XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 20 di Lunedì 16 dicembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 2 

Calendario dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 2 

Audizione del direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union, Ingrid Deltenre:
Fico Roberto , Presidente ... 2 
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union ... 2 
Margiotta Salvatore  ... 4 
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union ... 4 
Margiotta Salvatore  ... 6 
Marazziti Mario (PI)  ... 7 
Airola Alberto  ... 8 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 9 
Minzolini Augusto  ... 10 
Ranucci Raffaele  ... 11 
Lainati Giorgio (FI-PdL)  ... 11 
Anzaldi Michele (PD)  ... 12 
Fico Roberto , Presidente ... 12 
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'EBU – European Broadcasting Union ... 13 
Anzaldi Michele (PD)  ... 17 
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union ... 17 
Fico Roberto , Presidente ... 17 
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union ... 17 

Sull'ordine dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 17 
Minzolini Augusto  ... 17 
Fico Roberto , Presidente ... 18 
Minzolini Augusto  ... 18 
Fico Roberto , Presidente ... 18 
Minzolini Augusto  ... 18 
Fico Roberto , Presidente ... 18 
Lainati Giorgio (FI-PdL)  ... 18 
Minzolini Augusto  ... 18 
Fico Roberto , Presidente ... 19 
Anzaldi Michele (PD)  ... 19 
Fico Roberto , Presidente ... 19 
Anzaldi Michele (PD)  ... 19 
Fico Roberto , Presidente ... 19 
Airola Alberto  ... 19 
Fico Roberto , Presidente ... 20

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 16.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.
  Comunico, altresì, che dell'audizione odierna sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico.

Calendario dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che domani, a partire dalle ore 10.30, avranno luogo le audizioni di rappresentanti dell'Ordine dei giornalisti, dell'Ente nazionale per la protezione e l'assistenza dei sordi onlus, dell'ANICA e di Appello donne e media, che riferiranno le proprie valutazioni sul nuovo Contratto nazionale di servizio.
  Al termine si terrà una riunione dell'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei Gruppi.

Audizione del direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union, Ingrid Deltenre.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union, Ingrid Deltenre, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Quest'audizione si inquadra nell'ambito dell'attività istruttoria che la Commissione ha avviato in relazione al nuovo Contratto nazionale di servizio 2013-2015.
  La dottoressa Deltenre riferirà innanzitutto sulle valutazioni dell'EBU in merito all'ipotesi, contenuta nel Contratto nazionale di servizio, di contrassegnare con la dicitura «di servizio pubblico» i programmi trasmessi, così da distinguerli da quelli che non lo sono.
  Ritengo, altresì, che la dottoressa, anche in virtù della grande esperienza che le deriva dal prestigioso incarico che attualmente ricopre, possa illustrare alla Commissione quegli elementi che, a suo giudizio, dovrebbero caratterizzare i programmi di servizio pubblico, così da distinguerli nettamente da quelli trasmessi dalla concorrenza commerciale.
  Interpretando il pensiero anche dei colleghi, ritengo infatti che sia un preciso dovere di questa Commissione collaborare con la RAI al fine di rafforzare la sua missione di servizio pubblico, migliorando i contenuti delle proprie trasmissioni e garantendo quel pluralismo culturale che, anche e soprattutto nell'informazione, dovrebbe sempre caratterizzare le emittenti pubbliche, La dottoressa Deltenre ha acconsentito ad esprimersi in italiano, lingua che ha appreso in una scuola svizzera. La ringrazio molto, a nome della Commissione, per questo gesto di cortesia.
  Cedo quindi la parola alla dottoressa Deltenre, con riserva per me e gli altri colleghi di rivolgerle domande e richieste di chiarimento.

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union.Pag. 3Gentile Presidente, vicepresidenti, onorevoli e senatori tutti, vi ringrazio molto per l'opportunità che mi è offerta di esprimermi davanti alla vostra Commissione. Come sapete, rappresento l'UER, l'Unione europea di radiodiffusione, organismo fondato da oltre sessant'anni che raggruppa 75 membri attivi in 56 Paesi. Si tratta di Paesi dell'Africa del Nord e di tutta l'Europa, fino all'Azerbaigian, Russia e Turchia. La Rai è membro fondatore e il suo ex direttore generale, Claudio Cappon, fa parte dell’Executive Board dell'UER in qualità di vicepresidente.
  L'UER svolge molti servizi per i membri in materia di diritti sportivi e musicali, ma produciamo molto anche in tema di news e in coproduzione realizziamo non solo l'Eurovision Song Contest, ma anche documentari.
  Un primo aspetto è rappresentato dai contenuti per la radiotelevisione. Un secondo aspetto sta nel fatto che l'UER è la voce del servizio pubblico. In questo contesto la RAI è molto importante, anche perché ha un'esperienza tecnologica molto grande, presente solo nella BBC e nell'NHK, la televisione giapponese. La RAI è molto rilevante nella definizione dei global standard che tutti stanno oggi utilizzando: Mi sembra che non si senta parlare molto spesso di RAI sotto questo profilo: per questa ragione ho voluto sottolinearlo.
  In tutta Europa in questi ultimi anni i media di servizio pubblico stanno vivendo un momento di grande difficoltà, non solo in Italia, dove si parla del servizio futuro della RAI, ma anche del servizio esistente. Questo è un fenomeno che si riscontra praticamente in ogni Paese.
  Tre o quattro anni fa il passaggio dall'analogico al digitale terrestre era un argomento molto importante anche in Italia. In quasi tutti i Paesi il servizio pubblico ha dovuto spendere enormi energie per attuare lo switch dall'analogico al digitale. So, per esempio, che la RAI ha investito oltre 400 milioni di euro per digitalizzare il Paese.
  Oggi c’è una novità, ovvero quella di integrare tutte le piattaforme e di fornire servizi adatti per tutti i tipi di pubblico, dappertutto e in ogni momento. Quando si parla del servizio pubblico, non si parla più solo della radio e della televisione, ma anche dei servizi multipiattaforma. Se ne parla anche in Italia, dove la RAI ha un grande peso. Uno sviluppo rilevante in tutti i Paesi relativamente alla comunicazione del futuro.
  In questo nuovo mondo la tecnologia rende più facile lanciare nuovi servizi, riducendo le barriere all'ingresso. Il risultato è che l'industria della televisione è oggi in mezzo a un processo di concentrazione e globalizzazione con nuovi operatori e nuovi business model che entrano nel mercato dei diritti tradizionali: lo potete vedere anche nella slide. Per esempio, in Inghilterra, operatori come Sky o British Telecom hanno comprato i diritti sportivi per la Champions League per 900 milioni di sterline per promuovere un servizio Internet broadband che non ha niente a che fare con la televisione. Stanno utilizzando questi diritti per fare la promozione di questo servizio tecnologico. Si tratta di nuovi operatori che sono entrati in questo mercato e che fanno la differenza, perché hanno un business model veramente diverso.
  In questo «mondo nuovo» c’è anche la globalizzazione e lo si vede dai nuovi canali. In Italia voi ne siete un esempio, ma questo stesso fenomeno si vede anche negli altri Paesi. Nel panorama dei media in Italia figurano Discovery, Sky, Fox, Mediaset e YouTube Google. È una situazione normale. In Germania ci sono RTL, Prosieben, SAT 1, più il servizio pubblico. In Inghilterra si parla della BBC, dell'ITV e di Sky.
  Il servizio televisivo non è un mercato in cui c’è una grande competitività. Ci sono piuttosto alcuni oligopoli, come anche in Italia. Questo non è un fatto nuovo, ma si deve sapere anche che il servizio pubblico in tutti questi mercati non è il più grande operatore nel Paese.
  Lo si vede anche in questa slide. Se si fa la comparazione con la 24th Century Fox, la compagnia madre di Sky, o con Discovery, si nota che i concorrenti della RAI sono molto più grandi e che la RAI Pag. 4non ha altrettanto grandi dimensioni. Se parlate del futuro della RAI, dovete fare attenzione: la RAI pensa forse di essere grande in Italia, ma non è tanto grande in assoluto, perché i suoi concorrenti lo sono molto di più.

  SALVATORE MARGIOTTA. Quelli nella slide sono i fatturati ?

