XVII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 31 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sbrollini Daniela , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA, NELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 1432  MURER, C. 1142  MANTERO, C. 1298  LOCATELLI, C. 2229  ROCCELLA, C. 2264  NICCHI, C. 2996  BINETTI, C. 3391  CARLONI, C. 3561  MIOTTO, C. 3596  CALABRÒ, C. 3586  FUCCI, C. 3599  BRIGNONE, C. 3584  NIZZI E C. 3630  IORI: «NORME IN MATERIA DI CONSENSO INFORMATO E DI DICHIARAZIONI DI VOLONTÀ ANTICIPATE NEI TRATTAMENTI SANITARI»

Audizione di rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità (ISS), della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) e della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni (SIMLA).
Sbrollini Daniela , Presidente ... 3 ,
Petrini Carlo , Responsabile dell'Unità di Bioetica dell'Istituto superiore di sanità ... 3 ,
Sbrollini Daniela , Presidente ... 3 ,
Petrini Carlo , Responsabile dell'Unità di Bioetica dell'Istituto superiore di sanità ... 3 ,
Sbrollini Daniela , Presidente ... 6 ,
Corcione Antonio , Presidente della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva ... 6 ,
Giannini Alberto , Componente del gruppo studio di bioetica della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva ... 7 ,
Sbrollini Daniela , Presidente ... 9 ,
Arbarello Paolo , Presidente della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni ... 9 ,
Sbrollini Daniela , Presidente ... 11 ,
Amato Maria (PD)  ... 11 ,
Mantero Matteo (M5S)  ... 11 ,
Carnevali Elena (PD)  ... 12 ,
Sbrollini Daniela , Presidente ... 12 ,
Giannini Alberto , Componente del gruppo studio di bioetica della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva ... 12 ,
Arbarello Paolo , Presidente della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni ... 14 ,
Petrini Carlo , Responsabile dell'Unità di Bioetica dell'Istituto superiore di sanità ... 14 ,
Sbrollini Daniela , Presidente ... 15 

ALLEGATO: Intervento del Responsabile dell'Unità di Bioetica dell'Istituto superiore di sanità Carlo Petrini corredato delle relative note ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
DANIELA SBROLLINI

  La seduta comincia alle 15.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità (ISS), della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva (SIAARTI) e della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni (SIMLA).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Istituto superiore di sanità, della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva e della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni, nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 1432 Murer, C. 1142 Mantero, C. 1298 Locatelli, C. 2229 Roccella, C. 2264 Nicchi, C. 2996 Binetti, C. 3391 Carloni, C. 3561 Miotto, C. 3596 Calabrò, C. 3586 Fucci, C. 3599 Brignone, C. 3584 Nizzi e C. 3630 Iori: «Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari».
  Per l'Istituto superiore di sanità è presente Carlo Petrini, responsabile unità di bioetica, a cui do subito il benvenuto e la parola.

  CARLO PETRINI, Responsabile dell'Unità di Bioetica dell'Istituto superiore di sanità. Per sfruttare bene il tempo e cercare di ottimizzarlo, ho preparato un testo scritto che, al netto delle note con la bibliografia, occupa meno di tre pagine. La lettura richiede quattordici minuti. Se lei mi dà facoltà, procedo con la lettura.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto.

