XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 64 di Mercoledì 15 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 2 

Audizione del professor Enzo Cheli:
Fico Roberto , Presidente ... 2 
Cheli Enzo , vicepresidente emerito della Corte costituzionale ... 2 
Martini Claudio  ... 7 
Fico Roberto , Presidente ... 7 
Martini Claudio  ... 7 
Cheli Enzo , vicepresidente emerito della Corte costituzionale ... 7 
Pisicchio Pino (Misto)  ... 8 
Airola Alberto  ... 8 
Anzaldi Michele (PD)  ... 9 
Fico Roberto , Presidente ... 9 
Cheli Enzo , vicepresidente emerito della Corte costituzionale ... 9 
Airola Alberto  ... 12 
Cheli Enzo , vicepresidente emerito della Corte costituzionale ... 12 
Fico Roberto , Presidente ... 12 
Cheli Enzo , vicepresidente emerito della Corte costituzionale ... 12 
Fico Roberto , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto a circuito chiuso e la registrazione sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del professor Enzo Cheli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Enzo Cheli, vicepresidente emerito della Corte costituzionale, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Ricordo che tale audizione si inquadra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo, anche al fine di determinarne l'identità e la missione.
  Do la parola al professor Cheli, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, eventuali domande e richieste di chiarimento.