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union. Sì, espressi in euro. Solo a guardare le dimensioni si capisce che rendere la RAI più piccola non l'aiuterebbe molto. Le dimensioni contano parecchio.
  I media di servizio pubblico nel loro insieme hanno visto negli ultimi anni diminuire complessivamente le risorse a loro disposizione, mentre sono salite quelle dei media privati, soprattutto per un effetto dello sviluppo della pay-TV, come si vede nella slide successiva. Se si fa il confronto con i media del servizio pubblico tra il 2007 e il 2012, si nota che la crescita è reale. È solo del 1,3 per cento per il servizio pubblico. La crescita si può spiegare non solo con gli introiti della pubblicità, ma anche con quelli della pay-TV. I privati vogliono ridurre la loro dipendenza dalla pubblicità, cercano altre fonti di reddito e le trovano nella pay-TV. L'esistenza di un servizio pubblico non ha quindi impedito l'affermarsi di un mercato privato forte. Anche questo è importante da sapere.
  In questo contesto così difficile il ruolo dell'UER è sempre più strategico e politico, perché è la sede in cui i media di servizio pubblico si confrontano ed elaborano strategie comuni per far fronte insieme al futuro. Nella slide, quando si fa la comparazione con il mercato della televisione europea, la RAI deve essere piuttosto soddisfatta, perché è al top. È, infatti, il numero 5 fra tutti i servizi pubblici in Europa, in termini di ascolti. È un risultato veramente buono e corrisponde a quasi il 40 per cento del mercato.
  Per me è importante mostrarvi questo, perché è il risultato di una offerta di contenuti che non si rivolge solo alla maggioranza dei telespettatori ma anche alle minoranze. È un prodotto che tiene conto di tutti gli spettatori che pagano il canone. Ci sono anche buoni contenuti nella cinematografia, nella cultura, nell'opera. Ci sono opere liriche trasmesse dalla RAI che anche a livello europeo sono molto apprezzate, soprattutto quelle trasmesse di solito nel mese di giugno. Sono coproduzioni a cui tutti gli altri, compresa la BBC, guardano, perché sono fatte in maniera molto professionale, a livello tecnico come di esecuzione artistica. Sono opere come La Traviata o La Cenerentola che sono state prodotte in piccole città ma hanno fatto il giro del mondo.
  Abbiamo parlato del successo con gli ascoltatori, ma dobbiamo parlare anche della RAI a confronto con le altre emittenti a proposito del canone. Nella slide si vede il canone annuo della RAI 2012 a confronto con quello degli altri Paesi. Con 112 euro è piuttosto a buon mercato, mentre la Svizzera è la più cara in Europa, perché deve finanziare quattro lingue nazionali. Se potesse trasmettere solo in tedesco o in italiano, potrebbe diminuire il canone del 40 per cento.
  Se si fa la comparazione con le emittenti tedesche, con la BBC, o anche con la emittente francese, si vede che l'Italia è piuttosto economica, non solo in termini assoluti ma anche rispetto al PIL.
  Se si guarda al costo del canone in Italia rispetto al costo degli abbonamenti della pay-TV o dei giornali – nella slide vedete Sky Italia e Mediaset – con 113 euro la RAI è piuttosto competitiva con il package basic di Sky Italia o di Mediaset Premium opzione cinema. Costa veramente solo una frazione di quel prezzo. Se si fa il confronto con gli abbonamenti standard de La Repubblica o del Corriere della Sera, di nuovo la RAI con 113 euro annui è economica. Anche se prendete come riferimento l'abbonamento online di giornali, risulta un prezzo veramente basso. Con 15 canali di televisione e 5 di radio nazionali, non è paragonabile a un solo giornale, ma piuttosto a 15.
  Mi sembra, dunque, che i costi medi di abbonamento siano piuttosto bassi, se si Pag. 5guardano Sky Italia e Mediaset Premium. Uno dei valori essenziali per la RAI è quello di avere un servizio universale, per tutto il Paese, per i ricchi, ma anche per i poveri, che non hanno 800 euro all'anno per comprare un abbonamento ai canali pay di sport. Per questa ragione è molto importante che la RAI sia disponibile a un prezzo che si può dire competitivo offrendo un servizio universale per tutto il Paese.
  Parliamo ancora un minuto della qualità del contenuto. Il servizio pubblico è molto importante non solo perché è, appunto, servizio pubblico, ma anche perché la qualità dei programmi ha un impatto anche sui servizi commerciali. Se la programmazione della RAI è di qualità, vuol dire che gli spettatori e gli ascoltatori si aspettano una certa qualità non solo dalla RAI, ma anche dal servizio commerciale. Se la RAI ha una qualità alta, le aspettative del pubblico sono più alte a loro volta. Vuol dire che c’è una competitività per la qualità del programma anche nel servizio commerciale. È un circolo virtuoso. Abbiamo molti dati e informazioni a questo proposito e possiamo dire che esiste una correlazione significativa. La qualità della RAI ha un impatto sulla qualità anche degli altri programmi, gratis o a pagamento.
  Sono qui anche perché ho visto che avete parlato del cosiddetto bollino blu. Avete chiesto: non è possibile che solo la RAI abbia questo bollino blu, non potrebbe essere un'idea che funziona molto bene anche negli altri Paesi ? Sono qui anche per dirvi che questo bollino non esiste negli altri Paesi e ve ne spiego la ragione. Siamo preoccupati da questa discussione. L'ho anche espresso nella mia lettera inviata alla presidente Tarantola due mesi fa. Ho sentito parlare di questo bollino durante il «Prix Italia» a Torino. Quando la presidente Tarantola mi ha spiegato quello che il Governo vuole imporre alla RAI, mi sono molto preoccupata. Ho letto dalle audizioni precedenti e dalle agenzie di stampa che il Governo, o forse il Viceministro della comunicazione – questo non mi risulta chiaro – vorrebbe tanto che si potesse vedere in onda quali sono i programmi pagati dal canone rispetto a quelli pagati dalla pubblicità. Questo non è possibile. Nessuna televisione pubblica al mondo può farlo, così come nessun giornale o rivista può stabilire se un articolo è pagato dalla pubblicità e un altro dall'abbonamento. Il servizio pubblico è uno e indivisibile: non sarebbe accettabile in esso un programma non di servizio pubblico. In un servizio pubblico ci sono solo programmi di servizio pubblico. Questo significa che su BBC come su RAI non c’è un programma che non sia servizio pubblico. Si deve allora precisare cosa è il servizio pubblico. Nel servizio pubblico ci sono programmi news, di divertimento ed educativi, ma non si può individuare una distinzione dicendo: «questo è servizio pubblico e questo non lo è».
  Nei palinsesti di servizio pubblico non si vedono tutti i tipi di programmi. Alla RAI non si vedrebbe mai il Grande Fratello, perché la direzione della RAI riterrebbe che non è servizio pubblico. È stato deciso alcune settimane fa, per esempio, che la RAI non vuole più trasmettere Miss Italia perché oggi ritiene che questo non sia più un servizio pubblico. Si decide sui programmi che cosa è servizio pubblico e che cosa non lo è. Se si decide che un programma non è più servizio pubblico, non deve più esistere sulla RAI.
  L'offerta televisiva di un servizio pubblico si giudica nel suo complesso, non la si può spezzettare e dire: questo è servizio pubblico e questo no. È l'integralità della programmazione a essere servizio pubblico. Se cominciate a dire che non tutto è servizio pubblico e che qualcosa è un servizio solo commerciale, fate il primo passo nella direzione di creare una RAI molto più piccola, con solo cultura, notizie e basta. Questo non è nella costituzione della RAI né di nessuno dei servizi pubblici rilevanti in Europa. L'intrattenimento fa parte di un servizio pubblico, che per restare rilevante e grande deve avere successo. Non so se ho dato troppe spiegazioni o se volete ancora altre informazioni.Pag. 6
  L'idea del bollino blu probabilmente nasce da un equivoco legato alla separazione contabile imposta della Comunicazione della Commissione europea in materia di aiuti di Stato alla TV pubblica nel 2009, ma l'origine di questa idea è un'altra. All'origine questa Comunicazione imponeva agli Stati di fissare regole precise per evitare che le televisioni pubbliche fossero troppo finanziate e che usassero i soldi in eccesso per fare indebita concorrenza ai privati su altri mercati: non nel servizio pubblico quindi ma su altri mercati, diversi da quello della radiotelevisione. Per questa ragione è stato imposto al servizio pubblico di avere una separazione contabile.
  In seguito alla Comunicazione la maggior parte delle TV europee ha adottato il criterio della contabilità separata, il che vuol dire che i soldi provenienti da altre fonti rispetto al canone o al budget dello Stato sono contabilizzati a parte, in maniera da poter essere tracciati per evitare che vengano usati per finanziare attività diverse dalla radiotelevisione.
  Ancora una volta, per concludere, la tecnologia cambia davvero molto. Stiamo vivendo in una società molto connettiva e digitale. Internet è un nuovo dialogo, le barriere per entrare sono molto più basse, c’è una globalizzazione che si vede dappertutto e che sta cambiando anche la RAI del futuro. Avere una RAI di alta qualità è molto importante per il resto dell'offerta dei privati nella TV e anche nella radio. Questo è importante da precisare.
  Infine, veramente per chiudere, quella che si fa oggi in Italia sul futuro della RAI non è una discussione isolata che non esiste nelle altre parti del mondo. Al contrario, in quasi tutti gli altri Paesi c’è questa discussione, non solamente in Italia. Alla UER abbiamo lanciato un progetto che si chiama Vision 2020. Gli esperti di radio e televisione si sono messi insieme e hanno discusso su cosa si debba fare per creare un servizio pubblico che sia veramente indispensabile per la società. La RAI fa parte di questo progetto, come tutti gli altri. In questo contesto abbiamo stabilito che ci sono tre modelli per il servizio pubblico. Un modello è piuttosto stile boutique, ossia solo cultura e un po’ di notizie, come accade negli Stati Uniti, dove il servizio pubblico ha da uno a tre per cento di market share.
  La seconda strada consiste nel dire che tutto va bene, che siamo i più importanti nel mercato e quindi non facciamo niente di differente: continuiamo così per altri dieci anni.
  C’è poi il terzo modello, in cui si ritiene che dato che la società sta cambiando molto anche rispetto ai temi del servizio pubblico, così il servizio pubblico deve cambiare a sua volta. Non deve più essere in una fortezza a spiegare a tutti e tutte come il mondo gira, ma deve cambiare e diventare piuttosto un servizio pubblico molto connesso con la società e che ascolta di più.
  Alla fine di questo esercizio siamo sicuri che in futuro avremo bisogno di un servizio pubblico forte, perché il servizio pubblico per una democrazia è essenziale affinché sia possibile fornire notizie affidabili e imparziali, ma anche perché è la piattaforma per dimostrare la diversità culturale in un Paese e per contribuire alla costruzione della identità nazionale e anche alla cultura molto specifica di un Paese. Inoltre, il servizio pubblico è probabilmente l'istituzione più importante nella cultura, non solo per le notizie, ma anche per il cinema, per l'opera, per la letteratura: deve essere un motore di creatività.
  Per questa ragione alla fine abbiamo concluso che, se vogliamo rimanere indispensabili in una società che cambia molto – abbiamo visto tutti, mi pare, il film Il Gattopardo – e se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna comunque che tutto cambi, anche all'interno del servizio pubblico. Tutti i servizi pubblici che hanno preso parte alla discussione di Vision 2020, e la RAI vi ha preso parte, sono consapevoli che si debba cambiare. Ora bisogna solo capire come.

