XVII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 9 settembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL RUOLO, L'ASSETTO ORGANIZZATIVO E LE PROSPETTIVE DI RIFORMA DELL'ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ (ISS), DELL'AGENZIA ITALIANA DEL FARMACO (AIFA) E DELL'AGENZIA NAZIONALE PER I SERVIZI SANITARI REGIONALI (AGE.NA.S.)

Audizione del prof. Fabrizio Oleari e del prof. Enrico Garaci, già presidenti dell'ISS.
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 
Garaci Enrico , già Presidente dell'ISS ... 3 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 5 
Oleari Fabrizio , già Presidente dell'ISS ... 5 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 8 
Miotto Anna Margherita (PD)  ... 8 
Piazzoni Ileana Cathia (Misto-LED)  ... 8 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 9 
Garaci Enrico , già Presidente dell'ISS ... 9 
Oleari Fabrizio , già Presidente dell'ISS ... 11 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 14 

Audizione del prof. Stefano Vella, direttore dipartimento del farmaco dell'ISS, e del prof. Alberto Mantovani, direttore del reparto tossicologia alimentare e veterinaria del dipartimento sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'ISS:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 14 
Vella Stefano , Direttore del dipartimento del farmaco dell'ISS ... 14 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 18 
Mantovani Alberto , Direttore del reparto tossicologia alimentare e veterinaria del dipartimento sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'ISS ... 18 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 20 
Miotto Anna Margherita (PD)  ... 20 
Piazzoni Ileana Cathia (Misto-LED)  ... 20 
Binetti Paola (PI)  ... 21 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 21 
Vella Stefano , Direttore del dipartimento del farmaco dell'ISS ... 21 
Binetti Paola (PI)  ... 23 
Vella Stefano , Direttore del dipartimento del farmaco dell'ISS ... 23 
Mantovani Alberto , Direttore del reparto tossicologia alimentare e veterinaria del dipartimento sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'ISS ... 24 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE PIERPAOLO VARGIU

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del prof. Fabrizio Oleari e del prof. Enrico Garaci, già presidenti dell'ISS.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del prof. Fabrizio Oleari e del prof. Enrico Garaci, già presidenti dell'ISS, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul ruolo, l'assetto organizzativo e le prospettive di riforma dell'Istituto superiore di sanità (ISS), dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Age.Na.S.).
  Ben rientrati a tutti, spero da serene attività di vacanza, augurandomi che siano state buone per tutti. Riprendiamo le attività di lavoro della nostra Commissione.
  Ricordo che l'indagine è stata deliberata il 24 luglio scorso. Finora, si sono svolte tre sedute, con le audizioni del Commissario straordinario dell'ISS, del direttore generale dell'ISS, del direttore generale di AIFA e del presidente e direttore generale reggente dell'Age.Na.S.
  Nella seduta odierna è prevista l'audizione del professor Fabrizio Reali e del professor Enrico Garaci, già presidenti dell'ISS, qui al mio fianco, ai quali porgo il benvenuto mio e della Commissione e che ringrazio per la disponibilità che hanno avuto nei confronti della nostra attività di lavoro.
  Darei, quindi, direttamente la parola al professore Reali e al professor Garaci, secondo l'ordine che loro stessi riterranno, per lo svolgimento dei loro interventi, dai quali attendiamo interessanti punti di vista sul ruolo dell'ISS, sia per il passato sia per la sua proiezione futura.

  ENRICO GARACI, già Presidente dell'ISS. Anzitutto, desidero ringraziare il presidente e la Commissione per avermi dato la possibilità di essere audito come presidente dell'Istituto superiore di sanità dal 2001 al 2013. Credo che, nel momento in cui si parla di riforma dell'Istituto, la prima preoccupazione sia quella di evitare un peggioramento dei suoi compiti e delle sue funzioni, ma semmai di avere un potenziamento e un miglioramento.
  Vorrei ricordare che l'Istituto, fin dalla sua nascita, nel 1934, ha avuto una vocazione di istituto orientato alla sanità pubblica, accompagnata anche a una vocazione molto alta nella ricerca. Vorrei ricordare che l'Istituto, fin dai primi anni, è stato un po’ la culla dei premi Nobel, che mai come allora si sono concentrati in quest'Istituto: parlo di Daniel Bovet, di Enrico Fermi, di Rita Levi Montalcini, che è stata per diversi anni all'Istituto, di Chain, lo scopritore, insieme a Fleming, della penicillina.
  Questa vocazione che unisce la ricerca alla sanità pubblica, al servizio sanitario, si è mantenuta poi nelle varie leggi di riforma che ci sono state, riportate anche nel programma che il presidente della Commissione mi ha inviato. Nella sostanza, Pag. 4possiamo dire che l'Istituto superiore di sanità è l'organo tecnico-scientifico di cui si avvale il Ministero della salute e di cui si avvalgono le regioni.
  L'Istituto è in grado di svolgere queste funzioni ? A mio avviso, sì, innanzitutto perché ha competenze date dalle risorse umane presenti, che sono elevatissime. Inoltre, ha una preparazione, una competenza a 360 gradi in tutto il panorama della sanità. L'Istituto svolge, però, bene questo compito perché anche in tutti i provvedimenti che ci sono stati nel tempo si è concepita una sua doppia anima: la vocazione alla ricerca scientifica e quella al servizio sanitario, alla sanità pubblica. I due aspetti si integrano perfettamente e direi che l'uno alimenta l'altro. Si fa, cioè, buona azione di supporto al Servizio sanitario nazionale in quanto è potenziata e alimentata dall'attività di ricerca che si svolge. D'altra parte, l'attività di ricerca trova forte alimentazione anche in questo contatto continuo con i problemi della sanità e l'emergenza sanitaria.
  A riprova di questa straordinaria competenza, da quando posso ricordare, dal 2001, ma anche da prima, non c’è mai stato da parte dell'Istituto nessun errore d'impostazione. Al contrario, i pareri e le azioni richiesti dal ministero o dalle regioni hanno dato sempre esito positivo e hanno avuto successo.
  Io non c'ero, ma posso ricordare la sperimentazione Di Bella, gli episodi legati alla mucca pazza, la SARS, l'influenza aviaria, l'influenza epidemica. Posso ricordare anche, qualche anno fa – ricordate ? – gli ortaggi killer, problema sorto in Germania. I grandi istituti anche importanti di sanità in Germania non riuscivano a venirne fuori. Fu l'Istituto a identificare un ceppo particolare di escherichia coli che poi dette luogo a un protocollo che fu mandato in tutti i laboratori d'Europa.
  Qualunque sia il nome che si voglia dargli – ho sentito tanti nomi – nella sostanza è importante, a mio parere, che si mantenga questa doppia anima. In mancanza di questo, lo Stato intero, quindi non solo il ministero o le regioni, verrebbe davvero a privarsi di uno strumento molto utile, molto importante per risolvere i problemi di sanità pubblica. Questo è quello che sento di dire come pilastro che deve rimanere dell'Istituto.
  Altre considerazioni, ovviamente, sono legate al potenziamento dell'Istituto. Potrei dire, allora, che forse è necessaria, nella composizione, nell'articolazione dei dipartimenti dei centri una maggiore flessibilità, che potrebbe essere data dal regolamento. Anziché arrivare a una forma legislativa di statuto che è difficile cambiare, si possono porre alcuni paletti, in maniera che con un regolamento si possa passare ad approvazioni più leggere, da parte del Ministero della salute o di quello dell'economia.
  Adesso abbiamo il caso dell'Ebola: si potrebbe istituire un'unità di progetto, temporanea, che viene meno una volta risolto il problema Ebola con un vaccino o altro. Questo è un esempio di flessibilità che vorrei portare.
  L'Istituto ha sempre avuto un rapporto con le regioni, ma occorre renderlo, in qualche forma, più organico. Il servizio reso già adesso dall'Istituto, infatti, andrebbe bene a tutte le regioni. Nell'interazione maggiore con le altre agenzie, come Age.Na.S. e AIFA, ovviamente devono essere comunque separate, perché ognuna di queste risponde a missioni specifiche. Un tavolo, però, di coordinamento tra questi tre istituti, tra queste tre agenzie, potrebbe essere utile. Spontaneamente, lo feci diversi anni con l'AIFA, per esempio, per gestire la fase 1 di sperimentazione, per fare campagne contro l'abuso degli antibiotici. Stabilire un tavolo di coordinamento potrebbe essere molto interessante.
  Chiaramente, se ci saranno domande, sono a disposizione, ma per adesso vorrei parlare anche di un aspetto legato a quello che può essere lo sfruttamento di nuove conoscenze dell'Istituto. Vorrei specificare il concetto di cui parlavo della doppia anima. Deve rimanere in questo settore e non può essere omologato alla ricerca Pag. 5svolta dal CNR o a quella di altri enti perché anche la ricerca deve avere un carattere transnazionale.
  Una nuova conoscenza ha valore di per sé stessa. È quanto in Istituto è avvenuto parecchie volte, perché c’è una qualità elevata, testimoniata dalla pubblicazione di articoli su Science, su Nature. È un punto importante. Nell'università, però, nel CNR, è un punto d'arrivo, mentre nell'Istituto è un punto di arrivo, ma anche di partenza. Quelle conoscenze realizzate devono essere valorizzate e sfruttate per arrivare a un procedimento diagnostico, a una cura, a un nuovo farmaco.
  In questo senso, allora, è importante anche una scelta politica, brevettuale, che l'Istituto ha avviato. Non è facile sviluppare i brevetti. Quando se ne realizza uno, come sapete, è solo il punto di partenza, poi bisogna sviluppare altre sinergie. Quello potrebbe essere, però, un aspetto molto interessante che dà all'Istituto la protezione delle nuove conoscenze, che diventano anche una risorsa del sistema pubblico.
  Per adesso, mi fermerei qui. Se ci sono domande, sono a disposizione.

  PRESIDENTE. La ringrazio, professore.
  Qui lei ha interpretato senz'altro lo spirito con cui anche i colleghi della Commissione e io stesso intendevamo il suo intervento. Siamo convinti, cioè, che nella fase delle domande ci sia l'opportunità di approfondire, in particolare sugli aspetti di criticità che abbiamo già sentito nelle audizioni precedenti, quelle che riguardano l'eventuale sovrapposizione di compiti tra l'Istituto e le due agenzie, l'ipotesi di sviluppo di competenze nel futuro che poi certifichino l'unicità di ciascuna delle tre entità di cui stiamo esaminando la mission in queste nostre indagini conoscitive. La ringraziamo, quindi, e sono sicuro che ci saranno domande.
  Darei la parola, a questo punto, al professor Oleari che, come il professor Garaci, ovviamente abbiamo ringraziato ampiamente per la disponibilità e al quale ugualmente, dopo la relazione, rivolgeremo sicuramente le domande.

