XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 113 di Venerdì 17 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

AUDIZIONI NELL'AMBITO DELLO SCHEMA DI DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI CONCERNENTE L'AFFIDAMENTO IN CONCESSIONE DEL SERVIZIO PUBBLICO RADIOFONICO, TELEVISIVO E MULTIMEDIALE, CON L'ANNESSO SCHEMA DI CONVENZIONE (ATTO N. 399)

Audizione della presidente, del consiglio di amministrazione e del direttore generale della Rai.
Fico Roberto , Presidente ... 3 ,
Maggioni Monica , presidente del consiglio di amministrazione della Rai ... 3 ,
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale della Rai ... 5 ,
Diaconale Arturo , consigliere di amministrazione della Rai ... 6 ,
Siddi Francesco Angelo , consigliere di amministrazione della Rai ... 7 ,
Borioni Rita , consigliere di amministrazione della Rai ... 9 ,
Guelfi Guelfo , consigliere di amministrazione della Rai ... 10 ,
Rossi Maurizio  ... 11 ,
Margiotta Salvatore  ... 13 ,
Airola Alberto  ... 14 ,
Ranucci Raffaele  ... 15 ,
Ciampolillo Lello  ... 17 ,
Minzolini Augusto  ... 18 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 18 ,
Fico Roberto , Presidente ... 20 ,
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale della Rai ... 20 ,
Margiotta Salvatore  ... 21 ,
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale della Rai ... 21 ,
Fico Roberto , Presidente ... 25 ,
Maggioni Monica , presidente del consiglio di amministrazione della Rai ... 25 ,
Rossi Maurizio  ... 26 ,
Fico Roberto , Presidente ... 26 

(La seduta, sospesa alle 11.20, riprende alle 11.45) ... 26 

Audizione di rappresentanti di USIGRai, ADRai, SLC-CGIL, UILCOM-UIL, UGL-Telecomunicazioni, SNATER e LIBERSIND.CONF.SAL:
Fico Roberto , Presidente ... 26 ,
Cestaro Massimo , segretario generale SLC-CGIL ... 27 ,
Airola Alberto  ... 29 ,
Lainati Giorgio (SC-ALA CLP-MAIE)  ... 30 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 32 ,
Fico Roberto , Presidente ... 33 ,
Di Trapani Vittorio , segretario di UsigRai ... 33 ,
Fico Roberto , Presidente ... 34 ,
Di Trapani Vittorio , segretario di UsigRai ... 34 ,
Cestaro Massimo , segretario generale SLC-CGIL ... 35 ,
Airola Alberto  ... 36 ,
Fico Roberto , Presidente ... 36

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 9.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione della presidente, del consiglio di amministrazione e del direttore generale della Rai.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399), della presidente, del consiglio di amministrazione e del direttore generale della Rai, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Comunico che non sono presenti all'audizione, per pregressi impegni, i consiglieri di amministrazione Marco Fortis, Paolo Messa, Carlo Freccero e Giancarlo Mazzuca.
  Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
  Do la parola dapprima alla presidente, quindi al direttore generale, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere alla presidente, al direttore generale e ai componenti del consiglio d'amministrazione, al termine dei due predetti interventi, domande e richieste di chiarimento.

  MONICA MAGGIONI, presidente del consiglio di amministrazione della Rai. Intervengo sostanzialmente per dire che come azienda abbiamo accolto con grande favore che si sia arrivati alla firma di questa convenzione. Che il testo centrale rimetta ancora una volta Rai al centro del sistema di comunicazione, di produzione culturale del Paese, non può essere visto da Rai che come molto positivo. L'intero schema attorno al quale si articola la convenzione ricostruisce e ridelinea la possibilità per Rai di continuare ad avere non solo il ruolo di centralità che ha avuto fin qui, ma di continuare a contribuire, se possibile ancora meglio, allo sviluppo in generale del Paese.
  Lo si capisce fin dall'articolo 1, quando si cita l'importanza di favorire l'istruzione, la crescita civile, il progresso e la coesione sociale; di promuovere la lingua italiana, la cultura e la creatività; di salvaguardare l'identità nazionale; di assicurare prestazioni di utilità sociale. Semplicemente leggendo il primo comma dell'articolo 1, si capisce ancora una volta l'impianto teorico su cui ci si muove, l'obiettivo dato alla Rai e il dovere di Rai.
  La mia personale lettura e interpretazione di quello che qui viene riaffermato è che a Rai viene data questa centralità, ma le si dice anche che cosa ci si aspetta dall'azienda e da tutte le sue componenti perché possa essere realmente un punto di sviluppo per il Paese. Andando un po’ più nel dettaglio e analizzando alcuni dei passaggi Pag. 4 che giudico chiave, non perché ve ne siano di meno importanti, vale la pena di dibattere un istante e ho trovato particolarmente importante, all'interno del comma 1, il passaggio della convenzione in cui si fa esplicito riferimento al rispetto del divieto assoluto di utilizzare metodologie e tecniche capaci di manipolare in maniera non riconoscibile allo spettatore il contenuto delle informazioni. Significa essere già in grado di guardare dentro il sistema di informazione e produzione delle notizie in cui ci troviamo immersi: che si sia sentito il bisogno di esplicitarlo in un articolo del testo della convenzione dà a Rai ancora di più un ruolo nel tentativo di costruire un grado di affidabilità nel rapporto tra sé e gli spettatori – che non bisognerebbe ormai più chiamare spettatori, ma fruitori a tutto tondo della produzione di contenuti Rai – mi sembra importante. Oltretutto, se ruolo può avere il servizio pubblico in questo momento e non solo nell'informazione, ma in tutta la sua capacità di produzione di contenuti, è proprio quello di essere accountable, responsabile di quello che fa e, soprattutto, affidabile nella sua possibilità di verifica dei contenuti. Di conseguenza, penso che un passaggio di questo tipo metta, rispetto all'azione di Rai, ancora una volta al centro che dobbiamo essere in grado di dotarci al più presto di strumenti con i quali dare la possibilità a tutti i cittadini, a tutti gli utenti, di capire quando si trovano in presenza di contenuti verificati, con quale tipo di verifica, con quale tipo di affidabilità di sistema. Se ha un senso essere servizio pubblico, è anche perché bisogna essere ancora più responsabili e affidabili nella produzione dei contenuti.
  Mi sembra importante passare anche attraverso l'articolo 3, quando si parla dell'adeguato sostegno allo sviluppo dell'industria nazionale dell'audiovisivo. All'interno di quell'articolo, infatti, si intuisce anche che Rai non solo deve produrre, ma deve essere fattore positivo e abilitante per l'intero sistema. Al di là di quello che Rai fa in proprio, ci devono essere anche la visione, la capacità e lo sguardo per cui Rai diventi stimolo positivo anche per il resto del sistema e – mi si lasci dire – del mercato dell'audiovisivo del Paese. Al netto della propria centralità, ci deve essere sicuramente la capacità di Rai di essere elemento positivo anche per il resto del mercato.
  Un punto che forse merita un istante di riflessione e che potrebbe essere oggetto, credo, di analisi e valutazioni da parte dei lavori che questa Commissione si troverà a fare su questo testo di convenzione, che poi ricordo, non certo a voi ma per completezza di ragionamento, dovrà essere perfezionato all'interno di un contratto di servizio, è quanto disciplinato dall'articolo 13, al comma 2, quando si dice: ai fini della determinazione dei costi rilevanti anche per la determinazione annuale dell'ammontare del canone di abbonamento, si prevede che Agcom e MISE, ciascuno per le sue rispettive competenze, verifichino annualmente la realizzazione degli obiettivi di efficientamento e razionalizzazione indicati nel contratto di servizio, l'attuazione del piano editoriale e via discorrendo. Questo passaggio è molto importante. Io lo giudico molto positivamente dal punto di vista della trasparenza. Parte dell'essere accountable è anche che chi lavora dentro il servizio pubblico e utilizza risorse pubbliche nella propria azione deve essere in grado di rendere conto di tutto quello che fa. Non sono preoccupata dall'elemento del controllo, anzi; non sono preoccupata dall'elemento della trasparenza, anzi, purché l'elemento del controllo – lo devo per forza dire, anche in virtù del lavoro che ho fatto tutta la vita – si fermi un passo prima del controllo editoriale in senso stretto e chieda, piuttosto, rispetto del pluralismo, ma lì si fermi. Che l'elemento del controllo vero e proprio, ossia il raggiungimento degli obiettivi (economici e/o obiettivi ISTAT strategici fissati dall'azienda), non sia messo ad esempio un piano su base triennale di risorse certe, ma in collegamento diretto con l'annualità, potrebbe essere un problema, di cui secondo me vale la pena ragionare insieme per capire se questa sia l'unica formulazione possibile o se, invece, dare una garanzia pluriennale di risorse, all'interno della quale fare dei controlli puntuali, quelli sì, sulla realizzazione degli obiettivi, Pag. 5 non sarebbe un modo per garantire al servizio pubblico un'autonomia rispetto alle scelte dell'Esecutivo, che rischia in questo modo di essere compressa in questa verifica annuale. In pratica, è uno dei punti direi qualificanti. Direte che tutte le volte che arriva, la Maggioni parla di BBC, ma non lo faccio per un mio vezzo personale. Effettivamente, è un modello di servizio pubblico forse più avanzato col quale possiamo fare i conti. Andando a rileggere i passaggi del Royal Charter sul legame tra verifiche e risorse, si capisce che metterle in relazione così diretta può incidere sull'autonomia e sulla libertà dal potere politico del servizio pubblico. Non è una cosa sulla quale nessuno abbia una ricetta definitiva, ma trovo che all'interno anche dei lavori che verranno fatti da questa Commissione e nello spazio che si delineerà all'interno del contratto di servizio, probabilmente su questo piano un ragionamento in più varrebbe la pena farlo.
  Queste, sostanzialmente, sono le mie analisi – lo capite – per titoli e per sommi capi. Ovviamente, su ognuno degli articoli della convenzione varrebbe la pena di soffermarsi, ma credo che abbiate tante di quelle audizioni che, se ognuno degli auditi si permettesse di soffermarsi su questi punti, andreste avanti probabilmente per un anno e mezzo. Tenterò quindi la sintesi, e mi fermo qui, avendo evidenziato alcuni dei passaggi che secondo me valeva la pena mettere in rilievo. Mi sembra opportuno lasciare la parola agli altri.

  ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale della Rai. Anch'io cercherò di essere sintetico e di provare a dare un contributo alle audizioni in cui raccogliete i punti di vista sul testo di convenzione, partendo proprio dalla soddisfazione, che ha già condiviso la presidente, per il fatto che viene ribadita all'interno della concessione l'idea che la Rai è centrale per il sistema radiotelevisivo italiano, e per questo avrà una concessione esclusiva per dieci anni.
  Il percorso, che, come sapete, doveva trovare una sua forma a maggio dell'anno scorso, sono contento che adesso, grazie al lavoro del Governo, sia arrivato a una sua conclusione in questi giorni. Non è soltanto, tra l'altro, il fatto che sia una concessione esclusiva che dà soddisfazione, ma anche che si identifichi in maniera più chiara il fatto che radio-TV e multimedialità diventano gli elementi importanti. Anche nel testo si capisce come l'ambito di servizi che siamo chiamati a dare alle persone, sono espletati nell'ambito di un'idea di azienda, che, come sapete, stiamo trasformando in media company, che vada proprio a pensare a se stessa rispetto a tutte le piattaforme possibili. In questo senso, come ho avuto modo di dire varie volte anche in questa sede, questo è un testo chiave proprio per accompagnare la trasformazione in atto. Dà le linee guida su tutti i punti, che, come diceva bene la presidente, oggi non possiamo affrontare uno a uno. Dà però una visione sulle tematiche importanti sulle quali confrontarsi, come quelle qualitative. Non rileggo l'importante articolo 1, che citava la presidente, ma si parla anche di promuovere la lingua e la cultura italiana, di salvaguardare l'identità nazionale.
  Quello che per me è importante sottolineare, probabilmente uno dei punti che ci sta più a cuore, come ha appena detto la presidente, è che cosa significhi per un'azienda e per chi la gestisce trasformarla nell'ambito di un quadro di convenzione che cambia. Qual è l'elemento fondamentale per riuscire a unire trasformazione e innovazione? Avere un quadro certo di riferimento. Sono i quadri chiari quelli che consentono di mettere le azioni su un piano pluriennale, e quindi fare trasformazioni e investimenti che si basano sulla possibilità di pianificare le attività. A maggior ragione, se posso permettermi una digressione di un minuto, crediamo che questa trasformazione, cominciata un anno e mezzo fa, stia producendo i suoi risultati, a partire da quelli più evidenti, per esempio che dal 1° gennaio la Rai è a più del 40 per cento di ascolto nel prime time, grazie anche a molte cose, come la strategia sulla fiction, che hanno portato prodotti che non c'erano prima, come Schiavone, o anche il successo che sta avendo Rai Due con La porta rossa in questi giorni. Pag. 6
  Ci sono anche attività magari meno visibili, ma altrettanto importanti. Citerò adesso la BBC in un altro senso, non in quello della presidente. In questi giorni, c'è stato ad Amsterdam il Promax, gli Oscar europei della creatività: oltre ad aver vinto vari premi, con la nostra direzione creativa, che, come sapete, è stata creata da un anno o poco più, abbiamo vinto il Marketing Tema of the Year, davanti a BBC, a MTV e a NBC Universal. È un altro esempio di che cosa significhi trasformare un'azienda. Rai Play non solo ha raggiunto i 30 milioni di browser unici nella sua breve storia – ce l'abbiamo da sei mesi o poco più – ma è notizia di ieri, che avrete visto probabilmente nella rassegna di oggi, che è diventato il primo sito televisivo italiano. Anche questo, a sei mesi dalla sua nascita, mi sembra un grande esempio di cosa voglia dire trasformarsi.
  Proprio per questo – torno un minuto sul tema delle risorse – proprio per pianificare la continuazione di questo tipo di attività e per rafforzare questo tipo di iniziative, è importante avere una prospettiva pluriennale dal punto di vista delle risorse. Sono d'accordo anch'io con la presidente, ben vengano le verifiche sulla corrispondenza tra gli obiettivi che l'azienda si dà, concordati con l'azionista, e le azioni fatte, sempre tenendo conto che l'obiettivo finale è quello di avere un'azienda culturalmente viva, che possa contribuire in maniera significativa alla trasformazione del Paese. Allo stesso tempo, secondo me questi obiettivi devono essere chiari. È più facile avere regole d'ingaggio su obiettivi quantitativi? Sulla digitalizzazione del Paese, per esempio, o sugli aiuti al sistema audiovisivo, quanto più questi obiettivi sono chiari, tanto più è facile verificarne il raggiungimento. Si deve avere, però, questo tipo di verifica su un ordine pluriennale, che consenta appunto di organizzare e pianificare la trasformazione. Tra l'altro, un punto specifico, che sarà uno degli argomenti, sono le risorse pubblicitarie, a cui tengo molto. Nel testo c'è anche l'indicazione su come vada venduta la pubblicità dal punto di vista della sua prezzatura. Su questo sono d'accordo. Tenete conto che, da quando sono arrivato, nel 2015, ho immediatamente chiesto che venisse invertita la rotta della prezzatura. Penso che non solo si possa farlo per il futuro, ma che sarebbe auspicabile che l'aveste fatto anche per il recente passato, per vedere proprio come è cambiato, usando qui (com'è indicato) dei soggetti terzi con delle metriche molto chiare.
  Sulla pubblicità – rubo anche qui un minuto – è molto semplice: è sufficiente vedere i ricavi delle società, dividere questi ricavi pubblicitari di tutti gli operatori per i secondi messi in onda, e si ottiene il prezzo. Questo, misurato di stagione in stagione, di anno in anno, dà l'idea effettiva, al di là di listini e sconti. È il dato reale che identifica se effettivamente i prezzi sono aumentati o diminuiti. Questo, secondo me, è molto importante, proprio perché rivendichiamo il lavoro fatto quotidianamente.
  Concludo dicendo che, oltre alle risorse, per noi è molto importante avere un insieme di strumenti, ovvero che ci sia una coerenza tra missione, risorse e modalità di azione. Come sapete, in questo momento stiamo affrontando, anche dal punto di vista aziendale, alcune tematiche delicate, che riguardano il modo in cui operiamo sul mercato, nel senso della possibilità di essere effettivamente presenti come siamo stati fino ad oggi, con una strategia senza limitazioni per la nostra azione. Credo che questa coerenza tra missione, risorse e modalità di azione sia fondamentale anche per riuscire a dare forza alle richieste fatte all'interno della convenzione, che poi troveranno forma nel contratto di servizio. In sintesi, proprio perché oggi, come diceva la presidente, siamo in tanti, questo è il ragionamento su quelli che penso e pensiamo possano essere gli elementi di attenzione che rivolgiamo a voi, che avete il compito di analizzare e dare un parere, che troverà forma, confronto, in una fase successiva, anche all'interno di un confronto per il contratto di servizio.