  SALVATORE MARGIOTTA. In premessa mi complimento con la presidente non solo per l'ottimo italiano, ma anche Pag. 7per l'assoluta pregnanza della relazione, che, sia pur nella sintesi, ha toccato tutti i punti per noi importanti, o almeno la maggior parte di essi, con una chiarezza molto evidente.
  La conclusione mi interessa molto. Credo che questo Vision 2020 si sposi benissimo con il dibattito che abbiamo aperto anche in questa Commissione e, in genere, nel Paese. Quelli di noi, credo la quasi totalità, che pensano che il servizio pubblico sia fondamentale e che la RAI debba continuare a svolgerlo ritengono, però, anche in massima parte che bisogna cambiarlo e migliorarlo. Bisogna avere una nuova visione, esattamente come diceva lei.
  A me pare che questa annotazione sia molto utile proprio come guida dei nostri lavori. Probabilmente sarà interessante più in là, finita questa fase del Contratto di servizio, aprire un ragionamento proprio su Vision 2020 per sapere a che punto sono i vostri lavori, che ne viene fuori e come si procede. Il cuore della sua audizione, come sicuramente comprende, è costituito dal «bollino». Su questo lei ha espresso parole così chiare che non mi sento di chiedere altro. È stata netta ed esplicita, anzi ha fatto una notazione di tipo politico sulla quale rifletteremo a lungo, quando ha chiesto se l'idea del bollino fosse del viceministro o del Governo. Questo è uno dei temi politici che capiremo nei prossimi giorni e che siamo molto interessati a comprendere anche nella nuova composizione della maggioranza di Governo. Queste, però, sono questioni più interne, nelle quali non voglio tirarla. La frase induceva comunque a questa rapida riflessione.
  Ciò detto, introduco tre argomenti. Il primo è il canone. È molto interessante la slide che dimostrava l'incidenza del canone. Era abbastanza noto a noi che in Italia non c’è un canone molto elevato. Mi interesserebbe capire, considerato che in Italia, purtroppo, è molto poco pagato, o quanto meno che c’è una quota di evasione molto diffusa, quali sono i meccanismi che funzionano meglio in l'Europa o comunque tra le vostre associate e che cosa si sentirebbe di consigliare in Italia al netto della quota di evasione – per così dire – fisiologica che riguarda non solo il canone nel nostro Paese.
  Il secondo tema è quello della trasparenza, altro tema molto dibattuto in questa Commissione. Alcune TV di servizio pubblico, una per tutte la BBC, hanno una trasparenza molto elevata per quanto riguarda compensi e pubblicazioni di curricula. Mi chiedevo se questo sia un dato standardizzato, nel senso che solo la RAI sia un po’ manchevole su questi temi, oppure se ci sono situazioni differenziate, come ritengo, in Europa, per cui ognuno ha un approccio differente al tema.
  Infine, c’è la questione dei disabili. Il nostro ottimo funzionario della Commissione ci ha messo a disposizione, attraverso il Presidente, un testo del Parlamento europeo che evidenzia come la RAI abbia alcune carenze e deficienze per quanto riguarda la possibilità dei disabili di fruire dei programmi, in particolare i non udenti e i non vedenti. Su questo anche nelle audizioni, per esempio, della settimana scorsa, in cui abbiamo sentito una serie di associazioni rappresentative di queste categorie, abbiamo molto insistito e insisteremo nel Contratto di servizio. Qual è la sua opinione ? Quali sono i punti di eccellenza in Europa ? Che cosa accade in Europa rispetto a questo tema ?

  MARIO MARAZZITI. La sua grande esperienza, prima di marketing, poi di televisione pubblica e anche di televisioni pubbliche, ci aiuta a capire quando parliamo di un oggetto prezioso, ossia il servizio pubblico. Volevo solo ringraziarla e sottolineare due dati che per noi sono utili, ossia vedere come la RAI sia il quarto Paese per penetrazione, per ascolti, ma addirittura il primo tra i Paesi di una determinata dimensione. Tutti quelli che la precedono sono Paesi con popolazione molto piccola. Molto dopo arrivano Germania e Gran Bretagna. Questo è un dato per noi significativo.
  La seconda osservazione è che ci muoviamo in un sistema, quello europeo, in cui ogni Paese ha un servizio pubblico di Pag. 8modello europeo, mentre il modello americano e altri modelli asiatici non sono molto diffusi. Credo che questa sia parte integrante del tipo di democrazia europea. Vorrei sottolineare questo elemento per la nostra riflessione, mentre lavoriamo sulle linee di servizio pubblico. In questo contesto, come si può fare per migliorare il servizio pubblico ?
  Lei faceva un'osservazione molto importante per la nostra futura riflessione, quella per cui la dimensione conta. La RAI è piccola. Da noi c’è un ampio dibattito su quali parti del servizio pubblico alienare. Il discorso che fa lei, invece, porta a dire: state attenti, perché oltre un certo limite di piccolezza il servizio pubblico diventa necessariamente boutique. Questo, secondo me, è un elemento su cui dobbiamo ragionare. Non abbiamo una posizione al momento. Desideriamo un servizio pubblico forte e riqualificato, ma non abbiamo preso una posizione. Se una cosa è inefficiente, noi siamo anche d'accordo sul dismetterla, ma per noi questa osservazione deve diventare un elemento importante di riflessione globale per il Paese. Lo dico a vantaggio di tutti i colleghi che sono presenti.
  A questo punto, volevo solo porre una domanda sull'interazione e sul cambiamento. Sul canone una posizione che io personalmente e come Gruppo portiamo avanti da un po’ di tempo è quella di provare a passare a un sistema che leghi il canone a un contributo complessivo per il servizio pubblico o per l'informazione. Il canone sarebbe quindi legato non più all'apparecchio, ma all'abitazione, alla famiglia, come modello. Credo che questo sia più un modello simile a quello tedesco. Vorrei un parere su questo. Concordando col collega Margiotta, le chiederei di indicare se un modello è più efficace dell'altro. Per ora questo è il modello verso cui convergerei, perché mi sembra quello che più corrisponde ad avere un maggior numero di piattaforme.
  Infine, un'altra domanda è se lei crede che debba esserci dentro il servizio pubblico una quota forte e alta di autoproduzione cinematografica e documentaristica nazionale ed europea, sotto la quale non andare per aumentare la diversificazione culturale. Nel caso dell'Italia credo che questo sia molto importante. Essendo il patrimonio culturale italiano di particolare rilevanza, quando abbiamo soggetti tanto forti del privato che hanno ormai una penetrazione in Italia molto intensa, non avere questa capacità di produzione potrebbe nel tempo far diventare subalterna la nostra identità e capacità culturale rispetto alla forza degli operatori economici. Concludo spiegando l'esempio. Questo è ciò che sta accadendo da tempo nell'editoria. Ci sono le catene di distribuzione che prevalentemente decidono i contenuti che gli editori scelgono ancora prima di pubblicare. La gran parte dei libri di successo viene scelta in una pre-selezione fatta dai distributori e non dall'editore puro.