  CARLO PETRINI, Responsabile dell'Unità di Bioetica dell'Istituto superiore di sanità. All'articolo 1, comma 1, dello statuto dell'Istituto superiore di sanità, adottato con decreto del Ministro della salute il 24 ottobre 2014, si stabilisce che l'Istituto persegue la tutela della salute pubblica, in particolare attraverso lo svolgimento delle funzioni di ricerca, controllo, consulenza, regolazione e formazione.
  L'Istituto non effettua direttamente assistenza ai pazienti, e pertanto non ha mai elaborato una posizione ufficiale sul tema oggetto delle proposte di legge. La posizione dell'Istituto su temi eticamente rilevanti riguardanti i vari settori in cui l'Istituto stesso opera è contenuta nel codice di etica adottato dal comitato etico il 13 gennaio 2015 e reso operativo con la disposizione commissariale n. 37 del successivo 10 marzo.
  Poiché intervengo non a titolo personale, bensì come rappresentante istituzionale, proporrò alla loro attenzione innanzitutto alcuni temi tratti esclusivamente da documenti nazionali e internazionali. Successivamente, evidenzierò due punti specifici per i quali l'Istituto, essendo particolarmente coinvolto, auspica l'attenzione del legislatore. Il presidente dell'Istituto, professor Ricciardi, ha approvato e autorizzato i contenuti di questo mio intervento. Pag. 4
  Come loro sanno, pure in assenza di una normativa specifica, sono disponibili autorevoli documenti. Io farò riferimento a tre tipi: codici deontologici; soft law; linee guida. Per ciascuna delle tre categorie richiamerò un testo. Due dei tre testi sono ampiamente citati nelle proposte di legge e nelle relative relazioni, ma reputo opportuno richiamarli all'attenzione.
  Per i codici deontologici mi limito a ricordare l'articolo 38 del codice della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri del 18 maggio 2014, in cui si stabilisce che: «Il medico tiene conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento espresso in forma scritta, sottoscritta e datata da parte di persona capace e successiva a un'informazione medica di cui resta traccia documentale».
  Nella seconda categoria, cioè la soft law, si può iscrivere anche la Convenzione sui diritti dell'uomo e la biomedicina del Consiglio d'Europa del 4 aprile 1997; non essendo ancora stata depositata la legge di ratifica 28 marzo 2001, n. 145. Da tre giorni si è raggiunto il XV anniversario dell'adozione della legge ed è auspicabile che si completi l'iter di ratifica, come sollecitato anche dal Comitato nazionale per la bioetica con la mozione del 24 febbraio 2012.
  Il testo della Convenzione è a tutti ben noto. All'articolo 9 si stabilisce che i desideri precedentemente espressi saranno tenuti in considerazione. I termini wishes e souhaits, nelle due lingue ufficiali in cui è redatto il documento, significano «desideri», non «ordini». Secondo la Convenzione, dunque, le dichiarazioni non devono essere vincolanti.
  Nel rapporto esplicativo della Convenzione stessa, al punto 62, riguardante l'articolo 9, si afferma che: «Prendere in considerazione i desideri precedentemente espressi non significa che essi debbano essere necessariamente seguiti. Ad esempio, se i desideri sono stati espressi molto tempo prima dell'intervento e la scienza nel frattempo è progredita, possono esserci dei motivi per non assecondare il parere del paziente. Il professionista dovrebbe, quindi, per quanto possibile, accertare che i desideri del paziente si applichino alla situazione presente e siano ancora validi, tenendo conto in particolare del progresso tecnico in medicina».
  Successivamente, il Consiglio d'Europa ha invitato in varie occasioni gli Stati membri ad adottare normative riguardanti le dichiarazioni anticipate, in particolare con la raccomandazione 9 dicembre 2009, n. 11, del Comitato dei ministri, sui princìpi concernenti le procure permanenti e le direttive anticipate aventi per oggetto l'incapacità, nonché con la risoluzione n. 1859 e la raccomandazione n. 1993 dell'Assemblea parlamentare, entrambe del 25 gennaio 2012, e intitolate Tutela dei diritti e della dignità umana, tenendo conto dei desideri precedentemente espressi dai pazienti.
  Numerose altre istituzioni hanno adottato documenti in cui si invita a dare valore alle dichiarazioni anticipate. Ricordo, per esempio, la dichiarazione sull'argomento adottata dall'Assemblea generale dell'Associazione medica mondiale a Helsinki nel settembre 2003 e confermata a Bali nell'aprile 2013.
  Per la terza categoria, e cioè le linee guida, ricordo come unico esempio quelle sul processo decisionale riguardante i trattamenti delle situazioni di fine vita del Consiglio d'Europa del maggio 2014, in cui si legge tra l'altro: «L'autonomia non implica il diritto per il paziente di ricevere qualsiasi trattamento egli richieda, in particolare quando il trattamento è considerato inappropriato. Invece, le decisioni mediche sono risultato di una riconciliazione tra la volontà del paziente e la valutazione della situazione da parte di un professionista che è soggetto ai suoi obblighi professionali».
  Basandosi sui cosiddetti princìpi della bioetica nordamericana, le linee guida evidenziano come l'autonomia non possa essere a senso unico, e cioè essere non vincolante quando il paziente chiede un trattamento che il medico ritiene inappropriato e vincolante quando il paziente rifiuta un trattamento. Sulla base di tutto ciò, è molto opportuna la scelta di questa Commissione, che ha adottato l'espressione Pag. 5«dichiarazioni di volontà» suggerita anche dal Comitato nazionale per la bioetica nel documento del 18 dicembre 2003, per evidenziare il valore non vincolante.
  Gli spunti offerti dalle linee guida, come da altri documenti, sono dunque innumerevoli. Ne cito sette tra i tanti: 1) le dichiarazioni anticipate non possono consentire alcun atto che non possa essere autorizzato per un paziente adulto capace di esprimere il consenso; 2) il paziente non può chiedere al medico di porre in atto trattamenti che il medico ritenga non conformi al migliore interesse del paziente; 3) decide solo il paziente ma non da solo; le dichiarazioni anticipate devono inserirsi nella relazione tra il soggetto e il medico; 4) può esservi una differenza tra gli interessi di una stessa persona in momenti diversi della propria vita; 5) qualora la persona abbia già iniziato un percorso di malattia, è difficile accertarne la competenza; 6) il rapido sviluppo della medicina potrebbe rendere disponibile una nuova risorsa, sconosciuta nel momento in cui sono state siglate le dichiarazioni anticipate; 7) le dichiarazioni anticipate devono avere le stesse caratteristiche tipiche del consenso informato, il quale deve essere relato, cioè inserito nella relazione tra il soggetto e il medico, come indicato per esempio nella decisione 7027 del 23 maggio 2001, della III sezione civile della Corte di cassazione, deve essere informato, come si stabilisce all'articolo 33 del codice di deontologia medica, e deve essere circostanziato, come raccomandato per esempio dal Comitato nazionale per la bioetica nel documento «Informazione e consenso all'atto medico» del 20 giugno 1992.
