XVII Legislatura

XII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Lunedì 7 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Marazziti Mario , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA, NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 1432  MURER, C. 1142  MANTERO, C. 1298  LOCATELLI, C. 2229  ROCCELLA, C. 2264  NICCHI, C. 2996  BINETTI, C. 3391  CARLONI, C. 3561  MIOTTO E C. 3596  CALABRÒ: «NORME IN MATERIA DI CONSENSO INFORMATO E DI DICHIARAZIONI DI VOLONTÀ ANTICIPATE NEI TRATTAMENTI SANITARI»

Audizione del Comitato nazionale per la bioetica (CNB).
Marazziti Mario , Presidente ... 3 
D'Avack Lorenzo , presidente del Comitato nazionale per la bioetica ... 3 
Marazziti Mario , Presidente ... 3 
D'Avack Lorenzo , presidente del Comitato nazionale per la bioetica ... 4 
Marazziti Mario , Presidente ... 6 
Palazzani Laura , vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica ... 6 
Marazziti Mario , Presidente ... 7 
Palazzani Laura , vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica ... 7 
Marazziti Mario , Presidente ... 7 
Palazzani Laura , vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica ... 7 
Lenzi Donata (PD)  ... 8 
D'Avack Lorenzo , presidente del Comitato nazionale di bioetica ... 8 
Marazziti Mario , Presidente ... 9 
Palazzani Laura , vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica ... 10 
Marazziti Mario , Presidente ... 10 
Miotto Anna Margherita (PD)  ... 10 
Mantero Matteo (M5S)  ... 11 
Lenzi Donata (PD)  ... 11 
Murer Delia (PD)  ... 12 
Marazziti Mario , Presidente ... 12 
Palazzani Laura , vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica ... 13 
Lenzi Donata (PD)  ... 13 
Palazzani Laura , vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica ... 13 
D'Avack Lorenzo , presidente del Comitato nazionale per la bioetica ... 15 
Marazziti Mario , Presidente ... 16 
Binetti Paola (AP)  ... 16 
Marazziti Mario , Presidente ... 16 
D'Avack Lorenzo , presidente del Comitato nazionale per la bioetica ... 16 
Marazziti Mario , Presidente ... 17 
D'Avack Lorenzo , presidente del Comitato nazionale di bioetica ... 17 
Marazziti Mario , Presidente ... 18 
D'Avack Lorenzo , presidente del Comitato nazionale di bioetica ... 18 
Marazziti Mario , Presidente ... 18 

Audizione della Società italiana di cure palliative (SICP) e di Danila Valenti, componente del Consiglio direttivo dell'Associazione europea di cure palliative (EAPC):
Marazziti Mario , Presidente ... 18 
Peruselli Carlo , presidente della Società italiana di cure palliative (SICP) ... 18 
Marazziti Mario , Presidente ... 19 
Peruselli Carlo , presidente della Società italiana di cure palliative (SICP) ... 19 
Marazziti Mario , Presidente ... 19 
Valenti Danila , componente del Consiglio direttivo dell'Associazione europea di cure palliative (EAPC) ... 19 
Marazziti Mario , Presidente ... 21 
Amato Maria (PD)  ... 21 
Binetti Paola (AP)  ... 21 
Nicchi Marisa (SI-SEL)  ... 22 
Mantero Matteo (M5S)  ... 23 
Lenzi Donata (PD)  ... 23 
Marazziti Mario , Presidente ... 23 
Peruselli Carlo , presidente della Società italiana di cure palliative (SICP) ... 23 
Morino Piero , membro del Consiglio direttivo nazionale della Società italiana di cure palliative (SICP) ... 24 
Valenti Danila , componente del Consiglio direttivo dell'Associazione europea di cure palliative (EAPC) ... 25 
Marazziti Mario , Presidente ... 26 

Audizione dell'Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica (ADI) e della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINuC):
Marazziti Mario , Presidente ... 26 
Sandri Giancarlo , consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC) ... 26 
Marazziti Mario , Presidente ... 26 
Sandri Giancarlo , consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC) ... 26 
Marazziti Mario , Presidente ... 27 
Mantero Matteo (M5S)  ... 28 
Marazziti Mario , Presidente ... 28 
Murer Delia (PD)  ... 28 
Marazziti Mario , Presidente ... 28 
Sandri Giancarlo , consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC) ... 28 
Lenzi Donata (PD)  ... 29 
Sandri Giancarlo , consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC) ... 29 
Marazziti Mario , Presidente ... 29 
Sandri Giancarlo , consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC) ... 29 
Marazziti Mario , Presidente ... 29 
Sandri Giancarlo , consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC) ... 29 
Marazziti Mario , Presidente ... 30 
Rossini Mauro , rappresentante dell'Associazione italiana di dietetica e nutrizione medica (ADI) ... 30 
Marazziti Mario , Presidente ... 30 

Allegato 1: Documentazione consegnata dal presidente della SICP Carlo Peruselli. ... 31 

Allegato 2: Documentazione consegnata da Danila Valenti, componente del Consiglio direttivo dell'EAPC. ... 55 

Allegato 3: Documentazione consegnata dal rappresentante dell'ADI. ... 58

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO MARAZZITI

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati, nonché la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Comitato nazionale per la bioetica (CNB).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 1432 Murer, C. 1142 Mantero, C. 1298 Locatelli, C. 2229 Roccella, C. 2264 Nicchi, C. 2996 Binetti, C. 3391 Carloni, C. 3561 Miotto e C. 3596 Calabrò: «Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari», l'audizione del Comitato nazionale per la bioetica (CNB).
  Ricordo che oggi la Commissione inizia il ciclo di audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle proposte di legge in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari.
  Nella seduta odierna sono previste le audizioni del Comitato nazionale per la bioetica, della Società italiana di cure palliative, della dottoressa Danila Valenti, componente del Consiglio direttivo dell'Associazione europea di cure palliative, e della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINuC).
  Per il Comitato nazionale per la bioetica sono presenti – e li ringrazio di essere venuti – Lorenzo D'Avack, presidente, e Laura Palazzani, vicepresidente. Il nostro benvenuto precede solo il vostro intervento in quest'audizione.