  ARTURO DIACONALE, consigliere di amministrazione della Rai. Vorrei semplicemente condividere quanto indicato dalla presidente e dal direttore generale e insistere Pag. 7 sul punto rappresentato dal secondo comma dell'articolo 13. Credo sia un punto estremamente importante quello che stabilisce, al fine di una corretta individuazione, le verifiche annuali da parte delle autorità ministeriali e del Ministero dello sviluppo economico. La verifica deve riguardare gli obiettivi di efficientamento e razionalizzazione e l'attuazione del piano editoriale. Credo che manchi qualsiasi riferimento, ad esempio, al fatto che queste verifiche dovrebbero essere compiute anche dalla Commissione di vigilanza. Che la verifica del piano editoriale possa passare esclusivamente attraverso il controllo di un'autorità di Governo introduce un elemento di preoccupazione sul rispetto del principio fondamentale che il servizio pubblico deve applicare, che è quello del pluralismo. I Governi possono cambiare e i criteri con cui si possono compiere queste verifiche possono essere di tipo assolutamente soggettivo... usiamo questo termine. Credo che su questo punto bisognerebbe compiere una verifica.
  Infine, nelle discussioni che si fanno molto spesso c'è sempre un riferimento alla BBC, riferimento importante. È un modello a cui tutti i servizi pubblici vogliono aspirare. Vorrei sottolineare che la caratteristica della BBC è non avere pubblicità nel servizio pubblico, tranne che nella rete rivolta all'estero. La convenzione conferma, invece, la natura della Rai, pubblica, ma che al tempo stesso può svolgere attività commerciali. Credo che un indirizzo per dare alla Rai risorse certe attraverso un canone dalla durata fissa almeno triennale per garantire risorse adeguate, che consenta di mettere sul mercato le risorse pubblicitarie, potrebbe dare un riequilibrio complessivo al sistema informativo nazionale. Quei milioni che la Rai può recuperare dal mercato potrebbero essere utilizzati dalle altre emittenti e dalla carta stampata per un riequilibrio complessivo, naturalmente dando alla Rai le risorse di cui ha bisogno, una volta identificate nei 113 euro di canone, che, se tornassero a quella cifra, una volta separata con esattezza la parte pubblica dalla parte commerciale, potrebbe neppure incidere sull'umore dei contribuenti e dei cittadini.

  FRANCESCO ANGELO SIDDI, consigliere di amministrazione della Rai. Condivido anch'io quanto hanno già detto la presidente e il direttore generale e anche alcune considerazioni del collega Diaconale.
  Credo che sia importante rilevare come la convenzione finalmente colmi un vuoto che ha reso complicato programmare l'attività dell'azienda con un occhio di lunga gittata, essendo per lunghi mesi in stato di proroga. Adesso, si apre una fase nuova, che risente del quadro legislativo, base che è stata cambiata alla fine del 2015, in vigore dall'inizio del 2016, e che però porta ancora in sé condizioni condizionanti – chiedo scusa per il gioco di parole – legate all'introduzione a suo tempo delle norme volute dal Governo Monti (il prelievo sul canone del 5 per cento), poi rafforzate proprio all'epoca del Governo Renzi con l'introduzione del canone in bolletta, che ha cambiato un po’ la fisionomia del finanziamento Rai, ma stabilendo una quota e non più il canone riservato alla Rai. Questo è un punto su cui fare una riflessione, oggi, alla luce del fatto che la convenzione durerà dieci anni in condizione di esclusiva per l'esercizio dell'attività radiotelevisiva pubblica. Nel 2018, questa quota dovrebbe cessare di essere considerata tale e si spera possa consentire di riportare interamente il canone in ambito Rai. Su questo punto credo che una riflessione della Commissione di vigilanza del Parlamento sia necessaria in prospettiva.
  Essendo molti discorsi, legati al finanziamento strutturale dell'attività del servizio pubblico, orientati anche a intervenire sul sistema misto di finanziamento, molto parziale, quello della pubblicità, è necessario ricondurre il canone, magari con atti di indirizzo, che possono determinare nuove norme (in sede di legge di stabilità o in altre norme primarie) in grado di dare alla convenzione la necessaria spinta al sostegno, all'innovazione anche programmatica e alla programmazione pluriennale, indispensabili per un'azienda a cui lo Stato chiede, anche attraverso la convenzione, di Pag. 8innovare profondamente. È evidente che tutti i programmi di innovazione oggi hanno risentito e risentono, pur in presenza di attività importantissime, che il direttore ha ricordato, soprattutto la digitalizzazione, di questa condizione ancora incerta.
  Peraltro, anche il dibattito degli ultimi mesi intorno all'esclusività o meno del servizio pubblico affidato alla Rai creava elementi di incertezza, anche se non credo basati su una possibilità reale di incidere su questo punto. In un sistema misto oramai da quasi trent'anni, invece, è necessario individuare bene appunto i canoni di intervento e di operatività.
  Credo che alcune previsioni presenti in convenzione siano molto rilevanti: i dieci anni della convenzione – io ne avrei preferiti venti, ma la legge così ha fissato – col contratto di servizio basato, invece, su un arco temporale di cinque anni. Quest'arco temporale di cinque anni richiede uno sforzo legislativo – se non si può colmare immediatamente in sede di convenzione – perché anche la programmazione, e quindi anche il finanziamento a monte, sia poliennale. È indispensabile. Non c'è dubbio che una certezza di risorse di canone può anche consentire l'intervento su quella manovra pubblicitaria di cui tanto si parla. Ho l'impressione che quella convenzione su alcuni aspetti sia molto legata alla contingenza del dibattito politico e anche all'intervento della concorrenza, che a più riprese ha cercato di incidere su questo, sia invocando quota canone, sia invocando mano libera sulla pubblicità, togliendola alla Rai. Personalmente, ho espresso più volte l'avviso che la pubblicità si possa togliere alla Rai se alla Rai si danno, a fronte degli obblighi che si vuole affidarle, addirittura cresciuti, 100-110 euro di canone fisso. Capisco che una volta, però, che si è abbassato il canone, riportarlo a 100-110 sia difficilissimo. Allora, si lasci tutto il canone alla Rai e, probabilmente, si potrà intervenire ulteriormente, stabilendo una barriera più forte ancora sul limite della pubblicità, lasciando al mercato della competizione più spazio da quel punto di vista. Diversamente, c'è bisogno di questo sistema, peraltro molto moderato. Gli affollamenti in Rai sono oggettivamente assai moderati.
  Anche la polemica recente in ordine al presunto dumping, su cui c'è di fatto un riferimento che trova un richiamo dentro la convenzione, quindi in un atto costitutivo e non nel contratto di servizio, deve servire ad avere una chiara impostazione di gestione. Mi pare, però, che la Rai – lo ha detto il direttore generale poc'anzi – abbia da tempo cessato certe prassi, anche se, quando deve stare sul mercato della raccolta, deve fare i conti con gli altri competitori. Negli ultimi tempi, i competitori, che hanno più libertà non avendo vincoli pubblici – è anche lì la differenza tra servizio pubblico e privato – stanno facendo altro che dumping. Hanno abbassato drasticamente le tariffe per raccattare il massimo di pubblicità possibile. È legittimo, ma allora bisogna sapere che, avendo la Rai un indirizzo chiaro, essere elemento di equilibrio, la Rai diventa di fatto un pivot di sistema, sul quale c'è la garanzia dell'intervento del controllo pubblico. Questo è un punto importantissimo proprio a favore della tesi del servizio pubblico radiotelevisivo.
  Un altro punto vorrei sottolineare. La convenzione mette in radice il tema della regionalizzazione, della presa del territorio. Deve essere in tutte le regioni, quindi si fuga un dubbio, un problema. Non è un problema di palazzi presenti nelle regioni, ma di relazioni e di informazione da garantire nelle regioni con qualità e trasparenza.
  La Rai sta avviando un processo in cui mette in campo due circuiti di informazione: quella di flusso e quella generalista, direi gerarchica e di approfondimento. Su questo c'è da fare ora un termine di sviluppo ulteriore, anche alla luce delle sollecitazioni che la Commissione invia alla presidente, al direttore, al consiglio di amministrazione, per il piano editoriale. Non c'è dubbio che le innovazioni che arrivano anche dalla convenzione richiedano una riflessione matura per essere adeguati e all'altezza. Chiaramente, il tempo ci congiura contro. La convenzione scatterà a maggio, poi ci sarà il contratto di servizio: Pag. 9nel frattempo, occorre mandare in onda tutti i programmi 24 ore su 24 e continuare a innovare.
  Oltre alla regionalizzazione, mi pare importante – questo mi ha anche un po’ sorpreso – la presenza nella convenzione, non già nel contratto di servizio, quindi ancora più forte, di un elemento appunto molto forte su cui deve riflettere la Rai, tutta la sua dirigenza, dalla dirigenza che ha l'obbligo e il compito primario di gestione, al consiglio, che ha compiti di indirizzo e di controllo: la valorizzazione delle risorse interne. La Rai, anche qui, deve sciogliere un nodo. È importante l'indirizzo che danno gli organi di promozione a tutela degli azionisti e del Parlamento, che è l'azionista reale, il vero proprietario, in nome dei cittadini italiani, del servizio pubblico radiotelevisivo. La Rai deve produrre di più o deve comprare di più? Credo che su questo il dibattito non sia ancora sviluppato adeguatamente. Personalmente, sono dell'avviso che, proprio alla luce delle condizioni date anche dalla convenzione, si debba riguardare molto quello che può e deve fare direttamente. Deve avere col mercato delle produzioni intellettuali, culturali e di intrattenimento un rapporto sempre più trasparente e decisivo, sempre più attento a dettare la sua linea primaria e a non subire quella di un mercato che si è drogato grazie alla presenza di manager potentissimi, che non si può far finta che non esistano, ma dai quali, anche alla luce degli obblighi di convenzione, credo che la Rai possa trarre maggiore forza.
  Ritengo, altresì, che siano importanti le sottolineature sullo sviluppo tecnologico, con particolare riferimento alla controllata Rai Way. In queste settimane arrivano indirizzi chiari e precisi alla dirigenza Rai, trattandosi di un'azienda che diventa strategica per il Paese, per la sua democrazia. La capacità trasmissiva, concetto introdotto per la prima volta in un atto amministrativo, non ancora in un atto legislativo – finora, parliamo di frequenze – è una condizione fondamentale per stabilire, attraverso le regole di democrazia, gli accessi alla comunicazione, al trasferimento dei segnali, e quindi alla possibilità di più soggetti attraverso regole di garanzia pubblica di essere presenti come una volta le edicole, che dovevano garantire a tutti i giornali di essere distribuiti entro una certa percentuale nel territorio.
  La convenzione, agli italiani oltre che alla Rai, pone un obbligo nuovo, più volte qui emerso: garantire la copertura del segnale al 100 per cento della popolazione, non più del territorio, ma della popolazione. Mi pare un fatto di grande significato, che però comporta spese. Occorre saperlo. Non è che il fatto che la Rai debba dare la tesserina o il modem, come fa capire la convenzione, non costi: tutto ha un costo. Allora, occorre assicurare alla Rai, a maggior ragione, un flusso di finanziamenti certo e deciso per supportare tutto questo processo. Su questo credo che serva ancora qualche riflessione in più. Se poi servono altre osservazioni sul canone, personalmente ho alcune altre idee.

  RITA BORIONI, consigliere di amministrazione della Rai. Mi associo a quanto detto dal presidente, dal direttore generale e dai miei colleghi proprio sul doppio problema, cioè della funzione e del ruolo regolatorio del servizio pubblico sul mercato, che come tutti sapete ha una drammatica tendenza alla concentrazione. La Rai, come deve essere da parte delle aziende pubbliche, deve assolvere anche a questo ruolo di regolazione dei mercati. A questo si associa, come diceva il collega Siddi da ultimo, un tema che attiene alla certezza delle risorse. Laddove abbiamo, e avremo sempre di più, una certezza di funzioni da assolvere, questa dovrà essere accompagnata da una certezza ragionevole delle risorse che devono essere usate per assolvere a queste funzioni, peraltro pubbliche.
  Sempre Siddi ha affrontato il tema delle risorse interne. È di questi giorni la questione che si è aperta ancora una volta, e sottotraccia continua a esserci, della vicenda del precariato Rai. Sono convinta che non ci sia una volontà vessatoria nei confronti delle partite Iva in sé. Fermo restando che abbiamo sicuramente una quantità importante di personale interno Rai, c'è anche la necessità dell'introduzione di alcuni professionisti, ad esempio sul piano Pag. 10autoriale, ma anche di professionalità nuove. In questo momento però è molto difficile riuscire a fare il famoso turnover in Rai. Per fare questo, sono necessarie risorse certe, è evidente. Resta fermo, però, che la Rai deve fare uno sforzo importante sulla questione delle sue partite Iva, come dovrebbe fare la pubblica amministrazione in generale e non solo, e su questo credo non ci siano dubbi. Un'azienda che mai come in questo periodo punta così tanto alla qualità e all'innovazione non può dimenticare che il lavoro malpagato difficilmente porta innovazione e qualità. Anche questo tema di un importante turnover dentro l'azienda sono convinta sia legato fortemente alla certezza delle risorse.
  Non voglio tornare sugli argomenti già affrontati, trovo sempre molto importante, in tema di creatività e innovazione, il passaggio in cui, all'articolo 3, si dice che il contratto nazionale di servizio «potrà definire durata e ambito dei diritti di sfruttamento radiofonico, televisivo e multimediale negoziabili della società concessionaria». Noi conosciamo quello che è stato a lungo un problema delle televisioni in relazione a produzione cinematografica e audiovisiva, una contrattazione in cui la forza dei media, delle media company o delle televisioni, ha creato in alcuni casi delle problematiche alla produzione. Infine – non vi stupirete – vorrei fare un'osservazione su come è affrontato il tema della cultura alla lettera d) del comma 1 dell'articolo 3, gli obblighi della concessionaria. Trovo che ci sia una certa visione quando si dice: «un numero adeguato di ore di trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate all'educazione, all'informazione, alla formazione, alla promozione culturale, con particolare riguardo alla valorizzazione delle opere teatrali, cinematografiche [...]». Non c'è una parola sul tema della crescita culturale dei cittadini. Non c'è una parola su questo. Non credo che il nostro scopo sia esclusivamente essere una vetrina della produzione culturale italiana se non inseriamo un elemento di divulgazione, una parte fondamentale per la parte pubblica, appunto, per accompagnare i cittadini alla conoscenza della cultura. Ho detto scherzando al direttore generale, ed era chiaramente ironico: «Se dovessimo assolvere assolutamente a quello che dice la lettera d), dovremmo fare un bel canale in latino con musica barocca, e assolveremmo immediatamente. Certo, sul piano del nostro dovere di accompagnamento delle persone alla conoscenza della cultura, forse cadremmo drammaticamente». Credo che questa lettera d) dovrebbe essere aggiornata rispetto al nostro dovere – lo ribadisco – di portare i cittadini, gli italiani, e non solo, alla conoscenza del variegatissimo alto e basso mondo culturale italiano, e non solo.

  GUELFO GUELFI, consigliere di amministrazione della Rai. A parte dire che sono molto d'accordo con le cose che sono state dette dai miei colleghi, in particolar modo ben puntualizzate dal collega Franco Siddi, come fa spesso e come fa bene, mi preme anche cercare di costruire alcune considerazioni, che partono dal fatto che sappiamo che la concessione che è stata firmata è in ritardo di un anno. Questo ritardo si deve a un motivo di relazione, di puntualizzazione, al fatto che la gerenza attuale, coloro che sono al vertice della Rai, come sapete nasce dalla contrapposizione di due processi legislativi uno in sostituzione dell'altro. La direzione viene dal principio legislativo per cui si individua un amministratore unico, un amministratore delegato, e il consiglio d'amministrazione è ancora la conseguenza della precedente legge Gasparri. Questo ci ha messo di fronte a un tempo in cui le cose dovevano conquistarsi la fiducia della relazione sul campo, nel prodotto, nel modo, nei risultati che la Rai, la televisione, riusciva a mettere in campo. Siamo partiti, e la convenzione viene a un anno e mezzo di distanza, da un piano industriale che aveva alcuni elementi centrali, fondamentali, che lo caratterizzavano. Il primo di questi elementi era la media company, ma soprattutto riuscire a colmare il gap digitale, il ritardo che la Rai accumulava sul terreno della produzione, delle modalità, della cultura digitale.
  Ci diceva il direttore, che in un solo anno abbiamo raggiunto quelle posizioni di eccellenza e di primato che fanno sì che nel Pag. 11contratto di servizio, quando si parla all'articolo 1 di contenuti audiovisivi e multimediali, si dica una cosa che capiamo che cos'è, che è in essere, in esercizio, ossia il punto più avanzato della politica industriale della nostra azienda. Dove voglio arrivare? Siamo tutti un po’ precari, abbiamo una posizione che ci spinge a pensare oltre, che ci ha fatto lavorare tanto, ha prodotto grandi risultati, ma che stentiamo a fare nostri nel nostro insieme, voi Commissione, voi Parlamento, noi ente. Stentiamo a riconoscerci non come soggetti da sottoporre a verifica annua. Questo mi ha colpito. Mi colpisce anche un po’ l'accento dei miei colleghi. Il termine «verifica» non mi convince granché. A me sembra che dovremmo avere una reciprocità e una relazione tale che annualmente sottopone a un confronto l'opera che stiamo svolgendo perché questa possa essere modificata, anzi apprezzata, modificata, aggiornata, com'è normale che sia, come dovrebbe essere normale che fosse. Non è una struttura di controllo, a cui si lega l'apertura e la chiusura del rubinetto dei finanziamenti, e quindi la possibilità di procedere o recedere. È un modo di essere, di funzionare, tra il Parlamento, il Paese e la sua emittente. Noi non siamo l'emittente di un Paese vicino, nemmeno di un Paese amico. Siamo l'emittente dell'Italia. Siamo l'azienda di comunicazione pubblica. Con questo si vuole dire che siamo lo strumento prioritario della comunicazione che il sistema Italia propone ai propri cittadini. Quelli della verifica sono temi del confronto, della concertazione, dell'aggiornamento e aggiustamento delle esperienze che stiamo compiendo. Penso che la convenzione, per com'è scritta e per come l'ho letta, stia totalmente in piedi, anche a prescindere dalle singole interpretazioni. C'è la durata, c'è la modalità, c'è l'esclusività, c'è il valore deposto. Mi auguro che, nel prosieguo di queste considerazioni nel nostro confronto, si vadano a mettere in esercizio le note. Le note non sono opinioni. Devono essere opportunità, cose, elementi. Pensare che il finanziamento sia legato al caso non è da azienda, non sta nello spirito di nessuna azienda. Pensare che quest'azienda sia soggetta a limiti che ne impediscono la programmazione o la progettazione non è da azienda. Vuol dire che rinunciamo al fatto che la Rai, la Radiotelevisione italiana, sia l'azienda di comunicazione pubblica, lo strumento audiovisivo di contatto con tutti i cittadini del nostro Paese. Per i risultati che fa, che ha fatto e che sta facendo in questi ultimi tempi e da molto tempo, con prodotti ben identificati, di cui sappiamo (non solo noi, ma la stragrande maggioranza dei cittadini italiani) il nome e cognome, se questa è la nostra azienda, bisogna che procediamo con una fiducia e una capacità reciproche di produrre interventi migliori di quanto fin qui forse abbiamo fatto.