  FABRIZIO OLEARI, già Presidente dell'ISS. Ringrazio il presidente e gli onorevoli deputati per quest'audizione su missione e visione dell'Istituto superiore di sanità in previsione di quella che, nel mio sentire, non definirei tanto una riforma, quanto una reingegnerizzazione del sistema agenziale italiano riguardo all'organizzazione complessiva del Servizio sanitario nazionale, con un preciso ruolo del ministero e con un ruolo ben definito delle agenzie, per loro natura molto diverse.
  Una è un'agenzia regolatoria, un'altra un'agenzia a supporto delle regioni per la parte organizzativa. L'Istituto superiore di sanità nacque all'inizio a supporto della riforma prevista dal testo unico delle leggi sanitarie del 1934: per intenderci, quella dei medici provinciali delle condotte. Chi stava alle periferie doveva saper decidere cosa fare: evidentemente, il sistema era impostato in maniera molto verticale; poi è sempre stato riconfermato come organo tecnico-scientifico, anche dopo la legge n. 833 del 1978 sul Servizio sanitario nazionale.
  Dopo la legge n. 833, il Servizio sanitario nazionale è rappresentato dall'insieme, quindi bisogna tener presente il sistema del ministero, dei servizi sanitari regionali e del sistema agenziale. Ogni reingegnerizzazione, quindi, deve tener conto di dove s'intende che si voglia andare non con un istituto, con l'agenzia B, o con l'agenzia C, ma con il sistema nel suo complesso.
  Essere organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale giustifica il ruolo, in parte già sottolineato da Garaci, da una parte di grande istituto di sanità pubblica, fin dall'inizio, ma anche di ente di ricerca. Se, infatti, bisogna capire da che parte va il sistema organizzativo complessivo, sappiamo di sicuro una cosa. Oggi, il Paese si trova di fronte a fenomeni di importante devoluzione di competenze Pag. 6verso l'alto – mi riferisco alla Commissione europea – sia verso il basso, con le regioni italiane.
  Il ruolo dell'Istituto, nella logica europea di separare i gestori dai valutatori del rischio, ha la funzione di fornire le basi scientifiche alla legislazione. In questo modo, si rende anche il Paese più competitivo.
  Capirete che basi scientifiche a legislazione possono derivare non solo e non tanto da valutazione delle conoscenze acquisite, ma per garantire al Paese una leadership in campo europeo, l'unica che oggi può conferirci un reale peso a livello dell'Unione europea è necessario anche fare ricerca, nella logica non certo del Consiglio Nazionale della Ricerca, delle università, ma in quella della sanità pubblica. Di nuovo si ricompone la questione ricerca-sanità pubblica.
  D'altronde, dovremmo cercare di capire. Quando parlo di Unione europea, non parlo dei massimi sistemi o del Presidente della Commissione europea, ma di cose molto concrete, come il programma Horizon 2020, che comprende una parte consistente relativa allo star bene, al welfare, al well-being, non solo alla ricerca pura, rispetto a cui si dice che non ci sono più soldi nel nostro Paese e andiamo a cercarli in Europa.
  È evidente che bisogna giocare questa interfaccia, avere una leadership forte per riuscire a diventare i capi, gli hub di grandi progetti europei, che non vuol dire italiani, ma vuol dire che l'Italia fa da hub di progetti europei. È la stessa cosa che succede nelle grandi infrastrutture di ricerca di cui l'istituto è l’hub. Capite che è impensabile una ricerca su una malattia rara per trovare una cura se ci sono cento casi nel mondo. Farla in Italia sarebbe ridicolo. In questo senso, occorre realizzare l'interfaccia a livello globale, europeo.
  Quanto alle regioni, sono un elemento non di debolezza, ma di forza dell'Istituto. Nel pur breve periodo in cui sono stato presidente, siglammo l'accordo con le regioni. Si faceva sì che dal fondo fosse assegnata una parte, 10 milioni – si cominciò nel 2013 – per consentire di sviluppare una serie di azioni in comune, senza il carattere dell'episodicità o dell'emergenza, per intenderci quello che succede con l'Ilva di Taranto, quello che è successo con la Terra dei fuochi.
  Poco prima della mia dipartita, abbiamo pubblicato un rapporto importante sullo stato di salute della Terra dei fuochi, Sentieri. L'attività non può di volta in volta nascere da esigenze emergenziali. Deve nascere in progetti pianificati, che fanno sì che sia necessario che si pianificano anche le risorse. Così è stato fatto con le regioni.
  Allo stesso modo, per operare con grandi reti europee, è necessario – e anche questo era stato fatto con le regioni, insieme alla bozza dello Statuto, che fu conclusa entro il 2013 – mettere insieme capitali di rischio pubblici, come per il grande progetto autismo, che consentano di sedersi al tavolo dalla Commissione europea con risorse e reti importanti, in modo da essere realmente competitivi.
  Può trattarsi solo di un grande istituto, che sia al contempo un istituto di sanità pubblica e di ricerca, che abbia le caratteristiche di un istituto europeo. Abbiamo presenti i modelli: il Robert Koch e la rete Max Planck, il Pasteur con la sua rete. I modelli europei non possono prescindere dal fatto che in Europa l'analisi del rischio, e quindi chi fa la gestione, come la Commissione, è separato da chi fa la valutazione. È il sistema europeo delle grandi agenzie, quindi, quello con cui bisogna misurarsi.
  Il tema dell'indipendenza si collega a quello delle risorse. Sarò molto breve, ma giustamente il presidente sottolineava che si può rispondere a eventuali domande. Non si può parlare per un'ora. È evidente che, se vuole assumere e portare avanti questo ruolo, non può prendere i soldi dall'azienda privata, sic et simpliciter, senza per questo necessariamente escluderla. Essere indipendenti, per fornire a chi gestisce il rischio, cioè a chi fa le leggi, che le leggi abbiano basi scientifiche consolidate, significa sicuramente essere indipendenti Pag. 7da una serie di altre forze, che altrimenti creerebbero conflitti d'interesse.
  Il bilancio dell'Istituto, peraltro – vado a memoria, potrei sbagliarmi – era di circa 100 milioni di euro come rimessa dello Stato. Nel suo complesso, con le partite di giro, l'Istituto arrivava a 300 milioni, mentre senza le partite di giro arrivava in ogni caso al doppio della cifra.
  Questi fondi provenivano da progetti di ricerca richiesti dalle regioni. Quando le regioni, infatti, hanno bisogno di sapere, ad esempio, cosa fare con le falde acquifere o col MUOS (Mobile User Objective System) sulle onde elettromagnetiche, lo chiedono all'Istituto. Lo chiedono all'Istituto il Governo, il ministero, altri ministeri oltre a quello della salute. Venivano anche dalla parte europea, dai progetti europei.
  Sottopongo all'attenzione degli onorevoli deputati il fatto che questo è sicuramente un fatto molto positivo, ma è anche un elemento che induce a ripensare le modalità di finanziamento dell'Istituto. I fondi pubblici, in termini di cofinanziamento coi fondi europei, possono produrre un richiamo di molti fondi a livello europeo. Se, però, non ci sono fondi pubblici all'inizio, è difficile produrre finanziamenti in termini di cofinanziamento a livello europeo, altrimenti s'incorre in una contraddizione.
  Cito solo l'esempio dello scopo del progetto per l'autismo, che aveva fatto sì che le regioni mettessero in comunione con l'Istituto, su iniziativa di quest'ultimo, un capitale di rischio, in modo da concorrere con reti robuste e fondi pubblici italiani, cosa che era e anzi è già pronta. Spero che questo progetto vada avanti a livello europeo, in modo da conciliare l'indipendenza con il fatto di avere un alto livello di capacità di ricerca e di ricerca in settori dove ci sono anche emergenze di sanità pubblica.
  Oggi, infatti, i disturbi dello spettro autistico interessano un bambino su 88. Tutti sanno, per citare un esempio, che nascono con disturbi del linguaggio, che poi si trasformano in disturbi della comunicazione, che poi diventano emotivi o dell'apprendimento. Tutti sanno come sia esploso il problema dei disturbi del linguaggio e del finanziamento degli insegnanti di sostegno nella scuola. Questo significa avere un grande istituto di ricerca nell'ambito della sanità pubblica, che sa giocarsi queste carte a livello regionale ed europeo.
  Per questo, in qualunque reingegnerizzazione, è ovvio che quest'insieme, questa composizione del finanziamento produca problemi gravi, come il precariato. Se i fondi per più della metà non sono «derivanti da», è chiaro che lì ci sono persone che restano precarie per decenni. Questo non è bene per un grande istituto di ricerca come questo, salvo che nei casi in cui effettivamente si tratti di progetti con una scadenza dopo la quale intervengono tutte le vie possibili, compresa quella del trasferimento tecnologico, come accennava prima il professor Garaci.
  Vedete, quindi, come alla fin fine, il tema delle risorse si colleghi al discorso della mission e della vision, del piano triennale che avevamo in preparazione, quindi della pianificazione e, come pianificazione fortemente concordata, anche in termini di risorse provenienti dal Fondo sanitario nazionale, con le regioni da una parte, secondo una previsione adeguata a livello europeo (Horizon 2020). Se tardiamo ancora un po’, Horizon 2020 continuerà a viaggiare.
  Poco fa, il professor Vella mi dava indicazioni su uno dei progetti che mettemmo insieme, importanti, quello sul foresighting. In questo breve periodo, è stato approvato dalla Commissione europea. È un grande progetto. Mi ha reso particolarmente felice e penso che questi siano esempi da seguire.
  In ogni caso, per concludere, ogni reingegnerizzazione deve tener conto di questi aspetti, perché sono quelli che inficiano e condizionano il comportamento dell'intero sistema. Non si può parlare di riorganizzazione delle agenzie senza parlare di ministero; non si può parlare di ministero e di riorganizzazione della agenzia senza parlare di regioni.Pag. 8
  Il Servizio sanitario nazionale sono le regioni e ogni regione ha il suo piano regionale di ricerca. Questo diventa anche un modo per attrarre in una pianificazione nazionale le legittime istanze e le legittime pianificazioni delle diverse aree in cui si articola il Servizio sanitario nazionale.

  PRESIDENTE. Ringrazio anche il professor Oleari. Credo sia stato interessante anche quanto abbiamo avuto modo di sentire dal professor Oreali, che immagino abbia stimolato interesse nei colleghi, che vorranno rivolgere ai due presidenti dell'ISS alcune domande, a iniziare dalla collega Miotto, che ringraziamo anche perché rompe il ghiaccio.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. Unisco anche il mio ringraziamento per queste due audizioni, particolarmente significative perché provengono da due presidenti che hanno avuto un ruolo importante in questi anni. Un particolare ringraziamento va all'apporto che danno a questa nostra indagine conoscitiva, da cui emerge chiaramente che il problema è tutto politico. In relazione alla riorganizzazione delle agenzie e degli enti, probabilmente occorre prima un chiarimento sulla mission di queste stesse agenzie. Vi ringrazio, quindi, di quest'ulteriore sottolineatura e conferma che è stata qui proposta in maniera così chiara e lucida.
  Porrò due questioni un po’ impertinenti: me ne scuso, perché il livello dell'interlocuzione è più banale. Temo, però, che la questione alla quale accennerò sia stata al centro di una riflessione che poi ha portato a questa determinazione di un ulteriore riordino.
  La prima questione è la seguente. Entrambi i presidenti, se non erro, hanno partecipato alla fase di riordino prevista dalle leggi che abbiamo alle spalle e che non si è completata durante il loro mandato. Credo sia iniziata con la presidenza del professor Garaci, quanto meno per la delega conferita al Governo per il riordino. Credo che si sia proseguito durante la Presidenza Oleari e non è conclusa. Adesso appare un nuovo riordino.
  Vorrei allora chiedere due informazioni su questo punto del riordino che abbiamo alle spalle: anzitutto, se quel riordino fosse orientato, come temo, a ragioni di contenimento di spesa; se avesse indebolito la doppia anima dell'Istituto. Non occorrono altri commenti.
  In secondo luogo, non è ancora andato avanti, si è bloccato, non è ancora completato. Secondo loro, è utile completare il riordino che era stato pensato, organizzato e in parte anche già attuato ? Dico in parte perché lo statuto era stato predisposto, ma si è fermato, come il regolamento, la riorganizzazione. Qual è il vostro giudizio ?
  Anche l'altra domanda, purtroppo, è banale. Quanto alle risorse, ora siamo in presenza di una gestione commissariale dovuta al fatto che due esercizi hanno chiuso con un disavanzo: al di là delle questioni tecnicamente discutibili che hanno condotto al provvedimento, l'Istituto regge, sta in piedi ? Il suo bilancio è sostenibile ? Si tenga presente che il Patto per la salute destina 709 miliardi di euro con gli impegni che sono stati presi, che dovrebbero comunque essere garantiti.
  Allora, visto che siete un pezzo della storia recente dell'Istituto, ritenete che le risorse consentano all'Istituto di continuare a funzionare o siamo in presenza di una spending review brutale, che mette in discussione la finalità dell'Istituto stesso ?

