XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 93 di Mercoledì 27 luglio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Audizione della presidente e del consiglio di amministrazione della Rai sul piano della trasparenza e della comunicazione aziendale:
Fico Roberto , Presidente ... 3 ,
Maggioni Monica , presidente della Rai ... 3 ,
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale della Rai ... 5 ,
Fico Roberto , Presidente ... 7 ,
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale della Rai ... 7 ,
Brunetta Renato (FI-PdL)  ... 9 ,
Villari Riccardo  ... 10 ,
Lupi Maurizio (AP)  ... 12 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 13 ,
Airola Alberto  ... 15 ,
Margiotta Salvatore  ... 16 ,
Pisicchio Pino (Misto)  ... 18 ,
Verducci Francesco  ... 18 ,
Fratoianni Nicola (SI-SEL)  ... 20 ,
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale della Rai ... 22 ,
Fratoianni Nicola (SI-SEL)  ... 22 ,
Fico Roberto , Presidente ... 22 ,
Crosio Jonny  ... 22 ,
Fico Roberto , Presidente ... 22

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

(Così rimane stabilito).

Audizione della presidente del consiglio di amministrazione e del direttore generale della Rai sul piano per la trasparenza e la comunicazione aziendale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della presidente del consiglio di amministrazione e del direttore generale della Rai che riferiranno sul piano per la trasparenza e la comunicazione aziendale, approvato dal consiglio di amministrazione, su proposta del direttore generale, lo scorso 25 maggio.
  Ringrazio la dottoressa Maggioni e il dottor Campo Dall'Orto per aver accolto l'invito della Commissione. È altresì presente il dottor Paolo Galletti, capo del personale della Rai, che ringrazio per la sua presenza.
  Do la parola alla dottoressa Maggioni, e successivamente al dottor Campo Dall'Orto, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere loro, al termine del loro intervento, eventuali domande e richieste di chiarimento.

  MONICA MAGGIONI, presidente della Rai. Ringrazio il presidente e i commissari. Sull'intera vicenda e in particolare sulla questione trasparenza ribadisco che è stata un'operazione importante, anche al netto di quanto abbiamo assistito in questi giorni. Sono realmente grata di poter essere qui a parlarne con voi, perché penso che sia un passaggio importante per il Paese, ancorché mi sembra che ciò che è al centro del dibattito di questi giorni non sia l'operazione trasparenza in toto, ma solo un suo aspetto: eppure continuo a essere convinta che tutto quello che va nella logica della trasparenza e dell'apertura quando si parla di pubblico, sia da accogliere con grande favore. Da questo punto di vista, vi sono grata e sono grata di essere qui oggi. Mi sembra importante ricordarlo almeno qui e ricordare tra noi quante cose questa trasparenza ha implicato fin qui. Abbiamo messo a disposizione moltissime informazioni, qualcuno dirà non tutte, e su quello probabilmente varrà la pena ragionare, ma comunque moltissime informazioni, anche più di quelle richieste. Abbiamo puntato molto – lasciatemelo ribadire ancora una volta – al nesso che si crea in questa pubblicazione tra il curriculum e la storia delle persone, e tra cosa fanno e il merito. Penso che alla fine quello dovrà essere il nodo e il punto di passaggio imprescindibile, soprattutto quando si parla di servizio pubblico. Il discorso sulla trasparenza per me significa anche la possibilità di essere realmente discontinui su atteggiamenti e modalità che hanno riguardato la nostra azienda. Bisogna decidere però di esserlo e bisogna deciderlo fino in fondo, e non da soli, e non solo da un lato della vicenda o del tavolo. Allora, questa tappa è stata sì Pag. 4importante, ma si è poi completamente concentrata sulla questione delle retribuzioni. Anch'io, fatalmente, nel mio dire qualcosa e nel mio fare qualche rilievo iniziale in questo nostro incontro, devo passare da lì. Devo passare da lì dicendo, per esempio, che sono assolutamente convinta che ci siano moltissime cose da correggere nella nostra azienda. Penso che si sia già cominciato a correggere alcune cose molto serie e significative nel corso di questo mandato, e che altre qualcuno prima di noi avesse già cominciato a sua volta a correggerle. Una linea di demarcazione in questo senso vorrei che fosse segnata. Non è sempre e solo tutto uguale, non è quello che piace guardare a prima vista, però che cosa vuol dire oggi correggere le cose? Vuol dire anche mettere in discussione pratiche che arrivano da molto lontano, e non è assolutamente ovvio, non è semplice farlo. Vorrei dirvi che il sostegno all'operazione trasparenza è così poco formale ma sostanziale, per quello che ci riguarda e ci riguarda come azienda, che nel consiglio di amministrazione che si è tenuto l'altro giorno abbiamo espresso all'unanimità il sostegno a quest'operazione, andando oltre, a identificare possibili campi d'azione, correttivi, che si possono introdurre, strade da percorrere appunto con i vertici aziendali per riuscire a costruire una pagina diversa. Allora, quando il consiglio l'altro giorno diceva che la trasparenza sarà il dispositivo chiave per la trasformazione sostanziale dell'azienda, e per questo vogliamo affrontarlo in una logica costruttiva, deve essere quello il punto di partenza secondo me. Significa che la concentrazione sugli stipendi oggi risolve interamente tutto il discorso? Sì, oggi è un problema. È inutile fare finta di nulla. Abbiamo visto come si è strutturato in queste ore, in questi giorni, il dibattito. Vorrei, però, anche fare con voi una riflessione. Ho sentito da più parti ripetere l'idea che in Rai si aggira il tetto dei 240 grazie all'operazione del bond ad hoc... Ognuno può avere l'opinione che vuole. La realtà è un'altra. I vertici precedenti hanno deciso di procedere a quest'operazione perché rappresentava un enorme e significativo risparmio nella ristrutturazione del debito aziendale. Questo è un dato di fatto. Sono centinaia di milioni riportati nelle casse della Rai, altrimenti non iniziamo a partire dai dati di fatto nel ragionamento.
  Ha anche permesso di riscrivere le logiche di quadri dirigenti... Lasciatemi fare un inciso. Se questo provvedimento fosse arrivato in Rai nel 2012 anziché oggi, se oggi ci siamo strappati le vesti, all'epoca saremmo rimasti tutti nudi, signori. Sappiate che un percorso è stato fatto, e questo percorso non è arrivato certo alla sua conclusione, ma non è che oggi tracciamo la linea in un momento di chissà quale problematica rispetto alla storia che ha segnato e accompagnato quest'azienda, che peraltro conoscete benissimo. Moltissimi di voi si occupano di quest'azienda da decenni, e quindi sanno perfettamente che quello che sto dicendo corrisponde esattamente a realtà. Non me lo sono inventato stamattina. Il tema è che un percorso è cominciato. Il bond era servito a quello. C'è stata una ristrutturazione, perché tutti quelli che superavano quel tetto non sono stati reintegrati nella situazione precedente, ma è stata già colta un'occasione per iniziare a razionalizzare alcuni aspetti. Devo dire che in quello continuo a vedere un valore. A costo di sfidare l'impopolarità, che invece in queste ore stanno tutti cercando a spese di tutti, vorrei anche permettermi di raccontarvi in poche parole perché mi sento libera di farvi questo discorso.
  Vedete, sarò sul piano personale per pochissimi istanti e spero che me lo perdonerete, ma sono entrata in Rai facendo un concorso, poi facendo il precario, poi facendo il redattore ordinario, poi facendo l'inviato, poi il corrispondente, poi il direttore, e oggi sono qua. E non posso vedere la Rai ridotta a un dibattito che schiaccia tutto sull'andare alla conta di che cosa c'è dentro e perché. Dentro la Rai c'è un sacco di gente che tutti i giorni si guadagna seriamente il suo stipendio, e anche tra quelle persone con quegli stipendi alti ci sono... C'entra, c'entra, onorevole Lupi, c'entra. Le posso garantire che c'entra moltissimo, altrimenti noi rischiamo di fare Pag. 5un'operazione per cui oggi prendiamo la Rai e la seppelliamo sotto l'ondata di quello che stiamo raccontando in queste ore. E questo non è immaginabile come inizio. Poi c'è un altro tema. Non mi fraintendete, non sto dicendo che sia logico e che sia giusto che una serie di persone che ci sono in quei famosi elenchi guadagnino quei denari, ma ritengo che un'azienda che deve essere in grado di stare su un mercato complicatissimo debba anche avere delle figure dirigenziali attentamente valutate, attentamente pesate, che rispondono e che vengono verificate, ma che sono in grado di avere un livello retributivo che ha qualche elemento di riferimento con il mercato. Non sto dicendo che deve essere la stessa cosa, ma qualche elemento di riferimento sì.
  Vedete, fare il direttore di un telegiornale del servizio pubblico dal mio punto di vista deve essere un'operazione ancora più complessa che farlo nel privato. Non deve essere una cosa più semplice. Non mi deve bastare una persona di buon livello. Deve essere un'operazione, e lo è, ancora più complessa. Ci si prende tutti i giorni delle enormi responsabilità, si è chiamati a rispondere delle proprie responsabilità e si viene qui, com'è giusto che sia. Tutto questo deve valere per tutta la vita? No, non ci devono essere le posizioni maturate per sempre a scapito del contribuente. Certo, non ci deve essere l'inamovibilità delle posizioni apicali. Questo è un altro tema. Bisogna inserire degli elementi di razionalità nell'approccio alla questione: e per me gli elementi di razionalità sono anche, per esempio, il tener conto del fatto che lavorare in Rai significa avere vincoli molto precisi. Si è molto meno presenti sul mercato da tutti i punti di vista. Lo sanno bene colleghi che per venire a lavorare in Rai hanno dovuto evitare qualsiasi tipo di altra collaborazione o cose di questo tipo. Qual è l'elemento di razionalità? È dire cesura assoluta con un luogo dove si diventava inamovibili, in una posizione di «privilegio»? Per me, è di privilegio nel momento in cui non si lavori adeguatamente, non si ha il merito e le competenze specifiche per fare quella cosa e si sappia che, comunque vada, basta che telefoni a qualcuno e lì ci si resta tutta la vita. Questo per me non può essere. Questo non va bene che sia. Dire, però, che allora non ci deve essere la differenza, la possibilità di essere competitivi, la possibilità di attrarre anche manager che servono per gestire un'azienda estremamente complessa come questa, è un problema. Vi segnalo e vi sottolineo che questo è un problema molto serio, perché di fronte abbiamo competitori privati molto in gamba, che ovviamente sono disposti a pagare prezzi ben diversi per avere delle risorse umane. Questo non è il luogo dei paragoni, però vi garantisco che è diverso il mercato che c'è là fuori. Sul fatto che ci sia un controllo sui tetti di spesa all'interno del pubblico sono d'accordo. Sul fatto che debba essere un principio sul quale si va a sacrificare qualsiasi possibilità di differenza motivata e revocabile – questo è un nodo particolare – forse varrebbe la pena di ragionare insieme.
  Lasciatemi dire, però, e mi avvio rapidissimamente a concludere, che il dibattito anche di queste ore secondo me manca di un punto: decidere che cosa veramente si vuole da questa Rai. Se l'obiettivo è quello di indebolirla e di metterla solo al centro di una dimensione polemica e non di una dimensione di costruzione di prospettiva, questo è un problema. Se, invece, la questione sia di ridurre gli sprechi, far diventare questa Rai un posto seriamente accountable, che seriamente deve dar conto di ogni scelta, allora su quella base si può costruire un'idea di azienda diversa, su quello certamente l'alleanza l'avete, perché nei fatti molte cose si stanno facendo, e l'avrete in futuro. Il problema vero è capire se oggi quello sulla Rai deve essere un dibattito che crea valore per questo Paese, e quindi crea un'azienda migliore, o se invece il dibattito, siccome porta moltissima attenzione e moltissimo favore attaccare Rai e basta, serve esclusivamente a quello. Penso che insieme da questo luogo si possa pensare di costruire un elemento di valore, che è una cosa molto diversa.

  ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale della Rai. Aggiungo alcune riflessioni a quante riportate ora dalla presidente, Pag. 6 con la quale mi trovo in grande sintonia in materia di trasparenza, ma anche su quanto concerne il dibattito che si è aperto in relazione alla trasparenza, confermando che su alcuni aspetti credo che sia non solo legittimo, ma necessario capire che cosa si vuole da questa Rai, anche perché su molto del dibattito personalmente mi ci ritrovo molto poco. Mi ci trovo molto, invece, relativamente a quello che stiamo cercando di fare. Continuo a pensare che la trasparenza, nei Paesi che mirano a un rapporto diverso tra società e pubblico, sia portatrice di innovazione. Questo si sviluppa nell'arco del tempo ed è normale che nei momenti iniziali in cui si introduce la trasparenza ci siano momenti difficili. È chiaro che diventa molto importante il ruolo del dibattito pubblico per accompagnare questo percorso, perché la trasparenza è un'occasione, non è una soluzione solamente. Secondo come la si usa uno può trarne vantaggio e valore o meno. Tra l'altro, mi sento di dire che nasce da un circolo che ritengo virtuoso tra politica e azienda. È la politica che consente all'azienda di fare un percorso che altrimenti, anche per ragioni legate alle norme sulla privacy, diventa più difficile. La cosa bella di questo che è l’incipit è, appunto, un circolo virtuoso tra politica e azienda, a maggior ragione perché in questo caso la politica dà un messaggio: nel rapporto col pubblico non ci devono essere cose che non possono essere condivise. Ed è per questo che fin dall'inizio ho detto, sia esternamente sia internamente, che non è solo un obbligo, ma è anche una grande opportunità. E l'abbiamo messa in pratica. I dati che avete non corrispondono solamente a un obbligo di legge. Tanto per essere pratici, i dati del 2015 erano quelli che ci venivano chiesti: abbiamo messo anche i dati di quest'anno, ma perché credo che la trasparenza vada interpretata nel senso pieno del termine, non nel senso di quello che la legge chiede. Siccome i dati degli stipendi, visto che questo è il tema principale, riguardano il percepito dell'anno precedente, sarebbe stata completamente soddisfatta la richiesta anche fornendo solo i dati dell'anno scorso. E poi vedrete anche altre parti in futuro. Continuo a credere, infatti, che questa sia un'occasione. A partire dal Qualitel del prossimo anno, visto che abbiamo fatto un grosso investimento su questo e che la qualità è stata giustamente molto spesso citata, dall'anno prossimo avremo i dati pubblicati quotidianamente, in modo da evitare che uno non abbia solo i dati auditel, ma possa capire quali delle nostre attività possono riscontrare il favore del pubblico. Si passa poi a tutte le attività che sono nel sito, che probabilmente avete già visto, che riguardano il rapporto con il consiglio di amministrazione, con la governance, i contratti sugli appalti, i contratti del personale che applichiamo e così via.
  Detto questo, torno un secondo sul dibattito. La verità è che trovo che il dibattito che si è sviluppato non intercetti la potenzialità della trasparenza. Devo essere franco e lo dichiaro, culturalmente a me non interessa. Non mi interessa nel senso che mi sento gestore di un pezzo di cosa pubblica, un pezzo di res publica, e credo che sia indispensabile che chiunque si trovi a gestire un pezzettino di cosa pubblica debba muoversi nell'ambito dell'idea di creazione di valore, per l'azienda e per il Paese. Poi è chiaro che sulla creazione di valore siano legittime tutte le domande. Cito una domanda che è stata fatta spesso: i compensi delle star sì o no? È una domanda legittima. Credo che per un'azienda mista, cioè che si muove nel servizio pubblico, ma con molti programmi che raccolgono pubblicità, non sia un caso che questo possa essere un elemento di modifica della concorrenza con gli altri soggetti. Non è un caso che in Inghilterra, dove sono solo finanziate dalla pubblicità, non ci siano state ancora pubblicazioni, ma è una giusta parte del dibattito, dibattito che però rimane secondo me ancorato per la mia parte al tema di creazione di valore. La creazione di valore, che sia ben chiaro, e questo riflette le parole della presidente, deve avere un'attenzione specifica per quanto riguarda il modo in cui spendiamo i soldi perché siamo soggetto pubblico. I livelli di stipendio, i confronti degli stipendi col mercato, il fatto di essere il 15 per cento Pag. 7più bassi nella parte apicale, sono giustissimi e doverosi elementi che devono governare l'azione quotidiana. Mi associo, quindi, alla presidente per dire che credo che sia importante capire che si parte dal valore che creano le persone. Laddove ci sono storture, vanno corrette, modificate, cancellate, ma credo che questo vada fatto quotidianamente. Capisco che ormai il lavoro quotidiano sia un'attività démodé, che non sia molto à la page l'attività che si svolge quotidianamente per cercare di trovare un modo per migliorare. Lo dico serenamente, perché non c'ero in passato. Ho lavorato per ventidue anni nel settore privato, come sapete, quindi nessuno di questi meccanismi ha agganciato la mia esperienza professionale. Sono venuto nel pubblico dopo aver fatto privato per ventidue anni. Sto cercando di applicare le stesse logiche dal punto di vista di creazione di valore, aggiungendoci tutti gli elementi che credo debbano essere propri del pubblico. Ci sono, come dicevo, elementi positivi e storture, ma lo scivolamento verso l'analisi delle storture ha portato il dibattito verso una dinamica che secondo me genererà poco valore. Questo è quello che sento di dire. Non significa che le strutture non vadano affrontate. Qualcuno le ha chiamate storture, schifezze, chiamatele come volete: siamo d'accordo che arrivano dal passato? Siamo d'accordo che le abbiamo ereditate tutti qui? Siamo d'accordo che queste cose arrivano da un percorso, dalla storia di un'azienda? Sono storture dentro la storia di un'azienda che trovo molto bella, ma che ha anche delle storture...

  PRESIDENTE. Gasparri, interveniamo dopo con le domande... Dopo avrà l'opportunità, come tutti, di fare le sue domande e di esprimere le sue opinioni.

  ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale della Rai. In che modo abbiamo già affrontato queste verità che ci siamo trovati? Tenete conto che non solo le abbiamo viste, ma le abbiamo anche affrontate. Già quest'anno, abbiamo risolto 25 casi in cui non c'era corrispondenza tra posizione, ruolo effettivo e quindi compensi. Dicevo che questo è l'unico modo per riuscire, in una dinamica di lavoro quotidiano, a portare valore all'azienda. Riusciremo a risolverne un'altra decina entro fine anno e continueremo con questo lavoro, perché partiamo innanzitutto dal principio che chiamiamo di corretta collocazione. Non è che tutte queste cose si debbano risolvere con una risoluzione del contratto. Innanzitutto, il tema vero è capire se ci siano luoghi nei quali le persone possano essere debitamente collocate, che è il primo compito di un'azienda come la nostra. Soltanto nel caso in cui questi luoghi non si trovino, si va verso la risoluzione del rapporto. L'obiettivo dichiarato – l'ho già dichiarato – è che queste situazioni possano essere azzerate dal punto di vista dirigenziale e possa esserci una riduzione drastica anche nei casi più complessi, che riguardano più il mondo giornalistico, ma non è solo questo che abbiamo fatto e che faremo. Da un lato, e l'avete visto perché è stato comunicato anche attraverso il comunicato del consiglio di amministrazione, c'è l'autoregolamentazione degli stipendi. Insieme in consiglio di amministrazione ci siamo presi l'impegno di fare un percorso che durerà poche settimane e di proporre un'autoregolamentazione degli stipendi. Al di là, cioè, del corretto e giustissimo ragionamento sui tetti che ha fatto la presidente, si possono però individuare fasce che identifichino i diversi ruoli, in modo che ci sia corrispondenza tra responsabilità, competenze e compensi. In questo modo, non ci sono disparità, la storia dell'azienda non produce cose che non sono coerenti. Questo riguarda poi anche la creazione di percorsi che possano prevedere, per esempio, per determinati ruoli, indennità di funzione riassorbibili, altrimenti queste cose poi generano difficoltà in termini di allocazione di determinate persone. Ricordatevi che in un'azienda di queste dimensioni uno dei temi fondamentali è quello dell'efficienza. Noi dobbiamo, e abbiamo già lavorato in questo senso negli ultimi mesi, introdurre indicatori di performance, cioè dobbiamo fare in modo che ci siano indicazioni di performance delle persone che lavorano con noi, in modo che ci possa Pag. 8essere anche in prospettiva un'incentivazione dal punto di vista di componente variabile. Deve essere legata, però, al modo in cui le persone lavorano. Dove voglio arrivare? Voglio arrivare al fatto che, laddove abbiamo trovato elementi che andassero cambiati o la possibilità di introdurre buone pratiche, abbiamo colto l'occasione. Oggi, in organigramma abbiamo sette tempi determinati, che prima non c'erano, e che sono serviti per cercare di dare flessibilità a un'organizzazione in prospettiva, soprattutto nella parte editoriale, dove ogni gestione vuole distinguersi per quello che vuole fare. La maggiore flessibilità fa sì che coloro che arrivano possano non avere l'onere di cambiare in maniera non fluida le persone. Ciò questo aiuta, anche perché permette una rotazione dal punto di vista creativo che secondo me fa bene all'azienda. In questo senso, tornando a ciò che possiamo fare e che stiamo facendo, ho trovato interessante quello che diceva l'onorevole Orfini di recente sul tema. A un certo punto, in un'intervista che ha rilasciato diceva: «Parlate con i sindacati e metteteli con le spalle al muro». Al di là della forza di questa frase, perché è interessante? Per due motivi. Anzitutto, riporta al lavoro quotidiano, cioè si deve parlare con i sindacati perché lì, e ci arrivo, c'è un aspetto dal punto di vista delle dinamiche di quanto si è consolidato, e che ha citato anche la presidente rispetto alla difficoltà di rendere plastici i ruoli; d'altro canto, è sul metterli con le spalle al muro che c'è un pezzo del valore della trasparenza. La trasparenza fa emergere le cose che non vanno, e questo dà maggiore forza e possibilità per riuscire a risolverle. Questa è una delle ragioni per cui continuo a pensare che la trasparenza sia un elemento naturale di innovazione. Se la trasparenza ci fosse sempre stata, probabilmente alcune cose che alcuni di voi indicano non sarebbero avvenute. Credo che questo porti un naturale progresso e un processo verso comportamenti più adeguati e corretti.
  Il fatto di avere, però, un momento discontinuo riporta alla questione accennata dalla presidente: capire che cosa si vuole da quest'azienda. Questo lavoro di progressivo adeguamento a comportamenti corretti è necessario ed è legittima tutta la discussione sugli stipendi, ma bisogna capire con quale prospettiva la si vuole fare e che ruolo si vuole associare. Ed è legittimo qualunque ruolo. Mi sento gestore di un'azienda dentro alle regole e alle norme che mi vengono date, e che mai metterei in discussione, neanche il mio stipendio. Per tutti i miei lavori precedenti negoziavo lo stipendio: in questo caso, c'è stato un meccanismo per cui ho chiesto «ditemi voi quant'è?», «quello di prima» perfetto! I vincoli, le norme, le regole, adesso la concessione siete voi istituzioni che ce le date. È importante, però, secondo me che arrivino coerenti con quello che vi aspettate da noi. In questo senso, credo che sia importante che noi facciamo la nostra parte.
  Citavo gli accordi sindacali. È chiaro che lì c'è un elemento di rigidità che dobbiamo superare. Gli accordi sindacali che come azienda abbiamo firmato molti anni orsono sono quelli che danno spesso la rigidità e la non risoluzione, se non con delle cause per determinate situazioni. Allora, a volte, e capita, il cambiamento di scenario cambia i diritti in privilegi: quello che sembrava un diritto totalmente sostenibile nell'arco di qualche lustro diventa un privilegio, sia perché viene percepito così, ma anche perché non si mette l'azienda nelle condizioni di avere un ricambio naturale. Il fatto di avere posizioni pensate quasi come inamovibili è chiaro che, salvo non moltiplicare le direzioni all'infinito, genera la necessità di pensare a percorsi in cui l'azienda chiede alle persone di fare cose diverse durante la loro vita aziendale. È questo che va cambiato. Chiaramente, va cambiato sulla base, come stiamo facendo, di un lavoro, come dicevo, quotidiano. Questo non può non essere al centro dell'attenzione nel momento in cui si va a capire che effetti può avere la trasparenza. Peraltro, se posso dire, è chiaro che ogni volta che si vanno a toccare – lo sappiamo bene tutti – questo tipo di dinamiche, di privilegi nel nostro Paese, è complicato. Probabilmente, è complicato in qualunque Paese, ma non c'è dubbio che la sensazione, relativamente alle questioni sollevate, è in Pag. 9molti casi anche di essere di fronte a una storia del passato complicata per alcuni aspetti. È chiaro che questo non può che portarci a una riflessione sul ruolo che pensate debba avere la Rai.
  Ho un ultimo pensiero, poi lascio la parola alle domande. È un pensiero a cui tengo, anche se può essere ritenuto non centrale, ma per me è il vero tema per cui continuo a pensare che sia importante la trasparenza. Arrivo dall'azienda privata, arrivo da esperienze manageriali anche fuori dal nostro Paese. Abbiamo nel nostro Paese un'occasione, legata sì anche a questo tema dalla trasparenza, ma a come sta modificandosi la morfologia delle aziende. E per me le aziende sono creazioni di valore economico e sociale in un Paese. Guardate come sono cambiate le aziende private negli ultimi vent'anni, quante sono le grandi aziende ancora italiane, c'è stata una diminuzione delle aziende italiane presenti nel Paese. Tenete conto che una grande azienda è anche una scuola di management, è una scuola di comportamenti, non è soltanto un luogo che genera profitto. Questa responsabilità in questo momento è via via stata trasferita al pubblico, che oggi ha le grandi aziende del Paese. Il rapporto tra valore, competenza e aspettative diventa allora centrale. Questo meccanismo della trasparenza può avere varie soluzioni: o diventa un luogo e un momento in cui si consente di riuscire ad attrarre talento, ma a far avere regole proprie al servizio pubblico, o ci può essere anche una separazione dal valore, ma non so se il nostro Paese se lo possa permettere.
  Oggi, il valore è nelle aziende, soprattutto nelle grandi aziende pubbliche, e credo che l'occasione che ci dà la trasparenza sia di ritrasformarle in luoghi importanti. La ragione per cui ho lanciato di recente RaiAcademy, e concludo, è che penso che le grandi aziende italiane che si stanno trasformando – aziende come Eni o Enel sono peraltro già molto avanti in questo processo – diventino un po’ i capisaldi di un nuovo modo di riuscire a formare le persone, in questo caso dal punto di vista della capacità di gestione. Io ci credo molto. Ovviamente, questo dipenderà molto dal dibattito che si svolgerà non soltanto in questi giorni, ma nei prossimi mesi e anni.

  RENATO BRUNETTA. Mi scuso, ma poi dovrò andarmene, perché devo chiedere trasparenza al Ministro Padoan sul tema del Monte dei Paschi di Siena e delle banche. Siamo sempre nella stessa area.
  Devo dire che sono rimasto un po’ deluso dalle due introduzioni, perché le ho trovate atecniche e un po’ confuse, emozionali. Non chiedevo emozioni. Se mi permettete, presidente e direttore generale, seguirei questo schema.
  Il principio della total disclosure per le pubbliche amministrazioni, e la Rai ne fa parte, data nella sua normativa recente dal giugno del 2009, ribadito col decreto n. 101 del 2013. Questa è la base giuridica, quindi non è lasciato alla vostra sensibilità, alla vostra volontà. C'è una base giuridica che riguarda tutte le pubbliche amministrazioni e le modalità di applicazione. Devo dare atto che la presidente Maggioni e il direttore generale Campo Dall'Orto per primi hanno rispettato la legge. Sono sette anni che i loro predecessori non rispettavano la legge, e la legge era quella di dare total disclosure, totale trasparenza, a contratti e remunerazioni, naturalmente fatte salve le parti sensibili. Lo dico con una qualche determinazione, perché sono sette anni che sono stato sconfitto su questo piano. Lo sa benissimo la presidente. Nonostante norme e contratti di servizio, la Rai aveva opposto un muro di gomma di fronte a questa base giuridica, e quindi la Rai fino a voi, fino a ieri, all'altro, era contra legem. Non basta. Quello che avete fatto in ottemperanza alla norma di riforma della Rai è solo una parte della total disclosure, che chiede anche la pubblicazione degli altri compensi, delle cosiddette componenti di consulenza e anche artistiche. Su taluna base giuridica addirittura c'era la pubblicazione nei titoli di coda delle singole trasmissioni.
  Non voglio filosofia da voi, se e come la trasparenza sia utile o non lo sia. Applicate la legge, total disclosure. La Rai essendo concessionario del servizio pubblico è dentro il perimetro della pubblica amministrazione, Pag. 10 quindi deve applicare quello che già nella pubblica amministrazione si fa. Non c'è altro da dire. Pubblicate tutto, tutto quello – mi riferisco ai contratti – che può essere pubblicato, fatto salvo il tema della riservatezza. Non è riservatezza il compenso delle star. Non è riservatezza il compenso dei collaboratori esterni, i Vespa, le Littizzetto, i Fazio e così via, non è riservatezza. Non serve neanche dare informazioni sul mercato concorrenziale privato. Queste sono stupidaggini dal punto di vista teorico e della letteratura. Tutti sanno tutto. Il problema è che è interesse dei cittadini essere informati dei compensi. E non si incide assolutamente sul mercato. I 5 milioni di Fazio, i 2 milioni di Vespa, i 20 mila a puntata della Littizzetto, sono noti, ma di straforo. Vorrei anche conoscere – questo, invece, non è noto – la quota di corresponsione per quanto riguarda gli agenti delle star, che vengono pagati e ovviamente il loro compenso ricade nel costo delle star o dei loro assistiti. Anche questo la gente non lo sa: i vari Caschetto, i vari Presta, persone degnissime, di grande successo, vengono pagate dalla Rai, quindi dai cittadini, quindi dal canone in bolletta. Per questa ragione, senza demagogia, c'è la base giuridica, Campo Dall'Orto e Maggioni, base giuridica. Studiatevi la base giuridica, vedete gli obblighi.
  Il secondo punto riguarda il tetto – ne so qualcosa – vexata quaestio: base giuridica anche in questo caso, articolo 13, decreto del Presidente del Consiglio n. 66 del 2014, il quale l'ha fermamente voluto e ha diminuito gli stipendi a tutti gli alti dirigenti della pubblica amministrazione, a partire dal primo presidente della Corte di cassazione, che aveva circa 302-305.000 euro, che sono stati portati a 240.000 euro. Si fece l'eccezione per le imprese che operavano nel mondo del sistema finanziario. Onde evitare escamotage o imbrogli, su mio ordine del giorno feci approvare dal Parlamento un orientamento che spiegasse cosa volesse dire la deroga, che doveva essere fatta per quelle imprese che prevalentemente operavano nel mondo finanziario. Non basta emettere qualche bond e qualche obbligazione. Pertanto, anche qui, Maggioni – mi permetto, data l'antica conoscenza – e dottor Dall'Orto, con cui c'è minor conoscenza, applicate la legge, che vuol dire applicate il tetto di 240.000 euro. Poi la produttività, l'efficienza, la trasparenza fanno parte del mio antico mestiere, l'apertura dei ventagli retributivi legati alla produttività, gli incentivi e così via, sono fatti vostri di dirigenti di quest'azienda. Il legislatore e questa Commissione hanno però il diritto e il dovere di chiedervi conto. La Rai non opera nel mercato finanziario. La Rai opera nel mercato della cultura e dell'informazione. Questa è l'attività prevalente. Che poi emetta anche qualche titolo, qualche bond, questo va da sé che siete giustamente benemeriti a farlo, ma questo non può dare l'alibi d'imbroglio di dire che siete esenti dall'applicazione del tetto. Lo so che è sgradevole, perché si parla degli stipendi anche dei qui presenti, ma se un primo presidente di Corte di cassazione viene pagato 240.000 euro, non vedo perché un direttore generale della Rai debba essere pagato 650.000 euro. E non c'entra pubblico e privato. C'entra la base giuridica, la legge. Per questa ragione, vi chiedo non emotività, non voli pindarici o filosofeggiamenti. Applicate la legge. Fate trasparenza secondo quanto previsto dalla legge, sia per quanto riguarda il tetto, sia per quanto riguarda la total disclosure, e cioè la trasparenza.

