XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 72 di Mercoledì 28 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Audizione del presidente del consiglio di amministrazione e del direttore generale della Rai:
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Maggioni Monica , presidente del consiglio di amministrazione della Rai ... 3 
Campo Dall'Orto Antonio , direttore generale della Rai ... 6 
Rossi Maurizio  ... 12 
Gasparri Maurizio  ... 13 
Pisicchio Pino (Misto)  ... 14 
Fico Roberto , Presidente ... 15 
Bonaiuti Paolo  ... 16 
Airola Alberto  ... 16 
Buemi Enrico  ... 18 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 19 
Lainati Giorgio (FI-PdL)  ... 21 
Fico Roberto , Presidente ... 21 
Minzolini Augusto  ... 21 
Fico Roberto , Presidente ... 23

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del presidente del consiglio di amministrazione e del direttore generale della Rai.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente del consiglio di amministrazione e del direttore generale della Rai, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Anche a nome degli altri componenti, do loro il benvenuto, essendo questa la loro prima audizione in Commissione da quando sono stati eletti lo scorso agosto.
  Do la parola alla dottoressa Maggioni, e successivamente al dottor Campo Dall'Orto, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere loro, al termine del loro intervento, eventuali domande e richieste di chiarimento.

  MONICA MAGGIONI, presidente del consiglio di amministrazione della Rai. Ringrazio la Commissione, dalla quale il mio incarico è scaturito.
  In apertura del nostro incontro e anche del nostro mandato, svolgerò una serie di considerazioni. Sento e sentiamo, credo di poter dire, la responsabilità di guidare un'azienda che ha costruito la storia della comunicazione contemporanea nel Paese. Personalmente, sento anche il peso di un incarico che – lo dico apposta in questa Commissione – è stato di Sergio Zavoli. Non è banale, per chi ha svolto il mio lavoro, sedersi e occupare lo stesso ruolo.
  È evidente che ci troviamo come Rai a un punto di svolta. L'anno scorso abbiamo parlato della storia, celebrando i 90 anni della radio e i 60 della TV. Quest'anno dobbiamo capire quale parte di quella storia può diventare la base su cui costruire il progetto che ci porta nel futuro. Sappiamo una cosa per certo: che dobbiamo essere molto rapidi. Il mercato, la competizione globale, la tecnologia, per cui ad esempio la fruizione della televisione è sempre meno lineare, ci impongono scelte immediate per determinare che cosa di quei valori e di quel progetto culturale vogliamo proiettare sui prossimi decenni. Il 2016 sarà l'anno in cui dovranno essere riscritte le regole e il senso del nostro essere servizio pubblico. Per questo, il dibattito sulla concessione, che personalmente ritengo necessario, mi sembra un punto di partenza indispensabile per sentire la voce di tutti quelli che considerano la Rai un pezzo fondamentale della propria storia, della propria vita e del proprio essere comunità e Paese. Il dibattito pubblico, dunque, sarà una grande opportunità per ascoltare chi di solito ci guarda o ci ascolta, per confrontarsi con le attese, per riflettere sul modo in cui essere ancora più utili alla crescita del Paese, adattandoci Pag. 4ai tempi in cui viviamo dal punto di vista sia della tecnologia sia del linguaggio.
  Che cosa vuol dire nel 2016 essere e fare il servizio pubblico ? Rai è ancora centrale nello scenario italiano con i grandi ascolti: 122.640 ore di televisione all'anno, le radio, il Web, il teletext, il cinema, l'editoria. Non basta, però, e noi lo sappiamo. Bisogna fare meglio, anzi bisogna offrire meglio a tutti. Penso che il modo migliore per definire il servizio pubblico sia l'idea molto democratica per cui chi ha una visione elitaria della società pensa che chi può pagare ha il meglio e chi non può ha quello che resta. Chi invece crede nel servizio pubblico dice che la Rai deve essere il luogo del bello, dell'interessante, della costruzione di valore per tutti, indipendentemente dal fatto che si possa pagare o meno. Per queste ragioni, Rai ha il dovere di essere un modello di innovazione e creatività. Deve riuscire a catalizzare i talenti migliori del Paese, ma l'innovazione e la creatività per troppo tempo hanno rischiato di rimanere fuori dalla porta della Rai in nome di una malintesa difesa delle posizioni di chi già c’è e di chi in Rai lavora. Dire che Rai deve essere uno dei centri creativi del Paese non può essere un esercizio retorico. Deve essere così. Un po’ di questa creatività c’è ancora, c’è stata negli anni, ma molta è stata sostituita dalle logiche di chi replica i modelli di TV commerciale dentro la TV del servizio pubblico. Allora, Rai deve potersi contaminare con il meglio che c’è nel Paese e non solo. È quello che, se ci pensiamo, ha fatto nei suoi anni migliori, quando a scrivere le sceneggiature per Rai erano i grandi scrittori, i grandi intellettuali, quando gli artisti disegnavano le scenografie e i musicisti componevano le colonne sonore.
  La Rai chiusa è una Rai che soffoca per mancanza d'ossigeno, e che non permette nemmeno a chi è dentro di esprimere il proprio talento. Rai deve dunque cambiare ed essere più attrattiva per tutti, avere un senso molto preciso per chi paga il canone, sapere quali sono le strategie e le visioni che proiettano il Paese nel futuro.
  Il problema non è solo quello che la Rai racconta, ma anche come lo racconta. Il come del racconto è un passaggio centrale per il servizio pubblico. È un luogo, un momento in cui deve diventare possibile rinunciare anche a qualche decimale di share pur di creare valore, interesse, cultura, bellezza, curiosità, scoperta. L'informazione del servizio pubblico, in particolare – fatemi tornare lì per un istante – deve consentirsi il lusso della complessità e dell'articolazione del racconto dei fatti – quelli per forza – tutti e sempre, ma anche delle storie che stanno dietro i fatti, dei contesti. Il servizio pubblico si deve sentire nel modo in cui ogni giorno raccontiamo le cose, con meno banalità e con meno prevedibilità, con attenzione ai contesti, un modo di raccontare che dia alle persone, ai cittadini, la possibilità di capire meglio il mondo e la realtà che stanno vivendo. Si tratta di sentirsi sempre con un po’ più di responsabilità sulle spalle, perché abbiamo un rapporto privilegiato con i cittadini e col Paese. Il nostro editore, quello vero, quello sostanziale, sono i cittadini che pagano il canone, quindi è per loro che dobbiamo, anche noi che realizziamo per loro la produzione dei contenuti, essere più informati, più affidabili e più competenti. Dobbiamo saper costruire un racconto che sia un approccio diverso alle cose.
  Qualche giorno fa se n’è andata Maria Grazia Capulli, una mia collega e una mia amica. Conduceva una trasmissione che si chiamava, e che si chiama perché continua, «Tutto il bello che c’è». È uno sguardo particolare sulla realtà. Più o meno consapevolmente, il lavoro che svolgeva Maria Grazia e che stavano svolgendo gli altri giornalisti con lei è stato di intercettare quella che di fatto in questo momento è una delle tendenze più avanzate del dibattito tra i servizi pubblici europei: il dibattito sul giornalismo costruttivo, sul constructive journalism. Che cos’è ? È un dibattito che ci dice, e non va banalizzato – non è il racconto dei buoni Pag. 5o delle cose belle, ma una cosa molto più complessa – che un giornalista, dopo aver denunciato l'abuso di potere, l'ingiustizia, il crimine, le malefatte, cerca delle soluzioni possibili o racconta le pratiche migliori che hanno portato a una soluzione o mette in campo le esperienze e le condivide. Insomma, dà anche una mano a capire come si diventa ispiratori di una società che elabora le soluzioni ai problemi, e utilizza quindi in questo senso le risposte di tutti.
  Nel mio ruolo precedente, avevo invitato a parlarne da noi il direttore della TV danese, che sta proprio guidando il gruppo EBU che si occupa di questo progetto. Credo sia importante che continuiamo anche come Rai a parlare con chi fa lo stesso lavoro e si pone le stesse questioni, gli stessi dubbi e gli stessi obiettivi in giro per l'Europa. Saremo in grado in questo modo di sviluppare un dibattito all'interno del nostro Paese che corrisponda alla ricerca delle ragioni che agiscono fuori. Avere le risorse dei cittadini è un grande impegno, comporta una grande responsabilità: le risorse devono essere utilizzate per raccontare il maggior numero possibile di visioni e per dare qualità, non per replicare la stessa storia, per raccogliere la stessa battuta, per confezionarla con aggettivi diversi. Per questo, il lavoro che pensiamo di fare sulla riorganizzazione dell'informazione diventa determinante, proprio perché queste risorse siano utilizzate nel modo migliore per creare tutte le premesse di cui ho parlato finora.
  La Rai, però, nel 2015 deve essere un luogo in cui il pluralismo non si traduce in una testata d'appartenenza, ma nella garanzia per tutti i soggetti che compongono la politica e la società di essere presenti nel racconto della Rai, quando ne vale la pena. Il pluralismo oggi deve essere la capacità di spiegare i valori della politica e di chi fa politica attraverso l'analisi in profondità delle proposte che si contrappongono, entrando nel merito delle visioni, delle posizioni e delle leggi, facendo capire ai cittadini che cosa differenzia gli uni dagli altri al di là degli slogan. È una visione plurale, non una somma di parzialità.
  Lasciatemi fare un piccolo passaggio, secondo me connesso al servizio pubblico, sull'interesse del Paese. Non posso fare a meno di pensare che in un Paese senza servizio pubblico, in cui paradossalmente il sistema dei media fosse in mano a soggetti stranieri, a interessi privati, ci sarebbe assai poco spazio per difendere gli interessi legittimi della collettività, la visione e il ruolo del Paese rispetto al resto del mondo sullo scenario globale. Rai deve essere anche la voce dell'Italia nel mondo, far capire al mondo la nostra visione, ricollocarci sulla scena internazionale, essere in grado di interpretare il ruolo regionale: penso, per esempio, a quello del Mediterraneo. Abbiamo tutti i numeri per poter giocare fino in fondo. Rai deve far parte del processo di racconto di questo Paese, e quindi deve essere un giornalismo, un insieme di programmi, una TV, un Web, una radio, un sistema mediatico in grado di fornire strumenti di cittadinanza matura. Abbiamo, certo, la sfida di continuare a parlare con chi è con noi da decenni, che non deve abbandonarci, altrimenti è un guaio, e soprattutto ritessere i fili che si sono persi con chi sistematicamente ci ignora. I dati del rapporto che abbiamo con i cittadini al di sotto dei 35 anni non possono permetterci di andare avanti così: bisogna ricostruire completamente quel rapporto. Abbiamo quindi una sfida molto grande, perché con loro dobbiamo ripartire. Dobbiamo farci trovare dove sono loro, sugli smartphone, sui tablet, su ogni tipo di device. In questo non ci possiamo sbagliare. Credo che in questo senso proprio grande parte del lavoro che stiamo facendo, che il direttore generale sta facendo e di cui parlerà tra poco, sia centrale nello sviluppo di questo nuovo linguaggio che ci metta in connessione anche con un pezzo di Paese, per il quale Rai è solo una sigla o poco più.