  ALBERTO AIROLA. Anch'io la ringrazio per la sua relazione. Dal Movimento 5 Stelle, la formazione politica cui appartengo, sono sempre partite critiche alla RAI. Forse il ragionamento del cosiddetto bollino blu non sarà correttissimo, ma probabilmente cerca di risolvere o di supplire a una totale mancanza di trasparenza che la RAI applica nei confronti dei cittadini italiani riguardo al modello BBC, che viene spessissimo citato, ma non viene minimamente imitato dal servizio pubblico italiano, per quanto riguarda sia i principali dirigenti e i direttori, sia le modalità con cui la RAI seleziona i prodotti. Mi riferisco, per esempio, alle fiction, o anche all'informazione.
  Ci sono alcuni dati. Noi stessi, come movimento politico, ma questo è riferito non solo al Movimento 5 Stelle, bensì anche ad altre forze, abbiamo appena consegnato un esposto all'Agcom riguardo alla totale mancanza di un equilibrio nell'informazione dei telegiornali.
  L'Italia è un'anomalia. Pur essendo io, peraltro, un ex tecnico che ha lavorato nel settore televisivo e quindi riconoscendo assolutamente le virtù della RAI in merito all'innovazione tecnologica e agli standard che ha nel tempo proposto con competenza, Pag. 9in quanto servizio pubblico, trovo questo aspetto carente.
  Lei ha detto giustamente che tutto è servizio pubblico e che, se alcuni programmi non lo rappresentano, vengono eliminati. Noi, però, anche in questa Commissione, tutto sommato, non abbiamo questo potere. Lo schemino che lei ha fatto notare, per cui il servizio pubblico aiuterebbe, in realtà funziona al contrario. È vittima di una diminuzione della qualità e forse anche di un attacco politico che in questi anni è avvenuto per smontare l'efficacia e il prestigio dell'informazione.
  Vi invito all'UER a tenere sempre in considerazione il nostro come un Paese che, essendo al 56 posto della libertà di informazione di Reporters sans frontières, presenta gravi anomalie.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Grazie, Presidente, per la parola e per aver organizzato quest'audizione, come avevamo sollecitato. Ringrazio il direttore generale Ingrid Deltenre per essere qui oggi e per i materiali che ci ha fatto avere attraverso la presidenza della Commissione e che ci ha consegnato anche oggi. Devo dire grazie anche per l'attenzione e la cortesia istituzionale che ha voluto dimostrare scegliendo di parlare in italiano. L'abbiamo molto apprezzato e la ringraziamo per questo.
  Credo che l'andamento di questa audizione, così come da comunicazione, dimostri quanto essa fosse utile dopo aver ricevuto e letto la lettera che ci è stata inviata. Cedo che questa sia un'audizione necessaria al lavoro preparatorio al parere che dovremmo esprimere come Commissione sul Contratto di servizio.
  Intanto una prima considerazione che ci è stata sottoposta dal direttore Deltenre riguarda l'impatto, che lei ha giustamente richiamato, della tecnologia sul settore e come questo, di per sé, costituisca un elemento di trasformazione profonda anche di tipo strutturale di come si fa servizio pubblico e quindi anche di che cos’è servizio pubblico. Credo che la dottoressa abbia giustamente richiamato come questa trasformazione, innanzitutto tecnologica, spinga sempre di più a una dimensione, che è quella della globalità e della concentrazione. Sempre di più ci dobbiamo trovare, perciò, in una dimensione di riflessione, che è quella della cross-medialità. Ritengo che questa sia la prima considerazione, che, peraltro, è stata oggetto di riflessione in questa Commissione in occasione della discussione del piano industriale della RAI. Secondo me, questo deve essere sempre lo scenario nel quale svolgere la riflessione su che cosa è servizio pubblico e quindi anche sul Contratto di servizio.
  Come seconda considerazione, secondo me è giusto ricordarci i dati che ci ha richiamato rispetto al ruolo che RAI ha rispetto agli altri Paesi europei. Occorre ricordare che il servizio pubblico RAI in Italia è il quinto per ascolti, che è finanziato con un canone tra i più bassi e che, come ha ricordato il senatore Margiotta, è anche tra i più evasi d'Europa. Credo che la discussione a volte sia molto concentrata a chiedere di più all'azienda RAI e a indicarne giustamente le criticità. È giusto, però, anche ricordarci il valore complessivo di questa azienda e il suo ruolo in Europa.
  La terza considerazione è legata in maniera stringente all'oggetto di questa nostra audizione, ossia al cosiddetto bollino blu, che, come è stato ricordato, non esiste in nessun altro Paese europeo. Una prima reazione potrebbe essere: possiamo essere noi il terreno della sperimentazione e dell'innovazione, perché no ? Credo che le considerazioni che oggi sono state addotte, invece, debbano indurre a un ulteriore e più attento approfondimento, proprio per le ragioni che negli altri Paesi non hanno fatto prendere in considerazione questa scelta e per le quali l'organismo che tiene insieme tutti i Paesi che fanno servizio pubblico esprime le sue preoccupazioni.
  Peraltro, lei ha usato una formula che ha colpito anche me, come richiamava prima il senatore Margiotta, quando ha detto: «Ho saputo che il Governo vuole imporre, non so se il Governo o il Viceministro Catricalà». Questo è oggetto di Pag. 10discussione più meramente quotidiana e ordinaria in questa Commissione, ma è una suggestione che mi ha colpito. Lo stesso vale per il richiamo che il servizio pubblico è, per l'esperienza e per le raccomandazioni, le indicazioni e il solco di lavoro a livello europeo, uno e indivisibile e che la programmazione del servizio pubblico è nella sua interezza servizio pubblico, legato alla qualità che si produce.
  Altra questione è la trasparenza nell'utilizzo dei soldi pubblici e di quelli derivati dal canone. Credo che questo sia un altro elemento che ha altrettanta importanza e che è materia di sollecitazione non solo di una forza politica come il Movimento 5 Stelle, ma anche del Gruppo cui appartengo, il Partito Democratico. Su questo la nostra Commissione si è mossa fin dall'inizio e penso che debba continuare a muoversi nel solco di chiedere alla RAI maggiore trasparenza su come vengano utilizzati i soldi e anche maggiore certezza nella comunicazione all'esterno della contabilità separata. Altro, invece, è andare a intaccare l'interezza del servizio pubblico. Da questo punto di vista, credo che nella discussione sul Contratto di servizio abbiamo acquisito ulteriori elementi per una riflessione più approfondita.
  Infine, Presidente, voglio rivendicare il ruolo dei lavori di questa nostra Commissione. Credo che stiamo producendo, attraverso le audizioni, materiali utili alla discussione e che questo tempo che stiamo utilizzando sia funzionale a fare al meglio il nostro lavoro, che è quello di esprimere un parere. Lo dico rispetto anche ai due soggetti con cui abbiamo a che fare. Da un lato, c’è il Governo. Mi è capitato di dirlo e intendo oggi ribadirlo. Quando il Viceministro Catricalà dice «La Commissione si sbrighi», è giusto ricordare che è innanzitutto il Governo che si doveva sbrigare a firmare il Contratto di servizio. Credo, invece, che il compito di questa Commissione sia quello di farlo in tempi rapidissimi, ma di approfondire temi, come quello del bollino, che probabilmente il Governo ha con eccessiva leggerezza portato avanti. Lo stesso Viceministro ha detto: «O c’è il bollino, o io non firmo». Questo è l'atteggiamento più sbagliato. Credo che il nostro lavoro debba essere svolto nella direzione di capire che cosa sia più utile per garantire il servizio pubblico.
  Dall'altro lato, c’è l'azienda. La settimana scorsa ho visto che il direttore generale sulle agenzie – forse era solo una battuta – si è lamentato che deve passare troppo tempo tra le risposte alle interrogazioni e le audizioni in vigilanza. Credo che le audizioni del direttore generale che abbiamo svolto siano state utili non solo al lavoro di questa Commissione, ma anche a quello del direttore generale stesso. Voglio quindi rivendicare il ruolo di questa Commissione non solo nell'approfondire i termini materiali per esprimere il parere, ma anche rispetto ai due soggetti che credo debbano avere nei confronti di questa Commissione il giusto atteggiamento istituzionale, ossia il Governo, segnatamente nella persona del Viceministro Catricalà, e la RAI, segnatamente nella persona del direttore generale.

  AUGUSTO MINZOLINI. Ho trovato la relazione ottima e davvero interessantissima. Solo su una questione probabilmente avremmo dovuto fare un'altra slide. Non abbiamo, rispetto alle classifiche che lei ha citato, l'incidenza della pubblicità nelle diverse televisioni. Quello è un discorso su cui si dovrebbe un minimo ragionare e in cui rientra anche il discorso sul «bollino blu». Se c’è una televisione che non è finanziata dalla pubblicità, il discorso si risolve da sé. Se, invece, come alla RAI, di fatto c’è un sistema misto, in cui la pubblicità ha un peso non indifferente, si può riproporre la questione del bollino blu.
  Non sono da una parte o dall'altra. Questo problema però esiste, anche rispetto alle dimensioni. Credo francamente che noi procederemo sempre con questo sistema misto, anche perché le proporzioni della RAI dipendono da questo tipo di Pag. 11scelta che abbiamo fatto. Se ci fosse soltanto il canone, probabilmente non potremmo avere quelle proporzioni.
  A questo punto, probabilmente ci sono regole diverse che in altri Paesi non sono molto richieste o che non sono molto sentite, ma che da noi potrebbero esserlo.