  RICCARDO VILLARI. Nonostante una fastidiosa influenza, non ho voluto mancare oggi, perché tutti amiamo la Rai, con la Rai ci siamo formati e abbiamo tutti una grande considerazione di quest'azienda, che è un vero motore culturale di questo Paese.
  Ascoltando le due introduzioni, sono rimasto abbastanza interdetto, se si può dire. Non credo che il dibattito sulla trasparenza debba ridursi a un problema di stipendi. Per trasparenza intendo un'accessibilità totale e dei comportamenti comprensibili, in maniera semplice, di buonsenso. Da questa considerazione discendono anche indirettamente alcune domande. Non voglio parlare di esterni, di interni. Questo è un dibattito lasciato allo stile di ciascuno. Ognuno saluta col cappello Pag. 11 che ha, però vedo grandi professionalità in Rai – lo abbiamo appreso – che hanno questi stipendi superiori ai 200.000 euro, sono grandi professionalità, alcuni per la verità anche parcheggiati a disposizione e sono loro stessi a dire di non avere una funzione vera e propria. Allora, mi chiedo se non sarebbe stato il caso di ricollocarli preventivamente, prima di ricorrere a risorse esterne. Altra cosa che mi chiedo è quali siano il perimetro e il criterio secondo cui questi esterni – alcuni dei quali a tempo indeterminato, e onestamente non me lo spiego – guadagnano. È antipatico dirlo, ma c'è una vasta e diversificata gamma di importi. Non capisco in base a quale criterio derivino, su quali scelte questa questione poggi.
  Devo dire francamente che la politica deve fare ammenda per tante cose, che continuerà a fare, e tutti vogliamo una Rai sganciata dalla politica, quindi non vorrei che oggi, con i poteri che la legge conferisce al direttore generale, ci si nasconda dietro ingerenze che non devono esserci. Vorrei dire che ognuno si assume la responsabilità delle sue scelte. Non che chi è intervenuto prima di me – mi riferisco al direttore generale e al presidente Maggioni – le abbiano scaricate, ma c'è sempre questa politica che in qualche modo galleggia. Forse sarò sgradevole nel fare nomi e cognomi, ma non me lo spiego. La Rai ha preso tanti giornalisti, ha chiamato all'interno tante professionalità provenienti principalmente dalla carta stampata, che peraltro non hanno nessuna esperienza di televisione, che è diversa dalla radio, mentre la carta stampata muore. Qui si fanno cordate – vorrei essere malizioso, me lo permetterete – di chi viene salvato da giornali che sono ormai in affanno e viene recuperato all'interno della Rai. Scusatemi, quando vedo che un ottimo professionista come Francesco Merlo viene chiamato come vice di Verdelli per supportare l'offerta informativa, non riesco bene a capire. Vorrei capire nel curriculum che tipo di esperienza si riscontra su questo tema. Parliamo di professionisti indiscutibili, ma ricordo che le tre parole che dovevano essere l'ispirazione, la stella polare, della vostra gestione erano: educazione, cultura e merito. Ora, credo che i professionisti anche all'interno della Rai siano tanti e forse qualcuno di quel genere di funzione fosse maggiormente accorsato da chi, viceversa – oltretutto, sia detto – è anche settario. Pure questo va detto. Sono funzioni delicate. Ho letto un comunicato della Rai che dice: «Noi non siamo coinvolti nelle opinioni che il giornalista in questione esprime», però le esprime, e quindi vorrei dire che forse qualche riflessione e qualche maggior cautela io l'avrei avute.
  Pongo un'altra riflessione. Tutti chiedono agli altri quale sia la sua idea di Rai, l'ho sentito anche qui. La mia idea di Rai, ma in realtà quello che dovrebbe diventare la Rai, che oggi conta su un canone, quindi su risorse, su certezze, è anche una media company moderna, che produce contenuti oltre a trasmettere. Ora, io non vedo, tra tutti questi che vengono richiamati all'interno della Rai, chi realizzi il prodotto, se non le centinaia di giovani a 1.500 euro, precari, che fanno più o meno delle trasmissioni. Si continua a recuperare i prodotti format dall'esterno. La Rai tutto sommato non fa altro che appaltarsi quello che altre produzioni realizzano. Non vedo in prospettiva – mi auguro di sbagliare, naturalmente – questo scatto. Questa è la mission della Rai? Francamente, questo mi lascia interdetto e lo volevo segnalare sotto forma di riflessione più che sotto forma di domanda. Oggi, e finisco, ci sono poteri significativi ricondotti al direttore generale, ci sono risorse che vengono date, quella del canone, in esclusiva alla Rai, e quindi ci sono strumenti e mezzi per incidere e guardare in prospettiva. Ecco, spero e confido che questo scatto ci sia. Capisco molte cose, ma la partenza per certi aspetti non mi entusiasma. Devo dirlo con molto rispetto quando si parla di persone e di grandi professionisti. Il problema è vedere la funzione che questi professionisti devono esprimere, a cui devono assolvere, e se questa funzione non poteva essere assolta dai tanti che nella Rai ci sono, come sapete meglio di me, come il presidente Maggioni sa ancora meglio di me. Tutto questo mi lascia perplesso rispetto alla prospettiva. Pag. 12Queste sono le riflessioni che vi affido sperando, più che in una risposta, in un ragionamento, in un'azione quotidiana che poi possa essere di risposta a queste mie riflessioni.

