulla vicenda del canone in bolletta, che è stata oggetto anche di molte discussioni in questa Commissione. Abbiamo dei punti fermi: era un'operazione particolarmente complicata, anche dal punto di vista tecnico, ed è stata completata con i richiamati risultati, peraltro abbiamo ricevuto anche una lettera dell'Autorità per l'energia che segnala come tutta questa procedura con il coinvolgimento di tutti gli operatori sia stata fatta in maniera molto positiva. Ha il risultato in termini economici di «extragettito» che è stato richiamato, a fronte Pag. 15anche di una riduzione del canone, che è stato portato a 90 euro. Questi sono i tre elementi di una scelta che è stata a lungo messa in discussione come una scelta complicata, che non avrebbe avuto risultati, questo a consuntivo è il risultato di questa operazione.
  Il secondo dato fornito dal viceministro, anch'esso di particolare rilievo, è in riferimento ai costi del servizio pubblico, con il dato dal 2011 al 2015, dove c'è una tendenza alla riduzione anno dopo anno del costo, a fronte (a loro giudizio senza riduzione di qualità, a quanto più volte ribadito dai vertici Rai) dei risultati anche in termini di ascolto, quindi è possibile fare efficienza all'interno della Rai.
  C'è invece una questione, sempre sul versante della contabilizzazione dei costi e della contabilità separata, che mi sembra di utilità per il lavoro sul nostro parere, nel senso che il viceministro Morando indicava la necessità di una verifica più puntuale anche in termini «micro» (ha usato questo aggettivo), non soltanto «macro» sui criteri di imputazione dei costi relativi alla contabilità separata. A me questo sembra un elemento rilevante, è stato sollevato anche dall'Agcom, cioè avere un maggiore dettaglio in termini di contabilità separata per poter svolgere al meglio il ruolo di vigilanza con la pluralità dei soggetti che sono titolari del ruolo di vigilanza. Un'altra questione emersa nella comunicazione del viceministro Morando, collegata ad altre audizioni che abbiamo svolto (Agcom, vertici Rai, sindacati), riguarda l'elemento della certezza delle risorse, declinato su un arco temporale della quantificazione del canone. Il viceministro dice che, se il canone è fissato su base pluriennale con la verifica annuale, ciò anche dal punto di vista dell'azionista garantisce maggiore certezza e mi sembra un dato interessante per il nostro lavoro.
  Due ultime considerazioni rapidissime. Una è il quesito in termini interpretativi della bozza di convenzione per quanto riguarda i limiti di affollamento quantificati su canali trasmissivi, questione da verificare nel dettaglio, e poi la discussione sollevata più volte sul rischio dumping da parte della Rai sulla pubblicità. Mi sembra che i dati riferiti, conteggiando i listini Rai 2015-2016 e il raffronto con Mediaset, diano un punto fermo, non so se poi sia arrivato anche il conteggio a cui faceva riferimento il direttore generale, e, se arriva anche quello, avremo nel paniere tutti i dati per dare una risposta su questo tema.

  PRESIDENTE. Signor viceministro, lei ha avuto molte e articolate domande, quindi a lei la parola.

  ENRICO MORANDO, viceministro dell'economia e delle finanze. Grazie, signor presidente. Come ho tenuto a precisare all'inizio, ho accettato molto di buon grado la proposta di questa audizione con l'obiettivo di occuparmi in questa sede di ciò di cui ci possiamo occupare, cioè il finanziamento, l'articolo 13 della bozza di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, connesso con l'articolo 14, le contabilità separate, e più in generale le norme contenute nella bozza di decreto che avessero potenzialmente la capacità di incidere sul «valore» della società, assumendo il punto di vista dell'azionista proprietario. Insisto con i colleghi e non pretendo che siano d'accordo con me su quello che dico nel merito, ma spero che possano essere d'accordo con me sul fatto che non avrebbe senso se adesso mi diffondessi su attività di regolazione del servizio pubblico che spettano al Parlamento per un verso, cioè a questa Commissione in particolare, e al Ministero dello sviluppo economico per un altro, perché farei un mestiere che non è mio, già fatico a fare il mio, non intendo provare a fare quello degli altri. Risponderò quindi alle domande solo per la parte che riguarda le funzioni del mio Ministero, perché ho opinioni personali su molte cose che avete detto, ma le mie opinioni personali formulate in questa sede sarebbero un fuor d'opera veramente inaccettabile. Per questa ragione mi limito a dire le cose che a me paiono risposte (poi possono essere ovviamente condivise o meno) rispetto a quella parte delle domande che si riferisce alle competenze del mio Ministero, a partire dalla domanda molto rilevante posta Pag. 16all'inizio dal senatore Margiotta, cioè: stiamo andando verso la strutturalità del versamento della quota del canone?
  La risposta è che (accolgo l'osservazione che mi è stata fatta, per cui d'ora innanzi per pronunciare il concetto di «extragettito» impiegherò una frase di trenta secondi) la differenza tra le appostazioni di bilancio nell'assestamento del bilancio di previsione 2016 e le entrate da canone effettivamente versate (come vedete, ci vogliono trenta secondi per dire correttamente questo concetto) è stata da me puntualmente quantificata. Il senatore Margiotta chiedeva se sia stata assegnata secondo quello che prevede la legge di stabilità del 2015 per il 2016: sì, l'assegnazione è avvenuta, quindi le cifre che vi ho ricordato e che adesso non riprendo perché sarebbe del tutto inutile (un terzo, due terzi) sono quelle fissate, vi ho detto che nel 2017 sarà 50 e 50, così come per il 2018, mentre nel 2019 questa differenza tra le entrate assestate nel bilancio di previsione e il versato sarà interamente assegnata alla Rai, a meno che la legislazione non cambi, l'occasione in linea teorica potrebbe essere la legge di bilancio (non sto suggerendo di farlo, sto semplicemente dicendo quello che è vero sul piano tecnico). A meno che il Parlamento non decida diversamente con legge di bilancio, nel 2019 l'assegnazione di queste risorse da differenza tra le due citate appostazioni si esaurirà, quindi l'intera differenza sarà versata alla Rai, secondo le quote che saranno fissate in base al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui stiamo parlando.
  La materiale assegnazione alle tre finalità di cui al comma 160 della legge di stabilità, perché lì c'è il cosiddetto «Fondo per l'editoria» (mal definito ma ci intendiamo): per quanto riguarda noi, l'assegnazione delle risorse è avvenuta, poi adesso, se il senatore puntualmente mi chiede se abbiamo posto la firma sull'attuazione di quella assegnazione, francamente mi devo informare. Immagino che il nuovo regolamento sia affidato alle cure prevalenti del Ministero dello sviluppo economico, ma, se invece siamo noi gli inadempienti, lo verificherò immediatamente e vi garantisco che la prossima settimana vi darò una risposta puntuale sullo stato delle cose, perché, se siamo inadempienti noi, mi prendo la responsabilità e rispondo, se l'inadempienza è di un altro Ministero, mi prendo la responsabilità per la mia parte, come Governo, ma non posso rispondere dell'immediata esecuzione. Se dipende da noi, vi garantisco che la prossima settimana lo facciamo, ma non sono certo che dipenda soltanto da noi e che la Presidenza del Consiglio e il Ministero dello sviluppo economico non siano più coinvolti di quanto siamo noi. Comunque è vero che, visto che le somme sono state assegnate con decreto, non si è incerti sul «se», si è incerti sia sulla dimensione, sia sul fatto che c'è stata l'assegnazione al Fondo ex comma 160 della legge di bilancio, quindi i soldi sono quelli e sono stati assegnati, ora il regolamento deve sulle tre finalità distribuire il fondo, e bisogna farlo molto rapidamente.
  Per quanto riguarda i rilievi ANAC sulle procedure di assunzione, sinceramente ignoravo il tema, mi è stato proposto e le garantisco, signor presidente, che, se è vero anche qui che siamo noi del MEF inadempienti e non abbiamo risposto alle sollecitazioni, le manderò una lettera per chiarire se questo sia vero oppure no, perché non posso dare per scontato che sia fondata questa valutazione, visto che ignoro materialmente il tema (uno non può sapere tutto, ho conosciuto attraverso la lettura della storia solo uno che si chiamava Leonardo da Vinci che sapeva tutto, tutti gli altri hanno conoscenze limitate e in ogni caso ho conoscenze limitate e non pretendo di spiegare che non è così). La prossima settimana sicuramente sarò in grado di provvedere sul punto.
  Per quanto riguarda invece la questione compenso degli artisti, questa ha una qualche attinenza al tema del ruolo dell'azionista, perché è chiaro che una soluzione o l'altra può influire sul valore dell'azienda. Su questo punto sarebbe importante addivenire a una decisione, in maniera da superare questa situazione di incertezza. Se il Parlamento conferma, come immagino voglia fare, la decisione circa l'introduzione del limite erga omnes, bisogna passare all'attuazione Pag. 17 del limite erga omnes, a meno che non ci sia un'iniziativa esplicita non in chiave di interpretazione, ma in chiave di determinazione. Questo è un classico caso di indirizzo politico del Parlamento verso il Governo, che poi il Governo recepisce nell'esercizio della sua titolarità di azionista e di vigilante, a seconda dei diversi Ministeri. Non mi sembra una decisione sottoponibile a valutazioni di tipo amministrativo, è la classica decisione discrezionale che compete alla politica, se mi è consentito dirlo così in modo rapido, quindi si decida. È evidente che, in particolare su quella componente che la contabilità separata chiama «attività commerciale», la determinazione di un compenso con quel limite può avere conseguenze, ma, se c'è un atto di indirizzo preciso, vincolante, forte, e non più il balletto interpretativo che c'è stato in passato, bisogna rispettarlo, e questa eventuale difficoltà dovrà essere affrontata.
  Questo mi porta a riprendere un punto che riguarda prospettive ulteriori di riarticolazione della società Rai secondo diverse ipotesi di sua organizzazione (ne hanno parlato i senatori Minzolini e Rossi e il senatore Airola ha ripreso questa tematica). Ho detto e torno a sottolineare che a mio parere andrebbe approfondito finalmente, in modo da non suscitare più polemiche né in una direzione, né nell'altra, prendendo atto della separazione contabile, il tema dell'imputazione micro dei costi all'una e all'altra contabilità. Perché questo è rilevante? Perché qualsiasi ipotesi, che non compete a me adesso avvalorare, di sviluppo nell'assetto Rai tendente a distinguere la dimensione dell'attività di servizio pubblico come fissata dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ricettivo della convenzione, rispetto all'attività commerciale si potrà fare – e non farei il mio mestiere se dicessi che bisogna o non bisogna farla, non lo so. Quello che so di sicuro è che l'imputazione dei costi e di conseguenza delle entrate non è compiutamente realizzata se non sulla base di un'analisi micro, perché – attenzione – c'è divieto (divieto previsto dalla regolazione attuale, non c'è bisogno di fare un'altra regolazione) di usare le risorse ricavate dall'attività commerciale di vendita di spazi pubblicitari per finanziare una cosa, ma anche il reciproco è vero, cioè c'è divieto di usare le entrate da canone per attività di tipo commerciale. Se c'è questo divieto, è chiaro che imputare correttamente i costi all'una e all'altra gestione contabile è assolutamente fondamentale. Da lì in poi interverrà ancora una volta la decisione politica, perché la separazione contabile (del tutto ipotetica, che non sto sponsorizzando in alcun modo o dichiarando utile, perché non voglio esprimere qui un'opinione) con valutazione micro delle imputazioni è il presupposto fondamentale per poter procedere a eventuali scelte, se il decisore riterrà di doverle prendere, e per decisori intendo tutti quelli che sono coinvolti nelle attività di gestione, per la piccolissima parte che ci compete anche noi come Ministero dell'economia e delle finanze. Se mi aveste fatto puntuali domande di verifica della imputazione di questa o quella specifica attività trasmissiva, avrei dovuto dirvi che devo tornare al Ministero e fare una valutazione, perché sebbene – vi garantisco – ieri abbia cercato di acquisire informazioni per linee generalissime, non ho potuto ottenere risposte puntuali, quindi di questa imputazione ho parlato solo in termini generali per questa ragione. Facciamo la domanda tipo: i cosiddetti talk show (forse l'espressione è scorretta, non sono un esperto di Rai e di telecomunicazioni, non ho competenza specifica) che certamente sono anche inseribili dentro l'attività di tipo informativo, sono veramente informazione, sono solo servizio pubblico? Mi sembrano domande molto importanti. L'imputazione dei costi dei talk show è interamente nella contabilità servizio pubblico o in una certa misura è anche attività che chiamerò (immagino che sia del tutto sbagliato) intrattenimento, spettacolo si sarebbe detto una volta (sono vecchio, quindi non so se si dica ancora)? Questo tipo di approfondimento «micro», se dovessi occuparmi di attività di indirizzo su questa vicenda, lo farei, perché è la base per far finire una polemica sistematica, che c'è stata anche questa mattina, sul fatto che con i soldi dell'una finanziamo l'attività Pag. 18dell'altra e viceversa, tutta ciò si chiude secondo me in modo positivo e consensuale, poi uno può dire «a me piace o non piace questa soluzione, bisogna cambiarla in un'altra direzione», ma la base informativa per decidere sarebbe puntuale, precisa, e forse per ora non c'è.
  Per una ragione che rientra in quello che ho detto in premessa non approfondisco il tema dell'eventuale proroga della convenzione, sinceramente non compete a me discutere di questo aspetto. Per quanto riguarda invece la necessità di chiudere questa diatriba, per cui, come dice Airola (ripeto solo la sua frase), un giorno ci si mette il cappello da azienda pubblica, l'altro giorno il cappello da azienda privata riferendosi alla Rai, quella operazione sulla corretta imputazione alle due contabilità crea la premessa, se il decisore pubblico vuole, per una distinzione che faccia cessare anche questa ipotetica confusione, di cui lei ha parlato.
  Sulle nomine per il futuro non dico niente, perché non so niente e quindi non sono in grado di dire altro, per fortuna dell'Italia non le devo fare io, quindi non sono in grado di rispondere alla sua domanda, ma immagino che almeno per qualche tempo nemmeno altri lo siano in modo puntuale.
  Per quanto riguarda l'attività di Rai Way, l'acquisto di torri, lei mi ha chiesto se lo sapessi e la risposta è no, non lo so, non ne ho la più pallida idea. Dubito però che sia compito del Ministero dell'economia realizzare interventi così puntuali sulla gestione di una società delle reti, valutare l'opportunità o meno di investire risorse di quella società per l'acquisizione di un traliccio. Sinceramente ritengo che in questo Paese la politica si occupi di troppe cose e sia troppo invadente, se adesso arriviamo al punto di decidere come politica se vada bene o male l'acquisto di un traliccio da parte di una società pubblica, penso che facciamo una cosa che non è nell'interesse del sistema. Il giudizio si deve dare sulla correttezza di quella scelta in rapporto agli obiettivi che quella società deve conseguire, facendo in modo che le trasmissioni raggiungano tutti, senza eccezioni, utilizzando le tecnologie disponibili, perché così dice la convenzione, dentro la quale c'è un ruolo anche per quella società. Più di così non sono in grado di dire.

  LELLO CIAMPOLILLO. Mi permetto di dire che è stata acquisita un'intera società...

  ENRICO MORANDO, viceministro dell'economia e delle finanze. Devo immaginare che non l'abbiano comperata per esercitare un'attività di mero investimento finanziario, ma che l'abbiano comperata al fine di esercitare meglio la loro funzione. Non sono in grado di dire che non è così e immagino che nemmeno lei sia in grado di dirlo, ma bisogna prima fare questa verifica, che non ho fatto io, ma mi pare non abbia fatto nemmeno lei.
  Come ha funzionato il canone in bolletta è tutta la prima parte della mia introduzione, ci sono i numeri e più di quello che ho detto non sono in grado di dire. Insisto sul fatto che in base all'andamento delle cose, cioè a quella differenza tra previsioni assestate ed entrate versate, se fosse stata adottata qualche anno prima questa soluzione, avremmo avuto i cittadini più contenti, perché avrebbero pagato di meno, e una quantità enorme di risorse a disposizione di una ristrutturazione dell'intervento pubblico in questo campo molto importante.
  Naturalmente è chiaro che convenzione e contratto di servizio sono intimamente connessi: in questo momento il meccanismo che si è adottato è questo, ne prendo atto, la convenzione sarà seguita dalla conclusione di un contratto di servizio attuativo della convenzione, questo è quello che è stato adottato sulla base di una scelta che è del Governo nel suo complesso, della quale devo prendere atto.
  Per gestire osservazioni sullo specifico della convenzione conclusa e oggi oggetto degli articoli del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, mi sono occupato dell'articolo 13 perché quella è la nostra competenza, il finanziamento del servizio pubblico, ho preso atto su questo punto della larga condivisione della preoccupazione Pag. 19 che ho manifestato circa la scansione temporale annuale sia nelle entrate, sia nella verifica, spero che la Commissione nell'esercizio della sua attività di consulenza verso il Governo sul contenuto del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri vorrà segnalare questo come un punto che andrebbe corretto anche in modo vistoso, e mi sembra che siate tutti d'accordo su questo. Ho preso atto che non c'è accordo unanime sull'altra osservazione, che considero comunque fondamentale, sul rischio che la scansione per canale trasmissivo dei limiti pubblicitari determini un irrigidimento complessivo nella gestione dell'azienda piuttosto rilevante, naturalmente se il decisore politico così stabilirà che resti, il Ministero dell'economia non potrà che prenderne atto. Come azionista avevamo la responsabilità di segnalare che secondo noi questo irrigidimento potrebbe avere qualche effetto sul valore dell'azienda.
  Sulle altre osservazioni ancora più puntuali che sono state fatte, signor presidente, non sono in grado di rispondere ora, ma in settimana le manderò una risposta più puntuale. Naturalmente a molte domande che mi sono state fatte anche per iscritto (ringrazio il senatore Rossi per averlo fatto) risponderò che non sono questioni di competenza del Ministero dell'economia e delle finanze, quindi rinvierò ad altri dicasteri di questo Governo, di cui mi onoro di far parte.

  PRESIDENTE. Le sono molto grato a nome di tutti i senatori e deputati che l'hanno ascoltata con piacere e le auguro buona giornata.

Audizione della direttrice generale dell'EBU-European Broadcasting Union, Ingrid Deltenre.

  PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, come sapete, avremmo dovuto audire il presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, Giovanni Pitruzzella, ma ha comunicato che è ammalato, e quindi non è potuto intervenire. Ha mandato una nota scritta, che presumo sia già stata distribuita.
  L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399), della direttrice generale dell'EBU-European Broadcasting Union, Ingrid Deltenre, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  È inoltre presente il dottor Giacomo Mazzone, capo delle relazioni istituzionali, che ringrazio per la sua presenza.
  Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti. Do la parola al senatore Rossi che interviene sull'ordine dei lavori.

  MAURIZIO ROSSI. Ritenendo l'audizione del presidente Pitruzzella sicuramente una delle più importanti in assoluto su questa convenzione, richiedo di valutare se non fare un'eccezione e chiedere se potrà venire, eventualmente, martedì prossimo.

  PRESIDENTE. Magari in Ufficio di presidenza, senatore, potremo decidere in merito.
  Abbiamo, dunque, il piacere di avere con noi, per un'importante audizione anch'essa, la direttrice generale dell'EBU, M.me Deltenre, che saluto e alla quale do il benvenuto a nome di tutti noi. Siccome abbiamo già, gentile signora, avuto il piacere di averla ospite, lei non si sentirà per la prima volta qui.