  MAURIZIO ROSSI. Ringrazio consiglieri di amministrazione della Rai, presidente e direttore generale. Ho sentito delle considerazioni importanti. Ci tengo a dirvi che diverse situazioni che non condivido non sono una colpa assolutamente da addebitare a Rai, ma secondo me una colpa del Governo e di come ha impostato la convenzione, come premessa.
  Detto questo, come ho fatto ieri, porrò delle domande, che vi ho anche consegnato per iscritto. Rispondete a quelle che potete, cortesemente, già verbalmente. È molto importante, però, siccome dobbiamo stendere una relazione con il collega Peluffo, avere risposte scritte domanda per domanda. Come gentilmente Agcom ieri ha detto che ci consegnerà, vi chiedo cortesemente di consegnarle anche voi.
  Durante il periodo di proroga, avete svolto atti di straordinaria amministrazione? Se sì, quali? Di quali durate? Con quali impegni economici?
  In nessuna legge viene spiegato perché la Rai sarebbe l'unico soggetto in grado di fornire il servizio pubblico, mettendo in dubbio lo stesso affidamento secondo le normative italiane ed europee. Voi ritenete la Rai l'unico soggetto in grado di fornire il servizio pubblico? Per quale ragione? Che differenza c'è tra un programma di Giovanni Minoli, Lilli Gruber e Floris mandato in onda su Rai o su altre emittenti? Se Porta a Porta di Vespa passasse da Rai a Sky a LA7, non sarebbe più un programma Pag. 12di servizio pubblico? Per contro, Ballando con le stelle o programmi similari – non so se sia inserito tra i programmi di servizio pubblico – è di servizio pubblico perché è sulla Rai?
  Nella relazione di Agcom di ieri viene scritto: «le attività di servizio pubblico siano nettamente distinguibili e identificabili come tali», quindi torniamo alla necessità di inserire il bollino blu, come peraltro io sostengo da sempre; «il perimetro del servizio pubblico va riconsiderato e dettagliato – sempre Agcom – anche allo scopo di rendere efficace il modello di separazione e corretta e trasparente la gestione delle risorse derivanti dal canone»; «il modello di separazione contabile [...] non ha pienamente corrisposto ai princìpi di efficacia ed economicità» ed è privo di un sistema sanzionatorio. Ancora Agcom: «Alla luce della oggettiva inadeguatezza del modello vigente», si ricorda che la Commissione europea «ha tuttavia chiesto agli Stati membri “di considerare come forma di pratica migliore la separazione funzionale”». Pertanto, una volta definita puntualmente la missione di servizio pubblico, sarebbe bene andare verso la separazione funzionale per soddisfare più efficacemente le esigenze di trasparenza postulate dall'ordinamento comunitario, tra l'altro prioritario su quello nazionale, come ben sapete. Significa due società per gestire? Una società per gestire il servizio pubblico e una per i canali commerciali? Si risolverebbe il problema, tra l'altro, di dove inserire la pubblicità. Potete commentare le varie posizioni di Agcom? Dividerete in due le società? Questo è l'obiettivo? A oggi, risulta che sia il vostro ufficio marketing, insieme alla programmazione, a decidere come imputare i programmi, se nella sezione di servizio pubblico o in quella commerciale. Non si può proseguire così: che sistema proponete chiaro e trasparente, come suggerisce anche Agcom, leggibile e identificabile?
  Per quanto riguarda la pubblicità, sino a oggi Rai, tramite la Sipra, ha un affollamento del 4 per cento, ma cumulativo tra i tre canali generalisti, e sposta detta percentuale a suo piacimento, arrivando anche al 7 per cento su Rai Uno e riducendo Rai Tre magari al 2 per cento, perché è la media dei tre canali generalisti che deve fare il 4. Idem, ma vi chiedo conferma, pare avvenga sugli altri canali tematici. Siete coscienti che dovete modificare questa linea con la nuova concessione, molto aggressiva e non corrispondente alle leggi vigenti, in contrasto peraltro con tutto il resto dei canali di servizio europei, e rispettare le percentuali di affondamento per ogni singolo canale? È vero quanto dice il direttore generale, che c'è stata un'inversione di tendenza, e gliene va dato atto, ma è del tutto insufficiente. Peraltro, conoscendo il settore pubblicità sin dalla nascita del mondo delle emittenti private, conosco troppo bene tutti i sistemi per creare pacchetti di grande interesse per i clienti. Questa separazione netta del 4 per cento per ogni canale toglierebbe qualsiasi tipo di problema. È la stessa Agcom che ieri nella sua relazione ha scritto che «i princìpi di leale concorrenza, trasparenza – in riferimento all'articolo 9, comma 2 – [...] hanno carattere generico e non consentono di rispondere all'obiettivo, tra l'altro previsto dalle norme europee in materia di aiuti di Stato al servizio pubblico radiotelevisivo [...] di vigilare sull'assenza di sussidi incrociati tra attività finanziate dal canone e attività commerciali». Accertata la «corretta imputazione di costi e ricavi alle attività di servizio pubblico rispetto a quelli commerciali [...] i princìpi contabili secondo i quali vengono tenuti i conti separati devono essere chiaramente definiti». Dovete leggere con molta attenzione, quindi, secondo me, la relazione di Agcom, che dice, ancora, che è un «tema centrale e nevralgico non solo per la vita e l'esistenza del servizio pubblico stesso, ma anche per gli equilibri e gli assetti del mercato nel quale il servizio pubblico opera».
  Quanto a numero di programmi, canali e Rai Way, a oggi non è definito quanti programmi deve avere la Rai. Lo trovo sbagliato. Deve essere definito contestualmente alla concessione. Ribadisco che non è colpa vostra, ma di come è impostata la convenzione. All'estero, in tutti gli Stati le televisioni pubbliche hanno da tre a un massimo di cinque canali. Pensate di adeguare Pag. 13 la Rai al resto d'Europa, creando peraltro un risparmio di oltre 100 milioni di euro all'anno, un miliardo in dieci anni, per quanto concernerebbe il contratto Rai Way? Con meno canali avreste bisogno di meno frequenze, a un minor costo. In tal modo, contribuireste anche a un uso efficace ed efficiente dello specchio radioelettrico e nell'ambito della revisione del piano nazionale delle frequenze in seguito alla liberazione della banda 700.
  Il piano televisivo non è conosciuto. Al momento, il piano news – sintetizzo, perché sono stato richiamato dal presidente, ma poi ci sono le domande scritte – manca totalmente. Qualche anno fa, si è parlato di una perdita di Rai Radio di 80 milioni di euro all'anno, che in dieci anni sono 800 milioni di euro. Non conosco la situazione attuale: potete raccontarci quali intenzioni avete?
  Quanto ad ammortamenti, costi generali, costi personali e costi dirigenti, come vengono appostati nel bilancio della Rai dette voci? Nella sezione di servizio pubblico totalmente o suddivise tra le due sezioni e con quale criterio di suddivisione?
  Siamo alle ultime due domande. Ho dei dati del 2013 sul numero dei dipendenti: potete dirci, a oggi, il numero di dipendenti, giornalisti e dirigenti? Come intendete operare sulle convenzioni con gli enti pubblici locali, regionali e i ministeri? Quanto rendono a Rai? Intendete proseguire con detti accordi, che sono ulteriore denaro pubblico che entra alla Rai?

  SALVATORE MARGIOTTA. Ho apprezzato il sostanziale apprezzamento che mi pare ci sia stato da parte dei vertici Rai sul testo della convenzione, che anch'io giudico, al netto di alcune questioni da approfondire, un buon testo. Farò domande molto brevi, in modo da stare nei cinque minuti.
  Il primo tema è quello delle risorse. Ho una deformazione professionale e mi piacerebbe – credo che il consiglio di amministrazione della Rai e il direttore ne dispongano – avere qualche dato numerico, e lo dico più semplicemente: quanto «incassava» di contributo pubblico dal canone la Rai prima della riforma? Quanto incassa o ha incassato l'anno scorso, a riforma del canone avvenuta? Quanto – ovviamente, è il calcolo più facile, basta diminuire della percentuale dell'abbassamento del canone previsto – immagina di incassare quando sarà diminuito ulteriormente il canone? Forse, se ragionassimo su questi numeri, potremmo capire alcune cose che a oggi a me sono poco chiare, e la chiarezza aiuta sempre, soprattutto in presenza di un atto così importante quale questo contratto.
  Quanto all'articolo 1, comma 7, piano per l'informazione, dico veramente senza alcuna polemica che, ça va sans dire, si evidenzia ancora una volta un ritardo fortissimo, adesso veramente non più accettabile. Adesso è scritto in convenzione che dovete ridefinire il numero dei canali. Ho visto che l'avete interpretato pensando che bisognasse aumentare di uno, e va molto bene, ma complessivamente bisognerà arrivare a una ridefinizione. La aspettiamo da tempo. Speriamo che prima o poi arrivi.
  In merito, mi ha molto colpito la preoccupazione del consigliere Diaconale sul ruolo della vigilanza. Credo che ci sia un ruolo in sé nella Costituzione stessa e nei compiti della Commissione, ma va approfondito. La perplessità del consigliere Diaconale è, a mio parere, meritoria di considerazione.
  Altra questione, articolo 13, comma 2: ho apprezzato le parole della presidente e del direttore, persino meno critiche di quanto siano stati alcuni dei nostri interventi. Anche noi abbiamo la preoccupazione che il dovere di controllo, peraltro sacrosanto, sulle risorse utilizzate possa determinare una sorta di freno rispetto alla giusta e legittima autonomia della Rai medesima. Faccio solo notare, poi si può tutto migliorare, che è evidente che questo punto sta assolutamente insieme alla riforma, che abbiamo voluto e approvato, che dà grandi poteri all'amministratore delegato. Una frase di quel tipo cinque anni fa non aveva senso. Oggi, se dai tanti poteri all'amministrazione delegato, con un consiglio di amministrazione più debole rispetto a prima, è altrettanto evidente che chiedi un controllo più efficace. Credo, però, che si possa lavorare, visto che lo spirito mi pare condiviso, Pag. 14 al di là di come se ne esce nella formulazione esatta.
  Ho invece evidenziato anche al Sottosegretario Giacomelli la preoccupazione sulla contabilità separata, articolo 14, che già c'è, che va migliorata, come dice l'articolo 14, ma sempre con attenzione a non ricadere nella proposta Catricalà del bollino, che doveva evidenziare le trasmissioni pagate col canone e quelle pagate con la pubblicità, che proprio noi del PD giudicammo sbagliata. Il rischio che l'articolo 14 aprirà la strada a una soluzione di questo tipo mi pare che ci sia. Anche da questo punto di vista, credo sia necessaria una riflessione ulteriore.
  Connessa al tema della pubblicità, che anche Franco Siddi ha trattato molto approfonditamente, è evidente che esiste la questione del tetto al compenso degli artisti. Al di là delle polemiche dei giorni scorsi, delle diverse prese di posizione, poiché vedo ancora che la situazione è molto fluida e capisco che non è tutta nelle vostre mani, anzi forse passa poco dalle vostre mani, vorrei capire se c'è stato un ulteriore approfondimento anche da parte vostra sul singolo tema.
  Infine, una domanda riguarda la radio, su cui mi piacerebbe che rispondesse anche Franco Siddi. In questo momento, esiste un indebolimento della radio, o quantomeno un apparente indebolimento, che passa attraverso la riduzione dei budget, il timore che si perdano i diritti sportivi radiofonici del calcio e così via. Contemporaneamente, trova in quella che chiamo aggressione, ma non è il termine giusto, nella competizione del maggior competitor, cioè Mediaset, un'attenzione molto profonda su questi temi se sono vere le cose che ho letto ieri, e cioè la costituzione di una sorta di polo, che punterebbe sullo sport, almeno per una delle tre emittenti radiofoniche. Su questo, poiché credo che troppe volte dimentichiamo anche noi il tema radio, mi piacerebbe che ci fosse un approfondimento ulteriore.

  ALBERTO AIROLA. Ringrazio tutti voi di essere qua. È un momento molto importante, perché con questo documento e quello che ne seguirà – speriamo il contratto di servizio, che non faccia la fine di quello del 2012, poi cercato di rinnovare da questa Commissione e mai applicato – si va a ridefinire il servizio pubblico in quanto tale.
  È sintomatico – do ragione alla presidente Maggioni – che all'articolo 1 venga subito stabilito chiaramente che l'informazione non deve essere manipolata. Il fatto che venga subito scritto nero su bianco è un po’ come dire a una clinica, a un ospedale, che non deve uccidere i malati che ricovera. Anche questo dovrebbe far pensare. In realtà, abbiamo assistito – non voglio fare polemiche strumentali ad altro – veramente a una manipolazione dell'informazione oltraggiosa, che ha colpito soprattutto la mia parte politica. Avevamo già colto, ma purtroppo non abbiamo ancora certezze, anche in base a quello che voterà il consiglio di amministrazione, una riforma dell'informazione Rai. Una delle mie prime domande, infatti, posta anche a Giacomelli, ma che porrò anche a voi, è: che cosa resta al di sotto del Web a Rainews24 – plaudo alla scelta della direttrice, se accetterà, se in quel verso si andrà – quindi tutto quello che diventerà comparto informazione home-Web su Internet e che raccoglierà i contenuti prodotti dalla Rai televisione? Per adesso, ho solo sentito delle malignità: avevate promesso meno testate e ce n'è una in più. In realtà, potrebbe diventare veramente un sistema per dare risalto a vari tagli di notizia e, soprattutto, agli approfondimenti. Si è parlato di cultura, se ne parla costantemente: la Rai deve produrre cultura, cultura, cultura. Giustamente, qualcuno faceva notare: quale cultura? Innanzitutto, credo che il servizio pubblico debba concentrarsi più sulla cultura tout court che sull'intrattenimento. Si cita spesso la BBC: non so quanto la BBC produca, ma indubbiamente un conto è aiutare la crescita del tessuto produttivo nazionale; altro è produrre autonomamente prodotti che poi vengono anche venduti. Per carità, hanno anche ottimi risultati, ma di fiction o film...
  Una delle cose che qui non è scritta, che scriverei subito, è di tagliare Rai Cinema e la 01. Rimoduliamo con Rai Fiction un nuovo bacino, un fondo economico per Pag. 15produrre documentari, soprattutto co-produrre, cosa che aiuta molto le start up, le società. Devo dirvi che ho trovato in lavorazione un buon prodotto. I tecnici ne hanno parlato bene. Qual è il problema? La società che lo produce è finanziata totalmente da Rai, da soldi pubblici, quindi prende un pezzo di soldi pubblici, dei lavoratori del centro di produzione Rai di Torino, che costa – mi pare sia un terzo del totale della truppa – molto meno, forse addirittura un terzo di costo, e si ritrova quindi molto facilitata, valorizzando sì anche il personale di un centro di produzione, ma non favorendo la continuità della produzione televisiva. Le fiction arrivano e vanno, la Rai resta, la TV resta. Si parla – è emerso anche con Giacomelli l'altro ieri – di opera teatrale, di sostenere il teatro, la musica. Abbiamo l'orchestra della Rai a Torino, abbiamo la lirica, facevamo programmi per bambini. Credo che il servizio pubblico debba concentrarsi su quegli aspetti più che su diventare una grossa casa di produzione, che va benissimo se facciamo documentari. Ricordiamo la consultazione pubblica, quella in cui una serie di punti uscì dalla consultazione... Tutti chiedevano più giornalismo d'inchiesta, di raccontare l'Italia al mondo, giustamente un'attenzione alle minoranze linguistiche, magari definite anche in maniera non così precisa come avviene nella convenzione. Ci sono anche altre minoranze linguistiche, franco-provenzali, per esempio, non soltanto quelle elencate qua.
  Anche relativamente alla narrazione, allo spazio dato alle altre religioni, al 90 per cento c'è uno studio della rappresentazione religiosa cattolica in TV: magari è giusto dare spazio ad altri. Questi sono, secondo me, punti su cui veramente si può ricostruire un servizio pubblico diverso. Ce n'è bisogno, se no ci riempiamo di parole. Le parole di cui spesso ci riempiamo, sia qui sia – penso – in Rai riguardano, per esempio, l'uso più efficiente delle risorse interne. Intanto, è stato lamentato da più parti, anche dalla radio, come si citava poc'anzi, la mancanza di turnover.
  È evidente che anche voi avete bisogno, per il tipo di sfida che la Rai deve affrontare, di professionalità diverse. Quando faccio un'interrogazione alla Rai e chiedo perché Giancarlo Leone va a fare il consulente a Sanremo, mi viene risposto che ha delle grandi competenze: non ha lasciato niente a Rai? Non ha lasciato nulla? Se n'è andato, ed è stato un grande direttore, ma non ha lasciato nessuno capace di fare il suo lavoro. Quando vengono affiancati a standing ovation due direttori della fotografia... Sono casi... Non voglio entrare nel dettaglio. Mi avete anche già risposto, anche se non concordo sulla risposta. È il momento giusto, però, per porsi queste domande: queste non devono più essere parole, ma fatti.
  Non possiamo fare un programma con una certa professionalità... Devo tagliare, presidente? Ho finito il tempo. È vero che le partite Iva non vanno vessate, come si diceva giustamente prima. So che adesso state risolvendo. Vi siete anche premurati di rassicurarmi. Alle partite Iva è stato chiesto tempo fa, a inizio stagione, lo sconto del 10-15 per cento: vessate o non vessate, questo è, chiedete internamente alla Rai. È chiaro che un lavoratore contento, un sistema... C'è anche la questione di Teche, a proposito di lavoratori contenti, che a Teche stanno lavorando per digitalizzare. Secondo me, quello è un punto su cui investire. Non che fossero scontenti di digitalizzare, ma è «il» patrimonio della Rai, è il patrimonio della storia italiana. C'è bisogno di lavorare anche bene su quest'aspetto. Poi avremo, io spero – concludo, presidente – la possibilità di godere di questi filmati, di questo materiale su Internet. Ribadisco che è lì che dobbiamo andare.
  Concludo chiedendo, premesso che Rainews24 ci sarà, che tipo di razionalizzazione avete intenzione di fare sui canali, sulla quantità dei canali. Lì, secondo me, si può avere un servizio pubblico molto più efficiente, sfruttando al meglio le risorse.