  MAURIZIO LUPI. Anch'io vorrei seguire il ragionamento di Brunetta, impostandolo come l'ha impostato lui.
  La mia osservazione al presidente della Rai è che credo assolutamente alla Rai per la trasparenza. Credo che quello che stiamo facendo sia esattamente una delle funzioni nel rapporto tra la Commissione di vigilanza e l'azienda Rai proprio sulla base oggettiva di quello che finalmente viene in maniera chiara, netta, pubblicato, e da cui devono discendere le ragioni per cui si fanno delle scelte, si prende un professionista, si valutano i risultati ottenuti e se il parametro costituito da merito, compenso e obiettivo raggiunto funziona. Il problema non è personale. Conosciamo tutti la passione del presidente per la difesa dell'azienda Rai. Non a caso lo dico. Uno dei temi che sottolineerò nelle domande, cogliendo l'occasione della presenza del direttore generale, a cui la legge ha affidato pieni poteri nella conduzione di quest'azienda, è che la politica per la prima volta ha dato un segnale all'azienda, ha detto che si può, all'interno della Rai e valorizzando le professioni che sono nate, scegliere addirittura il presidente. Quale segnale più grande abbiamo potuto dare tutti insieme se non dire che la Rai è anche un'azienda che forma, che crea professionalità e che queste professionalità – si può avere ragione o torto – possono finalmente essere riconosciute? Non era mai successo. Questa Commissione di vigilanza è andata in quella direzione. Allora, il problema è oggettivo. E prendo la motivazione di Brunetta sulle leggi per ribaltarla. Da un punto di vista formale, la legge che abbiamo stabilito dà la possibilità, nel momento in cui l'azienda emette bond, di avere una flessibilità, e quindi una discrezionalità, e quindi ancora più responsabilità, per decidere le retribuzioni, il merito, il percorso e le scelte che si fanno. Ritengo – lo dissi anche pubblicamente – che la scelta di emettere bond, anche se c'erano altri colleghi qui presenti che la criticarono, fu legittima e giusta proprio per la situazione dell'azienda. In punta di penna e di diritto, quello dice e dà la possibilità – non a caso, è successo questo – di sbloccare, di andare oltre i tetti, e non a caso si è tornati verso le retribuzioni o i parametri. La domanda a cui mi aspetto che il direttore generale risponda è, anzitutto: questi primi dati di trasparenza che abbiamo visto sono coerenti con il racconto e l'obiettivo che ci è stato dato e vi è stato dato di una nuova Rai, di un nuovo servizio pubblico?
  Il mio giudizio personale in questo primo anno – siamo a un primo anno – è che non sono coerenti con l'attesa e le risorse messe a disposizione rispetto agli obiettivi a oggi raggiunti. Magari tra un anno saranno nuovi, saranno migliori, tra due anni saranno migliori. Oggi, non è così. In che cosa non vedo questa novità, e mi piacerebbe essere contestato su questo? Da un punto di vista del racconto della nuova Rai, grazie alla Commissione, abbiamo sentito i palinsesti: se chiudo gli occhi e penso che per mio figlio o un giovane che deve approcciarsi alla Rai la novità proposta sul palinsesto – è un esempio, ho grande stima, è stato un uomo che ha riempito le nostre domeniche – è la Domenica in con Pippo Baudo dalle 18.00 alle 20.00, con tutto il rispetto non mi sembra che sia la nuova Rai. Altro è se la novità è formare i talenti e valorizzarli. Abbiamo avuto, per esempio, un'opportunità, abbiamo fatto un tentativo dopo Floris su RaiTre. Floris è un prodotto interno Rai, è una di quelle dimostrazioni che, su 1.830 giornalisti, possono nascere ed esserci ottimi professionisti, che poi lo dimostrano andando tra l'altro da un'altra parte. La scelta più opportuna era spendere 200.000 euro – ottimo professionista, nessuno lo discute – per prendere dalla concorrenza o vedere se tra i 1.857 giornalisti ci poteva essere una nuova Maggioni, un nuovo Floris, Ognuno citi gli esempi e le storie che può raccontare avendo vissuto trent'anni in quest'azienda.
  Il programma delle fiction che viene impostato, il racconto di questa nuova Rai ha un segnale di novità o non ce l'ha? Pag. 13Penso che l'Italia debba essere il racconto di un'Italia nelle sue contraddizioni, e che si valorizzi anche il positivo che esiste, la pluralità culturale che esiste in quest'azienda. Il primo punto è valutare questo rispetto agli obiettivi che sono stati dati e alle risorse che sono messe a disposizione. Inoltre, mi permetta, direttore generale, le scelte del passato sono il passato, ma ci sono scelte nuove. Ognuno di noi non cita casi personali, perché ho fatto la critica al presidente Maggioni, e quindi non vogliamo citare casi personali, anche se la politica ha dato a sua volta degli esempi essendo un servizio pubblico. Con 2 miliardi 700 milioni di fatturato, 1 miliardo e 650.000 di euro che vengono dal canone, che dovrebbe aumentare ancora di più, è evidente che, pur essendo in quel perimetro che ti permette, avendo emesso bond, di andare oltre la legge, una certa responsabilità è necessaria nell'utilizzo delle risorse, nei criteri oggettivi: c'è anche il direttore del personale.
  Ci avete presentato quattro nuovi direttori di rete. Le scelte le avete fatta voi, non le abbiamo fatte noi, legittimi professionisti, che si possono contestare o meno. Qual è la ragione per cui il direttore della rete ammiraglia – sarebbe la domanda di qualsiasi revisore, sindaco, di un'azienda privata – prende meno di 200.000 euro, e il direttore di RaiDue e il direttore di RaiTre, e non è un problema personale, ma oggettivo di criteri, prendono 300.000 euro? La rete ammiraglia è quella che dovrebbe fare più ascolti: il direttore ne prende 200.000 solo perché è interno? Solo perché dobbiamo ancora adeguarci? Un'azienda che sta sul mercato e che ha in più un servizio pubblico decide di usare lo stesso parametro: cara Bignardi, vuoi venire a fare il direttore di RaiTre? Siccome il tetto della rete ammiraglia è 200.000 euro, il tuo compenso sarebbe di 200.000 euro: ci vuoi venire? Bene. Non ci vuoi venire? Va’ da un'altra parte. Oltretutto, abbiamo il vantaggio, chi fa politica, di essere in Parlamento, chi ha un ruolo nel servizio pubblico, di essere la Rai, e abbiamo visto che cosa vuol dire lavorare in Rai.
  Mi ha preceduto il collega Villari. C'è un criterio che è stato dato da questo Governo. Può piacere o non piacere, ne avete discusso nel vostro consiglio di amministrazione, ma non è il passato, direttore, è il presente questo di cui stiamo discutendo. Avete discusso al vostro interno sul problema dei pensionati: è vero o non è vero? Bene. A proposito di novità della Rai, prendiamo consulenti, legittimi professionisti, meravigliosi editorialisti che ci hanno giustamente aiutato in vent'anni di editoriali a fare la morale in questo Paese sugli obiettivi, ma prendiamo consulenti ora in pensione – non mi interessa, qui c'è la privacy, sapere quanto il collaboratore Francesco Merlo prende da pensionato – che collaborano con la Rai per 240.000 euro.
  Ho presente, essendo stato ministro e avendo preso parte a certe scelte, che a pensionati è stato vietato di andare in consigli di amministrazione o si è chiesto loro, qualora volessero lavorare per onore a loro, che nel servizio pubblico lo facessero a titolo gratuito. Queste sono le domande, che non sono polemiche. Semplicemente, possono alzare il livello, perché vi aiutano nello svolgere il vostro lavoro. Non si tratta più del problema dei 200.000, 180.000, 340.000 o 400.000 euro, ma diventa un problema del percorso che stiamo qui a discutere.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Vorrei intervenire su tre questioni, presidente. Mi interessa provare a mettere alcuni punti fermi.
  Ho ascoltato Brunetta, in riferimento al tempo in cui era ministro, ho ascoltato lei, presidente, anche in una trasmissione televisiva in riferimento alla scelta della trasparenza. Il piano della trasparenza di cui discutiamo oggi è inserito nella legge di riforma della governance, e peraltro il Movimento 5 Stelle ha votato contro. È una legge voluta dal Governo. Il piano della trasparenza è voluto dal Governo, è voluto dal Partito Democratico. Lo dico anche perché su questo ho una memoria piuttosto precisa essendo stato insieme alla collega Bonaccorsi il relatore alla Camera, e il piano della trasparenza di cui discutiamo oggi, nella formulazione definitiva, con l'indicazione Pag. 14 della soglia, dei meccanismi, della tempistica, della cogenza, è un emendamento dei relatori. Questo mi sembra essere il primo punto. Credo che vada bene che l'azienda faccia della piena trasparenza un caposaldo della propria azione, non un semplice adempimento previsto dalla legge.
  In secondo luogo, in ragione del piano della trasparenza sappiamo oggi che ci sono 94 profili sopra la soglia individuata nei 200.000 euro, e ce ne sono che non hanno un incarico, sono sottoutilizzati o hanno mansioni che non corrispondono alle retribuzioni o viceversa. In larghissima parte, sono situazioni che costituiscono eredità delle passate gestioni, proprio di quell'immobilismo, di quella lottizzazione, problema che è stato indicato, individuato a lungo dalla Commissione vigilanza, che vogliamo cambiare e in ragione della quale abbiamo fatto la legge di riforma della governance, e in ragione della quale abbiamo dato strumenti al capo azienda per produrre un cambiamento. Larghissima parte di eredità significa poi che c'è una quota che, invece, è frutto di quest'anno. In ragione di quest'eredità, però, credo che sia urgente che l'azienda intervenga. Ho letto sui giornali di un documento da una discussione all'interno del consiglio di amministrazione, votato all'unanimità, che parla di un piano complessivo. Ho visto anche, per esempio, un'intervista al consigliere Guelfi, che entra nel dettaglio sugli strumenti di questo piano.
  Vogliamo sapere quali sono i tempi di questo piano, quali gli strumenti. Chiedo da subito, presidente, che nel momento in cui sarà formalizzata una proposta di questo piano, tornino il presidente e il direttore a relazionare. Vogliamo conoscere nel dettaglio i contenuti di questo piano, rispetto ai quali è evidente che c'è un tema di iniziativa del direttore generale, che ne ha i poteri. Ha parlato oggi di un lavoro iniziato. C'è un tema di responsabilità del consiglio di amministrazione. Se la questione è legata a un'eredità, a una sedimentazione nel corso degli anni, allora è un tema che riguarda un po’ tutta l'azienda, allora forse riguarda in termini di assunzione di responsabilità, di quota parte di responsabilità anche l'associazione dei dirigenti e l'USIGRai. È interessante sentire anche il loro punto di vista.
  Relativamente al tetto degli stipendi, la legge che ormai abbiamo citato tutti in tantissime occasioni, la n. 89 del 2014, prevede il tetto dei 240.000 euro, prevede che le partecipate quotate in borsa o che emettono bond abbiano la possibilità di derogare. Continuo a pensare che un'azienda partecipata al 99 per cento dal Dipartimento del tesoro, che ha un rapporto di concessione con lo Stato, che verrà adesso rinnovato, che ha le risorse del canone, non basti emettere un bond per essere esenti: questa è la mia opinione personale. Anche qui, però, secondo me è utile fare chiarezza. Vedo anche che circola moltissimo, non solo in termini di dichiarazioni, di confronti sulle agenzie, ma anche sui social network, il tema dell'emendamento della collega Liuzzi in discussione nella legge di riforma della governance. L'emendamento interveniva ponendo il tetto alla singola azienda, cioè alla Rai rispetto a una legge di carattere generale che riguarda tutte le partecipate in quelle condizioni. Non era quindi quella la strada, da qui il voto contrario del Partito Democratico.
  Presidente, guardi, ho stampato il mio intervento in quella sede, mi consenta di consegnarlo, di metterlo agli atti del resoconto per non ripetere qua tutti gli argomenti, ma il tema evidente è che non si può intervenire su una singola azienda, «ad aziendam», usando un elemento di latinorum. È necessario cambiare la legge, che continua a essere nelle disponibilità del Parlamento.
  Oggi proviamo a fare una discussione, soffermiamoci sulle competenze della vigilanza. L'11 novembre dello scorso anno, abbiamo votato un parere in merito alle modifiche statutarie della Rai, parere votato all'unanimità. Per evitare la discussione sul piano della trasparenza, prima che senta Brunetta o lei o altri dire che è tutto merito loro, ricordo che per la composizione di questa Commissione, che rappresenta la composizione del Parlamento, senza il voto favorevole del Partito Democratico era difficile che venisse approvato. Pag. 15È stato votato all'unanimità col voto del Partito Democratico, col voto convinto del Partito Democratico. Allora, in ragione di questo, a legislazione vigente la Rai può intervenire rispettando la condizione posta nel parere votato dalla Commissione di vigilanza o assumendo un'iniziativa autonoma in termini di equilibrio delle retribuzioni in sintonia con lo spirito della legge. Questo è quello che noi chiediamo. Ho sentito che il direttore ha parlato di autoregolamentazione. Se ho capito bene, se va in questa direzione, anche qui, che nel momento in cui viene formulata una proposta in questi termini, chiediamo di poter sentire di nuovo il presidente e il direttore generale e di poter esprimere una valutazione compiuta in quella sede.