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'Ebu. Ringrazio il presidente Fico, che non è potuto essere presente, i relatori Peluffo e Rossi e i componenti della Commissione che hanno richiesto ancora una volta all'UER di venire in audizione. Normalmente si accompagna la relazione con una presentazione PowerPoint: oggi mi limiterò a leggere un testo. Pag. 20
  Per noi è un grande onore essere qui e anche una grande responsabilità, perché si tratta della Rai, istituzione culturale e democratica indispensabile per la società italiana. Ho letto con attenzione i documenti delle audizioni precedenti e le domande del senatore Rossi, che ho ricevuto solo ieri mattina, ma era troppo tardi per potervi rispondere oggi, a meno di non intrattenervi al di là dei tempi stabiliti. A quelle a cui non potrò rispondere oggi, risponderemo dopo per iscritto, se siete d'accordo. Da queste letture, però, mi sono fatta un'idea di quali siano le preoccupazioni principali della Commissione.
  Non vi spiegherò di nuovo che cos'è l'UER, perché non è la prima volta che sono qui, perciò vi ricordo solo che è un'associazione di media del servizio pubblico, ma anche commerciali. Per esempio, RTL, la TF1, Canal+, ITV, Channel One in Russia sono media commerciali. RTL, Canal+, ITV, TV2 e TV4 in Svezia e Norvegia, sono non solo servizi pubblici. Devo dire che la Rai è sicuramente un membro molto importante, oltre che fondatore. La Rai è molto attiva nell'EBU, ma non ho parlato né con Campo Dall'Orto, né con Monica Maggioni, né con nessun altro della Rai. Non ho ricevuto alcuna istruzione. Se oggi parlo qui, lo faccio sulla base della mia esperienza negli altri Paesi. Sono indipendente, parlo in nome dell'UER e non della Rai. Questo è molto importante e lo voglio dire qui: quando ho ricevuto le domande del senatore Rossi, non ero sicura che fosse chiaro. Per questa ragione, ho voluto chiarirlo adesso.
  Cominciamo a parlare della concessione. Ricordo che lo strumento della concessione non esiste in tutti i Paesi, ma solo in quelli in cui la radio è nata come iniziativa privata prima di essere nazionalizzata. L'Italia, la Gran Bretagna, la Svizzera, paesi in cui Marconi ha lanciato la sua invenzione a fini commerciali, sono quelli in cui lo Stato ha nazionalizzato un soggetto privato. Questo spiega perché alcuni Paesi abbiano la concessione, una minoranza in Europa, e altri abbiano un ente pubblico nato apposta per svolgere questa funzione, che, come tale, non ha bisogno di una concessione. Pubblici o privati che siano questi soggetti, hanno in comune l'affidamento da parte dello Stato di un compito troppo delicato per restare in mani private, come sappiamo: la comunicazione ai suoi cittadini. La concessione preesiste dunque alle regole dell'Unione europea, che ne ha preso atto nel Protocollo di Amsterdam, riconoscendone la legittimità e la non violazione delle regole sugli aiuti di Stato. In aggiunta a ciò, la direttiva sugli appalti pubblici recentemente rinnovata nel 2014, ha previsto l'esplicita esclusione dei servizi audiovisivi dalla normativa europea, quindi la concessione alla Rai dal Governo italiano, così come quella alla BBC dalla regina di Inghilterra nel 2016 e quella del Portogallo alla RTP nel 2015, sono perfettamente in linea col diritto europeo e con quello italiano che ne deriva. Con questo spero di aver chiarito uno dei dubbi del senatore Rossi, cui il nostro ufficio giuridico potrà fornire tutta la documentazione necessaria, se servirà.
  Un'altra domanda del senatore Rossi chiede perché questa concessione debba essere data alla Rai e non a un altro soggetto, egualmente di diritto privato, o a una pluralità di soggetti diversi, come Mediaset o altri. La risposta è la stessa data in Gran Bretagna o in Portogallo prima che a voi. Queste domande sono sempre poste quando si parla della concessione. Vi è un solo soggetto che ha accettato una serie di vincoli collegati alla missione di servizio pubblico, ha accettato di avere una governance nominata dal Parlamento, non ha fini di lucro, le cui risorse sono limitate dal Parlamento, e accetta una serie di vincoli che nessun privato accetterebbe mai. In Portogallo, il Governo del primo Ministro Coelho, prima di rinnovare la concessione alla RTP, ha provato a offrirla ai privati, ma nessun soggetto privato si è fatto avanti. Solo un gruppo finanziario angolano ha mostrato interesse. Lo stesso è accaduto in Danimarca, dove il Governo voleva privatizzare il secondo canale, TV2: quando solo gruppi stranieri si sono fatti avanti, ha rinunciato per una questione di sovranità nazionale. Fossi in voi, vista la scalata di gruppi stranieri in corso a Mediaset, mi Pag. 21terrei stretta la Rai, pur con tutti i suoi difetti. In un mondo sempre più interconnesso e globale, ormai il servizio pubblico radio e TV è in molti Paesi l'unico soggetto rimasto in mani nazionali, come in Spagna e in Polonia.
  Adesso parliamo della concessione. In base agli standard dell'UER, questa bozza di convenzione è un buon testo, che riflette tutti i nostri princìpi e le nostre raccomandazioni. Il primo principio apprezzabile è quello di fissare una missione ampia, che copra tutti i generi di programmi, che affidi al servizio pubblico come missione primaria quella di informare i cittadini, di rappresentare le diversità culturali e di offrire programmi a tutti, alla maggioranza come alle minoranze. Il secondo principio che ritroviamo è quello di chiedere al servizio pubblico di essere imparziale, di fissare obiettivi alti per la sua programmazione e standard di qualità per la sua offerta di programmi e di informazione, e questo, in un'epoca di fake news è un elemento essenziale. Il terzo principio condivisibile è che la concessione deve essere a prova di futuro. Lo ritroviamo nell'articolo 1, comma 1, dove a TV e radio è stato aggiunto il termine «multimediale», o laddove si chiede alla futura Rai di raggiungere tutti i cittadini in maniera sempre più efficiente attraverso l'uso delle nuove tecnologie. Il quarto principio (anch'esso molto innovativo) della concessione è quello che la missione del servizio pubblico deve essere tecnologicamente neutra, cioè esplicitata attraverso tutte le piattaforme disponibili (TV, radio, multimedia). Per questo, apprezziamo molto come UER lo spirito con cui questa concessione è stata scritta, ponendo al centro i valori del servizio pubblico europeo: l'universalità, l'indipendenza, la qualità, la diversità, la responsabilità sociale, l'innovazione. Sono valori di base di un servizio pubblico. Sulla base delle considerazioni di cui sopra, mi sento di dire che questo nuovo testo di concessione è tra i migliori in circolazione in Europa, tanto da poter essere adottato come una buona base di partenza anche per altri Paesi.
  Ciò premesso, però, nel testo ci sono due cose che non raccomanderei ad altri Paesi di includere. La prima è che si dice che la Rai dovrebbe ridurre il numero di canali, così come quello delle redazioni vi ricordo che questo è un testo che durerà per dieci anni, adesso scrivete qualcosa nel testo che fra sette anni non dovrà diventare obsoleto. Penso che questo tipo di dibattito andrebbe fatto, piuttosto, in sede di discussione del contratto di servizio. Non è una questione da concessione, ma da contratto di servizio. Il mio suggerimento è di lasciar perdere, in questa sede, di discutere del numero di canali. La loro fine sarà determinata dal mercato. Al tempo in cui si parla di YouTube, di Netflix, di Google, che hanno tutti applicazioni sugli iPad, il numero di canali non è essenziale, perché sono ancora molti di più i canali su YouTube, il numero appropriato di canali sarà qualcosa su cui la Rai ragionerà se avrà ancora senso, sulla base dei costi del satellite e della distribuzione, ma veramente forse ha più senso ed è più efficace avere un canale in più solamente su Internet. Questo sviluppo si vede, per esempio, in Gran Bretagna, dove hanno messo il canale BBC 3, un canale per i giovani, solamente in internet, per dare un'idea. Sono sicura che Campo Dall'Orto, per come la pensa, sarà molto aperto a tali riflessioni. Questo è qualcosa che il mercato e anche la Rai faranno, ma sulla base di analisi di efficacia. Per questa ragione, se se ne vuole parlare, mi sembra sia il caso di inserirlo non in una concessione, ma piuttosto nel contratto di servizio.
  La seconda preoccupazione, assai più rilevante, riguarda l'idea che il budget a disposizione del servizio pubblico possa essere deciso di anno in anno. Questo è molto pericoloso. Se davvero volete, come è scritto nella concessione, che la Rai sia capace di cambiare, di innovare, allora essa, come qualsiasi altra organizzazione complessa sul mercato, ha bisogno di certezze a lungo termine. Ogni organizzazione predispone un piano triennale o quinquennale: nessuna fa una pianificazione per un solo anno. Per questa ragione, se volete avere una Rai forte, in grado di restare al passo con i tempi e fare tutte le trasformazioni necessarie rimanendo indipendente Pag. 22 dalla politica, deve esserci una sicurezza più ampia: se il contratto di servizio dura cinque anni, dovrebbe avere una visione finanziaria per lo stesso periodo.
  Queste sono per me le due cose più importanti da modificare nel testo. Questo è piuttosto la norma in Europa. Anche la BBC non sta a discutere il suo budget anno per anno con il Parlamento, il Governo o altri. Lo si fa, per esempio, in Romania, dove anno per anno il Parlamento discute il budget, del servizio pubblico che normalmente viene respinto, e con questo anche il board e il direttore generale debbono lasciare l'incarico. Questo è forse l'esempio più negativo in Europa. Occorre perciò fare tanta attenzione. Mi sembra che forse sia meglio fermarsi qui per non sforare i tempi: avrei molte altre cose da dire, sulla contabilità separata per esempio, ma è meglio lasciare spazio alle domande.

  PRESIDENTE. Ringraziamo M.me Deltenre per il suo intervento. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Cominciamo dal senatore Rossi, al quale mi permetto di ricordare, prima di dargli la parola, che M.me Deltenre ha annunciato delle risposte scritte alle sue questioni che gli saranno fornite in tempi immagino abbastanza rapidi.

  MAURIZIO ROSSI. Ringrazio M.me Deltenre. È bene avere, per me, le risposte scritte, ma non solo per me, ovviamente a disposizione di tutti i colleghi. Mi dispiace che le domande siano arrivate solo ieri.
  Parlerò solamente di due punti. Innanzitutto, ci può descrivere come nei diversi sistemi europei viene inserita la pubblicità nei canali di servizio pubblico? Uno dei punti fondamentali che preoccupa molto di questa nuova convenzione è il possibile vantaggio competitivo che il soggetto pubblico può avere con a disposizione circa 20 miliardi di budget nei dieci anni – saranno ritoccati annualmente, ma sappiamo che saranno sostanzialmente quelli – con i quali effettuare acquisti di programmi anche dai costi molto rilevanti. Cito sempre un esempio come quello più tipico: la partita della Nazionale di calcio. Sono certo che la partita della Nazionale italiana debba essere considerata servizio pubblico. Nel momento in cui, però, la Rai compra quel programma pagandolo una cifra enorme – più avanti andremo, più sarà grande, magari 10-20 milioni di euro, e naturalmente grazie al denaro pubblico è la Rai l'unico soggetto che potrà comprarlo – e ci inserisce la pubblicità, ha chiaramente un vantaggio competitivo derivante dall'aiuto di Stato. Gli altri soggetti non erano in grado di farlo. Secondo me, andrebbe totalmente vietato, da quindici minuti prima a quindici minuti dopo, in questi eventi costosissimi che solo Rai può comprare, l'inserimento di pubblicità. Addirittura, nel caso di Rai, la vendita non avviene specificamente per quella partita, ma anzi dà l'opportunità alla Sipra di vendere due spot lì dentro e di comprargliene altri 10 là, 5 qua, 20 là, creando un pacchetto intorno a quel prodotto, che diventa super-competitivo in confronto a tutto il resto del mercato. Questo, secondo me, è totalmente illegittimo e fuori dalle norme sulla concorrenza, su cui avrei voluto chiedere al presidente Pitruzzella.
  Il secondo punto, secondo me molto delicato, è quello dell'affollamento pubblicitario. Sappiamo che negli altri Paesi l'affollamento pubblicitario è molto inferiore a quello che c'è sulla Rai, che la percentuale nelle TV pubbliche in tutta Europa è molto inferiore a quella italiana. Addirittura, in Germania, dopo le otto di sera non viene inserito neanche uno spot, e non solo. In altre nazioni, le situazioni sono similari, come in Francia e altrove. Inoltre, l'utilizzo di denaro pubblico è stato oggetto, ad esempio con l'inserimento di internet nella televisione pubblica, di fortissime contestazioni. Qual è la motivazione? È sempre l'aiuto di Stato. La televisione pubblica tedesca, riceve negli anni decine di miliardi di canone, utilizza una cifra – tra l'altro, abbiamo chiesto, ma a oggi non conosciamo l'investimento che Rai sta facendo su Internet – che può essere totalmente sproporzionata rispetto a quella di qualsiasi altro soggetto di mercato, quindi ha un vantaggio competitivo e rischia di creare Pag. 23una distorsione del mercato per due ragioni. Anzitutto, se per caso pensassi di metterci la pubblicità, diventa evidente che ha speso una cifra enorme, che altri non si potrebbero permettere, e poi ci mette la pubblicità: è chiaro che riuscirà a venderla, ma ha speso denaro pubblico per realizzare quel prodotto. In secondo luogo, se anche non ci mette la pubblicità, grazie a quest'enorme investimento toglie milioni e milioni di clic a soggetti privati che erano sul mercato e fa crollare il valore del loro prodotto. Per questa ragione, mi risulta che in Germania ci sia stata una normativa stringente, chiesta dagli editori tedeschi, che vieta un forte investimento da parte della televisione pubblica tedesca proprio sul web, perché lo giudicano molto pericoloso per il prosieguo delle loro attività.
  Queste sono, per me, le due domande principali dopo che mi ha detto che avrebbe risposto alle altre per iscritto, ma le chiedo ancora due cose.
  L'EBU ha avuto, in passato, una grandissima importanza nella gestione dei diritti sportivi europei. Oggi, purtroppo, e lo dico con dispiacere – sono convinto che sarebbe giusto vedere molti prodotti in chiaro sulla televisione di Stato, per la quale il cittadino paga il canone – non ci illudiamo, il mercato non ce lo consentirà più. Mi sembra, infatti, ma lei ne sa molto di più di me, e proprio per questo glielo chiedo, che ad esempio in Inghilterra ci sia stato con la nuova convenzione un invito a diminuire fortemente l'investimento sui diritti sportivi, che portano interamente fuori budget il servizio pubblico. Secondo lei, è proprio la fine di un sistema? Che cosa fanno poi le televisioni? Comprano e ricomprano diritti dagli altri soggetti? La Rai deve andare, a questo punto, da Discovery a comprare i diritti delle Olimpiadi o a comprare i secondi diritti della Formula 1? Sinceramente, vorrei conoscere l'orientamento europeo. Se spendiamo 100 milioni, come spesi nelle Olimpiadi, per incassarne 20 di pubblicità, credo che sia il momento di dire, tanto più nella nuova convenzione: fermiamoci, non ci si può più permettere di fare investimenti del genere.

  ALBERTO AIROLA. Ringrazio la direttrice Deltenre di essere qua. È molto importante per noi avere dei riferimenti europei. Come spesso abbiamo avuto modo di sottolineare, non riteniamo che la Rai, pur essendo un'azienda di alto profilo, sia messa in condizione nel nostro contesto politico ed economico di operare con la massima libertà. Su questo testo anche a me vengono alcuni dubbi.
  Innanzitutto, vorrei chiedere se anche altrove le concessioni delineano dei punti, tra cui, come ha fatto notare anche lei giustamente, alcune questioni che si dovrebbe discutere nel contratto di servizio, in effetti senza avere un contratto di servizio recente, visto che l'ultimo è scaduto nel 2012. La Rai sta affrontando una grossa trasformazione, molto impegnativa. Anche su questo c'è il problema, che lei anche faceva notare, della pianificazione delle risorse certe. Giustamente, non c'è soltanto il rischio di dipendenza dal mondo della politica, ma anche da quello economico e finanziario. Anche dell'eventuale ricatto dello Stato, che già a nostro avviso ha fatto una pessima legge della governance sulla Rai, abbiamo avuto uno scambio di opinioni col viceministro, e anche lui vedeva una modifica in questo comma 2 dell'articolo 13, per cui si sottopone la Rai a una verifica annuale, ma su un progetto che lei vorrebbe triennale o quinquennale, però di trasformazione molto profonda: rischia di poter essere usato come un ricatto («quest'anno non hai fatto le cose che...»), ma è molto soggettiva come valutazione, non avendo piani molto chiari. Tenga presente che allo stato attuale la Rai non ci ha fornito ancora un piano editoriale confermato dal consiglio di amministrazione, quindi reale. Anche sul progetto di trasformazione non abbiamo ancora una visione completa degli obiettivi che si vuole porre. Questo per quanto riguarda le risorse certe.
  L'altro problema è la questione della contabilità separata. Abbiamo sempre avuto come difficoltà in Italia il problema della trasparenza. Per quanto riguarda la contabilità separata, di cui si è parlato in varie audizioni, tra cui l'ultima poc'anzi col viceministro dell'economia e delle finanze, Pag. 24mi domando: c'è il rischio che la Rai vada fuori dalla funzione di servizio pubblico lavorando con soldi privati? Come viene controllato questo, in generale, nelle altre TV europee? Nel contratto di servizio, ad esempio, si scrive magari che la Rai non deve fare pubblicità al gioco d'azzardo, ma questo può essere aggirato col fatto, per esempio, che con denaro raccolto con la pubblicità, che esula dai soldi del finanziamento pubblico, si facciano cose che non rispettano il contratto di servizio? Quanto alla possibilità che non abbiamo mai avuto, di avere dati sul finanziamento di prodotti fiction, film, programmi televisivi, la Rai ogni volta ci diceva che è vero che prende soldi pubblici, ma che opera in un mercato privato, in un regime di concorrenza, e quindi non può rivelare questi dati, perché altererebbe il mercato. Mi pare che invece per altri servizi pubblici avvenga tranquillamente: chiedo a lei se sia così o meno, ma mi pare che alcuni canali abbiano più trasparenza. Con la contabilità separata secondo lei si può implementare la trasparenza? Quali rischi potrebbe vedere sulla questione Rai l'applicazione di questa contabilità separata? La metterebbe nel testo la questione della separazione?

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Voglio anch'io, presidente, come lei e i colleghi, ringraziare la dottoressa Deltenre per essere riuscita a trovare lo spazio per una presenza. Anch'io, come i colleghi, giudico di grande rilievo quest'audizione. Peraltro, il suo italiano è sempre impeccabile, davvero. C'è, soprattutto, una chiarezza di pensiero e di intendimenti. C'è piena coerenza nell'impostazione del lavoro dell'EBU, delle cose che nel corso di questi anni ha voluto segnalare a questa Commissione.
  Relativamente alle due questioni che ha sollevato, ha dato un giudizio positivo di questa convenzione e ha messo in luce due aspetti. Uno, finora non emerso con grande rilievo in altre audizioni, riguarda la possibilità, che qui viene dischiusa nello schema di convenzione, di una riduzione del numero dei canali non generalisti. La sua riflessione, data l'evoluzione del comparto complessivo, la trasformazione ancora in corso, che anzi può accelerare, è che si rischia un irrigidimento, non dà flessibilità alle scelte aziendali alla Rai, per cui avrebbe più senso nel contratto di servizio. Questa è una segnalazione all'attenzione della Commissione del lavoro della Commissione. Quanto al secondo punto – lo riprendeva anche il collega Airola – è emersa in diverse audizioni, anche in quella odierna, che ha preceduto la sua, con il Viceministro Morando, in termini di certezza delle risorse, l'esigenza che la quota del canone possa essere definita su base pluriennale. Lei l'ha ancorato a un arco temporale preciso, di cinque anni, legato quindi all'arco temporale del contratto di servizio. Mi sembra che su questo le audizioni stiano consolidando un'opinione – ovviamente, è alla libera iniziativa dei gruppi nella discussione sul parere – ma mi sembra che questo sia un dato che si sta consolidando e che lei nella sua comunicazione ha voluto sottolineare.

  PRESIDENTE. Diamo adesso con piacere la parola a M.me Deltenre perché risponda alle vostre domande, alcune delle quali vi ripeto tramite il responsabile rapporti istituzionali verranno per iscritto.