  RAFFAELE RANUCCI. Ringrazio la presidente, il direttore generale. Farò tre rapide riflessioni per noi e per il consiglio, che ringrazio della presenza.
  In qualsiasi azienda, in qualsiasi piano industriale, certamente viene fatto un piano Pag. 16triennale, come minimo. Questo piano triennale è sottoposto ai consigli di amministrazione, quindi all'approvazione dei bilanci e all'andamento. Dobbiamo fare veramente una riflessione. Io credo che o consideriamo la Rai un'azienda che deve produrre o la consideriamo – diciamocelo chiaramente – un'azienda che deve solo riferire. Se consideriamo un piano industriale a cui poi è legato un piano economico e finanziario, a cui poi è legato un piano editoriale, dopodiché possiamo metterli uno sopra l'altro e fare la scaletta come vogliamo, vuol dire non che ogni anno sottoponiamo la Rai a una verifica degli andamenti, degli ascolti, ma che le risorse sono legate a questo. Questo non è accettabile. Questo vuol dire che abbiamo parlato per anni della politica fuori dalla Rai e stiamo mettendo non la politica nella Rai, ma nel consiglio di amministrazione. Giudico questo un gravissimo danno. È una riflessione che dobbiamo fare.
  Quanto alla pubblicità, sentiamo spesso una serie di critiche. Dobbiamo avere la possibilità di una concorrenza rispetto al programma a cui è legata, tenendo in considerazione che la Rai ha un tetto. Per quale motivo viene spostato da Rai Tre a Rai Due, a Rai Uno, dall'1 al 3, per mantenere comunque... C'è un tetto, e sappiamo perfettamente che cosa fanno, giustamente, nella loro legalità, nella loro possibilità di farlo, gli altri concorrenti. Io offro un pacchetto a un cliente, nel quale metto dei prezzi; poi che cosa metto? Metto una serie di spot gratuiti in orari non di prime time, in altri orari. La Rai non può farlo. Il pacchetto gratuito non si può fare, perché occuperebbe quella parte di tetto pubblicitario. È normale che poi si giochi sui prezzi. Forse, direttore, bisogna provare a spiegarlo. Io sento che la Rai abbatte i suoi listini del 70, dell'80 per cento. Non abbatte i suoi listini: va sul mercato con un listino e poi si trova – per lo meno, questi sono i miei ricordi – a confrontarsi con realtà e offerte completamente diverse. Quante piccole aziende, in modo anche meritorio, sono cresciute con le TV commerciali, proprio perché avevano questa grandissima flessibilità. Ricordiamoci che la pubblicità della Rai non ha flessibilità.
  Anche il tetto sugli stipendi richiamato dal collega – non ricordo chi – è una follia. Nella riforma Rai avevamo messo che non ci sarebbe stato il tetto. Ricordiamoci e andiamo a vedere che non c'era il tetto per quello che riguardava gli artisti. Era un accordo su un confronto anche con una parte dell'opposizione. Anche qui, avremmo messo fuori la Rai dalla parte di concorrenza. La pubblicità ha già un tetto. Adesso, mettiamo un tetto anche agli artisti. Vogliamo togliere veramente il tetto alla Rai, nel senso che vogliamo far piovere dentro la Rai? Facciamolo. Mi sembra che, a forza di mettere tetti, si facciano soltanto danni.
  Vengo alla tecnologia. Direttore, mi sembra che nell'articolo 2 o 3 si parli della tecnologia, della necessità di applicare le nuove tecnologie. Forse, già le ho posto la questione, ma voglio capire bene se dobbiamo scrivere meglio questo punto o non dobbiamo per forza scrivere quello: che cosa si fa nei prossimi dieci anni della convenzione sulla tecnologia? Le tecnologie evolvono di anno in anno. Abbiamo alle porte il 5G e tutto ciò che è oltre 700: come possiamo preservare e dare la possibilità alla Rai di essere pronta ad affrontare le nuove tecnologie, visto che la convenzione dura dieci anni, e quindi di non fare una convenzione bloccata? Vanno benissimo le porte aperte alla Rai. Sono sempre dell'idea, che poi non è soltanto mia, ma anche sua, di avere un broadcaster center presso cui la gente vada. Ho visto che già qualcosa avete fatto con i ragazzi, ma si può fare una cosa molto importante per la Rai, per la città che la ospita, con un nuovo broadcaster center, come abbiamo sempre detto, a Londra. Ricordiamoci che questa convenzione nasce anche da una novità assoluta – l'ha ricordato il collega Airola – ossia la consultazione che è stata fatta e per la prima volta. È molto più aperta, forse è molto più verso il pubblico, è molto più verso le persone.
  Vorrei aggiungere una cosa, e ho concluso. Come si fa a dare la visione del futuro a un'azienda alla quale, invece, quotidianamente misuriamo soltanto un programma Pag. 17 politico. La Rai è composta al 90 per cento di altro e al 10 per cento di programmi politici. Vi prego: risolvete questo problema dei programmi politici. A me non interessano, al mio collega di più, perché fa più questo... Questa è la sua funzione, non ha la televisione. Credo che dobbiamo risolvere il problema della disputa politica all'interno della Rai. La Rai – l'ho detto, lo ripeto – fa programmi, fa fiction, fa trasmissioni con cui la BBC se la mangia, e noi stiamo sempre a parlare di BBC. Andate a Londra e aprite la BBC, per favore, guardate che cos'è la BBC. Vogliamo ogni tanto difendere un po’ di orgoglio italiano? Guardiamo sempre all'estero.
  Detto questo, per favore, mettete a posto lo sport. Lo sport è un disastro. Lo sport di Rai è un disastro. Va messo a posto. Va messa a posto la possibilità di accedere, ma siamo sulle risorse, quindi oggi si compra quello che si vedrà tra quattro, tra otto anni, le Olimpiadi, gli Europei. Credo, però, che dobbiamo ancora fare un programma e su questo decidere: la Rai trasmette i Mondiali, trasmette le Olimpiadi, non li trasmette? Costeranno sempre di più, lo sappiamo. Anche qui, torniamo: come faccio a programmare una Rai se ho le risorse di anno in anno?

  LELLO CIAMPOLILLO. Mi ricollego brevemente, intanto, alla questione radio. Forse, il futuro dell'informazione e dell'intrattenimento non sarà necessariamente la TV, almeno come la conosciamo oggi, ma sicuramente la radio ci sarà. Ieri, abbiamo avuto l'audizione del presidente Cardani e parlavamo della questione del digitale radiofonico, quindi del DAB plus. Oggi, come si pone la Rai riguardo a questa tematica, quindi al futuro della radiofonia in digitale? Abbiamo scoperto che esiste una delibera dell'Agcom del 2009, 664/09/CONS, che praticamente ha bloccato la sperimentazione. Nelle regioni dove oggi non sono state assegnate dal MISE le frequenze per il digitale radiofonico esiste solo chi nel 2009 ha fatto la sperimentazione. Lo stesso presidente Cardani ha ribadito la scarsità delle frequenze destinate al DAB: peccato che abbiamo visto come uno dei mux che hanno avuto l'autorizzazione nel 2009 sia stato in pratica quasi interamente assegnato a Rtl, che ha inserito un sacco di canali (Rtl, Rtl lounge, Rtl pop, Rtl music, Rtl viaradio digital), nove canali. Le frequenze non ci sono, e noi a chi le abbiamo assegnate? Soltanto a un soggetto o a pochissimi soggetti. Oggi, di fatto, soggetti nuovi non possono sperimentare il DAB. Questo sancisce la chiusura definitiva del DAB. Se non c'è un'offerta, un bouquet, è ovvio che la popolazione non sarà interessata ad acquistare i ricevitori, quindi neanche le case costruttrici, le case di automobili a inserire il DAB nelle loro autoradio. Vorrei capire che cosa ha intenzione di fare la Rai riguardo al DAB.
  C'è poi una questione. La Rai ha acquisito in Puglia una trentina di torri da società privata, anzi avrebbe proprio acquisito un'intera Srl, sembrerebbe con anche i dipendenti. Io sono proprio sbalordito, e vorrei capire innanzitutto, visto che siete qui voi, il senso di quest'acquisizione sul piano industriale, ma più che altro sulla base dei noti problemi di bilancio della Rai. Come è stata fatta questa valutazione? Sulla base di quali criteri? Quali sono i costi di quest'operazione? Le anticipo che chiederò un accesso agli atti per l'acquisizione del fascicolo.
  Quanto alla capacità trasmissiva, secondo l'articolo 7 la concessionaria del servizio pubblico si appresta a diventare operatore di rete. Oggi, la Rai già possiede 5 o 6 mux: secondo l'articolo 7, verrà assegnato dal ministero non più un numero precisato di mux, ma una capacità trasmissiva sufficiente a far diventare anche operatore per conto terzi. Questo è quello che si prevede. Vorremmo capire: diventate anche operatori di rete? Per i soggetti fornitori di contenuti, farete voi da provider, da operatore di rete?
  L'ultima domanda, che vi pongo sempre, è: che fine hanno fatto i due canali dedicati a Camera e Senato che dovrebbero andare sui mux della Rai, che a oggi non si sono ancora visti? I cittadini aspettano. Semplicemente digitando sul canale 100, magari vedono il Senato, sul canale 200, la Camera dei deputati, senza filtri, perché il Sottosegretario Pag. 18 Giacomelli insiste che secondo lui ci vuole il filtro giornalistico. È stato chiesto dall'intero Senato, con ordine del giorno approvato all'unanimità, di fare due canali semplici, che ripetano esattamente quello che va già in onda sul satellite.

  AUGUSTO MINZOLINI. Sarò estremamente breve. Intervengo, più che altro, per portare una testimonianza su una questione che riguarda i passaggi.
  Purtroppo, anche per una questione di ritardi – credo che non ci sia una responsabilità, ma nei fatti è un problema che ci troviamo di fronte – stiamo parlando della concessione senza avere né il piano dell'informazione né quello industriale e avendo un contratto di servizio che risale al 2012. C'è una certa difficoltà ad affrontare questo tema, visto che il contratto si occuperà dei prossimi dieci anni senza questi elementi. Credo che ci dovrebbe essere da parte del consiglio di amministrazione e della Rai una velocizzazione, anche per avere un'idea abbastanza chiara di quello che il Paese riceve in cambio del contratto di concessione.
  In secondo luogo, sulla storia del tetto alle star ho una posizione un po’ diversa. Da una parte, lo capisco, ma dobbiamo pure ragionare sulla mission del servizio pubblico, diversa da quella dei privati. Noi non possiamo ragionare partendo, ad esempio, dalla pubblicità senza partire dal presupposto che la Rai in dieci anni avrà 17 miliardi di canone. Dobbiamo anche tener conto che c'è uno spazio che si deve lasciare non solo ad altre televisioni, ma anche ad altri giornali. Tu hai una torta pubblicitaria che è quella che è, che riguarda l'informazione. Per quanto riguarda gli artisti, Baudo a Domenica In mi è pure simpatico, ma partiamo dal presupposto che secondo me la mission della Rai è quella di creare qualcosa di nuovo, che dovrebbe essere la fucina di personalità diverse. Se non lo fa la Rai, chi lo fa? Capisco una privata che prende Baudo o chi per lui, ma da quest'altra parte, proprio perché sei un servizio pubblico e devi avere un ruolo di questo tipo, la tua sfida è anche quella di creare nuove professionalità da mettere dentro. Va benissimo la Gabanelli, che non è mai stata direttore – lo provi lì – ma se ragioniamo solo in termini di ascolti, senza dare quell'esigenza di rischio, importante in un'azienda pubblica, secondo me limitiamo la mission della Rai, mentre direi che si potrebbero aumentare le professionalità presenti nell'intero settore. Soprattutto, perché la Rai dovrebbe farlo? Seguire i tempi, cercare di dare un'offerta che risulti aggiornata per il sentimento del Paese, nasce anche dal fatto di trovare immagini, personalità, facce che lo rappresentino. Se torniamo a parlare sempre di un'Italia passata, si condanna la Rai, tanto per essere chiari, a un certo tipo di audience e a rivolgersi a determinate comunità d'ascolto, che hanno caratterizzazioni generazionali abbastanza evidenti.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Vorrei rassicurare i colleghi. Pochi istanti fa, abbiamo sentito il volo ravvicinato di alcuni aerei, e c'è stato un brivido, visto che il presidente ieri aveva twittato: «Siete da radere al suolo». Ho verificato, non sono i bombardieri di Fico, ma le Frecce Tricolori che hanno sorvolato l'Altare della Patria per il 60° anniversario dei Trattati di Roma. Possiamo procedere tranquilli nei nostri lavori. Mi faceva piacere mettere i puntini sulle i. Presidente, in questo caso mettere i puntini sulle i nella convenzione, al posto giusto – può sembrare un'inezia, ma mi ha colpito rileggendo i testi – farà anche giustizia nei confronti dell'azienda Rai. Il Governo, infatti, nella convenzione scrive: «Rai, Radiotelevisione italiana S.p.a.», con i puntini; nel TUSMAR è scritto Rai Spa, senza i puntini. Il Governo restituisce, quindi, a Rai la funzione di società per azioni, non di Spa, ossia salus per aquam. La Rai torna azienda di comunicazione anziché azienda termale. Mi sembra giusto, benché non ci sia oggi Gasparri, fare un riferimento anche letterale al TUSMAR.
  Vorrei richiamare brevemente soltanto alcune cose che sono state dette nelle comunicazioni introduttive. Credo che siano molto utili per il nostro lavoro e c'entrino con l'audizione di ieri dell'Agcom. Alcuni temi sono tornati. La presidente Maggioni ha fatto riferimento al tema della garanzia delle risorse con un auspicio, che questo Pag. 19possa essere su un respiro pluriennale, con l'idea che già ieri era stata sollevata dall'Agcom. Questo è l'articolo 13, comma 2, ripreso anche da altri colleghi. Credo sia una questione che effettivamente deve essere approfondita.
  Il direttore, nell'intervento, tra tutti i riferimenti – ne richiamo solo uno, collegato a una domanda che vorrei sottoporre sulla pubblicità – diceva che si può fare un'operazione abbastanza semplice prendendo i ricavi pubblicitari: divisi per i secondi di ogni spot, ne viene fuori il prezzo medio. Mi perdoni, ma non sono in grado di fare da solo questo calcolo. Vorremmo avere questi dati per poterci orientare sulla grandezza. Visto che è stata sollevata una questione, un elemento di dibattito, secondo me è utile avere questi dati.
  Il consigliere Diaconale è tornato sul tema dell'articolo 13, comma 2, mettendo in evidenza non solo la questione della garanzia sulle risorse, ma sulla verifica, se debba essere annuale o pluriennale. L'abbiamo già messa a fuoco, ma lui sollevava un'ulteriore questione sul mancato coinvolgimento di questa Commissione. Sinceramente, essendo la vigilanza sull'applicazione del contratto di servizio – qui il riferimento è al contratto di servizio – data al Ministero dello sviluppo economico e all'Agcom, che ne fa le linee guida, mi sembrava abbastanza naturale che i soggetti coinvolti fossero questi due. Vista però la suggestione che è stata data, forse questa è una cosa utile da verificare con gli uffici.
  Il consigliere Siddi, sempre sulla certezza delle risorse – mi sembra che sia questa la cifra, l'elemento fondamentale oggi sollevato dai vertici dell'azienda – richiamava due aspetti: il provvedimento del Governo sul contributo alle partecipate, ivi inclusa Rai, il 5 per cento; la legge di bilancio, il recupero di gettito, non tutto trasmesso a Rai, perché, come sappiamo, una quota minore va al fondo per il pluralismo dell'informazione, mentre la quota maggioritaria va al fondo per la riduzione della pressione fiscale del Ministero dell'economia e delle finanze, per cui solo una parte va alla Rai, su base triennale. Tra l'altro dovremmo avere – lo decideremo in Ufficio di presidenza – anche l'audizione del MEF, ed è una questione che può essere ripresa anche nel corso di quell'audizione.
  La consigliera Borioni, relativamente all'articolo 3, faceva una riflessione che secondo me forse in parte è mancata. Mi ha colpito che, per esempio, la Commissione cultura alla Camera intorno a questo abbia svolto un lavoro. Ora, la Commissione cultura non è coinvolta nell'espressione del parere, ma credo che come Vigilanza possiamo avere un'interlocuzione. Il presidente Lainati fa parte di quella Commissione. Forse, intorno a questo possiamo fare sinergia anche con quanto ha elaborato la Commissione cultura della Camera, valutando se anche al Senato c'è una riflessione di questo tipo.
  C'era poi un riferimento all'articolo 1 e alla presentazione veritiera dei fatti. Il collega Airola l'ha interpretato come manipolazione. In questo caso, si riferiva a come viene trattata la sua forza politica. Io ho capito che questo tema non era in riferimento all'applicazione di minutaggio e par condicio, roba che facciamo tutti i giorni, che continueremo a fare. A me sembra che il tema che avevamo sollevato con Giacomelli sia di respiro un po’ più ampio: rientra, per usare termini giornalistici, in quel dibattito che c'è non solo in Italia su post-verità, fake news, che non riguarda le singole forze politiche, ma la qualità dell'informazione, della democrazia. Io credo che dare, con questa discussione, questo respiro alla convenzione sulla concessione di servizio pubblico sia contribuire a un dibattito necessario a tutti, al di là di come la si pensi su ogni forza politica.
  Visto che il tempo rimasto è poco per le risposte, immagino che, come abbiamo fatto con l'Agcom, una parte delle risposte potrà essere data per iscritto. Non ho presentato domande prima – è una prassi, presidente, che non conosco bene, quella delle domande presentate prima – ma aggiungo una domanda, a cui magari mi risponderete per iscritto, fuori sacco, visto che è stata citata una cosa di cui si parla, cioè la costruzione della testata web. Si fa riferimento alle risorse interne. Credo che questo sia assolutamente giusto. Vorrei capire Pag. 20se anche lì ci sarà un mix funzionale anche in riferimento alla necessità di nuove forze, di giovani, di capacità, di competenza. Su questa, essendo fuori sacco, potete rispondermi anche per iscritto.