  ALBERTO AIROLA. Mettiamo i puntini sulle i, è importante per avere la situazione chiara. L'anno scorso abbiamo votato questa legge sulla governance Rai prima in Senato e poi alla Camera. Il Movimento 5 Stelle propose degli emendamenti, alcuni passano e altri no, tra l'altro con un lavoro fruttuoso che ho fatto con Ranucci, per cui non capisco neanche l'asse del PD a voler a tutti i costi porre questa rivendicazione. Il relatore Ranucci accoglie un nostro emendamento a mia prima firma sul piano di trasparenza, lo condivide col PD e lo votiamo insieme. Non votiamo la legge semplicemente perché è una legge che consegna la Rai in mano al Governo, come noi non ritenevamo opportuno. Questo lavoro, però, c'è stato. È iniziato al Senato, ed è forse l'unica ragione positiva per cui oggi siamo qua. Oggi stiamo parlando, infatti, della trasparenza Rai e di stipendi della Rai. Se non ci fosse stata questa presa di posizione della politica, probabilmente non ci sarebbe mai stato. Purtroppo, altre cose non sono passate. Non è passata l'indipendenza dei membri del consiglio di amministrazione da segreterie di partito, dalla politica. Non sono passati alcuni criteri di competenza che avevamo chiesto. Non sono passate norme anti spoil system che avevamo chiesto, tanto che la Rai, come lei giustamente faceva notare, è una stratificazione di dirigenti e personale messo lì dai partiti per decenni. Non abbiamo avuto la possibilità di vedere fissato dalla legge, dalla politica, dai partiti, un tetto per gli stipendi, perché aggirato dalla norma di cui si parlava prima. Perché lo sto dicendo? Perché questa è una responsabilità politica. A voi posso fare delle obiezioni, sicuramente su alcune posizioni siete indifendibili, ma per altre cose non avete dirette responsabilità, state facendo quello per cui il Governo vi ha messo lì. Poi vedremo i risultati, ma sicuramente la politica poteva, i partiti potevano decidere che non avreste preso più di 240.000 euro. Questo non è successo.
  A voi posso fare obiezioni etiche e morali, questo sì. Come Movimento, per esempio, come parlamentari, ci siamo tagliati lo stipendio. È un'operazione che, se volete, potete definire propagandistica. Forse lo è, ma io la definirei simbolica. Non risolve il problema economico dell'Italia, ma dà un segnale ai cittadini. Allo stesso modo, secondo me alcune scelte di alcuni dirigenti, alcuni stipendi, dovevano essere gestiti sotto quest'ombrello etico. Avrebbero dato un segnale ai cittadini che pagano la tassa più invisa di tutte, il canone Rai, di una scelta e di un indirizzo. In questo senso, sicuramente avrei apprezzato delle scelte su alcuni stipendi. Poi posso criticare lo stipendio di Andreatta e di Del Brocco, che mi sembra altissimo per il fatto che alla fine poi fanno lavori un po’ per il loro giro di amici, di Merlo, che è pensionato ed è stato aggiunto.
  Gian Paolo Tagliavia, invece, i 292.000 euro, se fa veramente un lavoro di restyling di tutta la Rai come media company, magari se li è meritati. Su questo non posso ancora dire nulla, come su Carlo Verdelli. Certo, vi posso rimproverare il fatto che lo stato dei palinsesti anche a me sembra vecchiotto, con le solite facce. Fiorespino, allontanato per varie ragioni, prende ancora stipendi pazzeschi. Vi avevo già criticato la gestione sulla questione di Salvatore Lo Giudice. Queste persone, come ribadiva lei, arrivano dal passato, hanno assistito perlomeno, per non entrare nel merito, a comportamenti aziendali veramente gravi: parliamo degli auditel, della gestione degli appalti e così via. Posso rimproverarvi che Pag. 16non abbiamo ancora la trasparenza su tutti gli appalti, che chiesi a Gubitosi quattro anni fa, quando entrai qui, come prima cosa, soprattutto quelli dei budget più grossi, RaiFiction, anche dati aggregati. Non li ho mai avuti.
  Su questo vi posso dire che c'è ancora tanto da fare, ma indubbiamente in questa sede questa politica deve farsi anche il suo esame di coscienza un'azienda in cui il vicedirettore di RaiPremium ha un budget più basso del suo stipendio. Non va bene, ma guarda caso tutti dicono che lo ha messo lì Gasparri, che prima parlava tanto. Probabilmente, questa politica, questi partiti che hanno per anni gestito direttamente, adesso alzano la cresta e, ringalluzziti da un piano di trasparenza, muovono delle critiche, ma vi hanno messo lì loro, in qualche modo vi hanno messo lì loro. Tutte le persone che vengono criticate sono state messe lì dalla politica. Questo è gravissimo e va sottolineato.
  Noi continueremo la nostra attività in Vigilanza con le competenze di questa Commissione sull'indirizzo e la vigilanza delle questioni, ma in Parlamento dobbiamo continuare anche un'altra battaglia. Questa politica e questi partiti sono i principali responsabili di quello che sta succedendo in questo Paese.

  SALVATORE MARGIOTTA. Farò alcune domande molto di dettaglio, di merito. Ho apprezzato la relazione della presidente, ho compreso un po’ meno – lo dico con franchezza – quella del direttore generale, ma mi pare sia il caso di entrare in alcune questioni, che pure sono state sollevate nei giorni scorsi, che non hanno trovato, almeno nell'introduzione, alcuna risposta. Immagino che la troveranno nella replica.
  Non entrerò nel dato numerico. Ho per cultura di vita e per cultura personale un'idea molto chiara sul fatto che le professionalità vadano pagate se fanno bene il loro lavoro. Non mi scandalizzano alcuni numeri. Alcuni mi scandalizzano perché li trovo eccessivi, altri li trovo meritati, altri li trovo addirittura sottodimensionati rispetto a un mondo che funzioni. Non è su quello che voglio fare il mio intervento.
  Riprendendo alcune parole della presidente, poiché non trovo molta corrispondenza nell'azione che avete messo in campo durante quest'anno, quello che non mi convince è quando non vedo assoluta rispondenza tra curricula, compensi, soprattutto quando questi compensi vengono dati a esterni a onta del fatto che ci siano interni secondo me più bravi. Avrà pure ragione Airola che dice che finalmente i partiti non mettono più uomini in Rai, e va benissimo, ma vogliamo capire se quelli che arrivano, arrivano per merito o per cordata. Se arrivano per cordata, io preferisco la politica, ma questo è un vecchio discorso caro al presidente Gasparri. Detto questo, devo ancora fare una precisazione, direttore, perché stamattina ho letto sul giornale una cosa, che non ha detto lei, ma non precisa, su cui non voglio dare alcun tipo di giudizio, ma il direttore Gubitosi dal 1° maggio 2014 ha portato il suo stipendio a 240.000 euro e l'ha tenuto a 240.000 euro all'anno fino all'ultimo giorno in cui è stato sostituito. Non è vero che lei ha assunto lo stesso stipendio del direttore Gubitosi, per verità storica, ma non è su questo che voglio insistere, perché non sono scandalizzato dai numeri, quanto dagli eccessi di alcuni numeri rispetto ad alcune persone sovra-utilizzate o mal utilizzate.
  Oggi, il Sottosegretario Giacomelli ha richiamato – qui devo richiamare la presidente e tutto il consiglio di amministrazione a questa responsabilità – il passo della legge che dice che il direttore generale sostanzialmente fa la gestione, ma sulla base di indirizzi dati dal consiglio di amministrazione. Questi indirizzi riguardano il personale, il piano editoriale, il piano industriale. Ci sono questi indirizzi? Dove sono? Quando arrivano? O il direttore generale ritiene di poter essere assolutamente avulso dagli indirizzi di un consiglio di amministrazione, sia pur demansionato rispetto a prima e demansionato per nostra volontà, soprattutto per noi del PD? Esiste, infatti, ed è espresso dal Parlamento. Io sono ancora di quelli che pensano che un qualsiasi organismo espressione del Parlamento esprima contezza, merito e prestigio tali da influire su queste scelte. Pag. 17
  Spero che voglia smentire le cose che ho letto sui giornali, ma ho trovato assolutamente fuori dalla grazia di Dio la questione dei dirigenti assunti a tempo indeterminato. A quel punto, non mi interessa quanto li pagate. Mi interessa che siano assunti dall'esterno a tempo indeterminato, con professionalità interne che potevano essere usate. Spero che abbiate preso i più bravi del mondo. Io non posso giudicarlo, ma nessun elemento mi dice che sono i più bravi del mondo. E li assumete a tempo indeterminato, quando una vostra nota del 23 aprile 2016 dice che per lo più i manager esterni assunti hanno quasi tutti contratti triennali. Ora leggo che, invece, quindici sarebbero a tempo indeterminato, addirittura dirigenti esterni dello staff. Se un politico assumesse un uomo di staff e gli facesse firmare un contratto a tempo indeterminato, tale che il dirigente rimanga in campo anche quando il politico cessa la propria funzione, si griderebbe allo scandalo in questo Paese. Lei più volte qui ci ha detto che criterio di indipendenza e autonomia sua rispetto al resto del mondo è la sua rassicurazione che comunque ritiene transitorio il suo mandato, ma se durante il suo mandato nomina quindici dirigenti esterni a tempo indeterminato, transitorio sarà il suo mandato, ma non quello di queste quindici persone che ha nominato, ripeto, sperando che siano i più bravi del mondo.
  L'altro giorno, Romagnoli, che ho apprezzato – avevo qualche perplessità, e invece mi è piaciuto – ci è venuto a dire che non riesce a fare la guerra contro SkySport perché lui ha la fionda e SkySport ha il carro armato; dopodiché leggo che si va alla guerra per portare via a SkySport Sconcerti: con tutto il rispetto, quando inizia il suo commento io spengo il televisore. Se questa è la guerra a Sky, portando via il più bollito dei suoi commentatori e pagandolo 200.000 euro, un altro dei tanti pensionati di lusso, non penso sia la strada giusta...
  Non mi è ben chiaro, letto oggi da una polemica giornalistica, quale sia il ruolo del dottor Massimo Coppola in questo momento in Rai. Mi piacerebbe saperlo.
  Lupi ha chiesto perché il direttore di RaiTre prende una volta e mezzo il direttore di RaiUno? Poiché dobbiamo essere trasparenti, le rivelo un gossip, che credo sia vero: mi dicono che al direttore di RaiTre e ad altre persone «milanesi» siano corrisposti anche trasferte, hotel, pasti, quindi parliamo di 300.000 euro esclusi tutti i benefit. Costa molto. Valorizzate quelli all'interno, dieci Fabiano: è molto meglio che tre Bignardi o di altro tipo.
  Mi dicono, e trovo anche questo fuori dalla grazia di Dio, che l'MBO (management by objectives) è previsto solo per gli esterni, e per gli interni non se ne parla. Mi dicono che personale che, naturalmente, si sente sottopagato e che oggi, a maggior ragione dopo l'operazione trasparenza, si sente ancor più sottopagato, sa che i premi di produzione, anche quelli minimi, sono stati aboliti perché non c'è liquidità, ma poi vede che vengono assunti tutti questi esterni col costo che hanno: anche questo mi sembra fuori dalla grazia di Dio.
  Infine, si dice che stiate per nominare i direttori dei TG, vostra scelta assolutamente legittima. Magari è anche giusto, perché così si esce dalla transitorietà. Si possono però, tornando alle competenze del consiglio di amministrazione, nominare direttori del TG senza che sia chiaro il piano editoriale nuovo, di cui abbiamo sempre sentito parlare, ma che non abbiamo mai visto? O i direttori dei TG si nominano quando è chiaro il piano editoriale, quando anche questa Commissione di vigilanza può esprimersi, così come si espresse sul vecchio piano delle newsroom? O sono nomine indipendenti, fatte intuitu personae?
  Mi lasci l'ultima battuta. I piani delle newsroom, con tutti i limiti che avevano, partivano dal concetto di poter un po’ diminuire le spese. Ho la sensazione, anzi non la sensazione perché sono ingegnere e so fare un po’ di conti, che questa nuova struttura che si aggiunge a tutte le testate già esistenti, che dovrebbe fare il piano editoriale, da Verdelli a Merlo, a tutti i collaboratori, costi almeno un milione l'anno. Anziché ridurre, abbiamo aumentato dei costi senza ottenere un risultato: Pag. 18rimango trasecolato. Ripeto che proprio non mi scandalizza il numero, se a questi numeri, infatti, corrispondesse grande qualità dell'offerta e magnifiche sorti e progressive, non sarebbero i numeri a scandalizzarmi, perché sono uomo di questo mondo. Mi scandalizza quando a questi numeri non mi pare corrisponda un prodotto all'altezza di quello che il Governo ha inteso affidare nelle mani della sua persona e che il Parlamento ha inteso affidare nelle mani del consiglio di amministrazione.