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'Ebu. Sono domande abbastanza complesse. Comincerò con la pubblicità. Ogni Paese ha un sistema diverso per regolare la pubblicità. C'è una direttiva europea, Audiovisual Media Services Directive, che prescrive le regole generali: non più di 12 minuti per ora, non più del 15 per cento al giorno, per tutti, per i privati e per il servizio pubblico. Questo è cornice di riferimento. Per il servizio pubblico normalmente si applicano percentuali ridotte di affollamento. Ci sono Paesi in cui il servizio pubblico non ha nessuna pubblicità, come la BBC in Inghilterra, che ha la pubblicità per il suo Global Service, le trasmissioni per l'estero, ma non in Inghilterra. La BBC World ha la pubblicità, ma non in Inghilterra. Nella televisione svedese non c'è la pubblicità. Ci sono Paesi, come Francia e Germania, dove c'è pubblicità, ma non in prime time, ma fino alle 20.00. Poi ci sono Pag. 25Paesi in cui la pubblicità è ammessa tutta la giornata, ma con una riduzione: non 12 minuti per ora, ma solo 8, come in Svizzera e in Austria, o in altri paesi ancora si possono avere 8 o 12 minuti per ora, ma con un tetto per tutta la giornata ben inferiore al 15 per cento. Esistono molte forme differenti per regolare la pubblicità ed esse dipendano anche dall'importo del canone. In Germania, per esempio, dove c'è la pubblicità fino alle 20.00, si paga un canone doppio rispetto all'Italia. In Germania, il canone costa 200 euro all'anno, mentre in Italia costa 100 euro, adesso ridotta a 90. In Inghilterra si pagano 200 sterline. Si può ridurre la pubblicità, ma la conseguenza è che il canone normalmente diventa più caro. Nei Paesi piccoli come la Svizzera, con quattro lingue ufficiali, e in altri Paesi dove si ha più di una lingua ufficiale, la pubblicità è vista come un modo per ridurre il canone, perché ci sono altre risorse per finanziare il programma. Per questa ragione, è difficile dire quale sia il metodo migliore. Nella maggior parte dei Paesi europei, il servizio pubblico ha la pubblicità sui canali. A non avere la pubblicità è la minoranza. Lo vedrete quando riceverete la documentazione. Ci sono tre forme di servizi pubblicitari in Europa: senza pubblicità, pubblicità fino a un certo momento della giornata, e pubblicità sì, ma normalmente un po’ meno che per i servizi commerciali, come in Italia, dove c'è solo, mi sembra, il 7 per cento per ora, non 12 minuti, ma 4. Un regolamento dice che ciò è meno che per un servizio commerciale. Questo mi sembra corretto, perché si hanno anche altre risorse per finanziare la produzione dei programmi.
  Se si parla dei diritti sportivi e del pacchetto che Rai Pubblicità fa per la Rai, per me questa è una buona pratica. Lo sport è molto caro, allora si guarda a come ridurre i costi per il servizio e a fare il massimo per la commercializzazione. È meglio diminuire i costi per i cittadini se si può incassare di più dai ricavi commerciali, soprattutto con gli sport. Anche quello dei diritti sportivi è un caso molto complesso. La UER, per esempio, in passato ha sempre acquistato i diritti sportivi più pregiati. Nel 2008-2009, si è cominciato a cambiare, non per tutti i Paesi. I diritti Euro 2016 o la Fifa World Cup per l'anno prossimo e anche per il 2022, sono ancora dell'UER, che però non fa più le negoziazioni per cinque grandi Paesi: Regno Unito, Germania, Francia, Spagna e Italia perché le federazioni sportive hanno detto che avrebbero avuto più soldi facendo le negoziazioni direttamente con i paesi. Prima, se volevamo avere un contratto con la Rai, dovremo andare alla UER, così da fare un pacchetto europeo. Loro hanno imposto questo cambio, e così diviso la nostra Unione. Così, oggi questi cinque paesi fanno le negoziazioni direttamente con le federazioni, e la Rai è in competizione con Mediaset, Sky, Telecom Italia e Discovery, nessuna delle quali ha interesse a fare marketing con gli sport, a promuovere gli sport. Ci sono adesso nuovi attori che entrano nel mercato, come Discovery, Sky, Telecom. In Gran Bretagna, è la British Telecom che ha fatto salire i prezzi. Anche un servizio pubblico come BBC non può più pagarli. Questo è successo anche alla Rai con Sky e con Discovery. Non è stato uno sbaglio della Rai. Ci sono sempre nuovi player nel mercato, per i quali lo sport è una «commodity», non lo vedono come qualcosa di speciale per i loro spettatori. È uno strumento per fare marketing. Se Telecom oggi acquista dei diritti sportivi, lo fa perché vuole anche vendere l'accesso internet, l'accesso telefonico, l'accesso a tutti gli altri suoi servizi. Lo sport è qualcosa per dire: se vieni con noi, se vuoi avere un buon contratto per internet e per la telefonia, puoi avere la Champions League e paghi solo 50 euro al mese, per esempio. È un argomento di marketing. Questo è un altro modello di business che non ha più nulla a che vedere con la televisione. Per questa ragione, già l'ultima volta, con i Giochi olimpici, non è stata la Rai a prenderli, ma Sky, che dopo ha visto che forse aveva pagato un po’ troppo, vedendo che il pubblico non era così interessato – a Palermo non ci si interessa veramente allo sci. Forse hanno pagato un po’ troppo e così dopo Rai ha potuto comprare i diritti di Sky a un prezzo molto più basso. Non so ancora cosa accadrà per i prossimi Pag. 26Giochi olimpici, ma averne perso i diritti veramente non è stato un errore della Rai. Sono semplicemente altri player grandissimi che sono entrati sul mercato. Il solo modo per garantire almeno le trasmissioni non criptate è la legge. Ci sono anche in Italia gli eventi protetti: un elenco che stabilisce gli eventi che si pensa siano veramente di importanza strategica per un Paese. Su questa lista i governi mettono tutti i diritti sportivi che devono restare free-to-air (trasmissioni non a pagamento). Ciò non vuol dire necessariamente che questi diritti debbano andare alla Rai, ma almeno che ci debba essere un tender che preveda il free-to-air. Normalmente in queste liste c'è il calcio con le partite della Nazionale e i Giochi olimpici, ma anche qualche altro evento importante per il paese, come in Italia il Festival di Sanremo! C'è tutto quello che si considera di importanza strategica in questa lista.
  Quanto a trasparenza, qualità e contabilità separata, la Rai ha una contabilità separata. A livello europeo non esiste una guida sulle best practice per i servizi pubblici. So anche che è stata poi discussa l'iniziativa del cosiddetto bollino blu in altri Paesi non esiste. La cosa che è chiara e che si dice è che il canone deve essere utilizzato solamente per il servizio pubblico, non per i servizi commerciali. Questo è chiaro. Lo spettatore deve essere in grado di riconoscere se questo principio è rispettato, ma non certo attraverso il bollino blu. Non conosco nessun media che lo usi. Si sa quali e quanti sono gli introiti per le interruzioni pubblicitarie, ma non c'è una contabilità che dice quali programmi del servizio pubblico sono finanziati dal canone e quali sono i programmi finanziati solamente con la pubblicità. Questo non esiste. Solo il 25-30 per cento dei ricavi viene dal commerciale per un servizio pubblico medio. La maggioranza dei programmi è finanziata dal canone e quel 25 per cento in più aiuta a fare qualcosa di speciale per la cultura o per la fiction o per documentari veramente di alta qualità. Si può fare quando c'è stato un anno molto positivo, in cui si sono guadagnati molti soldi con la pubblicità. Allora, mi sembra che non si possa fare questa distinzione programma per programma o quantomeno noi non conosciamo nessun servizio pubblico che lo faccia.
  Quanto alla trasparenza, paragrafo 1.5, la società concessionaria ispira la propria azione a princìpi di trasparenza, efficacia, efficienza e competitività. Mi sembra che sia abbastanza chiaro. È anche chiaro che in un contratto di servizio si mette la pianificazione dei programmi e dei costi. Poi anno per anno si fa un rapporto annuale con lo sviluppo di cinque anni. Questo è fattibile.
  Anche un report sulla trasparenza è importante: è un argomento che conosco bene. Non si può scendere in tutti i dettagli: se, per esempio, si ha un contratto con un produttore, non si pubblicano tutte le clausole. Se si fa sapere tutto di un contratto con una casa di produzione, un'eventuale altra in seguito potrebbe pretendere le stesse condizioni commerciali della precedente.
  Questa trasparenza normalmente va fatta per dati aggregati, come ad esempio quanto si spende per la fiction: per genere, ma non sul prodotto specifico, perché a livello della concorrenza questo non è opportuno. Potrebbe darsi che alcune compagnie non vogliano più lavorare, perché non vogliono che tutto sia pubblicato. Come per gli stipendi: quello del direttore generale, va bene, ma non si mettono pubblicano gli stipendi di tutto lo staff. Questo potrebbe creare dei problemi.

  PRESIDENTE. M.me Deltenre, credo che il senatore Rossi voglia avere una precisazione.

  MAURIZIO ROSSI. In BBC invece inseriscono tutti i dati dei costi. Anche quello è diverso da paese a paese.

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'Ebu. Sì, ma solo alla BBC. È un invito a innovare profondamente il modo in cui si fa trasparenza.

  MAURIZIO ROSSI. Inoltre, l'altro giorno, l'Autorità garante per le comunicazioni ha detto quanto segue: «Alla luce dell'oggettiva Pag. 27 inadeguatezza del modello vigente – della convenzione Rai – appare tanto più utile ricordare che la stessa Commissione europea, relativamente all'applicazione delle norme sugli aiuti di Stato al servizio pubblico [...] per quanto abbia previsto come requisito minimo la separazione contabile, ha tuttavia chiesto agli Stati membri di considerare come forma di pratica migliore la separazione funzionale [...] Ciò consentirebbe di soddisfare più efficacemente le esigenze di trasparenza postulate dall'ordinamento comunitario». Che cosa vuol dire, secondo lei, separazione funzionale? È una separazione societaria? Si crea una società di servizio pubblico cui va il canone, e poi semmai se ne crea un'altra? Questo è un chiarimento che penso utile, non l'abbiamo capito.

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'Ebu. È una buona domanda. Non esiste una risposta chiara. Abbiamo fatto la stessa domanda alla Commissione. Non esiste una regola e mi sembra che la Commissione non insista più di tanto. Abbiamo l'idea con gli auditors interni dei nostri membri, ma anche con Pricewaterhouse, Deloitte e KPMG, di fare una sorta di best practice: come si deve fare per rispettare questa regola che oggi non è davvero chiaramente definita, non c'è una definizione chiara. La Commissione sa che esistono alcune forme diverse e sa anche che questa separazione non è veramente fatta. La sola cosa che chiedono è di assicurarsi che il canone sia utilizzato davvero solo per il servizio pubblico. Gli introiti commerciali normalmente aiutano il finanziamento del servizio pubblico. Se avete servizi commerciali, utilizzateli solamente per stabilire le risorse commerciali. Se si fa un business, un servizio commerciale, normalmente si fa per trarne un profitto. Al contrario tutti i servizi pubblici in Europa sono enti no profit per i quali si può dare, in ultima analisi, che tutti i benefit vengono reinvestiti nella programmazione.

  MAURIZIO ROSSI. È possibile sapere come è divisa nei vari Paesi l'imputazione, come dividono i programmi di servizio pubblico da quelli commerciali?

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'Ebu. Nessuno lo fa. Esiste questa discussione, ma nessuno lo fa. Per questa ragione, abbiamo detto che dovremmo fare una best practice, una guida alla contabilità separata per auditors interni ed esterni, in collaborazione con l'industria, ma anche con i professionisti, ma per ora tale manuale non esiste. Serve un certo tempo per poterlo realizzare.

  PRESIDENTE. Penso di interpretare tutti voi, cari colleghi deputati e senatori, nel rivolgere un particolare ringraziamento a M.me Ingrid Deltenre. Non essendo madrelingua italiana, venire a sostenere un'importante audizione su un argomento di grande rilevanza in una così importante Commissione bicamerale del Parlamento italiano è un gesto di grande cortesia che ha fatto a tutti noi. Sono certo di interpretare i vostri sentimenti nel dirle: merci beaucoup de votre présence. In questo momento M.me Deltenre formalmente ci consegna una serie di brochure dell'EBU che verranno messe a disposizione di tutti voi.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del presidente della Corte dei conti, Arturo Martucci di Scarfizzi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399), del presidente della Corte dei conti, Arturo Martucci di Scarfizzi, che ha comunicato di non poter essere presente, per pregressi impegni istituzionali, ma è assai degnamente sostituito da una nutrita presenza di membri della Corte dei conti.
  Per la Corte dei conti sono quindi presenti la presidente della sezione di controllo sugli enti, dottoressa Enrica Laterza; il presidente della II sezione giurisdizionale centrale di appello, Luciano Calamaro; i consiglieri, Piergiorgio Della Ventura e Natale Maria Alfonso D'Amico, che anche a Pag. 28nome dei colleghi ringrazio per la loro presenza.
  Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
  Do la parola alla presidente Laterza, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere, al termine del suo intervento, a lei e agli altri magistrati presenti, domande e richieste di chiarimento.