  RAFFAELE RANUCCI. Ringrazio il direttore generale. Svolgo una piccola prima considerazione. Noi italiani siamo straordinari nel dire che siamo sempre i peggiori, ma, quando il direttore ci riferisce che l'esperienza tecnologica della RAI è pari a quella della BBC e della televisione giapponese e che gli standard europei sono presi dagli standard della RAI, dovremmo tirare fuori un po’ di orgoglio italiano, ogni tanto, al di là delle nostre collocazioni politiche.
  Vorrei sapere se la radio ha i canoni che vengono recitati da Euroradio, ossia quelli dello scambio della musica, dell'incentivazione del network professionale, della promozione della radio digitale, e se realmente la radio italiana garantisce il servizio radiofonico nel mondo multimediale.
  La seconda domanda è, devo dire la verità, un po’ simile a quella del collega Minzolini. Lei ha affermato che abbiamo il canone più a buon mercato non solo in quanto tale, ma anche paragonato con il PIL. Qual è la proporzione tra canone e pubblicità negli altri Paesi ?
  Volevo anche sapere se, per quanto riguarda la trasparenza sui compensi, ci sono televisioni europee che pubblicano alla fine della programmazione la cifra del compenso del singolo attore o di chi è sul video. Ritengo che questa possa essere una pessima pratica, in quanto è un'agevolazione della concorrenza, se uno pubblica tali cifre e l'altro no.
  L'altro punto riguarda il bollino blu. Lei ha detto una cosa fondamentale: il servizio pubblico è uno e indivisibile. La vostra, quando parlate di una televisione piccola, è una paura evidentemente europea, non soltanto della RAI, perché parlate per tutte le televisioni pubbliche. Inoltre, avete la preoccupazione che una televisione che non abbia tutto il servizio pubblico, che non sia completamente servizio pubblico che va dalle news allo spettacolo e che quindi sia impoverita, diventi anche un primo passo verso la privatizzazione delle televisioni della RAI e dei diversi Paesi europei, soprattutto se questa può essere un'incentivazione per veicolare la pubblicità sui nuovi prodotti che lei ci ha mostrato, che sono non soltanto le televisioni satellitari, ma anche tutta la parte di Internet.

  GIORGIO LAINATI. Grazie, Presidente. Gentile Madame Deltenre, merci de votre présence. Scorrendo l'elenco delle televisioni che fanno parte dell'EBU, non si può non rimanere colpiti dal fatto che le grandi televisioni pubbliche dei Paesi dell'Est dell'Europa hanno aderito all'associazione della quale lei è direttore generale dopo la caduta del muro di Berlino. Dico questo per sottolineare quanto sia importante, Presidente, la partecipazione a un consesso europeo per le televisioni che sono state non libere per molti decenni.
  Debbo ricordare, facendo un souvenir personale, che, quando ci fu la guerra nell'ex Yugoslavia, fui mandato dalla televisione per la quale lavoravo, una televisione non pubblica, ma privata, Canale 5, a Zagabria a seguire il conflitto serbo-croato. La televisione croata, che era diventata indipendente da poche settimane, era ritenuta un obiettivo per l'aeronautica serba. Era difficilissimo lavorare in quella televisione, perché ci si doveva arrivare nel buio e camminare bassi, con tende nere che oscuravano tutto, perché i croati avevano paura che i serbi colpissero la loro televisione. Madame Deltenre, lei sa che questo è successo in modo ancora più grave a Sarajevo l'anno seguente ed è successo, paradossalmente, anche quando c’è stata la rivoluzione in Romania. Il primo elemento dell'atto rivoluzionario si è avuto con la «liberazione» della TV rumena.
  Vorrei quindi sottolineare quanto sia davvero importante, a difesa della libertà nei singoli Paesi europei e in quelli del bacino del Mediterraneo, il fatto di appartenere Pag. 12a un'associazione come questa per le televisioni pubbliche. Nondimeno, dobbiamo ricordare quanto sia importante anche nel comune lavoro per la difesa della libertà e della democrazia il ruolo che svolgono oggettivamente, in ciascun Paese, le televisioni commerciali sotto altri aspetti.
  Come avrà ben capito, Madame Deltenre, in Italia c’è una grande polemica, sollevata anche dalla mia parte politica, sulla questione, che è stata ricordata da alcuni colleghi, della trasparenza nel servizio pubblico. È verissimo che, come lei ha dimostrato, il canone del servizio pubblico italiano è tra i meno cari dell'Europa, ma dietro alla questione del pagamento del canone in Italia ci sono grandi polemiche politiche. Diventa sempre più necessario, a mio avviso, porre il tema su due livelli differenti. Uno è l'importantissimo ruolo a salvaguardia dei valori democratici liberali, l'altro la gestione delle reti televisive pubbliche. In Italia c’è questa diatriba, che si manifesta nella necessità o meno di rendere pubblici i compensi dei conduttori televisivi, dei grandi giornalisti, degli opinion maker, degli opinion leader. Vorrei avere la sua opinione in merito, perché da noi questo è un argomento di grande conflittualità.

  MICHELE ANZALDI. Volevo chiedere un chiarimento e se con la sua esperienza la dottoressa Deltenre, che ringrazio della sua relazione, ci può dare un consiglio.
  Tempo fa abbiamo avuto un problema sulla presenza dei politici in alcune trasmissioni. C’è una sorta di par condicio che dura tutto l'anno, ragion per cui c’è stata una querelle che si è risolta con un parere del presidente dell'Agcom Cardani, il quale, interpellato qui da me, ha detto che il provvedimento che regola la questione è fatto in maniera, secondo lui, non opportuna. È vero che alla fine questo finirà per danneggiare una trasmissione, sia come audience, sia come pubblicità, ma lui non poteva fare niente e applicava semplicemente la legge. Volevo chiedere se lei ha conoscenza di come negli altri Paesi ci si comporta in casi simili.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande o richieste di chiarimenti, svolgerei una considerazione.
  È vero, rispetto al bollino, che anche la RAI ha licenziato il Contratto di servizio con il ministero in modo molto veloce. Mi chiedo perché il consiglio di amministrazione, che è in contrattazione fondamentalmente col Ministero dello sviluppo economico, in quel caso con il viceministro Catricalà, abbia licenziato così velocemente la questione del bollino, visto che la Commissione, secondo me in modo molto responsabile, ne sta, invece, realmente dibattendo, senza alcun preconcetto ed essendo laici in merito, cercando di comprendere se sia uno strumento che possa funzionare o meno e se possa essere l'anticamera di qualcos'altro.
  Dobbiamo valutare e stiamo valutando. Tutti e due gli attori, Catricalà al ministero e la RAI, invece, sono andati molto veloci sulla questione. Abbiamo detto che il Governo ha imposto il bollino alla RAI, ma è anche vero che il Contratto di servizio è una contrattazione reale e che la RAI l'ha accettato. Infatti, anche la lettera che lei ha fatto arrivare alla presidente Tarantola, è stata subito girata a noi dalla medesima presidente Tarantola, perché era preoccupata, secondo me, di aver licenziato un Contratto di servizio che su questo punto non andava bene. È come se – non so se mi sbaglio – alla RAI non se ne fossero resi conto. Quando la presidente ha avuto con lei un incontro, uno scambio, ha deciso che questo non andava più bene e che erano preoccupati, perché la RAI era l'unico servizio pubblico che iniziava ad avere la questione del bollino. Questa Commissione ne discute e ne discuterà in modo privo di preconcetti, cercando di comprendere tutto ciò che potrebbe avvenire in un caso del genere.
  Personalmente, sono d'accordissimo che il servizio pubblico debba essere uno e che tutto sia servizio pubblico. Non vedo una sorta di divisione al suo interno. È anche vero che siamo un Paese un po’ atipico in tanti settori e che quindi anche sulla questione RAI, sulla questione trasparenza, dobbiamo fare e osare molto di Pag. 13più di altri Paesi. Su quei punti possiamo essere precursori, andando anche oltre alcune questioni di trasparenza che la BBC attua in sé.
  Volevo però chiarire che il Contratto di servizio è arrivato alla Commissione con il bollino già inserito. Noi possiamo esprimere un parere negativo o positivo, ma è arrivato con quel bollino inserito e l'ha licenziato tutto il Consiglio di amministrazione della RAI, insieme al ministero: questa è la questione.