  ILEANA CATHIA PIAZZONI. Anch'io ho una declinazione della domanda della collega Miotto, nel senso della questione della sostenibilità del bilancio, quindi dell'eventuale impatto della spending review e, comunque, in generale, della sostenibilità anche dei cambiamenti che nella vostra esposizione sono risultati chiarissimi nella loro necessità, ma in particolare relativamente alle risorse umane.
  L'Istituto ha un tasso di precarietà particolarmente elevato. Ovviamente, la precarietà va a incidere in qualsiasi campo la troviamo, ma nella situazione dell'Istituto è particolarmente importante. Vorrei Pag. 9sapere, da chi effettivamente ha avuto la possibilità, le ragioni per cui il tasso di precarietà è così alto, se esiste la possibilità di una stabilizzazione, in quella logica di sostenibilità del bilancio cui faceva cenno la collega prima.
  Inoltre, sono assolutamente d'accordo sull'idea che il ruolo dell'Istituto debba essere visto più nel sistema complessivo che nella sua singolarità. Forse per mio limite, non ho chiaro, però, quali possano essere effettivamente le modifiche anche della vostra idea di prospettiva rispetto al ruolo dell'Istituto e rispetto all'AIFA e all'Age.Na.S.

  PRESIDENTE. Ringrazio la collega Piazzoni.
  Non essendoci altre domande da parte dei colleghi, vorrei aggiungere soltanto una richiesta di spiegazione relativa all'ipotesi di sovrapposizioni di competenze tra l'Istituto e le altre due agenzie, in particolare con AIFA, per quanto riguarda la ricerca sul farmaco, gran parte della quale si svolge, se non abbiamo capito male dalle precedenti audizioni, in collaborazione tra AIFA e ISS o, addirittura, l'ISS mette un pezzo della sua struttura al servizio di AIFA, che può così fare fronte alle competenze che le sono attribuite.
  Per quanto riguarda i rapporti con Age.Na.S. in merito ai progetti di valutazione, vorrei capire se sono così ben separati quelli di competenza dell'Istituto da quelli di competenza di quest'ultima.
  In relazione alla questione posta anche dalla collega sui precari, a me interesserebbe capire se il tema del precariato è per una certa misura fisiologico in relazione alla mutevolezza delle attività di ricerca che l'Istituto svolge, quanto eventualmente lo sia e quanto sia, invece, legato alla carenza delle risorse.
  Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

  ENRICO GARACI, già Presidente dell'ISS. Vorrei rispondere in primis all'onorevole Miotto, perché la questione del disavanzo di competenza è stato oggetto di una relazione della Corte dei conti e ha riguardato il periodo in cui ero presidente.
  Innanzitutto, i bilanci consuntivi relativi al 2011 e al 2012 sono stati approvati dai revisori, dal Ministero della salute e dal Ministero dell'economia. Dalla stampa si era percepita l'idea che a un certo punto l'Istituto avesse fatto bancarotta, ma così non è. Non c'era uno stato di sofferenza neanche in termini di liquidità di cassa. Gli stipendi erano pagati, come tutte le fatture.
  Il problema è che all'articolo 15 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, una norma fatta per gli enti da porre in liquidazione, gli enti dissestati, è stato aggiunto un comma 1-bis. Secondo tale comma, quando si realizzano per due anni disavanzi di competenza, si nomina un commissario. Lo spirito della legge era quello per cui, se c’è qualcosa che non funziona, prima che si verifichi il danno maggiore, si prende il provvedimento con il commissario.
  La legge, però, non specifica che tipo di competenza è. Qui ci si trova di fronte a una situazione diversa, per esempio, tra ministeri ed enti pubblici non economici o anche l'università. Il ministero, come sapete, ha la competenza pura, cioè ha una competenza x, ma entro la fine dell'anno deve spendere tutti i soldi, altrimenti lo Stato li riassorbe, quindi non c’è l'avanzo di amministrazione.
  Gli enti, invece, non solo l'Istituto, ma anche il CNR, hanno un avanzo di amministrazione che deve essere considerato ai fini del bilancio, quindi hanno una competenza mista. Diversamente, non si capirebbe a cosa serva l'avanzo di amministrazione, ma qualunque ente è in questa situazione.
  Con l'avanzo di amministrazione, si copriva lo scompenso della competenza pura, solo per un anno – il secondo era molto di meno – che si era verificato perché in corso d'anno la prima spending review aveva comportato per l'Istituto una riduzione del trasferimento molto consistente, quindi a bilanci già fatti. È chiaro che altri potevano magari prendere misure Pag. 10sul personale, licenziamenti e altro, cosa che non è stata fatta. C'erano, infatti, le risorse dell'avanzo d'amministrazione.
  Mi permetto, quindi, forse di dire che quanto meno questo comma 1-bis non è del tutto chiaro. Forse necessiterebbe di una qualche interpretazione. Comunque tutti gli altri parametri e indicatori dell'Istituto erano a posto.
  Certo, se la domanda che si pone è sulle risorse, ovviamente il bilancio è corretto. Se non fosse stato così, non sarebbe stato approvato dagli organi di controllo. In ogni caso, sappiamo che un po’ per tutti gli enti di ricerca le risorse sono sempre insufficienti. Che l'Istituto, come ha detto il presidente Oleari, abbia la capacità di attrarre fondi grazie alla competenza, al fatto che prende fondi europei, è un altro discorso.
  Bisogna, però, stare un po’ attenti. Ricevere, oltre un certo livello, risorse dall'esterno potrebbe significare una deroga alle funzioni di missione dell'Istituto. Questo non è avvenuto perché i fondi attratti – ad esempio dal Ministero dell'ambiente – rientrano sempre nella finalità della missione. Questo è il punto.
  Quanto alla domanda sul riordino, sono entrato come presidente col decreto del Presidente della Repubblica 20 gennaio 2001, n. 70, quindi lo statuto è stato completato. Poi c’è stato il decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 106. Ero ancora io presidente, poi è subentrato Oleari, quindi, un po’ a cavallo.
  Sul personale precario, su cui occorre intendersi bene, aggiungo che l'Istituto, pur avendo il problema dei precari, ha avuto un certo percorso di risanamento. Quando sono entrato nel 2001, l'Istituto non conosceva il contratto a tempo determinato, che era uno strumento lavorativo corretto, e aveva 800 Co.co.co., un numero veramente anomalo.
  Nel corso degli anni, sono state avviate procedure concorsuali, nei limiti di una situazione in cui già cominciavano a comparire le prime restrizioni. Questo personale ha avuto la possibilità di concorrere, di diventare contrattista a tempo determinato e poi di essere assunto nei ruoli a tempo indeterminato.
  Attualmente, abbiamo circa 1.500 persone, ricercatori e tecnici a tempo indeterminato, e all'incirca 400 contratti a tempo determinato. Il contratto a tempo determinato, come diceva Oleari, da un certo punto di vista è uno strumento fisiologico di tutti gli enti di ricerca quando si ottengono risorse dall'Unione europea; così avviene in tutta Europa. È chiaro che il contratto finisce, ma si pensa sempre di avere altri progetti. Anche il numero di 400 a tempo determinato rientra nei limiti fisiologici degli enti di ricerca. Questo numero rappresenta il 23 per cento rispetto alla pianta organica.
  La pianta organica è stata decurtata, ma attualmente sono 1.700. Credo non sia cambiata. Ci sono, oltre i contrattisti a tempo determinato, circa 80-100 Co.co.co. Quindi il problema dei precari esiste, ma è contenuto. Siccome ci sono circa 200 vacanze, se si fanno i concorsi, si può dare possibilità. Ribadisco il fatto che questo personale, a mio avviso, deve essere tutto recuperato, perché le sue competenze sono veramente eccezionali.
  Mi sento di fare quest'osservazione sul personale perché l'ho visto direttamente. Devo dire che ricercatori che lavorano a stipendi molto bassi, inferiori a quelli dei Paesi europei, svolgono il loro compito con estremo rigore. Cito sempre un esempio: molte volte, a livello giuridico, quando si dà un parere, si mette una virgola da una parte, come in ibis redibis non morieris in bello; quando sono richiesti anche pareri scottanti del ricercatore dell'Istituto, questi sono netti. Questa è anche una responsabilità, e dunque bisogna tenerne conto.
  Il presidente chiedeva delle sovrapposizioni con l'AIFA. Ce n’è una, ma bisogna valutarla per quello che è. Nella fase 1, come sapete, quando c’è una sperimentazione clinica, una volta effettuate le prove tossicologiche e così via, si passa all'uomo. Si chiama, appunto, fase 1 di sperimentazione, che l'Istituto ha sempre fatto fino a pochi anni fa. Non l'ha fatto l'AIFA Pag. 11perché quella è una funzione legata anche alla presenza di analisi, di esami che richiedono un laboratorio, che l'AIFA non ha, poiché non ha laboratori né ricercatori.
  Feci presente all'allora Ministro Balduzzi, poiché la legge aveva spostato tutto sull'AIFA e la stessa riconosceva che non poteva svolgere quest'attività, e si arrivò a una forma d'accordo che secondo me funziona: tutta la parte legata all'istruttoria è svolta dall'Istituto, mentre tutta la documentazione è mandata all'AIFA, che firma il decreto finale.
  Per quello che riguarda gli altri enti, penso che debba rimanere la separatezza, ma un tavolo, una commissione di coordinamento coi rappresentanti di presidenti e ricercatori dei tre enti sarebbe possibile, perché ci sono aree di possibile sovrapposizione: le linee-guida sono un esempio di questo. Il coordinamento può essere utile a tutti e alcune azioni sono svolte dall'Age.Na.S., altre dall'Istituto.