  Da ultimo, desidero ricordare che alcuni testi, come le Linee propositive sulla relazione di cura del 17 settembre 2015, elaborate per iniziativa del Pontificio consiglio della cultura, sono sottoscritte da personalità che si riconoscono in valori profondamente diversi. Essi attestano che, sebbene su alcuni temi riguardanti le fasi terminali della vita vi siano lacerazioni, è possibile trovare convergenze sul tema delle dichiarazioni anticipate.
  Ciò, tuttavia, non è sufficiente per evitare incertezze e contrasti, che emergono anche nella giurisprudenza. Porto un esempio: la Corte di cassazione, I sezione civile, con la nota sentenza 21748 del 16 ottobre 2007, ha legittimato la possibilità di un dissenso al trattamento anticipato nel tempo rispetto al verificarsi della patologia ricavato da testimonianze. La stessa Corte, III sezione civile, con sentenza 23676 del 25 settembre 2008, ha rigettato il ricorso di un testimone di Geova relativo al rifiuto di trasfusione, affermando che non è sufficiente un generico dissenso a un trattamento espresso in condizioni di piena salute, ma occorre riaffermarlo puntualmente nella situazione specifica. La contraddizione tra le due sentenze è evidente.
  Come preannunciato, vorrei infine sottoporre alla loro attenzione due argomenti sui quali l'Istituto che rappresento ha interessi specifici: i comitati etici e la sperimentazione con persone incapaci di esprimere il consenso.
  Il tema dei comitati etici è pertinente e rilevante, perché numerosi documenti sulle dichiarazioni anticipate sollecitano consultazioni multidisciplinari tra esperti quando vi siano incertezze circa l'applicazione. I comitati etici in Italia sono attualmente regolati in particolare dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, e dal decreto 8 febbraio 2013, che ha portato a una riduzione nel loro numero da 243 nel 2012 a 91 nel 2014. Un'ulteriore riduzione avverrà quando il regolamento 536 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 sarà completamente applicato.
  Sebbene il decreto 8 febbraio 2013, all'articolo 1, riguardante la funzione dei comitati etici, commi 1 e 2, non escluda il fatto che questi possano valutare anche casi clinici, i comitati etici in Italia si occupano quasi esclusivamente di sperimentazione. È, quindi, auspicabile che il legislatore consideri l'eventualità di cogliere l'occasione anche per sostenere i comitati etici per la clinica, come chiesto tra l'altro nel Documento di Trento, sottoscritto da un gruppo di studiosi il 10 ottobre 2013.
  Il secondo punto che l'Istituto pone alla loro attenzione, e cioè la sperimentazione Pag. 6clinica con persone incapaci di esprimere il consenso, riguarda un problema affrontato in numerosi disegni di legge in esame, e cioè la definizione dei soggetti che possono svolgere ruolo di fiduciario anche in assenza di un rappresentante legale. Il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 211, riguardante la sperimentazione clinica, all'articolo 5, stabilisce che il consenso informato per i soggetti incapaci sia espresso dal rappresentante legale. La necessità di un rappresentante legale è prevista anche nel già citato regolamento 536, articolo 31, comma 1, lettera a).
  In Italia, gli istituti per la rappresentanza legale sono l'interdizione, l'inabilitazione e l'amministrazione di sostegno. I primi due hanno un forte impatto sui diritti della persona e, molto opportunamente, sono pressoché in disuso. La legge 9 gennaio 2004, n. 6, che istituì l'amministrazione di sostegno, è stata finora poco applicata. Di conseguenza, in Italia il numero di adulti cosiddetti incapaci che abbiano una rappresentanza legale è esiguo. Risulta, quindi, pressoché impossibile effettuare a norma di legge sperimentazioni con tale categoria di persone.
  L'esclusione dalla possibilità di partecipare a una sperimentazione certamente protegge gli esclusi dai possibili rischi, ma allo stesso tempo impedisce loro di ricavarne i possibili benefìci. È auspicabile che, per consentire che adulti cosiddetti incapaci abbiano l'opportunità di partecipare a sperimentazioni cliniche, si riconosca legalmente valido il consenso espresso da persone legate all'adulto incapace mediante una forte relazione (coniuge, padre, madre, figlio, fratello, sorella). Ciò è conforme con norme già vigenti, in particolare con l'articolo 408 del codice civile e con l'articolo 23 della legge 1° aprile 1999, n. 91, sui trapianti di organi.
  Con riferimento ad altri capi del codice civile, il conferimento ai familiari di un ruolo analogo a quello attribuito al rappresentante legale è previsto anche in alcune proposte di legge in esame, come l'articolo 6, comma 3, della proposta C. 2996. Nel caso della sperimentazione è cruciale il rispetto di un principio fondamentale della bioetica stabilito nell'articolo 2 della Convenzione di Oviedo e nell'articolo 8 della Dichiarazione di Helsinki, e cioè l'imperativo che l'interesse e il bene della persona prevalgano sempre sul solo interesse della società o della scienza.
  Segnalo, infine, che è attivo presso l'Istituto un gruppo di lavoro che sta elaborando un manuale sulla comunicazione con pazienti affetti da sclerosi laterale amiotrofica. Il manuale non rappresenterà la posizione ufficiale dell'Istituto, bensì il risultato di un lavoro congiunto con istituzioni, società scientifiche e associazioni.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Petrini anche per aver portato la relazione scritta, che è stata già distribuita ai colleghi e alle colleghe. Ringrazio anche gli altri relatori, che hanno fatto lo stesso.
  Se siete d'accordo, anche per lasciare più spazio alle domande, per le relazioni successive possiamo anche fare una sintesi o toccare i punti più salienti della vostra relazione, o comunque come preferite.
  Do adesso la parola al presidente Corcione e al dottor Giannini, della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva.