  Allora, qual è il senso del servizio pubblico ? Siamo nell'epoca del Web: vogliamo connetterci con gli under-35, ma nel Web c’è già tutto: a che cosa serve, Pag. 6allora, il servizio pubblico ? Mi piace pensare che nell'epoca del Web diventi ancora più importante. Tutto ruota intorno al concetto di accountability, quel qualcosa che mischia fiducia, responsabilità e affidabilità. Essere servizio pubblico ancora oggi significa porsi come luogo di sicurezza, in cui i cittadini devono avere la certezza di incontrare persone, visioni, racconti che hanno come unico riferimento la costruzione di un Paese, la tutela dei diritti e il bene comune; in cui, quando si parla di informazione, ci sono professionisti seri che verificano le notizie, che non strillano per fare un po’ di audience in più e che non cercano lo scoop truculento a tutti i costi. Siccome continueremo a usare Google per cercare informazioni sugli argomenti che vogliamo approfondire, mi piace immaginare che tra qualche anno ci abitueremo da Google a passare subito dopo a Rai per vedere e discutere con quelli di cui ci fidiamo su ciò che il Web dice su quell'argomento. Saremmo così un luogo di verifica di tutto quello che si trova al di fuori: questo è il senso di proiettare la missione del servizio pubblico nell'epoca del digitale.
  Come si fanno bene le cose che ho cercato di raccontarvi, quelle che piacciono alle persone, che sono considerate magari anche unanimemente cose di qualità ? Come si diventa profondamente innovativi ? Anzitutto, servono gli investimenti. Le cose belle e utili non si possono fare in un'azienda soffocata dalla burocrazia, in cui il prodotto ha perso molta della sua centralità. Qual è la precondizione ? La trasparenza assoluta, non la burocrazia che rende il sistema opaco, e che rende più difficile decrittare i processi di quanto accade. Spesso è proprio quella burocrazia la nemica della trasparenza, costruisce processi non decrittabili e fornisce alle persone l'alibi per non assumersi fino in fondo le proprie responsabilità.
  Un'azienda competitiva è, secondo me, un'azienda realmente trasparente, in grado di rispondere pubblicamente delle proprie scelte e delle proprie persone. È un'azienda che deve poter premiare solo chi esprime qualità, impegno e valore. Per questo, è un'azienda che sa riconoscere il merito, lo mette al centro, lo valorizza e non appiattisce tutti verso il basso. È un'azienda in cui il talento, la creatività e il pensiero fuori dall'ordinario vengono ritenuti preziose risorse e non stranezze da soffocare. Si tengono quindi insieme stranamente trasparenza e creatività, agilità produttiva e rigore estremo. È solo in questo modo che nascono i prodotti di qualità e le operazioni straordinarie, quelle che diventano i momenti dell'orgoglio collettivo e la memoria condivisa di un Paese. Sì, nasce proprio da lì: la Rai è stata e deve continuare a essere uno dei grandi asset strategici di questo Paese. È in questo senso, credo, che siamo qui oggi a dirvi dove vorremmo andare. È su questo piano che ci dovete provocare, ci dovete spingere a osare di più e, soprattutto, su cui dovrete misurare i nostri risultati.

  ANTONIO CAMPO DALL'ORTO, direttore generale della Rai. Innanzitutto, ringrazio il Presidente Fico e tutti voi per averci invitato e per la possibilità che ci offrite di esprimere il nostro punto di vista. Mi associo alle parole del nostro presidente nel dire, come avete capito dal suo ragionamento e dalla passione che lo ha accompagnato, che sentiamo fino in fondo la responsabilità e l'importanza della sfida che ci è affidata. Come primo incontro, ho pensato che la cosa migliore fosse accompagnarlo con un breve ragionamento – una ventina di slide – a complemento di quanto appena detto dal presidente, ovvero su come si può cominciare a pensare a che cosa significa oggi fare un salto in avanti. Salto in avanti non significa, in questo caso, avanti rispetto a quello che c’è dentro la società. Dobbiamo però sicuramente colmare un gap rispetto a dove siamo oggi. L'esempio più eclatante è nell'aver perso contatto con alcune parti della società. Sia ben chiaro che nel nostro ragionamento, essendo servizio pubblico, non potremo mai scegliere di abbandonare persona alcuna. Se fossimo un altro tipo di soggetto, potremmo sceglierci i pubblici. Il nostro tema è che dobbiamo accompagnarli tutti, ma forse senza volerlo una Pag. 7parte l'abbiamo già lasciata indietro, magari perché meno numerosa o più attiva. Forse le cose che vi racconto suonano familiari a quasi tutti voi, ma vorrei brevemente delineare un perimetro di chi siamo in pochissime parole.
  Si è parlato e si parla molto in questi giorni di servizio pubblico, di canone. La verità è che qui ci sono quattro numeri che identificano che siamo un soggetto che prende, al momento, 113,5 euro da coloro che pagano – volevo dire da tutti, ma vedete che abbiamo un tasso di evasione del 27 per cento, a differenza che in altri Paesi, dov’è tra l'1 e il 5 per cento – che dà una dimensione aziendale, come vedete nel totale ricavi, in un ammontare palesemente inferiore a quello dei cosiddetti big five, i cinque servizi pubblici maggiori. L'unico più piccolo di noi è il sistema spagnolo, che ha una genesi diversa e che, oltre a essere nato dopo, è nato anche con una maggiore contribuzione pubblicitaria.
  L'altro dato è la quantità di ascolti dei servizi pubblici. Come vedete, in quel caso siamo i più grandi: dispieghiamo oggi il 37,5 per cento dell'ascolto televisivo, secondo i dati Auditel. Vedete che anche i servizi pubblici più rilevanti, come quello inglese o quello francese, sono tra il 28 e il 32 per cento. Occupiamo una quantità di personale leggermente inferiore a 13.000. In confronto, gli altri soggetti pubblici, sempre a parte quello spagnolo, sono decisamente più grandi di noi.
  Cosa ha determinato la forte accelerazione al cambiamento del mondo dei media rispetto ai servizi pubblici ? Ci si chiede ovunque se servano ancora. Gli unici che non hanno problemi a rispondere a questa domanda sono gli americani, perché la PBS era già piccola prima, e lì ha vinto il modello commerciale. La televisione pubblica è rimasta complementare al modello commerciale, al quale si adeguano tutta l'innovazione e gli investimenti.
  Occorre passare, come illustrato qui, dal classico sistema di broadcaster tradizionale, vissuto dopo la guerra in tutti i Paesi europei, verso un modello al quale alcuni si stanno avvicinando di più. Come vedete in alto a destra, i modelli più evoluti sono il canadese, il giapponese e l'inglese, che è quello più vicino geograficamente a noi, anche se pure France Télévisions ha fatto molto in questo senso. Racconterò un po’ meglio dopo che cosa significhi stare lì, e perché stare lì sarebbe meglio che stare in altri luoghi, però non c’è dubbio che già qui c’è parte della risposta per cui una parte del pubblico oggi non ci sta seguendo.
  Passando ai servizi che offriamo come editore, al momento abbiamo 17 canali cosiddetti in gergo lineari, classici televisivi. Un asterisco indica che abbiamo anche quattro canali HD: Rai Uno, Rai Due, Rai Tre e Rai Sport, diventato HD da settembre. Abbiamo 10 canali radio e tre servizi Internet: rai.it., rainews e rai.tv, che probabilmente conoscete già nel dettaglio. Ancora, abbiamo quattro centri di produzione e 21 redazioni regionali. Sono necessariamente, vista l'evoluzione che raccontavamo, molto posizionati laddove lo è la televisione. Da sempre la televisione è tendenzialmente anziana e femminile. Come vedete in basso, l'età media del pubblico televisivo è intorno ai 52 anni e la percentuale di donne complessiva è del 55 per cento. Siamo, in particolar modo con Rai Uno, ma in generale i nostri canali, nell'area tipicamente televisiva.
  Proviamo a fare una fotografia di che cosa sta succedendo in questo momento, anche se ci sono fatti che occupano in questi giorni uno spazio maggiore nella comunicazione di tutti i media, come l'arrivo di Netflix in Italia la settimana scorsa. Il punto non è tanto Netflix in quanto tale, perché la verità è che questo poco ha a che vedere con la tecnologia, ma molto col cambiamento di aspettative di tutti noi su come dedicare tempo a informarci, educarci, divertirci, vedere programmi di divulgazione culturale. Quello che fino a un po’ di tempo fa stava soltanto nella parte sinistra di questa slide, ovvero televisione gratuita e televisione a pagamento, si sta allargando a un sistema che non ha a che vedere solamente con il tema del business, ma essenzialmente, col rendere più efficiente il tempo delle persone e aumentare Pag. 8l'utilità marginale di tutti noi. Ora è molto più facile andare a cena e vedere le cose quando si vuole. Un cambiamento enorme, perché a quel punto non si è costretti a guardare ciò che vogliamo quando vorrebbero gli altri.