  LORENZO D'AVACK, presidente del Comitato nazionale per la bioetica. Buongiorno a tutti. Presidente, grazie per l'invito che è stato fatto al Comitato nazionale per la bioetica. Il problema è che non sappiamo con precisione – le chiedo se su questo mi può fornire una sua indicazione – se veniamo in quanto rappresentanti del Comitato nazionale per la bioetica e, quindi, dobbiamo portare la parola del Comitato nazionale per la bioetica, anche tenuto conto di molti documenti che sono stati redatti, o direttamente, o indirettamente, su queste problematiche, o se, invece, c’è un desiderio da parte della Commissione di sentire anche le nostre opinioni personali.
  Le dico questo, e chiedo scusa a tutti se faccio questa precisazione, perché capite bene che il Comitato nazionale per la bioetica ha una composizione molto pluralista, ragion per cui, anche leggendo i nostri documenti, soprattutto su problematiche delicate come quella che state affrontando, dobbiamo dare atto dell'esistenza di tendenze di pensiero etiche fra loro spesso diverse. Tendiamo a trovare dei punti di contatto, ma ci sono anche molti argomenti e controargomenti.

  PRESIDENTE. Professore, la nostra Commissione ha bisogno di conoscere il più possibile lo spettro delle posizioni presenti nel Comitato nazionale per la bioetica. Nei vostri due interventi iniziali mi augurerei di avere da voi uno spettro Pag. 4sui punti di convergenza e sui punti che differiscono tra i vari membri presenti. Attraverso le domande che seguiranno, sicuramente potrete fornire anche – ci teniamo, essendo voi due membri tanto autorevoli – la vostra personale posizione e i vostri personali suggerimenti.
  Se volete fare tutte e due le cose, mischiando le due fasi, è a vostra scelta. Noi siamo interessati a tutte e due le cose perché vorremmo evitare di dover ascoltare, se possibile, tutti i singoli membri del Comitato nazionale per la bioetica, quando magari le loro posizioni possono essere già esposte in maniera ordinata e chiara e venire a conoscenza della Commissione da voi. Siete molto autorevoli, ragion per cui siamo interessati anche al vostro personale contributo, ma, se ci aiutate ad avere il maggior numero di elementi possibile e il più possibile rappresentativi del panorama, ve ne siamo grati.