  ANTONIO CORCIONE, Presidente della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva. Presidente, onorevoli, ringrazio per l'invito per quest'audizione. Desidero rendere noto che, in materia di consenso informato, di dichiarazione di volontà anticipate nei trattamenti sanitari, la SIAARTI condivide pienamente contenuti, metodologia e proposte espresse nel recente documento «Linee propositive per un diritto della relazione di cura e delle decisioni di fine vita», presentato a un convegno al Senato il 17 settembre 2015.
  Tale testo è stato redatto attraverso un lavoro multidisciplinare dal Comitato scientifico del Cortile dei Gentili, fondazione del Pontificio consiglio della cultura, con il contributo della SIAARTI e della Società di cure palliative. Il dottor Alberto Giannini, che rappresenta il gruppo di studio SIAARTI per la bioetica, ha contribuito Pag. 7alla stesura di questo documento. Pertanto, chiedo a tutti voi che in sei punti sintetici possa presentare il documento.

  ALBERTO GIANNINI, Componente del gruppo studio di bioetica della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva. Vorrei premettere a questo nostro intervento, di noi medici e della Società italiana di anestesia e rianimazione, una considerazione di carattere generale, che riguarda la fotografia del morire oggi nei Paesi occidentali, nei Paesi europei e in Italia. Vorrei che voi aveste presente che attualmente grosso modo solo il 30-35 per cento delle morti, quindi un terzo, avviene in modo improvviso e non prevedibile. La gran parte delle morti nei Paesi occidentali è un evento ampiamente previsto, che ha un suo percorso, quindi non un evento acuto inatteso.
  Anche se uno strumento aggiornato come il codice di deontologia medica in Italia è stato rielaborato e pubblicato nel 2014, anche strumenti così aggiornati continuano a considerare una realtà che è però datata, e che fa riferimento a situazioni che si sviluppano acutamente, ma non è più così. La morte è un evento che ha un percorso, c'è un percorso di fine vita.
  I dati della Rete italiana delle terapie intensive, una delle più grosse reti di terapie intensive presenti in Europa, ci dicono che oggi l'età media dei nostri pazienti ricoverati è cambiata e si è innalzata. Pensate che più del 61 per cento delle persone ricoverate in terapia intensiva ha più di 65 anni, più del 35 per cento ha più di 75 anni. I nostri reparti si sono trasformati, quindi, da reparti per pazienti in età giovane, giovane/adulta, con eventi acuti, in reparti che invece ricoverano pazienti con un'età avanzata e in cui una gran parte di essi ha comorbilità severe. Il ricovero in terapia intensiva si inserisce, dunque, su un percorso di malattia importante.
  Un'altra notazione è che c'è una forte medicalizzazione del processo del morire nei nostri Paesi. Per citare il dato più recente di letteratura, – il dato è pubblicato su Critical Care Medicine, la rivista più prestigiosa del nostro ambiente, del nostro contesto scientifico, la rivista della Società americana – attualmente negli Stati Uniti il 22 per cento delle morti avviene in terapia intensiva. Questo indica una forte medicalizzazione del processo del morire. In Italia non abbiamo dati e, probabilmente, non siamo grazie al cielo a questi livelli, però credo sia un elemento estremamente significativo.
  Insieme alla notazione che la morte è un processo oggi fortemente medicalizzato, la sottolineatura è che la morte è sostanzialmente un tema assente nel percorso formativo dei medici nell'arco di sei anni della loro facoltà. La nostra facoltà di Medicina tuttora non fa mai cenno, nel percorso di formazione dei medici, al tema del limite e a quello della morte, ignorando che il tempo della morte appartiene alla vita, se mi consentite l'espressione, e che il tempo della morte richiede cura. Eppure noi costruiamo ancora medici che sono come Goldrake, che sfodera in ogni circostanza l'alabarda spaziale. La morte richiede, invece, un tempo di cura e di accompagnamento ben preciso e ben qualificato.
  In questo contesto, la nostra disciplina, l'anestesia e rianimazione, e la nostra società scientifica, credo unica nel nostro Paese, hanno dedicato da anni attenzione a questi aspetti, al tema della fine della vita, a quello della possibilità di limitare le cure di sostegno vitale, a quello della morte. La Società scientifica di anestesia e rianimazione ha pubblicato documenti, tre, il primo a partire dal 2003, poi nel 2006, l'ultimo nel 2013, un documento che abbiamo condotto e condiviso con altre dieci società scientifiche sul tema dei pazienti con insufficienza d'organo avanzata. Questo è un elemento importante. Forse alla Commissione possiamo fornire anche questo testo, che in alcuni punti potrebbe essere per voi in qualche modo d'aiuto, fornendo alcuni spunti.
  Mentre la società civile sta facendo fatica a ragionare, a lavorare su questi temi, il mondo di discipline scientifiche come la nostra è al lavoro da tempo.
  Vorrei in questa circostanza, come ha detto il presidente Corcione poco fa, far presente che la Società italiana di anestesia e rianimazione ha condiviso il percorso che Pag. 8ha portato all'elaborazione di questo documento, tra l'altro presentato giusto in Senato nel settembre dello scorso anno. È un documento proposto dal Cortile dei Gentili, una fondazione del Pontificio consiglio della cultura.
  Il Cortile dei Gentili è un nome evocativo. Il termine indica il luogo nel Tempio di Gerusalemme prima della distruzione di Tito dove c'era uno spazio, un cortile dove credenti e non credenti potevano incontrarsi. L'immagine è emblematica, quindi, del confronto, della relazione e del dialogo tra credenti e non credenti.
  A seguito di un incontro che si è svolto alla Camera nel maggio 2014 sulla fine della vita, la fondazione con la collaborazione della nostra società e della Società italiana di cure palliative ha dato origine a un gruppo multidisciplinare, con medici, giuristi, bioeticisti, che ha lavorato per più di un anno sul tema della relazione di cura e della fine della vita. Questo è un documento breve, di quattro pagine, molto essenziali, che credo possano offrire alcuni elementi importanti. In modo schematico e telegrafico, per non rubare tempo, vi offro sei punti, e credo ci sarà occasione di offrire chiarimenti ed elementi di discussione.
  Ritengo estremamente importante fare una premessa su ciò che ha guidato questo lavoro di un gruppo che, come potete immaginare, oltre che essere multidisciplinare, aveva il preciso intento di mettere intorno a un tavolo e di far lavorare insieme persone con orientamenti e convinzioni esistenziali assolutamente differenti. Credo che questo sia un elemento estremamente importante per capire che il confronto con l'altro non solo è necessario, ma utile ed estremamente fecondo.
  La premessa che vorrei porvi è che le questioni relative al trattamento giuridico delle decisioni di fine vita possono essere risolte validamente solo nell'ambito di una disciplina di insieme della relazione di cura. Sono convinto, insieme a tutte le persone che hanno lavorato a questo documento – io ho partecipato alla stesura – che se frazioniamo questo tema complesso, dimenticando una dimensione della relazione di cura, rischiamo di compiere delle azioni che sono già state fatte all'estero, ad esempio gli Stati Uniti, e che non hanno prodotto grandi risultati.
  Gli Stati Uniti hanno una legge, addirittura del 1991, il Self-Determination Act, che ha offerto grande aiuto, ma non ha risolto la realtà. Questo tema delle disposizioni anticipate, delle direttive anticipate va considerato in un contesto più ampio.
  Le affermazioni sulle quali vorrei portare la vostra attenzione oggi sono le seguenti. La proporzionalità è un requisito essenziale della cura, e pertanto il medico ha il dovere di non avviare trattamenti che si prospettino come non proporzionati e di interromperli, ovviamente rimodulando il tipo di cure con un diverso piano di cura. Il secondo elemento è che la relazione terapeutica è essenzialmente consensuale, e quindi l'esercizio di autodeterminazione va assecondato e sostenuto. Non è qualcosa che vada tenuto, assolutamente. Il terzo punto è che gli strumenti giuridici non possono limitarsi al modello della dichiarazione di consenso, ma devono essere adeguati a garantire e concretare il processo di costruzione del consenso.
  La sottolineatura che vorrei portare anche a voi oggi è che c'è un processo, un percorso di cura. Il tema delle disposizioni anticipate è un elemento, estremamente importante, ma un elemento. In questa dimensione, credo che quello che va sottolineato sia la pianificazione condivisa delle cure, la figura del fiduciario e le disposizioni di cura.
  La pianificazione condivisa delle cure è un percorso che comincia con la storia di malattia. Vi ho detto che soltanto un terzo delle morti è un evento improvviso e inaspettato, e così in tutta l'Europa, ma è un dato che appartiene alla natura dell'uomo. C'è un percorso in cui va pensata e discussa ogni scelta diagnostica, ogni scelta di terapia. Se non avviene questo e ci si ritira in una sorta di formalismo giuridico, come spesso accade ad esempio negli Stati Uniti o in altri Paesi europei, dove addirittura si spunta una check-list all'ingresso in ospedale... Pag. 9
  Tutto questo è formalmente ineccepibile, ma contraddice l'essenza del prendersi cura dell'altro.
  Sul tema delle dichiarazioni anticipate credo che delle precisazioni possano essere fatte dicendo che questo strumento completa la costruzione della consensualità della relazione di cura. Le dichiarazioni anticipate vanno, dunque, considerate come un'opportunità e uno strumento di esercizio della consensualità nella relazione di cura, e non come un onere per la persona. Le dichiarazioni rivolte al futuro in previsione di situazioni ipotetiche esigono, però, una mediazione interpretativa di attuazione e di concretizzazione. Una grande attenzione va data a dichiarazioni di principio estremamente lontane rispetto agli eventi nel tempo. Tutte queste dichiarazioni richiedono una loro concreta attuazione, revisione nel tempo, il pensare nel tempo.
  Il rifiuto delle cure, invece, e sono al quarto punto, rappresenta un diritto del paziente, a nostro modo di vedere, e deve trovare posto all'interno della relazione di cura, accompagnato da due elementi chiave. Uno è l'informazione: un rifiuto delle cure può fare solo seguito a una chiara informazione, a una completa informazione.
  Vi ho detto che la morte è assente dal percorso formativo della nostra facoltà: tenete presente che anche i temi della comunicazione sono assenti dal percorso formativo di chi diventerà medico. Nella nostra scuola di specialità di anestesia e rianimazione, un percorso oramai di quattro anni, temi come l'etica clinica, le cure di fine vita e la comunicazione sono stati assenti sino al febbraio dello scorso anno, quando col decreto del 4 febbraio del Ministero dell'istruzione si è ripensato il percorso inserendo questi elementi.
  Pensate che in Europa le raccomandazioni della Società europea di terapia intensiva indicano da più di vent'anni che questi temi devono essere assolutamente presenti nel nostro curriculum formativo. Parlare di rifiuto delle cure come diritto del paziente deve considerare, da un lato, un'informazione chiara, comprensibile, questa condivisione di informazione, e, dall'altro, il fatto che la cura deve essere rimodulata dopo un rifiuto. Il paziente ha sempre comunque diritto a un accompagnamento con cura competente e qualificata, la rimodulazione e l'evitamento di quello viene chiamato con brutta espressione «abbandono terapeutico».
  Credo che debba essere considerato lo spazio per l'obiezione di coscienza per il medico quando l'interruzione delle cure, in particolare in ragione di un'eventuale condizione di dipendenza, esiga l'intervento del medico stesso. Credo che una normativa debba considerare quest'elemento.
  Infine, sesto e ultimo punto, nei casi di legittimo rifiuto e di non proporzionalità delle cure, l'astensione e l'interruzione sono condotte che adempiono a un dovere deontologico e giuridico. A questo, però, deve essere associata la garanzia da parte del legislatore che assicura ai medici la certezza che non saranno soggetti a sanzione penale o civile. Questo è un elemento, credo, di grande importanza: che l'adempimento a questo dovere di interruzione o non attuazione di cure ritenute non proporzionate o che hanno perso di proporzionalità nel percorso di cura non rappresenti un elemento che possa essere sanzionato per il medico.