  ENZO CHELI, vicepresidente emerito della Corte costituzionale. Grazie al Presidente e alla Commissione per questo invito, che mi consente di svolgere alcune considerazioni di ordine generale sul servizio pubblico radiotelevisivo, considerazioni che nella congiuntura attuale inevitabilmente si incrociano con i contenuti del progetto di legge in corso di esame da parte del Senato.
  Il disegno di legge d'iniziativa governativa che il Senato sta esaminando affronta direttamente soltanto il tema della governance, mentre rinvia a successivi decreti legislativi la futura disciplina sia del finanziamento, sia – a quanto si può capire dal testo dell'articolo 5 del progetto – della missione. Si tratta perciò di un disegno di legge soltanto parziale, perché affronta soltanto uno dei tre profili essenziali che entrano in gioco quando si affronti il tema dell'organizzazione e del funzionamento di un servizio pubblico radiotelevisivo: il profilo dalla missione, il profilo della governance e il profilo del finanziamento. Se è vero che, come di recente ha affermato il Sottosegretario Giacomelli in un articolo, siamo entrati in un'epoca in cui il servizio pubblico ha bisogno di trovare una nuova legittimazione, risulta evidente che il profilo della missione è tra tutti non solo pregiudiziale rispetto al finanziamento e alla governance, ma è anche il profilo più rilevante, perché consente di stabilire cosa sia e a cosa serva oggi un servizio pubblico radiotelevisivo. Questo profilo però dal progetto in corso di esame non emerge.
  Vorrei fare qualche brevissima considerazione di quadro, che forse può risultare utile al fine di esprimere valutazioni anche sul progetto in corso di elaborazione. Una prima considerazione di ordine generale è che questa riforma matura in un clima complessivamente non favorevole alle ragioni del servizio pubblico. Sappiamo che una corrente di pensiero, piuttosto diffusa non solo a livello nazionale ma anche a livello europeo, si pone oggi sempre più spesso la domanda se, di Pag. 3fronte alle recenti rivoluzioni del mondo della comunicazione, un servizio radiotelevisivo finanziato con denaro pubblico possa ancora rappresentare una scelta necessaria o comunque utile.
  Una seconda considerazione di ordine generale riguarda invece le caratteristiche molto particolari del nostro servizio pubblico radiotelevisivo, che, come sappiamo, ha avuto una storia molto speciale, che lo distingue dagli altri servizi pubblici del quadro europeo, perché questa storia è stata, oltre che particolare, particolarmente tormentata. Vorrei ricordare a questo proposito che la riforma che il Parlamento oggi si accinge a varare è la quinta della nostra storia repubblicana, se consideriamo come prima riforma la legge del 1975, che introdusse la nozione di servizio pubblico e spostò il controllo del mezzo dall'area dell'esecutivo all'area del Parlamento; come seconda la legge Mammì del 1990, che pose le basi per il sistema misto pubblico-privato; come terza la legge Maccanico del 1997, che cercò di ridistribuire le risorse tecnologiche ed economiche per rafforzare e garantire il pluralismo; e come quarta riforma, la legge Gasparri del 2004, tuttora in vigore attraverso il testo unico n. 177 del 2005, che ha regolato la transizione del mezzo dalla stagione dell'analogico alla stagione del digitale.
  Quello che caratterizza in termini molto particolari questo percorso abbastanza tormentato e complesso è che ciascuna di queste leggi di riforma trova a monte come fattore causale una o più pronunce della Corte costituzionale, con una sorta di automatismo tra sentenza della Corte e legge che sopravviene in tempi stretti o lunghi. Possiamo dunque dire che la nostra Corte costituzionale, attraverso un'interpretazione degli articoli 21, 41 e 43 e attraverso una ricchissima giurisprudenza che ha investito questi articoli, è stata il maggior driver di questo percorso riformatore, perché ha sempre promosso, orientato e poi condizionato i diversi interventi che nell'arco del tempo il legislatore, sotto la spinta di queste sentenze, ha voluto o dovuto fare. È proprio la giurisprudenza della nostra Corte costituzionale che insieme al Trattato di Amsterdam danno la risposta alla prima domanda, cioè danno tuttora la giustificazione giuridica e la base costituzionale per la presenza non solo utile ma necessaria di un servizio pubblico nel settore radiotelevisivo: presenza fondata sull'esigenza di garantire un'informazione completa, obiettiva e imparziale e di sviluppare il pluralismo interno al mezzo radiotelevisivo ed esterno nel mercato complessivo delle comunicazioni, pluralismo riferito a tutte le correnti culturali e politiche presenti nel Paese. Un servizio pubblico i cui contenuti (qui richiamo testualmente un'importante sentenza della Corte, la n. 112 del 1993) «devono contribuire al rispetto della dignità umana, dell'ordine pubblico, del buon costume, dello sviluppo psichico e morale dei minori». In sostanza, il servizio pubblico resta una presenza necessaria nella visione costituzionale italiana ed europea perché al servizio pubblico spettano compiti specifici, che lo distinguono dall'emittenza commerciale in ordine sia al campo dell'informazione sia al campo della formazione, mentre l'intrattenimento rimane il campo comune. Sull'informazione spetta al servizio pubblico garantire alla collettività una informazione affidabile, e questo è un punto che oggi diventa sempre più sensibile. Per quanto riguarda la formazione, spetta invece al servizio pubblico offrire agli utenti gli strumenti per maturare le proprie opinioni nel confronto libero delle diverse opinioni che operano nel Paese.
  Il servizio pubblico deve di conseguenza favorire l'esercizio dei diritti della collettività e la partecipazione alla vita pubblica. Per seguire l'impostazione del IX protocollo del Trattato di Amsterdam, il servizio pubblico esiste in funzione del rafforzamento del tessuto della democrazia, perché ha una funzione specifica rispetto alla partecipazione dell'opinione pubblica alla vita politica del proprio Paese.
  Solo queste finalità sono in grado di giustificare (anche qui richiamo un'altra sentenza della Corte, la n. 284 del 2002) «in deroga al divieto di aiuti di Stato il finanziamento del servizio attraverso risorse Pag. 4pubbliche e in particolare attraverso un canone di natura tributaria, ma tutto questo a condizione che la tipologia e la qualità della programmazione non siano piegate alle sole esigenze quantitative dell'ascolto e della raccolta pubblicitaria». Questo per non omologare le scelte di programmazione del servizio pubblico a quelle proprie dei soggetti privati, che operano nel ristretto e imperfetto mercato radiotelevisivo. Sono parole scritte nel 2004, che conservano la loro attualità nonostante le forti modifiche di quadro che abbiamo avuto in questi anni. Questi principi che la Corte ha fissato sulla linea anche dell'orientamento delle altre Corti europee rappresentano ormai una piattaforma consolidata, che il legislatore deve tener presente quando affronta il tema della riforma della RAI.
  Tali principi in sostanza si possono riassumere nel richiamo a due condizioni ritenute essenziali per giustificare la presenza di un servizio pubblico radiotelevisivo finanziato con risorse pubbliche. La prima condizione è rappresentata dall'indipendenza che deve caratterizzare il servizio rispetto alle possibili influenze del potere economico e del potere politico, in particolare in relazione all'esigenza di garantire un'informazione affidabile, cioè obiettiva e neutrale. L'altra condizione è rappresentata dalla qualità, che oggi nel mondo anglosassone si tende sempre più a definire come «valore pubblico» dei programmi, su cui gli inglesi stanno anche costruendo parametri di valutazione. Questo al fine di garantire la riconoscibilità dei prodotti che il servizio pubblico emana e la loro differenziazione dai prodotti trasmessi dall'emittenza commerciale. Affidabilità quindi dell'informazione (indipendenza) e riconoscibilità del prodotto rispetto ai prodotti dell'emittenza commerciale (qualità) sono quindi gli elementi che possono giustificare la permanenza di un servizio pubblico.
  Alla luce di questi princìpi vorrei rapidamente accennare ad alcuni profili che a mio giudizio dovrebbero essere tenuti presenti, con riferimento ai tre pilastri della costruzione del servizio pubblico radiotelevisivo (missione, governance e finanziamento) pilastri che entrano in gioco e che oggi vengono affrontati in parte solo per un punto.
  Sulla missione, oggi i compiti propri del servizio pubblico si trovano indicati dalla legge, dall'articolo 45 del testo unico del 2005 e dal contratto di servizio, che è già scaduto da tempo ed ora è in corso di rinnovo.
  Questi obiettivi indicati dalla legge e dal contratto di servizio sono molto dettagliati e a mio avviso da condividere in pieno, perché non formulati male: però non sono sufficienti e non lo sono non nella loro formulazione originaria, ma perché non tengono conto delle novità più recenti emerse nel mondo della comunicazione. Sono princìpi fissati alcuni anni fa e gli ultimi anni hanno trasformato profondamente il quadro.
  Come sappiamo, queste novità nascono tutte da quella che con linguaggio giornalistico si definisce «rivoluzione digitale», cioè dal processo di convergenza tra telecomunicazioni e audiovisivo che la digitalizzazione delle reti ha determinato e sta ancora determinando. Gli effetti di questo processo di convergenza stanno maturando oggi su due piani fondamentali. Innanzitutto sul piano del superamento originario della risorsa scarsa, che aveva giustificato la prima giurisprudenza della Corte e anche la nascita e la difesa di un servizio pubblico: superamento della risorsa scarsa attraverso la moltiplicazione delle piattaforme (la digitalizzazione delle reti ha portato alla moltiplicazione delle piattaforme), per cui oggi la concorrenza non è all'interno di una piattaforma ma tra le piattaforme. Questo con un arricchimento complessivo della capacità trasmissiva, che sta determinando (altro punto importante che forse la Corte affronterà in futuro) una modifica strutturale anche nella nozione di pluralismo, perché la concorrenza tra piattaforme cambia le caratteristiche originarie del pluralismo.