  ENRICA LATERZA, presidente di sezione della Corte dei conti. Presiedo la sezione di controllo sugli enti pubblici contribuiti dallo Stato e sulle società partecipate pubbliche. Anche a nome del presidente della Corte, che purtroppo per impegni istituzionali non è potuto intervenire, ringrazio il presidente e questa Commissione di aver voluto riservare al nostro istituto l'onore di essere audito su un tema così delicato e importante come quello della concessione del servizio pubblico radiotelevisivo. Prima di passare all'esame del testo ci è sembrato utile fare una brevissima introduzione sui poteri che la Corte esercita in questo settore.
  Nell'architettura costituzionale, la Corte dei conti è inserita sia tra gli organi di garanzia della legalità, del buon andamento dell'azione amministrativa e di tutela degli equilibri di finanza pubblica sia tra gli organi giurisdizionali (rispettivamente, articoli 100 e 103 della Costituzione). Da detta doppia investitura deriva la centralità del ruolo di garanzia della corretta gestione delle pubbliche risorse dell'Istituto, che, nell'esercizio delle funzioni di controllo, è organo neutrale, autonomo e indipendente rispetto sia al Governo sia al Parlamento; nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali, fa parte a tutti gli effetti dell'ordine giudiziario. Per quel che riguarda, in particolare, le attività di controllo, il ricordato articolo 100 della Costituzione prescrive che la Corte dei conti partecipi, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria e riferisce direttamente alle Camere sul risultato del controllo eseguito. Il controllo sugli enti non statali viene esercitato, dunque, nelle forme e con le modalità di cui alla legge 21 marzo 1958, n. 259, di una sezione specificamente istituita all'interno della Corte, la sezione appunto del controllo sugli enti, e ha a oggetto la gestione finanziaria del singolo ente rapportata all'anno di esercizio. A questo tipo di controllo sono assoggettati, da un lato, gli enti che ricevono contributi finanziari a carico del bilancio statale con carattere di periodicità, ovvero che beneficiano continuativamente di risorse derivanti dal prelievo fiscale, i cosiddetti enti sovvenzionati; dall'altro, gli enti per i quali lo Stato contribuisce mediante apporti al patrimonio in capitale, beni o servizi, ovvero mediante concessione di garanzia, i cosiddetti enti partecipati. Poiché la legge 259 non pone alcuna distinzione tra enti pubblici e privati, il controllo è esteso alle società private che beneficiano ordinariamente e in modo diretto di contributi statali. Gli enti assoggettati al controllo della 259 sono individuati per legge o mediante decreto governativo emesso anche su segnalazione della stessa Corte. Il controllo sugli enti si articola in due distinte tipologie. La prima prevede la redazione del referto da parte di un magistrato della sezione, il quale compie la necessaria istruttoria per il controllo sui rendiconti finanziari nei confronti dell'amministrazione e degli organi di revisione. La seconda modalità prevede invece la partecipazione diretta di un magistrato delegato al controllo alle sedute degli organi di amministrazione. È questa la tipologia del controllo a cui è assoggettata Rai Radiotelevisione italiana Spa.
  Abbiamo pensato di ricostruire, ma sempre facendo – beninteso – riferimento al quadro normativo e tenendo conto delle disposizioni di legge, i concetti di servizio pubblico radiotelevisivo e gli istituti della concessione, della convenzione e dei contratti di servizio. Andrò velocemente, perché il tema fondamentale è l'esame dello schema di decreto. Il servizio pubblico generale radiotelevisivo era definito dal legislatore all'articolo 2, comma 1, lettera h), della legge n. 112 del 2004, secondo il quale è «servizio pubblico generale radiotelevisivo Pag. 29 il pubblico servizio esercitato su concessione nel settore radiotelevisivo mediante la complessiva programmazione, anche non informativa, della società concessionaria, secondo le modalità e nei limiti indicati dalla presente legge». L'articolo 17 della stessa legge, i cui contenuti sono stati fedelmente trasfusi nell'articolo 45 del TUSMAR, il testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici del 2005, definisce il contenuto minimo nonché i compiti del servizio pubblico generale radiotelevisivo, da svolgere sulla base di un contratto nazionale di servizio stipulato con il Ministero delle comunicazioni e di contratti di servizio regionali. Detto articolo 45 elenca, infatti, le prestazioni che la società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo è tenuta a erogare e che riguardano anche l'attività educativa, formativa e la valorizzazione delle culture. L'articolo 1 della legge di riforma n. 220 del 2015 ha innovato quest'articolo, sostituendo l'espressione «servizio pubblico generale radiotelevisivo» con la locuzione «servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale». Si tratta di un ampliamento del concetto di servizio pubblico i cui riverberi all'attualità non sono ancora stati individuati, ma che senza dubbio impongono alla concessionaria di aggiornare il perimetro del servizio pubblico tradizionalmente inteso anche alla stregua delle diverse piattaforme tecnologiche esistenti e tenuto conto dei mutamenti tecnologici medio tempore intervenuti. Meritevole di attenzione è la disposizione introdotta dall'articolo 5, sempre della legge di riforma del 2015, che prevede l'avvio da parte del Ministero dello sviluppo economico, in vista dell'affidamento della concessione del servizio pubblico, di una consultazione pubblica sugli obblighi del servizio, garantendo la più ampia partecipazione. Sulla scorta degli esempi già presenti in altri Paesi, tale previsione rappresenta un primo tentativo di coinvolgere la società civile. Per quanto riguarda gli istituti della concessione e dei contratti di servizio, l'articolo 45, comma 1, del TUSMAR dispone che il servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale è affidato per concessione a una società per azioni, che lo svolge sulla base, come già detto, di un contratto nazionale di servizio stipulato con il Ministero dello sviluppo economico e di contratti di servizio regionali. I contratti in questione sono rinnovati ogni cinque anni, nel quadro della concessione, che riconosce alla Rai Radiotelevisione italiana Spa il ruolo di gestore del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale.
  Tale ultima disposizione è confermata dal successivo articolo 49, norma di diritto transitorio, che affida ex lege in concessione alla Rai il servizio pubblico generale radiotelevisivo sino alla data del 6 maggio 2016, termine che poi con altre leggi è stato successivamente prorogato fino al prossimo 30 aprile 2017. Le modalità di attuazione dei compiti del servizio pubblico generale sono demandate a un contratto di servizio nazionale, come già detto, rinnovabile ogni cinque anni. La citata legge del 2015 ha recato importanti modifiche alla procedura di definizione del contratto di servizio. L'articolo 1 ha, infatti, previsto che il contratto sia stipulato previa delibera del Consiglio dei ministri, che stabilisce altresì gli indirizzi per l'emanazione delle linee guida sul contenuto degli ulteriori obblighi del servizio pubblico. È stato in tal modo rafforzato il ruolo del Governo, alla cui previa delibera è subordinata non solo la stipula del contratto di servizio, ma anche la definizione degli indirizzi cui dovrà attenersi il Ministero dello sviluppo economico nel determinare, d'intesa con l'Agcom, il contenuto degli obblighi del servizio.
  È stata poi modificata, come sappiamo, la scadenza per il rinnovo di tutti i contratti di servizio, sia di quello nazionale sia di quelli regionali, che da triennale è diventata quinquennale a causa delle difficoltà di rinnovare il contratto con la cadenza triennale prevista dalle precedenti disposizioni.
  Passando ora all'esame del profilo finanziario, l'articolo 47, sempre del TUSMAR, prescrive che la misura del canone radiotelevisivo debba essere tale da consentire alla concessionaria di coprire i costi che prevedibilmente saranno sostenuti per adempiere agli specifici obblighi di servizio Pag. 30pubblico generale radiotelevisivo. La Rai, però, come è noto, è anche titolare di attività commerciali, che generano costi e ricavi non attinenti allo svolgimento del servizio pubblico. Per verificare in concreto che il finanziamento pubblico non sovvenzioni le attività di mercato, l'Unione europea ha imposto la tenuta di una contabilità separata. Tale previsione è stata recepita dal legislatore nazionale nell'articolo 18 della legge 112 del 2004, il cui contenuto è stato riprodotto nel succitato articolo 47. Nell'attuale assetto, lo Stato esercita dunque contemporaneamente vari tipi di intervento pubblico: uno connesso alla posizione di concedente del servizio pubblico, chiamato a disciplinare l'attività della concessionaria; uno derivante dalla partecipazione pubblica al capitale della società quale proprietario di maggioranza dell'impresa, che gli consente di esercitare tutti i diritti previsti dal codice civile; un altro, infine, quale titolare responsabile di fronte all'Unione europea di molteplici poteri di regolazione del mercato, da assolvere con imparzialità nel rispetto della normativa nazionale e di quella europea. Si tratta, in effetti, di una pluralità di ruoli di difficile armonizzazione, in quanto, per un verso, lo Stato deve provvedere alla cura degli interessi pubblici, tra i quali la garanzia di un servizio pubblico adeguato, il rispetto dei vincoli di bilancio, la politica di limitazione della spesa; sotto altro profilo, il suo interesse quale azionista dominante è che le società detenute nel gruppo siano in grado di sostenere i costi produttivi, ottenendo tempestivamente le contribuzioni di finanziamenti, ivi compresi quelli di derivazione pubblica loro spettanti, alla stregua degli impegni normativi o contrattuali, anche per evitare il ricorso all'indebitamento. Viene a emersione, quindi, una stretta correlazione tra l'attività della società e delle controllate e quella pubblica, di guisa che ai fini del necessario miglioramento dei risultati della gestione risulta essenziale, oltre a un'azione efficiente, economica ed efficace, anche il rispetto degli impegni finanziari e programmatici da parte dello Stato. In sintesi, ferma restando la riferibilità al management della Rai dei risultati della gestione del gruppo, risulta innegabile l'interdipendenza con l'esercizio delle attribuzioni statali nello specifico settore di intervento.
  Nel paragrafo 4, abbiamo riportato le clausole da noi ritenute fondamentali, le principali, dell'attuale contratto di servizio vigente, che, come ho già detto, risale al periodo 2010-2012, in quanto quello riferito al 2013-15 non è stato sottoscritto, nonostante codesta Commissione avesse approvato il parere sullo schema del medesimo nel maggio 2014. Del resto, anche la convenzione e la concessione attualmente vigenti sono quelle che risalgono al 1994. Per la lettura rinvio al testo scritto.
  Passando adesso proprio all'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il punto 5, con il decreto di concessione di cui alla deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri del 10 marzo e con annessa convenzione da stipulare tra il Ministero dello sviluppo economico e la Rai, si dà attuazione alle disposizioni di legge sopra indicate come da ultimo modificate dalla legge di riforma del 2015.
  La predisposizione della concessione e dell'annessa convenzione è stata preceduta da una consultazione pubblica, come sappiamo, sugli obblighi del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, prescritta al fine di garantire un'ampia partecipazione dei cittadini, destinatari del servizio pubblico. Con lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, viene pertanto concesso in esclusiva alla Rai l'esercizio del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, per una durata decennale a decorrere dal 1° maggio 2017, e viene approvato lo schema di convenzione, che individua a sua volta le condizioni e le modalità di detto esercizio. Ai sensi dell'articolo 1 dello schema di convenzione, il concessionario deve erogare il servizio di interesse generale volto a fornire un'informazione completa e imparziale, a favorire l'istruzione, la crescita civile, il progresso e la coesione sociale, promuovendo la lingua italiana, la cultura e la creatività, e salvaguardando l'identità nazionale e le prestazioni di utilità sociale. Pag. 31L'informazione e i programmi devono ispirarsi ai princìpi di imparzialità, obiettività e completezza. La concessionaria deve poi ispirare la propria azione ai princìpi di trasparenza, efficacia, efficienza e competitività, e deve predisporre un piano editoriale, che deve risultare coerente a sua volta con la missione e gli obblighi. Nel quadro della sollecitazione a una razionalizzazione della struttura e dei programmi di informazione si inseriscono alcune previsioni di rilievo, che sono quelle previste dal comma 5, sulla possibilità di rimodulazione del numero dei canali generalisti e, dal comma 7, sempre dell'articolo 1, sull'uso più efficiente delle risorse mediante un piano di riorganizzazione e la possibilità di rivedere il numero delle testate giornalistiche.
  Sempre con riferimento a quest'articolo, non può non evidenziarsi l'insufficienza del generico richiamo alla trasparenza, argomento che ad avviso della Corte avrebbe invece richiesto una specifica ed esaustiva disciplina già in sede di convenzione, magari con richiami più di dettaglio al contratto di servizio, ma già con una previsione in questa fase.
  L'articolo 2 poi, in adesione al dettato legislativo, fissa in dieci anni la durata della convenzione. L'articolo 3 stabilisce gli obblighi del concessionario e le modalità di esercizio. Si prevede, in particolare, che la concessionaria sia tenuta a impiegare e sviluppare sistemi atti a favorire la fruizione dei programmi radiotelevisivi da parte di persone con deficit sensoriali. È di particolare rilievo ad avviso della Corte l'affermazione del carattere universale del servizio. Questa volta si dice che deve raggiungere il 100 per cento della popolazione, mentre in altre leggi e in convenzioni precedenti si parlava del territorio nazionale. È un concetto diverso. Questo carattere universale è sottolineato, enfatizzato, dai poteri di verifica attribuiti al Ministero dello sviluppo economico sul rispetto di quest'obbligo entro i tre anni dall'entrata in vigore della concessione.
  A questo riguardo, si segnala la genericità forse eccessiva di molti degli obblighi elencati alle varie lettere del primo comma di quest'articolo. Alle lettere b) e d), ad esempio, le attività del concessionario vengono identificate con locuzioni come «un adeguato sostegno» e «un numero adeguato di ore», che non configurano obblighi certi e predeterminati, come sembrerebbe invece argomentarsi dalla rubrica dell'articolo. Resta affetta da genericità anche l'intera lettera c) e, in genere, quasi tutta l'elencazione degli obblighi, per esempio le lettere i), p) e q).
  Passando all'articolo 4, questo prevede l'obbligo in capo alla concessionaria di operare, anche tramite la propria partecipata Rai Way, definita all'avanguardia nella sperimentazione e nell'uso delle nuove tecnologie, nonché di assicurare un uso ottimale delle frequenze messe a disposizione dallo Stato. Di rilievo è la previsione sulla possibilità di realizzare impianti comuni con altri operatori televisivi e di telecomunicazioni. Si attribuisce poi al Ministero dello sviluppo economico la potestà autorizzatoria per l'effettuazione delle modifiche e per il trasferimento degli impianti. Sull'articolo 6, che reca la disciplina del contratto di servizio, non si hanno particolari osservazioni da fare, anche perché sostanzialmente ripropone il dettato legislativo.
  Per quel che riguarda le trasmissioni, il Ministero dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 7, deve assegnare alla concessionaria la capacità trasmissiva necessaria anche al fine di consentire la diffusione dei contenuti di fornitori in ambito locale e nazionale. Il concessionario deve a sua volta fornire la relativa assistenza tecnica al Ministero dello sviluppo economico. La norma in questione anche in questo caso desta qualche perplessità a causa dell'eccessiva genericità della sua formulazione, che sembra riservare al Governo prerogative notevoli, non ancorando il concetto di necessarietà a parametri oggettivi.
  L'articolo 8 disciplina la fornitura del servizio pubblico senza interruzioni. Non c'è nulla da osservare. Richiama anche le norme sullo sciopero. L'articolo 9 impegna la concessionaria a stipulare contratti di diffusione pubblicitaria sulla base di princìpi di leale concorrenza, trasparenza e non discriminazione, e a osservare gli articoli Pag. 32 37 e 38 del TUSMAR nella trasmissione dei messaggi pubblicitari. La norma deve essere letta e applicata alle luce degli specifici vincoli che in materia sussistono per Rai Spa, in particolare in termini di tetto alla raccolta pubblicitaria. L'articolo 11 fissa i limiti per le attività commerciali ed editoriali connesse alla diffusione di immagini, suoni e dati, precisando che dette attività non possono assumere consistenza prevalente rispetto a quelle oggetto di concessione, vanno sottoposte a contabilità separata e devono essere remunerate esclusivamente con ricavi diversi dal canone radiotelevisivo. Dette disposizioni si pongono in linea con la normativa sovranazionale in tema di tutela della concorrenza e di aiuti di Stato. Si prevede, inoltre, la preventiva autorizzazione del Ministero dello sviluppo economico per l'esercizio di altre attività industriali o commerciali.
  L'articolo 13 prescrive poi che il costo delle attività derivanti dal servizio pubblico venga coperto dal versamento di una quota del canone di abbonamento. Ai fini di una corretta individuazione dei costi rilevanti anche per la determinazione annuale del canone, l'Agcom e il Ministero dello sviluppo economico, ciascuno per le rispettive competenze, verificano annualmente il rispetto dei parametri indicati nello stesso articolo.
  Ciò posto, poiché nella definizione della quota percentuale di canone da riconoscere alla concessionaria per l'espletamento del servizio pubblico, il quantum è legato alla verifica dei relativi costi, effettuata congiuntamente dall'Agcom e dal Ministero dello sviluppo economico in base ai parametri di cui al comma 2 della norma medesima, ritiene la Corte che i princìpi ivi indicati (raggiungimento degli obiettivi di efficientamento e di razionalizzazione, attuazione del piano editoriale, livello dell'affollamento pubblicitario, distribuzione dei messaggi pubblicitari tra i canali trasmissivi, corretta imputazione dei costi alla contabilità separata), dovrebbero presentare un maggiore livello di specificità, con dettagliati strumenti di analisi, ciò al fine di favorire, oltre a un adeguato livello di oggettività, anche un recupero di efficienza interna da parte della concessionaria e la razionalizzazione dei costi. Peraltro, la necessità di assicurare risorse pubbliche con carattere di certezza e stabilità su un idoneo orizzonte temporale, già contenuta nel tuttora vigente contratto di servizio 2010-2012, al fine di garantire un attendibile pianificazione industriale ed editoriale, è stata più volte ribadita dalla stessa Agcom. A tale ultimo proposito, deve essere ricordato che proprio l'esame della contabilità separata di tutti gli anni scorsi, fino dal 2005 e con l'eccezione del solo 2013, ha evidenziato uno squilibrio tra le risorse da canone e i costi del servizio pubblico. Queste osservazioni sono riportate nella relazione fatta dalla Corte dei conti sulla gestione finanziaria di Rai.
  L'articolo 14 disciplina il regime di contabilità separata della concessionaria per i ricavi derivanti dal gettito del canone e gli oneri sostenuti per il servizio pubblico, prevedendo il controllo da parte di una società di revisione nominata dalla concessionaria e scelta dall'Agcom. È ribadito il divieto di destinare i ricavi del canone ad attività diverse da quelle di servizio pubblico. Con riferimento all'ultima delle prescrizioni indicate, occorre tenere presente il complessivo assetto ordinamentale, il quale però consente compensazioni compatibili con il mercato comune limitatamente all'attribuzione al servizio pubblico dei ricavi commerciali da pubblicità che residuano dopo aver imputato all'aggregato commerciale le risorse corrispondenti a quelle che avrebbe raccolto un operatore privato. La norma in esame disciplina uno degli snodi più significativi della convenzione. In particolare, si segnala che la contabilità separata, oltre a rispondere a esigenze derivanti dal necessario isolamento delle gestioni – tra l'altro, secondo i princìpi comunitari, onde evitare la commistione delle risorse riservate al servizio pubblico con quelle delle attività commerciali – rappresenta l'unico strumento per accertare i costi di produzione del servizio pubblico, da remunerare quindi con le entrate derivanti dal canone radiotelevisivo.
  In tale contesto, oltre alla trasparenza contabile, potrebbe essere opportuno prevedere Pag. 33 nella convenzione, al fine di consentire un effettivo controllo da parte dei cittadini utenti sulla destinazione del finanziamento statale, che la concessionaria apponga segnali che rendano facilmente riconoscibili i programmi ascritti al servizio pubblico.
  L'articolo 15 fissa le penali per il ritardato pagamento da parte della concessionaria del canone concessorio. Si segnala, al quarto comma, che sarebbe utile l'aggiunta della clausola «salvi gli effetti del successivo articolo 16» in tema di decadenza per le ipotesi di maggiore gravità. Il primo comma dell'articolo 16 prevede che, in caso di gravi e reiterate inosservanze, possa essere disposta la decadenza della concessione. Il secondo comma prevede, inoltre, in tale evenienza, la possibilità di incameramento del deposito cauzionale, la cui costituzione non è tuttavia prevista da alcuna clausola.
  Si evidenzia in proposito che la costituzione del deposito cauzionale era prevista tanto nella convenzione del 1994, all'articolo 20, quanto nel vigente contratto di servizio, all'articolo 34. Sembra opportuno, dunque, che venga inserita un'apposita espressa disposizione analoga a quella di cui all'articolo del vigente contratto di servizio.
  Da ultimo, l'articolo 17 richiama la concessionaria al rispetto della normativa vigente in materia di servizi di media audiovisivi e radiofonici nonché del diritto dell'Unione europea, degli accordi internazionali e delle norme. Al riguardo non vi sono osservazioni. Potrebbe peraltro risultare utile inserire una specifica clausola di aggiornamento e revisione della convenzione di tenore analogo a quella recata dall'articolo 26 della convenzione del 1994, più volte ricordata, la quale prevedeva la possibilità di rivisitarne la disciplina, con riferimento al quadro evolutivo dei servizi in concessione, al fine di salvaguardare l'equilibrio delle gestioni e rendere l'accordo coerente con l'introduzione di nuove tecnologie e di nuovi sistemi. Essa rappresenterebbe, inoltre, il necessario stimolo per attualizzare i reciproci obblighi tra le parti.

  PRESIDENTE. Presidente Laterza, grazie infinite per quest'approfonditissima analisi che ha testimoniato a tutti noi. Quando la presidente Laterza ha detto «la concessionaria apponga segnali che rendano facilmente riconoscibili i programmi ascritti al servizio pubblico», faccio notare, più a loro, che pochi istanti fa la direttrice generale dell'EBU-European Broadcasting Union ha detto l'esatto contrario. Lo dico per arricchire il dibattito.
  Il senatore Rossi, come lei sa, è il relatore di minoranza della Commissione per questo provvedimento e siccome ha posto numerose e articolate domande, le ha giustamente messe per iscritto per aiutare gli auditi. Ne ha però una sola copia.

  MAURIZIO ROSSI. Sono veramente appunti, addirittura mandati con la e-mail... Ne ho un'altra copia. Innanzitutto, personalmente, resto stupito favorevolmente dal discorso dell'apporre dei segnali sul servizio pubblico. Lo sostengo da sempre. Forse l'ho anche scritto nella mia relazione. L'EBU, in effetti, ha detto che in Europa non esiste... Addirittura, ha risposto, a una mia specifica domanda su come vengono distinti i programmi di servizio pubblico dagli altri, che non sono distinti. L'Italia potrebbe fare scuola al resto d'Europa. È un problema che va definito, va detto, quello del sistema con cui andranno divisi i programmi di servizio pubblico da quelli commerciali.
  Mi permetto di iniziare con la lettura di alcune domande, che sono anche abbastanza tecniche. Ritenete giustificabile la spesa di denaro pubblico, che ricordiamo di essere di 20 miliardi di euro per questa convenzione, in mancanza di un'individuazione specifica dei diritti e degli obblighi del concedente e del concessionario, rinviata all'adozione di un contratto di servizio successivo alla concessione? Ritenete giustificata la spesa di denaro pubblico, 20 miliardi di euro, in mancanza dell'individuazione specifica degli obiettivi del servizio pubblico tramite il piano editoriale e il piano industriale? Ritenete giustificabile una spesa di denaro pubblico per pagare trasmissione di servizio pubblico quando l'individuazione di tale qualità delle trasmissioni Pag. 34 è effettuata da uffici interni alla Rai, che è il soggetto controllato? Viene stabilito dall'ufficio marketing e dalla pubblicità che cosa finisce nel servizio pubblico e che cosa va, invece, nell'altra sezione di bilancio. Non ritenete che si configuri un evidente conflitto d'interesse e che sia impossibile per il cittadino contribuente riconoscere in modo chiaro e immediato i programmi che paga con il versamento del canone? Vi devono essere, nell'interesse pubblico, tetti di spesa per categorie di spese stabiliti contestualmente all'affidamento della concessione alla Rai? I consiglieri di amministrazione della Rai e chiunque abbia potere di spesa nella Rai sono soggetti all'azione di responsabilità dinanzi alla Corte dei conti per danno erariale? Quali sono i parametri che la Corte dei conti deve utilizzare per far partire un'azione di responsabilità contabile per danno erariale? Ove vi fosse una responsabilità civilistica degli amministratori della Rai, si potrebbe configurare una responsabilità contabile del socio della Rai nella persona del ministro ove questi non facesse partire l'azione di responsabilità civilistica nei confronti degli amministratori? In tal caso, quali sono i parametri che la Corte dei conti deve utilizzare per far partire un'azione di responsabilità contabile per danno erariale? Secondo voi, a tutela dell'erario pubblico sarebbe opportuno, necessario, sottoporre l'affidamento della nuova concessione alla clausola sospensiva dell'adozione del contratto di servizio del piano editoriale e del piano industriale?
  Agcom, nella sua audizione del 16 marzo, ha detto che «Alla luce dell'oggettiva inadeguatezza del modello vigente appare tanto più utile ricordare che la stessa Commissione europea, relativamente all'applicazione delle norme sugli aiuti di Stato al servizio pubblico [...], ha tuttavia chiesto agli Stati membri» di privilegiare «la separazione funzionale a quella contabile al fine di soddisfare le esigenze di trasparenza».
  Vorrei fare anche due domande al rappresentante della Corte dei conti presso la Rai. So che c'è stato in un momento di passaggio, ma ha vissuto questi cinque anni. Lei ritiene esercitabili i poteri di controllo di cui è titolare in qualità di rappresentante della Corte dei conti presso la Rai, in mancanza dei diritti e obblighi specifici del concedente del concessionario di cui al contratto di servizio, dei tetti di spesa e degli ulteriori contenuti di cui al piano editoriale? Voglio ricordare che non c'è alcuna possibilità di essere sicuri che il contratto di servizio verrà mai effettuato. Ci sono sei mesi, ma se non si fa, non accade nulla. Non a caso, andiamo avanti con quello scaduto nel 2012. Rilasciamo una concessione da 20 miliardi di euro, che è un impegno, a fronte di servizi che potranno, ma non è certo che verranno poi mai definiti. Lei che poteri ha per controllare la giustificabilità di una spesa di denaro pubblico per l'acquisto di una prestazione resa da un artista e del relativo programma, come, pare, il programma condotto da Mika, che sembra sia costato 1.400.000 euro a puntata, ovviamente senza nessuna polemica sul caso specifico e sottolineando che, tra l'altro, non sappiamo neanche se è di servizio pubblico o è un contratto tipicamente commerciale? Come fate a effettuare i controlli se la Rai sostiene che non è possibile determinare i costi per ogni programma per motivi di riservatezza? Questi sono dati che si sentono dire, ma di certo non se ne sa nulla: come Corte dei conti, come fate a controllarlo? Tutti i costi generali (personale, affitto, impianti trasmissivi di Rai, e parliamo di 220 milioni di euro all'anno, ammortamenti) vengono ripartiti proporzionalmente ai ricavi nei costi suddivisi tra attività di servizio pubblico e attività commerciale o vengono integralmente attribuiti a costi per il servizio pubblico?
  Desidero concludere ricordando che il BBC Royal Charter, la concessione per l'Inghilterra, è integrato da un dettagliato e corposo agreement applicativo. La nostra convenzione nonché il contratto di servizio sono unificati e firmati contestualmente al rilascio della concessione, non rimandati a dopo. Vi vengono stabiliti in modo dettagliato il ruolo, la missione, gli obblighi, l'organizzazione, il modello di finanziamento Pag. 35 sia da canone sia da altri proventi, come pubblicità e cessione dei diritti.