  Guarda caso, questo fenomeno nasce inevitabilmente nei sistemi più complessi. Gli Stati Uniti sono stati alla guida, tanto che Netflix è stato il capofila lì del movimento, di cui avrete sentito, dei cord cutters, quelli che tagliano il cavo, nel senso che non si abbonano perché basta loro la televisione via Internet. Si sta proponendo un sistema, che adesso non analizziamo nel dettaglio, in cui essenzialmente le piattaforme digitali e i portali Web aumenteranno la quantità di tempo che occuperanno nella vita delle persone. Nel momento in cui ci sono alcune condizioni, ad esempio la banda larga, la fruizione dei contenuti che ciascuno vuole tendenzialmente più agile è resa più agile. Qui, come vedete, si sommano a soggetti di provenienza altra (Netflix, iTunes, Google Play) soggetti nazionali, come TIMvision e Vodafone. Questo discorso si inserisce in un contesto che vedeva già una frammentazione degli ascolti. Le rivoluzioni non sono mai tecnologiche, ma sempre culturali e comportamentali. Proiettata relativamente a qualunque Paese del mondo, questa chart è uguale. Da noi è arrivata dopo, ma è uguale. Gli ascolti spiegati dalle televisioni generaliste, in basso, che erano quasi il 90 per cento nel 2005, sono diventati il 60 per cento nel 2014, e continuano inevitabilmente a decrescere, per il semplice fatto che ognuno di noi ha gusti potenzialmente diversi dagli altri. A questo modello, che andava già verso una frammentazione della soddisfazione dei bisogni, se ne aggiunge uno per il quale è inutile stare in questa chart: ti do esattamente quello che vuoi, una proxy di quello che vuoi, legata ai canali a pagamento, molto spesso il canale digitale terrestre. È questo che pone la domanda: che ruolo dovrebbe avere il servizio pubblico in questo sistema ? La prima risposta viene però già da questa chart. Questi sono dati Auditel sul consumo di televisione: al di là dei problemi economici che possono esserci in momenti specifici, in determinate economie, tendenzialmente a livello mondiale una società più affluente ha più tempo per divertirsi e anche per fare delle cose, tra cui guardare la televisione.
  Questo è un dato su tutto l'anno: 46 milioni di persone che guardano 5,2 ore vi dicono che non c’è un difetto di visione complessiva della televisione, anche se cominciate a vedere, come sta avvenendo in tutto il mondo, che si è perso un milione in un anno. Quel milione è molto concentrato su alcune fasce. È ovvio che l'erosione avviene soprattutto dalla fase adolescenziale e fino a una certa età in cui tendenzialmente fino a oggi sono rientrati nel meccanismo televisivo. La sensazione da tutte le ricerche è che ne rientreranno sempre di meno. Abituati a questo tipo di consumo, i Millennials e la generazione che li sta seguendo rientreranno sempre meno. Ripeto che le reti generaliste ci sono e ci saranno, ma il tema è quanta parte di ascolto riusciranno ad attrarre rispetto ai nuovi sistemi.
  Questa è una fotografia che identifica sia quello che vi ho detto, cioè com’è spaccato quel 60 per cento che dà merito a Rai di essere centrale nel sistema, sia com’è spiegato il 40 per cento non generalista, di cui il 30,8 è spiegato dalle reti digitali terrestri. La gran parte, i tre quarti degli ascolti specializzati sono gratuiti, e un quarto, il 9,2 per cento, è legato in primis ovviamente a Sky e a Mediaset Premium, le due televisioni a pagamento oggi leader in Italia di questo mercato.
  Che cosa ci porta a pensare questa situazione ? Innanzitutto, quello che abbiamo detto, quello che il presidente Maggioni diceva. In che Paese viviamo relativamente allo stato delle cose del digital divide ? Da dati europei, quindi non da dati Rai, ma appunto da dati assolutamente inconfutabili, che avete letto in tanti luoghi, il digital divide qui è maggiore. L'agenda digitale europea prevede che entro il 2020 soltanto il 15 per cento delle persone non avranno l'accesso a Internet. Sarà fondamentale, in questo caso, per gli editori come noi la combinazione di elementi Pag. 9strutturali grazie ai quali collegarsi, come una banda larga più diffusa in tutto il Paese. Questo farà fare un salto al Paese.
  Non cito tutti i dati, ma vedete come non ci siano dubbi relativamente alla penetrazione Internet tra Europa e Italia. Che valore ha l’e-commerce dal punto di vista economico per il Paese ? Relativamente all’e-government, che risparmio c’è in termini di efficienza dal punto di vista di interazione tra persone con un account, un computer o un tablet ? Sui social siamo a livello analogo agli altri come penetrazione di questi strumenti nella vita delle persone. Tenete conto che siamo un Paese ad alta penetrazione di smartphone. Ricorderete che storicamente nel nostro Paese c’è stata molta innovazione nella telefonia mobile. Siamo quelli che inventarono le prepagate. Si spiega anche molto del passato del Paese. È chiaro che questo pone un tema rispetto all'importanza della riduzione del digital divide.
  Posso raccontare un'esperienza personale. In un precedente incarico gestivo un brand internazionale in 160 Paesi, eccetto l'America. Un'esperienza, durata sei anni, molto interessante, perché mi ha dato la prova concreta che il rapporto con questo fenomeno non riguarda soltanto la fruizione. Il punto è il rapporto con un modello di società. Se si riesce a far sì che le persone interagiscano tra loro e con le istituzioni in modo diverso, queste tenderanno anche a proiettare un modello di responsabilità personale diverso. In particolare, ho visto cambiare rapidamente alcuni paesi, come quelli scandinavi, dove anche le attività economiche erano basate più su un modello di conoscenza distribuita. Certi fenomeni riuscivano a localizzarsi in luoghi in cui ci si potrebbe chiedere perché mai sarebbe dovuta nascere una certa attività, come in Svezia o in Finlandia. Intendo dire che è veramente un aspetto che riguarda il rapporto con il proprio futuro e non quello con la comunicazione.
  È chiaro che il nostro compito come editore è riuscire ad adeguarci alle aspettative delle persone. I contenuti rimangono centralissimi in questo modello. Intendo dire che a mio parere non bisogna confondersi mai sulla valenza tecnologica. La tecnologia è sempre e solo un abilitatore, ma non ha mai cambiato il mondo da sola. Possono esserci moltissimi esempi in tal senso.
  Questa slide riguarda il consumo di televisione e di Internet nelle varie fasce. Ancora più interessante, è questa, che riguarda i diciotto-trentaquattrenni. Si può obiettare che c’è ancora parecchia televisione. Occorre però una premessa molto importante per questa slide: Auditel e Audiweb hanno due metodologie diverse, quindi non sono dati perfettamente comparabili. Non c’è dubbio, però, che, anche se scontiamo il dato di Audiweb rispetto a quanti milioni di diciotto-trentaquattrenni stanno davanti a strumenti vari che non sono la televisione nelle varie fasce orarie, c’è comunque un pubblico che si sta organizzando per conto proprio. E un servizio pubblico non può lasciarlo andare a farsi servire dagli altri mentre noi ci concentriamo soltanto sul pubblico tradizionale.
  Se misuriamo i numeri che muoviamo, senza andare ai market leader di questo mondo (Google, Facebook), c’è indubbiamente una enorme quantità di utenti unici e di qualità di pagine viste. Li conosciamo tutti, ma come editori è vero anche che Rai ha concentrato la sua forza sul prodotto televisivo senza veramente scaricare tutta la potenza dei propri cavalli su questo mondo. Ripeto che il tema non è soltanto quello di arrivare alle persone, ma anche del tipo di rapporto che le persone poi riescono a vivere con Rai.
  Credo che ogni consiliatura e ogni mandato si contraddistinguano per alcune caratteristiche, e che quella che contraddistinguerà la nostra sarà, se riusciremo a far bene il nostro mestiere, oltre a tutte le cose che si devono fare comunque, di cercare di colmare il gap che oggi c’è dal punto di vista delle aspettative delle persone sull'offerta digitale nel contesto che vi ho appena raccontato. È chiaro che qui, tra modalità di consumo, offerta e tecnologia c’è molto da lavorare.Pag. 10
  Quali sono i due grandi elementi che cambiano lo scenario ? Sono il consumo in mobilità e quello del quando ognuno vuole: queste sono le due grandi tendenze. La ragione per cui questo quadro si delineerà è che questi due elementi sono irreversibili, ovviamente nel senso in cui lo dicono gli americani, for the foreseeable future, per i prossimi anni, poi chissà che cosa succederà. Credo, però, che ciascuno di noi possa dire che tra cinque anni consumerà di più nell'ambito di ciò che gli renderà il tempo più gradevole e meglio speso. Mobilità e non linearità secondo me aumenteranno. Non sappiamo quanto, è vero, ma sarà sicuramente così.
  Riuscire ad avere un'offerta diversificata per fasce d'età, anche dal punto di vista creativo impaginata in modo che l'esperienza dell'utente sia gradevole e adeguata alle aspettative, è fondamentale. Non esiste divisione tra cultura visiva e cultura del contenuto. Non è più così da tanto tempo. Esiste solo l'esperienza determinata da tutti gli elementi che arrivano nel momento in cui ci si interfaccia con programmi, rai.tv, l'applicazione, o il sito rai.it: esiste solo quella. Avere disomogeneità di esperienze è un limite.
  Qual è la differenza – questo è il peso della sfida, che sentiamo – tra questo e quello a cui siamo abituati, come un programma televisivo, concepito in quattro o cinque mesi e realizzato con un time to market di pochi mesi. Una fiction, ad esempio, il cui time to market è 12 mesi, presenta tanti elementi tecnologici, di acquisizione e di analisi dei diritti. Necessita, come la costruzione di una casa, di fondamenta maggiori. Non c’è qualche dubbio sul fatto che possa essere fatta. Va fatta anche perché siamo un operatore che per fortuna ha sufficienti «muscoli» per mettere in circolo una enorme quantità di contenuti originali. Anche rispetto ad altri soggetti, che magari hanno un contenuto più pregiato dal punto di vista di catena del valore, noi abbiamo una quantità di contenuti, spiegati anche dall'ascolto che raccogliamo, che è perfetta per questo momento. Riusciamo ad avere un rapporto continuo e quotidiano con le persone.
  Questa è una slide un po’ più tecnica e identifica dove siamo. È vero che qui lavoro da fare ce n’è, ma ripeto che non è una sorpresa. Sappiamo che dobbiamo lavorare, che qualcun altro è partito prima di noi, ma non importa: alla fine, ciò che conta è riuscire in tempi ragionevoli a colmare il gap.
  Essendo servizio pubblico, non possiamo pensare a un’audience particolare, prendere quelli di prima o quelli che non abbiamo più preso o quelli che arriveranno dopo. Dobbiamo riuscire a essere attrattivi per qualunque tipo di pubblico.