  LORENZO D'AVACK, presidente del Comitato nazionale per la bioetica. Grazie, presidente. Penso che, se la professoressa Palazzani è d'accordo, potremmo ricordare innanzitutto che nel 2003 è stato redatto un documento da parte del Comitato nazionale per la bioetica che riguardava le dichiarazioni anticipate di trattamento. Devo dire che fu anche un documento «originale», perché in quel momento si parlava poco, molto poco, di dichiarazioni anticipate di trattamento.
  Sicuramente sulle dichiarazioni anticipate di trattamento fu trovata da parte del Comitato nazionale per la bioetica, che ne discusse comunque a lungo, una notevole convergenza di opinioni. Ci si mosse, soprattutto per quanto riguardavano le conclusioni, verso l'idea che le dichiarazioni anticipate di trattamento fossero un elemento assolutamente necessario nel rapporto medico-paziente e che nell'alleanza terapeutica la presenza delle dichiarazioni anticipate di trattamento si traducesse sicuramente in un vantaggio tanto per il paziente, quanto per il medico. Si continuava a interagire, in qualche modo.
  Quello che può essere uno degli elementi forti su cui si discute quando parliamo di dichiarazione anticipata di trattamento è la sua maggiore o minor vincolatività. Il Comitato nazionale per la bioetica, richiamandosi a un'interpretazione molto simile a quella che è stata fornita dalla Convenzione di Oviedo e dal Protocollo interpretativo dalla Convenzione di Oviedo, ha ritenuto che le dichiarazioni anticipate di trattamento fossero molto importanti e rilevanti per il medico, ma non così vincolanti da impedirgli di poter arrivare anche a soluzioni diverse rispetto a quelli che potevano essere i desiderata del paziente. Naturalmente, però, si riteneva opportuno che il medico, nel momento in cui si discostava dalle dichiarazioni anticipate di trattamento, spiegasse in cartella clinica le ragioni del suo dissenso.
  Si raccomandava ancora, nell'ambito sempre delle DAT (dichiarazioni anticipate di trattamento), la presenza del fiduciario. Devo dire, però, che, diversamente da quello che ho letto in alcuni progetti di legge, non la si riteneva una figura necessaria e indispensabile fino al punto da doverla comunque prevedere, immaginando che vi potesse essere domani un intervento da parte del tribunale e del giudice tutelare per la nomina di un fiduciario. Si riteneva che eventualmente anche dei familiari potessero interpretare correttamente e comunque far valere correttamente le dichiarazioni anticipate di trattamento.
  Si raccomandava ancora che queste dichiarazioni anticipate di trattamento non fossero redatte su modelli prestampati, come spesso avviene per quanto riguarda il consenso informato. Ci si augurava che le dichiarazioni anticipate di trattamento nascessero da un contatto, da un'informativa continua, esauriente e approfondita fra il medico e il paziente e che, quindi, ci fosse la possibilità che venisse esaminato tutto con molta attenzione.
  Né si riteneva – fate attenzione anche a questo – che le dichiarazioni anticipate di trattamento dovessero prendere in considerazione Pag. 5solo vicende strettamente legate alla salute. Si diceva che le dichiarazioni anticipate di trattamento potevano avere un loro rilievo anche per altre vicende, non patrimoniali, perché allora si sarebbe passati su un altro aspetto, come può essere una forma del testamento o altro sotto il profilo giuridico. Si diceva, però, che potrebbero essere manifestati, per esempio, alcuni desiderata del paziente post mortem, come quello della donazione degli organi. Le DAT potevano trasformarsi in uno strumento utile anche sotto questo profilo.
  Forse c’è dell'altro che la professoressa Palazzani mi può sicuramente ricordare, ma vorrei dire che questo documento non ha incontrato particolari polemiche, sebbene il Comitato nazionale di quell'epoca, ossia del 2003 – ero appena entrato nel Comitato nazionale e anche la professoressa Palazzani entrò con me proprio in quel periodo – fosse un Comitato, come sempre, anche fortemente pluralista, in cui era forte la componente cattolica, così come era forte anche la componente laica.
  Fu un documento sicuramente condiviso dalla maggior parte dei membri, che non ha suscitato poi particolari spaccature. Credo che la situazione sia stata molto diversa qualche anno più tardi, quando siamo andati a trattare il problema del rifiuto e della rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico. Siamo praticamente nel 2008, nel periodo in cui era forte il conflitto nel nostro Paese in relazione alle famose vicende di Welby e della Englaro.
  In quel periodo si immaginava anche che potesse nascere una normativa che facesse un po’ di chiarezza rispetto a vicende di questo genere, soprattutto quando l'intervento del medico veniva richiesto per venire incontro alle desiderata del paziente di rinunciare a un determinato trattamento sanitario.
  Rispetto a queste problematiche nel nostro documento – la professoressa Palazzani sarà più precisa – possiamo ritrovare molte delle posizioni espresse nei progetti di legge.
  Nel documento del Comitato nazionale di bioetica illustriamo una corrente di pensiero che è molto attenta e molto preoccupata della tutela del bene vita e che tende a sovrapporre la tutela del bene vita rispetto al lasciar morire.
  Vi è un'altra corrente di pensiero la quale ritiene invece che, al di là del fatto che la vita è un bene che va tutelato, una cosa è tutelare la vita e una cosa è rinunciare a un trattamento sanitario, anche se questo può portare al venir meno della vita stessa.
  Questo documento ha richiesto molto tempo e ha visto anche molte postille di adesione o critiche, a seconda dei casi, sulle diverse posizioni.
  Naturalmente non ho potuto esaminare tutti i progetti di legge, anche perché sono stato avvertito del vostro invito venerdì scorso; ho potuto vederne solo alcuni.
  In alcuni di questi progetti di legge – penso, per esempio, a quello della Binetti e a quello di Calabrò – vedo fortemente marcate la necessità della tutela del bene vita e soprattutto la paura che si possano in qualche modo realizzare forme eutanasiche, anche indirette e attraverso altri percorsi.
  Altri progetti di legge sono più orientati a distinguere quelle che gli altri ordinamenti giuridici – bisogna dircelo – definiscono eutanasia attiva ed eutanasia passiva. È una differenza che dal punto di vista etico ci crea dei problemi. Ci si chiede quale sia la differenza etica fra un'azione come il dare la pozione fatale e il non corrispondere un determinato trattamento sanitario, fra il fare e il non fare, fra un comportamento attivo e un comportamento passivo.
  Faccio un'osservazione molto personale: io ritengo che una differenza ci sia. Questa differenza è stata tenuta in piedi da parte di alcuni ordinamenti giuridici europei. Penso soprattutto alla Germania, ma anche alla Spagna e alla Francia, le quali hanno voluto fare questa netta differenziazione, ritenendo che un conto è pretendere che qualcuno ti procuri la Pag. 6morte e un altro è chiedere di essere posto al di fuori di un determinato trattamento sanitario.
  Teniamo presente che il Comitato nazionale di bioetica, anche nella sua componente più vicina alle posizioni dell'estrema tutela del bene vita, si sentì costretto a marcare questa differenza, davanti alla presenza di una medicina ormai molto avanzata e molto attuale, la quale aveva profondamente modificato il percorso verso una morte naturale, al punto che tale percorso non è più tanto naturale, ma diventa fortemente artificiale. Naturalmente in vicende come quella di Welby l'idea di essere staccato dalla macchina suonava come una pretesa quanto mai comprensibile.
  Queste furono le situazioni. Non voglio sottrarre spazio alla professoressa Palazzani. Magari, se a voi interessa, vi dico quello che penso io, dovendo immaginare un intervento legislativo, avendo vissuto, al di fuori del Comitato nazionale di bioetica, dal punto di vista strettamente giuridico, le vicende che hanno conseguito giurisprudenzialmente, a fronte della mancanza di una normativa.
  Lo dico subito e poi mi taccio. Tenete presente che su queste problematiche di carattere etico la traduzione in termini legislativi è sempre fortemente complessa, molto più che in altre situazioni. Proprio perché abbiamo una società pluralista e, quindi, con etiche differenziate, il legislatore deve tradurre e deve fare inevitabilmente delle scelte.
  Secondo me, deve cercare di fare delle scelte che siano il più coerenti possibile con la nostra Carta costituzionale, per evitare di assistere alle conseguenze che abbiamo visto in altre vicende normative. Faccio un riferimento ben preciso alla legge n. 40 del 2007, per non nasconderci. Io ritengo soprattutto che su alcuni punti vada fatta una grande chiarezza, per non ricadere in situazioni di assoluta incertezza per il medico e per il paziente.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor D'Avack e do la parola alla professoressa Laura Palazzani, vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica. Ci riserviamo di ascoltare i vostri suggerimenti personali, anche per risolvere alcune delle tematiche alla nostra attenzione.