  PRESIDENTE. La ringrazio moltissimo.
  Do adesso la parola al presidente Arbarello, della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni.

  PAOLO ARBARELLO, Presidente della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni. Preciso che credo che sentirete anche il presidente Buccelli. Io sono presidente onorario, ma sono stato convocato perché per anni mi sono occupato di questa questione. Riferiremo tutti e due, chi per una parte chi per l'altra, in maniera molto sintetica quali sono le posizioni della Società italiana di medicina legale. Credo che farà fede quello che lasciamo. Non abbiamo preparato un documento. Ne avevamo preparati già in passato.
  Non c'è nessuna intenzione – ci mancherebbe – di porre questioni su una sovrana Pag. 10 volontà del Parlamento. Noi, però, abbiamo il dovere di porre sì alcune questioni. Abbiamo un'ottica particolare come medici legali. La prima questione che teniamo a mettere sul tavolo, anche se forse entriamo un po' con i piedi nel piatto, è che a tutt'oggi in carenza legislativa non ci sono stati casi di contenzioso giudiziario che a noi risultino, salvo naturalmente quelli che conosciamo tutti, Welby e altri, in ordine alla scelta se il sanitario ha sbagliato o meno: come diceva il collega, nel modificare il piano terapeutico; nell'accelerare in qualche modo il fine vita; quando ci saranno in vigore queste norme, nell'interpretazione della volontà del paziente.
  Poniamo questa questione per dire che dobbiamo essere consapevoli che, se vi è – ci mancherebbe – l'esigenza di normare, è quasi sempre classico nel nostro Paese che, fatta la norma, si dà lavoro agli avvocati. Perché diciamo questo?
  Innanzitutto, come hanno detto i colleghi – è inutile tornarci sopra – siamo di fronte a una delle cose più complicate dal punto di vista della legge. Se andate a leggervi quello che hanno scritto i colleghi anestesisti, sicuramente trovate la complessità delle questioni che dovrete cercare di normare nell'affermazione che loro fanno quando dicono che bisogna identificare un percorso tra medico e paziente, essere chiari nella modificazione delle terapie. Non ci si può, secondo noi medici legali, che siamo banalmente operai del diritto, limitare a dire che bisogna. È necessario, allora, indicare qual è il contenuto.
  Tanto per dirla in termini molto pratici, se un chirurgo sbaglia, c'è una linea guida con la quale contestare la liceità dell'intervento. Qui la differenza tra l'abbandonare una cura perché la si ritiene inutile ovvero la distinzione nel caso in cui una cura potrebbe sconfinare in eutanasia non è cosa da poco. Una volta normata, creerà certamente una serie di questioni.
  Se questo tipo di scelta è sottesa dalla carta scritta del cosiddetto consenso, tutti ci riempiamo la bocca che è libero e informato, ma c'è una piccola parola nel consenso, che è in tutti i codici deontologici: deve essere attuale. Per noi medici legali è fondamentale. Se io do una linea di comportamento quattro anni prima, vorrei sapere in che modo può essere governata la volitività, il cambiamento, il desiderio di cambiare.
  Comunque, vi dico una cosa molto semplicemente. Oggi qui il professor Arbarello dice che quasi certamente preferirebbe non vivere la sua vita costretto in un letto, visto che fino adesso è stato abituato ad andare in motorino, e ci va molto volentieri. Non ne ha voglia, preferisce che non ci sia l'accanimento terapeutico. Se, però, il professor Arbarello il giorno che è finito dentro un letto si trova al confronto con la vita e non è in grado di esprimere, perché non parla più, un parere differente, ma gode molto nel vedersi attorno i familiari, nel leggere quella decina di giornali che ogni tanto legge in una giornata o nel guardare la televisione, come ne usciamo?
  Cerchiamo, almeno da questo punto di vista, di lasciare aperta un'opzione, altrimenti rischiamo di cadere su una linea nella quale non c'è possibilità per nessuno di modificare quello che è stato scritto.
  La seconda questione, e non ne ho veramente altre, ho quasi finito, è che per noi è essenziale la clausola di libertà di coscienza, come ha già detto un collega. Può crearsi un problema al sanitario nel non sentirsi adeguato o non voler seguire una linea che il paziente ha indicato, nel senso che non si sente nella condizione non di avere il coraggio di decidere, ma addirittura – non so se riesco a spiegarmi – di «non sapere» se quelle terapie, quelle cure sono davvero in grado in quel momento, a quelle condizioni di ottenere dei miglioramenti o no. Non si sa quale può essere la reazione di quell'organismo.
  I colleghi presenti ne sanno molto più di me: sono decine di migliaia i casi nei quali la reazione dell'organismo umano a delle terapie è del tutto inaspettata. Un risveglio da un coma è del tutto imprevedibile, ma poi c'è. Allora, la codificazione di qualcosa che riguarda strettamente l'individuo è molto difficile. Credo che non possa essere normata in modo che al medico si dice che deve per forza comportarsi in un certo modo. Pag. 11
  Infine, dall'ottica medico-legale ci piace dire che bisogna sempre tenere sempre conto – lo diciamo ai deputati, alla massima espressione della volontà del Paese – che i conti vanno fatti con la realtà che abbiamo. Quella dei sanitari italiani – ha perfettamente ragione, nessuno può negare che se ne intenda, l'anestesista e rianimatore – non è una realtà di laureati preparati, anche oggi, al confronto, come diceva lui, col limite e con la morte.
  Soprattutto, un dato fondamentale emerge dalle cose che dicono tutti i documenti che abbiamo tirato fuori, anestesisti, tutte le associazioni: questa alleanza terapeutica funzionerebbe o può funzionare alla sola condizione che avessimo – fidatevi dei medici legali, non li abbiamo – una maggioranza del personale sanitario capace di spiegare quello che fa, di farsi capire, di interloquire. Non è un peccato non essere in grado di farlo, ma la stragrande maggioranza dei contenziosi che abbiamo in medicina legale deriva dal fatto che i sanitari non sono in grado di dialogare, farsi capire e spiegare.
  Mi domando, ci domandiamo noi medici legali – affidiamo a voi, naturalmente, ci mancherebbe, la soluzione – se questo non accade per condizioni terapeutiche «normali», figuriamoci quando si tratta di discutere con qualcuno di opzioni terapeutiche che riguardano se sopravvivrà o meno. Affidiamo queste considerazioni a una riflessione che riteniamo debba essere da parte vostra molto attenta. È sufficiente un aggettivo di troppo a determinare qualche sconquasso.