  L'altro effetto di questa «rivoluzione digitale» che determina una convergenza tra i mezzi è dato dalla interattività della comunicazione e dei messaggi. Questi due aspetti, moltiplicazione delle piattaforme e Pag. 5interattività, dovrebbero assumere un'evidenza particolare nella missione nuova del servizio pubblico, perché colgono le linee di orientamento del futuro del mezzo radiotelevisivo in un quadro più generale di sistema dei media.
  Questa necessità di inserire nella missione del servizio pubblico questi elementi nuovi, legati alle trasformazioni tecnologiche connesse ai processi di convergenza, dovrebbero condurre a mio avviso, da un lato, a rafforzare l'esigenza dell'affidabilità e della riconoscibilità dell'informazione pubblica, per avere un contrappeso adeguato all'esplosione incontrollata, cui oggi assistiamo, dei canali informativi. C’è infatti un'esigenza di verifica dell'affidabilità di quello che corre sulle reti, sul cui terreno sta crescendo l'esigenza del ruolo di un servizio pubblico. Dall'altro dovrebbero condurre a valorizzare l'interattività, punto decisivo per il futuro delle nostre istituzioni, come strumento per rendere attivo il ruolo dell'opinione pubblica, così da poterla orientare anche verso nuove forme di democrazia partecipativa. Oggi i costituzionalisti parlano molto di democrazia partecipativa e deliberativa e lo strumento è offerto dall'interattività dei mezzi di comunicazione. Su questo terreno la radio sta già facendo molto e batte sulle distanze il ruolo della televisione: basta accendere la mattina televisione e radio per rendersi conto della diversa velocità di impiego di questi mezzi.
  Credo che, sempre con riferimento alle trasformazioni in atto nel mondo delle comunicazioni, andrebbe anche valorizzata nella missione del servizio pubblico una funzione formativa, orientata all'alfabetizzazione digitale. Questo è un punto importantissimo nell'agenda digitale, ma non si è ancora collegata la funzione del servizio a questa esigenza di alfabetizzazione digitale, che invece è un complemento della rivoluzione in corso. Credo anche che la Rai, proprio per giustificare la risorsa pubblica di cui dispone, dovrebbe aumentare i controlli qualitativi, che oggi sono molto blandi, al fine di verificare, sulla scorta del modello inglese, il «valore pubblico» della programmazione, e al tempo stesso aprirsi verso nuovi mercati, superando anche la barriera linguistica, e sperimentare (altra funzione del servizio pubblico che non si può chiedere ai privati) nuovi modelli produttivi e nuovi linguaggi.
  Questi dovrebbero essere i punti nuovi della missione che a mio avviso il servizio pubblico, rispetto a quello che è accaduto in questi anni e che potrà accadere in futuro, dovrebbe svolgere.
  Il secondo punto, è quello della governance, punto oggi direttamente affrontato dalla riforma ed è anche il punto più delicato. Con riferimento al modello attualmente in esame al Senato, ritengo che si possa senz'altro vedere con favore l'obiettivo di rafforzare l'efficienza operativa della società concessionaria con la riduzione dei componenti del consiglio di amministrazione da 9 a 7, e con lo spostamento dei pesi decisionali verso la nuova figura dell'amministratore delegato, che sostituirà il direttore generale.
  Forti dubbi suscitano invece proprio sul terreno della loro costituzionalità le soluzioni che si intendono adottare con riferimento all'investitura degli organi, investitura che fa registrare una netta inversione di marcia rispetto alla riforma del 1975, con un'evidente ricollocazione del servizio nell'area della maggioranza e dell'esecutivo. Questa osservazione mi pare che valga sia con riferimento alla composizione del consiglio di amministrazione, di cui 4 membri su 7 sono espressione della maggioranza e di riflesso del Governo, sia con riferimento alla scelta dell'amministratore delegato, che nasce da una proposta del Governo, sia pure accettata da un consiglio di amministrazione costruito secondo una solida maggioranza politica.
  Questo certamente giova all'efficienza operativa, ma suscita molti dubbi sul terreno della costituzionalità, sul quale vale ancora il principio che la Corte affermò nel 1974 e che aprì la strada alla prima riforma: principio fissato nella sentenza n. 225 del 1974, secondo cui (cito testualmente) «gli organi direttivi dell'ente gestore del servizio pubblico, si tratti di ente pubblico o di concessionaria privata, non devono essere costituiti in modo da rappresentare Pag. 6sia direttamente che indirettamente espressione esclusiva o preponderante del potere esecutivo, mentre adeguati poteri vanno riconosciuti al Parlamento, istituzione che rappresenta l'intera collettività nazionale». Nella visione della Corte, che su questo punto non credo abbia avuto variazioni, (una visione che la Corte italiana condivide con la visione delle altre Corti costituzionali europee e delle Corti europee) il servizio pubblico non è pubblico perché è nelle mani dello Stato, ma è pubblico perché è reso al pubblico: quindi il concetto di servizio pubblico sta nella destinazione verso il pubblico. La conseguenza è che il servizio pubblico non può essere né un'agenzia governativa, né un soggetto sottoposto al controllo preminente dell'esecutivo e della maggioranza. Questo è un punto che la giurisprudenza costituzionale finora non ha modificato.
  Per rendere operante un principio di questo genere bisognerebbe giungere all'introduzione di un filtro tra potere politico e livello gestionale (un filtro di cui si è molto parlato anche in passato) o nella forma di un trust, secondo il modello della BBC inglese, o nella forma di una fondazione, secondo il modello che comparve nel progetto di legge Gentiloni di alcuni anni fa: comunque con la presenza di un soggetto interposto tra i due livelli, politico e gestionale, veramente indipendente e professionalmente qualificato. Credo che il tema della governance inevitabilmente, se vogliamo rispettare i canoni che la Corte ha fissato in passato, passi attraverso soluzioni di questo tipo.
  Ultimo punto è il finanziamento, che è il punto essenziale per garantire l'indipendenza e la qualità, i due elementi essenziali del servizio pubblico: per avere l'indipendenza del soggetto investito del servizio e per puntare su una qualità dei programmi che prescinda dal dato quantitativo dell'ascolto. Su questo terreno le linee della riforma da adottare con quelli che saranno i futuri decreti legislativi, che per il momento vengono rinviati, dovrebbero a mio giudizio condurre in primo luogo a garantire alla concessionaria la certezza di un finanziamento per un arco pluriennale adeguato. Questa mi pare che sia la linea che viene accennata nel progetto nel momento in cui si allunga la durata del contratto di servizio da 3 a 5 anni. Sarebbe importante per garantire indipendenza e qualità, cioè le connotazioni peculiari del servizio pubblico, che la società concessionaria potesse fare previsioni di lunga durata, quantomeno agganciate al contratto di servizio, e non essere dipendente dalle scelte dell'esecutivo anno per anno, così come oggi accade. Tutto questo proprio per garantire una programmazione di qualità e indipendente sul lungo periodo.
  In secondo luogo, sul finanziamento, la linea da seguire dovrebbe essere quella di attenuare progressivamente il peso della risorsa commerciale, cioè della pubblicità, rispetto alla risorsa pubblica, cioè al canone, sganciando la pubblicità dalle rilevazioni quantitative dell'Auditel, che hanno dato luogo a tante controversie e riserve, rilevazioni che spingono inevitabilmente verso l'omologazione dei prodotti. Se vogliamo rendere i prodotti del servizio pubblico qualitativi e riconoscibili, il peso dell'Auditel va attenuato e di conseguenza va anche attenuato il peso della pubblicità.
  Resta infine il problema del canone e della sua riscossione che, come sappiamo, oggi ha raggiunto livelli di evasione assolutamente intollerabili (la nostra è l'evasione più elevata nel quadro europeo). Su questo terreno la riforma futura del finanziamento dovrebbe ispirarsi a qualche modello europeo che funziona meglio del nostro. Si può pensare al modello spagnolo, che aggancia il canone alla bolletta elettrica, oppure al modello tedesco, che collega il canone alle abitazioni. In ogni caso, dovendo ragionare in prospettiva e in generale, penso che la linea di finanziamento futura del servizio pubblico dovrebbe prevedere una progressiva riduzione fino all'abolizione della risorsa pubblicitaria, da compensare o con un aumento del canone (questo può suscitare reazioni, ma si pensi che il canone del nostro servizio pubblico è il più basso in Europa) o meglio con un ricorso alla fiscalità generale, da sostenere attraverso Pag. 7risorse da attingere con una tassazione sull'economia digitale, cioè sulle rendite molto elevate degli over the top. Di questa tassazione si parla da tanti anni, ma finora non si è fatto nulla e questo potrebbe invece essere il canale per il finanziamento del servizio pubblico.
  Considero giusto infine che la legge di riforma si occupi anche del finanziamento pubblico delle emittenti locali (questo elemento è stato introdotto dal Senato con un emendamento aggiuntivo al progetto originario), che specie a livello dell'informazione locale svolgono un'utile funzione di servizio pubblico, ma che in Italia hanno il difetto di essere troppo numerose e di conseguenza troppo frammentate e perciò molto deboli e in certi casi del tutto insignificanti.