  LAURA PALAZZANI, vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica. Grazie per questa convocazione. Cercherò di soffermarmi su alcuni punti che non sono stati toccati, almeno non esplicitamente, dall'introduzione, peraltro già completa, del professor D'Avack.
  L'originalità delle dichiarazioni anticipate di trattamento all'epoca era anche nella loro stessa appellazione, che, come abbiamo visto, avete ripreso in alcuni progetti. All'epoca prevaleva la traduzione dall'inglese «living will» (testamento biologico), oppure l'espressione «direttive anticipate di trattamento» (advance care directive).
  Noi avevamo elaborato proprio la parola «dichiarazione», che non si usa nel linguaggio anglosassone, tant’è che quando hanno tradotto in inglese il parere ci hanno tradotto male l'espressione «dichiarazione» in «directive». Quando abbiamo controllato il testo abbiamo chiesto di tradurla con «statement», perché noi volevamo proprio usare la parola «dichiarazione».
  La parola «dichiarazione» è stata scelta proprio in funzione della decisione del Comitato nazionale per la bioetica, che era per la non assoluta vincolatività del testo. Non abbiamo voluto né «testamento» né «direttive», che erano espressioni evidentemente più legate alla vincolatività della volontà.
  Un'altra cosa importante è che in questo testo sulle dichiarazioni anticipate di trattamento noi abbiamo esplicitamente detto che per noi era importante che fosse delimitato l'oggetto del documento. Nell'oggetto del documento non si poteva chiedere nulla che fosse contro il diritto positivo, la deontologia e la buona pratica clinica.
  Con questo punto, che peraltro ho visto in alcuni disegni di legge, in particolare quello di Roccella, si stabilisce una delimitazione dell'oggetto. In altri termini, Pag. 7non si può chiedere l'eutanasia. Aggiungo che non si può neanche chiedere il cosiddetto «accanimento terapeutico», perché va contro la deontologia; i medici non possono accanirsi in modo clinico sul paziente. Questo è un punto presente nel documento del Comitato nazionale per la bioetica.

  PRESIDENTE. Si riferisce al 2008 o al 2003 ?

  LAURA PALAZZANI, vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica. Mi riferisco al 2003.

  PRESIDENTE. Quella del 2008 è solo una discussione, oppure avete maturato un altro documento ?

  LAURA PALAZZANI, vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica. È un altro documento. In seguito parlerò anche di quello.
  Nel documento del 2003 sulle dichiarazioni anticipate di trattamento c'era la delimitazione dell'oggetto.
  La seconda cosa importante che avevamo sottolineato era la presenza del medico nel momento in cui si redigono le dichiarazioni anticipate. Questo era un punto che è tornato anche nelle raccomandazioni di questo documento. Anche all'epoca siamo stati chiamati in audizione e c'erano alcuni progetti di legge che affermavano che doveva esserci il notaio, ma non c'erano documenti che dicevano che doveva esserci il medico. Invece, per noi la presenza del medico è la garanzia che viene data veramente un'informazione completa a chi sottoscrive queste dichiarazioni.
  Un terzo punto interessante del nostro documento è che abbiamo dato una risposta all'obiezione di chi affermava che le dichiarazioni anticipate rischiano di essere una forzatura, perché chi decide è sano e vede la decisione proiettata su un futuro eventuale e incerto.
  Noi del Comitato nazionale abbiamo dato una risposta a questa che è ancora un'obiezione ricorrente alle dichiarazioni anticipate: certamente questo è un rischio, di cui il soggetto che firma la dichiarazione deve essere consapevole; potrebbe cambiare idea e nel futuro potrebbe essere in una condizione in cui non è in grado di esprimere la nuova idea che ha maturato, però questo è un rischio che il soggetto, come sempre nel consenso informato, può assumersi.
  Sempre sulle dichiarazioni anticipate, una questione su cui abbiamo insistito anche nelle raccomandazioni era l'informazione alla società su questo tema. Molti facevano un'obiezione: qual è il cittadino che davvero si prenderà la responsabilità di scrivere queste dichiarazioni ? Per noi era molto importante la formazione della società rispetto al tema delle dichiarazioni anticipate.
  Il secondo documento, quello del 2008, intitolato «Rifiuto e rinuncia consapevole dei trattamenti sanitari nella relazione paziente-medico», è stato un documento molto sofferto, come diceva il professor D'Avack.
  Vi cito solo un dato che mi piace ricordare: il numero di pagine delle postille, che sono dichiarazioni, integrazioni, dissensi eccetera, supera il numero di pagine del documento. Questo dimostra quanta problematicità c’è stata. A quell'epoca noi avevamo coordinato il parere e avevamo cercato di tenere in considerazione tutte le possibili sfumature di posizioni, però evidentemente non è stato sufficiente, perché le persone hanno voluto esprimere meglio quello che era già scritto nel documento.
  Su questo punto il professor D'Avack ha già ricordato le due diverse linee. Forse posso aggiungere una parola in più sull'ala del Comitato nazionale per la bioetica che partiva dal principio dell'indisponibilità della vita umana.
  Coloro che partivano da questo principio a un certo punto si sono un po’ divisi. Alcuni, parlando in senso forte e assoluto dell'indisponibilità della vita, ritenevano che esistesse un dovere da parte del paziente di curarsi, così come c'era un dovere da parte del medico di curare, e che una rinuncia a trattamenti sanitari Pag. 8salvavita potesse portare come conseguenza a una società dove ci sono persone che hanno una certa dignità e altre che non ce l'hanno. In altre parole, chi si trova in condizioni terminali di fine vita potrebbe essere considerato meno degno di chi invece vive una condizione di autonomia.
  L'altro orientamento, sempre all'interno della prospettiva di chi difende l'indisponibilità della vita umana, è quello di chi afferma che noi dobbiamo certamente difendere il bene vita, però ci sono particolari circostanze legate all'invasività della tecnologia nel corpo. Anche questa è una traduzione dall'inglese. Ci sono moltissime sentenze che parlano di bodily invasion, cioè di invasività nel corpo. Quando c’è una tecnologia che è molto invasiva nel corpo, quando ci sono condizioni terminali di vita inguaribile, ecco che lì la voce del paziente può essere ascoltata. Su questo, come dicevo, c'erano diverse visioni all'interno del Comitato nazionale.
  Nel documento del 2008 comunque ci sono delle raccomandazioni condivise – questo è un punto importante – in cui si afferma che ci deve essere consenso informato e che il medico non deve applicare in modo acritico le volontà del paziente, ma deve sempre filtrarle e valutare caso per caso, e deve considerare la fragilità del paziente nel momento in cui formula le sue volontà e i suoi desideri fine vita.
  Inoltre, dicevamo anche che, nel caso in cui deve intervenire per dare esecuzione alla volontà del malato – pensavamo, anche se non lo abbiamo esplicitato nel testo, al caso Welby, in cui c'erano la sospensione dell'ossigenazione artificiale e la sedazione cosiddetta «profonda» o «terminale» – è indispensabile che possa essere riconosciuta al medico anche l'astensione dall'intervento. Non l'abbiamo chiamata «obiezione di coscienza», ma «astensione» del medico che in scienza e coscienza non voglia dare seguito a questo tipo d'intervento.