  Questa chart è un po’ più grafica rispetto a cosa significhi nella quotidianità della giornata cercare di accompagnare l'ascolto e la visione in mobilità. Come sapete, siamo radio e televisione, quindi l'obiettivo sono l'ascolto e la visione dei prodotti che realizziamo sia sugli strumenti classici della televisione sia su tutti gli altri che stanno accompagnando le nostre vite e che, come sappiamo, diventeranno sempre di più o, comunque, sempre più sofisticati. Questo cambierà anche la vita dei programmi. Qui abbiamo fatto un piccolo esempio su cosa significhi un programma televisivo, cioè quale sia la vita classica di un talent show, che fino a qualche anno fa viveva nel giorno della trasmissione. Questi prodotti hanno ormai una vita per cui nel Web si anticipa la puntata e la si segue. È chiaro che il nostro scopo è di fare in modo che ci sia la somma delle due cose, che però ha bisogno di una prospettiva necessariamente diversa rispetto a quella di oggi. Essere solo televisione implica stare soltanto sul piano uno, quello della televisione.
  Questa è una slide particolarmente articolata, su cui non andrò nel dettaglio e riguarda la scelta di quale ruolo si vuole avere in questo mondo così complesso. Alcuni soggetti hanno tanti contenuti, ma non contenuto privilegiato. Youtube è il classico esempio: milioni di video, ma un contenuto accessibile, che non si paga. Pag. 11Quei modelli tendono a essere accompagnati dalla pubblicità. Dalla parte opposta, si possono trovare modelli come quello di skyonline.it o iTunes: c’è meno contenuto, ma a pagamento. Trovate in mezzo tutti gli altri possibili soggetti. È chiaro che dobbiamo definire la nostra strategia Paese – in queste settimane, stiamo raccogliendo tutte le informazioni su cosa abbiamo da offrire al pubblico. Il presidente Maggioni lo ha detto bene prima: credo che queste cose debbano essere parte del confronto sul contratto di servizio pubblico. Per noi, è molto più semplice lo sviluppo quando c’è un ragionamento condiviso sul fatto che l'alfabetizzazione digitale è un asset, un obiettivo che fa sì che l'azienda diventi ancor di più un asset per il Paese. È chiaro che questo forse è un esempio fin troppo facile, perché è ovvio che serve, ma è anche vero che in questo momento non è ancora stato sviluppato.
  In quest'altra slide c’è la quantità di ore che sviluppiamo in un anno, dove vanno tolte le ore sviluppate dalle reti specializzate, che per la maggior parte sono ore di acquisto o le ore di pubblicità, che non sono contenuto nostro. In ogni caso, sui volumi non siamo secondi a nessuno. Il tema è riuscire a capire quali di questi volumi possono essere portati su altre piattaforme e in che modo. È anche in questo senso che va portato il ragionamento che stiamo accelerando rispetto all'informazione. Non si tratta solo della fondamentale efficienza del sistema, che deve essere appunto efficiente perché usiamo risorse pubbliche, e a maggior ragione oggi, non possiamo consentire nessun tipo di spreco – in questo senso, concordo che la trasparenza sia uno degli elementi principali per riuscire a essere più efficienti – ma allo stesso tempo, c’è un tema di linguaggi. Bisogna capire quale sia il proprio scopo, il proprio ruolo, e quindi cosa portare alle persone. Il mondo di oggi obbliga a pensare ogni singolo pezzo di palinsesto, di informazione, ma anche di intrattenimento. È l'unico modo con cui pensiamo non di poter rinsaldare, che è una parola grossa, ma di avvicinare il servizio pubblico ai cittadini. Va detto, peraltro, che si tratta di un rapporto che non so se posso dire soddisfacente, ma sicuramente continuo, vista la quantità di ascolti che raccogliamo. L'attenzione che riceviamo sempre è comunque per me un buon segno, al di là del fatto che alle volte possa essere di ordine negativo, nel senso delle critiche. Oggi per i media, però, il problema principale è essere dimenticati, non essere criticati.
  Dicevo che è un lavoro impegnativo. Non abbiamo voluto portarne molte, ma questa è una piccola chart. Che cosa significa «capire cosa possiamo portare al pubblico» ? Abbiamo cominciato il progetto, perché questo non era ancora mai stato fatto. In questo senso, c’è quel gap che vi dicevo da riempire: dobbiamo analizzare una quantità spaventosa di contratti per riuscire a capire cosa possiamo portare in queste nuove piattaforme. Abbiamo già cominciato questo lavoro, che durerà alcuni mesi, per poter dire quale sia il patrimonio della Rai che può andare al pubblico attraverso le forme che vi ho accennato. Questa è l'anticipazione rispetto al piano industriale che stiamo sviluppando. Spero di essere riuscito in 22 slide a darvi un'idea di cosa significhi, al di là dell'espressione, media company. Si tratta di: riuscire a produrre contenuti di qualità digitali multipiattaforma, cioè che nascano già con quella logica; rafforzare il nostro equilibrio economico-finanziario, fondamentale per portarli avanti (la presidente diceva infatti che queste cose richiedono anche investimenti); consolidare la leadership tecnologica di Rai, in modo da passare da digital broadcaster a media company, adattando la nostra azienda all'evoluzione della catena del valore del settore. Il contenuto, come dicevo, rimane centrale. Siccome non è una rivoluzione di carattere tecnologico, ma culturale, il contenuto rimarrà fondamentale in questo percorso e l'organizzazione dovrà essere adeguata a questo nuovo contesto di mercato. È per questo che mi associo alle parole della presidente: in questo caso è fondamentale che competenze interne ed esterne si associno per far sì che l'azienda Pag. 12possa tornare a essere anche in alcuni casi avanguardia culturale e non soltanto adeguarsi ai tempi attuali. Questa è la speranza e la convinzione che abbiamo: essere parte di un meccanismo grazie al quale, visto che la consiliatura è di tre anni, lasciare quest'azienda in un luogo che possa consentire questo percorso naturale.

  MAURIZIO ROSSI. Presidente, direttore, come tutto il consiglio, siete appena entrati e non avete certo alcuna responsabilità per i fatti accaduti, ma come spiegate che notizie così gravi come quelle di cui si è venuti a conoscenza in questi giorni, derivanti da audit interna Rai, non siano state trasmesse alla procura della Repubblica e siano state tenute nascoste ? Alla luce di queste notizie, diventa molto difficile confermare la deroga al codice degli appalti inserito alla Camera all'articolo 3 che torna in Commissione 8a al Senato. Personalmente, ero già contrario prima, ma lo confermo, tanto più con quello che è accaduto. Date le tante e diverse notizie giornalistiche, vorremmo sapere come vi risulta e quali siano le sedi regionali di Rai coinvolte.
  Si parla del canone, che scende a 100 euro in bolletta, ma il 6 maggio scade la concessione alla Rai per svolgere il servizio pubblico. Il presidente Maggioni ha fatto delle buone enunciazioni sulle intenzioni, ma che cosa sarà offerto dal 7 maggio 2016 ai cittadini obbligati a pagare il canone ? Il 30 gennaio, infatti, dovranno pagare. Oggi iniziamo a dibattere su cosa sarà il servizio pubblico, ma il 30 gennaio i cittadini pagheranno 100 euro per cosa ? Avete in mente una rivoluzione del servizio pubblico ? Potete venire a illustrarci anche prossimamente quali idee avete da proporre per chiedere, come non è scontato, al Governo di affidare a Rai una nuova concessione dal 7 maggio 2016 e per quanti anni ? Ogni famiglia italiana dovrà sborsare 100 euro per il servizio pubblico radiotelevisivo: cosa verrà dato loro in cambio che sia definibile servizio pubblico, ma non per noi, non per la Rai, non perché il servizio pubblico sia chi lo produce ? Il servizio pubblico è ciò che si dà, mentre in questi anni c’è stata confusione: il servizio pubblico è quello che dà Rai qualsiasi cosa esso sia, devi pagare e tacere. Non andrà più bene e non è possibile davanti alla scadenza di una concessione continuare così. Dovremo dire che gradiremmo che venisse dato a Rai dal 7 maggio con una nuova concessione della durata di dieci anni perché sarà dato questo e quest'altro. I cittadini, obbligati dal canone, faranno la rivoluzione. Fino a oggi, anche illegittimamente si poteva non pagarlo, ma nel momento in cui li obblighiamo tutti, se non sarà chiaro, scoppierà la rivoluzione, sarà veramente la morte della Rai e del canone. La gente non pagherà, assumendosi le proprie responsabilità, se non spiegheremo cosa diamo per i 100 euro che pagano, che per molta gente sono tanti soldi. Non ritenete necessario, giusto spiegarlo ? Quanto ha dato Rai sino a oggi solo in minima parte viene percepito dai cittadini come servizio pubblico. Prendiamone atto, non difendiamoci parlandone tra noi all'interno di Rai. I cittadini hanno la percezione che quello che è stato dato loro in questi anni in grande parte non era servizio pubblico. Che cosa possono pensare i cittadini che ora sono obbligati a pagare 100 euro se i loro i soldi finiscono in appalti truccati e corruzione in Rai e per programmi che nulla hanno a che fare con quello che viene ritenuto essere servizio pubblico ? Vorrete ancora proporre 15 canali o pensate a una forte riduzione, come all'estero, mantenendone tre o cinque, come appunto capita negli altri servizi pubblici europei ? Interverrete su Sipra, che fa dumping pubblicitario, peraltro approfittando del finanziamento pubblico ?
  Campo Dall'Orto ha tutta la mia stima, lo conosco da tantissimi anni, e capisco quello che vuol fare nel Web, ma teniamo presente che in Germania la televisione pubblica non può sviluppare la parte Web né inserire pubblicità per non fare concorrenza sleale con aiuti di Stato ai siti informativi privati: pensate che non possono Pag. 13mantenere i filmati in archivio per più di una settimana. Qual è la vostra posizione in merito ?
  Infine, come utente, dal TG1, dal TG2 e dal TG3 sinceramente in questi giorni non ho avuto la percezione della notizia dello scandalo della Rai. Se ho sbagliato e non ho ascoltato, è colpa mia e me ne scuso. Se le notizie non sono state date, è gravissimo che la Rai non abbia parlato dei suoi problemi interni.