  FABRIZIO OLEARI, già Presidente dell'ISS. Andrò con ordine, cercando di essere sintetico. La prima questione posta dall'onorevole Miotto riguardava i diversi riordini e se il riordino abbia indebolito l'Istituto. Penso che la risposta sia molto semplice: se una norma di riordino non viene attuata, è difficile rispondere.
  Peraltro, ad esempio, il D.Lgs. n. 106 citato dal professor Garaci, promulgato nel 2012, prevedeva lo statuto – ho letto anche le memorie messe a disposizione dal presidente sui lavori di questa Commissione – che resta fondamentalmente da attuare. Per molti meccanismi, infatti, resta in vigore il decreto del Presidente della Repubblica n. 70. Per questo era così importante lo statuto ed è per questo che dalla metà 2013 si lavorò alacremente perché fosse pronto entro la fine di settembre. Oltretutto, già allora si parlava di tempi scaduti, quindi di commissariamento non dovuto a soldi, ma ad altre questioni.
  Si tratta, quindi, di consentire i tempi, magari ponendo paletti seri, per arrivare a sperimentare un modello, altrimenti si resta ancorati al vecchio, nel qual caso non si aggancia il vagone che citavo all'inizio, un sistema con un'interfaccia fortissima con l'Europa e anche molto forte verso il livello nazionale, come per le regioni. Se dialogassimo solo con le regioni, però, e perdessimo il vagone europeo, avremmo comunque perso.
  Quanto alla spending review, certo, il ragionamento condotto in maniera un po’ complessa, secondo me, è quello sul verificarsi di un disavanzo di competenza, che poi alla fine del 2012, gestione a cui si riferiva al professor Garaci, era di 4,7 milioni di euro su un bilancio di qualche centinaio. Nel momento in cui arrivai, a maggio, recuperammo, per la metà quella cifra entro la fine del 2013.
  Può esserci un disavanzo di competenza, come citano le opportune disposizioni del Ministero dell'economia – questo vale anche per tutti gli altri enti – purché sia compensato da un avanzo di amministrazione, che sia effettivamente realizzato e disponibile, come recita la norma. Il bilancio dell'Istituto è chiaramente in grado di pagare gli stipendi e via discorrendo: i fornitori, gli stipendi sono pagati, quindi non c’è nessuna situazione di default. C’è default quando non si riescono a pagare le fatture e gli stipendi. Il ragionamento, quindi, è teorico. Si tratta di capire se l'avanzo di amministrazione sia effettivamente realizzato e disponibile.
  Nella memoria da me fornita, che pareva non aggiungesse nulla agli elementi già in possesso, per cui ci sarà anche un pronunciamento a livello di tribunale amministrativo, pareva di capire che ci fossero, effettivamente, la realizzabilità e la disponibilità di quell'avanzo di amministrazione. Abbiamo già consegnato le nostre memorie, quindi chi avrà da decidere, deciderà.
  È chiaro che la spending review è importante. Se c’è un disavanzo alla fine del 2012 di 4,7 milioni e c’è un taglio sulla competenza di 5 milioni, se il taglio si ripete per 5 milioni per due anni successivi, è chiaro che può esserci un disavanzo di competenza. In quel caso, però, verrebbe Pag. 12meno l'Istituto, ma non avviene perché c’è l'avanzo di amministrazione. La risposta è, quindi, che non ci sono sofferenze nel bilancio dell'Istituto. Da quanto ne so, si è ricostruito – stiamo parlando del periodo 2011-2012, che riguarda la gestione Garaci, mentre, come sapete, la mia gestione si limita al 2013 – e ripeto che su questo deciderà il giudice amministrativo.
  Quanto al discorso dell'onorevole Piazzoni per cui tutto questo si collega al precariato, non c’è dubbio. Cito un esempio anche per l'onorevole Miotto. La dotazione organica dell'Istituto riconosciuta dal Dipartimento della funzione pubblica è di 1.744 persone, numero che ho ben piantato nella mia memoria, ma queste non sono tutte coperte. Come sapete, infatti, a un certo punto intervenne il blocco degli organici, per cui ce ne sono 1.539, e avanzano 205 posti, in dotazione che non si possono coprire.
  In base alla legge n. 101 e alla regolazione del turnover, è chiaro che si può coprire soltanto una piccola percentuale di quest'ultimo. Sono da stabilizzare persone che servono e sono lì da 20, 15, 10 anni e sono state Co.co.co., Co.co.pro., borsiste, contrattiste, sono passate attraverso tutte le forme possibili dell'arcobaleno giuridico italiano in termini di contratti. Tenete presente – consentitemi quest'osservazione, anche perché credo che sia forse una delle ultime volte che posso parlare in questa aule, correggetemi se sbaglio – lo stipendio di un primo ricercatore dell'Istituto superiore di sanità è pari più o meno a 67.500 euro lordi. Stiamo parlando di personale di ruolo: confrontatelo con lo stipendio del personale del Servizio sanitario nazionale.
  Con queste retribuzioni, quindi, utilizzando il contratto di ricerca, senza la possibilità di coprire i posti vacanti in dotazione organica, senza ovviamente la possibilità di ampliare la dotazione organica, comunque ci arrivano le richieste. Se c’è la Terra dei fuochi, ci si chiede di fare il progetto Sentieri; se c’è il problema del MUOS a Caltanissetta, ci si chiede di farne la valutazione del rischio; se c’è il problema della Caffaro a Brescia, ci si chiede di farne la valutazione del rischio; se c’è il problema di costruire il modello d'inquinamento dell'Ilva di Taranto, si chiede all'Istituto di costruirlo. Si ha bisogno di gente, quindi, di ricercatori preparati, senza i quali, senza gli specialisti di modelli, non si può riuscire in una serie di operazioni.
  Ovviamente, in tema di sovrapposizioni, presidente, l'Istituto è diverso da AIFA e da Age.Na.S. per un semplice fatto: non è composto di uffici, ma di laboratori, come quelli di radiodiagnostica, per capire come funzionano i modelli animali, come sono fatte le molecole. Quando i Carabinieri del NAS sequestrano molecole di farmaco, ritenendo che non siano congrue, questo materiale viene portato all'Istituto. Come si fa ad analizzare questo materiale ?
  Al di là della discussione sulla competenza, guardate quali sono gli investimenti in conto capitale nell'Istituto, in apparecchiature e strutture: pochissime rispetto al bilancio complessivo. Ebbi occasione di dire che, più della competenza, che mi non preoccupava per niente, mi preoccupano gli investimenti in conto capitale.
  Se si ha una risonanza magnetica nucleare che risale al 1982 e serve per studiare come funzionano le molecole e i farmaci negli animali e non si hanno i soldi per cambiarla, casomai è lì che dovremmo discutere, non sul disavanzo di competenza di 4,7 milioni, peraltro ridotto a 2,5 milioni alla fine del 2013. In tema di sovrapposizioni, quindi, a mio avviso deve esserci una forte integrazione tra i compiti.
  Quanto alla farmacopea, è chiaro che in quella ufficiale è coinvolta l'AIFA. Se, però, serve la parte laboratoristica, perché farmacopea significa anche svolgere analisi chimica dei farmaci, serve un laboratorio chimico per analizzare quelle molecole: non può che farlo l'Istituto.
  I farmaci sono autorizzati dall'AIFA nell'ambito di un processo regolatorio, ma poi sono acquistati dalle aziende sanitarie locali sulla base del prontuario regionale, Pag. 13dati alle aziende. Non c’è, quindi, solo un problema di autorizzazione di attività regolatoria, ma tutto quello che viene dopo, quando il farmaco entra nell'attività del Servizio sanitario nazionale. Questo è un compito tipico che riguarda AIFA, Age.Na.S. e Istituto superiore di sanità. Non si tratta tanto di dividere, ma di integrare e non nel senso di ristrutturare, ma in quello di capire chi fa cosa. Queste cose, infatti, non si risolvono, presidente, spaccando il capello in quattro con le competenze.
  La ricerca, come accennavo, è difficilmente definita e definibile in competenze. Il tipo di ricerca che effettuiamo, per esempio, è diverso, come diceva Enrico Garaci, rispetto al CNR. Ma qual è il sottile limite ? Quando qualcuno si ammala di un tumore, di una sarcoma della parete toracica, per esempio, bisogna togliergli la parete toracica. Vuol dire che bisogna metterci una protesi.
  Se studiamo come industrializzare la protesi della parete toracica, ovviamente lavoriamo con i chirurghi, con gli istituti di ricerca e cura a carattere scientifico. Lavoriamo, da una parte, in un mondo della ricerca in cui servono specialisti di resine e ricercatori aerospaziali, specialisti stampisti; dall'altra parte, coi chirurghi toracici, perché poi impiantiamo nel soggetto col cancro questa parete toracica. La sperimentazione dovrebbe iniziare tra poco.
  Quanto all'autismo, c’è più d'un farmaco in sviluppo in Europa e conosciamo l'azione di questi farmaci, come anche dei farmaci più banali, come l'aloperidolo. Si dà a un bambino che ha quei disturbi dello spettro autistico l'aloperidolo e in uno funziona e nell'altro no, in uno funziona un dosaggio, in un altro ne funziona un altro perché spesso non conosciamo il profilo genetico di questi bambini e dobbiamo studiare e farlo anche con le infrastrutture.
  Credo che, quindi, per ribadire il concetto a monte, se prescindiamo da quanto c’è da fare, spaccando il capello in quattro con le competenze, può essere una reingegnerizzazione che lascia esattamente il tempo che trova e ci riporta alla prima domanda dell'onorevole Miotto. Si tratta di capire dove vogliamo che tenda il sistema, cosa c’è da fare per il sistema, e quindi chi ci fa cosa.
  In tutta franchezza, non credo sia possibile importare modelli preconfezionati. L'Istituto, come sa anche Enrico Garaci, lavora. Io lavoravo con l'NIH, lavoravamo con il Pasteur, con il Robert Koch, con gli istituti arabi, inglesi, svedesi, col Karolinska: nessuno di quei modelli può essere preso così com’è, calato nella realtà, per i motivi che vi ho detto a monte, perché ci sono due interfacce, le regioni da una parte, l'Europa dall'altra e un sistema profondamente diverso. Procedere alla reingegnerizzazione è utile, secondo me, ma in funzione di un obiettivo che deve essere prima definito.
  Quanto all'unificazione, bisogna capire i contratti. Come ho visto nella memoria – poi vi lascio in pace – nell'Istituto c’è anche il Centro Trapianti e il Centro Sangue. Sono qui a Roma da un po’ di tempo ed ebbi modo di seguire la revisione della legge sul sangue, poi ho seguito tutta la storia dei trapianti, la costruzione del Centro Nazionale Trapianti.
  Lo collocammo nell'Istituto per ovvi motivi; dove potevamo collocarlo ? Non poteva che stare in un istituto che fa ricerca nell'ambito della sanità pubblica. È ovvio che va chiarito. Ci sono problemi perché questi non lavorano con quel contratto della ricerca. Abbiamo tutto il personale, 1.744 persone, con contratto della ricerca, ma quelli del Centro Sangue e del Centro Trapianti non sono ricercatori. Sono nel centro operativo e destinano gli organi, quindi sono medici, anestesisti, trapiantologici: vedete che qui certo si creano delle discrasie, va aggiornato, ma un conto è aggiornare, un conto è altro.
  Questa realtà composita, che ha preso queste forme così particolari, è fortemente standardizzabile ? Secondo me, non lo è, almeno non in tempi molto rapidi. Occorre uno sforzo importante per avviare un processo che non chiamerei di riordino, Pag. 14ma probabilmente di reingegnerizzazione. Stiamo parlando, infatti, di un ambito tecnico-scientifico lì dentro. Bisogna capire cosa vuole esattamente il legislatore, il ministero, e che l'Istituto deve essere indipendente.
  Se non lo è, come sono indipendenti le grandi agenzie europee dalla Commissione, non si verificherà questo circolo virtuoso e quest'assunzione nuova di leadership da parte del Paese. Non riusciremo, in questo modo, neanche ad agganciare alcuni grossi eventi.
  Penso di aver risposto, più o meno, e spero di essere stato chiaro.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Oleari e il professor Garaci.
  Credo che abbiamo sentito anche questa volta cose decisamente interessanti, che ci aiuteranno ad arrivare al termine della nostra indagine conoscitiva con un'idea precisa, come intendevamo fare quando abbiamo iniziato l'indagine. Vi ringrazio ancora davvero di cuore anche per la disponibilità, oltre che per la chiarezza e la competenza.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del prof. Stefano Vella, direttore del dipartimento del farmaco dell'ISS, e del prof. Alberto Mantovani, direttore del reparto tossicologia alimentare e veterinaria del dipartimento sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'ISS.

  PRESIDENTE. Colleghi, continuiamo le nostre audizioni e proseguiamo la seduta.
  L'ordine del giorno reca l'audizione del prof. Stefano Vella, direttore del dipartimento del farmaco dell'ISS, e del prof. Alberto Mantovani, direttore del reparto tossicologia alimentare e veterinaria del dipartimento sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'ISS, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul ruolo, l'assetto organizzativo e le prospettive di riforma dell'Istituto superiore di sanità (ISS), dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) e dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Age.Na.S.).
  Ovviamente, porgo ai nostri ospiti il benvenuto mio personale e dell'intera Commissione. Li ringrazio vivamente di aver raccolto quest'invito, quindi della disponibilità che hanno manifestato nei confronti dell'attività della Commissione. Anche il professor Vella e il professor Mantovani sono informati, hanno letto nell'invito che gli abbiamo rivolto i motivi per cui stiamo svolgendo l'indagine conoscitiva, per cui sanno cosa vorremmo sentire nei loro interventi.
  Anche a loro rivolgo la preghiera di essere, se possibile, sintetici nell'introduzione, ipotizzando che ci siano, come ci sono state col professor Garaci e col professor Oleari, molte domande da parte dei colleghi commissari.
  Do la parola agli auditi.