  DONATA LENZI. Il terzo, quello dell'altro giorno ?

  LORENZO D'AVACK, presidente del Comitato nazionale di bioetica. La sedazione profonda ci ha trovato tutti concordi. È anche un documento importante, perché noi ci siamo mossi dalla preoccupazione che la sedazione profonda potesse essere intesa come una forma di eutanasia.
  Onorevole Lenzi, oggi quando parliamo di eutanasia forse usiamo un singolare improprio. Probabilmente oggi noi dovremmo parlare di eutanasie e non di eutanasia, perché abbiamo tante forme che possono essere intese e considerate come delle forme eutanasiche.
  Abbiamo preferito il termine «profonda» e non «terminale», proprio per non cadere in un errore terminologico che avrebbe potuto far pensare a qualcosa di diverso. Abbiamo pensato che era opportuno che il Comitato nazionale di bioetica affrontasse il problema della sedazione profonda e vi ponesse dei limiti, nel senso di dire quali sono i momenti in cui è necessario che il medico vi ricorra.
  Naturalmente ci siamo mossi dall'idea che anche la sedazione profonda deve provenire da un consenso informato, ancor meglio se dato prima. Ritorna l'importanza delle dichiarazioni anticipate di trattamento.
  Abbiamo immaginato che la sedazione profonda fosse concepibile nel momento in cui per il paziente non vi erano altre cure che potessero lenire il suo dolore, ovvero delle terapie sostitutive. Abbiamo parlato di un paziente che generalmente in situazioni di questo genere è in fin di vita.
  Torno a dire che ci siamo raccomandati sull'opportunità che – ritorniamo in modo più attuale alle problematiche di oggi – nel caso in cui vi fosse stato da parte del paziente un rifiuto al trattamento sanitario, che avesse inevitabilmente reso necessario l'intervento della sedazione profonda, questa non gli fosse negata.
  Questi erano le ragioni e i contenuti di questo documento. Da alcune parti veniva detto a noi del Comitato nazionale di bioetica di fare attenzione, perché dentro agli ospedali c'era una certa preoccupazione Pag. 9nell'utilizzo della sedazione profonda. Infatti, ricadiamo nell'ambito dell'interrogativo: «Qual è il comportamento lecito del medico» ?
  In qualsiasi modo pensiamo una normativa, ci possiamo porre all'infinito la domanda: «Qual è la sorte del dottor Riccio ?» Questo è il punto di riferimento. Diventa estremamente complicato dal punto di vista giuridico, ecco perché sarebbe veramente necessaria una regolamentazione giuridica chiara, che non obbligasse nuovamente a interpretazioni difficili sotto il profilo strettamente giuridico.
  Per esempio, c’è una proposta di legge che è molto chiara. Mi riferisco alla proposta di legge Carloni e altri, che, all'articolo 2, nella parte finale del primo comma, afferma espressamente: «Il rifiuto deve essere rispettato dai sanitari, anche qualora ne derivi un pericolo per la salute o per la vita, e li rende esenti da ogni responsabilità». Questo è un passaggio molto chiaro.
  Diverso, invece, l'articolo 1 del progetto di legge Binetti e Buttiglione, nonché quello ancora più recente della Binetti e di Calabrò. Peraltro, mi pare di capire che il progetto di legge del 2016 della Binetti e di Calabrò non faccia altro che ripetere quello precedente, quello antico del Senato che già aveva ricevuto forti critiche costituzionali. Ecco perché prima vi dicevo di fare attenzione, perché il rischio è che si vada ad emanare una norma e poi si cada in forme di incostituzionalità.
  Al di là di questo – voglio molto bene a Paola Binetti, che ha fatto parte del Comitato nazionale di bioetica, quindi non è una critica ad personam - se vado a leggere l'articolo 1 della proposta di legge, non ho una risposta così chiara su ciò che il medico può o non può fare, perché i richiami agli articoli 575, 579, 580 del codice penale, la previsione che si debba garantire la vita umana quale diritto inviolabile e indisponibile di ogni persona, in via prioritaria rispetto all'interesse della società l'applicazione delle tecnologie e della scienza, credo che non facciano chiarezza e possano continuare a creare quelle situazioni di incertezza che ci hanno caratterizzato in questo periodo.
  Essendomi dovuto interessare, al di là del Comitato nazionale di bioetica, per miei interessi universitari di tutte le vicende intercorse tra Welby, Englaro, i Testimoni di Geova, è difficile trovare una giurisprudenza soddisfacente ed unitaria.
  Noi abbiamo avuto una giurisprudenza in cui è stato fatto e detto tutto, con le interpretazioni più diversificate, abbiamo avuto perfino la sentenza dalla Corte di Cassazione nel caso Englaro, che muove dall'idea di una dichiarazione anticipata che si possa provare attraverso testimoni, qualcosa che fino a quel momento non era stato mai detto e non sarà mai più detto.
  Questo non perché io sia contrario al risultato finale cui è giunta la Cassazione, ma per dire che, quando il legislatore tace, il giudice interpreta e fa propri certi percorsi giuridici secondo ideologie ben precise. Oggi non abbiamo una giurisprudenza uniforme in materia di consenso informato all'atto medico e al trattamento sanitario, e questo crea grandi sconcerti, grandi difficoltà.
  Mi auguro quindi che questa volta il mondo politico riesca a fare una legge fatta bene, chiara, con pochi articoli. Se posso dare un consiglio (lo dicevo alla professoressa Palazzani), se devo immaginare una legge, la immaginerei con delle norme essenziali ma chiare.
  Quella che vi ho letto è una norma chiara, che si può non condividere, però è chiara, non è ambigua. Entrare in queste forme di normative complicate, dove un po’ si dice, un po’ non si dice, un po’ si lascia all'interprete francamente non mi convince.