  PRESIDENTE. La ringrazio, senatore Rossi. Spiego ai nostri gentili ospiti che, avendo egli posto una serie di importanti articolate e molto tecniche domande, è anche facoltà degli ospiti dare risposte magari di carattere generale e poi approfondirle per iscritto, anche perché le domande che il senatore Rossi ha posto sono estremamente importanti e direi delicate.
  Do ora la parola all'onorevole Peluffo.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Come è capitato in diverse audizioni, lascio una serie di considerazioni al richiamo a quelle che ho svolto nelle audizioni precedenti. Come richiamava adesso il presidente Lainati, è successo in diverse audizioni che c'è stato un susseguirsi di interventi tra il senatore Rossi e me in cui diciamo esattamente l'opposto. Siccome, però, è successo diverse volte, non vi tedierò e faccio riferimento solo per il resoconto alle cose che ho detto.
  Mi scuso, ma siamo andati un po’ lunghi coi tempi e avendo un problema di spostamenti, non riuscirò a sentire le risposte che vedrò sul resoconto. Vorrei scusarmi, ma è un problema logistico. Ci tengo a ringraziare anch'io, come è stato fatto dai colleghi, dal presidente, per la presenza e per la relazione, molto dettagliata e che credo sia materiale di grande utilità per il lavoro della Commissione. Avete messo in rilievo l'elemento della certezza e stabilità delle risorse, quindi sull'arco temporale: questo è diventato un po’ un filo conduttore di diverse audizioni e si è andato consolidando. Mi sembra interessante.
  Metteva subito in evidenza il presidente Lainati il riferimento, che fate in termini di opportunità, di inserire in convenzione la possibilità di esercitare un effettivo controllo da parte dei cittadini utenti sulla destinazione del finanziamento statale, che la concessione apponga segnali che rendano facilmente riconoscibili i programmi ascritti al servizio pubblico. Qualche tempo fa, l'allora Viceministro professor Catricalà aveva proposto il cosiddetto bollino blu. Questa Commissione ne ha discusso a lungo, avendo un'opinione diversa rispetto a quella del viceministro. Mi sembra interessante come suggestione ed era anche utile fare riferimento a una discussione che abbiamo già fatto.
  Nella relazione c'è un riferimento anche molto puntuale a degli aspetti su cui sarebbe utile o auspicabile un ulteriore dettaglio. La questione che vorrei sollevare è questa. Il meccanismo del rinnovamento della concessione è dato dall'atto concessorio, dallo schema di convenzione e dal contratto di servizio, quindi mi sembra che si tratti, come è accaduto anche precedentemente, di una sorta di combinato disposto. Gli elementi di priorità di indirizzo sono nello schema di convenzione, quindi nell'atto concessorio, e poi sono ulteriormente dettagliati nel contratto di servizio. Questo mi sembra lo schema che anche questa volta il Governo ha riproposto. Peraltro, veniva sottolineato in diverse audizioni, anche con l'Agcom, questo schema di convenzione di maggior dettaglio rispetto ad altri precedenti. Vorrei capire se è anche vostra opinione che vada poi visto nell'insieme degli strumenti offerti per completare gli impegni che deve assumere il servizio pubblico.

  ROBERTO RUTA. In gran parte, mi ha anticipato il collega Peluffo, e quindi mi riporto alle sue considerazioni, ma ne aggiungo una. La relazione che hanno prodotto è molto precisa e intensa anche sotto il profilo contenutistico nella specificità di alcune questioni, su cui ovviamente va fatta una riflessione, ad esempio sulla contabilità separata, uno strumento che però ha i suoi limiti nel senso proprio concettuale, normativo, comprendendo bene l'esigenza per la quale esiste, ma conoscendo anche il limite della portata per un'azienda come la Rai. Detto questo, si è fatto riferimento ad alcuni obblighi non ben definiti nella convenzione, che risultano più come norme di indicazione, quasi programmatiche: non dico che si spera, ma si richiede che... Parlo ora per quella parte della cittadinanza italiana che non riceve il segnale Rai e che ha l'obbligo, come tutti gli altri cittadini, di pagare il canone attraverso una misura Pag. 36antievasione, la bolletta energetica. Laddove (Piemonte, Molise, altre zone d'Italia) i cittadini continuano a non ricevere il segnale Rai, visto l'obbligo di garantire il servizio al 100 per cento della popolazione, come ancora oggi non accade a detta della stessa Rai e del MISE, sarebbe il caso secondo loro che si prevedesse già nella convenzione la restituzione o l'esonero del canone per le zone in cui è ben chiaro che non c'è la percezione e la ricezione del canale Rai?

  ALBERTO AIROLA. Vi ringrazio di essere qua. Anch'io sarò breve. Condivido, ma chiederei un maggior aiuto da parte vostra, l'insufficienza del generico richiamo alla trasparenza. Quest'aula trasuda di questa parola, ripetuta per quattro anni in maniera continua – trasparenza, trasparenza, trasparenza – ma di fatto spesso ci siamo trovati di fronte all'impossibilità di avere dei dati, anche riservati, e lo sottolineo, non pubblicabili, su alcune vicende o alcune spese che la Rai sosteneva e che magari erano dubbie. Come poter aumentare questo, ma senza incorrere nella classica risposta che non possono dircelo, altrimenti si altererebbe il collocamento della loro società nel mercato?
  Concordo poi sull'insufficienza della certezza delle risorse. Il problema, un po’ quello richiamato anche dal mio collega Rossi, che abbiamo visto anche in numerose audizioni, è che da una parte questo testo di concessione specifica alcune cose, dall'altra non lo fa in maniera adeguata, come anche voi rilevate, rimandando a un contratto di servizio, per esempio sulla riduzione dei canali e altri aspetti più tecnici che qui vengono descritti. Forse sarebbe opportuno collegare o spostare alcune di queste osservazioni sul contratto o arricchire questo testo di concessione. Questa è una riflessione un po’ più ampia. Potete anche qui rispondere successivamente.
  Quanto al canone quantificato sul raggiungimento degli obiettivi, al fatto che è troppo generico, che servono strumenti di analisi, potete essere un po’ più precisi per aiutarci? Anche questo è un problema rilevante.
  Infine, ci sono stati casi importanti in Rai in cui è intervenuta la Corte dei conti o non è intervenuta: come possiamo in questo testo migliorare l'efficacia anche del vostro controllo? Mi riferisco, per esempio, al famoso caso, uno dei più gravi, dell'accordo tra Masi e Sky per la diffusione – viene anche ricordato nel documento all'articolo 6 – dei contenuti Rai su Sky, che costò alla Rai, quindi agli utenti, ai cittadini, parecchi milioni di euro; o alla famosa questione degli audit interni su possibili casi di corruzione, 37, tra cui il famoso caso di Biancifiori, il cosiddetto «Scarface» e così via, che non si capì se furono casi trasmessi alla Corte dei conti e da lì alla procura oppure no. Ci fu qualche blocco nella catena di controllo: possiamo migliorare il testo per mettervi in condizioni di adempiere al vostro dovere in maniera più efficace?

  PRESIDENTE. Vorrei solo fare un'osservazione, se mi è consentito. Poche ore fa, cioè alle 9 di mattina, abbiamo avuto una lunga audizione del Viceministro dell'economia Morando, che ha dato questa notizia, che ha arricchito tutti noi, del recupero del canone ridotto tramite la bolletta elettrica di 300 milioni, se non ho capito male, dei quali 201 andranno al servizio pubblico. Questa notizia mi pare significativa. Sono qui da sedici anni, quindi ne ho sentite di tutti i colori, ma ricordo un autorevole intervento del consigliere di amministrazione di dieci anni fa, Angelo Maria Petroni, indicato dall'allora Ministro dell'economia Tremonti, che presentò a chi era in Commissione in quella legislatura un'analisi che alla fine diceva semplicemente che l'unico modo per recuperare i 300 e i 400 milioni di evasione del canone era legarlo al pagamento della bolletta elettrica. Nessun Governo, né quello che aveva espresso Tremonti e Angelo Maria Petroni, né gli altri hanno mai avuto il coraggio di farlo. Oggettivamente, non è il massimo della popolarità, ma è stato fatto e c'è questo recupero dell'antica evasione. Vorrei una vostra valutazione generale.
  Adesso potete rispondere alle importanti domande che vi sono state poste. Pag. 37Potete decidere se risponde la presidente Laterza o gli altri consiglieri.

  ENRICA LATERZA, presidente di sezione della Corte dei conti. Le domande sono molteplici e anche abbastanza tecniche, per cui per alcune ci riserviamo, come del resto da voi anche consentito, di rispondere per iscritto, per essere di maggiore utilità ai vostri lavori. Su altre questioni possiamo rispondere anche direttamente.
  L'onorevole Peluffo, e il senatore Ruta osservavano che c'è un livello di indeterminatezza abbastanza diffuso in questo schema di convenzione, benché si siano fatti notevoli passi avanti. Ho con me il testo della convenzione del 1994 e, oltre a essere molto più scarno, era molto meno particolareggiato. Dei passi avanti si sono compiuti nella ricerca della definizione più esatta e più sicura dei rapporti. Indubbiamente, però, permangono molte sacche, molti residui di incertezza e di vaghezza delle definizioni, di non precisazione degli obblighi e dei diritti reciproci. È evidente che questo testo sconta la situazione che la disciplina di dettaglio, la disciplina più specifica dei rapporti tra le parti viene demandata a un altro atto, il contratto di servizio, che non è contestuale. Detto questo sicuramente la decisione di accorpare i tre momenti (concessione, convenzione, contratto di servizio) non è una questione che la Corte può decidere o risolvere: è una scelta che il Governo può effettuare su sollecitazione degli organi parlamentari di vigilanza, che quindi da questa Commissione può partire. La Corte non potrebbe condividere una soluzione di concomitanza, di contestualità degli atti di disciplina dei rapporti, che contribuirebbe a favorire la certezza e la limpidezza e a risolvere i problemi di opacità evidenziati derivanti anche dal rinvio a momenti successivi di regolamentazione. Per quanto riguarda le domande specifiche, cederei la parola al presidente Calamaro, che, oltre che magistrato delegato al controllo sulla Rai, è il presidente della II sezione giurisdizionale centrale d'appello, e quindi è un interlocutore qualificatissimo in tema di responsabilità erariale.

  LUCIANO CALAMARO, presidente di sezione della Corte dei conti. Partirei dalle domande che ha posto il senatore Rossi. Sulle prime, la convenzione, e soprattutto il testo che abbiamo licenziato, qualche risposta la fornisce. L'articolo 13 della convenzione, al comma 2, ai fini di una corretta individuazione dei costi prevede verifiche da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e del Ministero dello sviluppo economico in ordine al conseguimento degli obiettivi di efficientamento e razionalizzazione indicati nel contratto nazionale di servizio. In realtà, abbiamo anche dato qualche elemento in più che riguarda la contabilità separata, cioè i costi, quindi alla prima, seconda e terza domanda darei questa risposta a braccio, salvo un ulteriore approfondimento.
  Quanto alla quarta domanda («Ci devono essere, nell'interesse pubblico, tetti di spesa per categorie di spese stabiliti contestualmente all'affidamento della concessione alla Rai?»), è una questione che secondo me si pone più nella logica imprenditoriale che in quella di una convenzione. Il fatto che la concessionaria potrebbe privilegiare programmazioni che costano molto – cito l'esempio di Sanremo – a scapito di altre, che magari vengono messe in seconda serata, configura una opzione che non rientra tra i poteri di controllo della Corte. All'altra domanda («I consiglieri di amministrazione della Rai e chiunque abbia potere di spesa nella Rai sono soggetti all'azione di responsabilità [...]?») la risposta che le potrei dare è sì, da tecnico, ma le devo dire qualcosa di più. La legge 220, a mio avviso, non ha innovato radicalmente l'assetto delle responsabilità, posto che la previsione secondo cui gli amministratori sono soggetti alla responsabilità da parte dell'assemblea della società, già presente nel codice civile. Praticamente, il quadro normativo di riferimento non è affatto mutato. Le dirò di più. Per le società partecipate c'è un filone della giurisprudenza della Cassazione – e – la Corte dei conti agisce nei limiti della giurisdizione che traccia la Corte di cassazione. Inoltre di recente è stato celebrato un processo di appello per un ex direttore Pag. 38generale della Rai. La sentenza non è ancora pubblicata, e quindi non posso darne l'esito, ma sono stati affrontati problemi di giurisdizione. Alla domanda, come giurista, ritengo che bisogna innanzitutto vedere se la Cassazione confermerà certi orientamenti. Sul punto la giurisprudenza non è ancora consolidata. Tra l'altro, c'è stata pure l'intervento della nuova normativa sulle società partecipate. Si tratta di materia che allo stato definirei «in ebollizione».
  Quali sono i parametri che deve utilizzare la Corte per far partire un'azione di responsabilità? Una segnalazione, una notizia che abbia il carattere della concretezza. Questa è stata la novità introdotta dal decreto-legge n. 78 del 2009, e quindi basta una semplice denuncia, non occorre altro. Ove vi fosse responsabilità civilistica degli amministratori, si potrebbe configurare una responsabilità contabile del socio della Rai? Certo, perché no? La mancata entrata configura sempre un danno, quindi si potrebbe teoricamente configurare, ma sempre in quel quadro che ho prima indicato.

  PIERGIORGIO DELLA VENTURA, consigliere della Corte dei conti. Il mancato esercizio dell'azione civilistica di responsabilità è uno dei casi che la stessa giurisprudenza della Cassazione pacificamente riconosce integrare i presupposti per l'azione amministrativa da parte della Corte dei conti nei confronti di chi non abbia esercitato tale azione civilistica. È uno dei casi tipici.

  LUCIANO CALAMARO, presidente di sezione della Corte dei conti. Comunque, la giurisdizione della Corte è del tutto autonoma, quindi può partire in parallelo. Per lo stesso fatto ci può essere una responsabilità erariale e una responsabilità «sociale».
  All'ulteriore domanda sui parametri che la Corte deve utilizzare per far partire un'azione di responsabilità mi sembra di aver già risposto. Alla domanda se a tutela dell'erario pubblico sarebbe da sottoporre l'affidamento a una clausola sospensiva dell'adozione del contratto di servizio, del piano editoriale e del piano industriale, posso che non rispondere, perché è veramente una scelta discrezionale. Tra l'altro, una concessione sottoposta a clausola sospensiva potrebbe essere anche un novum nell'ordinamento.

  MAURIZIO ROSSI. Se ci fosse un termine assoluto, se fosse contestuale, è chiaro che questo non verrebbe chiesto. Nel momento in cui, invece, sappiamo che gli atti successivi possono non essere fatti... È la pratica che ce lo dimostra. Dico anche che, se la mettessimo, in tre mesi lo faremmo. Per spiegare ai colleghi, vuol dire che verrebbero congelati tutti i passaggi di denaro dal Governo alla Rai fino a quando non c'è il contratto di servizio. Viene congelato tutto. Vengono messi da parte, non vengono dati ad altri.

  LUCIANO CALAMARO, presidente di sezione della Corte dei conti. Sul punto ci riserviamo.

  PRESIDENTE. ... è un po’ scabroso.

  LUCIANO CALAMARO, presidente di sezione della Corte dei conti. Si presta a interpretazioni e a varie soluzioni. Quanto all'audizione dell'Agcom del 16 marzo, intende riferirsi alla contabilità separata?

  MAURIZIO ROSSI. La Commissione europea dice che il minimo a oggi è la contabilità separata, ma invita ad adottare una separazione funzionale. Peraltro, ho chiesto prima proprio al direttore generale dell'EBU che cosa vuol dire. È separazione societaria, cioè da una parte metto una società di servizio pubblico dove finisce il canone. Almeno, sarebbe una soluzione straordinaria. Ha detto che non è ancora chiaro neanche a loro quello che intende dire la Commissione europea. Secondo voi, che cosa sarebbe meglio per l'Italia e per una concessione del valore da 20 miliardi di euro? Che cosa consigliate, visto che dura per i prossimi dieci anni, essendo tra l'altro da parte della Commissione europea solo un consiglio?

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  LUCIANO CALAMARO, presidente di sezione della Corte dei conti. Le posso dire che nella relazione che ha letto la presidente Laterza in un certo senso la risposta già c'è. Andando più al cuore del problema – quello che interessa è la sostanza – si è detto che la contabilità separata si auspica sia sottoposta a rigidi criteri di controllo. Questo consentirebbe di soddisfare anche la sua domanda. Per quanto riguarda le domande al rappresentante della Corte dei conti presso la Rai, attualmente il collega Della Ventura, si tratta di poteri di controllo. Anche qui mi riserverei una risposta più articolata.
  Quello che effettua la Corte dei conti non è un controllo puntuale, ma un controllo sulla gestione, che ovviamente fa riferimento pure alla programmazione, al bilancio d'esercizio, al bilancio preventivo e anche a taluni fatti di gestione che possono essere oggetto di attenzione nel consiglio di amministrazione, ovvero possono essere definiti al di là del consiglio di amministrazione per una questione di competenze.

  PRESIDENTE. Chiedo scusa, senatore Rossi, ma diamo l'opportunità a tutti gli autorevoli ospiti di dire qualcosa. Come stava facendo notare la presidente, anche il consigliere D'Amico vuole intervenire dopo. Sia telegrafico, la prego.

  MAURIZIO ROSSI. Stamattina, il Viceministro Morando è entrato proprio nelle imputazioni dei costi, secondo me il cuore del problema. Un cittadino che vede la lite tra Alba Parietti e Selvaggia, che magari diverte, ma pensa che la sta pagando coi soldi del suo canone, forse mette in dubbio se quello sia servizio pubblico. Parlo di Ballando con le stelle e della famosa lite. Che cosa ha detto Morando? Va fatta una valutazione «micro» delle imputazioni dei costi di servizio pubblico e quelle commerciali. Questo, secondo me, è il nodo del problema. Chiedevo se la Corte dei conti l'ha mai potuto fare o proprio non era nei suoi compiti farlo. Secondo me, la critica che potrà arrivare dai cittadini è proprio questa cosa: che cosa sta pagando? Io sto pagando quella cosa? E quanto?

  PRESIDENTE. Presumo che il consigliere D'Amico voglia intervenire in modo specifico sulle questioni poste dal senatore Airola.