  PINO PISICCHIO. Anch'io voglio esprimere la mia considerazione sugli interventi svolti dal presidente e dal direttore generale. Lo faccio, naturalmente, in termini di grande sintesi, anche perché constatiamo tutti oggi lo straordinario successo di pubblico, in via di diradamento per la verità dato il protrarsi dell'orario, che ha realizzato la disclosure della Rai. È una considerazione che va fatta in premessa, anche perché ci porta a considerare che il problema non è quello della disclosure, che ben venga. Peraltro, è stata fatta certo con un adempimento di legge, ma anche svolta in termini di tempestività e coerenza. Il problema, però, è che noi abbiamo, noi tutti, forse anche la Commissione di vigilanza Rai – qualche collega l'ha giustamente sottolineato – una qualche responsabilità quando lasciamo in stand by professionalità di valore remunerandole senza utilizzarle al meglio, mentre continuiamo a contrattualizzare conduttori e giornalisti esterni, le cui remunerazioni sono ignote. A proposito, perché il contribuente non deve sapere quanto costa alla Rai il brillante e salato conduttore di talk show? Credo che in via generale questa domanda vada posta in certi termini non solo per le ragioni di buon gusto che sono state più volte evocate dai colleghi intervenuti, ma anche perché onestamente alle valutazioni relative al quantum, alla numerosità dei danari messi nel capitolo compensi, credo non si debba guardare dal punto di vista dell'analisi delle singole voci: va verificato se c'è omogeneità nell'applicazione dei tetti. Pongo, inoltre, il tema se non possa apparire più equo collegare almeno parti delle remunerazioni di chi ha responsabilità manageriali ai risultati che l'azienda va a produrre.
  Coerente con la premessa della velocità, passo all'ultima questione. È stato fatto riferimento dal collega Margiotta alla circolazione della notizia che si stia per metter mano alle nomine nelle testate dell'informazione, dei TG. Ovviamente, esiste la piena liceità di intervento sotto questo profilo, ma rilevo che esista una sorta di anteriorità logica quanto a costruzione di un piano per l'informazione. Questo piano è in via di presentazione al consiglio di amministrazione: si intende portare il piano così come è accaduto in altri momenti alla Commissione di vigilanza? Credo che sia utile avere chiarezza, non perché attribuisca ai rumors, sempre molto attivi in ambiente Rai, il valore costitutivo dell'informazione, tuttavia, visto che se n'è parlato, forse varrebbe la pena chiarirci le idee sullo stato dell'arte anche rispetto a questa questione, a questa vicenda.

  FRANCESCO VERDUCCI. Penso davvero che quest'audizione meriti grande attenzione. Penso, infatti, che siamo a un punto nevralgico per la vicenda della Rai e anche di questo nuovo corso manageriale.
  Qui più volte abbiamo legato l'interlocuzione tra la Commissione di vigilanza e il management della Rai a un rilancio fortissimo del servizio pubblico. Più volte, ci siamo parlati in questa fase di puntellare e valorizzare gli ascolti, ma abbiamo bisogno di fare un lavoro che viene ancora prima, quello che si è perso in questi venti anni, che è riconquistare fiducia, riconquistare legittimazione, riconquistare credibilità presso un pubblico amplissimo, che non è un pubblico solamente commerciale, è appunto il pubblico anche della nostra democrazia. Per fare questo, il tema della trasparenza è decisivo. Come viene fuori il tema della trasparenza? Alla fine di un percorso politico molto forte, in cui la politica ha voluto, attraverso una legge di riforma della governance, che a quest'azienda dà per la prima volta un capo vero e proprio, capace di decidersi, di assumersi delle responsabilità, che questo nuovo corso avesse al suo centro appunto un criterio di trasparenza, di tracciabilità, fortissimo, Pag. 19 in modo che la valutazione avvenisse sulla base del merito e delle scelte fatte. Sarebbe abbastanza puerile che tra forze politiche ci mettessimo a discettare su chi ha fatto meglio su questo. Certamente, e questa è la verità storica, abbiamo la norma sulla trasparenza perché questa maggioranza di Governo e il Partito Democratico l'hanno voluta con forza. Io posso dire, ad esempio, che nella prima lettura al Senato il principio di trasparenza, efficacia, efficienza, competitività, è stato inserito per un emendamento approvato dall'Aula a prima firma Verducci, a cui si sono aggiunti gli emendamenti di Airola e l'emendamento di Cioffi, che noi abbiamo approvato in Aula. A tutto questo si aggiunge che questa svolta legata alla trasparenza avviene nel momento in cui noi combattiamo l'evasione del canone, iniqua, lo abbassiamo e chiediamo che siano tutti a partecipare a questo nuovo corso della Rai. Penso che questa sia davvero una svolta enorme per l'azienda, non solamente un atto dovuto, ma la critica che mi permetto di fare è che a me pare che a questa svolta enorme, che c'è in virtù anche di questa legge, non corrisponda altrettanta consequenzialità. Non ho visto in queste ore nel racconto che state facendo di questo piano della trasparenza venir fuori una strategia sul personale dell'azienda, venir fuori una strategia sul tema dei non utilizzati, dei non collocati, e quindi di stipendi inaccettabili perché completamente fuori mercato e insostenibili, e anche una vera e forte strategia sul reclutamento.
  Ci siamo permessi come Partito Democratico di avanzare, a un convegno al quale avete partecipato, la proposta che la Rai bandisca davvero un grande concorso per le nuove generazioni, in modo che torni a essere popolata di professionalità all'altezza della nuova epoca, come avvenne negli anni Cinquanta e negli anni Sessanta. Penso che questo abbia a che fare con due termini. Uno è quello della discontinuità, che la presidente Maggioni ha voluto qui citare più volte, l'altro è quello della creazione di valore, che il direttore Campo Dall'Orto ha voluto citare più volte. Devo dire, però, che il racconto della sua stessa vicenda fatto dalla presidente Maggioni è una case history purtroppo eccezionale, che non ha a che fare con la vicenda della Rai. Gli interni in Rai non riescono tendenzialmente a fare carriera. Tendenzialmente, gli interni Rai rimangono impantanati laddove entrano, a prescindere dal loro merito, dalla loro professionalità, dall'abnegazione che ci mettono. Tendenzialmente, in Rai fanno carriere brillantissime coloro che sono presi dall'esterno e poi rimangono, appunto, a quel livello, dando luogo ai casi che abbiamo visto di stipendi inaccettabili e fuori criterio, a quei casi di inamovibilità che qui da voi sono stati citati. Voglio fare, però, una domanda sul tema inamovibilità: quanti degli esterni che sono stati presi durante questo nuovo corso sono stati presi a tempo indeterminato? Noi non possiamo sopportare un corto circuito nel racconto e nelle azioni che facciamo del nuovo corso di questa azienda, pena perdita di fiducia, di credibilità e di legittimazione.
  Vengo anche al tema del tetto dei 240.000 euro, tema politico, che questo Governo, non altri, ha voluto introdurre nel nostro Paese. Relativamente al rapporto che c'è tra il tetto e il mercato, si può superare questo tetto? Questa è una grande domanda. Ammesso che questo tetto si possa superare, non solo in virtù della deroga per avere emesso obbligazioni, lo si può fare solo per casi circoscritti, unici, giustificati da parametri del mercato, e non, come si evince, in misura così larga e per me assolutamente ingiustificata. Dico di più per quello che riguarda il mio pensiero: penso che l'azienda dovrebbe attenersi non alla deroga, ma all'indicazione che questa Commissione di vigilanza ha dato approvando lo statuto del novembre 2015, laddove all'unanimità abbiamo chiesto che nello statuto dell'azienda, l'atto fondamentale dell'azienda, ci siano tutte le retribuzioni vincolate al tetto dei 240.000 euro.
  Mi si viene a dire del mercato, e voglio aggiungere una considerazione che giudico fondamentale: di questo mercato del sistema delle comunicazioni in Italia la Rai è l'attore di gran lunga più forte, di gran lunga anche principale, al punto che le Pag. 20scelte della Rai sono in grado di condizionare tutti gli altri attori, e non viceversa. È legato soprattutto all'andazzo del passato? Bene, ma penso che sia inaccettabile in questa fase che la Rai continui a essere debole con i forti e forte con i deboli e con i debolissimi. Vorrei chiedere al presidente e al direttore generale, non solo a norma della legge e dei criteri di trasparenza che abbiamo voluto nella legge di riforma della governance, quanti sono i contratti sopra i 200.000 euro, ma quanti sono i contratti sotto i 2.000 euro nella nostra azienda, un'azienda che vive di precariato in troppe occasioni – i forti con i deboli... – e che vive però anche di contratti che dovrebbero essere di alcuni tipi, giornalistici o altro, e che invece sono artistici. Ecco la Rai che è debole, invece, con i forti. Questo è semplicemente inaccettabile.
  Penso, e concludo, che dovremmo allora avere la forza di fare in modo che questa, che può essere una svolta epocale, lo sia davvero fino in fondo, che dovremmo mettere on line tutte le retribuzioni, per arrivare a fare in modo che questo significhi un codice interno, un codice forte di condotta, di autoregolamentazione. Penso che dovremmo tracciare anche il rapporto della Rai con le società di produzione, con i manager. Abbiamo un grande problema: siccome la Rai è, e vogliamo che lo sia sempre di più, la prima azienda di produzione culturale del Paese, l'esistenza di un blocco monopolistico di società di produzione e di manager che addirittura molto spesso condizionano i palinsesti, e che impediscono pluralismo produttivo, cittadinanza di tantissimi, questo è un problema per la crescita del nostro Paese enorme. Penso che questo codice nuovo si debba fare coinvolgendo innanzitutto l'USIGRai. Spero che molto – lo chiederà dopo in Ufficio di Presidenza – vengano auditi in Vigilanza, come anche l'ADRai, l'associazione dei dirigenti.
  Concludo dicendo che penso che questo passaggio sulla trasparenza e su quello che potrà avvenire sia importante tanto quanto quello che stiamo facendo per la transizione alla media company sui contenuti. È davvero un passaggio decisivo per la Rai che verrà.