  STEFANO VELLA, Direttore del dipartimento del farmaco dell'ISS. Ringrazio il presidente Vargiu e tutti i membri della Commissione per averci invitato.
  È un grande onore poter parlare in questa sede del nostro Istituto. Mi perdonerete un po’ di emozione, ma una delle caratteristiche di noi che lavoriamo in Istituto è l'avere un grande senso di appartenenza a quest'istituzione, perché sentiamo di occuparci del bene comune.
  Ho scritto due note, ma non leggerò tutto. Vorrei parlare di due cose: ciò che rappresenta oggi l'Istituto; e quello che potrebbe fare in più per il Paese, in futuro.
  Sapete che i sistemi sanitari attraversano un momento drammatico. Il nostro, tra l'altro, è una specie di miracolo, perché è un vero sistema sanitario universalistico. L'Inghilterra, la Spagna hanno problemi importanti. Noi ancora reggiamo, siamo ancora vivi, ma la crisi è seria.
  Conoscete anche i motivi di queste crisi, spesso letti in senso negativo, ma ovviamente con aspetti anche positivi. L'aumento dell'aspettativa di vita ad esempio è, certo, una cosa bellissima, che però fa sì che si invecchi, con la conseguenza dell'aumento della prevalenza delle malattie croniche.
  Poi, c’è il progresso scientifico straordinario della medicina. Se ci prende un Pag. 15infarto, adesso, qua, forse ci salvano, mentre fino a pochi anni non sarebbe successo. Ci sono nuovi farmaci straordinari, una cosa bellissima, ma purtroppo costano. Insomma, molte persone anziane, cronicità, polimorbilità.
  Poi c’è il problema che è aumentata la richiesta da parte del cittadino, fatto questo positivo. È aumentata la richiesta di qualità, perché il cittadino è informato.
  Tutti questi fattori che sembrano negativi, sono da considerare, invece positivi, ma dall'altra parte c’è un peso importante sul sistema sanitario.
  Occorre tener presenti due altre cose di cui sono un po’ appassionato: una visione della salute diversa dal passato, non più quindi soltanto l'assenza di malattia. Stiamo parlando della visione della salute come qualcosa di molto più vasto, che riguarda il well-being, uno snodo più complesso.
  Poi c’è il concetto di salute globale. Attualmente, si parla in ogni momento di Ebola: ci accorgiamo solo adesso che siamo in un Mondo globalizzato ? Probabilmente, non ci saranno problemi, come penso, per i Paesi occidentali ma ci si accorge soltanto adesso che il Mondo è più vicino ? Chiunque possa pensare di risolvere i problemi di salute solo a casa propria sbaglia.
  Ora, cos’è oggi l'Istituto ? Due cose fondamentali. È una struttura multidisciplinare senza eguali al mondo. Lo dico non solo perché sono affezionato all'Istituto, ma perché è vero. Altri Paesi hanno tante strutture simili, ma non tutte abitano sotto lo stesso tetto. Abbiamo al suo interno medici, biologi, chimici, fisici, epidemiologici, sociologi – la medicina, infatti, non è solo «medicina» – veterinari, tecnici straordinari. Si occupa di medicina, di salute con il concetto allargato dell'OMS, si occupa di sanità alimentare, di ambiente. E abbiamo esempi recenti dell'impatto dell'ambiente sulla salute, l'Ilva, la Terra dei fuochi, l'amianto e via elencando.
  L'Istituto certo si occupa un po’ meno di ricerca fondamentale: non siamo una università o il CNR. Certo l'istituto si occupa di fare anche ricerca fondamentale, ma soprattutto è orientato a far ricerca in sanità pubblica. Questo è molto importante ed ecco perché dobbiamo definire cosa fa l'Istituto: ricerca per la sanità pubblica. Non si può occupare troppo di cellule «rintorcinate».
  Ovvio, un po’ di ricerca fondamentale è importante, soprattutto perché, se qualcuno ci chiede un parere, ad esempio al mio dipartimento – che è quello del farmaco – ovvio facciamo anche ricerca sui nuovi farmaci. Perché, se qualcuno ci chiede un parere, se ho un curriculum scientifico e quindi so di cosa parlo, forse il mio parere è più affidabile. La ricerca ha anche la forza di supportare quello che andiamo a dire, ma il clou della ricerca dell'Istituto è quella in sanità pubblica.
  La differenza che c’è tra l'Istituto e le altre agenzie di cui parlerete è anche questa. Le altre agenzie non fanno ricerca, la usano. Certo, l'AIFA esamina le pubblicazioni scientifiche, vede i dossier e decide cosa sia buono o meno. Non fa, però, ricerca, la usa. Noi la facciamo in casa. Ho i banconi con le provette. Lì si tratta di scrivanie.
  È importante fare ricerca in sanità pubblica oggi, mentre i sistemi sono in crisi, perché la ricerca, quindi l'evidenza, è l'unico modo per prendere decisioni giuste. Se devo decidere se sia meglio questo o quello, non posso deciderlo in base al costo. Cito quest'esempio perché potrebbe essere semplice guardare solo al costo. La ricerca, invece, deve fornire i dati su cosa sia davvero meglio per la salute.
  Vedo, anche, l'Istituto come uno straordinario strumento di risparmio. In realtà, la salute non dovrebbe essere considerata una spesa, è un investimento. Un Paese che non sta bene, infatti, non cresce neanche. Nei Paesi in via di sviluppo, abbiamo visto anche questo: se il Paese non è in salute, non cresce. Fuori verbale dico che purtroppo noi non cresciamo anche se di fondo stiamo bene con il sistema sanitario.Pag. 16
  L'istituto servirebbe quindi a «informare». Non assume decisioni politiche, com’è chiaro, in quanto non è un organo politico, ma è un organo che informa le istituzioni affinché prendano le giuste decisioni. Non decidiamo, dunque, niente. Descriviamo semplicemente l'evidenza, affinché altri possano decidere al meglio.
  È inutile adesso elencarvi le centinaia di attività svolte dall'istituto. C’è un libro pubblicato sul sito, una cosa enorme. Ad esempio, teniamo la sorveglianza di tutte le malattie. Cioè, sappiamo cosa succede nel Paese. Del resto, se non si sa cosa succede nel Paese, non si può prendere una decisione. Se non si conosce il traffico di Roma, non si può sapere, eventualmente, come risolverlo. Noi sappiamo cosa sta succedendo.
  Ci occupiamo anche di malattie rare, un'attività che non rende molto, ma di cui comunque noi ci occupiamo. Studiamo i determinanti della salute. Vediamo i trend dei determinanti, il fumo e via elencando. Questo serve per prendere decisioni di prevenzione. Bisogna fornire i dati al ministero per portare avanti una politica di prevenzione, specificare cosa si debba consigliare e cosa invece fa male.
  Parlo ora del Dipartimento del farmaco, di cui mi occupo. Ho anche scritto un articolo in merito alla ragione per cui sia l'AIFA sia l'Istituto si occupano di farmaci. Abbiamo delle piccole differenze. L'AIFA è un'istituzione regolatoria, che decide sulla rimborsabilità di farmaco. Ma la vita di un farmaco non finisce con la sua registrazione. Certo, l'AIFA si occupa anche di sorveglianza, com’è importante che sia, di vigilanza sugli effetti collaterali, ma la vita, del farmaco non finisce quando si registra, se è davvero utile o meno si capisce dopo. Noi svolgiamo questo tipo di studi.
  Innanzitutto, lavoriamo sull'efficacia comparativa, sull'appropriatezza. Noi medici talvolta usiamo i cannoni per sparare a una zanzara. Abbiamo ad esempio arrecato danni straordinari usando gli antibiotici a pioggia. Sapete meglio di me che c’è un problema di resistenza proprio perché manca l'appropriatezza. Il che significa usare la cosa giusta per ogni problema. E non parlo solo dei farmaci: quante PET, TAC o risonanze magnetiche sono fatte senza una vera motivazione ? Da lì discende la necessità delle linee-guida, sulle quali speriamo di cominciare a lavorare insieme ad Age.Na.S.
  Ci occupiamo di altri aspetti importanti, come il controllo della qualità dei medicinali. L'AIFA ci incarica di controllare che in una certa bottiglia ci sia esattamente quello che vi è scritto. Lavoriamo per contrastare la contraffazione o la produzione di droghe. Nel nostro dipartimento, svolgiamo un grosso lavoro sulle droghe: i mascalzoni che sono in giro ne realizzano cinque o sei nuove a settimana. Se non si fa ricerca, non si riuscirà mai a «beccarli».
  In tema di doping: le sostanze dopanti vanno più veloci di noi che cerchiamo di controllare e fermare chi le usa. Ogni tanto, prendono qualche ciclista dopo due anni. Ci si chiede: perché non si possa verificarlo il giorno stesso che ha fatto la pipì dopo la gara ? La realtà è che ha usato una sostanza nuova difficile da beccare. È una rincorsa continua. Questo vale per le nuove droghe, le smart drugs, e per tutte le sostanze d'abuso. Facciamo anche questo.
  In conclusione, tornando allo studio dell'appropriatezza, ripeto che si tratta di un discorso estremamente importante di risparmio. Se qualcuno deve risparmiare, bisogna che lo si faccia sull'evidenza.
  Vorrei ora dire cosa può fare in futuro l'Istituto. Innanzitutto, faccio tre piccole premesse forse un po’ ingenue. L'Istituto avrebbe la capacità di mettere le persone intorno a un tavolo. È un aspetto straordinariamente potente. L'Istituto è sentito come una parte terza e questo Paese ha tanto bisogno di terzietà, ossia di persone che non hanno conflitti di interessi. Non dico che non ci siano nell'Istituto e che non debbano essere contrastati, ma la terzietà dell'Istituto è sentita nel Paese.
  Adesso sto lavorando sui farmaci dell'epatite, una straordinaria innovazione, Pag. 17che sono stati recentemente registrati. Stiamo portando avanti un grandissimo progetto, con 10.000 pazienti seguìti per dieci anni, per verificare l'impatto, un aspetto diverso dalla registrazione. Sono, infatti, farmaci efficaci, ma non sappiamo ancora se siano effective, se abbiano effectiveness, come dicono gli inglesi, vale a dire la capacità di cambiare la storia naturale della malattia nella pratica corrente. Un conto è registrare i farmaci in base ai trials, altro è verificarli nella vita reale. Sono due aspetti diversi e noi ci occupiamo di questa seconda parte.
  Al discorso di mettersi intorno a un tavolo tengo tanto. Ho visto, per esempio, che abbiamo messo d'accordo gli epatologi e gli infettivologi, perché ognuno ha le proprie idee. Abbiamo detto loro che ci saremmo stati noi, l'Istituto, di non preoccuparsi, che saremmo stati, umili, dietro di loro, e che facevamo un servizio per metterli insieme.
  L'Istituto ha anche un altro aspetto fondamentale: quello di essere ancora rispettato dai cittadini. Se ci date una mano, lo sarà ancora di più in futuro. I cittadini sanno «’ndo’ sta» l'Istituto – scusate la romanità – non sa, cioè, dove sono tante altre cose, ma sa dove si trova l'Istituto, «ah, sì, quello al Verano». È ancora sentito come la Banca d'Italia di una volta, cioè come un'istituzione che lavora per il bene comune. Insomma, è ascoltato dal cittadino, che vuole sapere «cosa dice l'ISS».
  Certo, non possiamo sapere tutto, ma sappiamo prendere e mettere tutte le competenze esterne del Paese intorno a un tavolo. Ne abbiamo tante al nostro interno, ma non tutte evidentemente.
  Infine, nella salute c’è un problema anche di equità, oltre che di efficienza dei sistemi sanitari. Equità vuol dire avere attenzione alle popolazioni più fragili, aspetto che fa parte della salute globale e del nostro approccio.
  Penso che il ruolo dell'Istituto per il futuro potrebbe essere di fungere da raccordo tra le decisioni «centrali» di sanità, centrali anche nei Paesi occidentali più avanzati, e chi queste decisioni deve applicarle, ad esempio le regioni. Dovremmo essere lo snodo, e in futuro dovremmo lavorare di più con la periferia.
  Di cosa avrebbe bisogno l'Istituto ? Occorre, innanzitutto, sanare il problema dei precari. Lo avrete forse già pensato, ma dico di nuovo qui che non abbiamo presi per caso i nostri tanti precari, ma perché servivano, mentre si dice che qualcuno di questi era «figlio di quello o quell'altro».
  Fondamentalmente, li abbiamo presi perché ci servivano. Non abbiamo pianta organica sufficiente, quindi, con tutti gli impegni che abbiamo, abbiamo preso personale con contratti atipici. Ne abbiamo presi troppi, forse. Adesso, però – per me, è un problema simile a quello che attanaglia la scuola – abbiamo formato queste persone. Quindi, non è solo un problema umano quello di sanarli, perché molti sono lì da vent'anni. È anche un problema, un danno patrimoniale se li mandiamo via, perché dovremmo poi formarne altri 400.
  Il secondo punto è che bisogna rinforzare il collegamento con le regioni, con la periferia. Bisogna sanare questa parte del precariato, anche perché è un prosciugatore di risorse, oltre a darci la forza di lavorare.
  Infine, occorre che l'ISS lavori con le regioni, e ridefinire precisamente i contorni del nostro rapporto con le altre agenzie, perché a volte ci sono delle sovrapposizioni.
  Adesso, abbiamo un nuovo statuto che sta arrivando, e che ci mostra una via, ma forse non basta in mancanza di qualche legge primaria che definisca paletti ben precisi sulle attività da svolgere.
  Scusate, inoltre, se ne parlo qui, ma penso sia utile che lo facciamo: la parte dell'indipendenza economica dell'Istituto è essenziale. Non dico solo che dobbiamo avere più soldi dallo Stato, molti ne troveremo da soli, ma per essere terzo, bisogna essere indipendente. Non si è considerati terzi se si dipende da qualcosa.
  Qualora, ad esempio, dovessimo correlarci con il privato, come potrebbe succedere, oltre a sanare o regolare qualsiasi Pag. 18tipo di conflitto di interessi eventuale, dobbiamo pensare che questo contributo eventuale deve essere aggiuntivo alla nostra dotazione, altrimenti si finisce in conflitto d'interessi. Faccio un esempio: quando una qualsiasi persona va a fare una conferenza per la Fiat, non ha conflitto d'interessi se il contributo erogato per la conferenza non incide sul suo introito annuale. Se si dipende in modo sostanziale, è chiaro che non si è più liberi. Deve essere un «di più». Non si può stare alla canna del gas, altrimenti non si è liberi.
  Da ultimo, mi permetto una battuta: siamo contenti di essere vigilati dal Ministero della Salute, perché l'attuale ministro tiene al servizio sanitario, come ha dimostrato, e anche all'Istituto. Penso, però, che per essere veramente terzo e forte, l'Istituto dovrebbe essere vigilato dal Parlamento, anche se può sembrare paradossale, cioè dai cittadini, non dal ministro di turno o dal ministero. Dovrebbe veramente diventare un'istituzione vigilata dalle persone per le quali alla fine lavoriamo.
  Mi fermo qui. Forse ho chiacchierato anche troppo.