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'EBU – European Broadcasting Union. Sono moltissime le domande. Comincio con la trasparenza, perché tutti ne hanno parlato. Prima devo forse mostrarvi un piccolo documento che abbiamo distribuito, in cui si parla dei valori. Come è stato detto, EBU è un'associazione i cui membri sono molto diversi e vengono da diversi paesi. Abbiamo avuto una discussione su come funzionasse questa associazione, con i membri di tutti i Paesi, aperti, non aperti, con servizio pubblico o servizio di Stato. Ci siamo domandati che cosa fosse veramente il servizio pubblico e abbiamo deciso, alla fine, che il servizio pubblico si può definire con alcuni valori che riteniamo essenziali. Questo documento è stato adottato da tutti i membri nell'Assemblea generale.
  Pensiamo che il servizio pubblico si possa esprimere con sei valori. Il primo è il valore dell'universalità: facciamo un programma per tutti, inclusi anche coloro che non sentono bene o che non vedono bene.
  Un servizio pubblico deve essere indipendente nelle sue linee editoriali dall'influenza della politica.
  Un servizio pubblico deve fare la differenza quando si parla della qualità dei programmi. Si deve vedere una differenza dal servizio non pubblico.
  Esso presenta una diversità di programmi e di opinioni. La diversità è un valore essenziale.
  Essenziale è anche l'innovazione. Il servizio pubblico deve essere un motore di innovazione e, poiché è finanziato con soldi pubblici, può assumersi rischi che un servizio commerciale non può correre.
  Last but not least, c’è il valore della trasparenza. Abbiamo ritenuto che la trasparenza sia un valore essenziale per un servizio pubblico finanziato con il canone.
  Che cosa vuol dire trasparenza ? Per la BBC si può guardare su Internet e vedere chi ha pagato due euro per un cappuccino o per un succo d'arancia. Se si domanda, però, in Inghilterra se la BBC sia un servizio pubblico trasparente, posso testimoniare che le persone rispondono di no, che non è trasparente, che non sanno nulla della BBC. Forse hanno visto il contratto del direttore generale, forse hanno visto le spese, ma questa non è trasparenza, è voyeurismo.
  Nessun altro lo fa come la BBC. Se voi parlate con la BBC, i suoi dirigenti dicono che hanno fatto una sciocchezza e che questo non è un aiuto per la trasparenza, ma un incentivo per cambiare la maniera di spendere i soldi. Chiaramente si prende un taxi, ma il taxi non è più pagato in modo tale che si vede su Internet che qualcuno ha viaggiato col taxi. Il taxi adesso fa un conto diretto con l'associazione e il dato non si vede più. Quello che ha fatto la BBC aveva la motivazione di fare le spese in un'altra maniera.
  In secondo luogo, se la trasparenza è un punto importante, si deve sapere quale trasparenza vogliamo avere veramente e come si possono mostrare i costi. Forse ci sono altri modi che aiutano di più ad avere trasparenza.
  Per esempio, molto spesso la gente vuol sapere quanto costano i diritti sportivi. Difficile dirlo. Molto spesso non lo si vuole dire, perché, se si dice il nuoto costa x, l'atletica replica che, se abbiamo pagato 2 milioni per il nuoto, loro devono averne 4. Questo non va bene, perché i prezzi vanno al rialzo. Per questa ragione molto spesso non si vuole parlare dei prezzi precisi, quando si parla dei diritti sportivi.
  In Italia abbiamo un canone di 113 euro. Si può dire che spendiamo 10 euro per i diritti, in modo da creare una relazione fra il canone e la percentuale che si spende. È un'altra maniera per Pag. 14ottenere trasparenza. È forse molto più facile spiegare questo agli ascoltatori e al pubblico che non parlare del succo d'arancia che qualcuno oggi ha preso al ristorante. Si deve fare una riflessione su quale trasparenza si vuole avere e anche su quale efficacia, su quali misure siano veramente buone per comunicare anche col pubblico.
  Per questa ragione la BBC è la sola televisione che lo faccia. Abbiamo discusso anche all'EBU se ci fossero altri Paesi che fanno la stessa cosa e la risposta è stata negativa. La BBC oggi dice di aver commesso uno sbaglio quando ha cominciato a fare questo. Avendo ormai iniziato, però, non possono più tornare indietro. Non è possibile, ma loro dicono che non ha veramente aiutato. È molto meglio ricevere molte domande che spiegare piccole questioni che non sono importanti. Per questa ragione mi sembra che questo non sia un esempio che si deve copiare. Forse si può fare qualcosa di più innovativo e migliore per la trasparenza.
  Passiamo al canone. Come è stato osservato, tutto oggi è multiplatform. I giovani non guardano la televisione, ma usano il computer. Questa è la ragione per cui in Germania hanno cambiato il modello. In Germania parlano ora di Haushaltsabgabe, ossia di pagamento per abitazione. Non si paga più se si ha una televisione o una radio, ma per famiglia. In Germania questa regola vige dal 1 gennaio 2013. In Finlandia hanno un modello ancora più complesso. Hanno il sistema di pagare per famiglia, ma secondo il livello di reddito si paga proporzionalmente per la televisione e la radio. Questi sono i due Paesi che hanno cambiato il modello. Il modello finlandese è più complicato e non è tanto considerato negli altri Paesi, ma quello introdotto in Germania è un modello di cui ora si discute anche in Svizzera, in Austria e in altri Paesi.
  Si deve fare un po’ la differenza fra il tipo di canone, da pagare per il possesso o meno di apparecchi di ricezione, per persona o per famiglia o per abitazione e il sistema di raccolta del canone. Sono due cose diverse. Normalmente, nel sistema di raccolta ci sono tre o quattro modelli che sono più utilizzati. Uno è come quello che avete alla RAI, che è direttamente responsabile della raccolta.
  Un secondo modello è quello per cui in molti casi il canone viene raccolto con la bolletta elettrica. Se si raccoglie con la bolletta elettrica, non c’è quasi evasione, perché, se non si paga, non si ha l'elettricità. È facile. Ci sono problemi solo nei Paesi in cui la compagnia elettrica è venduta a un'altra compagnia estera. Si discute se anche la compagnia estera debba applicare lo stesso sistema. Questo, però, è un altro problema. Oltre alla bolletta elettrica o a quella del telefono ci sono altre due modalità. Il telefono non è da raccomandare, però, perché sempre più persone non hanno un telefono fisso. Normalmente, la bolletta si applica alla linea fissa. Non avendo molti più una linea fissa, questo non è un modello da raccomandare.
  Il quarto modello è la riscossione con le imposte locali.
  Questi sono, dunque, i quattro modelli: il modello RAI, quello con la bolletta elettrica, quello con la bolletta telefonica e quello con le tasse.
  A me sembra, da tutti gli esperimenti che abbiamo visto, che sia molto importante che ci sia un canone, perché rappresenta la relazione diretta con il pubblico. Tutti i Paesi che hanno cambiato sistema da un canone a una tassa, come Spagna e Olanda, hanno grandissimi problemi. In un periodo in cui il Governo non ha un budget molto grande, ogni anno in Parlamento ci sono lunghe discussioni sul budget del servizio pubblico. Questo ha indebolito moltissimo il servizio pubblico. Questo sistema è in vigore in Spagna, in Olanda, ma anche in Turchia, in Russia e in Azerbaigian. Non è un sistema che noi, come EBU, pensiamo sia sostenibile per il servizio pubblico.
  Se volete avere i dati dell'evasione, li possiamo guardare. Ci sono due o tre Paesi con un tasso di evasione molto alto, Polonia e Serbia, per esempio, perché in tutte e due i Paesi il Governo ha detto: «Siete pazzi, se pagate ancora il canone». Pag. 15In Polonia è stato il primo ministro a dirlo, con il risultato che la maggior parte della gente si è rifiutata di continuare a pagare. La stessa cosa è successa in Serbia. Normalmente, in Serbia il sistema era molto buono, ma quest'anno la raccolta è veramente crollata. Ora sono a un tasso di evasione del 70 per cento, perché la politica ha detto che non sarebbe successo nulla se gli utenti non avessero pagato. Possiamo fornire i dati.
  C'era poi la domanda se debba essere un servizio pubblico forte o piuttosto come il sistema americano. Per me è chiaro. Se si guarda cosa succede nella globalizzazione e nella concentrazione dei media, si vede che, se si ha un servizio pubblico che non gioca un ruolo veramente importante, tutta la produzione culturale è messa a rischio. Il servizio pubblico è importante non solamente per l'informazione, ma per tutto. Quando si parla del cinema in Italia, il cinema non esiste perché c’è Sky, perché Sky non investe nella produzione di cinema in Italia. La cultura e la diversità in Italia senza la RAI sarebbero molto più povere.
  Quanto a Discovery, Murdoch, che è forse l'imprenditore più importante della seconda parte del ventesimo secolo, ha fatto un buon lavoro, ma le due aziende hanno una cosa in comune: non si interessano veramente all'Italia, sono qui per i soldi e fanno programmi col valore minimo necessario per poter operare qui. La cultura italiana non è molto interessante per Sky, altrimenti le dedicherebbe più spazio. La cultura italiana è l'identificazione italiana, la diversità italiana. Questo è il cuore del servizio pubblico. Un servizio pubblico molto piccolo non ha più i soldi per curare questo aspetto e il risultato è che non c’è un altro che lo vada a fare, perché non ha i soldi. Se non ci fosse la RAI, in Italia ci sarebbe solo Mediaset e basta. Per questa ragione per me la risposta è chiara. In un mondo caratterizzato da globalizzazione e concentrazione, avere una RAI forte è essenziale. Questo è un discorso che vale anche per gli altri Paesi. In Inghilterra nessuno pensa di ridurre il ruolo e le dimensioni della BBC. Alla fine la BBC è la BBC e tutti gli inglesi sono fieri di averla. Nei Paesi nordici, in Svezia, in Danimarca e in Norvegia, le reti pubbliche sono essenziali per la società.
  Per questa ragione nella maggior parte dei Paesi si parla della qualità. Se non si hanno abbastanza soldi, si devono stabilire alcune priorità: «fewer, bigger, better» è uno slogan che si sente spesso. Si dice anche che si deve mostrare molto meglio quale sia il valore per la società ma in nessun Paese si parla di ridurre il ruolo del servizio pubblico nemmeno in Grecia: lì avevano deciso di chiudere, ma hanno immediatamente riaperto e ora stanno discutendo di un nuovo servizio, che funzioni meglio di quello che avevano prima, che era un servizio forse un po’ troppo pieno di corruzione. Di questo, però, non è il caso che parli.
  Un servizio pubblico forte e rilevante che sia un partner per il mercato è essenziale. In questo contesto la quota della produzione nazionale è importante. Quanto al mixed funding e al bollino, ancora una volta, in Svizzera abbiamo sempre detto di essere contenti di avere anche le risorse pubblicitarie, perché aiutano a fare un servizio che si può anche descrivere come «senza pubblico». Si tratta di programmi veramente speciali, costosi, sperimentali. Con un canone pagato da tutti sarebbe difficile spiegare perché mettiamo tanti soldi in un programma che non è visto dalla maggior parte del pubblico, ma solo forse da 5-700.000 persone. È per questa ragione che abbiamo i soldi non solo dal canone, ma anche dalla pubblicità, che aiuta a finanziare alcuni programmi molto specialistici, senza un grande pubblico. Il servizio pubblico deve prevedere programmi interessanti per tutti coloro che pagano il canone e non solo piccoli programmi con un pubblico quasi nullo.
  Quanto alle best practice e all’accessibility, tutti i servizi pubblici hanno per legge l'obbligo di fare programmi accessibili a tutti. Normalmente, nel prime time l'80 per cento dei programmi hanno sottotitoli o audiodescrizioni. In Italia ci sono Pag. 16modi di produrre questi sottotitoli molto innovativi. So che la RAI a Torino col sistema speech to text ha fatto esperimenti molto buoni, e altrettanto fa la BBC.
  Sul circolo «virtuoso» (con la TV pubblica che stimola con il suo esempio le TV private) che rischia di diventare vizioso (la TV pubblica che rincorre l'offerta dei privati) occorre fare attenzione. La tesi del circolo virtuoso è spiegata in uno studio della BBC, ora visibile sul sito. C’è una correlazione: se il servizio pubblico non è di qualità alta, vuol dire che c’è una race to the bottom. Loro dicono così. Vedo che la RAI sta facendo molto per elevare la qualità dell'offerta. La discussione pubblica sulla RAI si sta concentrando su alcuni programmi che sono forse discutibili, ma si può parlare anche di altri programmi che si trovano sulla RAI, su RAI 5, per esempio, che sono veramente molto buoni. La RAI ha l'obbligo di fare programmi per tutti e il direttore generale della RAI deve essere, nelle discussioni sui programmi e sulla loro qualità, come il coach. Tutti parlano della qualità del coach della squadra nazionale. Sanno subito tutti se la formazione non è buona. Il signor Gubitosi è un po’ nella stessa situazione, è come un negoziante di frutta e verdura. Deve sapere come è la sua offerta. Deve avere frutta, verdura e un po’ di tutto, non solo mele, ma un assortimento interessante per tutti. Lui deve fare la scelta. A volte è una buona scelta, altre volte si può discutere se la scelta sia buona. Mi sembra che lui, se parlate con lui, la pensi allo stesso modo. Non so se questo discorso è chiaro.
  Quanto alle regole sulla presenza dei politici, per quanto ne so io, normalmente nel resto di Europa questo aspetto è regolato in dettaglio solo durante le campagne elettorali. In queste circostanze tutti hanno regole specifiche, non solo per i programmi informativi, ma anche per l'intrattenimento perché molti politici vogliono figurare non solo nelle news, ma anche mostrarsi come persone con senso dell'umorismo. È una scelta editoriale. È l'editore che deve stabilire se è davvero essenziale avere un personaggio e spiegare perché ha scelto questo e non un altro, magari perché un dato personaggio è esperto in una materia. Non conosco regole specifiche per situazioni non elettorali. Sono l'importanza e la rilevanza editoriale che determinano la decisione. Sicuramente in Germania, in Austria e in Svizzera tali regole non ci sono: cito questi Paesi perché li conosco meglio, ma mi sembra che non esistano nemmeno per la BBC o nei Paesi nordici.
  La radio ha cominciato a trasmettere a Torino novanta anni fa e la RAI è molto attiva. Nell'EBU c’è uno scambio di programmi che si chiama Euroradio in cui la RAI, che ha un'orchestra, è molto attiva. L'Euroradio della EBU è la concert hall più grande del mondo. La EBU oggi trasmette 4.000 concerti, che sono oggetto di scambio e la RAI contribuisce molto con la sua orchestra a questa piattaforma.
  La RAI è anche molto attiva quando si parla di tecnologia, non solamente per la radio, ma anche per la distribuzione televisiva. Per esempio, lo standard per la distribuzione del video su satellite, che si chiama DVB-S, è stato inventato alla RAI e oggi è utilizzato ovunque: l'ingegnere che ci ha lavorato è Alberto Morello, e adesso è uno standard mondiale. È come per i container sulle navi. Nella distribuzione si deve creare uno standard comune, altrimenti i produttori delle apparecchiature non hanno un mercato mondiale. L'ingegner Morello ha creato qualcosa di simile a un container rendendo così possibile uno standard per la distribuzione digitale sul satellite: questa è la RAI. La radio è molto interessante per noi anche per questa ragione, ossia perché molte innovazioni cominciano da lì. La radio è un medium molto più diretto e vicino all'ascoltatore. Molto spesso si vede che qualcosa succede alla radio e quattro o cinque anni dopo si applica alla televisione. Per esempio, la radio ha introdotto spotify e la musica on demand. Questo sistema si vede adesso alla televisione con Netflix. Il sistema è molto più complicato per i diritti ed è anche molto più difficile per i video su Internet. Per questa ragione la radio è molto importante per noi. Si possono fare le analisi Pag. 17di quello che succede alla radio e che viene poi riproposto in televisione. La radio ha cominciato molto prima della TV a creare canali «tematici» con programmi, selezionati secondo il pubblico di riferimento. Con il passaggio al digitale le televisioni hanno cominciato ad avere più di un canale e hanno seguito l'esempio della radio. Questo si discute all'EBU. La RAI è nel Comitato della radio nell'EBU. Come Claudio Cappon è nel Comitato direttivo, così la RAI è presente anche nel Comitato delle radio.
  La RAI è importante non solo a livello nazionale, ma anche all'estero. Per esempio, quando siamo andati in Tunisia per le elezioni, la RAI ha svolto un grande ruolo. Ha aiutato la televisione tunisina a trasmettere le prime elezioni libere dopo la dittatura e lo stesso è avvenuto dopo, in Libia.