  NICOLA FRATOIANNI. Sull'ordine dei lavori, in particolare quando abbiamo audizioni come queste, importanti, con una relazione, interventi, tempi limitati, chiederei a lei, ma in generale alla Commissione, di provare a organizzare i lavori in un modo che consenta almeno nel primo giro di dare la priorità a un intervento per Gruppo, altrimenti rischiamo che per alcuni gruppi, per quanto più grandi, parlino in tre o in quattro e poi ci sono gruppi che non riescono neanche a prendere la parola. Lo dico solo a beneficio dei lavori della Commissione.
  Penso che rischiamo di prendere in modo un po’ strabico la discussione di oggi. L'impressione che ho è che sia segnata da due movimenti, entrambi poco utili. Da un lato, a me pare che ci sia una grande ipocrisia nella discussione di oggi. Questa riguarda la politica, e dirò qualcosa su questo. Dall'altro lato, però, mi pare che ci sia anche qualche elemento di sottovalutazione. Questo, invece, riguarda anche voi, l'azienda, i dirigenti, il management.
  Che cos'è successo in questo Paese? Perché, a un certo punto, la politica in questo Paese, la società hanno cominciato a discutere, non solo dentro un'onda, che qualcuno chiama demagogica, qualcuno populista, qualcuno realista, di un tema come quello del tetto agli stipendi, fino al punto da realizzare una norma su questo punto? È successo che nel Paese è diventata sempre più insopportabile, nella percezione generale diffusa, la cifra crescente e sempre più inspiegabile dal punto di vista della percezione comune – è un dato di realtà, che può essere giusto o sbagliato – della diseguaglianza. Questo è il punto. Credo che dovremmo provare a partire da qui per tentare una discussione che abbia qualche possibilità di agganciarsi alla realtà. Anzitutto, proverei a evitare l'ipocrisia. Dico con grande rispetto ai colleghi della maggioranza, del Partito Democratico, ma non solo, che quando si è fatta quella legge e si è discusso delle deroghe, ci sono state su questo posizioni diverse. Nessuno è più o meno bravo, anzi consiglierei al senatore Verducci di evitare di usare Pag. 21note figure retoriche, per cui si dice che non bisogna dire una cosa e poi la si dice. Cominciare un intervento dicendo che è puerile da parte delle forze politiche stabilire chi è stato più bravo, ma rivendicare poi il merito non è una gran cosa... Il mio è un consiglio, non ti arrabbiare. È un consiglio amichevole. Abbiamo su questo avuto posizioni diverse, in particolare quando questo nodo si è misurato sul tema della Rai, per le ragioni che ha detto Brunetta. È chiaro, infatti, che ognuno può interpretare la norma – non sono un esperto e non mi avventuro – ma è del tutto evidente che sul piano della sostanza nessuno può sostenere che la Rai sia un'azienda che opera prevalentemente nel campo finanziario. Che, dunque, quella norma e quel codicillo potessero essere interpretati e utilizzati come uno strumento di aggiramento, per quanto lecito e legale, era evidente fin dalla discussione politica che nelle Aule di questo Parlamento si è fatta e su cui tutti si sono potuti esprimere. Che oggi improvvisamente si scopra quest'elemento come un punto di scandalo da parte della maggioranza a me pare un elemento di ipocrisia. Penso che su questo la politica debba assumersi una responsabilità. È del tutto comprensibile, altrimenti, che il direttore generale venga qui a dirci che è andato, che ha chiesto quanto fosse, che gli hanno risposto una certa cifra, che ha risposto a sua volta che andava bene. Questo riguarda la politica, e su questo la politica dovrebbe assumersi una responsabilità, e non limitarsi a dire che c'è un codice di autoregolamentazione, che può anche intervenire l'azienda, cosa peraltro vera – vengo alla seconda parte – ma dire che cosa pensa che si debba fare. Credo che questo sia il punto, altrimenti rischiamo in modo un po’ parossistico qui di avventurarci ognuno per sé in una discussione su quanto ci piace quello, quell'altro, su quanto è bravo quel commentatore sportivo. Francamente, lascia un poco il tempo che trova. Io non me la sento di farlo. Non mi pare che serva questo. Ci serve definire una modalità.
  Penso che oggi nel mondo della pubblica amministrazione il tetto, la ridefinizione di un parametro ricostruisca un limite generale, ma anche un elemento di proporzionalità tra il punto apicale che segnala diverse responsabilità – naturalmente, non penso che tutti debbano percepire lo stesso stipendio a prescindere da quello che fanno e dalle responsabilità che hanno, non sono né matto né fesso su questo – e i punti più bassi. Mi viene una battuta, ma potremmo descrivere la situazione di questi giorni un po’ così: ci sono tetti uguali per tutti, che per qualcuno sono più uguali che per altri, e ci sono quelli per i quali il tetto non esiste perché non hanno neanche il pavimento, i precari, quelli con stipendi troppo bassi.
  Su questo c'è un punto, questo sì, che invece riguarda anche un po’ le valutazioni dell'azienda. Vede, direttore, anch'io penso che ci sia un tema che riguarda la creazione di valore, non c'è dubbio. Il tema è: chi è che crea valore? Come si crea valore? Lo creano i dirigenti? Certamente, il management, non c'è dubbio, se sono in grado di farlo, ma questa valutazione vale in ogni ambito e per tutti. Lo si crea, però, per esempio anche valorizzando e rivalorizzando il lavoro, la sua qualità? Riducendo gli elementi di esternalizzazione? Ponendo il problema della stabilizzazione di chi stabile non è? Dell'aumento dei salari? Allora, su questo si può aprire una vera discussione anche cogliendo l'occasione di questa vicenda.
  Concludo dicendo che c'è un elemento di sottovalutazione. Lei è un esperto di comunicazione e lo fa da una vita, io no, e quindi lo dico veramente in punta di piedi, ma mi permetto solo un suggerimento anche a lei. Mi permetto di dirle che, secondo me, andare troppo in giro a dire che non è molto interessato al tema degli stipendi non è il massimo. Ce lo ha detto qui oggi, all'inizio della sua audizione. Forse le è anche sfuggito, però rischia di non essere comunicativamente un elemento efficace.
  Un Paese fa una norma che stabilisce un tetto, ma si scopre che poi quel tetto, seppur con le modalità che qui sono state descritte, è largamente superato: in alcuni casi lo è in modo clamoroso – 94 sono le figure che lo superano – in altri con criteri su cui naturalmente bisogna andare nel merito (dirigenti assunti a tempo determinato, quelli che non hanno più funzione), Pag. 22ma anche in casi apicali con livelli di superamento davvero alti, anche nel caso della sua retribuzione – è spiacevole, ma è qui, e ne dobbiamo parlare; penso che anche su questo vada dato qualche segnale, altrimenti il rischio è quello di avere una rottura sempre più forte e radicale con la percezione diffusa del Paese.
  Mi dicono che i superamenti non sono 94, ma 24 su 200.

  ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale della Rai. Non interrompo mai, ma non vorrei che ci fossero equivoci. Non ho mai detto che non sono interessato, anzi ho parlato di autoregolamentazione di stipendi, di come possiamo costruire le fasce, di come possiamo creare le indennità. C'è stato un equivoco, ho detto un'altra cosa, ho fatto riferimento solo al rischio che il dibattito sulla trasparenza si riducesse alle storture degli stipendi.

  NICOLA FRATOIANNI. Secondo me, lo ha detto non volendolo dire. Glielo segnalo: sono uscite così le agenzie. Glielo dico. Anch'io l'ho sentito. Magari non ci ha fatto caso. Le conviene saperlo.

  PRESIDENTE. Mi dispiace, ma purtroppo devo interrompere l'audizione. Ci riaggiorniamo domani alle 14.30. Ripartiremo da chi oggi non è riuscito a intervenire ed era iscritto in lista. Sono in corso votazione in Senato... Se è una domanda veloce, Crosio, prego.

  JONNY CROSIO. Non ho nessuna domanda, voglio fare solo delle considerazioni, presidente. Innanzitutto, ha ragione il collega, un'altra volta diamoci un'altra regola. In un minuto, una cosa abbiamo capito oggi: che c'è ancora tanto da fare. Sembra una banalità, ma mi viene da sorridere quando tutte le forze politiche si stupiscono che quest'azienda, che ogni tanto chiamo carrozzone, una bruttissima parola, debba mettersi in moto in un'altra maniera, probabilmente più virtuosa. A titolo personale, non mi scandalizzo se un fuoriclasse viene pagato se, nella visione d'impresa che ho io, mi dà riscontro, c'è pubblicità, ci sono ascolti. Lascia un po’ l'amaro in bocca, e suppongo ne abbiate anche voi di responsabilità, quando vediamo, come diceva Lupi, e sono pienamente d'accordo, che i direttori delle testate hanno stipendi diversi. Questo è difficilmente concepibile. È chiaro anche che lascia l'amaro in bocca specialmente ai cittadini quando, la cosa secondo me più devastante, si vede che figure professionali che vengono giustamente retribuite con stipendi importanti non fanno quello che devono. È questo il comportamento peggiore verso il cittadino. Non mi voglio accanire su di voi, perché lavorate con le condizioni che abbiamo creato, e le condizioni, cari colleghi, e mi stupisco di questo, le abbiamo create in Parlamento. Non ho emendamenti da portare. È la politica che ha creato queste condizioni. Mi stupisco, però, del fatto che il PD si stupisca che c'è ancora tanto da fare per questa Rai. Una cosa è certa, non è quella che ha rappresentato il primo ministro agli italiani quest'azienda. C'è ancora veramente tanto da fare. E ci avete messo mano anche voi, ci hanno messo mano probabilmente tutti, e c'è tanto da fare. Accanirsi oggi quando in realtà scopriamo l'acqua calda? Oggi scopriamo in questo Paese l'acqua calda della politica e abbiamo trovato un capro espiatorio? Vi auguro buon lavoro. So che forse sono in controtendenza in questo caso. Sarà anche così, c'è tanto da fare, avete creato certe condizioni: non è quello che avete rappresentato, è un'altra storia. C'è tantissimo da fare. Buon lavoro.

  PRESIDENTE. Ringrazio la presidente e il direttore generale della Rai e rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 16.

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