  NATALE MARIA ALFONSO D'AMICO, consigliere della Corte dei conti. Sì, che si legano alle altre. Una questione è questa della trasparenza, che vuol dire anche accountability, responsabilità. A questo serve, in fondo, questa trasparenza, a capire chi è responsabile di cosa. L'avviso della Corte è che una maggiore trasparenza in questa vicenda serva. Ci si è spinti fino a fare delle proposte. Di solito, la Corte dei conti non fa proposte; è stata fatta, per esempio, la proposta, discutibile ovviamente, che venga chiarito all'utente finale, che è anche il contribuente, che cosa sta pagando e che cosa no attraverso il canone. Questo è il primo passaggio.
  Ci sono altri passaggi legati al livello di dettaglio che immaginiamo che quest'atto dovrebbe avere. È chiaro che il livello di dettaglio che disciplina i rapporti e le responsabilità reciproche, affrontando il problema della trasparenza (sono responsabile e debbo rendere conto), è definito dall'insieme degli strumenti che si utilizzano. L'insieme arriva in sequenza. Ovviamente, si potrebbe immaginare di rompere la sequenza e di fare tutto insieme. Si può immaginare forse che sull'atto a monte di tutti, quello che stiamo esaminando, quello forse sul quale il controllo in particolare della Commissione è più pregnante, ci sia un grado di dettaglio in più, quindi che alcuni elementi specifici che regolamentano i rapporti reciproci vengano spostati più su, perché così assumono più rilevanza. Anche mantenendo la sequenza attuale, che prevede che un atto venga prima dell'altro, la convenzione fornirebbe elementi di maggiore chiarezza.
  Lei poneva espressamente la domanda, che traduco: vi serve qualcosa per accrescere la vostra capacità di controllo? Questa forse è la sede per dirlo. È sempre una questione delicata, questa. Stiamo parlando di un'attività che ha natura in qualche modo pubblicistica. Sapete che la Rai è stata inserita nel conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche dall'anno scorso. La Corte si appresta a presentare il rapporto sul coordinamento della Pag. 40finanza pubblica 2017 e una delle cose che dobbiamo tener presente è che quest'anno nella finanza pubblica, nei conti pubblici, è inserita una unità istituzionale che prima non c'era, che non è irrilevante, e voi conoscete i conti della Rai meglio di noi. Si tratta di un ente che partecipa fortemente di una natura pubblica e partecipa di una natura strettamente imprenditoriale, in un settore fortemente competitivo e innovativo. Ora, immaginare che il sistema dei controlli, in particolare di un organo giurisdizionale come la Corte, si sovrapponga alle scelte gestionali rischia di essere un po’ pericoloso, per la Rai, ma forse anche per la Corte dei conti. Torniamo, però, al punto di partenza.
  Ci sono diverse modalità per articolare i rapporti tra il servizio pubblico, che comporta una serie di conseguenze anche sul terreno della responsabilità – è chiaro, è finanziata con soldi pubblici, e quel prelievo ha natura fiscale, figuriamoci, lo paga anche chi non riceve le trasmissioni – e l'altra parte finanziata con risorse proprie. Quello italiano è il modello più integrato possibile. Il modello italiano prevede il minimo vincolo di separazione, il minimo previsto dalle regole europee, che è quello di separazione contabile. L'Unione europea demanda agli Stati nazionali le scelte da compiere e prescrive che il minimo è assicurare la separazione contabile. Sulla separazione contabile, anzitutto, le regole possono essere un po’ più chiare, forse un po’ più predeterminate su cosa va dove. È chiaro alla Commissione che esistono modelli diversi, in cui si può passare dalla separazione meramente contabile alla separazione organizzativa all'interno di uno stesso soggetto, alla separazione all'interno di un gruppo, alla separazione per reti. Esistono diversi modelli anche in Europa che conoscete sicuramente meglio di me.
  L'Italia ha scelto – è una decisione politica, che per la Corte è un dato di fatto, che non può discutere – il modello meno separato tra quelli disponibili in astratto nel quadro dei vincoli sovranazionali, cioè europei. Lì si può forse lavorare per rendere più chiara la separazione. Ripeto che i modelli disponibili nel mondo sono diversi, in Europa sono diversi. Si può forse ragionare per rafforzarlo un po’ di più. Non giungiamo a mettere in discussione il modello, perché non è compito della Corte, ma abbiamo dato segnali su alcune modalità che renderebbero probabilmente anche con quel modello più chiara la separazione.

  PRESIDENTE. Vorrei ringraziarla, se mi consente. Ha un buon ricordo. Lei è stato membro del Senato della Repubblica, quindi mi fa piacere che sia in questa sede, che rappresenta entrambe le Camere del Parlamento... Perfetto, ha coperto tutte e due le Camere.

  LUCIANO CALAMARO, presidente di sezione della Corte dei conti. C'era qualche altra osservazione sulla copertura del segnale.
  La convenzione in questo potrebbe anche essere sufficiente. L'articolo 3, comma 1, lettera a), impone che ci sia una ricezione del 100 per cento, ove non realizzabile via etere, via cavo o via satellite, il sistema RaiSat, per capirci, che tra l'altro ha avuto un forte impulso, specie negli ultimi anni. Direi, senatore, che il discorso del rimborso forse potrebbe essere affievolito dal fatto che, ove non ci fosse la diffusione del 100 per cento, scatterebbero le penali dell'articolo 16. Certo, dobbiamo ricordare, come ha detto il collega poc'anzi, che il canone è un tributo, quindi per l'esonero ci vuole una norma di legge.

  ROBERTO RUTA. Chiedo scusa se faccio questa brevissima interlocuzione, poi mi taccio, ma io pago il tributo perché c'è la forza impositiva da parte dello Stato. Bene, pago il tributo. In questo caso, è motivatissimo, è definito, perché io pago il canone Rai. Addirittura, viene fatta una norma antievasione e dice che si prendono i soldi direttamente dal canone della bolletta, con tutti i profili di una qualche discussione, positiva per la finalità antielusiva. A maggior ragione, siccome è specificato che è canone Rai, non è un'altra cosa, e io non ottengo dallo Stato quel servizio, lo Stato incamera quel tributo non dandomi quel servizio che ha nome e cognome Pag. 41 del tributo: o vengo esonerato o vengo rimborsato, ritengo.

  LUCIANO CALAMARO, presidente di sezione della Corte dei conti. Un altro tema molto importante era quello...

  PRESIDENTE. I consiglieri faranno avere anche a lei, senatore Ruta, una risposta magari tecnica più articolata, ma per iscritto.

  LUCIANO CALAMARO, presidente di sezione della Corte dei conti. Tenga presente che, attualmente, per l'esonero dal pagamento, prima consentito con formule tipo il suggellamento, è sufficiente dichiarare che non si hanno apparecchi radiotelevisivi. In un certo senso, non avere il segnale è come non avere l'apparecchio radiotelevisivo. Se ci riflettiamo bene, l'ordinamento pare poter consentire una interpretazione del genere. Le ripeto ancora una volta, però, che sono norme di legge quelle che disciplinano l'esonero dal pagamento del canone.

  PRESIDENTE. Vorrebbe intervenire il consigliere Della Ventura, al quale do la parola.

  PIERGIORGIO DELLA VENTURA, consigliere della Corte dei conti. Su questo specifico tema c'è l'articolo 3 dell'attuale schema di convenzione, che parla di garanzia per il 100 per cento della popolazione. In caso di problemi la Rai deve fornire l'assistenza tecnica e, in mancanza, deve fornire il decrittatore. Ora, a prescindere dall'idoneità tecnica della fornitura di questa scheda a consentire il collegamento è possibile che anche in presenza di questa scheda il cittadino che sta sulla montagna del Piemonte o del Molise continui a non ricevere il segnale. C'è un obbligo specifico, già previsto in convenzione, a carico di Rai di porre in essere tutti gli accorgimenti che la tecnologia mette a disposizione per consentire questa ricezione al 100 per cento. Questo è il meccanismo che ha individuato la convenzione. Se poi de iure condendo si possano prevedere esenzioni anche per questo, è una scelta che, come diceva il presidente Calamaro, spetta ad altre sedi. Non è che la Corte dei conti sia contrario, ma è una scelta che spetta al decisore politico, al decisore istituzionale. Attualmente, abbiamo evidenziato che esiste una clausola di questo tipo già nel testo presentato dal Governo. Se sia sufficiente o meno non è facile dire poiché intervengono anche aspetti puramente tecnici. Più in generale, visto che ho la parola, c'è una buona mezza pagina di quesiti al rappresentante della Corte dei conti presso la Rai. Come ho visto con piacere, sapete già che sono il nuovo delegato Rai dopo il presidente Calamaro, che lo è stato per cinque anni, quindi ha una notevole esperienza, io ahimè non tanto.
  In passato, esercitavo il controllo di delegato della Corte dei conti, ai sensi di quel famoso articolo 12 che citava all'inizio la presidente Laterza, presso un'altra società pubblica, un po’ più piccola, ma significativa, l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A.: vi posso dire che all'inizio di questa mia attività la domanda che mi posi fu proprio questa esiste una società di revisione che senso ha la presenza della Corte dei conti? Per fortuna, lo scoprii abbastanza in fretta. La nostra è un'attività di tipo diverso. Il controllo che esercitiamo presso gli enti, un controllo di natura soggettiva, cioè sull'ente in quanto tale e scadenzato dai vari esercizi finanziari, è un controllo complessivo sulla gestione dell'ente, quindi per certi versi anche di secondo grado sui controlli esercitati dall'ente. Come accennava anche il presidente Calamaro, non ci pronunciamo sui singoli atti. Il controllo preventivo di legittimità si esercita sugli atti del Governo e delle amministrazioni e ha una diversa misura. Quello sulla gestione è un controllo che ha proprio una filosofia diversa, non è un controllo che presuppone giudizi binari, legittimo o non legittimo. È un controllo che si fonda su molteplici parametri (giudici, economici e endolistici) e su giudizi articolati. Non a caso, questo controllo si esita in relazioni articolate: una gestione può essere efficiente, efficace, economica, e lo può essere in una determinata misura. In questo senso, relativamente alle domande al rappresentante della Corte dei Pag. 42conti presso la Rai e sui poteri che ha nell'ambito della gestione complessiva ancora debbo esitare la mia prima relazione, che sarà sul consuntivo 2016, che deve ancora essere approvato. Credo che, più che pronunciarmi sul singolo programma, cosa che potrò anche fare a livello esemplificativo dell'andamento di una gestione, dovrà pronunziarsi sul livello di adeguatezza di quella governance, di quella gestione, più che basarmi sui singoli atti, cosa che peraltro la legge non esclude. Nel corso della gestione, l'articolo 8 di questa legge, che prevede questa forma di controllo, non esclude che alcuni atti di particolare rilievo possano essere sottoposti all'esame collegiale. In ogni caso, tutta l'attività di controllo della Corte presuppone una valutazione e una deliberazione di un collegio, mai di un magistrato singolo. La relazione del magistrato delegato verrà sempre discussa, istruita e approvata in sede collegiale.
  A proposito dell'impossibilità di determinare i costi per ogni programma per motivi di riservatezza, perlomeno a me tali motivi non sono stati mai opposti. Quando debbo effettuare le mie istruttorie, le effettuo in modo pieno per il momento, ma sono sicuro anche in futuro. Tutto quello che ritengo utile ai fini dell'esercizio della mia funzione di controllo non mi viene mai negato. Peraltro, non va dimenticato che in Italia l'istituzione superiore di controllo è anche una magistratura.

  ALBERTO AIROLA. Mi riferivo di più, infatti, ai dati comunicati a questa Commissione. È chiaro che, se non li danno a lei, si chiamano i Carabinieri.

  PIERGIORGIO DELLA VENTURA, consigliere della Corte dei conti. Proprio lei mi sembra avesse evocato il tema di che cosa potrebbe servire alla Corte per esercitare meglio il suo controllo. Credo che in questo momento, per quanto riguarda il corpus normativo che regolamenta questo tipo di controllo, non direi ci siano carenze particolari.
  Se mi posso permettere – non so se è un fuor d'opera – sono anche rappresentante dell'organo di autogoverno della Corte dei conti. Abbiamo, in una maniera che forse esagero a definire drammatica, una carenza di organico ormai superiore al 40 per cento e da tanti anni superiore al 30. Nessun'altra magistratura ha una carenza di organico come quella contabile. Questo è veramente «il» problema. Io credo – l'ho visto, l'ho toccato con mano – che potremmo lavorare, pubblicare prodotti con maggiore quantità, ma soprattutto in maggiore qualità se avessimo non dico neanche la copertura totale, ma una percentuale di copertura pari a quella delle altre magistrature. Abbiamo avuto sezioni con l'80 per cento di scopertura, non di copertura, di scopertura.

  ENRICA LATERZA, presidente di sezione della Corte dei conti. La nostra stessa sezione ha una dotazione organica di diritto di 27 magistrati, cioè presidente, vicepresidente e 25 magistrati: siamo in 9, con il presidente, 10.

  PIERGIORGIO DELLA VENTURA, consigliere della Corte dei conti. Ultimamente, abbiamo avuto due ulteriori assegnazioni, altrimenti saremmo stati in sette. Forse è un fuor d'opera e mi dispiace, ma abbiamo bisogno di questo.

  PRESIDENTE. Lei ha fatto questo rilievo, poi in una sede così importante del Parlamento. Recepiamo tutti la vostra sollecitazione autorevole. Mi sembra che a questo punto non mi resti che ringraziare tutti voi per la vostra presenza e chiedere ai colleghi, cortesemente, di rimanere, perché abbiamo un'ulteriore audizione. Mi rendo conto che siamo qui dalle ore 9, ma è così.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione Rai BENE COMUNE – IndigneRai.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo Pag. 43 e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399), di rappresentanti dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai.
  È presente il presidente, Riccardo Laganà, e i membri del coordinamento dell'associazione, Emidio Grottola, Marco Padula e Lucia De Angelis, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
  Do la parola al dottor Laganà, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  RICCARDO LAGANÀ, presidente dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai. Ringrazio il presidente e tutti i membri della gentile Commissione per averci ricevuto.
  L'associazione Rai bene comune è un'associazione molto partecipata, indipendente, composta da dipendenti Rai, da esperti del settore e da quelli che a noi piace definire amici del servizio pubblico, persone che volontariamente propongono e portano avanti il tema per una Rai davvero servizio pubblico e, come ci piace definirla, Rai bene comune. La nostra storia è caratterizzata da manifestazioni di piazza, eventi a teatro sul tema dell'informazione del servizio pubblico, esposti e proposte, senza però dimenticare la quotidiana attività di comunicazione e informazione che facciamo sul tema, che si sviluppa su diverse piattaforme social, anche queste molto partecipate, dalle quali traiamo informazioni importanti per fare proposte alla stampa, agli organi che si occupano di questi temi e alle istituzioni. Per questo, vi ringraziamo per averci ricevuto.
  Col permesso del presidente, passo la parola all'avvocato Emidio Grottola.