  PRESIDENTE. Ringrazio non solo per gli autorevoli interventi e perché avete fornito ulteriori spunti di riflessione e approfondimenti. Ognuno di noi certamente ha un ruolo molto complesso e difficile da portare avanti, quindi veramente vi ringraziamo di cuore per questo vostro intervento oggi.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA AMATO. Ringrazio il dottor Giannini per aver parlato di cura del morire e della necessità del superamento della visione del medico, in particolare del medico anestesista rianimatore, come supereroe. Soprattutto, lo ringrazio per aver confermato un concetto che ormai la nostra cultura, non solo quella medica, deve affrontare: quello di una medicina che non sempre guarisce, ma che sempre cura e deve curare.
  La mia domanda è per SIAARTI, quindi può rispondermi il presidente, il dottor Giannini, chi vuole. Nell'audizione precedente che abbiamo tenuto con la Consulta di bioetica, in particolare col dottor Mario Riccio, citando uno studio del 2007 del Mario Negri che parla della terapia intensiva e delle morti in terapia intensiva, ci ha fornito dei numeri, che non hanno lasciato solo a me qualche inquietudine.
  Su 150.000 pazienti ricoverati all'anno in terapia intensiva, un quinto, cioè 30.000 pazienti, muore. Per il 62 per cento di questi pazienti, cioè 18.600, la morte è dovuta alla scelta clinica di attuare un protocollo di desistenza terapeutica. Anche se lo studio non entra in ulteriori analisi, è verosimile ritenere che non tutti questi 18.600 sarebbero morti comunque entro poche ore o nei giorni successivi, ma si sarebbero potuti trasformare nel 15 o 20 per cento dei casi in pazienti cronici.
  La domanda è: quali sono questi protocolli di desistenza terapeutica? Chi li decide e con chi si decidono? I numeri sono veri?

  MATTEO MANTERO. Anzitutto, ringrazio per gli interventi, che sono stati al solito molto stimolanti.
  Vorrei formulare una domanda che deriva dall'intervento del rappresentante dell'Istituto superiore di sanità, ma che rivolgo a tutti, sulla vincolatività della dichiarazione o direttive anticipate di trattamento. Nell'intervento si diceva che il medico non è obbligato a ricorrere a un trattamento sanitario per un paziente solo perché glielo chiede, e si richiamava l'equazione per cui, anche al contrario, la dichiarazione anticipata di trattamento non dovrebbe essere vincolante, perché non vi è l'obbligo a non portare avanti le richieste del paziente. Pag. 12
  In realtà, però, se è vero che non vi è l'obbligo di praticare tutti i trattamenti che il paziente richiede se il medico ritiene siano inappropriati, al contempo vi è la facoltà del paziente, quando gli è data la possibilità di esporlo, di rinunciare a qualsiasi trattamento sanitario, anche se appropriato. Se il paziente può, quando è in grado di intendere e di volere, rinunciare a qualsiasi trattamento sanitario, può farlo e quindi deve essere la dichiarazione anticipata vincolante anche quando non è in grado di intendere e di volere? Questa è la prima domanda che rivolgo più o meno a tutti.
  Per quanto riguarda quello che ha detto il professor Giannini, abbiamo già sentito altri auditi parlare della necessità di sviluppare un percorso di cura, che appunto condivido. È vero, andiamo forse a rivolgerci a quella parte dei pazienti in cui si manifesta un'incapacità di intendere e di volere inaspettata, ma il percorso di cura richiederebbe che approfondissimo una norma o il medico può già farlo in questo momento, senza necessità di ulteriori strumenti da parte nostra?
  La norma serve, a mio avviso, al contrario di quanto diceva il rappresentante dei medici legali, proprio a tutelare i medici che, rispettandone la volontà, non vogliono interrompere le cure come richiesto dal paziente. In questo momento di vuoto normativo quei medici potrebbero essere diciamo accusati di inadempienza.
  Per quanto riguarda la dichiarazione o direttiva anticipata di trattamento, il paziente che si trovasse a dover compilare il cosiddetto testamento biologico probabilmente si potrebbe trovare in difficoltà, in quanto non ha i mezzi forse per sapere a quale trattamento essere sottoposto e a quale no: è necessario fornire uno strumento, uno schema con le caselline da barrare o è più opportuno che quel documento sia fatto insieme al proprio medico curante o a un medico di fiducia?