  CLAUDIO MARTINI. Semplicemente per esprimere apprezzamento per l'esposizione del professor Cheli e per il suo ragionamento. Vorrei sapere se potremo avere il resoconto della sua relazione...

  PRESIDENTE. Certo, tutte le audizioni sono resocontate.

  CLAUDIO MARTINI. Per averlo a disposizione appena sarà disponibile. Sulle questioni poi ci sarà modo di intervenire, ma mi interessava più che altro recepire questa sollecitazione ad avere questa visione compiuta delle diverse fasi, la missione, la governance e il finanziamento.
  Qualunque questione affrontiamo (la riforma costituzionale, la riforma del lavoro) c’è sempre il dilemma tra scegliere di affrontare una parte perché la possiamo risolvere o di affrontare il tutto, perché è meglio che le cose si tengano, uno dei grandi dilemmi che Parlamento e politica si pongono.
  Vorrei capire se sul tema della relazione con le novità tecnologiche, che sono una delle ragioni per focalizzare la missione e la funzione generale, possa darci qualche elemento in più riguardo all'elaborazione e alla riflessione della Corte, agli strumenti costituzionali del nostro Paese e a eventuali riflessioni di altri Paesi che possano utilmente aiutare l'approfondimento del Parlamento impegnato in questa fase di riforma.