  PRESIDENTE. Vorrei chiedere una cosa veloce e specifica sulla contabilità separata: il giudizio che date su come ha funzionato fino a oggi la contabilità separata, soprattutto in relazione a quello che ieri ha detto il presidente Cardani dell'Agcom, che così com'è è un fallimento e che sarebbe auspicabile avere due funzioni aziendali o proprio una divisione societaria, un finanziamento canone pubblico 100 per cento, per una televisione pubblica al 100 per cento, e uno da parte della pubblicità su un canale che fa sempre servizio pubblico, ma finanziato tramite la pubblicità. Si tratta proprio di una divisione.
  È il tema che abbiamo affrontato all'inizio dei lavori di questa Commissione di vigilanza, quando Catricalà aveva ideato la questione del bollino, poi bocciato nel parere sul contratto di servizio, ma vedo che la contabilità separata rimane un punto importante e specifico: secondo voi, anche dopo l'esperienza, qual è la condizione migliore per affrontarlo?

  ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale della Rai. Vi ringrazio per tutte le domande. Cercherò di rispondere a tutte. Se non risponderò, ditemelo e, se avremo tempo, faremo un secondo giro di risposte. Cercherò di seguire l'ordine cronologico, partendo dalle domande del senatore Margiotta.
  Parto dal ragionamento sulla radio. La radio è assolutamente al centro delle nostre attenzioni. Riteniamo che le tre aree in cui dobbiamo rimanere leader – per televisione e radio lo siamo, ma non lo siamo nel mondo digitale – vadano sviluppate secondo due direttrici molto chiare. Da un lato, cosa su cui stiamo lavorando, c'è il rafforzamento dei posizionamenti delle radio principali; dall'altro, lo sviluppo di un progetto che stiamo per varare, che invece è il ripensamento delle radio digitali, che comunque avranno uno sviluppo significativo nel tempo (ancora sono complementari come tipo di utilizzo). Quello che lei notava è assolutamente vero. Quello che sta avvenendo (in radio, in televisione e sul web), e rispondo anche a un'altra domanda posta sul tema sportivo, è che, come sappiamo e ho detto tante volte, viviamo nell'età d'oro dello sport, la rincorsa ai diritti sportivi ci sta mettendo via via fuori gioco in molti casi. Abbiamo una preoccupazione sincera di riuscire ad acquisire le Olimpiadi prossime. L'acquisto da parte di un grandissimo gruppo internazionale dei diritti delle Olimpiadi per quattro edizioni, due invernali e due estive, ci sta facendo fare una negoziazione molto più difficile che in passato. Tenete conto che arriviamo alle Olimpiadi che abbiamo trasmesso in esclusiva radiotelevisiva in Italia. Dove voglio arrivare? Voglio arrivare al fatto che, effettivamente, nella strategia sportiva stiamo cercando di concentrare gli sforzi su un numero significativo di eventi per la televisione. Ci troviamo, a ogni negoziazione, ad avere un rialzo dei prezzi. Sulla radio, invece, la nostra strategia vuole essere quella di preservare tutta la forza che abbiamo. Sulla radio pensiamo di essere in grado di farlo, anche se c'è un esplicito attacco per riuscire a portare questi diritti in altri luoghi. Confermo che siamo impegnati sia sulla radio sia sulla televisione. Vi cito un caso. Abbiamo perso mesi fa i diritti del basket: la nostra offerta era quattro volte quello che pagavamo il triennio precedente, e comunque non siamo riusciti ad arrivarci, tanto per darvi un ordine di grandezza di come il mondo dello sport stia evolvendo in alcuni casi in maniera se non irrazionale, – ci sono soggetti che pagano quei soldi – molto spinta. Viene ritenuto un contenuto premium, uno dei pochi che insieme alla fiction (cinema e serie) può alimentare il sistema di televisione a pagamento, che si chiami Netflix, Amazon, Sky. È vero che nel tempo questo ci metterà in difficoltà nelle acquisizioni come servizio pubblico, come è successo in tutti gli altri servizi pubblici europei. Vi do un altro elemento: ZDF, secondo canale della televisione tedesca, ha pubblicamente annunciato che rinuncia ai diritti delle prossime Olimpiadi. Tenete conto Pag. 21che il servizio pubblico tedesco raccoglie 7 miliardi di euro di fondi pubblici tra ARD e ZDF. Dopo una lunga negoziazione, l'offerta non è stata giudicata compatibile con i costi. È più alta di quella che abbiamo ricevuto noi. Questo per dare il quadro di quanto sia impegnativo muoversi all'interno questo contesto.
  Quanto al tetto agli artisti, l'altra domanda, ci stiamo impegnando per riuscire a fare tutte le valutazioni interne sulle conseguenze. Nell'ultimo consiglio di amministrazione, abbiamo trattato anche di questo, tanto che sto preparando una relazione specifica sugli impatti che avrebbe. Al di là della valutazione puntuale degli impatti, non c'è dubbio che avrebbe come conseguenza un forte cambiamento di come oggi Rai viene vista, anche se è difficile stimare tutte le conseguenze. È chiaro nell'immediato che non ci sarebbe più quel tipo di palinsesto, soprattutto su Rai Uno, che vediamo quotidianamente oggi. Stiamo valutandolo internamente, anche se continuo a pensare che la speranza di trovare una soluzione che riporti questo tema alla ragionevolezza possa essere utile non soltanto per la Rai, ma per l'intero sistema dei media.
  Quanto al canone, grazie all'operazione del canone in bolletta, per il 2016 riusciremo ad avere più di 200 milioni di euro di ricavi in più. Per il 2017 stiamo ancora stimando. Stiamo vedendo tutte le conseguenze di evasione, nuovi criteri sul calcolo del «supero», ma sarà inferiore di più di 100 milioni.

  SALVATORE MARGIOTTA. Sarebbe interessante avere i numeri assoluti, per gli anni 2015, 2016, 2017 preventivati, se possibile, altrimenti...

  ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale della Rai. Nell'arco di 15 giorni, le daremo il numero esatto, perché chiudiamo il bilancio. Quella per il 2017 rimarrà una stima. È questione di qualche settimana per affinare questo lavoro.
  Senatore Airola, vado in rassegna dei vari punti. Un primo punto interessante, secondo me, è il tema BBC e sostegno dell'audiovisivo anche attraverso co-produzioni di documentari, quello che abbiamo fatto a Torino con Non uccidere. Le fiction sono inevitabilmente prodotti che vanno e vengono. Il tema è avere abbastanza continuità – penso a Un posto al sole a Napoli – per far sì che ci sia un rapporto industriale con i nostri centri di produzione. Quello che abbiamo messo in piedi con Non uccidere, rinnovando anche la serie, è proprio un rapporto che fa leva sulle professionalità interne per riuscire, da un lato, a darci un prodotto qualitativamente elevato e, dall'altro, a qualificare un centro di produzione. Quanto più riusciamo a rendere questo meccanismo continuo, tanto più riusciamo a fare bene il nostro mestiere, sia per l'audiovisivo sia per la nostra azienda. Sul tema emerso in relazione alle professionalità interne, tenete conto che per un'azienda come la nostra, di 13.000 dipendenti, con un'età media medio-alta, diventa chiave tutto il percorso di formazione e riformazione delle persone. Anche portare a Torino la cultura della fiction e non soltanto dell'intrattenimento o della tecnologia è importante, perché riesce a solidificare le professionalità che hai. È importante chiarire, visto che lei la citava, che la BBC ha l'obiettivo di portare fuori una quota della produzione per sostenere l'audiovisivo. Uno dei punti importanti della discussione rispetto alla concessione è capire esattamente in che modo si sostiene l'audiovisivo. In alcuni ambiti fiction e cinema, è chiaro che le produzioni vengono fatte fuori; per l'intrattenimento, l'equilibrio è tra produzione interna ed esterna, in relazione proprio allo sviluppo dell'audiovisivo italiano, ovviamente tenendo conto anche delle strutture che abbiamo.
  Quanto a Leone a Sanremo, credo che chi è più giovane impara da chi è più esperto; in questo caso, avere la professionalità di Giancarlo Leone, che ci ha dato una mano ancora per qualche mese, su un evento così complesso ci ha aiutato. Poi quest'anno è stato un successo, e i successi derivano dal fatto che tante professionalità insieme riescono a combinarsi in un singolo evento. Pag. 22
  Vengo a Teche e digitalizzazione. Sono d'accordo. Tenete conto, però, che stiamo facendo un lavoro grosso di digitalizzazione di quello che chiamiamo il prodotto più immediato, più fresco, cioè quello attraverso Raiplay, e contemporaneamente stiamo digitalizzando il nostro patrimonio. Quella parte di patrimonio che richiede investimenti, che abbiamo messo a budget molto ingenti e pluriennali, va proprio a costituire il patrimonio visivo dell'identità del Paese. Voglio essere chiaro sul fatto che lo facciamo perché ci crediamo molto. Tra l'altro, è bello che sia anche scritto nella concessione che debba essere dato a tutti. Credo che sia proprio uno dei punti fondamentali per fare questo tipo di lavoro, cioè deve essere messo a disposizione di tutte le persone che avranno voglia di consultarlo.
  Sulla quantità di canali, e qui rispondo anche a un'altra domanda fatta dal senatore Rossi – poi torno, la lista delle domande era cospicua – credo che il percorso oggi sia questo: c'è un testo di concessione di conversione in fase valutativa, e noi siamo qua per darvi il nostro punto di vista su quello. Molte delle sue domande si riferivano più a un rapporto fondativo rispetto ad alcuni punti della convenzione, che non riguardano tanto il nostro punto di vista, ma in alcuni casi proprio le ragioni per cui il canone deve essere esclusivo. È chiaro che il nostro punto di vista è «sì», che riteniamo che ci sia, così come in tutti gli altri Paesi d'Europa, una relazione tra soggetto detentore della concessione e missione che gli viene data, con la peculiarità, non solo italiana, ma in Italia più spinta, che siamo un'azienda con una natura mista – ci sono varie domande su questo – che quindi deve a maggior ragione avere un'attenzione particolare per il fatto di agire con grande trasparenza e grande cautela nel momento in cui questo tipo di risorse, come per i temi della pubblicità, viene usato per produrre contenuto sia finanziato dal canone, sia finanziato dal canone e dalla pubblicità. Lo vedremo insieme, ma alcune delle domande era come se fossero più rivolte all'impianto della concessione, mentre il nostro punto di vista è rispetto all'impianto esistente.
  Citavate la quantità di canali. Credo che siano due passaggi diversi. Oggi, il tema è quali sono le missioni che il servizio pubblico deve compiere. In fase di contratto di servizio, queste cose trovano una forma che riguarda anche quali sono i canali.
  Qual è una cosa che colgo positivamente rispetto all'innovazione, anche se la leggo sommando diversi articoli della concessione? Quello sforzo che facciamo, di provare a trasformarci in un'azienda sempre più portata al digitale. Io non credo all'idea di ridurre i canali in un'ottica di disarmo. Sarebbe sbagliato in questo momento. Sarebbe proprio sbagliato. Ogni tanto sembra quasi arrivare come idea perché non riduciamo i canali: no, il tema è «quali servizi potete dare di più?». Se, come credo, uno dei nostri obiettivi è quello di portare il Paese a essere più contemporaneo dal punto di vista del tipo di consumo, è chiaro che alcuni servizi possono trasformarsi da lineari in digitali – è successo anche in altri Paesi – a maggior ragione adesso che abbiamo Rai Play, uno strumento che, come sapete, funziona molto bene, che non è di là da venire. Di ieri è la notizia che Rai Play è stato certificato primo sito televisivo italiano, superando Mediaset. Si può pensare, in quel senso, di avere questo tipo di rapporto tra canali e missione.
  Ranucci, ringrazio per l'orgoglio italiano. Oggi, ho citato la BBC in quanto siamo stati giudicati più bravi di loro, almeno alla direzione creativa, almeno quest'anno. Loro sono bravissimi dal punto di vista della direzione creativa.
  Concordo, e rispondo anche alla domanda dell'onorevole Peluffo, sulla pubblicità. Ben venga spiegare il modo in cui funziona il mercato. La ragione per cui ho raccontato queste cose è che abbiamo i dati dei nostri prezzi e di quelli dei concorrenti. È per questo che sono sereno nel dirvi che dal settembre 2015 abbiamo invertito la tendenza. Quest'anno, abbiamo accresciuti i prezzi. Per riuscire ad avere una visione complessiva, come dicevo, uno mette tutti i secondi e tutto il valore. Non altrettanto è avvenuto rispetto ai concorrenti. Tenete Pag. 23conto che con la quantità di bacino pubblicitario che abbiamo, molto piccola, non riusciamo a influenzare completamente il prezzo, salvo, com'è successo ma ormai in tempi passati, che uno non abbia una politica di prezzo molto incisiva. Adesso, quello che mi sento di dire è che è giusto e non ho nessun problema col fatto che ci sia un'attenzione a questo proprio per la nostra natura ibrida. Allo stesso tempo, deve essere inserita in un certo contesto. Per i mercati in recessione, ad esempio, come negli ultimi anni non è avvenuto – i mercati pubblicitari continuano a crescere – sostenere i prezzi è per tutti più difficile. Vanno sempre contestualizzate le cose. Se però la contestualizzazione avviene con trasparenza e ragionevolezza, non ci vedo problemi.
  Sulla tecnologia investiamo e continuiamo a investire molto. Anche in un anno più difficile del 2016, il 2017, abbiamo confermato i nostri investimenti in tecnologia. Siamo una macchina molto complessa e, siccome per la media company il tema è rimanere centrale come editore, bisogna fare in modo che le strutture produttive si adeguino al tempo. Ormai, il contenuto è HD. Trasformare, ad esempio, la nostra azienda dal punto di vista di tutta la filiera di produzione in HD è un investimento grosso. Pensate che tutti i singoli strumenti, che siano nelle sedi regionali, centrali, nei centri di produzione, sono investimenti, anche solo dal punto di vista delle telecamere HA, che abbiamo già cominciato, con tutte le gare a seguito. Facciamo quel tipo di investimenti, sia su queste forme sia su forme che avete già visto (investimenti nella tecnologia 4K), perché sono inevitabili e sono positivi per il tipo di lavoro che faremo. Allo stesso modo, per fare un esempio, visto che è stato citato lo sport, il primo lavoro ai Rai Sport che abbiamo pianificato è digitalizzarla, perché è l'unica redazione non completamente digitalizzata, che lavora ancora in molti casi con le cassette. Questa è una precondizione per riuscire a essere parte di ulteriori ragionamenti.
  Quanto a porte aperte e nuovo broadcasting center, mai come in operazioni come quelle è necessario avere una pianificazione di lungo periodo sulle risorse, altrimenti diventa difficile farlo.
  Ciampolillo, sulla radio ho cercato di rispondere prima su quanto cruciale sia il nostro modello. Su Rai Way le cito i dati esatti, che mi sono fatto mandare, in modo da risponderle puntualmente. La società non è Rai, ma Rai Way, una società nostra partecipata, ma quotata in borsa. Noi non abbiamo la maggioranza. Posso parlare tranquillamente dell'operazione fatta sulla società che è stata acquisita, proprio perché va nel senso di avere una migliore copertura del territorio. È stata acquisita per 8,8 milioni di euro questa società, che ha trenta torri e nove dipendenti. Tenga conto che è un tipo di valore che ci consente un ritorno sull'investimento dell'11 per cento. Riteniamo, quindi, che sia stato fatto della società in questione un acquisto intelligente, anche perché sempre di più Rai Way vuole porsi come soggetto centrale rispetto al ruolo che può avere dal punto di vista di sistema distributivo attraverso le torri. In quel senso andava l'operazione che lei citava. Anche le domande sugli operatori riguardano Rai Way, perché Rai è l'editore.
  Quello di Camera e Senato – fa bene a ricordarcelo sempre – è un tema di banda. Non sta a noi decidere questa parte, ma quello che ci arriva, confermato anche dal Sottosegretario Giacomelli, è che effettivamente c'è necessità di un filtro giornalistico per riuscire a vestire il tipo di canali proposti.
  Quanto al piano industriale, ce l'abbiamo. È stato approvato il piano industriale, che sta guidando le nostre azioni, come gli investimenti in tecnologia, perché abbiamo dato priorità alla riqualificazione di tutta la parte tecnologica, quelli che stiamo facendo sull'internazionalizzazione della fiction. Da lì nasce anche la volontà di aver fatto un accordo per le prossime due serie dei Medici o lo sviluppo, avvenuto l'anno scorso, di Schiavone o il fatto di avere la fiction, come in questi giorni, che citavo prima, La porta rossa su Rai Due. È da lì che nasce il progetto Rai Play. Il piano industriale è quello che ci guida nell'azione quotidiana. È stato approvato dal consiglio Pag. 24di amministrazione più di un anno fa. Ovviamente, lo aggiustiamo e lo rinnoviamo ogni anno. Sarà fondamentale – su questo, invece, sono d'accordo – che venga adattato ai dettami della concessione. Su questo non c'è dubbio.
  Approfitto di tre minuti in più per Domenica In e Pippo Baudo. Credo invece che noi siamo il luogo della somma di innovazione e di tradizione. Essere inclusivi e universali per il servizio pubblico secondo me obbliga a un lavoro doppio. Da un lato, c'è lo sviluppo – estremizzo un po’ – di Mika che va su RaiPlay, o del Collegio, programma di Rai Due, che ci faceva fare il 18-20 per cento sugli adolescenti le sere in cui è andato in onda. Da un lato, ci sono universalità e distribuzione; dall'altro, anche necessità di includere tutti.
  Ciò che è rilevante è che mentre la comunicazione si sposta sempre di più su un consumo personale non lineare, l'ultima «roccaforte» del consumo più inerziale è il day time, sia domenicale sia quotidiano di alcuni canali. È importante trovare l'equilibrio. Non sto dicendo che non si debba innovare lì, ma è un equilibrio che va trovato con maggiore attenzione, perché in altri ambiti possiamo innovare in maniera più spinta, mentre lì bisogna avere più attenzione. Non sto dicendo che facciano sempre tutto giusto, ma questo è un po’ più complicato, cioè riuscire, da un lato, a essere molto televisione – la televisione più classica rimarrà molto nel day time delle reti generaliste – e, dall'altro lato, a innovare, laddove il pubblico ti riesce a venir dietro.
  Peluffo, sulla pubblicità ho risposto. C'era una domanda su Rainews24 fatta da Airola. Lì stiamo cercando di sviluppare, nell'ambito del piano dell'informazione, che qui abbiamo discusso varie volte in consiglio, esattamente quello che ho raccontato qui dal punto di vista di sviluppo modulare della notizia, che va dentro un sistema digitale, che consente quindi un rapporto molto diverso con l'informazione per il modo in cui si fruisce, il modo in cui viene costruita. Ci stiamo lavorando quotidianamente, al di là dei leaks che ogni tanto escono, ma la nostra volontà è quella di continuare a lavorare assiduamente. Poi è chiara quest'impellenza che ho rispetto al digitale, perché lì ogni giorno che passa è un giorno perso. È nel contesto in cui alcune cose, tra cui il piano dell'informazione, vanno messe dentro la nuova convenzione. Ragioneremo con il consiglio su come combinare velocità di esecuzione e il fatto di mettere insieme le linee guida che ci sono arrivate, anche se molte – ma andranno discusse – mi sembrano assolutamente compatibili, anzi sembrano spingerci sempre di più sul mondo digitale. Si dice di non preoccuparsi dei canali o delle testate, ma di dare un servizio a tutti.
  Ultimissima cosa è la contabilità separata. Perché è un po’ difficile rispondere? C'è l'aspetto di cosa abbiamo fatto e quello, come giustamente ci chiedeva il presidente, di giudizio. Relativamente alla contabilità separata, abbiamo applicato effettivamente in maniera molto attenta – la vedo ogni anno come consuntivo, ma anche in corso d'opera – le norme che ci sono arrivate. Ci è stato detto che dovevamo farla in un certo modo e che rappresentava una certa cosa. Per essere chiari, tutti i programmi sono ritenuti di servizio pubblico. Alcuni poi sono pagati con la pubblicità, altri col canone, e quindi li dividiamo in quel modo e facciamo un bilancio. Qual è il modo migliore? Credo che questo argomento sia delicato. Andare verso forme di separazione societaria, non previste dalla convenzione, sarebbe la premessa per un altro tipo di attività. Credo che, laddove il legislatore avesse deciso di fare quelle cose, le avrebbe fissate in maniera più esplicita. È verosimile che la forma di quella società, infatti, diventi un'altra cosa. Non è quello che siamo oggi.
  Quello che possiamo fare, questo sì, è arrivare a livelli più attenti e sofisticati di contabilità separata per fare in modo che ci sia questa divisione, cosa che poi suppongo verrà specificata nel contratto di servizio. La risposta dipende, quindi, dall'obiettivo, dal modo in cui vogliamo riuscire a mantenere dentro la nostra azienda questa natura mista. È vero che stabilisce una peculiarità, ma sappiate che stabilisce una peculiarità – ne ho viste fuori – positiva, Pag. 25perché è quella che consente sull'informazione di essere così forte dal punto di vista dei numeri. Una natura mista consente, per fare un esempio, avendo L'eredità prima del TG1, di aiutare comunque un prodotto molto forte, il più forte di tutto in Italia, perché comunque è anche grazie alla natura mista che ha davanti a sé un programma che porta pubblico.
  Spero di aver risposto a tutti. Ad alcune cose, visto che sono state chieste risposte scritte, penseremo, ma spero di aver dato risposte a tutti.