  ELENA CARNEVALI. Ho domande molto veloci, quasi un po' secche, ma scusatemi.
  Nel percorso di audizioni, ci aveva colpito, oltre alle osservazioni della collega Amato, la richiesta da parte di alcuni auditi, in particolare Riccio, di eliminare dalle proposte di legge qualsiasi riferimento all'alleanza terapeutica, perché ci saremmo inoltrati in riferimenti di natura dottrinale che potevano destare una non coerenza. Fu una dichiarazione molto esplicita, molto netta. Qual è il vostro giudizio?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica. Vi pregherei, gentilmente, di repliche brevi.

  ALBERTO GIANNINI, Componente del gruppo studio di bioetica della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva. Spero di riuscire a essere ragionevolmente sintetico per lasciare spazio anche agli altri colleghi, seguendo la sequenza delle domande.
  In Italia, a differenza che negli altri Paesi europei e nei Paesi nordamericani, i dati sulle cure di fine vita sono estremamente limitati. Tenete presente che, per quanto riguarda la terapia intensiva, esistono soltanto due studi fatti in Italia: il primo pubblicato da me sulla rivista della Società europea di terapia intensiva nel 2003; poi c'è lo studio di cui parlavamo della rete GiViTI (Gruppo Italiano Valutazione Interventi Terapia Intensiva) e del Mario Negri. Pochissimi, quindi, sono i dati.
  Che cosa dice questo? La letteratura è piena di queste informazioni: semplicemente, in Italia se ne parla poco, e non è considerato un argomento di ricerca. Questo è sorprendente, ma fa parte di un elemento culturale.
  A parte questa considerazione, credo che la lettura che è stata fatta dalla Consulta di bioetica sia francamente fuorviante. I dati dello studio pubblicato su Intensive Care Medicine dicono qualcosa di differente, ma vi lascio volentieri il testo del lavoro. Che cosa ci dicono? Ci dicono, come avevamo già messo in luce quasi quindici anni fa, che la situazione in Italia è molto più cauta e conservativa rispetto agli altri Paesi.
  Lo studio europeo più grosso sulle scelte di fine vita in terapia intensiva, lo studio Pag. 13Ethicus, pubblicato nel 2003 su JAMA, la più importante rivista di medicina, ci diceva che in Europa il 73 per cento delle morti, cioè i tre quarti, è preceduto da una qualche forma di scelta. Nel nostro Paese – stiamo nuovamente studiando l'argomento con uno studio mondiale, io coordino l'Italia, ma i dati saranno disponibili tra un anno e mezzo o due, temo un po' tanto per voi – lo studio pubblicato dal gruppo di questa rete di terapie intensive ci dice che il 62 per cento delle morti è preceduto da una qualche forma di decisione riguardo alla limitazione o alla sospensione delle cure. Quale tipo di scelta?
  In sostanza, un terzo di queste scelte riguarda la semplice decisione di non procedere con le manovre di rianimazione cardiopolmonare, cioè il massaggio cardiaco, in caso di morte. Nei restanti due terzi dei casi, c'è una scelta di sospendere i life support treatment, cioè i trattamenti di supporto vitale, o di astenersi dal cominciarne altri. In realtà, quindi, è una scelta molto più cauta e contenuta rispetto a quanto documentato in letteratura per i Paesi europei e per i Paesi del nord Europa.
  Quanto ai protocolli per le direttive anticipate, non ne esistono. In Italia, esistono dei testi di raccomandazione, prodotti dalla Società italiana di anestesia e rianimazione. Sono stati pubblicati su riviste scientifiche nel 2003 e nel 2006. Poi c'è un testo riguardante le scelte di fine vita in terapia intensiva pediatrica, pubblicato dalla Società italiana di anestesia e rianimazione pediatrica, sulla rivista europea nel 2008. Come vedete, sono riferimenti condivisi e pubblici.
  Le direttive anticipate sono vincolanti? Do una risposta personale, non a nome della società, non ne ho la possibilità ovviamente. Credo che la risposta sia sostanzialmente analoga a quella che vi ha dato il dottor Peruselli, il presidente della Società italiana di cure palliative, che è stato in audizione qualche settimana fa. La risposta è sì. Se nella relazione col paziente sino al giorno prima la volontà del paziente stesso è da rispettare, informata, consapevole, è un po' inverosimile pensare che un secondo dopo questa volontà perda di valore.
  Questa volontà deve essere espressa, però, in un percorso che sia chiaro, completo, pieno. Credo che valga la pena di ripeterlo. Vorrei sottolineare che quella medico-paziente è una relazione tra due autonomie, è un incontro tra due soggetti. Il medico – mi è capitato di scriverlo sulla rivista americana di terapia intensiva – non può essere considerato come una sorta di lavagna bianca su cui il paziente scrive una volontà, e il medico esegue. Deve esserci una relazione, un confronto, una discussione. Credo che questo sia importante, altrimenti spersonalizziamo una dimensione tra le più belle della vita, che è il prendersi cura dell'altro.
  Come fare uno schema? Di schemi ne sono stati prodotti un'infinità, tantissimi. Se si riuscisse a evitare il flag sulle varie caselle, cioè di segnare x, credo che sarebbe meglio. Credo che sia qualcosa che va pensato persona per persona, in base alla sua situazione, alla sua storia, nel percorso di malattia. È più faticoso, ma è più rispettoso della persona che abbiamo di fronte.
  È necessaria una norma sul percorso di cura? Io credo che vada pensato e considerato il percorso di cura. Credo che, nell'ambito della relazione di cura, le leggi debbano essere caute, attente, se possibile – non so se il termine in ambito giuridico è illecito – devono essere leggere. Attenzione a normare in modo metodico e maniacale tutti gli aspetti. Questo diventa estremamente pesante.
  Questo non vuol dire che non debbano essere fatte norme molto precise e specifiche. Mi viene in mente – dimenticatene i contenuti, è soltanto un esempio – la prima legge francese sulla fine vita, la legge Leonetti del 2005, che tra l'altro ha messo insieme i diversi partiti presenti nel Parlamento francese, che è estremamente leggera, con contenuti molto densi, ma che non ha normato in modo specifico e maniacale qualunque passaggio.
  Peraltro, nella relazione di cura non tutto è normabile. Ieri pomeriggio mi sono seduto con un genitore – sono rianimatore pediatrico – a ragionare con lui se il suo Pag. 14bambino riuscirà a vivere o meno. Faccio fatica a immaginare che una legge avrebbe potuto aiutarci, guidarci e vincolarci. Credo forse che sia impossibile, anche se abbiamo parlato di cose difficili, come la probabile morte del suo bambino e l'eventualità che noi potessimo arrivare alla sospensione di supporti vitali.
  Quanto all'ultimo punto, l'eliminazione dell'espressione «alleanza terapeutica», credo che sia una questione di lana caprina. L'espressione non fa parte soltanto di un linguaggio tipico del mondo confessionale. In realtà, quest'espressione – si può accettarla o meno, è indifferente – appartiene a moltissime espressioni del mondo della cura, non necessariamente del mondo credente, né tanto meno del mondo cattolico nella fattispecie. Per me, è un'espressione che ha tuttora una sua validità, di sicuro storicamente ben datata, cioè cinquant'anni fa non la trovavamo e non so tra vent'anni cosa troveremo. Personalmente, però, non la ritengo esecrabile o da espungere.