  PRESIDENTE. È perdonato per la passione che ha senz'altro trasferito all'uditorio.
  Darei la parola al professor Mantovani per la sua relazione.

  ALBERTO MANTOVANI, Direttore del reparto tossicologia alimentare e veterinaria del dipartimento sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'ISS. Desidero, innanzitutto, rivolgere un ringraziamento non formale, perché nella mia esperienza – ormai da trent'anni svolgo questo mestiere – l'interazione tra ricerca e società è vitale, anche quando quest'interazione assume toni caldi. È assolutamente vitale. Ringrazio, inoltre, l'amico Stefano Vella, perché mi pone una sfida. Dopo un intervento così ampio e appassionato, cercare di dire qualcosa è indubbiamente una sfida.
  Come forse avrete notato dalla mia affiliazione – svolgo la professione di tossicologo e opero nel settore della sicurezza alimentare – lavoro sui grandi temi della prevenzione. Vorrei riprendere, senza assolutamente pretendere di avere l'ampio respiro di Stefano, il concetto dell'Istituto superiore di sanità come patrimonio e risorsa per il Paese – parlo anche da cittadino, perché alla fine sono un cittadino che si ciba, che va in giro, che paga le tasse – non solo, ma in particolare come unico grande istituto, correggimi Stefano se sbaglio, scientifico pubblico italiano dedicato con ampio settore, il 40 per cento e forse anche di più, ai grandi temi della prevenzione, alimentazione, ambiente e stili di vita.
  Tenterò di portare anche qualche piccolo esempio per far capire, com’è dimostrato sul nostro sito – non parliamo di pubblicazioni scientifiche, possiamo anche vederlo sul sito – come l'Istituto, che è anche, come ha detto giustamente Stefano, un ente scientifico oltre che di sanità pubblica, possa spingere per la prevenzione.
  Perché la prevenzione è importante ? Signori, siamo nel Paese dove si muore di meno, ma in cui ci si ammala di più. Allora, bisogna fare qualcosa per ridurre la spesa e, aggiungo perché culturalmente devo dirlo, anche il carico sociale e di sofferenza a esso associato: quindi, prevenzione primaria sui fattori di rischio (alimentazione, ambiente e stili di vita), ma anche prevenzione terziaria.
  Per i tanti che stanno male, il diabetico o il cardiopatico, avere un contesto di vita favorevole è importante per la qualità della vita. Chi è ammalato non è condannato. Un contesto di vita favorevole è importante. Sarebbero i gruppi fragili di cui si parlava.
  Concretamente – lo dico perché non sono un filosofo, assolutamente – cosa può fare, cosa ha fatto, cosa deve fare l'Istituto superiore di sanità per la prevenzione ? Sostanzialmente, abbiamo due grosse componenti. Una è chiarire le incertezze, Pag. 19le lacune conoscitive che ci impediscono di agire. Se non so, è evidente che sparo un po’ a caso.
  Cito due esempi di grosse questioni a livello europeo su cui con i dati dell'Istituto si è andati e si sta andando avanti. In relazione alla mucca pazza, l'encefalopatia spongiforme, dal punto di vista sia veterinario sia medico, per il mio settore più specifico i contaminanti chimici, senza l'Istituto superiore di sanità l'Italia avrebbe avuto ben poco da dire sull'aspetto piuttosto scottante dei contaminanti con effetti endocrini, gli interferenti endocrini. Prima di tutto, quindi, bisogna trovare le evidenze per agire.
  Vengo alla seconda componente. Una volta che si dispone delle evidenze, bisogna trasferirle con metodologie e linee-guida. Campagne importanti dell'Istituto sono basate su evidenze. Resto sempre nel mio orticello, nel mio settore, come nel caso della campagna per il sale iodato, su cui l'Istituto ha un ruolo centrale, perché siamo un Paese che ha parecchi problemi tiroidei da carenza iodica.
  A questo punto, mi riallaccio – scusate l'inciso – a quanto diceva Stefano Vella, a proposito di multidisciplinarietà, dell'epidemiologo, dell'endocrinologo, anche dei chimici per i programmi di monitoraggio che stanno seguendo la campagna del sale iodato e della capacità di metterci tutti intorno a un tavolo intorno all'Istituto superiore di sanità. È evidente che l'Istituto da solo non può fare tutto, ma è stato uno dei componenti del tavolo tecnico-scientifico per permettere di lanciare questa campagna.
  Un aspetto estremamente importante in fieri è proprio la protezione della generazione futura – scusatemi se è poco – in particolare il network per la prevenzione delle malformazioni congenite, ma non solo, tramite la diffusione dell'acido folico. Quello delle malformazioni congenite è un problema sottovalutato, ma di un peso anche numerico assolutamente non indifferente. Servono, quindi, conoscenza e trasferimento della conoscenza.
  La multidisciplinarietà, caratteristica per la quale una struttura dell'Istituto, compreso il dipartimento in cui sto lavorando adesso, si trova ad avere il medico, il chimico, il veterinario, il biologo molecolare, che possono stare tutti allo stesso tavolo, anche se – sono d'accordo con Stefano – ciò deve essere potenziato.
  Deve essere una strategia per il futuro, dà il valore aggiunto che permette l'intervento in situazioni anche di crisi, di emergenza, che non deve essere necessariamente l'Ebola. Può essere un rischio emergente e anche uno che non so affrontare con gli strumenti che possiedo attualmente. Devo, quindi, mettere più competenze intorno al tavolo per dare a chi prenderà le decisioni, ovviamente non noi, gli strumenti per agire.
  Vi porto ancora una volta un esempio. Un progetto importante, a cui non ho partecipato, è stato quello per cui l'Istituto ha fatto rete, il progetto Sentieri sui siti a rischio nel territorio nazionale. L'Istituto superiore di sanità è stato il primo a fornire i dati su cui cominciare a lavorare su questi siti a rischio.
  Nella scienza per la sanità pubblica, un ultimo tema – poi veramente termino con una piccola chiosa – che a me piace illustrare in questa sede è un aspetto forse meno evidente, vale a dire l'incentivo all'innovazione del sistema produttivo.
  Chi parla di sostanze chimiche e alimenti sa del progresso piuttosto impressionante della normativa; sono richieste alternative a sostanze chimiche a rischio, a processi produttivi di alimenti, come l'uso di pesticidi, che possono presentare dei rischi. È importante che la normativa sia modificata. Sappiamo che si opera in un quadro europeo, ma con l’input – scusate l'orribile anglicismo –, fornendo dati scientifici, di muoversi nella direzione e sulle priorità giuste.
  Bisogna, inoltre, muoversi identificando anche alternative a minore rischio, come chiede la normativa, importantissima per chi lavora nel mio settore e per tutto il settore produttivo chimico, la normativa europea REACH sulle sostanze chimiche. Pag. 20Si chiama principio di sostituzione: identifichiamo le sostanze più a rischio e, su base scientifica, selezioniamo anche i possibili sostituti. Anche su questo esistono delle iniziative.
  Non vorremmo aver dipinto un quadro idilliaco. Noi ci crediamo, riteniamo che sia una risorsa importante per il Paese, non solo un patrimonio, ma una risorsa, qualcosa su cui investire. Non ho la sfera di cristallo e non ho assolutamente né l'autorità né la competenza per dire cosa bisognerebbe fare, ma dico che ci sono tantissime competenze importanti – ne ho citato soltanto una piccola percentuale – per la salute dei cittadini e per il sistema Paese, oltre che per il sistema Europa, che a mio avviso sarebbe esiziale perdere.
  Identifico tre problemi, in larga parte citati da Stefano Vella. Uno è il precariato, ma diciamo pure la necessità di un ricambio generazionale utilizzando le risorse, il vivaio cresciuto nell'istituzione. Qualcosa bisognerà fare. In ogni caso, il ricambio generazionale è importante.
  L'altro è il mantenimento della terzietà e dell'indipendenza. Neanche in questo caso ho la bacchetta magica, la soluzione, ma è un prerequisito.
  Il terzo è, per riassumere, il ruolo di sistema, vale a dire come l'Istituto si rapporti alle altre agenzie nazionali nel sistema Paese, ma anche come tutte le decisioni, ad esempio, su ambiente e alimenti siano prese sulla base delle valutazioni di agenzie europee, quindi anche nel sistema Europa, anche in rapporto alle grandi agenzie europee.
  Ho terminato. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Mantovani.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
  Lo schema è lo stesso. Comincia Margherita Miotto e seguirà Ileana Piazzoni.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. La mia domanda è al professor Vella, ma in verità anche al professor Mantovani.
  Ho sentito fare riferimento all'apporto dei privati. Mi citate qualche esempio di come i privati possono essere interessati all'istituto ? Nel campo dei farmaci, in verità, dialogano con AIFA nella fase autorizzativa. Non mi è chiaro cosa potrebbero chiedere all'Istituto; faccio questa domanda anche per individuare eventualmente, le misure per difendersi dai conflitti d'interesse.
  Inoltre, mentre il professor Vella ci ha spiegato le sovrapposizioni ipotetiche con AIFA, chiedo al professor Mantovani quali sono le sovrapposizioni con il settore veterinario, gestito dal ministero. Il ministero, infatti, ha un settore veterinario consistente.