  PRESIDENTE. Chiedo, per le risposte che dovrete inviare scritte, di farlo nel più breve tempo possibile, visto che stiamo elaborando il lavoro sul parere.

  MONICA MAGGIONI, presidente del consiglio di amministrazione della Rai. Cercherò di essere rapidissima, perché mi rendo conto che siamo in ritardo sui lavori, per cui su una serie di domande alle quali ha già risposto il direttore generale eviterò di tornare. Non risponderò nell'ordine preciso col quale le domande sono state fatte.
  Parto dall'onorevole Peluffo, che chiedeva le cifre sulla pubblicità, come credo sia assolutamente legittimo. Forse, alla fine il modo per uscire da tutto questo è dire: signori, ci siamo comportati in questo modo, lo potete vedere e punto, con un elemento di trasparenza, che fa sempre bene a tutti.
  Senatore Minzolini, sul piano sull'informazione rispondeva adesso il direttore generale. Mi sembra abbastanza difficile immaginare di poter definire un piano sull'informazione a priori rispetto a un contenuto di convenzione, che comunque è evidente che dà un certo tipo di impostazione. Un grosso lavoro nel frattempo è stato fatto, una serie di punti-chiave sono stati definiti. È altrettanto vero che in consiglio ci siamo trovati a dire che adesso bisogna assolutamente armonizzarlo con quello che si capisce essere la filosofia di fondo della convenzione.
  Senatore Ranucci, non cito sempre BBC perché abbia una passione sfrenata per la BBC, anzi sono molto contenta di sentir parlare di orgoglio nazionale e sono assolutamente convinta che Rai faccia una serie di cose molto belle, talune anche più belle di quelle di BBC. Di BBC mi affascina, invece, un sistema regolatorio che permette di avere un elemento di serenità reciproca sapendo quali sono le regole del gioco. Amo molto le regole del gioco. Trovo che, all'interno di regole del gioco chiare, ognuno sia in grado di dare il meglio di sé. Mi piace molto quando BBC non viene definita media company, ma un'istituzione del Paese, che poi agisce da media company. Tra i fascini per cui cito spesso BBC, c'è anche questo.
  Senatore Airola, sul discorso delle co-produzioni – lo citava il direttore generale – è molto importante capire che tipo di rapporto di co-produzione si fa. Rai, oltre ad avere una sua azione propria, a quel punto diventa stimolo per gli altri nel momento in cui riesce a essere particolarmente efficace sulle co-produzioni. Sui documentari, come potrei non essere d'accordo con lei col fatto che ritengo che siano uno degli elementi di racconto lungo sul quale già facciamo, ma potremmo fare molto di più e immaginare come proseguire in quello che è veramente, quello sì, uno degli specifici, delle capacità di racconto di questo Paese.
  Il senatore Margiotta parlava di bollino blu, struttura societaria diversa. Lo faceva anche puntualmente il senatore Rossi. Effettivamente, l'indicazione del legislatore avrebbe dovuto essere più precisa, se si fosse capito che la separazione societaria è la strada giusta. Personalmente, non ho una contrarietà a priori, e anzi sono totalmente d'accordo con lei, senatore Rossi, quando dice che è la tendenza che c'è in giro per l'Europa. Questo, però, non tiene al nostro ambito. Lì si tratta di immaginare una struttura societaria così radicalmente diversa, che probabilmente richiede un ragionamento in altre sedi. Mi chiedo se non sia oggi contemplata all'interno della convenzione. Probabilmente, si pensa di non arrivare così in là, e anzi, senatore Rossi, la ringrazio per una serie di altre considerazioni puntuali, sulle quali sono d'accordo che si debba aprire un ragionamento. L'adeguamento Pag. 26 dei canali è, ad esempio, un altro passaggio fondamentale.
  Sono meno d'accordo con lei quando riconosco i toni, che conosco da un quindicennio, anche da quando facevo un altro mestiere, relativi alla non esclusività del servizio pubblico rispetto a Rai. Sono d'accordo con lei sul fatto che Rai potrebbe ripensare il suo rapporto anche coi privati locali. Essere sistema fa parte anche di quel tipo di possibilità di ragionamento. Ognuno di noi ha una storia, per cui riconosco il suo tono di tante dichiarazioni anti-Rai sulla questione del canone che non deve andare in esclusiva Rai. Sento due toni diversi nel suo dire, ma sono totalmente d'accordo sul fatto che ci sono spazi di ragionamento.
  Mi taccio, perché la maggior parte dei temi è già stata toccata. Dico solo che credo che il vostro lavoro da qui in poi sarà assolutamente importante. Credo di potervi dire che Rai come azienda guarda anche con grande fiducia a quello che da questo lavoro comune potrà venir fuori. La conservazione della posizione di Rai così com'è non garantisce né a Rai un vero futuro, né a questo Paese i risultati migliori. È, probabilmente, dalla combinazione di questo lavoro che stiamo tentando di fare tutti insieme che forse potremmo avere un'azienda che funziona ancora meglio e, soprattutto, è più utile al Paese anche nelle sue relazioni con le sue diverse componenti.

  MAURIZIO ROSSI. Molto brevemente, vorrei dire, per tutte le domande, che secondo me la convenzione rimanda al concessionario delle risposte. Per questo, ritengo che siano molto pertinenti e che voi ci diate delle risposte.
  Sul discorso dell'esclusività tengo a precisare che non è una posizione/retaggio, ma è molto recente. È molto recente il motivo per cui glielo chiedo: pare che, a livello europeo e italiano, non si possa rilasciare una concessione a uno specifico soggetto se non viene spiegata la motivazione per cui è l'unico soggetto in grado di fornirla. Questa è normativa, non una posizione.
  Quello che chiedo, che ho scritto è: secondo voi, per quale ragione la Rai sarebbe l'unico soggetto in grado di fornire il servizio pubblico?

  PRESIDENTE. Ringrazio la presidente, i componenti del consiglio di amministrazione e il direttore generale della Rai e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 11.20, riprende alle 11.45.

Audizione di rappresentanti di USIGRai, ADRai, SLC-CGIL, UILCOM-UIL, UGL-Telecomunicazioni, SNATER e LIBERSIND.CONF.SAL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399), di rappresentanti di USIGRai, ADRai, SLC-CGIL, UILCOM-UIL, UGL-Telecomunicazioni, SNATER e LIBERSIND.CONF.SAL, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Sono presenti: per l'USIGRai, il segretario Vittorio Di Trapani e i componenti dell'esecutivo nazionale, Valeria Collevecchio e Lidia Galeazzo; per l'ADRai, il presidente, Luigi Meloni, e il segretario, Giuliano Fiorini Rosa; per SLC-CGIL, il segretario generale, Massimo Cestaro, la segretaria nazionale produzione multimediale, Cinzia Maiolini, il coordinatore nazionale-emittenza-Rai, Alessio De Luca; per UILCOM-UIL, il segretario generale, Salvatore Ugliarolo, e il funzionario nazionale Ottavio Bulletti; per l'UGL-Telecomunicazioni, il segretario, Fabrizio Tosini, e il segretario regionale, Dante Iannuzzi; per lo SNATER, Claudio Baldasseroni, Piero Pellegrino e Walter Zanni; per LIBERSIND. CONF.SAL, i segretari nazionali Massimiliano Mattia e Claudio Scascitelli, e il segretario regionale, Fabio Spadoni, che ringrazio per la presenza.
  Faccio, inoltre, presente che per quest'audizione erano stati convocati anche i rappresentanti di FISTEL-CISL, che tuttavia Pag. 27 con nota pervenuta ieri sera hanno comunicato di non poter essere presenti all'audizione odierna, perché impegnati nei congressi di organizzazione. È stato comunque trasmesso un documento di sintesi sulla situazione aziendale e di proposta normativa di rinnovo della concessione, che è stato acquisito agli atti della Commissione, che mette a disposizione dei colleghi.
  Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentati dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
  Do la parola al dottor Massimo Cestaro, che darà lettura di un documento unitario, condiviso da tutte le organizzazioni sindacali presenti, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere allo stesso dottor Cestaro e ai rappresentanti di altre organizzazioni sindacali, al termine di quest'intervento, domande e richieste di chiarimento.

  MASSIMO CESTARO, segretario generale SLC-CGIL. Avendo consegnato il testo e anche per non tediare la Commissione, proverò a illustrare i punti essenziali.
  In primo luogo, esprimiamo soddisfazione per il fatto che il testo sulla concessione sia stato prodotto. Sapete meglio di noi che quest'atto è stato rinviato più volte, cosa che destava in noi anche qualche preoccupazione. Nel documento, che poi avrete modo sicuramente di visionare, ci sono anche elementi di apprezzamento e vi sono quattro o cinque punti, che giudichiamo nevralgici per il sistema radiotelevisivo, che vorremmo segnalare con una sottolineatura di criticità.
  Il primo riguarda il sistema del finanziamento. Bene che la concessione sia decennale. Riterremmo necessaria almeno la certezza del finanziamento quinquennale. È un'azienda di produzione e, come tutte le aziende, deve essere messa nelle condizioni di programmare. Naturalmente, siccome abbiamo visto anche recentemente delle modifiche in riduzione del canone anno per anno, credo che questa condizione non sia oggettivamente ripetibile per un'azienda di produzione. La certezza delle entrate almeno per un quinquennio dovrebbe essere, secondo noi, forse il punto centrale, perché è quello che garantisce l'autonomia dell'azienda stessa. Siccome stiamo parlando della Rai – naturalmente, in questa Commissione non occorre dilungarci sul valore politico-democratico di un'azienda come la Rai – l'autonomia e, vorrei dire, la certezza del pluralismo derivano dal fatto che quest'azienda deve essere nelle condizioni di programmare nel tempo le proprie attività.
  Un punto riguarda la separazione delle attività sostenute da canone e di quelle sostenute dalle attività commerciali. Bene, ma nel testo si evince che le entrate da attività commerciali non devono essere superiori alle entrate derivanti da canone. A noi pare, questo, un elemento di limitazione delle attività di Rai, per la quale – lo ripeto per l'ennesima volta – essendo un'azienda anche di produzione, il tema della commercializzazione dei prodotti è centrale. Se ha senso che ci sia un'individuazione delle attività prettamente di servizio pubblico, come tali sostenute dal canone, quindi ci sia una forma societaria che consenta anche attività di tipo commerciale, queste devono essere tali, costruite in modo da non avere limiti. Diversamente, rischiamo una possibile contrazione del canone nel corso del tempo e, parallelamente, una contrazione delle entrate da attività commerciali. È quasi come se dicessimo che facciamo lavorare l'azienda con le mani legate dietro la schiena, che penso non vada bene. Naturalmente, nel documento abbiamo fatto esplicitazioni anche tecniche sul canone.
  L'altro aspetto riguarda l'assegnazione delle frequenze. Qui, secondo noi, il testo non è chiarissimo. Abbiamo letto sulla stampa di possibili fusioni tra Rai Way ed EI Towers, quindi con l'idea di un soggetto unico per la parte trasmissiva, che, sempre dalle cose lette, dovrebbe avere una gestione prevalentemente pubblica e la facoltà di distribuire le frequenze. A noi pare che il testo della concessione si avvii in questa direzione (le frequenze non vengono più assegnate a Rai e alla controllata Rai Way), come se anticipasse un assetto industriale futuro non avendone ancora oggi gli elementi. Intravediamo, quindi, una «distonia Pag. 28» tra il testo della concessione e quello che probabilmente potrebbe avvenire nell'ambito trasmissivo. È un tema delicatissimo, sul quale credo che anche questa Commissione dovrebbe porre alcune questioni. La proprietà e la gestione delle frequenze riguardano non solamente il servizio pubblico radiotelevisivo, ma anche altri player, se appunto penso al sistema delle telecomunicazioni. È un punto centrale. Se gestito intelligentemente e correttamente, può essere anche un volano di sviluppo delle attività, ma bisognerebbe avere quel quadro di chiarezza all'interno del quale si colloca anche l'assegnazione delle frequenze.
  C'è poi un'impostazione che a noi pare molto debole, vorrei dire troppo debole, sul tema delle sedi regionali. Diciamo da tempo – chiedo scusa per la battuta – che il pluralismo non è pensabile o attribuibile a quanti minuti nel telegiornale di prima serata hanno le forze di maggioranza o quelle dell'opposizione. Sì, c'è anche quello, ma per noi il pluralismo è una cosa più complessa. E in questa complessità esiste anche la rappresentazione, la narrazione del sistema Paese. In questo, le sedi regionali devono avere un ruolo centrale. Il pluralismo è la complessità del Paese. Purtroppo, siamo in presenza da tempo di un forte indebolimento delle sedi regionali. Questo richiama direttamente anche la copertura su tutto il territorio nazionale del servizio pubblico radiotelevisivo, collegata sì alla questione delle sedi regionali, ma, di nuovo, all'innovazione tecnologica che riguarda il sistema trasmissivo. È vero che oggi il Paese non è interamente coperto, ma si deve anche sapere che la totale copertura del Paese dal servizio pubblico radiotelevisivo ha costi ingenti. Per dirla in pillole, se manca un 5 per cento di copertura del Paese, non servono investimenti pari al 5 per cento, ma molto di più, dovendo coprire zone complesse anche dal punto di vista orografico.
  Il quinto punto è la produzione. Qui c'è un passaggio importante quando si dice che la produzione e la realizzazione di contenuti devono essere realizzate da aziende che abbiano prevalentemente attività all'interno dei confini nazionali. Veniamo da una storia non recentissima, di qualche anno fa, in cui le attività di produzione erano sistematicamente spostate all'estero, anche con danno dal punto di vista previdenziale e assistenziale dei lavoratori interessati. Per noi, sarebbe importante avere aziende che svolgono attività di produzione all'interno del Paese. Abbiamo professionalità eccellenti nel sistema della produzione cine-audiovisiva. È inutile che lo diciamo, ma anche per storia, la produzione cinematografica italiana, al di là della crisi degli ultimi anni, è uno dei punti qualificanti del sistema di produzione di contenuti. Negli ultimi tempi, eravamo riusciti, anche con un rapporto positivo con la Rai, a riportare all'interno attività lavorative di produzione cine-audiovisiva, non vorremmo che questa formulazione un po’ labile consentisse di tornare all'antico. Abbiamo – insisto su questo – professionalità straordinarie dal punto di vista tecnico e artistico. Rai è un volano straordinario a sostegno di quelle attività: diamo attenzione alle realizzazioni fatte all'interno del nostro Paese, con un'attenzione, che ci piacerebbe fosse esplicitata, nei confronti di quelle società che applicano correttamente le norme di legge e i contratti collettivi nazionali di lavoro. In molti casi, infatti, interveniamo perché, anche in forza dell'intermittenza dei rapporti di lavoro presenti in questo mondo, molto spesso troviamo forme di evasione previdenziale, assistenziale e fiscale.
  L'ultimo punto riguarda la radiofonia. È importante che la concessione faccia riferimento, nei suoi tratti generali, alle attività multimediali, nelle quali riteniamo che la radiofonia abbia e debba avere un ruolo fondamentale. È uno degli asset in crescita: giudichiamo un limite il fatto che la concessione sostanzialmente non vi faccia cenno.
  In conclusione, un tratto presente un po’ in tutto il documento, che per noi è elemento di forte perplessità, già a partire dalla legge sulla governance della Rai, vediamo che c'è una prevalenza del Governo, quindi del potere esecutivo, nelle attività di Rai, e quasi sparisce il ruolo del Parlamento. Questo è un punto che abbiamo Pag. 29messo in evidenza già quando abbiamo fatto una discussione, credo proprio anche in questa Commissione, sulla «leggina», la legge sulla governance. Nella concessione, quest'elemento torna, e lo fa in maniera consistente. Sulla questione che riguarda il tema delicatissimo del pluralismo francamente credo che il fatto che ci sia una prevalenza del potere esecutivo anche in alcuni aspetti di indirizzo sia un grosso limite, che andrebbe corretto. Abbiamo letto, e concludo davvero, che anche sulla questione che riguarda la certezza delle entrate il presidente dell'Agcom ha fatto qualche rilievo che va in questa direzione.
  In sintesi, per noi i temi sono sostanzialmente quelli che sosteniamo da parecchio tempo: certezza delle entrate; ruolo del pluralismo della Rai; frequenze; produzione; radiofonia; sedi regionali. Nel documento che vi abbiamo consegnato ci siamo presi la libertà di indicare anche degli emendamenti specifici. La cartellina che vi è stata consegnata contiene due documenti, uno di ordine generale e un secondo documento che indica emendamenti coerenti con le cose che abbiamo esposto.