  ENZO CHELI, vicepresidente emerito della Corte costituzionale. Condivido la posizione di metodo del senatore Mantini, cioè affrontare gli argomenti organicamente o selettivamente. A volte le esigenze di velocità spingono a scegliere di affrontare selettivamente i problemi, e anche questa può essere una buona strada in caso di urgenza, ma l'importante è non perdere mai il quadro generale. Non è detto che si debbano sempre fare leggi organiche, si può anche raggiungere l'organicità per gradi e per tappe, ma quello che non deve essere graduale e selettivo è la visione generale su cui ci si muove. Perciò condivido in pieno questa esigenza qualunque siano gli strumenti legislativi che di volta in volta si vogliano utilizzare.
  Per quanto riguarda l'arricchimento del tema della missione, questo è veramente il tema cruciale su cui vi è una riflessione generale a livello europeo e direi che l'Italia, che ha avuto una vicenda più complicata degli altri Paesi nella lotta per il pluralismo, non è in posizione arretrata in questa riflessione. L'Italia ha aperto la strada al sistema misto, ha avuto uno scontro per venti anni sull'impostazione della distribuzione delle risorse tecnologiche, perciò in Italia le risorse a livello accademico ma anche a livello professionale per riflettere su questo tema ci sono. Ma anche nel resto d'Europa si riflette. I Paesi in cui la riflessione è più avanzata sono come sempre il Regno Unito, perché ha questa storia della BBC alle spalle, la Spagna e in parte anche la Francia. Il tema è proprio quello di come passare dal broadcasting al sistema complessivo dei media. Finora si parlava di servizio radiotelevisivo, in futuro non è solo il servizio radiotelevisivo, ma è una radiotelevisione che si integra con internet, con i vari mezzi di comunicazione, quindi il quadro si allarga e questa è una visione su cui il legislatore può mettere le mani con molta cautela, perché non è affatto chiaro quali saranno gli sbocchi finali. Un servizio pubblico nel settore del broadcasting tradizionale Pag. 8o dei media del futuro deve svolgere una valorizzazione dell'interattività dei mezzi. Oggi si parla molto di crisi della rappresentanza, di nuovi modelli di democrazia, e, se il servizio pubblico vuole svolgere un ruolo veramente pubblico che giustifichi la risorsa pubblica deve valorizzare al massimo questo aspetto di educazione civica, che avvicini i cittadini alle istituzioni.

  PINO PISICCHIO. Ringrazio in modo non formale il professor Cheli perché oggi ha sviluppato un modello pedagogico sul quale il Parlamento dovrebbe fare una riflessione.
  Fra le molte cose interessanti che ci ha offerto come spunti con riferimento alla chiusura al Senato del ciclo di lavori in Commissione e quindi allo sbarco in Aula del provvedimento del Governo relativo a uno degli aspetti, quello della governance, lei ci ha offerto elementi di particolare interesse, perché vi è la definizione delle tecnicalità attraverso le quali si esprime l'azione di amministrazione del servizio pubblico ontologicamente inteso, e non si può prendere una parte fingendo che l'altra non ci sia. Il punto che ha confermato la mia preoccupazione è la perplessità sul ritorno alla situazione precedente al 1975, senza distinzione tra ruolo di Governo e ruolo di controllore del servizio pubblico, che evidenzia dubbi di compatibilità costituzionale perché la missione fondamentale del servizio pubblico deve sposarsi con un'idea di pluralismo che promana dal Parlamento piuttosto che dalla maggioranza di Governo. Si tratta di un punto di particolare delicatezza e direi che qui è tutto, perché il disegno di legge governativo che sta per trovare esito si muove all'interno di una risistemazione degli schemi con un'idea rilevante di efficienza, di ammodernamento, di snellimento, di intervento immediato all'interno dei percorsi di governance, ma le modalità attraverso le quali tutto questo deve essere declinato pongono il problema dei problemi.
  Siccome le sue perplessità sono anche le mie, vorrei che ci desse qualche ulteriore traccia, perché ha fatto riferimento al trust o alla creazione di una fondazione, che non muovendoci all'interno di un ambiente anglosassone e di una tradizione di quella natura ci potrebbe riportare sul percorso sub hac, perché poi come viene costruita la fondazione ? Ci aiuti, professore, grazie.