  EMIDIO GROTTOLA, coordinamento dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai. Sappiamo che siete stanchi perché la giornata è stata molto impegnativa. Vi chiediamo soltanto un altro po’ di pazienza, perché vorremmo mettere con voi a fuoco un paio di punti che ci stanno molto a cuore.
  Ci presentiamo come associazione, ma ci teniamo anche a dire che siamo una sparuta rappresentanza del variegato mondo dei lavoratori Rai. Non si possono portare migliaia di persone qui dentro, non c'è lo spazio, ma ci piace sottolineare che siamo lavoratori Rai con una piccola presunzione: siamo aziendalisti, una parola che non si sente più pronunciare. Noi siamo orgogliosamente dipendenti Rai. All'azienda teniamo tanto e ci teniamo che faccia servizio pubblico.
  Fatta questa premessa, intanto ribadisco i ringraziamenti per averci convocato, anche perché siamo da sempre intimamente convinti che un'approfondita conoscenza delle dinamiche Rai e del servizio pubblico radiotelevisivo non possa prescindere da un confronto diretto con i suoi lavoratori, con la pancia dell'azienda. Per questo, vi ringraziamo per averci consentito questa partecipazione, ma ci piacerebbe ogni tanto vedervi anche nei nostri corridoi, a viale Mazzini, Saxa Rubra, via Teulada, magari qualcuno ci va. Confrontarsi direttamente con i lavoratori Rai, siano essi cameraman, registi, impiegati, fa comprendere molto bene le dinamiche che presiedono alla vita lavorativa della Rai e le sofferenze dei lavoratori. Non ci dobbiamo dimenticare di questo. Per chi ci è stato, siamo contenti. Quelli che non ci sono stati si considerino tutti invitati, siete nostri ospiti graditissimi. Così sentiremo anche la vicinanza delle istituzioni al nostro contesto aziendale.
  Detto ciò, non vi voglio tediare, vogliamo solo focalizzare con voi due punti che attengono a questo schema della convenzione per il rinnovo della concessione, due punti molto delicati. Sappiamo che li avete affrontati praticamente tutti, ma questi secondo noi sono cruciali. Sono, tra l'altro, molto collegati, e mi riferisco all'articolo 1.5 di questo schema di convenzione. Si parla di princìpi di efficienza, economicità e trasparenza. Sono norme importantissime per la vita di qualunque azienda. Pag. 44Riteniamo infatti che il rispetto di questa norma vada preteso con ogni mezzo. Diversamente, se continueranno queste logiche – scusate il termine – predatorie cui abbiamo assistito negli ultimi anni, continueremo ad accumulare debiti su debiti, ed è cresciuta anche l'esposizione con le banche, e di questo passo rischiamo di fare la fine che ahimè sta facendo Alitalia. Scusate l'accostamento, ma è vero, la Rai negli ultimi anni ha accumulato debiti che prima non aveva. Probabilmente, è mancato il rispetto di questi princìpi di efficienza, efficacia e trasparenza, ribaditi in questo schema di convenzione, ma che non sono una novità. Dovevano essere rispettati anche in precedenza. Questa norma, dal vostro punto di vista, è particolarmente delicata se messa in correlazione con le disposizioni di legge che regolano i meccanismi di formazione della governance Rai, quelli di recente innovati e introdotti con la legge n. 220 del 2015. Tale legge, come noto, piuttosto che emancipare o alleggerire il peso della politica nella Rai, ha al contrario rafforzato quest'assoggettamento, con tutto ciò che ne consegue anche per quello che attiene al rispetto di economicità, efficienza ed efficacia.
  Il problema enorme che l'esperienza ci insegna è che questa dipendenza ossessiva dalla politica è fonte continua di sprechi e inefficienze, così da rendere allo stato pura utopia i propositi di assicurare con questa convenzione il raggiungimento auspicato di standard di efficienza, economicità e trasparenza. Ribadiamo che questi princìpi non sono una novità assoluta. Sappiamo perfettamente che sono immanenti nella nostra Costituzione. Qualunque pubblica amministrazione o ente si deve informare nel proprio agire costantemente a questi princìpi. Tra l'altro, per quello che riguarda la Rai, questi princìpi sono già previsti nel testo unico della radiotelevisione e sono ribaditi, in ultimo, ma non per importanza, anche nel codice etico Rai, che, contrariamente a quello che si può pensare, non ha carattere morale o etico, ma valore giuridico, e come tale impone la sua osservanza. Si impone non solo ai vertici, ma ai dipendenti e ai collaboratori. Va bene che si ribadiscano questi princìpi in questo schema di convenzione, ma non stiamo scoprendo l'acqua calda. Già fino adesso bisognava agire nel rispetto di questi princìpi. Vediamo se negli ultimi anni è accaduto questo.
  Scusatemi se adesso vi portiamo un paio di esempi che la dicono lunga su come siano stati rispettati questi princìpi nella storia recente della Rai.
  Proprio per la stretta connessione che c'è tra politica e governance Rai, abbiamo assistito negli ultimi anni – non c'è nessun riferimento specifico all'attuale governance, è un discorso che parte da lontano – a tante decisioni assunte dai vertici Rai, che sono talvolta parse di chiara ispirazione extraaziendale, con la conseguenza che queste decisioni, lungi dall'essere ossequiose dei princìpi di cui stiamo parlando (ribadiamo: efficienza, efficacia e trasparenza), si sono addirittura rivelate dannose per le casse dell'azienda. Cito solo un paio di esempi, anche se l'elenco potrebbe essere lungo. Ci ricorderemo tutti i quasi 15 milioni di euro pagati dalla Rai per una multa dell'Agcom comminata allorché si impose un direttore generale evidentemente incompatibile, fino ad arrivare alla tragedia dei 350 milioni di euro che Sky avrebbe versato alla Rai per trasmettere per sette anni i propri canali sulla piattaforma, scelta che, come sappiamo, la Rai decise di non assecondare. Anche quella vicenda sappiamo, siamo abbastanza convinti, che fosse di ispirazione extraaziendale. Che cosa vogliamo dire? Fintanto che saremo assoggettati a una governance che deve tener conto di tanti fattori che con la tutela dell'azienda e dei suoi interessi nulla hanno a che vedere, il rispetto di questi princìpi ribaditi nello schema della concessione appare veramente un'utopia. È veramente complicato aspettarsi il rispetto di queste norme quando chi ci governa deve tener conto di tante variabili, di tante pressioni extraaziendali. Teniamolo presente quando si punta il dito contro la Rai intesa come insieme di lavoratori, anche da questi banchi, accusandola delle più disparate inefficienze o anche, in maniera più grave, di non fare servizio pubblico. Ricordiamoci Pag. 45sempre che è la diretta conseguenza di leggi e nomine fatte nelle aule del Parlamento e nelle stanze dell'Esecutivo. I dipendenti Rai nessuna colpa hanno per questo, anzi i dipendenti Rai si sono spesso trovati costretti a dover fronteggiare con proprie iniziative, anche giudiziarie e a rischio di ritorsioni in ambito lavorativo, le decisioni dei vertici, come testimonia – ne avete appena avuto un racconto, credo, dalla Corte dei conti – l'esposto firmato da quasi 800 lavoratori Rai proprio in merito alla vicenda Sky-Rai per la piattaforma satellitare. Anche attualmente sappiamo di esposti, alcuni fatti dall'associazione, altri dall'UsigRai, all'ANAC, alla Corte dei conti. Ci troviamo perennemente in situazione di conflittualità, che non vorremmo, perché ci dobbiamo difendere da decisioni che appaiono evidentemente in contrasto con gli interessi aziendali.
  Sempre per rimanere sul tema della governance, da cui dipende secondo noi il rispetto dei princìpi previsti in questo schema di concessione, ricordiamoci che stiamo parlando di una legge, la n. 225 del 2015, su cui si addensano forti dubbi di legittimità costituzionale. Vi ricorderete la nota sentenza della Corte costituzionale del 1974, se non erro la n. 225, che vietava espressamente che i vertici del servizio pubblico radiotelevisivo «fossero espressione, esclusiva o preponderante del potere esecutivo». La legge ultima del 2015 di riforma della governance Rai, come detto, assegna proprio all'Esecutivo, nelle modalità che conoscete, il compito di nominare i vertici Rai, quindi l'assoggettamento alla politica si è fatto molto più stringente e molto più pressante. Delle due l'una: o si è deciso di calpestare una decisione della Consulta o c'è stata un'evoluzione giurisprudenziale che a noi non è dato conoscere. Forse viviamo in un periodo strano, in cui fare leggi di dubbia legittimità costituzionale è molto più semplice che in passato. Ricordiamoci che questa legge di riforma della governance è stata stigmatizzata anche a livello europeo. Non per niente, siamo accostati, purtroppo, nella corrispondenza che ci manda l'ABU – l'avete sentita stamattina – addirittura alla Bulgaria. Non so perché torni sempre l'accostamento ai poveri bulgari... Anche alla Romania. Abbiamo cambiato, siamo passati da un Paese balcanico all'altro. Non so se vi sentite bulgari e rumeni. Voglio dire che noi ci sentiamo molto italiani e non vorremmo essere accostati a questi poveracci che vivono in questi Paesi balcanici, con tutto il rispetto per loro, anche perché comunque sono Paesi che nel loro piccolo stanno crescendo, la Romania cresce al 4 per cento.
  Concludo su questo primo punto. La speranza è che questo percorso di approvazione dello schema di convenzione sia accompagnato dall'impegno serio a rivedere anche le norme che disciplinano i criteri di nomina e il controllo della governance Rai, altrimenti per esperienza siamo convinti che i buoni princìpi qui enunciati siano destinati a rimanere mere dichiarazioni di intenti, prive di reale efficacia.
  Il secondo punto, sempre previsto in quest'articolo 1, comma 5 – secondo me, in maniera significativa sono stati inseriti nello stesso articolo – attiene al famoso tema della valorizzazione delle risorse interne. Ora, delle risorse esterne e del ricorso alle professionalità cosiddette esterne sapete tutto, anche il seguito all'ANAC e non solo. Quello che forse non sapete, o forse non lo sapete a sufficienza, è che in Rai ci sono veramente tante eccellenze e tante professionalità che non sono considerate come tali. Siamo tutti dipinti come un carrozzone, lasciando così intendere nell'immaginario collettivo che siamo tutti assunti in forza di chissà quali raccomandazioni, in specie politiche, e senza alcun merito. È noto anche che per queste ragioni il canone Rai è considerata la tassa più invisa tra quelle che i cittadini devono quotidianamente pagare. Non abbiamo la possibilità né il tempo di fare l'elenco di tutte le eccellenze e le professionalità che sono in Rai, ma un paio le voglio comunque citare. Oggi, quando si parla di appalti, se ne parla sempre con sospetto, ma non si sa che Rai è considerata come stazione appaltante, in qualità di organismo di diritto pubblico, un'eccellenza. Lo dicono i consiglieri di Stato, che si confrontano con altre stazioni appaltanti. Il problema degli appalti in Rai Pag. 46è, semmai, il ricorso esagerato all'appalto, ma vi posso garantire che, quando poi si fanno gli appalti, il rispetto delle norme è altamente professionale, a livelli di professionalità notevoli. Vi posso dire tranquillamente, siccome l'ho visto, che ultimamente la Consip, di cui si parla per altre vicende, ha attinto alle professionalità Rai, proponendo inquadramenti e trattamenti economici migliori. È proprio qui il punto: la Rai ha le professionalità, ma non le valorizza, e quindi alla prima occasione i migliori prendono altre strade.
  Sono sicuro che non sappiate e non sappiano neanche i cittadini, quelli che ci ascoltano, che in Rai di tanto in tanto si fanno selezioni a concorso e vengono prese persone – parlo, per esempio, di laureati in giurisprudenza, ma ci sono anche altre selezioni – che tutte si sono laureate con 110 e 110 con lode, che hanno master, alcuni dottorati. Io li chiamo «la meglio gioventù», perché sono tutti ragazzi di 28 e 29 anni. Sono dei grandi professionisti, sono un grande valore aggiunto per l'azienda, e l'azienda stessa li assume definendole risorse pregiate. Una grande anomalia, dal mio punto di vista, è che sono state assunte come apprendisti, sicuramente per ragioni di natura fiscale, ma se parliamo di risorse pregiate e le blocchiamo per tre anni come apprendisti, a me sembra una grave anomalia. Oltretutto, mentre costoro, assunti con concorso, rimangono bloccati come apprendisti per tre anni, magari nel frattempo qualcun altro non per concorso viene assunto con ben altri livelli, anche apicali. Se si vuole risparmiare sui professionisti inquadrandoli come apprendisti, lo stesso criterio dovrebbe valere per quelli che sono assunti con chiamata diretta. Sto per concludere.
  Il più grosso dei problemi è che in Rai allo stato attuale siamo tutti omologati nel grande calderone impiegatizio o tecnico. Siamo tutti o impiegati o tecnici, al di là dei vari livelli contrattuali. Manca il riconoscimento formale e contrattuale dei ruoli professionali. Gli unici ad averlo sono i giornalisti, che hanno un contratto separato, come a voi noto. Tra i ruoli professionali – parlo da avvocato, ed è un argomento che però non riguarda soltanto la categoria degli avvocati, ma anche i presìdi che sono alla base del rispetto dei princìpi di economicità ed efficienza di cui si diceva prima – devo fare una considerazione per quanto riguarda quello degli avvocati.
  La Rai, a tutt'oggi, non ha dato esecuzione all'articolo 23 della legge n. 247 del 2012, conosciuta come di riforma dell'ordinamento forense. Qual è l'anomalia in Rai? La Rai ha da tanto tempo un'avvocatura interna, avvocati iscritti all'albo speciale, tuttavia c'è un rifiuto dell'azienda nel riconoscerne il ruolo professionale. Quali sono le ragioni? Sono facilmente immaginabili. È più facile ricorrere al consulente esterno, che alla fine è sempre un consulente di parte e che sa, in quanto retribuito, che è meglio giungere a conclusioni conformi ai desiderata degli amministratori, che non avvalersi di un'avvocatura interna, perché l'avvocato interno ha il grosso difetto che essere aziendalista, e quindi dice all'amministratore: caro amico mio, quest'operazione la puoi fare; quest'operazione non la puoi fare. Qui sorge il grosso problema: l'amministratore questo non se lo vuole sentir dire. Da qui, secondo me – è una mia opinione personale – c'è certa ritrosia a dare applicazione all'articolo 23 della legge n. 247 del 2012, con quello che ne consegue anche per il rispetto delle professionalità evocate nello schema di concessione di cui stiamo parlando e per il rispetto dei princìpi di economicità ed efficienza. Quando non utilizzi gli avvocati interni, ricorri ai consulenti esterni: questa è una spesa aggiuntiva. Sto per concludere davvero.
  Scusate per la cosa che sto per raccontare. A conferma che non siamo un carrozzone e per la difesa di questi valori c'è chi ha pagato un prezzo inaudito negli ultimi anni: la perdita del posto di lavoro. Mi riferisco all'avvocato Paolo Favale, da tutti conosciuto in Rai come un grande professionista, licenziato quasi tre anni fa in meno di due settimane, nemmeno fosse stato il peggior tangentista. Al contrario, quando sono state scoperte situazioni di mazzette, tutte da verificare, in quei casi la prudenza impose la sospensione delle persone Pag. 47 coinvolte. Lui è stato licenziato quasi in tronco, in due settimane, un avvocato interno, un grande professionista. Qual era l'accusa che gli si rivolgeva? Era stato accusato di aver divulgato all'esterno una bozza di documento che potremmo dire di natura sindacale. L'avvocato Favale era iscritto all'UNAEP, l'Unione nazionale avvocati enti pubblici, e questo scritto atteneva proprio alle problematiche di cui vi sto parlando, cioè la mancata ottemperanza della Rai all'articolo 23 della legge n. 247 del 2012. La vicenda si è conclusa, anche in sede penale, poiché l'avvocato è stato anche denunciato, e il gip – ho la sentenza, è a vostra disposizione – ha archiviato evidenziando la completa infondatezza delle notizie di reato e delle accuse mosse. Ci troviamo in presenza di un professionista interno licenziato senza troppe chiacchiere perché si batteva per questi valori che oggi riproponiamo.
  Si fa presto a parlare di efficienza, efficacia, trasparenza ed economicità. Queste sono le tragedie che viviamo quotidianamente a causa di chi questi valori non vuole rispettare. Addirittura, c'è, e ve lo testimonio, chi ha perso il posto di lavoro. Oggi, perdere il posto di lavoro equivale a un omicidio. Oggi, non si ammazzano le persone soltanto sparando loro alla testa. Le si ammazza togliendo loro la dignità del posto di lavoro, tra l'altro in maniera del tutto immotivata, infondata, come dice il giudice dell'udienza preliminare. Ho a disposizione e consegnerò la sentenza di archiviazione del giudice dell'udienza preliminare. Il problema è che il parallelo processo del lavoro ha un suo percorso. Oggi, quando viene licenziato un dirigente, si dice che manca la fiducia delle aziende, e quindi si risolve il rapporto di lavoro. Benissimo: siamo sicuri che sia così? Se la fiducia dell'azienda è manifestata da persone che all'epoca erano infedeli all'azienda – stiamo ragionando per ipotesi – allora forse essere infedele agl'infedeli è motivo per cui appuntarsi una medaglia al petto, non per essere licenziati. Attenzione quando si dice che manca la fiducia dell'azienda. Chi manifesta la volontà dell'azienda in quel particolare periodo? È sempre frutto di una volontà individuale, di soggetti e di vertici. Questa vicenda non attiene all'attuale governance, cioè a Campo Dall'Orto, alla presidente Maggioni. Non hanno nulla a che vedere con questo licenziamento. Sono convinto che non ne siano a conoscenza. Spero che però se ne possano occupare, anche per l'attenzione che magari vorrete rivolgere alla vicenda anche voi. Mi avvio alla conclusione. Il discorso è che, fintanto che non si mette mano a questo delicato tema dei ruoli professionali, tutti i ruoli professionali (ingegneri, avvocati, responsabili unici del procedimento in materia di appalti), anche il proposito di valorizzare le risorse interne, al di là delle buone intenzioni espresse in questa convenzione, rischia di rimanere lettera morta.
  Veniamo alle proposte emendative.

  RICCARDO LAGANÀ, presidente dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai. Ho alcuni appunti emendativi sullo schema di convenzione.
  Siamo felici che la convenzione sia stata rinnovata per altri dieci anni. Naturalmente, siamo molto contenti, ma ci dobbiamo chiedere anche a chi va affidata questa concessione. Cos'è, adesso, la Rai? Com'è messa? Riteniamo sia un universo talmente variegato, espressione di interessi molteplici e spesso contrastanti, come diceva l'avvocato e collega Emidio, che può definirsi in qualsiasi modo, ma certamente adesso non la possiamo definire un'azienda nel senso vero del termine. Proprio questo riteniamo sia il punto da sciogliere: bisogna riportare la Rai a essere un'azienda vera, in grado di realizzare davvero un prodotto. Con il testo della concessione, finalmente la politica sta definendo alla concessionaria il prodotto servizio pubblico. Crediamo, però, che senza una pesante riorganizzazione aziendale la Rai non sarà mai libera veramente di realizzarlo. Nel testo definitivo della concessione sarà indispensabile introdurre indicazioni che diano il mandato a un nuovo amministratore delegato di realizzare una completa e trasparente ristrutturazione aziendale, ma un mandato che preveda anche la possibilità di selezionare in maniera trasparente una nuova classe Pag. 48dirigente e che permetta di disfarsi degli affaristi e burocrati che invece attualmente la popolano. Va inoltre indicata un'adeguata riorganizzazione dei canali e delle strutture di potere che la Rai definisce reti. Le reti attualmente sono il luogo principale in cui si distribuiscono i posti di potere e si fanno le scelte che la caricano di enormi costi. Appalti e contratti sono voluti dalle reti, dalle direzioni di rete. Come sempre, le reti scelgono anche case di produzione, format e star a cui affidare le conduzioni in combutta con gli agenti dei vip. Spesso, le reti non si parlano, non concordano una linea editoriale e sono molto spesso in concorrenza tra loro, sono il buco nero che secondo noi dilapida le risorse provenienti dal canone. Riteniamo che la Rai debba assolutamente dotarsi di una struttura unica di ideazione e programmazione capace di definire una completa e articolata offerta dei contenuti. I canali di trasmissione devono dunque trasformarsi da potentati economici in semplici supporti, delle scatole dove veicolare e riempirli di programmi e di idee. Una riorganizzazione efficiente, snella e con meno direzioni riuscirebbe senz'altro a realizzare quanto chiesto nel testo della convenzione, soprattutto direzioni che si parlino tra loro. Non può essere un continuo compartimento stagno che porta di fatto a essere, più che un'azienda, un ministero. Ripulita, la Rai, da management e reti, potrebbe finalmente investire attraverso la formazione su professionalità interne e nuove tecnologie. L'utilizzo di professionalità interne, inoltre, consentirebbe di evitare la totale dipendenza dalle società di produzione e appalti, cancellando l'emorragia di denaro pubblico da cui è affetta. La Rai dovrà essere soprattutto il luogo delle idee. A noi piace questo concetto, una Rai che esprima idee nuove e prodotti davvero innovativi e interessanti, che si manifestino su tutte le piattaforme, collaborando certamente anche con valori aggiunti, professionalità esterne, che oggettivamente possano portare un contributo significativi e siano utili. A tal proposito, suggeriamo alla gentile Commissione di emendare il comma 5 dell'articolo 1, dove si raccomanda la piena valorizzazione e utilizzazione delle risorse interne. Noi suggeriamo di integrarlo con l'incentivazione e la promozione anche rispetto all'ideazione dei prodotti totalmente interni. Adesso, gli autori sono tutti esterni, mentre bisogna investire sul fatto che le idee nascano dall'azienda a cui è affidata la convenzione, come peraltro era una volta.

  ALBERTO AIROLA. Specificando risorse interne «anche autoriali».

  RICCARDO LAGANÀ, presidente dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai. Anche autoriali e di ideazione in generale. Non dobbiamo più correre il rischio di mandare in onda palinsesti copia e incolla dettati dai soliti noti e imposti dalle società di produzione e dagli agenti dei vip.
  Sempre in merito alle risorse interne, al comma 1, lettera b), suggeriamo di integrare dove dice di un adeguato sostegno allo sviluppo dell'industria nazionale dell'audiovisivo mediante la produzione diretta e l'acquisizione della co-produzione di prodotti di alta qualità. Il testo della convenzione ribadisce che il controllo del corretto adempimento dei compiti assegnati alla concessionaria debba essere svolto da MISE e Agcom. Da tempo, insieme agli amici dell'associazione MoveOn e ad altre associazioni che si battono sul tema del servizio pubblico, ribadiamo la necessità di avere un terzo organismo di controllo, partecipato dagli utenti. Come sapete, anche il premier Gentiloni, quando era Ministro delle comunicazioni, ebbe la necessità di proporre una riforma della governance che si basasse su una fondazione. Sono passati dodici anni, ma le idee belle non muoiono mai.

  PRESIDENTE. Sono d'accordo con lei.

  RICCARDO LAGANÀ, presidente dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai. Attualmente, com'è possibile avere una Rai inclusiva? Come possiamo aumentare l'affetto e la partecipazione dei cittadini per raccogliere feedback e direttive che vadano oltre gli ascolti e le interessatissime ricerche Pag. 49 di mercato, che condizionano anch'esse i palinsesti?
  Suggeriamo, a tal proposito, di inserire una lettera r) all'articolo 3 al fine di chiedere l'istituzione di un consiglio degli utenti o degli abbonati di supporto ai controllori istituzionali e che dia voce alla società civile, agli esperti di settore, al mondo accademico e delle arti. Il consiglio dovrebbe costantemente confrontarsi con l'azienda Rai, con le istituzioni, naturalmente con voi e con l'opinione pubblica, anche su come il canone viene utilizzato per lo svolgimento del servizio pubblico, segnalando con report trimestrali alle autorità competenti (ANAC e Corte dei conti) il mancato rispetto delle procedure di acquisizione. Un supporto non vuole essere un diktat, ma un aiuto alla buona gestione aziendale e al prodotto. Un organismo del genere, tra l'altro, come sapete, è già presente nella BBC. Riteniamo che un modello simile possa essere applicato da noi per raggiungere spunti di miglioramento dell'offerta sfruttando le tecnologie di acquisizione dati e gradimento che il Web mette a disposizione. Vi invieremo separatamente le modalità di quest'organo.
  Per quanto riguarda l'indipendenza economica, ci uniamo alla richiesta di avere una pianificazione del canone su base quinquennale delle risorse derivate da canone per garantire una certa progettualità e, sicuramente, una pianificazione industriale, altrimenti si potrebbero creare elementi di criticità gestionali dovuti all'incertezza, come ci riguarda, ad esempio, direttamente il rinnovo del contratto dei lavoratori. Ricordiamo poi che numerose sentenze della Corte costituzionale confermano che il canone è imposta di scopo. Anche il servizio studi della Camera ha ribadito tale concetto, aggiungendo ulteriori preoccupazioni riguardo alla riduzione del canone da 100 a 90 euro.
  Il senatore Massimo Cervellini, Sinistra Italiana, su nostra sollecitazione, ha provveduto a presentare un'interrogazione parlamentare a risposta orale in merito al finanziamento del cosiddetto fondo per il pluralismo con risorse derivate da canone Rai. Tale forma di finanziamento, secondo noi, contravviene con quanto ribadito dalla Corte costituzionale e può indurre la Commissione europea a multare l'Italia per aiuti di Stato alle TV private. Ci risulta un'ipotetica violazione degli articoli 107 e 108 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea. Le TV in tal modo accederebbero a risorse destinate a finanziare una concessionaria di servizio pubblico soggetto, appunto, a un contratto di servizio e a specifici obblighi di legge, senza per questo avere gli stessi obblighi che ha la concessionaria. Chiediamo, quindi, ai gentili deputati e senatori di chiedere al Governo di rivedere la modalità di finanziamento del fondo per il pluralismo restituendo l'ammontare del fondo all'unica concessionaria di servizio pubblico. A tale scopo, nell'articolo 13 dello schema di convenzione, al comma 3, chiediamo di inserire che il canone di abbonamento venga interamente riversato alla società concessionaria, e in ogni caso sia utilizzabile esclusivamente ai fini dell'adempimento del compito di servizio pubblico. Faccio una banale riflessione. Giustamente, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'economia e delle finanze ci chiedono di utilizzare il canone solo per scopi inerenti al servizio pubblico: non si capisce, però, perché il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero dello sviluppo economico non utilizzino tutte le risorse derivate da canone per lo stesso scopo e le dirottino verso altre voci.
  Un altro elemento che non ho notato essere presente nello schema di convenzione è il termine «ambiente» e l'espressione «tutela del territorio». Nel testo della convenzione non appare il termine «ambiente». Chiediamo, quindi, che all'articolo 1, comma 1, dopo i termini «coesione sociale», venga inserito il termine «ambiente» e, dopo l'espressione «promuovere la lingua italiana» venga scritta la frase «promuovere l'educazione ambientale e la tutela del patrimonio flori-faunistico», altrimenti è inutile che facciamo ore e ore di diretta ai telegiornali, quando ci riusciamo, per testimoniare l'ennesimo danno idrogeologico. Sempre a proposito di ambiente e sostenibilità, proponiamo alla gentile Commissione Pag. 50 e al presidente di obbligare la concessionaria alla pubblicazione dettagliata e annuale del bilancio sociale Rai. Il bilancio sociale Rai, come sapete, è importante perché ci dice come la Rai stia impattando nell'ambito sociale e sugli utenti a cui rivolge il servizio pubblico. Attualmente, la concessionaria non ha l'obbligo... Se infatti andate a vedere sul sito bilanciosociale.rai.it, è aggiornato solo al 2014. Oltre alla rendicontazione annuale del bilancio contabile, che è importante, crediamo sia altrettanto importante capire, far capire e dare contezza di come l'azienda stia gestendo anche il capitale umano e la sostenibilità ambientale.
  Vi ringrazio molto. Speriamo di mantenere un contatto.