  ALBERTO AIROLA. Ringrazio tutti di essere qua.
  Sono un ex lavoratore – forse qualcuno mi conosce – un tecnico, non un giornalista. Concordo con molte osservazioni fatte, per esempio quella sulla delocalizzazione fu una delle prime battaglie che feci con Andreatta, proprio perché Albatros, Casanova, delocalizzavano con soldi pubblici.
  Oggi, abbiamo avuto qua il consiglio di amministrazione, il presidente Maggioni e il direttore generale. Ho di nuovo sottolineato alcuni punti secondo noi a rischio: a parte la certezza delle entrate, la questione della radiofonia, che sembra marginale, anzi quasi assolutamente assente. Peraltro, ho ricevuto numerosi stimoli da parte dei lavoratori anche della radio sulla questione di quella valorizzazione e del turnover.
  I nostri timori, penso quelli che raccolgo come commissario, e voi come sindacati, siano quelli di una mancanza di turnover, di una non adeguata riqualificazione dei professionisti esistenti in funzione di un evidente cambio storico, tecnologico, che avverrà con uno spostamento sul Web.
  Per quanto riguarda giornalisti, operatori e tecnici, ho lamentato il nuovo sistema di software che non permetteva il pagamento adeguato delle partite Iva. Magari non sono vostri iscritti, o anche sì, ma riconosco che danneggi tutti i lavoratori. È molto grave quello che sta succedendo. Ho ricevuto rassicurazioni in merito a questo. Aspettiamo di avere la prova del nove.
  La mia paura è che la Rai senza una forte identità di alta professionalità rischi di cadere in meccanismi di esternalizzazioni farlocche. Ci sono 37 audit che giravano ancora sui service. Ho fatto interrogazioni sull'affiancamento di direttori della fotografia esterni a direttori della fotografia interni, su cui ho ricevuto risposte molto vaghe; sulla trasformazione del giornalista in operatore, montatore, trasmettitore, tutto, one man band, che secondo me è a rischio maggiore, soprattutto che porta una certa visione della digitalizzazione. Da una parte, ci sta. Ci sta che nel mondo d'oggi si vada in giro con un telefonino, si faccia una ripresa e immediatamente la si metta sul web se la notizia e la situazione valgono. Dall'altra, mi rendo conto, avendo fatto quel mestiere... più volte ho lamentato, per esempio, il depauperamento dei centri di produzione regionali, il fatto di trovarmi un tele-cineoperatore, che sì, sarà anche autorizzato a fare le domande, ed è in fondo un giornalista, ma non può starsene con una telecamera sulla spalla, un microfono in mano... Se devo cambiare fuoco? Come mai ad alcuni succede questo, come al Movimento 5 Stelle, a cui nello specifico era successo, e per altri invece arrivano gli elicotteri o i droni, perché qualcuno alza il telefono? Questo è il tema del pluralismo di cui parlavamo prima. Queste sono cose su cui anche voi dovete stare molto attenti. Continuerò a denunciare. Soprattutto, non si possono ricattare col precariato i giornalisti. Non siamo noi che dobbiamo controllarli, non sono i sindacati. I giornalisti devono avere la loro etica e deontologia. Bisogna metterli in condizione di fare un lavoro adeguato. Io temo anche l'uso dello zainetto. Potrebbe portare verso determinate Pag. 30 situazioni di sfruttamento, magari no, magari sì. Questo dipende molto anche dal lavoro che i sindacati fanno internamente.
  So che a Milano ci sono agitazioni, che ci si sta lamentando perché non è chiaro il quadro, forse ancora neanche a noi, della riforma news globale della Rai, che è il cuore, veramente il core, del servizio pubblico.
  Quanto alle co-produzioni, infine, io sono di Torino e anche ai centri di produzione sto cercando di dire che la TV faccia la TV. A Torino, avete fatto degli esperimenti come sindacati: RSU hanno permesso di far lavorare lavoratori interni su una fiction esterna, completamente finanziata dallo Stato. La Fremantle, infatti, che sta facendo Non uccidere 2, peraltro bel prodotto, è però finanziata dallo Stato, ma si becca anche un terzo dei lavoratori pagati dalla Rai, pagati molto meno rispetto all'equo pagamento del professionista esterno. Mi spiego? Non possono abbassare le quote del professionista esterno, che lavora mediamente – non so – un mese, poi sta fermo un altro mese, è un altro mercato. Allora, io mischio i due mercati e ho dei rischi. Ho dei vantaggi perché quei lavoratori lavorano, ma andiamo bene a vedere che cosa succede. La fiction passa, la lirica, l'attività dell'orchestra in Torino, le attività, i programmi televisivi, quelli restano, e quelli sono televisione, e quelli sono i lavori per cui peraltro alcuni tecnici sono iper-specializzati nell'ambito televisivo. Stiamo attenti perché possono venire fuori ottime collaborazioni, ma anche dei modi per smantellare un centro di produzione. Un conto è fare una soap, come avviene a Napoli, un conto è fare una fiction di 15-18 settimane. Non è una produzione continuativa. Su questo ho le antenne dritte e cercherò di portare avanti questa istanza.

  GIORGIO LAINATI. Permettetemi una battuta. Il senatore Airola ha detto di essere un ex lavoratore: io pure sono un ex lavoratore, visto che Berlusconi mi ha fatto licenziare dal posto di lavoro in aspettativa. Abbiamo quindi una comunanza...
  A parte queste notazioni di carattere personale, abbiamo parlato con il presidente e con il direttore generale, fino a pochi minuti fa, della centralità della Rai, del servizio pubblico, quello che lei nel suo intervento ha evidenziato a nome di tutti voi, che saluto. Questo è un po’ il problema di fondo. Vorrei che foste consapevoli del fatto che le forze politiche rappresentate in questa Commissione non sono tutte d'accordo sulla centralità della Rai come servizio pubblico, anzi ci sono molte forze politiche che non hanno grande simpatia per la Rai com'è oggi, forse con i suoi difetti antichi e irrisolti. E questa è l'occasione di un appuntamento così importante: ricordiamo che erano solo ventidue anni non si faceva una cosa di questa importanza. Penso che si debba, da un certo punto di vista, recuperare il significato della centralità della Rai, poi tutto il resto, cioè le certezze del canone, delle entrate. Il senatore Airola, dalle posizioni di dura opposizione che rappresenta, ha detto delle cose importantissime sui centri di produzione, sulle produzioni italiane che sono un fiore all'occhiello del nostro Paese, che contribuiscono non da oggi a fare della Rai una certa realtà sul piano culturale della divulgazione e della libertà dell'informazione. Fare una fiction con contenuti fortemente culturali e sociali, vuol dire dare ai telespettatori linfa sulla qualità della democrazia. Non è un caso, gentili ospiti che la più importante fiction della Rai, Montalbano, abbia fatto come Sanremo. Lo dico come telespettatore, abbonato al servizio. Sono compiaciuto, ovviamente, e presumo che lo siate anche voi, che Montalbano abbia fatto 11 milioni di telespettatori, esattamente come una serata di Sanremo, ma per arrivare alla serata di Sanremo ci sono tutte le polemiche, il contratto per Giancarlo Leone, che potevano anche evitare – magari, non lo so – e mille altre cose che creano polemiche, quanto prende il conduttore, quanto prendono gli ospiti. Vorrei ricordare – lo dico sempre e lei, presidente, ormai si sarà stufato di sentirlo – che dieci anni fa a Sanremo fu ospitato John Travolta vestito da pilota, del suo aereo peraltro, che prese, credo, 700.000 euro per quei venti minuti di presenza. Forse quelli sono stati davvero sperperi e non sono stati gli ultimi... Pag. 31
  Dicevo della certezza delle entrate per un'azienda così centrale. Voi siete tanti, rappresentate realtà molto importanti, come testimoniano i vostri iscritti. Qui c'è il relatore di maggioranza, l'onorevole Peluffo, persona di grande capacità, di grande serietà, che sono sicuro farà tesoro di queste vostre sottolineature e richieste. Purtroppo, non vedo il senatore Rossi, il relatore di minoranza. Presumo che avrà modo di prendere visione delle vostre osservazioni.
  Se il presidente e la vostra pazienza me lo consentono, vorrei in particolare chiedere a Vittorio Di Trapani alcune cose, come, se non erro, ha fatto anche il senatore Airola, che riguardano il nostro mondo, in special modo, di giornalisti, chi occupati in futuro, chi meno.
  La questione delle sedi regionali, che lei diceva, è importante. Le sedi regionali della Rai sono un patrimonio storico, come si può vedere anche dentro le Teche, dove ci sono cose carine che riguardano proprio le sedi Rai. Alcune sedi Rai sono un patrimonio architettonico. Ricordo quando sono andato a Trieste o a Milano dove la sede della Rai è un patrimonio, a cominciare dalla presenza di quadri, se non ricordo male, di Sironi e altri, patrimonio della Rai. Poi ci sono questi famosi 800 colleghi giornalisti, se non erro, della TGR, la più grande testata giornalistica del mondo. Non vorrei dire, Vittorio, una cosa inesatta. Non conosco, però, oltre la CNN, altre televisioni con un numero di colleghi così elevato, che però servono. È evidente che la Lombardia ha 9,5 milioni di abitanti e non possono gestirne la sede dieci giornalisti, già solo per i turni. Lo stesso riguarda i tecnici, è una cosa a pioggia. Giustamente, qui si dice che va superato il concetto di presidio redazionale regionale e ripristinata l'identità della sede regionale, un po’ quello che diceva lei. Vorrei chiedere a Vittorio Di Trapani, che rappresenta tantissimi giornalisti, quasi tutti i giornalisti della Rai, come si può arrivare a raggiungere questi traguardi.
  Qui c'è, da una parte, proprio il problema di salvaguardare la Rai. Non tutti la vogliono salvaguardare, quindi cerchiamo di renderci conto che, da una parte, c'è la necessità di eliminare sprechi, sperperi, serve probabilmente, come si dice anche nella convenzione, una razionalizzazione dei canali (non è detto che 14 siano indispensabili). C'è stata la questione – quanti anni che ne parliamo... io ancora prima di lei – del piano Gubitosi, poi adesso non so bene quale piano verrà fuori.
  Poi lei parla, giustamente, di certezza delle entrate: ricordiamoci che in questa Commissione per una ventina d'anni si è parlato del problema dell'evasione del canone. Per venti anni, qui abbiamo parlato non di come dare certezza alla Rai, perché il problema numero 1 non erano magari gli sprechi, ma il recupero della famosa evasione. Miracolosamente, dopo vent'anni non parliamo più del recupero, perché dieci anni fa un consigliere di amministrazione di Forza Italia, Angelo Maria Petroni, ha fatto uno studio e ha detto che l'unico modo, come peraltro dicevano tutti, era mettere il canone in bolletta. Nessun Governo, fino al penultimo, ha avuto il coraggio di fare una cosa oggettivamente impopolare. Questo è un Paese in cui milioni di persone pagano 1.200 euro all'anno a Sky e poi si lamentano dei 90 all'anno della televisione pubblica, che comunque delle cose le fa vedere, appunto Montalbano e mille altre cose belle. Nonostante la gente paghi televisioni satellitari dieci volte il canone, ci si lamenta che è sempre troppo elevato. A mio avviso, la riduzione a 90 euro, che potrebbe addirittura manifestarsi ancora con un'ulteriore riduzione negli anni a venire, dovrebbe non infastidire i 16 milioni di abbonati, 16 milioni di famiglie abbonate, che sempre furibonde dicono che la Rai costa troppo, ma poi ripeto che 5 milioni di quelle 16 pagano più o meno 1.200 euro l'anno...
  La certezza delle entrate è giusta. Sarà poi il relatore, il collega Peluffo, a vedere come venire incontro a questa vostra esigenza, ma vorrei che ci fosse anche la certezza di quello che è stato fatto: non è stato recuperato per quelle motivazioni che sono state dette, se non 400, 200 milioni recuperati, buttali via!
  Oggi, inoltre, si parlava, se mi dà ancora un secondo e poi concludo, anche dell'importanza Pag. 32 proprio sul piano culturale e divulgativo delle produzioni. Con la consigliera Borioni si diceva che va messo l'accento sulla divulgazione culturale che rappresenta la Rai. Innanzitutto, dobbiamo chiederci molto francamente: come mai le fiction della Rai sono le più belle e quelle di Mediaset sono le più brutte? Io lo chiedo a voi. Ci sarà un problema autorale? Ci sarà un problema di contenuti? Ci sarà un problema di fidelizzazione dei protagonisti? Penso a Luca Zingaretti come protagonista di Montalbano da credo dieci anni e Garko, che una volta fa il cattivo e una volta fa il buono su Canale 5. C'è un problema che riguarda gli autori, gli sceneggiatori. La Rai ha questo straordinario fiore all'occhiello del contenuto culturale, sono fatti benissimo. Non sto parlando della questione delle produzioni, giustamente cara al collega del Movimento 5 Stelle, quello è un altro problema. Ne abbiamo parlato quando abbiamo audito la dottoressa Andreatta, ma guarderei alla cornice, in cui ci sono produzioni di altissima qualità. Visto che alla Rai sono molto più bravi che a Mediaset – non so di Sky, ma qualcosa di molto bello fanno anche loro sul piano della cultura e dell'arte – vorrei sentire su queste tematiche, chiedendo scusa se mi sono dilungato, le vostre opinioni.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Voglio innanzitutto – lo hanno fatto anche i colleghi – ringraziarvi non solo per l'audizione di oggi, ma anche per la modalità che avete scelto di partecipare collettivamente, indicando uno di voi a relazionare. Credo che questa sia una modalità che dia conto di uno sforzo importante, che spero possa essere anche d'esempio per altri soggetti.
  Oltre a questo, ci avete fornito due documenti molto utili. Uno è l'approfondimento su quanto è stato comunicato, e poi ho visto che avete predisposto anche un vero e proprio testo emendativo. Ora, non vi so dire se poi effettivamente sarà presentato, come già diceva l'onorevole Lainati, all'interno del testo che proporremo come relatori o proporrà ogni relatore, ma di sicuro è un testo che può consentire anche alla libera iniziativa dei gruppi di farlo proprio e presentarlo. Da questo punto di vista, credo che siate già entrati nella discussione e nel meccanismo di discussione sul parere.
  Sono state poi sollevate alcune questioni, che mi sembra utile riprendere anche perché si collegano alle audizioni che abbiamo finora svolto.
  Una questione sollevata è stata di evidenza nell'audizione dell'Agcom, già richiamata, e in quella che ha preceduto la vostra con i vertici dell'azienda: il tema della certezza delle risorse, come lo avete chiamato giustamente, è strettamente collegato all'autonomia e all'indipendenza del servizio pubblico. Un punto specifico, che riguarda l'articolo 13, comma 2, dove il meccanismo previsto è quello di una valutazione sul raggiungimento di obiettivi indicati in contratto di servizio, verifica che è su base annuale. L'Agcom, e anche oggi i vertici aziendali, dicevano che certezza delle risorse può intanto significare che il canone sia identificato non su base annuale, ma corrispondere (suggestione dell'Agcom) alla durata del contratto di servizio, quindi quinquennale, per cui anche quella verifica sarebbe su base quinquennale. Questa questione è già l'evidenza della discussione in Commissione, perché questa è la terza audizione che pone in maniera molto precisa questo tema.
  C'è poi una seconda questione sulla contabilità separata, che avete sollevato. Qui c'è un punto che sollevava l'Agcom, che però in realtà ha un respiro più complessivo. Agcom diceva che, se si vuole andare in maniera precisa e fino in fondo sulla contabilità separata, la scelta naturale dovrebbe essere quella della separazione delle funzioni, che non mi sembra sia nelle considerazioni che fate. Questa, però, è una discussione che esula dallo schema di convenzione, perché questo casomai è un tema da norma primaria.
  Sulla riforma della governance avete qui richiamato opinioni, che avevate già espresso, che non coincidono con l'opinione di diversi commissari, ma non si tratta di riprodurre quella discussione, bensì di concentrarsi qui sullo schema di convenzione. Pag. 33
  C'è un'altra questione che avete sollevato, sottolineata nella comunicazione e nei testi, che riguarda le frequenze, la capacità trasmissiva e una preoccupazione, ossia non è che quanto è richiamato in convenzione possa preludere a un intervento successivo di diversa natura. Ovviamente, non può stare dentro la convenzione, che ha un perimetro molto ristretto. Ricordo il dibattito che è stato fatto, di cui anche voi siete stati protagonisti, nel momento in cui c'è stato il collocamento in borsa di Rai Way. Continuo a credere che, se mai si dovesse riaprire la discussione su un soggetto (non un soggetto unico, ma come c'è anche in altri Paesi europei) con questa funzione sulla proprietà delle torri a trasmissione, quindi con la possibilità di veicolare i contenuti – a oggi, non è all'ordine del giorno, non è in convenzione – per quanto mi riguarda, ma mi sembrava questa anche l'occasione di interloquire, non potrebbe che essere a maggioranza pubblica, non solo per la discussione che si è fatta, ma visto che è stata evocata per un'eventuale discussione successiva... In ogni caso, questo non è nella convenzione e, secondo me, è giusto perimetrare la riflessione.
  Infine, sulle sedi regionali ho visto che avete concentrato anche una parte dei riferimenti puntuali. Credo che quello che viene richiamato in convenzione sia sull'importanza del ruolo dell'informazione a livello regionale. Questo è uno dei pilastri delle missioni di servizio pubblico. Poi come effettivamente viene organizzato credo sia più nell'ambito delle scelte aziendali, del confronto delle relazioni industriali e sindacali.
  Ho visto che, giustamente, nelle vostre considerazioni puntuali, in un paio di passaggi rivendicate il ruolo delle relazioni sindacali e industriali. Credo che questo sia un punto che avete fatto bene a mettere in evidenza. Da questo punto di vista, presidente, quest'audizione può costituire un precedente anche per altri. Ovviamente, non possiamo intervenire su come gli altri soggetti decideranno di gestire il loro tempo e le loro modalità, ma questo schema di un lavoro comune, di una presentazione di considerazioni e suggestioni emendative, secondo me è molto utile al lavoro di questa Commissione. Dobbiamo fare bene e fare presto. Abbiamo un mese per fare le audizioni e il parere. Questa modalità, secondo me, ci aiuta e ci agevola.