  ALBERTO AIROLA. Grazie, professore, condivido pienamente le sue osservazioni, alcune delle quali più volte ribadite in questa Commissione, come la funzione di alfabetizzazione digitale, che è un aspetto basilare. Lei ha chiarito moltissimi punti in merito ai problemi di questo disegno di legge governativo, ma vorrei chiederle qualche delucidazione.
  Noi come Movimento 5 Stelle avevamo presentato un disegno di legge che mirava a dare molta snellezza al consiglio di amministrazione, ma in modo direttamente proporzionale all'indipendenza, perché è chiaro che la Rai ha bisogno di ingenti e profonde trasformazioni e lo può fare soltanto qualcuno che sia agile, operativo e competente.
  Il problema in Italia è che l'informazione, essendo stata inficiata da sempre dalla politica, necessitava per forza di organi di controllo, che appesantiscono l'operatività, la limitano, quindi maggiore indipendenza, maggiore operatività, maggiore efficacia del lavoro di governance. Andando però in una direzione in cui i partiti e la politica continuano ad avere voce in capitolo sulla nomina del consiglio di amministrazione, continua anche la proposta di creare sempre organismi di controllo.
  Parlavamo di mission, che giustamente è il primo punto da definire, ma la mission viene definita da parecchi soggetti, quindi nell'ambito di questi organi che possiamo individuare come AGCOM, la Presidenza del Consiglio dei ministri, la Commissione di vigilanza RAI, il Comitato interno del consiglio di amministrazione, che è ancora in fase di proposta nell'attuale progetto di legge, secondo lei in quale direzione converrebbe semplificare, cioè individuare chi meglio possa svolgere sia un'indicazione della mission sia poi una verifica del suo corretto perseguimento ?Pag. 9
  Sempre in merito alla competenza che trovo manchi attualmente a livello dirigenziale in Rai o non venga adeguatamente valorizzata, sul consiglio di amministrazione della Rai avevamo messo tre aree di competenza giuridica, tecnologica ed editoriale (ieri ero in corridoio con il senatore Zavoli e anche lui si stupiva del fatto che mancassero queste indicazioni sulle competenze editoriali nell'attuale testo, e lavoreremo per inserirle perché la Rai fa principalmente questo), ma attualmente sono indicati come requisiti quelli che valgono per i giudici costituzionali. Ritiene quindi che sia meglio formalizzarli come abbiamo proposto noi o riferirsi ad altri principi e ad altre indicazioni ?
  Vorrei conoscere la sua opinione anche sulla costituzionalità della nostra proposta di eliminare dal consiglio di amministrazione chi arrivi da una segreteria di partito o abbia avuto un ruolo elettivo di segreteria politica nell'ultima legislatura, quindi un tempo limitato. Questo non è un genere di requisiti che si richiedono e forse non è costituzionalmente giusto chiederlo, ma nello specifico, per quanto riguarda l'informazione nel servizio pubblico, a noi sembrava importante, però approfitto della sua competenza per chiederle delucidazioni in merito.

  MICHELE ANZALDI. Molti dei dubbi e dei chiarimenti che mi farebbe piacere avere sono stati espressi dal mio collega Pisicchio. Visto che stiamo provando a mettere mano a un nuovo disegno di legge per una nuova governance, vorrei chiedere al professor Cheli di approfondire meglio i dubbi che ha espresso. Vorrei avere anche un parere sui tempi, perché è chiaro che, se ci mettiamo mano, dobbiamo riaprire le discussioni, allungando inevitabilmente i tempi. Vorremmo quindi chiederle un parere su questo regime di prorogatio, se sia fattibile, se possiamo lavorare oppure ci sia un'urgenza.

  PRESIDENTE. A proposito della sentenza 225 del 1974 vorrei capire se questi profili di incostituzionalità siano reali e in che senso, perché, se la scelta deve essere demandata al Parlamento, in questo caso il Parlamento sceglierà 4 consiglieri di amministrazione, più 2 di nomina governativa. È chiaro che probabilmente saranno espressione della maggioranza e più i 2 di nomina governativa ci sarà un blocco Governo/maggioranza molto rigido, che potrebbe inficiare la stessa libertà di espressione dell'informazione, quindi un'occupazione del servizio pubblico. Visto che anche la legge che ha portato a questo premio di maggioranza è stata dichiarata incostituzionale e che con il voto limitato ci troviamo in una situazione davvero ambigua, vorrei capire meglio questo profilo di incostituzionalità che lei ha citato.
  Noto che, come ho visto anche con Garimberti, si inizia a profilare un'idea di canali specificamente pubblici, quindi pagati dai cittadini, e canali di interesse pubblico, che potrebbero essere in futuro anche finanziati da risorse pubbliche, se mantengono criteri di specifica qualità, situazione che in Inghilterra sta iniziando a profilarsi. Credo che in questo dibattito diventi molto interessante anche parlare di cosa sia il servizio pubblico e di chi possa farlo, perché a volte vediamo canali che sono di interesse pubblico molto alto pur non essendo di servizio pubblico, e magari vediamo che invece il servizio pubblico pagato per quello spesso non riesce ad arrivare a quei livelli di competitività di servizio rispetto ai cittadini.
  Rispetto alla domanda di Airola sulla costituzionalità delle incompatibilità (chiamiamole così), nel progetto di legge da lui citato veniva introdotta anche l'impossibilità di essere consigliere di amministrazione della RAI per chi negli ultimi 7 anni sia stato parlamentare, membro del Governo o membro di un partito politico ad alti livelli, perché riteniamo che il servizio pubblico sia il quarto potere, quindi debba essere di contro-bilanciamento rispetto agli altri tre poteri, quindi sia molto importante connotare l'indipendenza totale del servizio pubblico anche tramite questi strumenti.