  PRESIDENTE. Grazie. Non so se la professoressa Palazzani voglia aggiungere qualcosa, altrimenti passiamo alle domande dei commissari.
  La sua ultima affermazione «pochi articoli, ma chiari» ci fa sognare, ma quali sarebbero secondo lei i pochi articoli, le materie che dovrebbero entrare e quale tipo di chiarezza, cioè quali siano i punti Pag. 10più oscuri in questa fase della giurisprudenza, quelli a cui non possiamo sottrarci ?
  La norma che lei ha letto è chiara ma non entra nel merito, è una norma che chiarisce nel caso in cui, salvo che la premessa arriva a un'affermazione molto importante, cioè che «la dichiarazione di anticipata volontà può essere formulata ed essere valida anche per il tempo successivo alla perdita delle capacità. Il rifiuto deve essere rispettato anche qualora ne derivi un pericolo per la salute o per la vita», addirittura più di quanto stiamo immaginando in termini di un'eutanasia passiva. Dobbiamo lavorare su formulazioni chiare negli articoli precedenti.

  LAURA PALAZZANI, vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica. L'articolo che evidenziava il professor D'Avack, è chiaro sul punto del rifiuto delle terapie in atto, quindi si parla di dichiarazione anticipata ma anche di rifiuto attuale di una terapia, nel caso in cui un paziente rifiuti la terapia pur essendo consapevole di cosa comporterà.
  Qui si dice «e li rende esenti da ogni responsabilità», ma per chi ha una sensibilità nei confronti di una prospettiva che considera il bene vita come prioritario c’è il rischio di una deresponsabilizzazione terapeutica del medico. Bilancerei questo con un obbligo del medico di informare, di cercare di convincere il malato nei limiti del possibile a curarsi, di accertarsi che quella volontà sia davvero lucida, perché il grande pericolo è che un paziente dichiari di non volere la terapia ma non ne sia veramente convinto fino in fondo. Ci sono anche le cosiddette forme di «pseudo-eutanasia»: chi lo chiede perché si sente un peso per la società, un peso per la famiglia.
  Quando il medico ha informato, ha accertato che quella sia una volontà lucida, ha cercato di convincerlo a curarsi ma accerta che è veramente quella la volontà del malato, questa norma completata con questi punti può essere accettabile, perché effettivamente il medico non ha una responsabilità: è una scelta del paziente.
  C’è un aspetto che non è scritto nel documento delle dichiarazioni anticipate del 2003 perché non si operava ancora questa distinzione, ma è inserito nell'ultimo documento sulla sedazione profonda, ed è una distinzione che si fa a livello internazionale. Penso in particolare a un documento molto interessante, la Guida del processo di decisione di fine vita, approvata dal Consiglio d'Europa nel maggio del 2015.
  In questo documento si fa una distinzione chiara fra le dichiarazioni anticipate di trattamento, che sono redatte da un soggetto sano rispetto a un'eventualità futura di perdita di coscienza, e la pianificazione condivisa delle cure, che viene scritta insieme al medico da un paziente malato all'inizio di una malattia neurodegenerativa progressiva.
  C’è una profonda differenza (già il buonsenso ce lo dice) che sul piano legislativo sarebbe bene sottolineare, perché è evidente che c’è chi firma la dichiarazione sano (saranno pochi quelli che firmano le dichiarazioni sani, perché non vogliono pensare all'eventualità futura), ma chi inizia un percorso di malattia, come quello della SLA, neurodegenerativo, progressivo, inesorabile, si sente spiegare dal medico esattamente cosa succederà e sa che a un certo punto arriverà a non poter più respirare autonomamente e ad essere intubato, quindi quello è un percorso in cui si può trovare una maggiore condivisione nel dibattito su una pianificazione condivisa.
  Il paziente potrebbe dire di non voler essere intubato, non volere il respiratore artificiale, chiedere che si creino le condizioni per non arrivare a quello. Questo è un punto che potrebbe essere sottolineato.