  ILEANA CATHIA PIAZZONI. Mi ha colpito quello che diceva il dottor Vella relativamente alla questione precari, perché entra un po’ in contrasto con alcune cose che sono state dette nell'audizione precedente.
  La questione di un numero così alto di precari è effettivamente legata alla necessità fisiologica di una progettualità legata ai fondi europei, quindi di volta in volta riattivati, o può e deve essere stabilizzata ? Ormai sono talmente tanti anni, il precariato è talmente lungo e così storico, che fa ipotizzare che è impensabile che la mole di lavoro legata anche ai fondi europei possa venire meno e porre un problema di dissesto di bilancio da questo punto di vista.
  O esiste, invece, una parte che deve essere necessariamente legata alla temporaneità e quella parte può essere già assolta dai contratti ancora più precari, contratti a collaborazione coordinata, contratti a progetto ?
  Chiedo al dottor Mantovani, rispetto alla questione del ricambio generazionale, che credo nella ricerca sia indispensabile più che in altre parti, se effettivamente la questione della stabilizzazione, visto che si tratta di precariato antico, potrebbe in qualche modo compromettere il ricambio o se, invece, questo mancato ricambio sia strettamente legato, come immagino, alblocco Pag. 21del turnover. Come si può, effettivamente, rimediare a questo aspetto ?
  D'altronde, bisognerebbe tenere insieme le due esigenze, che mi sembrano fondamentali, di non disperdere un grande patrimonio di formazione e, nello stesso tempo, di avere la possibilità di attingere alle nuove leve di quella che è una scienza sempre in movimento.
  Un'ultima domanda, credo più al dottor Mantovani, ma in realtà a entrambi, è relativa al ruolo dell'Istituto in merito ai controlli, in particolare per quanto riguarda l'alimentare e l'ambientale: c’è un'autonomia di intervento dell'Istituto relativamente a questo o è strettamente legato all’input di altre istituzioni ? Se non c’è questo ruolo, è pensabile ? Esiste in altri Paesi europei in maniera più accentuata ?

  PAOLA BINETTI. Mi sembra molto interessante tutto quello che abbiamo ascoltato. In ogni caso, al di là delle questioni generali e di principio, c’è anche un problema concreto in cui avrei visto come esempio, come modello proprio di interazione e integrazioni tra le diverse componenti la ricerca nel campo più squisitamente farmacologico, l'attenzione agli aspetti regolativi, alla capacità di mettere, come si diceva, intorno allo stesso tavolo forze diverse per dialogare e andare oltre potenziali conflitti d'interessi o, comunque, potenziali situazioni conflittuali.
  Avrei visto, per esempio – ne cito uno, ma non voglio entrare su questo argomento che ci ha occupato tanto quest'inverno, voglio utilizzarlo come modello – quello che è accaduto intorno al problema di Stamina. Avevamo dei pazienti, un problema, la necessità di sperimentare delle terapie, quella di avere una funzione di tipo regolamentare, di mettere regioni diverse intorno a un tavolo, competenze diverse.
  Quello è stato, invece, ed è un esempio tipico, essendo un problema lungi dall'essere risolto, di questa fantomatica commissione che risolverà tutto, ma che in realtà diventa una sorta di asino di Buridano, per cui tutte le volte spostiamo un po’ in là la meta.
  Effettivamente, il sistema sanitario non è stato in grado di formulare una risposta che aveva bisogno precisamente di vostre competenze all'interno di una stessa realtà istituzionale, perché siete tutti organi tecnici del Ministero della salute, quindi tutti appartenenti a una stessa cultura.
  Prima il dottor Vella ha esordito con l'orgoglio di appartenenza. Soprattutto, mi è sembrato molto interessante che sottolineasse l'orgoglio dell'appartenenza e la consapevolezza di partecipare al bene comune. Vi sentite utili al Paese, sapete che state facendo un servizio reale. È tutto vero. Ho la piena consapevolezza che sia vero, ma in realtà lì ognuno ha tirato per conto suo.
  L'aspetto più angosciante è che venerdì prossimo si organizzeranno tutte le famiglie dei bambini problematici in una grossa manifestazione esplicita di diffidenza nei confronti del sistema, un'accusa profonda di conflitto d'interessi da parte del sistema, un'inefficienza dovuta alla realtà che stiamo guardando.
  Non pretendo una risposta su questo punto, perché credo che nessuno abbia la bacchetta magica, ma dico che abbiamo perso un'occasione. Non abbiamo usato tutta quest'unità, quest'integrazione, questo scambio, quest'efficacia, questa potenza di risposta a gente che aveva i problemi veri. Allora, mi chiedo cosa manchi.
  Quando si parla, allora, della reingegnerizzazione, richiamata da Oleari nel processo di revisione dell'Istituto, o comunque di questa rete di servizi, mi chiedo dove risieda il tallone d'Achille del sistema, che poi al dunque, quando si presenta il problema, non permette di individuare la soluzione, tra l'altro con oltre un anno e mezzo di ritardo a un problema tutt'altro che risolto.

  PRESIDENTE. Do la parola ai professori Vella e Mantovani per eventuali risposte.

  STEFANO VELLA, Direttore del dipartimento del farmaco dell'ISS. Sono un po’ Pag. 22toccato da quello che ha detto l'onorevole Binetti, perché il problema Stamina ha colpito molto anche me, non tanto per gli aspetti scientifici, ma forse perché l'onorevole Binetti ha ragione quando afferma che c’è stata una mancata risposta di sistema. Non sto dicendo che doveva essere positiva o negativa, ma che è vero che c’è stata questa «assenza» e di questo un po’ mi dolgo.
  Non vorrei riallacciare questo al discorso della terzietà o dell'indipendenza dell'Istituto, alla necessità che sia sempre più indipendente, ma solo così si può alzare la testa e dire ai cittadini la verità. Non abbiamo avuto solo Stamina in questo Paese. Ero piccoletto e c'era il siero di Bonifacio. Attenzione, sto parlando di molto prima di Di Bella. Anche lì c’è stato un problema. Il metodo Di Bella è nato perché noi medici non abbiamo avuto il coraggio di dire la verità. Bisogna avere il coraggio dire la verità ai pazienti.
  C’è stata la compiacenza, per cui, per non riuscire a dire la verità, abbiamo lasciato che queste persone andassero a cercare altro. Sto parlando del siero di Bonifacio o di Di Bella. Lì qualcuno non ha alzato la testa, non so come altro dirlo. Non voglio entrare nell'argomento, ma concordo che un'istituzione terza, forte, rispettata dai cittadini avrebbe potuto dire, forte e chiaro: ecco, questo è quello che penso.
  Quanto ai rapporti con l'industria, effettivamente, come ho detto, la vita di un farmaco non si ferma con la registrazione. Non abbiamo nessun contrasto con l'AIFA. Al contrario, lavoriamo con l'AIFA e per l'AIFA, perché facciamo i controlli proprio all'interno dell'Istituto. Semplicemente, ci sono due fasi: una è quella di registrazione/rimborsabilità e di vigilanza; l'altra è quella dell'appropriatezza, di come usare i farmaci, di quanto impattano realmente sulla salute.
  Questo è ciò che fa l'Istituto, informare i decisori. In tanti Paesi civili lo fa una struttura terza. Anche il sistema inglese, ad esempio, che non dico sia l'ideale, considerato che l'NHS (National Health Service) sta chiudendo, è a pezzi, ha creato il NICE, che per qualcuno non è tanto nice: il National Institute for Clinical Excellence, un'istituzione terza che fornisce strumenti ai decisori per decidere. Però, è un'attività che il sistema regolatorio inglese non si fa tutta in casa. Non ci si può preparare da soli l'amatriciana, mangiarla e dire che è buona, probabilmente la si troverà discreta. Deve esserci un assaggiatore terzo.
  Certo, l'industria ha lavorato con l'Istituto. C’è interesse perché come ho detto la vita di un farmaco continua dopo la registrazione. Per fare che ? Ad esempio grandi studi di comparative effectiveness, che l'industria non può fare e ha ragione a non fare. L'industria studia l'attività di un farmaco, lo porta a registrazione e più di quello non si può chiederle. È lo Stato, con le sue strutture scientifiche, che deve dire se è meglio l'Egeria o la Nepi, visto che una costa un tot e l'altra un tot diverso. Oppure l'ISS dice: provo prima un bicchiere di questa, poi due di questi. Sono gli studi strategici, quelli che dicono nella pratica clinica come usare al meglio questi farmaci. Questi studi, che l'industria non può fare, spettano allo Stato.
  Noi ISS non siamo l'NIH (National Institutes of Health) americano, di cui si parla tanto. Cito un esempio stupido: all'NIH è vietato prendere qualsiasi soldo che non arrivi da Obama. Per statuto, all'NIH non possono prendere neanche un dollaro non erogato dal Governo.
  Noi non siamo l'NIH, che è una struttura di ricerca pura, non una struttura di ricerca di sanità pubblica: questa, in America è il CDC. Appunto, noi siamo forse più vicini al Centers for disease control and prevention. Attenzione, quindi, perché l'NIH è un'altra cosa, fa ricerca fondamentale, translazionale, ma comunque non può prendere fondi esterni. Insomma, lì, se una struttura è del Governo, non può prendere soldi esterni, non dico dall'industria, ma da nessuno. Al contrario, quella è una struttura che dà fondi ai ricercatori del Paese.Pag. 23
  Certo, l'industria può lavorare con l'ISS. Su molti progetti possiamo chiedere la collaborazione dell'industria. Ad esempio, gli studi di comparative effectiveness spesso hanno bisogno della collaborazione di diverse industrie che danno i diversi farmaci per essere studiati. Poi qualcuno può perdere, qualcuno può vincere. Regolando bene i conflitti d'interesse si può fare.
  Ciò che ho detto prima è che un'istituzione del Governo, del Paese, non può dipendere da fondi esterni se non in minima parte. Ad esempio, se la mia vita dipende dalle consulenze che faccio, è chiaro che non sono libero. Devo stare bene, tranquillo e felice comunque. Quando si compila il modulo per il conflitto d'interessi – lo dico anche se non c'entra niente – per esempio per l'EMA (European Agency for the Evaluation of Medicinal Products), dove ho lavorato per tanti anni, chiedono quanto si guadagna all'anno e se si svolga attività di consulenza. Verificano il peso specifico. Se questo contributo cambia la vita, neanche si può entrare all'EMA. Se lo si fa ogni tanto, va bene, basta che lo si dichiari.
  Non so se l'altra domanda fosse sul fatto che abbiamo preso tutti questi precari. Si, ne abbiamo presi tanti, ma sono trascorsi vent'anni. A un certo punto, ci hanno chiuso anche la pianta organica e facciamo talmente tante cose che, se nel mio dipartimento, ad esempio, se ne andassero i precari, mi tocca chiudere Se tutti coloro che mi tengono addirittura l'amministrazione, e sono Co.co.pro. – non so se questo sia penale, adesso ovviamente sto scherzando – se vanno via, sono finito.
  Penso che dobbiamo arrivare a un tempo zero. Abbiamo preso tanti precari, ma sono un patrimonio. Penso veramente che siano un patrimonio, perché non facciamo ricerca fondamentale, quella che fa l'università, in cui si è visto che dopo i quarant'anni non vali più un accidente. Hanno fatto questi studi, ma da ricercatore reggi fino ai 42 anni con la testa.
  Noi facciamo una ricerca molto applicata, basata anche sull'esperienza, quindi i nostri precari, anche se hanno 50 anni, sono buoni. Non stiamo cercando Marie Curie. Abbiamo gente formata in sanità pubblica, dove servono vent'anni per essere formati. Penso, quindi, che dovremmo arrivare a un tempo zero e poi rivedere la situazione.
  Ho partecipato al concorso per la presidenza dell'Istituto tanti anni fa. Meno male che non l'ho vinto. Non sto scherzando. Avevo quasi vinto, ma per fortuna non è successo. Obiettivamente, faccio il ricercatore, mi piace di più. Avevo scritto nel mio progetto che, per esempio, un modo per avere forze nuove era quello di dare dei titoli spendibili. L'Istituto non può farlo perché non è l'università, ma potremmo dare dei master veri, per cui la gente viene e prende un titolo che consente di non limitarsi a rimanere tre anni per poi andare via, un master in sanità pubblica preso nell'Istituto e che si può spendere fuori. È come all'università.