  MICHELE ANZALDI. Volevo chiedere una cosa scaturita dall'audizione dell'ADRAI. Vorrei sapere se per caso la dottoressa ci può far avere, perché non penso l'abbia qui, l'elenco di quante direzioni, di quanti dirigenti sia operativi, sia in standby, ci sono nelle altre televisioni rispetto alla RAI.

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union. Questa domanda è molto ampia. Non conosco tutte le statistiche. So solamente cosa fare per avere queste cifre. Possiamo poi mandare queste informazioni a voi, ma dipende sempre dal Paese che ce lo deve fornire.

  PRESIDENTE. Svolgo solo un'osservazione rispetto alle cose che lei ha detto. Per esempio, sul fatto che i cittadini inglesi dichiarino di non sapere niente della BBC, nonostante la trasparenza, io penso che questo concetto potrebbe essere invertito: poiché non conoscono niente, la BBC dovrebbe fare dei passi in avanti rispetto alla trasparenza. Sono d'accordo che, nel momento in cui andiamo a identificare il succo di arancia, questa diventa una trasparenza voyeuristica – la possiamo mettere così – ma non se identifichiamo le professionalità e gli stipendi lordi nominali di chi dirige le aziende pubbliche finanziate dal canone. Questa è trasparenza di sostanza, che può accendere riflettori importanti per non far succedere altro. In questo modo i cittadini potranno dire della RAI in futuro, e magari anche della BBC, che sanno tutto della loro azienda pubblica, perché la finanziano loro e sanno perfettamente come sono usate le risorse. Sono d'accordo anche sul concetto che parte del canone sia utilizzato parte per qualcosa e parte per altro, ma sicuramente dobbiamo avere anche una trasparenza molto più alta, che vada a considerare importanti flussi di cassa.

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union. All'EBU stiamo svolgendo test comparativi per trovare la migliore formula sulla trasparenza. Lo svolgiamo ora perché la domanda di trasparenza è ovunque, non solo in Italia: inoltre proviamo anche a trasmettere esperienze concrete a tutti i servizi pubblici per aiutare chi vuole essere più trasparente a farlo meglio. Questo riguarda anche il modo in cui le informazioni vengono organizzate in Internet per renderle facilmente accessibili. Mi sembra che anche questo si possa fare meglio e non è solo una mia idea. Sono tutti d'accordo, anche alla RAI, ma si deve trovare il modo giusto, il che non è così facile.

Sull'ordine dei lavori.

  PRESIDENTE. Do la parola al senatore Minzolini sull'ordine dei lavori.