  PRESIDENTE. Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. Rivolgo due domande al professore D'Avack. Pag. 11Lei ritiene che sia opportuno (da quanto ha detto mi sembrava di cogliere questa esigenza) normare il consenso informato ? Questo apre uno spettro di problemi molto complicati, anche se mi rendo conto che la dichiarazione anticipata di trattamento in qualche misura si pone all'interno del percorso informato.
  Lei giustamente raccomanda norme essenziali e chiare, sono d'accordo sulle norme essenziali, ma sulla chiarezza bisognerebbe intendersi. Stiamo intervenendo in un'area che non è dettagliatamente normabile; è facile disciplinare il consenso informato finché una persona malata è lucida, è difficile disciplinare tutto ciò che può accadere nel caso in cui venga meno la capacità di intendere e di volere, quindi essere troppo dettagliati può dar adito a un contenzioso enorme.
Come ricorderanno, nel 2008-2009 c’è stata una grande discussione all'interno del mondo delle professioni sanitarie e credo che un importante punto di approdo sia il documento di Terni della Federazione degli Ordini dei medici, ove con pochi dissensi la professione medica è giunta a un punto di consenso sulla procedura e sul contenuto della DAT.
  Questo entrerebbe in contrasto con l'esigenza che lei pone, perché si lascia alla relazione medico-paziente un'area grigia (la formula non è bella, non è simpatica) di decisione, che non può essere dettagliatamente prevista dalla norma. Non le sembra che le due esigenze confliggano ?

  MATTEO MANTERO. Grazie per le due relazioni che ho trovato molto interessanti. Confermo la difficoltà di tradurre in una norma dei temi etici, perché anche quando sia ben chiara la volontà è difficile metterla per iscritto.
  Vorrei porre un paio di domande su quanto avete detto. Il primo punto è quello della vincolatività per quanto riguarda sia il consenso informato che la dichiarazione anticipata di trattamento, perché voi avete parlato di intervento non acritico del medico per quanto riguarda sia il consenso informato che la DAT. La cosa dovrebbe essere equiparata sia nella volontà espressa verbalmente che nella volontà espressa con la dichiarazione anticipata, però su questo vorrei conoscere la vostra posizione.
  Quando stavamo preparando questa proposta mi ero chiesto se andassero predisposti dei prestampati, ma voi ritenete più opportuno che la dichiarazione anticipata di trattamento sia fatta con il medico. Questo punto mi sembra interessante.
  Vorrei sapere se il documento del 2003 a vostro avviso andrebbe aggiornato, se ancora oggi sia valido o le condizioni siano cambiate.
  Un documento del 2005 di cui non avete parlato riguarda l'alimentazione e l'idratazione. Anche su questo c’è stato un dibattito forte, si è svolta una votazione che vi ha visto molto divisi (credo che voi abbiate votato in maniera differente su quel documento). Il punto è se idratazione e alimentazione, come peraltro ci dice l'OMS, debbano essere considerati trattamenti sanitari e, a prescindere da questo, se sia diritto del paziente scegliere di rinunciare anche a questa forma di trattamento e di sostegno vitale.

  DONATA LENZI. Eutanasia-eutanasie è molto stimolante, però non ottiene l'effetto di essere chiaro, perché il codice penale invece usa un termine univoco. Siccome questo è uno dei punti più delicati e intreccia anche l'altro blocco di provvedimenti, che abbiamo all'esame insieme alla Commissione giustizia, che riguarda la sostanziale depenalizzazione dell'eutanasia, vi chiederei di chiarire dove si traccerebbe il confine tra i due, perché anche il passiva/attiva ormai ha confini sfumati.
  Per quanto riguarda il problema di trattare il consenso all'interno di questa legge, i colleghi sanno che ero contraria e volevo mettere il consenso informato nella legge che abbiamo appena approvato sulla responsabilità professionale, perché il tema del consenso va oltre il tema del fine vita, riguarda una relazione medico-paziente che si può articolare (pensiamo ai Pag. 12Testimoni di Geova) in una serie di casistiche che non sono necessariamente queste.
  Ritengo però (seguivo anche il ragionamento della collega Miotto) che, nel momento in cui viene messa in questa legge, è una definizione di consenso con una notevole ampiezza applicativa. Abbiamo già alcune leggi specifiche, e la stessa n. 833 del 1978, la legge fondativa del sistema sanitario nazionale, prevede la volontarietà del paziente, ma andiamo all'articolo 32 della Costituzione. Potrei quindi precisare ulteriormente la domanda che è già stata posta chiedendovi se riteniate necessaria nel nostro ordinamento una definizione di consenso informato valevole per più casi o se dobbiamo tararla e misurarla solo alle evenienze del fine vita.

  DELIA MURER. Anch'io ringrazio per le relazioni che avete svolto e vorrei un approfondimento sul tema consenso informato e DAT, perché considerate indispensabile che, facendo questa legge, si preveda la dichiarazione anticipata di trattamento.
  Ho una perplessità su quanto avete detto in merito all'irrilevanza del fiduciario e vorrei capire le motivazioni e se ci possa essere una relazione tra la DAT e il documento fatto a Terni dall'Ordine dei medici rispetto ad alcuni trattamenti che a mio avviso dovrebbero essere esplicitati nel rifiuto di cure nella DAT.
  Vorrei anche conoscere meglio il tema della possibilità di discostarsi dall'orientamento, che secondo me può essere possibile, ma solo in casi non valutati dal punto di vista scientifico al momento dell'espressione della volontà della persona. Mi sembrerebbe interessante fare questa valutazione, perché sarebbe fuorviante un dibattito limitato ad eutanasia attiva e passiva, non mi collocherei in questo ambito, ma preferirei approfondire i temi della DAT e dell'ampiezza della DAT, chi può riguardare e quanto vincolante possa essere.