  PAOLA BINETTI. Fate una convenzione con le università.

  STEFANO VELLA, Direttore del dipartimento del farmaco dell'ISS. Bisogna farlo assolutamente, come hanno fatto in tanti. Li si prende e poi vanno via, non dico felici, perché non c’è lavoro, ma almeno hanno un titolo, se lo giocano. Per gli attuali precari, invece, teoricamente, quando finisce il contratto potrebbe essere finita. Allora, dico: sei bravo e ti tengo, giustamente. Bisogna provare a essere un po’ innovativi.
  Quanto all’input a intervenire, alla fine del mio intervento ho detto – scherzando – che siamo felici di essere vigilati da «questo» Ministro. Ho detto una cosa positiva, ma il paradosso per cui vorrei essere vigilato da voi deputati non era sbagliatissimo, perché voi rappresentate i cittadini. Significa che, purtroppo, in mancanza di norme primarie, non abbiamo in certi casi la capacità di intervenire in modo autonomo. Se l'Istituto sente una Pag. 24puzza per strada, non può fare niente se non è chiamato a intervenire dal Ministro. I NAS, invece, con cui lavoro tutti i giorni, mi portano le boccette di Guariniello. Loro, entrano in un negozio e possono poi mandare i campioni da esaminare all'Istituto. Se, invece, io, come ISS, vedo una cosa che non va, salvo in alcuni casi specifici per cui ci sono dei capitoli di legge, non posso intervenire. Devo essere inviato. Insomma, se sento puzza da qualche parte a Napoli e penso che ci sia un deposito sospetto, non potrei indagare. Faccio una denuncia anonima, che va al pretore, che dice di mandare l'Istituto. Sto scherzando, ma è vero che l'Istituto avrebbe bisogno di molte più norme primarie che dicano di cosa deve occuparsi, di cosa è responsabile e che è accountable, come dicono gli americani.

  ALBERTO MANTOVANI, Direttore del reparto tossicologia alimentare e veterinaria del dipartimento sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'ISS. Ho contato quattro domande, di cui due shared in comune con Stefano: rapporti coi privati; rapporti con il settore veterinario del Ministero della salute; sistema controlli e precari.
  Su Stamina non so cosa dire, mi dispiace, onorevole Binetti, ma proprio non è la mia competenza, assolutamente.
  Sulle sue due domande, mi rifaccio alla mia esperienza, tuttora in corso, come esperto nei gruppi di lavoro dell'Authority europea per la sicurezza alimentare nonché di persona che partecipa ai progetti europei. Sono due tipi di rapporti con i privati, naturalmente. È importantissimo che l'Istituto partecipi ai progetti europei, anzitutto perché portano risorse europee all'Italia; in secondo luogo, perché fanno sistema e contribuiscono anche a consolidare e sviluppare le nostre competenze. Questa è proprio la mia esperienza diretta.
  L'Unione europea, nonché molti bandi anche nazionali, impongono agli enti pubblici di collaborare con il privato, ma con fondi pubblici, sia chiaro. Questa è la prima collaborazione con i privati.
  In questa, in linea di massima – poi dirò cosa intendo – personalmente non vedo problemi, proprio perché non siamo l'NIH e dobbiamo anche andare a prenderci le risorse ed essere competitivi su questo.
  Vengo al secondo aspetto: avere risorse dai privati. Mi pare che su questo siamo stati chiari, ma lo ribadisco. Non può in alcun modo essere strutturale, anche solo in senso parziale, o determinante per il funzionamento dell'Istituto o di sue componenti. Caso per caso – questa è una mia opinione – non vedo nulla di male, anzi può essere positivo che in iniziative molto ben delimitate ci siano anche fondi privati.
  Cito un esempio: un programma di educazione degli operatori agricoli al corretto uso di pesticidi e mangimi in collaborazione con enti locali, associazioni di impresa agrozootecniche e Istituto superiore di sanità, anche con fondi privati. In questo non vedo nulla di male. Si fa quello, si porta un prodotto, stop.
  Tutto questo, comunque – qui parla una persona che lavora insieme all'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) da parecchi anni, ovvero i rapporti con il privato che sono chiaramente delicati, può anche avere una valenza positiva in talune occasioni, ma non può essere fatto, secondo me e penso secondo tutti in istituto, in primis il nostro commissario, il professor Ricciardi, senza alcune chiare regole sulla valutazione dei possibili conflitti d'interessi. Quella è la conditio sine qua non.
  In terzo luogo, mi rifaccio al rapporto con il settore veterinario, che è importantissimo, del Ministero della salute; un settore chiave. Come sappiamo, in Italia i servizi veterinari fanno capo al Ministero della salute e hanno un ruolo determinante nella sicurezza alimentare.
  Credo che il rapporto sia vitale e fondamentale per tutte le due le parti e che, considerando che l'EFSA non è una struttura di ricerca, può avere alcuni aspetti simili con il rapporto che ha l'EFSA con la DG SANCO, il «Ministero» della salute Pag. 25della Commissione europea, per quanto riguarda tutte le questioni attenenti la veterinaria e la sicurezza alimentare.
  All'Istituto superiore di sanità – parlo a spanne, naturalmente – spetta la parte di valutazione scientifica e di produzione di dati scientifici, di risposta scientifica a quesiti e a emergenze, non necessariamente crisi, ma anche rischi emergenti, quelli del «cosa devo fare ?». Alla struttura dei policy makers spetta di raccogliere queste indicazioni e tradurle in iniziative di gestione, riduzione del rischio, normativa e controllo.
  Se la domanda era se io ritenga che il rapporto sia importante, la mia risposta è che ritengo sia vitale, che debba essere un'interazione fondamentale affinché il sistema Paese, per quanto riguarda la garanzia della sicurezza degli alimenti, importante anche per il nostro sistema produttivo oltre che, in primis, per la salute, funzioni. Quest'interazione, secondo me, non è importante, ma vitale e necessaria.
  Qui ci riallacciamo al sistema dei controlli. Come sappiamo, siamo in una fase in cui il nostro ente, come un po’ tutti gli enti pubblici direi, è in una fase di ripensamento, anche perché la struttura attuale ha una decina d'anni, sono cambiate parecchie cose nel Paese, in Europa e fuori, ma anche di rilancio.
  A mio parere, ferma restando, ma questo non mi compete naturalmente, la possibilità di avere ruoli di sistema, nei controlli servono mission chiaramente definite e attribuite all'Istituto superiore di sanità, di cui parlava Stefano Vella, ma in generale il suo ruolo è quello di trasferimento delle metodologie.
  Scusate se cito degli esempi, ma diversamente mi perderei. Abbiamo un laboratorio comunitario di riferimento, a cui fa riferimento tutta Europa, per l’escherichia coli, il batterio responsabile di un grave allarme per la sua presenza nelle verdure. Poi era una zoonosi, ossia un ciclo animali, verdure e poveri consumatori. Abbiamo questo laboratorio comunitario di riferimento, perché i principali progressi della conoscenza su questo batterio sono stati ottenuti proprio dall'Istituto superiore di sanità. È il classico esempio in cui l'eccellenza scientifica porta a metodologie che sono trasferite. Questa è la prima componente fondamentale.
  Poi è sicuramente necessario l'intervento nelle emergenze, quindi avere un parco macchine capace di intervenire ove i controlli standard, le strutture locali hanno bisogno di supporto, una capacità autonoma di farlo. Sono d'accordo. Abbiamo avuto anche qualche piccola esperienza su questo, ad esempio proprio il nostro gruppo sull'arsenico nell'Alto Lazio, dove siamo intervenuti autonomamente portando conoscenze che sono servite a gestire una situazione di rischio ambientale.
  Anche secondo me, proprio nell'ambito di questo ruolo di sistema, potremmo avere in futuro un ruolo di tavolo di coordinamento, essenziale per l'analisi dei dati. Parlo come cittadino: raccogliere dati che poi non si utilizzano è veramente una sciocchezza. Succede in Europa, può succedere anche in Italia e non escludo che succeda, e quindi ripeto che servono sicuramente capacità di intervento nelle emergenze, in primis dei focal point che trasferiscano metodologie avanzate e ne validino l'applicazione al di fuori e anche, tutte le tre sullo stesso piano, con tavoli di coordinamento dove i dati sono raccolti, analizzati e utilizzati.
  Quanto ai precari, faccio parte – non sono romano, non so se si senta – della generazione dell'epoca in cui l'Istituto bandiva concorsi aperti in tutta Italia. Credo di aver partecipato all'ultimo bando utile. Ovviamente, quei tempi sono finiti. Ero un giovanissimo laureato, sono entrato a 27 anni in Istituto, ho fatto un duro concorso, sono entrato subito di ruolo, mi sono formato e vi ho fatto la mia gavetta. Quei tempi sono finiti, ma qualcosa di giusto c'era.
  A mio parere – ripeto che non sento né l'autorevolezza né la competenza istituzionale a dire niente di più – occorre privilegiare la capacità di avere un vivaio Pag. 26interno, dal quale prendere la risorsa principale per il rinnovo generazionale.
  Se altre persone vanno fuori, attenzione, come ha detto Stefano, l'Istituto non può fare tutto, benissimo. Mio padre era un vecchio universitario e una volta mi ha detto che un suo allievo andava a Parma e che, in questo modo, avrebbe avuto una persona con cui collaborare e dialogare a Parma. Se le sovrapposizioni, come diceva qualcuno, diventassero collaborazioni, non sarebbe neanche male. Il vivaio non deve per forza essere tutto nostro, ma può essere qualcosa che ci spendiamo, però dobbiamo creare alcune condizioni. Certamente, dobbiamo anche avere capacità attrattiva di eccellenze esterne.
  Queste due componenti devono esserci. Preferisco, per esperienza, privilegiare il vivaio interno, che però non vuole dire che rappresenti il 100 per cento. Possiamo rivendicare che l'Istituto è molto sensibile a questo problema nei livelli alti della struttura di governance, in costruzione proprio attualmente, perché l'Istituto è in pieno fermento, lavora, adempie ai propri compiti, come credo che abbiamo illustrato, scientifici e istituzionali. È in costituzione o è già stato costituito – non lo so – un tavolo proprio sul precariato. Penso sia molto importante.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Mantovani e il professor Vella anche per il modo molto colloquiale con cui hanno impostato il loro intervento.
  Qualora volessero aggiungere qualche nota scritta alla quantità di informazioni che già ci hanno fornito, sarebbero apprezzate. Vi ringrazio infinitamente anche per la disponibilità a nome di tutti i commissari.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.