  ENZO CHELI, vicepresidente emerito della Corte costituzionale. Grazie per le Pag. 10domande, tutte di grandissimo interesse. Vorrei provare a rispondere accorpandole, cioè scegliendo i due temi di fondo.
  Il blocco maggioranza/Governo di cui ha parlato lei, presidente, nel progetto iniziale era fortissimo ed evidente. La mia impressione è che, se fosse rimasto quel blocco come era nel progetto iniziale, una prova di resistenza davanti al giudizio costituzionale non sarebbe stata superata (questa è la mia impressione soggettiva, anche se non sono più un giudice della Corte). Credo che il Senato si sia reso conto di questo passo troppo lungo in direzione di un recupero del peso dell'Esecutivo e abbia introdotto correttivi giusti e utili. Ha ad esempio aumentato il peso di questa Commissione nella scelta del presidente del Consiglio di amministrazione, ha aumentato i poteri del Consiglio di amministrazione su atti di particolare rilievo dell'amministratore delegato (la scelta dei direttori di rete e testata e i contratti al di sopra di un certo livello) che devono ottenere l'approvazione del consiglio. Direi quindi che rispetto alla partenza il Senato ha colto i rischi di un modello quale quello inizialmente presentato e lo sta correggendo. Lo sta correggendo in maniera adeguata, sono sufficienti questi correttivi ? È molto difficile rispondere, qui siamo sulla linea di «cosa conviene fare per un servizio pubblico». Io forse in termini più radicali sono portato a pensare che nella situazione storica del servizio pubblico italiano, con quella che è la storia alle sue spalle, i conflitti che ha suscitato, il forte coinvolgimento della politica nell'uso di questo servizio, oggi siano maturi i tempi per trovare un filtro. Il filtro si può costruire in tanti modi, ma significa costruire un soggetto che diventa titolare delle azioni del servizio pubblico, cioè le azioni non sono più in mano al Governo, ma sono in mano a questo soggetto, che in Inghilterra è il trust oppure può essere la fondazione, un'autorità indipendente che dispone del pacchetto azionario e ha un doppio rapporto: con il Governo con l'atto di concessione; con il livello gestionale del consiglio di amministrazione e di tutta l'azienda con il contratto di servizio.
  Un filtro quindi che abbia questo doppio pedale, da una parte i rapporti con il Governo con la concessione, dall'altra parte il rapporto con l'azienda con il contratto di servizio. Tutto questo risolverebbe anche il problema dei controlli, se questo soggetto intermedio fosse veramente autorevole. Qui dipende dalle qualità, purtroppo non basta dirlo in una legge, molto dipende dal costume, dalla prassi politica, ma ci sono meccanismi che vedo anche nelle modifiche introdotte dal Senato, che sono modifiche di trasparenza, presentazione di curricula, in modo che ci sia un controllo dell'opinione pubblica nella scelta delle persone.
  I requisiti che la legge impone, se rispettati, sono adeguati: si parla di alta competenza professionale, si è aggiunto il concetto di onorabilità, insomma i requisiti nella legge ci sono, il problema è poi rispettarli.
  Se si dovesse introdurre questo filtro, che secondo me sarebbe risolutivo dei problemi più gravi che storicamente ha avuto il nostro servizio pubblico, certo bisognerebbe puntare, come hanno puntato sempre gli inglesi con il trust, non a un organismo molto esteso, ma a un nucleo molto ristretto di 3-5 persone che diano garanzie per qualità professionali, qualità morali e onorabilità, di elevatissima competenza e assoluta indipendenza, problema che però non è facile risolvere nel nostro Paese, come abbiamo visto tante volte anche con le autorità indipendenti. Credo però che la via più radicale, ma forse in prospettiva più giusta della soluzione di tutti questi problemi passi di lì. Ci si può arrivare ? È molto difficile, è stato detto che non siamo in Inghilterra. Magari attraverso l'Europa, se l'Europa sopravviverà, ci avvicineremo sempre di più anche a questo modello, ma in questo momento è difficile.
  Quali sono le altre strade, cosa si può fare per migliorare questo elemento dell'indipendenza e della qualità ? Se guardiamo alle esperienze europee dei Paesi più solidi dal punto di vista della presenza della democrazia e della forza dell'opinione pubblica, vediamo che tutti i servizi Pag. 11radiotelevisivi accettano come primo principio che non devono dipendere dall'Esecutivo in maniera decisiva. Questo significa non che l'Esecutivo non è presente, ma che non deve essere in posizione determinante. Gli elementi che legittimano la presenza di un servizio pubblico vengono individuati su due percorsi: uno è quello che l'Italia, aprendo una strada, affrontò negli anni ’70, ossia il Parlamento, che rappresenta la comunità nazionale. Però questo poi ha portato a tutte le critiche attuali sulla degenerazione e la divisione del controllo. L'altro è quello della società civile, la linea seguita dagli olandesi, per cui il soggetto che guida il servizio pubblico viene legittimato dal fatto che rappresenta le comunità religiose, i partiti politici, i sindacati. Anche questa è una soluzione non facile.
  Credo che, se i tempi non sono maturi per affrontare il problema dei filtro trust o del filtro fondazione con questa possibilità di disporre del pacchetto azionario e di giocare sui due pedali del contratto di servizio e della concessione, la strada sia quella di dosare questi percorsi che sono stati seguiti in tutti i Paesi europei, attenuando il peso dell'Esecutivo rispetto alla situazione iniziale del progetto (il Senato lo sta già facendo, non so se in maniera sufficiente), aumentando il peso del Parlamento, che è uno dei canali ma non deve essere l'unico. Se infatti vogliamo un servizio pubblico al servizio del pubblico in nome del pluralismo, non deve essere decisivo né l'Esecutivo, né il Parlamento, né la società civile.
  L'altro canale, quello della società civile, è seguito dal progetto con il rappresentante interno, quindi è la prima apertura per cui si esce fuori dagli organi costituzionali e si dà la rappresentanza interna ai dipendenti della RAI, che è un inizio di quella strada.
  Se quindi non si ha la forza o la volontà, se non si considerano maturi i tempi per imboccare questa strada più radicale del filtro intermedio che gli inglesi hanno imboccato già negli anni 20, la soluzione è il dosaggio tra queste componenti che dovrebbero garantire l'indipendenza e la qualità del servizio. Cioè costruire un soggetto che abbia poteri di controllo sulla gestione, particolarmente qualificato professionalmente e moralmente attraverso meccanismi come le hearings su autocandidature, e far scaturire questo soggetto dalle tre componenti che possono entrare in gioco: una componente parlamentare come rappresentanza (dice la Corte costituzionale) della complessità della società e degli interessi sociali, una componente dell'Esecutivo perché entrano in gioco meccanismi finanziari che coinvolgono il bilancio dello Stato, e una componente sociale.
  Si tratta di dosare queste tre componenti. Come ? È molto difficile dirlo, però, se c’è una visione generale dei problemi di fondo, non mi preoccuperei tanto della velocità. Si può anche partire con alcune correzioni, con un progetto che riguardi la governance, ma l'importante è mettere subito sul tappeto i passaggi successivi, che sono la missione e il finanziamento. Dal momento che si fanno combaciare questi tre elementi (governance, finanziamento e missione) si potrà giungere a una soluzione che porti come passaggio successivo alla nascita del filtro, cioè del trust o della fondazione, o a un migliore dosaggio delle componenti che concorrono a formare il consiglio di amministrazione. Probabilmente la situazione storica italiana porta più verso questa seconda direzione, almeno a quanto mi pare di capire dagli orientamenti delle forze politiche, ma il mondo non si può riformare in un colpo solo, si può arrivare a soluzioni attraverso passaggi graduali. La riforma della governance corretta delle alterazioni maggiori che fanno dubitare della sua costituzionalità potrebbe essere il primo passaggio, e i passaggi successivi potrebbero portare sempre più in questa direzione. L'importante è non trasformare il servizio pubblico in un'agenzia governativa. Nel momento in cui aumentiamo i poteri dell'amministratore delegato, bisogna trovare un sistema di contrappesi per cui l'amministratore delegato non debba dipendere né da una maggioranza politica, né dall'Esecutivo (nel progetto c’è anche un potere di Pag. 12revoca che secondo me è molto rischioso, così come è costruito). Questo è il punto di fondo: costruire un radicale filtro intermedio o dosare la formazione del consiglio di amministrazione, sempre con personalità di livello adeguato, attraverso una presenza più equilibrata della componente dell'Esecutivo, della componente parlamentare e della componente di società civile. Questo è la linea che mi sentirei di condividere, pur rendendomi conto che non è una linea facile e, di fronte alla velocità delle decisioni, non è nemmeno una linea che possa maturare nell'arco del mese di agosto.
  L'importante sarebbe però che maturasse politicamente, perché ci saranno passaggi successivi che la potrebbero avvicinare.