  MAURIZIO GASPARRI. Anzitutto, chiedo al presidente di fissare un'audizione ulteriore per sapere che cosa dovrà fare la Rai nell'immediato futuro. Che ci sia un'evoluzione tecnologica e la necessità di crescere sul Web e tra le nuove generazioni che fanno scarso consumo della televisione tradizionale sono cose che sapevamo anche noi e di cui ci siamo occupati. Mi sono occupato di introdurre il Wi Fi col digitale terrestre, quindi potrei intrattenerla a lungo, ma non credo che sia utile. Uno dei problemi che suggerisco di affrontare riguarda la stabilità del segnale. Serve una rete a banda larga. Spesso, quando vedo la televisione sul tablet, in movimento, mi salta: se ci fosse una rete più robusta nel Paese, si vedrebbe meglio.
  Detto questo, vorrei capire che cosa deve fare la Rai per quanto riguarda alcuni temi non banali. Ci siamo lasciati con il precedente consiglio con la questione delle news room, tema che abbiamo dibattuto a lungo qui in Commissione, con opinioni anche diverse: non abbiamo sentito una parola. È un'organizzazione importante, richiede alcuni anni, ci sono problemi in alcuni settori dell'azienda e che adesso non ripercorro perché li abbiamo discussi a lungo. Mettere insieme telegiornali che fanno news o informazione regionale non sembrava molto facile, e difatti sono rimasti irrisolti alcuni temi. Si era discusso anche dei vantaggi economici, di eventuali risparmi, ci sono state informazioni francamente parziali, ma riguardavano una nuova gestione. Siccome non se n’è parlato, la Rai ha rinunciato a questo progetto ? Non c’è stato un cenno.
  Per quanto riguarda altre questioni, tutti siamo d'accordo sul fatto che la Rai debba cercare di entrare in questi nuovi settori per non rimanere marginale e utilizzare meglio le sue potenzialità e anche tutti i suoi canali tematici, forse troppo numerosi.
  Inoltre, con le affermazioni di oggi della presidente sul problema dalla qualità e dello share siamo tutti d'accordo, non si può morire di share. Attenzione, però, perché la Rai deve anche rimanere la prima azienda. Ho sentito anche membri del Governo in questi giorni dire di non fare l'Auditel sui telegiornali: chi è contro la qualità ? Nessuno, ci mancherebbe, ma la Rai deve anche mantenere numeri e quantità, che ha mantenuto nel corso dei decenni, anche se il mondo televisivo è notevolmente cambiato. Credo che sia un fatto importante per la Rai aver mantenuto queste posizioni.
  Per quanto riguarda alcuni aspetti strategici, non so se sarà questa l'occasione, ma bisognerà parlarne, perché non è stato affrontato l'argomento. Capisco che il quadro generale fosse importante, ma era più o meno nota questa difficoltà e/o necessità.
  Scendendo di piano, credo che ci sia la necessità di una valorizzazione delle risorse interne. La Rai presenta un quadro problematico da questo punto di vista. Addirittura, ci sono cause per demansionamento o non impiego per una percentuale quasi del 10 per cento del personale. Mi riferisco anche a livelli bassi, non soltanto a casi apicali più noti. Un'azienda che ha il 10 per cento di personale in causa deve guardare al suo interno. Alcuni avranno torto, saranno dei fannulloni, ma non è possibile che il 10 per cento siano così. Esiste una strategia per affrontare queste vicende oltre alla loro gestione giudiziaria ?
  A me risulta che i dirigenti interni Rai non utilizzati o sottoutilizzati siano circa un centinaio, dirigenti in senso lato. Perché, allora, alla fine si continua nella politica delle assunzioni esterne ? In questi giorni – vi chiedo riscontri su questo – da notizie di stampa abbiamo appreso che Pag. 14dall'esterno sono stati assunti Cinzia Squadrone al marketing, Rosetta Giuliano all’auditing, un capo staff – questo può essere anche più comprensibile perché è una funzione fiduciaria – e una consulente per Rai Quattro. La Rai ha 16.000 dipendenti, il 10 per cento in causa, 100 dirigenti non utilizzati: di qualsiasi pensiero e orientamento, se vogliamo darne anche una lettura politica a volte ci sono delle sedimentazioni dei vari passaggi. Mi pare che prima di fare delle selezioni all'esterno... capisco il caso di una elevatissima professionalità. Facciamo un esempio calcistico: si prende Messi dal Barcellona, ma tra i nomi che ho citato non ci sono dei «Messi» della televisione. Già si parla di altri esterni: come direttore artistico Gian Paolo Tagliavia, non c’è nessun profilo per un direttore della creatività ? Tutti sono creativi in Rai. I direttori di testate, di reti, che devono fare ? Non devono essere creativi ? Se c’è un direttore creativo che crea per loro, gli altri che fanno, copiano ? È questa la filosofia ? Credo che la Rai debba fare invece leva su altro, salvo eccezioni. Lasciamo perdere lo star system, se bisogna prendere la star, ma per queste figure e altre credo che la Rai possa valorizzare le sue strutture interne. Mi avvio alla conclusione, perché sono certo che, non essendo stati affrontati temi importanti, avremo un prosieguo di quest'audizione, che comunque formalmente chiedo.
  C’è poi un problema di trasparenza, affrontato anche alla Camera. I colleghi hanno aggiunto norme al testo di legge che avevamo varato al Senato. Ritengo che già adesso, alla luce delle norme che vigono per la pubblica amministrazione, la Rai sia inadempiente – più volte l'abbiamo segnalato – quanto alla pubblicazione su tutti i siti dei trattamenti economici, con tecnologie semplici ma disponibili. C’è anche un problema del trattamento dei dirigenti. La questione di fare un po’ di esercizi finanziari per eludere il tetto dei 340.000 euro secondo noi è discutibile. So che alla Camera i colleghi hanno approvato un ordine del giorno che pone questo tema per cercare di inquadrarlo, per vedere come sulla base delle norme vigenti si debba riportare anche la Rai all'interno di questi tetti. Che cosa ne pensa ? Sul piano dalla trasparenza, anche in attesa della legge, non ritiene di dover adempiere a tali questioni ?
  Oggi ho appreso che Fabio Fazio, oltre ai costi suoi, ha pagato 24.000 euro più viaggio aereo, immagino anche IVA e tasse, per avere Varoufakis ospite: pagare Varoufakis per due ricette economiche che non mi pare che abbiano avuto tutto questo successo in Grecia ? Dovrebbe dare Varoufakis 24.000 euro alla Rai per parlare. Credo sia anche consulente di una trasmissione su Rai Due: è questa la nuova frontiera ? Varoufakis per le ricette economiche ? Anche Tsipras lo ha accantonato. Parlo al di là delle mie appartenenze politiche: è stato scartato anche da Tsipras.
  Francamente, su questi aspetti di trasparenza, su queste assunzioni esterne credo che ci vorrebbero dei chiarimenti, posto che se ne trovano alla Rai di professionalità come quelle che ho elencato, a decine e decine. Si guardi intorno nell'azienda, di cui lei è nuovo, ma ne troverà di più bravi, di più competenti e di meno costosi.

  PINO PISICCHIO. Vorrei ringraziare la presidente Maggioni e il direttore generale e amministratore delegato «incoming» dottor Campo Dall'Orto. Peraltro, vorrei ringraziare particolarmente per l'approccio che hanno avuto con questa Commissione. Ho visto quest'oggi, e devo dargliene atto, l'assenza, il dileguamento di quella leggera sprezzatura che nelle ultime stagioni si era impressa nei volti di coloro che venivano a rappresentare i vertici della Rai in questa Commissione. Il nuovo approccio viene da noi salutato con grande considerazione anche in una proiezione collaborativa, che sicuramente non verrà a mancare. Ho apprezzato molte delle vostre sottolineature e questa giusta e da me condivisa proiezione verso il futuro, che da ultimo è stata il contenuto centrale dell'intervento del direttore generale.Pag. 15
  Vi inviterei, però, a fare un passo indietro, molto indietro. In questi giorni, alla Camera – invito tutti i colleghi senatori e deputati che non l'hanno fatto ad andare a vederlo – è in mostra un manoscritto di Alessandro Manzoni che risale al 1868. Su incarico del Ministro Broglio, Alessandro Manzoni scrive questa nota sulla necessità di dare un'unità linguistica agli italiani. Era in fondo la delineazione di una mission che, attraverso gli strumenti dell'epoca, essenzialmente la scuola, veniva offerta e sulla quale si è esercitato questo grandissimo italiano. Bene, la Rai ha sempre abbracciato questa mission a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, addirittura letteralmente. Ha dato un'unità linguistica gli italiani, come con Alberto Manzi. Ha offerto un'identità collettiva in cui riconoscersi. Questa è stata la Rai, la grandezza della Rai è stata questa.
  Certo, viviamo in un ambiente culturale definito dalla sociologia americana, dai ricercatori, e penso a Festing quando diceva che la permanenza media davanti al televisore in quella stagione, gli anni Sessanta, era intorno alle quattro o cinque ore. Praticamente, uno faceva le radici e moriva davanti al televisore. Questo avveniva però con i mezzi tecnologici, la scarsa concorrenza dell'epoca, data dalla carta stampata. Oggi, la carta stampata ahinoi fa meno copie di venduto di quante ne facesse all'inizio del Novecento. Oggi, la Rai evidentemente deve ritrovare una mission. Qual è la mission della Rai oggi ?
  Abbiamo fatto la riforma della governance. Sì, nella governance qualche lacerto di mission si poteva ritrovare nella configurazione degli assetti di governo della nuova Rai, ma la mission va riempita in termini di contenuti dai nuovi vertici e dalla dialettica, dalla dimensione collaborativa necessaria a cui ci spinge e la Costituzione, ma anche le leggi che parlano di servizio pubblico, quindi nel rapporto con il Parlamento. Credo che non siamo lontani dalla mission degli esordi della Rai del ’54. Anche oggi abbiamo un Paese diviso, in cui l'unità culturale in termini di identità collettiva è frazionata. Mi hanno fatto piacere due passaggi della presidente che ho amato molto. Uno è quello relativo al Mediterraneo. Ha detto una cosa fondamentale che condivido: questa è una missione coerente con quella del nostro Paese. Siamo parte del Mediterraneo, forse qualche volta con insufficiente consapevolezza, ma la Rai può aiutarci in questa direzione. Vorrei, essendo d'accordo con il mio amico senatore Gasparri sulla necessità di tornare a ragionare di queste cose, che in un momento successivo magari ci fosse la possibilità di approfondire.