  AUGUSTO MINZOLINI. Volevo intervenire perché ho visto sui giornali un intervento simile svolto anche dall'onorevole Anzaldi. La settimana scorsa ci sono state alcune dichiarazioni del direttore generale che, secondo me, ledono addirittura la dignità della Commissione di vigilanza. Non è accettabile che si affermi che l'esistenza della Commissione di vigilanza Pag. 18crea problemi al business o che c’è una difficoltà perché bisogna rispondere a troppe interrogazioni. Credo che oggi l'onorevole Brunetta l'abbia fatto presente, ma non ha avuto risposte. Sono passate diverse settimane anche da altre interrogazioni. Questo influirebbe sulla capacità dell'azienda di intervenire.
  Credo che ci sia un atteggiamento un po’ arrogante e presuntuoso – lo dico con molta franchezza – da parte del vertice RAI nel rapporto con noi. Non ci siamo inventati noi le regole. Le regole sono queste. Se vanno cambiate, ne parleremo in futuro, ma, finché ci sono queste regole, vanno rispettate, anche perché, se si va a vedere, i risultati non sono poi così grandi.
  La settimana scorsa – credo che la Commissione dovrebbe riflettere anche su queste vicende – abbiamo avuto una giornata che credo abbia rappresentato il minimo storico in cinquant'anni della RAI. Parlo di giovedì scorso, in prima serata...non si tratta solo di Mission. È proprio un problema di programmazione. Canale 5 da solo ha fatto l’audience di RAI 1, RAI 2 e RAI 3, più altri tre punti. Non so se ce ne rendiamo conto. Se andiamo a vedere la classifica, in quella in giornata troviamo prima Canale 5, seconda La7 e terze a pari merito la RAI con Sky. Stiamo arrivando a livelli che, secondo me, richiedono una riflessione sull'argomento. Bisogna trovare i dati, ma, se andiamo a vedere l'autunno di quest'anno...

  PRESIDENTE. Quali dati sta citando ?

  AUGUSTO MINZOLINI. Sto citando alcuni dati che sono stati presi dall'Auditel.

  PRESIDENTE. Se sono normali dati Auditel, li abbiamo.

  AUGUSTO MINZOLINI. Abbiamo addirittura, rispetto all'autunno di quest'anno e rispetto allo scorso anno, un meno 1,57. Se andiamo a vedere il dato che riguarda il target pubblicitario 15-54 anni (oltre i 54 anni le agenzie pubblicitarie sono meno interessate) si aggiunge un altro problema – sono discorsi antipatici ma li dobbiamo fare, dato che rientrano nel bilancio: passiamo addirittura a una diminuzione di 1,79, quando il principale concorrente ha avuto una diminuzione dello 0,01 in generale o dello 0,09 in particolare. Sono questioni grosse, tanto più che in passato su argomenti del genere ci sono stati veri e propri processi. Non avrei neanche sollevato questo problema, se ne sarebbe potuto fare a meno, ma, se ci sono anche un'arroganza, una presunzione e un atteggiamento quasi di sfida nei confronti della Commissione di vigilanza, credo che questo non sia più tollerabile.
  Non so quando sarà, perché abbiamo il problema del Contratto di servizio, ma immediatamente dopo dobbiamo andare a fare una verifica e anche a guardarci negli occhi con l'attuale vertice RAI.

  PRESIDENTE. Domani comunque in Ufficio di presidenza parleremo sicuramente della questione delle ulteriori audizioni da tenere.

  GIORGIO LAINATI. Penso che una risposta a quanto ha detto il senatore Minzolini possa arrivare, non so se il Presidente sia d'accordo, dal famoso documento che dovremmo approvare. Da settimane dovremmo varare questa delibera cornice entro la quale inserire i quesiti e altre questioni, o sbaglio ? Ne parliamo domani, se i colleghi sono d'accordo, perché ne avevamo parlato già altre volte e sostanzialmente c’è una convergenza generale, se non ho capito male.

  AUGUSTO MINZOLINI. Va bene, ma, visto che c’è la polemica sul pubblico e la politica e via dicendo da parte del vertice RAI, osservo che in una situazione normale in un'azienda privata, in un network privato, dopo la vicenda di giovedì il vertice sarebbe stato messo alla porta. Di questo dobbiamo renderci conto. Se si fa una performance di quel tipo, con il mercato che c’è in Italia, si viene messi alla porta. Io ho riferito che in cinquant'anni questo non è mai successo. Non è mai successo. In più, mi devo anche sentire che, se uno presenta un'interrogazione o Pag. 19pone un problema, viene trattato con sufficienza. Non è accettabile. È un problema di dignità. Almeno io difendo la mia.

  PRESIDENTE. Assolutamente. Noi l'abbiamo ribadito più volte in questa Commissione. È un fenomeno che avviene dall'inizio, ma rincorrere ogni secondo le agenzie che si leggono e rispondere agenzia per agenzia lascia un po’ il tempo che trova. È anche un discorso banale parlare tramite organi di stampa. Quando la Commissione, e lo sta facendo, solleva un problema concernente il rispetto istituzionale e magari alcuni dati che non vanno molto bene, possiamo tranquillamente fare ulteriori audizioni, se riusciamo a inserirle all'interno della cornice di questi mesi, perché c’è il Contratto di servizio, oppure immediatamente dopo. Questa è una questione che domani faremo indubbiamente presente in Ufficio di presidenza, senza rincorrere subito le agenzie di stampa, il che, sinceramente, non mi interessa più. Ci sono altre questioni ?

  MICHELE ANZALDI. Volevo solo segnalare che quella di cui parla il collega Minzolini è la prima serata nella rete ammiraglia e che i nostri funzionari, dopo una verifica, mi hanno riferito che, a quanto pare, non siamo più in periodo di garanzia. Non è uno scherzo.
  Inoltre, alcune notizie che escono sulle agenzie si possono anche smentire e rettificare. Se le si lascia così, le cose crescono e poi si vanno a guardare i risultati. Io penso che quello che ha denunciato il senatore Minzolini abbia fondamenti molto rilevanti, che vanno avanti da parecchio tempo – ho già denunciato la questione quest'estate – e che forse hanno bisogno di una valutazione anche politica.

  PRESIDENTE. Assolutamente. È da giugno e luglio che sulle agenzie e sui giornali stiamo rispondendo. Personalmente, anche quest'estate ricordo quando Anzaldi mi chiamò per segnalare tutta una serie di questioni. Ho risposto più volte al direttore generale. Il rapporto con la Commissione da un dato periodo in poi si è modificato rispetto al fatto di venire in Commissione quando lo chiamiamo a orari rispettosi del Parlamento perché sono in corso votazioni e così via. Alcuni passi avanti li abbiamo senz'altro fatti. Ogni tanto, quando c’è un'intervista, un meeting o un evento del genere, però, si sparano le questioni un po’ troppo in alto. Noi, invece di rispondere immediatamente sulle agenzie, a mio avviso – poi ognuno faccia come crede e ritiene meglio – dobbiamo porre il tema in Commissione e magari convocare Gubitosi e fare quello che riteniamo più opportuno.

  MICHELE ANZALDI. Per esempio, sul caso Mission, ampiamente dibattuto da tutti e in prima persona da lei, ci siamo presi il calcio in faccia, il giorno prima della Commissione, della più lunga intervista nella storia su prima comunicazione. Adesso è il più grande flop della RAI. Ai cittadini che ci scrivono via mail, a quelli dei forconi o a quelli che per strada ci insultano – magari non insultano il suo Movimento – noi che cosa diciamo ?

  PRESIDENTE. Su Mission e sulla qualità editoriale della RAI possiamo dire che stiamo lottando affinché quel programma non prosegua. Non avrebbe dovuto assolutamente essere messo in onda. Su questo credo che, se siamo uniti, almeno su profili editoriali che chiaramente non sono buoni e, secondo me, nemmeno decenti e che hanno raggiunto questi risultati, possiamo ottenere qualcosa. Mission non l'ha visto nessuno. Oltretutto, dopo la messa in onda di Mission, non sappiamo una virgola di più rispetto alle guerre e ai rifugiati. Ogni perché è stato eluso. Occorre, dunque, una riflessione anche rispetto a quello che dice la Commissione, non per censurare, ma per instaurare un dibattito e per svolgere una discussione pubblica su ciò che potrebbe non essere veramente buono per la RAI. È un programma malriuscito, ma l'abbiamo pagato noi. È una questione di cui dobbiamo parlare.

  ALBERTO AIROLA. Peraltro, è evidente che il programma è stato modificato ampiamente dopo le proteste della società civile, raggiungendo un compromesso ancora Pag. 20peggiore, perché non ha avuto neanche il riverbero spettacolare che potevano fornire quei personaggi in un contesto che a noi moralmente avrebbe fatto orrore, ma che, da un punto di vista dello share, probabilmente avrebbe premiato. In questo modo la trasmissione non ha assolto né a una funzione di entertainment, né di divulgazione culturale o documentaristica. Un documentario avrebbe ottenuto meglio il suo scopo e avrebbe fatto sicuramente più audience e share, se fosse stato realizzato bene.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Deltenre e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 18.