  PAOLO ARBARELLO, Presidente della Società italiana di medicina legale e delle assicurazioni. Non ho molto da aggiungere, ma proprio in relazione a quello che ha detto il collega rianimatore, mi piacerebbe rimanesse a verbale, per quanto attiene alla posizione dei medici legali sulla norma, che non c'è il minimo dubbio che meno dettagliamo, meno normiamo e meglio è per tutti.
  Dovrete, però, tener presente una cosa. C'è la libertà di autodeterminazione del paziente, ma siamo di fronte all'incontro tra due libertà, e una è quella del sanitario di fare tutto quello che ha ritenuto. Diversamente da quanto ho detto poc'anzi, c'è la mancanza di preparazione psicologica, ma c'è la grande determinazione psicologica di noi laureati in medicina, per i quali la sconfitta è la morte e la vittoria è tenere in vita. Di fronte a questo cambiamento che possa esserci imposto, c'è la libertà di coscienza di dire che non ci si sente di aderire a un'opinione differente, perché si ritiene che ci siano ancora margini.
  Ho sentito qualche nota molto opportuna da parte di chi è intervenuto dei deputati: non vorrei che venisse in nessun modo dimenticato che la stragrande maggioranza dei pazienti a tutt'oggi, e credo ancora per molto tempo, fa conto su un principio, che dobbiamo rispettare, di affidamento: si affida, preferisce non decidere, preferisce affidarsi, preferisce sostanzialmente sperare. Anche questo va tenuto nel conto. Meno le maglie sono strette, più c'è la possibilità di avere maglie larghe, pur avendo – per carità – l'esigenza più che legittima di normare, e meglio è.
  Tra l'altro, ultimissima cosa che ai medici legali preme molto, attenzione a non mettere paletti di anni nel consenso: vale quattro anni, vale cinque, vale sei, vale tre. Nessuno di noi può sapere negli anni a venire che cosa il progresso tecnologico può fornire ad alcune categorie, in particolare a quelli che sono in prima linea, gli anestesisti e i rianimatori, nelle possibilità di maneggiare sostanze, farmaci, sperimentazione, non so che cosa, per cui quello che scriviamo quattro anni prima è assolutamente desueto, superato. Serve grande elasticità.

  CARLO PETRINI, Responsabile dell'Unità di Bioetica dell'Istituto superiore di sanità. Colgo l'invito a essere breve e cerco di essere sintetico. Chiedo anche scusa se sarò molto cauto nel rispondere, ma sono qui in veste di rappresentante istituzionale e voglio essere molto attento a non confondere le opinioni personali con le posizioni dell'istituzione che rappresento.
  Tutto ciò che ho detto è tratto da documenti istituzionali, e infatti la bibliografia del mio intervento è più lunga dell'intervento stesso. Mi riferisco, in particolare, al punto in cui sono stato direttamente chiamato in causa dall'onorevole Mantero e alla sua giusta osservazione.
  Il punto che lei ha citato deriva in larga parte dalle linee guida del Consiglio d'Europa, dove si fa questo confronto tra chi chiede un trattamento che il medico ritiene inappropriato e chi rifiuta un trattamento che il medico ritiene appropriato. Quest'analisi viene fatta sulla base dei noti princìpi della bioetica nord-americana. Ovviamente, bisogna tenere conto della differenza, che questo si applichi a una persona con cui si Pag. 15sia in possibilità di dialogo, quindi capace di esprimere il consenso, o se ci riferisca a una dichiarazione anticipata.
  Comunque, per mantenermi sempre in un profilo istituzionale, mi limito come risposta a citare il punto b) delle raccomandazioni finali, o meglio delle aggiunte alle raccomandazioni finali del documento «Dichiarazioni anticipate di trattamento» del Comitato nazionale per la bioetica del 18 dicembre 2003, dove si dice che il Comitato ritiene opportuno che la legge obblighi il medico a prendere in considerazione le dichiarazioni anticipate escludendone espressamente il carattere vincolante, ma imponendogli, sia che le attui sia che non lo faccia, di esplicitare formalmente e adeguatamente in cartella clinica le ragioni della sua decisione. Questo è quanto raccomanda il Comitato nazionale per la bioetica.
  Se posso approfittare del fatto che ho la parola soltanto per una piccolissima e molto banale osservazione – chiedo scusa – mi sono accorto leggendo il testo, di un banale refuso nella prima citazione che ho fatto della Convenzione di Oviedo, dove è sbagliata la data. Chiedo scusa, invierò il testo con questa piccola correzione al refuso, e chiedo che venga conservata agli atti la copia corretta.

  PRESIDENTE. Infinitamente grazie per quest'ulteriore approfondimento che ci avete fornito oggi e per quello che dovremo fare nei prossimi giorni. Per quanto riguarda la documentazione, segnalo che il documento del Cortile dei gentili, depositato dai rappresentanti della Società italiana di anestesia analgesia rianimazione e terapia intensiva, è stato già pubblicato in allegato al resoconto stenografico della seduta del 16 marzo in quanto consegnato anche da un altro soggetto audito. Autorizzo quindi la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna del documento redatto dal dottor Petrini (vedi allegato) in quanto può risultare utile riportare anche le note del testo che ci è stato letto. Veramente vi ringrazio e vi auguro buon proseguimento.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.20.

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