  Ho anche condiviso la sottolineatura che faceva sul giornalismo costruttivo. In fondo, dobbiamo lavorare anche alla ricerca di qualcosa di diverso da quella roba che viene ammannita nei talk show e che comincia a diventare davvero poco sopportabile. Qualche volta starei anche attento a fare le coproduzioni cinematografiche. Chi ha visto, per esempio, Suburra potrebbe porsi qualche domanda se fosse davvero il caso di coprodurre una cosa di quel genere, ma è un altro tema.
  Vengo all'unica domanda che intendo formulare. Dopo aver constatato una giusta ricognizione da parte del direttore generale Campo Dall'Orto, ma era anche necessario capire lo stato dell'arte, che lei ci ha restituito, siamo nelle condizioni di ricostruire questa missione, proiettata verso strumenti tecnologici del tutto diversi dalla Radio Marelli degli anni Cinquanta ? Abbiamo la consapevolezza di farlo ?
  Infine – poi concludo davvero – abbiamo visto sui giornali una piuttosto cospicua polemica intorno ai pensionati nel consiglio di amministrazione, che pare starebbero esercitandosi in una funzione priva di considerazione di carattere numismatico: che cosa succede ?

  PRESIDENTE. Come vogliamo procedere ? Sono le 15.20 e alle 16.00 dobbiamo tornare in Assemblea per le votazioni, e ci sono ancora una decina di interventi. Forse, se non riduciamo almeno la durata degli interventi, non riusciamo a concludere Pag. 16l'audizione entro oggi e dovremo rinviarla. Credo sia ormai così nei fatti. Andiamo avanti, ma cerchiamo anche di essere un po’ più brevi.

  PAOLO BONAIUTI. Ho avuto non so se la sfortuna o la fortuna negli ultimi vent'anni di assistere a un passaggio di grandi dirigenti Rai molto frequente. In questi ultimi vent'anni, ogni cambiamento dall'uno all'altro ha provocato sempre in tutti una grande aspettativa e una grande voglia di quella che i nuovi vertici sempre dicono novità, innovazione, nuovo approccio. Sotto quest'aspetto, mi sembra quasi di rileggere le antiche pagine del Leopardi, quando riportava i suoi colloqui con il venditore di almanacchi e gli domandava come sarebbe stato l'anno successivo: bellissimo, illustrissimo, diceva il venditore di almanacchi, rivolto allo scrittore, molto migliore. In questo modo, pensiamo sempre di avere da questi vertici Rai qualche grande novità e qualche grande mutamento.
  Sono venuto qui oggi per cercare di capire, di ascoltare una sorta di cammino lungo il quale si vuole far incamminare appunto e progredire la Rai, ma francamente al momento non l'ho capito. Quando si vedono slide con le innovazioni di contenuto, l'adeguamento dell'azienda alla catena dell'evoluzione del settore, questo mi ricorda molto certe assemblee che facevamo a Il Messaggero più di vent'anni fa, nelle quali dicevamo che dovevamo cambiare prodotto, poi il prodotto non l'abbiamo cambiato e i giornali sono entrati in quella crisi mostruosa in cui tuttora si stanno dibattendo. Che cosa intendo dire ? Vorrei come membro della Commissione di vigilanza avere fin dall'inizio una maggiore chiarezza sugli obiettivi concreti, precisi, magari quantificabili con numeri, cifre, dati sulla direzione che la Rai intende intraprendere sia nel suo adeguamento a una realtà tecnologica nuova sia nella distribuzione delle risorse di personale. Sono per esempio tra quelli che ritengono che i rischi di licenziamento in massa dei giornalisti non producono certo utili, ma solo danni a lungo termine, perché danneggiano l'informazione.
  Al di là di questo, capisco che siamo di fronte a un primo articolo, il cui contenuto non possiamo giudicare dalle prime righe. L'articolo stesso, se risponde fin dall'inizio a princìpi semplicissimi, e cioè il chi, il dove, il come e il quando, forse può semplificare la nostra intelligenza della vostra direzione di marcia e rendere più chiaro a tutti quale sarà il percorso.

  ALBERTO AIROLA. Sono contento di avere di fronte delle figure che hanno esperienza di televisione. Penso che questo sia un ottimo auspicio sia per i contribuenti che pagano il canone, sia per questa Commissione, sia per la Rai. Non vorrei essere nei vostri panni, perché penso che in questo momento sia veramente una sfida enorme quella di rilanciare la Rai, come avete illustrato.
  Sono d'accordo con voi che il servizio pubblico debba avere ancora un compito in questa società italiana, in sostanza di essere un autorevole faro di riferimento. Come dicevamo, in un mondo in cui c’è un'entropia di informazione, perché ormai le fonti sono numerosissime, con una offerta vastissima, il servizio pubblico deve diventare un riferimento per il cittadino per l'informazione e per i prodotti che altrove magari non si troverebbero, perché legati appunto a società commerciali e a finalità di audience.
  Due anni fa sono stato seduto con di fronte l'allora presidente Tarantola e il direttore Gubitosi a chiedere subito la trasparenza, i dati per cercare piano piano di trasformare quello che era diventato un arcipelago di «giardinetti» – scusate il linguaggio forse un po’ basso – una gestione personalistica con interessi clientelari. In qualche modo facevano anche una produzione a volte di qualità, ma per lo più alimentavano i soliti circoli di produttori. Oggi i nodi vengono al pettine, perché tra le questioni citate dai colleghi ci sono i casi agli onori della cronaca sugli appalti, e almeno in quest'ultimo anno c’è stata in Rai un'inerzia Pag. 17a produrre, a cercare di intaccare questi poteri interni. Come Davigo ogni tanto dice ai politici, non può occuparsene solo la magistratura, dovrebbe farlo anche la classe dirigente che seleziona per onestà e competenza i suoi rappresentanti. Questo in Rai non è successo e ha dovuto occuparsene la magistratura.
  A parte questa questione, dicevo prima di ridurre questi «giardinetti». Per esempio, l'anno scorso è emersa la questione degli «happy five» ovvero di quelle società che hanno sempre realizzato un certo tipo di prodotti, penso ai 40 milioni di euro dati a Lux Vide, ma non voglio mettere in croce qualcuno in particolare. Forse sarebbe ora, come sta avvenendo anche per gli appalti, di rivolgere pian piano l'attenzione anche a queste grandi società: abbiamo visto che cosa ha prodotto Infront, che cosa fanno queste grandi società. L'Italia è un Paese diverso. Nell'ambito della trasformazione che voi, che tutti auspichiamo, della Rai da servizio pubblico televisivo convenzionale in media company, è molto interessante rivolgersi all'attuale offerta di produttori, non solo i grandi, premesso che di produttori in Italia ce n’è sempre meno, e chi si occupa di cinema, di televisione lo tocca con mano. Parlo di rivolgersi a tutto quel mondo che, soprattutto grazie alla rivoluzione tecnologica, ha permesso a piccole imprese di crescere, a start up legate ai contenuti per il Web, ad audiovisivi, a documentari. Una società che realizza prodotti ad altissima vendibilità, molto interessanti, che aiuterebbero anche gli italiani a evolvere culturalmente, potrebbe produrre documentari con molti meno soldi del milione di euro a puntata dato per esempio a «don Matteo». Parliamo delle piccole società, del tipico tessuto italiano, fatto per il 90 per cento di piccole e medie imprese, di industria creativa che può dare grossi contributi.
  Non si deve, però, finire nell'errore che molti hanno sempre commesso in questo settore: il dumping, l'abbassamento dei costi finalizzato poi anche a un abbassamento della qualità. Le competenze si pagano, le tecnologie aiutano a risparmiare. Questo è il sunto del discorso. È inutile favorire grandi società o solo grandi società. Bisogna mantenere in piedi – questo secondo me è un dovere del servizio pubblico – sia a livello interno, ma soprattutto per quanto riguarda i suoi rapporti col tessuto economico produttivo italiano, rapporti con società che possono fare ottimi prodotti, andare in Europa con una piccola partecipazione della Rai e fare grandi coproduzioni, adeguare questo sistema a questa visione, molto più corrispondente alla trasformazione che dicevamo sopra di mantenere Rai Cinema, struttura attualmente vecchio stile. Quando è nato il cinema americano le società facevano produzione e distribuzione e avevano anche la proprietà delle sale. Questo è quello che succede con Rai Cinema, un enorme colosso, addirittura una società di distribuzione. Forse conviene ripartire da lì, senza parlare dei 17 canali che citavate.
  Poi c’è la questione del palinsesto, secondo me centrale. Stiamo proponendo agli italiani un passaggio. È chiaro che la Rai in questo ha avuto un grande ruolo di alfabetizzazione informatica, perché come dicevate giustamente anche voi non dobbiamo lasciare indietro gli ultimi o quelli che per adesso guardano solo certi tipi di programma, ma traghettarli a un'altra fruizione, a un altro tipo di servizio pubblico. La Rai deve inventarsi un modo per aiutare questo passaggio. Dicevo che la questione del palinsesto è fondamentale. Guardavo l'altro giorno Netflix e ho visto che è un catalogo molto ridotto e che c’è un sistema di proposta degli interessi a seconda di ciò su cui si clicca. Bisogna fare attenzione perché un traghettamento del genere, con modalità tipiche del Web e di costruzione di un prodotto adeguato al fruitore secondo me non è molto da servizio pubblico. Io ho bisogno di avere un'ampia offerta. Il servizio pubblico per me può essere quel modo di scoprire cose nuove, che altrimenti il Web magari non mi proporrebbe. Il concetto è che un palinsesto, che viene adattato anche al mondo del Web, ma nasce dalla TV analogica Pag. 18potrebbe avere un senso, soprattutto per i fruitori vecchio stile. Immagino un anziano che si mette a guardare una pagina con tutti i prodotti e le varie descrizioni, e si perde; una guida, invece, un accompagnamento potrebbe essere molto utile.