  ALBERTO AIROLA. Forse mi è sfuggito, ma sulla questione della non candidabilità se si è stati in segreterie politiche...

  ENZO CHELI, vicepresidente emerito della Corte costituzionale. Condividerei in pieno la soluzione: chi ha svolto ruoli politici in un certo periodo non dovrebbe essere candidabile, è uno degli elementi che contribuiscono all'indipendenza.

  PRESIDENTE. Un'altra precisazione in merito alla domanda del deputato Anzaldi sul fatto che in questo momento noi come Commissione di vigilanza ci troviamo a guardare l'iter di un disegno di legge, ma in effetti, essendo scaduto il consiglio di amministrazione, dovremmo eleggere i 7 nuovi membri, con un regime di prorogatio del consiglio di amministrazione. In questo momento dal punto di vista giurisprudenziale cosa si deve fare: si aspetta il Ministero dell'economia, va bene una prorogatio che potrebbe durare anche mesi, per cui comunque la Rai non avrebbe alcun vero potere, se non la ordinaria amministrazione, quindi impossibilitata a mettere in campo politiche per il futuro aziendale ?

  ENZO CHELI, vicepresidente emerito della Corte costituzionale. Considerando che c’è una volontà politica di maggioranza di arrivare presto a un primo passaggio, quello della governance, credo che non ci sia nulla di contrastante con il punto di vista giuridico nell'accettare una prorogatio per i mesi necessari per arrivare alla entrata in vigore della nuova legge. Se la situazione si dovesse impattare, perché si allarga il quadro, ovvero si rinvia la legge, allora evidentemente bisognerebbe riprendere il percorso tradizionale e rinnovare il Consiglio, ma nella situazione politica contingente, pur non essendo un politico, la risposta che sarei portato a dare è che non è incostituzionale, né illegittima una prorogatio dell'organo, tanto più se pienamente giustificata dall'imminente – almeno annunciata – nascita di una legge di riforma.
  Se poi questi imminenza non si realizza per fatti oggi imprevedibili, in autunno il tema potrà essere rivisto dalla Commissione parlamentare, che poi è il perno della soluzione tradizionale, ma in questo momento credo che la soluzione politicamente più conveniente sia quella dell'attesa per vedere se la riforma nasce e come nasce.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Cheli e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.