  MAURIZIO ROSSI. Se preferite dare una risposta scritta, visti i tempi, non c'è nessun problema. Lo abbiamo chiesto anche a tutti gli altri.
  Condivido praticamente tutto quello che avete detto. Tutto quello che dite ha fondamenti giuridici. Voi non parlate a caso. Tra l'altro, condivido più di quanto possiate pensare. Le domande ci sono, anzi precisazioni. Prima di tutto, è bello sentir dire «siamo degli aziendalisti» da chiunque. I posti di lavoro vanno assolutamente difesi. È vero, possono creare problemi, come ne hanno già creati, le perdite di posti di lavoro, anche la perdita della vita e problematiche molto grandi. Sono pienamente d'accordo che il problema primario della Rai siano tutti gli appalti esterni. Mi pare, ma forse lo sapete meglio di me, che l'80 per cento dei programmi in prime time sono gestiti da società esterne. Ora, ritengo che in Rai ci sia il doppio del personale che ci dovrebbe essere. Quello che c'è non penso minimamente – voglio chiarirlo – che dovrebbe essere alcun tipo di problema. Guardando, però, a dieci anni e a una ristrutturazione per creare un'azienda che possa stare sul mercato... Vi dico la verità, sono molto preoccupato. Noi possiamo dire e scrivere quello che vogliamo, ma se tra cinque anni ci troviamo il Paese in una crisi spaventosa, un mercato che va malissimo, se non verranno pagate le pensioni e non verrà pagato altro, quelli saranno i dati concreti.
  Guardando alla concessione nei prossimi dieci anni, penso che valutare in quale modo, con tutti gli ammortizzatori sociali possibili, con prepensionamenti, con tutte le coperture che devono essere date, sarebbe però corretto pensare alla dimensione giusta da creare alla Rai da qui a dieci anni perché vada davanti dopo i dieci anni. Operazioni del genere non si fanno in un minuto. Secondo me, la concessione sarebbe il momento giusto per riportare la Rai a un costo complessivo ragionevole per quello che potranno essere le sfide del futuro. Su questo vi chiedo di ragionare e di pensare in quale modo si potrebbe collaborare.
  Siccome, però, questo personale c'è, e questo è sacro prima di tutto, prima si deve capire come fare la maggior parte delle cose che si possono fare col personale che c'è, poi si può valutare quello che si deve spendere. Se il personale resta quello, e so benissimo quello che pensate anche voi, molte persone che lavorano in Rai hanno anche l'umiliazione di «non saper che cosa fare», e questo è drammatico. Non dico che sia come perdere posti di lavoro, ma penso che veramente abbruttisca. Sono convinto che nella Rai ci sia, proporzionalmente, come in tutte le aziende, una parte che lavora di più, una che lavora di meno, una parte, come al comune di Sanremo, che magari timbra il cartellino e poi..., ma questo è un fatto generale. Siamo in mezzo a una battaglia che secondo me riguarda le altissime sfere della politica, i loro protetti produttori, che si stanno attaccando. Personalmente, penso che sia un eccesso dire che tutte le colpe sono della Perego, ma questo è un parere mio personale. C'è ben altro. C'è tutta la scala di potere e di gestione che è arrivata fino a quel programma che è responsabile. Vi chiedo innanzitutto se anche voi non pensate che – è uno dei problemi che sto contestando da giorni, è una questione di punto di diritto – non si possa dare una convenzione rimandando ad atti successivi gli obblighi. Se il contratto di servizio – stiamo andando avanti con quello scaduto nel 2012 – non Pag. 51verrà scritto, non verrà potenzialmente mai più scritto, e quindi tutto quello che dite resterà una segnalazione di intenti, frasi buttate lì, che è quello che vogliono, per poi continuare a fare quello che vogliono. È per quello che ho detto, addirittura, di rimandare di sei mesi. Come fa la Commissione in 30 giorni a modificare tutto? Perché non facciamo, come è successo nella BBC, insieme alla concessione la convenzione con i punti, anche quelli che dite voi, scritti in modo chiaro e inequivocabile, che diventano obblighi per la Rai? Non lo saranno, invece, né per voi né per tutto il resto. Questa è la mia primaria battaglia.
  Sugli appalti dite che la Rai è considerata un'eccellenza. Sicuramente. Purtroppo, moltissimo non passa da appalto. Col fatto che determinate tipologie di programmi e produzioni artistiche vengono comprati, così pacchetti di film e di telefilm, a prezzi giusti o non giusti, tutte le grandi produzioni date poi...

  EMIDIO GROTTOLA, coordinamento dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai. Se posso, le rispondo subito su questo.

  PRESIDENTE. Abbia pazienza, avvocato, no. Dobbiamo consentire al senatore Rossi di finire, poi darete tutte le risposte insieme.

  MAURIZIO ROSSI. Ci tengo che sappiate che il mio rispetto è totale nei confronti di tutti quelli che lavorano. Penso che nel futuro sia giusto che anche all'interno ci sia un'attenzione a sapere chi effettivamente lavora meglio e mette la buona volontà. È l'azienda, però, che deve farti anche venire la voglia di fare le cose. Questi erano i principali punti su cui, dopo avervi ascoltato, volevo intervenire.

  ALBERTO AIROLA. In realtà, molti punti che avete fatto presenti erano già stati trattati. Purtroppo, anch'io dovrò andare via presto, ma ci sarebbe da parlare per molto tempo su molte questioni. Sicuramente, trovo condivisibili tutti i vostri stimoli su come emendare questo testo, soprattutto la questione dell'ideazione, della pianificazione quinquennale delle risorse, del produrre programmi direttamente.
  Sulla questione di cui parlava l'avvocato Grottola dell'esposto alla Corte dei conti, proprio stamattina ho avuto conferma che sta andando avanti nonostante le tempistiche. Così mi hanno detto fuor di microfono alcuni membri della delegazione che abbiamo ricevuto.
  Sulla questione Masi-Sky, qua siamo in una sede ufficiale, queste sono parole che vengono registrate, e quindi ognuno si assumerà le sue responsabilità.
  Alla fine, in effetti concordo un po’ con il senatore Rossi sul fatto che, anche se probabilmente non succederà, tante cose che avete detto erano state incluse nel contratto di servizio pubblico che avevamo votato trasversalmente qui, come per esempio la limitazione allo strapotere degli agenti, ma non è mai stato firmato. A maggior ragione, viene voglia veramente di dire: approviamo questa concessione contestualmente a un contratto di servizio. Così probabilmente non sarà, ma sicuramente ci batteremo affinché un contratto di servizio venga redatto e corretto anche da questa Commissione. È basilare. Erano già contenute tantissime delle indicazioni che oggi vediamo riassunte in maniera un po’ superficiale sul testo di questa convenzione, ma che lì erano ben inquadrate.
  Vi ringrazio e spero di rivedervi ancora in questa Commissione.

  ROBERTO RUTA. Sostanzialmente, credo che quelli dati siano spunti sui quali riflettere e di cui fare tesoro, soprattutto quelli in fase emendativa. Non è scritto nulla, per esempio, sull'ambiente... Questo è un tema che probabilmente dovrà essere esaminato se inserire qui, in questa fase. Ci sono anche altre questioni non secondarie, insieme all'ambiente. La difesa del suolo, il consumo del suolo è un tema, con tutto il sistema della cultura di tutela del suolo come bene giuridico, che dovrebbe essere indisponibile se non a determinate condizioni. C'è anche l'educazione alimentare, su questo c'è veramente un fronte.
  Questo potrebbe essere già il riferimento alle normative vigenti, ai princìpi fondamentali, ai valori della nostra Carta Pag. 52costituzionale così come attualizzati dalla normativa vigente. Nell'ultima norma che abbiamo approvato, quella che riguarda anche i reati ambientali, è specificato come principio, quindi basterebbe probabilmente far riferimento a quella per trovare come mission, stando in un rapporto di concessione, quella di definirlo attraverso i princìpi costituzionali così come attualizzati. Questo farebbe sì che non mettiamo un argomento a discapito di altri, che nell'opinione pubblica potrebbero risultare altrettanto importanti. Lo dico come semplice interlocuzione, fermo restando che l'educazione ambientale, per quanto mi riguarda, è prioritaria, quindi condividendo in pieno.
  Altre proposte emendative mi sembra che vadano in una direzione, come una questione che abbiamo sollevato da più parti – per quanto mi riguarda, come Partito Democratico, insieme anche al vicepresidente e al capogruppo, l'abbiamo sollevata più volte – e cioè quella dell'utilizzazione di quel patrimonio che in Rai esiste delle risorse umane. Al di là di alcuni sillogismi o equazioni, che vanno sempre dimostrati e su cui non inseguo in questo senso per una mia forma mentis, è oggettivo che avere un patrimonio di risorse umane così significativo e fare un utilizzo così significativo di risorse esterne è contraddittorio: non sono buone quelle interne, e se non sono buone bisogna adottare i provvedimenti di conseguenza; se sono buone, vanno utilizzate. Questo tutela l'interesse collettivo che abbiamo di pagare il canone Rai e di avere una struttura così significativa, perché lo è, in termini numerici e a servizio della collettività.
  Tutto quello che nella fase emendativa si può utilizzare e mettere nella concessione come parere nostro – il nostro è un parere, lo voglio ricordare, non siamo noi l'organo decisorio per definire il nomen iuris da utilizzare per le singole questioni... Non è neanche vincolante, certo. Tutto quello che, però, si può in termini emendativi far andare in quella direzione credo che sia giusto, doveroso e addirittura necessario per rendere e riconnettere il mondo dell'opinione pubblica al sistema Rai, azienda Rai.
  Faccio un'ultima considerazione. Ho sentito dall'avvocato, e non solo, una serie di equazioni. Ne faccio una per tutte, senza neanche sapere quale sia il livello di vicende di altra natura: vicenda Sky e tema del management in cui la politica entra per il fatto che per legge è prevista la nomina diretta dall'Esecutivo. Quell'assioma l'ho sentito qui. Siamo in Commissione vigilanza Rai e per questo ci torno, poi liberi di non rispondere, ma io ci tengo a precisarlo, sempre per mia forma mentis. Io sono fatto così, con tutti i limiti che ciò comporta. Se, come è stato detto, quella è una vicenda che ha fatto perdere un'opportunità all'azienda Rai per il fatto che c'è stata un'interferenza politica, quella è la dimostrazione che l'interferenza politica comporta perdite di opportunità aziendali, che significa in termini economici e finanziari. Delle due l'una: se questa è l'equazione, bisogna però dimostrarla: o la politica ha dato un'indicazione contro l'interesse pubblico, e quindi c'è un giudizio politico che non può che essere di una severità assoluta e senza appello, o altrimenti chi gestiva la Rai ha eseguito un ordine che doveva respingere, se questo è stato l'ordine. Se non è stato l'ordine, è stata infedele la gestione se non motivata in maniera differente. Da questo dualismo, però, bisogna uscire in un modo o nell'altro, altrimenti quell'equazione non va riferita, non va detta. Se va detta, va specificato se la questione è in un senso o nell'altro. Non ci sono gli elementi per definirla? Bene, immagino che in questo senso vada denunciato in maniera precisa, altrimenti equazioni non dimostrate io le sottolineo come equazioni che restano lì dette. In una Commissione di vigilanza Rai, siccome ascolto, ho il dovere di registrare queste cose, e vanno definite in un senso o nell'altro, nella specificità. O l'una o l'altra cosa è vera, altrimenti non è vera l'equazione. Non so se mi spiego.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'avvocato Grottola, vorrei solo informare i colleghi della Commissione che il presidente dell'associazione, Riccardo Laganà, mi ha detto che, presumo entro martedì, Pag. 53farà avere il documento che ha letto poco fa con le correzioni, quindi completo, perché sia messo a disposizione dei commissari.
  Per eventuali ulteriori risposte, do la parola all'avvocato.

  EMIDIO GROTTOLA, coordinamento dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai. Spero di essermi appuntato e di non dimenticare niente.
  Intanto, senatore Rossi, la ringraziamo per le parole spese a riguardo dell'azienda. Ci troviamo in sintonia sulle considerazioni che ha fatto, intanto sul contenimento dei costi. Sono in Rai da 17 anni, loro anche da più di me. Adesso va di moda usare l'espressione spending review: siamo convinti che si possano fare grandi economie razionalizzando le risorse. Intendiamo ricorso agli appalti e anche risorse interne. Certamente, vanno disciplinate in maniera molto più rigida, tanto più che siamo organismo di diritto pubblico, le modalità di accesso alla Rai. Non è possibile che oggi si assuma a chiamata diretta, senza sapere chi viene assunto, e che poi ogni sette anni si faccia una selezione concorso, forse perché il sette è un numero biblico. Nel frattempo, magari molti di quegli assunti, che vincono concorsi notarili o in magistratura e altro, a dimostrazione che sono veramente risorse pregiate, prendono altri lidi. Senz'altro siamo d'accordo su quest'aspetto.
  Siamo convinti che, per intervenire efficacemente nelle politiche di spesa della Rai, si debba conoscere l'azienda nella sua complessità, il che è molto complicato dal nostro punto di vista. Quando un amministratore delegato esterno non conosce l'azienda, ci vuole un sacco di tempo prima che ne conosca i meccanismi. Quando inizia a conoscerla, magari è già scaduto il mandato di tre anni e si deve cambiare. Ci ho messo credo 7-8 anni per capire l'azienda, e ancora adesso tante sacche non le conosco. In Rai c'è di tutto, dal falegname che fa le scenografie al giornalista, abbiamo tutto. Abbiamo un contratto di lavoro complicatissimo. Capire le varie sacche di inefficienza non è impresa facile, ma chi conosce un po’ meglio l'azienda, sa dove intervenire. Comunque, è molto facile.
  C'è un ricorso agli appalti sicuramente esagerato. Quando sono stato assunto, qualche anno fa, mi spiegavano – all'epoca si cominciava a ricorrere all'appalto – che gli appalti di produzione erano necessari per produzioni oggettivamente complicate. All'epoca, lavoravo a Milano, mi spiegavano che per esempio l’Isola dei famosi è una produzione che sicuramente richiede un appalto, perché non si può seguire quelle procedure ingessate Rai per una trasmissione che viene condotta su un'isola sperduta. Adesso, vediamo appalti per trasmissioni dove c'è una platea di ospiti: che necessità c'è di fare l'appalto di produzione per dei salotti-studio, compreso l'ultimo di Paola Perego?... Non è in appalto?... Ho seguìto, nel mio passato, produzioni interamente Rai, e posso dire che non c'era una virgola fatta da autori esterni o da appaltatori, e si potevano fare tranquillamente. Se oggi si ricorre in maniera più vistosa agli appalti, il sospetto è che ci siano anche altri interessi dietro. C'è necessità e ci sono margini di manovra enormi in queste sacche, per quanto riguarda sia le risorse umane sia gli appalti. Riguardo agli appalti tengo a precisare che, quando poi si decide di ricorrervi per servizi di pulizia, mensa e altro, il rispetto delle procedure Rai è rigoroso. Considerate che siamo diventati organismo di diritto pubblico da qualche anno, da quando c'è stata una nota sentenza che ci ha trasformato in organismo di diritto pubblico, e quindi dall'oggi al domani ci siamo dovuti adeguare alle norme di evidenza pubblica, applicare il codice degli appalti: oggi i consiglieri di Stato, quando facciamo dei seminari o anche nel corso di contenziosi, ci dicono che il rispetto delle norme è assolutamente impeccabile e posso testimoniarlo per conoscenza diretta. Il problema è a monte, quando si fanno le richieste di appalto. Bisognerebbe intervenire lì. Una volta che l'appalto arriva nella stazione appaltante, cioè nella direzione che si occupa, posso tranquillamente dire che non c'è pericolo di infrazione di norme. C'è un rispetto rigoroso.
  Riguardo alla considerazione che faceva il senatore Ruta, da avvocato le dico che, Pag. 54quando si parla di queste vicende, bisogna usare un attimo di prudenza, nel senso che il rischio di incorrere in diffamazione e simili c'è. La verità è che, quando si verificano queste situazioni, si attivano meccanismi, o forse non si attivano neanche, che non ci fanno nemmeno pervenire alla conclusione di ciò che è accaduto in quel dato momento storico. Il dato di fatto è che la Rai, dall'oggi al domani, non ha avuto più i 50 milioni di euro da Sky per sette anni. All'epoca, stavo agli affari legali e ricordo che invece sostenevamo, da un punto di vista giuridico, la doverosità di stare sulla piattaforma Sky. Abbiamo ricevuto una sanzione. Tanto il Tar quanto il Consiglio di Stato ci hanno detto che questa cosa non andava bene, ci hanno dato torto. In questi casi, ci sono tanti meccanismi di tutela che non vengono neanche attivati, come il codice etico Rai – è successo qualcosa? Si potrebbero sentire – il collegio sindacale, ma anche il Ministero dell'economia ha poteri di intervento per capire se si è procurato un danno all'azienda. Questi meccanismi non sono stati attivati, quindi non possiamo oggi arrivare alla conclusione che è avvenuto per un input preciso di qualcuno nella politica o perché l'amministratore era in quel momento incapace. Non si è neanche affrontato il problema di chi fossero le colpe. In realtà, noi ci siamo attivati. Lo dice l'esposto alla Corte dei conti. Abbiamo chiesto alla Corte dei conti di verificare che cosa fosse successo: a oggi, non ne sappiamo niente. Chissà se arriveremo a una conclusione?

  RICCARDO LAGANÀ, presidente dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai. In realtà, ci è stato risposto che c'è un dispositivo di archiviazione. Abbiamo chiesto conto del dispositivo, ma non ci è stata riferita la motivazione, non ci è stato consegnato per motivi di privacy e altri motivi oscuri, che oggettivamente a tutt'oggi ancora non conosciamo.

  EMIDIO GROTTOLA, coordinamento dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai. Poi si parla di trasparenza. Se uno fa l'esposto alla Corte dei conti per chiedere contezza di quello che è accaduto, si risponde che c'è il segreto istruttorio: ma se l'ho fatto io l'esposto? Sono queste le anomalie. Ecco perché poi non possiamo essere tranchant e dire: è successo esattamente questo. Abbiamo degli elementi per poterlo sostenere, ma...
  L'ultima considerazione mi pare fosse sul fatto di prenderci del tempo per stabilire limiti più stringenti. Giustamente, anche voi avete pochissimo tempo a disposizione per formulare le vostre osservazioni. Siamo totalmente d'accordo, anzi più si stabiliscono vincoli stringenti e meno ampie saranno le maglie della discrezionalità dell'azione amministrativa.

  RICCARDO LAGANÀ, presidente dell'Associazione Rai bene comune – IndigneRai. Soprattutto, è importante avere un mandato specifico da parte di chi prenderà in mano la gestione dell'azienda, ancor prima di capire se effettivamente siamo in grado di sostenerla. È importante avere un mandato specifico, chiaro, trasparente e finalizzato alla buona realizzazione del prodotto e all'utilizzo dell'azienda.

  PRESIDENTE. Gentili ospiti, vi ringrazio. Abbiamo concluso una lunga mattinata. Ribadisco che l'associazione invierà all'inizio della settimana prossima la sua documentazione. Non mi resta che ringraziare tutti voi per la pazienza e augurarvi un buon fine settimana.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.30.

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