  Avrei tantissime cose da dirvi, ma devo essere molto stringato. Sulla questione di programmi e contenuti, mi sta bene l’entertainment. Basta col gioco dei pacchi, con le riproposizioni di cose vecchie di trent'anni fa in prima serata alle 20.30. Secondo me, questo non è servizio pubblico, ma un sistema che costringeva la Rai a seguire la TV commerciale. Ora è finita, perché è finita anche la TV generalista commerciale, come si sa benissimo. Proporrei di cominciare a razionalizzare le risorse per offrire sì, anche una parte di entertainment. Non parlo di informazione oggi, perché è un argomento molto vasto, ma vorrei anche chiedere come vanno le news room.
  Sulla questione di Netflix deve spiegarsi sui prodotti a pagamento, ipotesi che ha fatto, di prestigio. Detta così, non sarei d'accordo. Dicevo che è ottima l'idea di un'interfaccia unica sul Web. Ne abbiamo una penosa, con pubblicità di trenta secondi ogni volta che si tenta di far ripartire un canale. Non funziona benissimo su tutti. Come sapeva già la presidente Maggioni, i siti sono troppi.
  Un'attenzione da parte di noi politici va alla questione del canone. È inaccettabile che il Governo pensi a un canone in bolletta che poi non ha la destinazione Rai, ma un'altra, com’è successo per i 150 milioni di euro della vendita di Rai Way.
  Attenzione al dumping al ribasso, perché è questo che sta succedendo, continua a succedere, è successo ieri. Pare che una società abbia preso il 45 per cento di sconto per forniture. Lo dico non perché sia mio interesse la gestione aziendale che compete a voi, ma perché va a riversarsi sulla qualità del servizio pubblico. Se prendo società che non hanno un budget minimo per pagare adeguatamente operatori, montatori, autori e registi per realizzare dei prodotti, non avremo mai un prodotto, e favoriremo proprio questo tipo di problemi che abbiamo adesso. Il suo predecessore mi diceva che avrebbe fatto appalti al ribasso finché la legge glielo avrebbe consentito. Può essere una risposta, ma non è la risposta che mi aspetto da uno che ama il servizio pubblico.
  Attenti al controllo interno, al comitato etico. Abbiamo chiesto ad aprile, ancor prima, e il comitato etico si era impegnato a risolvere, ma non è stato così, come vediamo anche per gli appalti e i 37 audit interni.
  Attenzione al buon uso del personale interno. So che ci sono grandi professionalità, ma molto depresse, perché sono all'angolo e si vedono scavalcate dalle esternalizzazioni. Sono d'accordissimo con una buona integrazione di competenze esterne e interne. Alcuni prodotti si possono realizzare internamente, altri no, quindi è giusto, ma peccato che quasi sempre le esternalizzazioni alimentino quei «giardinetti» di gestione clientelare di cui parlavo. Attenzione alle nomine, visto che saranno prossime: vi raccomando competenza, indipendenza e, soprattutto, assenza di conflitti d'interesse. Alcuni nomi che sento nell'aria hanno sempre, ad esempio, la società di produzione.
  Ascoltate soggetti in Rai, personale, soggetti esterni. Esistono associazioni di professionisti, piccoli sindacati di operatori. Stanno nascendo perché ormai il mercato fuori è talmente disgregato che persino i «cani sciolti», come gli operatori, categoria alla quale ho anche appartenuto, si stanno riunendo. La situazione è drammatica. Questo sì riverbererà sicuramente anche sulla qualità del servizio. Ascoltate le associazioni, i dipendenti interni, scendete dai piani. Avete all'interno tutte le professionalità e tutte le possibilità di confrontarvi con chi può aiutarvi. Aiutano anche noi, cosa di cui sono ben contento. Mi sembra che questo sia un modo di fare bene anche il nostro lavoro di indirizzo e vigilanza.

  ENRICO BUEMI. Voglio iniziare la discussione eliminando ogni pregiudizio Pag. 19nella mia esposizione, perché credo che la vostra nuova funzione sia libera da responsabilità precedenti, ma nello stesso tempo vorrei dire che bisogna aumentare in assoluto l'analisi della situazione interna e anche l'ascolto.
  Le vicende giudiziarie di questi giorni – lo dico in anticipo, poi parliamo anche del futuro – denotano quanto meno una resistenza, rilevata anche in procedimenti penali, che denuncia omertà, omissioni, reticenze e anche silenzi su attività di carattere ispettivo che molti di noi hanno svolto in questi anni e che non hanno trovato ascolto, almeno da quanto evidenziato. Sono un fautore della deroga per quanto riguarda il codice degli appalti, ma a una condizione: che ci sia una capacità interna di verifica e controllo puntuale su procedure e qualità del prodotto, oltre che sul costo. Certamente, il costo è un elemento importante, ma su queste cose dove c’è anche l'elemento fiduciario contano gli altri aspetti.
  Detto questo, presidente Maggioni e direttore, condivido molto l'idea di una Rai che abbandona la retorica dell'opposizione o del Governo sulle questioni – dovremmo analizzare il presente e il passato anche da questo punto di vista, questa specie di continuo sbilanciamento, per cui facciamo la critica, poi diciamo che sono bravi e viceversa – per passare a quella Rai che diceva lei, presidente: la Rai del ragionamento, della proposta, della soluzione. È la Rai che vedo e condivido perché costruisce il nuovo cittadino, gli offre gli elementi per giudicare le situazioni e non lo distrae con le emozioni, con le enfasi, con gli elementi di pancia, come la televisione di oggi è da tutti i punti vista, Rai compresa se mi permette. Ad esempio, alcune trasmissioni di approfondimento non consentono al cittadino di capire. È vero che il ring è sempre stato molto interessante dal punto di vista della platea, perché si scaldano gli animi, oltre che dei protagonisti, anche degli spettatori, come nella grande partita di calcio, ma non è questo il contributo che la Rai ha saputo dare in passato alla costruzione del cittadino italiano come dovrebbe essere.
  Capisco la difficoltà di informare fuori dalla retorica: è faticoso e complicato passare dalla critica alla proposta, ma questo è il compito di un servizio pubblico. Passare dalla critica alla proposta è la funzione terza. Poi può anche esserci la discussione sul giudizio se la soluzione sia adeguata, ma non possiamo limitarci soltanto all'elogio o alla critica. Dobbiamo fare un passo in avanti. La cultura ha bisogno di questi contributi.
  Dobbiamo fare uno sforzo anche per far diventare sempre più questo grandissimo e importante strumento raggiungibile in maniera corretta da parte delle grandi masse. Sono d'accordo una volta tanto con il collega Airola sul fatto che oggi ficcare una trasmissione demenziale come quella delle 20.00 su Rai Uno è francamente deprimente in assoluto. Arriviamo alla soglia del telegiornale delle 20.00 con quella roba che distribuisce – voglio essere rispettoso – cretinerie, elementi di un populismo che francamente mi aspetto possano essere soltanto in una televisione di provincia, senza offesa per la televisione di provincia, ma non su un canale principale della televisione di Stato. Forse è necessario cambiare rapidamente su queste questioni. Non possiamo andare avanti a chiedere risorse pubbliche al cittadino per fornire quel prodotto, che neanche più la televisione commerciale propone.
  Ultime due questioni, una è lo stipendio medio del dipendente. Poi, il confronto che ci ha proposto con le altre televisioni più importanti europee è sicuramente interessante, ma in funzione di dipendenti e costo vediamo qual è il costo medio, come costo medio per minuto di produzione o di programmazione. È come la statistica dei polli, nella quale però si capisce anche se vengono consumati pochi o tanti polli.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Sono un parlamentare di seconda legislatura, anche in questa Commissione, quindi mi è già capitato di partecipare ad audizioni Pag. 20dei nuovi vertici dell'azienda. Non ho l'esperienza del presidente Lainati o del presidente Gasparri, ma ho memoria di alcune di quelle audizioni, come di quella dei vertici precedenti, quando credo l'attenzione fosse intorno alla questione dei conti dell'azienda Rai, quindi con priorità sul rimettere in sesto i conti e, contemporaneamente, sul fare gli investimenti infrastrutturali tecnologici necessari all'azienda per affrontare le sfide da broadcaster a media company. La fase però è completamente diversa. Allora, appunto, si trattava di rimettere in asse la situazione dell'indebitamento e contemporaneamente a fare gli investimenti.
  Allo stesso modo, in quell'audizione si svolse il tema della trasparenza. Su questo tema la Commissione tutta, ha incalzato i precedenti vertici aziendali e continuerà a farlo anche con questi. Peraltro, diversi colleghi sono tornati sulle notizie di stampa relative alle indagini condotte dalla magistratura che credo dimostrino quanto fossero radicati nel tempo comportamenti che non solo non riguardano questi vertici, ma fanno riferimento a incrostazioni che via via si sono sviluppate all'interno dell'azienda.
  Ricordo anche che nella valutazione complessiva di questa Commissione era centrale spostare l'attenzione sul versante dei contenuti, del prodotto. Si diceva che la sfida di quel titolo, il passaggio da broadcaster a media company, non poteva che essere affrontata con una consapevolezza piena del ruolo dei contenuti e una visione, un approccio soprattutto al prodotto. Credo che oggi tutti dovremmo riconoscere che nelle comunicazioni del presidente e del direttore generale cui abbiamo assistito ci sia questa centralità. Credo che entrambi abbiano non solo affrontato il nodo di come l'azienda Rai affronti la sfida di questo passaggio, ma di come interpretino in questa trasformazione epocale il ruolo di servizio pubblico, peraltro oggetto di un ciclo di audizioni che questa Commissione sta svolgendo. Sotto questo profilo, credo che dovrebbe esserci da parte di tutti il riconoscimento che una questione posta da tutta la Commissione è stata centrale nelle comunicazioni a cui abbiamo assistito. Aggiungo che i vertici si trovano, come è stato detto anche dal collega Airola, in un passaggio delicatissimo, con elementi di scenario relativi non solo alle trasformazioni complessive del comparto, ma anche a quelle normative. Veniamo, dalla Camera, dall'approvazione in seconda lettura del disegno di legge di riforma della sistema di governance dell'azienda con una riscrittura di quanto era già previsto nel testo del Senato, il piano della trasparenza che conferisce ai vertici e all'azienda nuove responsabilità e un rapporto diverso, che è sempre stato negli auspici di questa Commissione, con l'opinione pubblica.