  PRESIDENTE. Concordo sulla modalità. Quando abbiamo saputo che c'era un solo portavoce per tutti, che venivate insieme con un documento unitario, l'abbiamo accolto felicemente. È un bel metodo di cooperare e di lavorare. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  VITTORIO DI TRAPANI, segretario di UsigRai. In riferimento all'ultima cosa detta, tengo a dire che non è soltanto un metodo di lavoro. Credo che sia una scelta politica. La scelta di venire qui in maniera unitaria con un unico documento è una scelta politica, che dice una cosa molto chiara: al di là delle differenze anche di impegno statutario, quando si parla del futuro del servizio pubblico, non esiste distinzione tra le lavoratrici e i lavoratori della Rai. Questo è il segnale che si voleva dare. Non è solo un modo per agevolare i lavori. Lo è, ma è soprattutto una scelta di unità e compattezza. Questo è quello che tenevamo a dire.
  Arrivo alla risposta alla domanda che mi è stata posta, ma non posso non inquadrarla.
  È vero che il tema dell'autonomia e dell'indipendenza, ha a che fare con la legge, ma è vero anche che nello schema di convenzione si introducono elementi che mettono questi due fattori ancora più in pericolo. Mi riferisco al controllo annuale sulla gestione, al punto che si ipotizza un contratto di servizio molto votato all'efficienza, quindi si ipotizza un contratto di servizio non dedicato ai contenuti, ma all'organizzazione del servizio pubblico: è un entrare direttamente nell'organizzazione aziendale; questa è una pressione. Rischia di essere un'ingerenza da parte del Governo all'interno dell'organizzazione, quindi dell'autonomia aziendale. Questo vale ancora di più se si tocca il tema delle risorse, come correttamente diceva il segretario Cestaro. Quando si introduce l'elemento non Pag. 34solo annuale, che vuol dire che non sei in grado di programmare se anno per anno mi puoi cambiare il finanziamento, si indica chiaramente «una quota»: vuol dire che si definisce con chiarezza che è solo una parte, ma che questa parte può anche essere modificata. Non siamo noi a dire, che l'abbiamo detto più volte anche in questa sede, ma l'EBU, che questo lede l'autonomia, l'indipendenza e la possibilità di programmare. Per paradosso, si dà addirittura un alibi al gruppo dirigente aziendale perché non operi, non faccia piani industriali e piani editoriali. La riprova – i dati non sono nostri, ma di Mediobanca, che certo non può essere accusata di essere proprio di parte sul tema della Rai servizio pubblico – è nel fatto che nel 2017 da quella tassa, imposta di scopo, alla Rai arriveranno introiti inferiori addirittura a sette anni fa.
  Allora, è bene che si inizi a dire che a oggi quella tassa solo in parte va alla Rai. Forse, bisogna iniziare a ripartire da quei dati. Di 2 miliardi annunciati di ricavi, solo una parte decrescente andrà alla Rai, addirittura tornando ai dati di sette anni fa. Questo è il tema dell'autonomia toccato nello schema di convenzione, che può essere invece opportunamente modificato.
  Noi riteniamo, invece, che la discussione debba essere proprio sui contenuti, e questa è la discussione vera del Parlamento. Che cosa deve fare il servizio pubblico a nome del sistema Paese? Questa credo che debba essere la discussione nello schema di convenzione, e quindi del contratto di servizio. Certo, questo tocca l'etica, la deontologia di come si lavora. Mi permetto di dire che vale per noi, ma vale anche nell'etica e nella deontologia dei contratti utilizzati. Lo dico in maniera ancora più chiara: è etico e deontologico non dare contratti adeguati a chi fa uno specifico lavoro? In Rai fin troppe persone, fin troppi colleghi fanno lavoro giornalistico senza avere il contratto giornalistico. Probabilmente, anche questo argomento va toccato.
  Arrivo alla risposta. Certo che la questione è la centralità. Questo credo debba essere il dibattito. È altrettanto vero che non tutti sono convinti: non vorrei che qualcuno non fosse convinto per un riflesso condizionato per questioni che sono fuori dalle istituzioni e riguardano interessi privati. Anche su questo forse bisogna fare chiarezza. Sento dire che qualcuno ha operato il blind trust: mi spiace, ma non è vero. In sede parlamentare, almeno questa cosa va detta in maniera chiara. Non è vero che il relatore di minoranza ha fatto il blind trust rispetto ai suoi interessi. Ha fatto una procura gestoria. Tra l'altro, la sua quota personale in Primocanale è aumentata da quando è parlamentare, non è diminuita: questo credo sia giusto segnalarlo.

  PRESIDENTE. Glielo dovremmo al massimo chiedere, ma non è questa la sede: e adesso il relatore di minoranza non è neanche presente.

  VITTORIO DI TRAPANI, segretario di UsigRai. Allora, soprassiedo, ma credo che sia utile aprire una discussione su questo: quando si parla di centralità del servizio pubblico, è bene che la discussione avvenga senza interessi in conflitto su questo tema.
  La discussione allora deve essere questa: certo, manca la parte della radio, che forse va rafforzata, ancor di più in un momento in cui il mercato si sta muovendo in maniera molto veloce. Penso ai grandi investimenti di un competitore privato come Mediaset. Di radio invece non si parla abbastanza. È vero per i telegiornali. Capisco l'esigenza di riorganizzare, ma dobbiamo ricordare che continua a essere primato di ascolti ciascuno nella propria rete generalista. Vale per l'informazione di flusso, come Rainews24, come Radio uno. Vale per l'informazione istituzionale, sia radiofonica sia televisiva.
  Arrivo al tema della presenza sul territorio. Tengo a dire che la Rai è molto presente sul territorio, ma non è vero che è la più presente nel panorama europeo. In Francia, come in Gran Bretagna, la presenza è molto più massiccia, proprio perché si ritiene che la presenza sul territorio sia un elemento fondante del servizio pubblico. È bene che si parli di presenza redazionale, ma è altrettanto vero – lo voglio dire con chiarezza – che non è che i giornalisti lavorano da soli. Quello sul territorio, Pag. 35 come altrove, è un lavoro di équipe, soprattutto in un settore come quello radiotelevisivo e multimediale. È evidente, quindi, che ci devono essere anche tutte le strutture adeguate a produrre in una maniera qualitativa che risponda al servizio pubblico. Non ci si può limitare a parlare di presidio redazionale. Ci devono essere strutture adeguate, con tutte le figure professionali necessarie a produrre una TV e una radio, in maniera multipiattaforma, adeguate alla qualità che deve offrire il servizio pubblico. Siamo pronti a discutere qualunque piano di riforma, ma non si può prescindere da alcuni elementi centrali, che sono quelli che ho provato a delineare rispetto al futuro del servizio pubblico. Spero che su questo concentreremo la nostra discussione e il nostro confronto, ora in schema di convenzione e successivamente anche per il contratto di servizio.
  Faccio solo un ultimo accenno – me lo deve, presidente – a Rai Way. Nella convenzione si parla di una cosa importante, credo fondamentale, della copertura integrale del territorio. Il segretario lo ha detto in maniera molto corretta, ma qua ci dobbiamo chiarire. Coprire il territorio al 100 per cento sia per la TV sia per la radio vuol dire investimenti importanti. Da dove arrivano i fondi per gli investimenti? Se si ragiona sulla prospettiva di operatore unico, l'operazione qual è? Gli investimenti si chiedono sempre dai ricavi da canone, che intanto decrescono, e poi faccio magari uno spin off, ovvero la Rai paga e poi facciamo lo spin off, o lo Stato garantirà un finanziamento adeguato per la giusta copertura del 100 per cento del territorio? Credo che a queste domande si debba dare una risposta. Lo schema di convenzione, visto che affronta il tema delle risorse, probabilmente può dare anche questo tipo di risposta.
  Spero di aver risposto alle sollecitazioni dei commissari.

  MASSIMO CESTARO, segretario generale SLC-CGIL. Intervengo solo per un paio di battute su alcune sollecitazioni poste: due punti che esulano dal tema specifico, ma ci pare giusto porli.
  Sapete che come sindacato della comunicazione, ma delle relazioni sindacali in genere alcune sono prettamente aziendali, altre, come la mia, la UIL, hanno tante aziende, la stragrande maggioranza delle quali a forte impatto tecnologico, che richiedono un ricambio generazionale. C'è un problema, che non riguarda ovviamente questa Commissione, ovvero come la riforma previdenziale abbia inciso sul tema del ricambio generazionale. Sappiamo di tantissime aziende che si sono viste allungare la permanenza dei lavoratori di quattro, cinque, sei anni. Questo ha parzialmente impedito quel processo di ricambio. Questo è un dato generalizzato di tutte le aziende.
  Ripeto che ne seguiamo tantissime di telecomunicazioni, informazione e così via. Sapete che seguiamo tutta la parte dell'editoria, dell'informazione pubblica e privata, e tutte le aziende lamentano quest'elemento, che riguarda il sistema Paese, e cioè come si faccia a consentire a quelle aziende di avere quei processi di ricambio generazionale. La questione riguarda trasversalmente la generalità delle aziende, in particolare quelle molto esposte a innovazione tecnologica.
  Il secondo punto è quello sulla produzione, e qui rientro più nello specifico delle attività Rai. Perché insistiamo da tempo sulla qualità delle produzioni? Da un lato, rappresentiamo quei lavoratori e quei professionisti che non stanno dentro il perimetro, o solamente dentro, il perimetro delle aziende Rai o Mediaset, ma anche quelli che stanno fuori, come tecnici o artisti. Proviamo ad avere una rappresentanza anche di quei mondi: lavoro autonomo, partite IVA. Ora, noi parliamo di qualità della produzione perché si risponde alle professionalità che abbiamo, e quindi anche alle tutele contrattuali, previdenziali e assistenziali di quel mondo. Sono lavoratori che hanno rapporti di lavoro intermittenti e che, naturalmente, hanno bisogno forse di qualche tutela in più ai fini della garanzia delle loro professionalità. Diversamente, si rischia di perderle.
  In secondo luogo, perché qualità della produzione? Per due motivi. Il primo riguarda la commercializzazione dei prodotti anche all'estero. Come abbiamo detto, va bene centrare nel documento anche la parte Pag. 36della commercializzazione, ma se si ha in mente di commercializzare dei prodotti, non ci si può che attestare su prodotti di qualità. Il secondo è la replicabilità dei prodotti di qualità. Noi ci guardiamo ancora, andando da un commissario all'altro, il commissario Maigret in bianco e nero degli anni Cinquanta, perché erano prodotti di qualità, e sono prodotti che possono avere appunto la commercializzazione e la replica a composizione dei palinsesti.
  Quando diciamo «qualità del prodotto», lo diciamo perché lì si esplicita una parte del Paese: l'eccellenza del prodotto di cui si parlava prima, sostanzialmente, fa questo. C'è però in questo anche un elemento di produzione industriale. Troppo spesso si considerano le attività di produzione multimediali come cose astratte: no, sono processi industriali, che devono avere quell'elemento. Se si sta sul mercato, si deve stare sul mercato con prodotti di qualità, che garantiscano le tutele delle persone che quei prodotti fanno (tecnici e artisti), che garantiscano la loro commerciabilità e la loro replica, a tutela di un sistema produttivo industriale. Naturalmente, questo riguarda anche i programmi di formazione e altro, per essere chiari. Difficilmente, se non pochi aficionados, si riguardano una partita di calcio. Le repliche di Montalbano se le guardano tutti, o quasi. Allo stesso modo, riguarda volentieri programmi di informazione. Si riguardano documentari.
  Infine, attenzione a quando si parla di attività multimediali, ed è giusto che la concessione vi faccia esplicito riferimento. La televisione del futuro, quella cosiddetta 4K, correrà sulla rete in fibra ottica, la rete fissa. Anche lì c'è un aspetto delicato che chiamerà in causa la Rai, di innovazione di processo e di prodotto per consentire di occupare anche quel segmento di attività. Sapete che il nostro Paese sulla diffusione della TV via rete ha avuto tante disavventure. Non voglio aprire un altro capitolo, ma la televisione del futuro sta lì. In un'interlocuzione che abbiamo avuto con il direttore generale un po’ di tempo fa, abbiamo detto che bisognerebbe che la Rai cominciasse a ragionare anche su questo versante. Ora, non voglio semplificare ed essere scortese nei confronti del direttore generale, ma lui dice che non è un problema suo, bensì dell'azionista. Sì, però qualche elemento di spinta in questo senso anche dalla governance della Rai forse non sarebbe male che venisse.
  Produzione, sostegno del ruolo pubblico radiotelevisivo, e quindi certezza delle entrate nel tempo, mercato pubblicitario e commercializzazione dei prodotti, sono temi complessi, che hanno bisogno di una politica che guardi anche a come si muovono su questo versante i player nazionali e internazionali. Abbiamo avvertito un po’ debole l'interlocuzione con Rai su quest'aspetto, sulle prospettive tecnologiche e industriali. Senza nessun elemento di critica e di polemica, per i quali non è questa la sede, ma lì si giocano partite complesse, che riguardano i gestori di telecomunicazioni, lo sviluppo della rete in fibra ottica, temi complessi per i quali pensiamo che Rai possa e debba essere uno dei player centrali.

  ALBERTO AIROLA. Ho chiesto alla direzione di avere un camion regia HD per riprendere la lirica e altro, perché ce l'abbiamo ancora standard-definition, altro che 4K!

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.45.