  Sul tema degli appalti siamo intervenuti con una serie di modifiche recependo i pareri di diverse Commissioni, ma su questo, presidente, visto che è stato oggetto anche di sue comunicazioni su Facebook e su vari siti, abbiamo opinioni diverse. Lei è stato relatore di minoranza, quindi questa non è la sede per rifare quella discussione. Segnalo, però, che le indagini della magistratura fanno riferimento a un tempo precedente e non hanno nulla a che fare con l'introduzione di modifiche alla norma. Casomai, la domanda da rivolgere non è sullo stralcio al Senato di questa parte dalla norma, ma riguarda il fatto che quanto è stato realizzato con gli audit interni dell'azienda non è stato consegnato alla magistratura. Forse questo è il punto da sollevare come Commissione di vigilanza, non riprodurre qui un dibattito che c’è già stato in un ramo del Parlamento, e poi ovviamente può esserci anche nell'altro. Questa è la domanda da rivolgere all'azienda, a mio giudizio.
  C’è poi il tema del canone. Questi vertici affronteranno una delle questioni che veniva sempre sollevata nelle precedenti audizioni come una questione variabile. Poi su questo ci sono opinioni diverse. Al Senato se ne occuperanno i colleghi senatori. Possono esservi, ovviamente, posizioni diverse, ma c’è un elemento di certezza rispetto al gettito del canone, quindi per quanto riguarda Pag. 21l'azienda e anche il lavoro di questa Commissione è indubbiamente un passo in avanti.
  Per quanto riguarda il rinnovo della concessione, uno degli emendamenti, recependone peraltro uno dell'opposizione, è inserito nel testo, che mi auguro venga confermato anche al Senato, che prevede la consultazione in vista del rinnovo. Di ciò in questa Commissione si è parlato a lungo, con il Viceministro Catricalà e con il Sottosegretario Giacomelli. A questo punto, è in norma. Nel momento in cui verrà approvata in via definitiva, credo che questa sia una grandissima occasione sia per l'azienda sia per le istituzioni sia per un sistema di relazioni tra l'opinione pubblica e il servizio pubblico. Credo che questa davvero sia un'occasione che nessuno deve sottovalutare e perdere. Sono vertici che da questo punto di vista, come diceva Airola, hanno grandi responsabilità.
  Sollevo una questione, che nel mio caso è stata anche motivo di dichiarazioni pubbliche, che voglio ricondurre qui nell'alveo istituzionale più corretto. Tra qualche giorno finirà Expo. Si potrebbe aprire un dibattito se sia stato un successo o meno, perché credo che anche su questo ci siano opinioni diverse. Al netto di questo, però, sta iniziando il dibattito sull'utilizzo successivo. Verrà presentato il 10 novembre un progetto che ha alcune linee guida, vede il coinvolgimento dell'università di Milano, una città dell'innovazione, la presenza della pubblica amministrazione all'interno di questo legame tra innovazione, ricerca e formazione. Nel corso degli anni c’è stata più volte un'interlocuzione tra azienda Rai, amministrazione comunale di Milano, società Expo. L'azienda Rai sta valutando l'ipotesi di trasferimento. La domanda è se tra le diverse opzioni l'azienda prenda anche in considerazione di essere partecipe di un cambiamento profondo se partirà effettivamente dai concetti che ha richiamato, e se sia disponibile a un investimento di questo tipo.
  Negli anni ’80, le sedi regionali della Rai, proprio oggi al centro di polemiche per la gestione degli appalti, sono state centri di propulsione della cultura. Gente come Odorisio o Placido hanno potuto realizzare le opere che li hanno lanciati. La Rai diventava l'industria culturale più importante. Oggi i giovani per trovare spazi devono venire tutti a Roma, mentre le sedi esterne sono spesso attrezzate come un vero e proprio network. Perché non rilanciare il volano della nostra cultura ripartendo dalle province ?
  Per ciò che concerne la collaborazione con i privati, RaiSat Gambero Rosso Channel trasmetteva sul satellite; la divisione dei costi ha permesso di investire su un canale che in breve divenne leader nel suo specifico, quello dell'enogastronomia. Ha portato soldi alla casa madre di Viale Mazzini, ha creato spazi di lavoro e anche un brand fortissimo. Quell'esperienza è stata abbandonata: perché non ripartire da lì per costruirne altre ?
  Relativamente alla elezione del rappresentante dei lavoratori, non sono specificate le modalità e i requisiti necessari alla sua elezione: sono previste specifiche che chiariscano questo punto della riforma ?

  GIORGIO LAINATI. Intendo intervenire sull'ordine dei lavori. Gentile Presidente, colleghe e colleghi, tenendo conto che stiamo votando alla Camera un provvedimento molto delicato come l'omicidio stradale e alle 16.00 è previsto che ricominci l'Aula, mi domando se non sarebbe il caso di consentire quantomeno ai deputati di avere quei minuti per arrivare a Montecitorio, chiedendo scusa alla presidente e al direttore. Magari si avrà modo di porre altre questioni in una seduta successiva.

  PRESIDENTE. Sospendiamo i lavori tra cinque minuti, e poi concorderemo con la presidente e il direttore una data per la prosecuzione dell'audizione.

  AUGUSTO MINZOLINI. Francamente, il commento del collega Airola mi trova assolutamente d'accordo. Meno male che abbiamo persone che si occupano di televisione. Almeno nella passata gestione probabilmente i compiti erano diversi e se n’è sentita la mancanza.Pag. 22
  Interverrò in termini estremamente costruttivi. Credo che il tipo di proiezione sul futuro dell'azienda non sia una scelta, ma una scelta obbligata, perché c’è un bivio: o si sopravvive o no. Da questo punto di vista, credo che il piano prospettato, almeno nelle grandi linee, sia interessante, ma assolutamente necessario. Se non sarà così, probabilmente non parleremo della Rai tra cinque o dieci anni, ma di un'altra cosa, di un'azienda residuale.
  Rispetto, però, a questi problemi, pongo un'altra questione. Ci sono aspetti della vecchia Rai che vorrei mantenere. Mi spiego. Nel rapporto tra risorse, numero dei dipendenti e audience la Rai non invidia nessuno, anzi c’è addirittura un aspetto singolare, perché abbiamo il 37 per cento di audience, mentre credo che la BBC sia al 32 per cento, per non parlare della TV pubblica tedesca. Mi pongo allora un problema, come ho già fatto in passato. È interessante la frase della presidente sul volere una visione plurale e non una somma di parzialità. Si parla di visione plurale per un'azienda che è un moloc: 17 canali sono tanti. È l'industria del Paese che toglie risorse ad altre industrie culturali. Nel mercato editoriale nella crisi in cui è adesso, quell'elemento diventa sempre più grande. Forse, rispetto a questo schema, tenendo conto anche della riforma della governance, intendo come elemento di accettazione da parte di un'opinione pubblica divisa – siamo in un Paese diviso – sarebbe meglio immaginare l'idea di una somma di visioni. Sono sempre rimasto perplesso sull'idea della newsroom unica. Ne faccio una questione di informazione, ma in termini generali.
  Uno degli elementi che è servito alla Rai, che probabilmente è stato poi descritto in maniera anche negativa – pluralismo come lottizzazione – è stata la capacità di riprodurre tanti aspetti del Paese in maniera diversa, con varie visioni. Quell'elemento secondo me è fondante se vogliamo rimanere su quei dati, assolutamente controcorrente su quel 40 per cento. Se perdiamo questo, forse perdiamo l'elemento peculiare della Rai. Quello che invece dovrebbe avvenire, e su questo sono d'accordo, è l'elemento di approccio. Il problema televisione è che ci sono tante visioni. Quello che deve caratterizzare il servizio pubblico è l’aplomb con cui si avvicina – che può essere costruttiva è un altro – ma in ogni caso deve essere un elemento di stile, non nel vedere le cose ma nel come porle. Avevo avanzato la proposta già l'altra volta: immaginerei più uno schema diviso per reti, e non, per quanto riguarda l'informazione, per altro. È inaccettabile che un'azienda di 14.000 dipendenti esternalizzi troppo il lavoro: è pazzesco. Penso che dovremmo trovare un modo in cui la tecnologia, che aiuta da questo punto di vista e interviene anche sui costi, dia la possibilità di far crescere un'azienda anche al suo interno, conformandola per il futuro. Si ha così anche un investimento tecnologico e sul modo in cui si narra. Non bisogna prendere dall'esterno, ma avere la capacità di dare un'idea di servizio pubblico del racconto del Paese.
  Quanto alle polemiche, direi una cosa molto chiara. Il senatore Gasparri ha posto il problema delle assunzioni. Credo che sia essenziale, quando si assumano posizioni di vertice in un'azienda, portare con sé un certo numero di persone di fiducia. Penso che sia assolutamente inimmaginabile che non ci si possa portare qualcuno da fuori. Varrebbe però la pena individuare un perimetro, quattro, cinque, sei, sette persone importanti per un amministratore delegato, per un direttore generale: una sorta di spoil system, in modo che ogni volta non si ricominci da capo. Rispetto alle 20 assunzioni fatte dal suo predecessore, credo che si debba trovare un numero congruo e soprattutto significativo e ragionato per gli incarichi nevralgici per la caratterizzazione del proprio lavoro e su cui l'amministratore delegato possa far conto per dare una svolta e imprimere un rinnovamento all'azienda. Questa sarebbe già una novità. Se no ogni volta si rischia di ricominciare da capo. Credo che per un'azienda pubblica una cosa del genere sia un limite, e poi non si lavora bene, perché ci si trova sempre sotto i riflettori, quando invece bisognerebbe Pag. 23avere la garanzia e l'opportunità di farlo. La mia provocazione è dunque che più che una visione plurale, se possibile, andrebbe creato una somma di visioni che dia una motivazione al possesso di 17 17 canali. In maniera diversa, tenendo conto di una governance che ha questo rapporto con il Governo – non voglio entrare, ma ci entro: c’è anche un elemento democratico, di questo si tratta – a quel punto sarebbe molto meglio ridurre i 17 canali a pochi, fare come ha fatto la BBC, privatizzando tutti gli altri. Così si darebbe anche ossigeno al sistema editoriale del Paese.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente e il direttore generale. Il seguito dell'audizione è rinviato ad altra seduta.

  La seduta termina alle 16.