  PRESIDENTE. Volevo aggiungere una considerazione con domanda. Rimanendo alla DAT e a quanto possa/debba essere vincolante, uno dei poli del discorso è questo. Anche nel corso della discussione generale abbiamo avuto posizioni diverse. Una delle posizioni tendeva a dire che chi formalizza la DAT potrebbe non essere la stessa persona di quando la DAT dovrebbe entrare in azione. Tale persona, quindi, non ragionerebbe nei termini del caso specifico, ossia dentro l'alleanza medico-paziente, ma si muoverebbe di fronte a un problema terapeutico e non al reale problema terapeutico di quel giorno, di quel momento e di quella situazione. Questa era una prima problematica.
  La seconda è legata anche all'evoluzione delle tecnologie delle cure palliative e riguarda il tema della durata della DAT. Potrebbero essere intervenuti dei cambiamenti che rimuovono uno dei motivi, magari importanti, che avrebbero portato la persona a dire: «Non vorrò che si utilizzino quelle terapie quando sarò in quella situazione». Potrebbe essere che uno degli elementi – quello del dolore o altri – possa avere delle risposte terapeutiche che, al momento in cui la DAT è stata compilata, non esistevano.
  La terza è una domanda legata alla norma chiara che ci ha letto il professor D'Avack e all'integrazione che era stata fatta dalla vicepresidente Palazzani. Lei sosteneva che, nel caso, la integrerebbe con la necessità di un forte coinvolgimento di consenso del medico, ragion per cui la persona che esprime quel parere sia totalmente consapevole e libera nella sua scelta.
  Il nodo che pongo, visto che fate parte del Comitato per la bioetica, è la questione sul problema della scelta e della scelta libera. La scelta libera è sicuramente quella fatta dall'adulto, o sano, o malato all'inizio di una malattia degenerativa, ma gli elementi che potrebbero confliggere con la libera scelta – ognuno desidera di vivere e di vivere al meglio il più possibile; in genere, questa è la normale libera scelta, a meno che uno non sia tanto triste e, indipendentemente dalla malattia, non preferisca la scelta di una fine diversa da quella consuetudinaria che tutti vogliamo, ossia vivere di più e vivere meglio il più Pag. 13possibile – sono il problema del dolore, il problema della solitudine e il problema della disperazione. Solitudine e disperazione possono caratterizzarsi in maniera diversa per i singoli soggetti in base al credo, alle culture di provenienza, alle condizioni familiari e all'integrazione sociale. Una persona totalmente isolata può reagire di fronte alla stessa circostanza in maniera diversa da una persona non completamente isolata.
  Mi chiedo, quindi, se non debba essere pensato e previsto nel consenso anche il fatto di attivare una serie di interventi che vadano a ridurre l'isolamento sociale del malato. Diversamente mi sembra che andiamo a normare su una questione che va a mettere qualche chiarezza sul punto difficile e molto complicato della vita e della morte e del relativo confine, ma perché c’è un'impotenza della società in cui siamo, in cui l'individualismo si è talmente rafforzato e l'isolamento delle persone è tale che non c’è altro da fare che normare su quello, perché non siamo capaci di fare la cosa che andrebbe fatta, che è anche creare un tessuto che renda vivibili dei momenti difficili. Questo è il quadro concettuale. Mi sembra che entri nel problema della libertà di scelta.
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica, nell'ordine che meglio ritengono. Ovviamente, a questo punto, anche le loro opinioni personali per noi sono molto preziose.

  LAURA PALAZZANI, vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica. Provo a rispondere a qualche intervento. Non so se sarò esaustiva. Ho cercato di appuntarmeli.
  Sulla questione del normare il consenso informato, ovviamente il consenso informato si sovrappone per taluni aspetti alle dichiarazioni anticipate, ma va oltre le dichiarazioni anticipate. Alla domanda effettivamente – questa è una risposta personale, perché il documento del Comitato nazionale interviene solo sulla dichiarazione anticipata e non in generale sul consenso; abbiamo redatto, però, un documento sul consenso informato tempo fa – io risponderei di sì, ossia che va normato anche il consenso informato.
  È vero che ormai è diventato una prassi, anzi, forse esagerano i medici a chiedere il consenso informato. È una prassi, anche se non è normata. Lo fanno tutti. Conosciamo il problema della medicina difensivistica. Si usano moduli scritti in piccolo, fitti fitti, e tanti moduli.

  DONATA LENZI. Sembrano quelli della banca.

  LAURA PALAZZANI, vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica. Sembrano quelli della banca, sono d'accordo con lei. Ho sempre sostenuto questa tesi. Bisogna solo firmarli, aver fiducia e basta. I pazienti vengono messi fuori dalla porta e si dice loro: «Lei entra dopo averlo letto e firmato». Non è proprio questo il consenso informato. Forse servirebbe una normativa generale. Non so se metterei questo nella stessa norma sulle DAT, perché effettivamente è un campo più ampio rispetto a quello delle dichiarazioni anticipate.
  Quanto all'area grigia, credo che siamo destinati ad averla nel normare le questioni di bioetica. Non possiamo avere il bianco e il nero. Purtroppo, a noi bioeticisti piacerebbe avere il bianco e il nero, ma non è così. Ci sono aree grigie, ci sono sfumature tali nelle decisioni e nel rapporto medico-paziente che non potremo mai pensare a una legge talmente chiara che descriva in modo dettagliato tutti i possibili casi, neanche se ci fosse un legislatore con la più ampia immaginazione.
  Arrivo a dire una cosa un po’ provocatoria: forse non sarebbe neanche una cosa buona, perché toglierebbe quella possibilità che c’è nella relazione umana tra le persone di verificare momento per momento e caso per caso qual è il desiderio proprio in quella circostanza. Altrimenti rischieremmo di avere un atteggiamento, sia da parte del medico, sia forse da parte del cittadino molto passivo. Avremmo una legge completa che prevede tutti i singoli punti, li applicheremmo e avremmo risolto Pag. 14i problemi. Non è così. Dobbiamo anche sforzarci di capire le singole circostanze.
  Con riguardo all'altro punto sulla personalizzazione, assolutamente sì. Noi insistiamo ancora su questo: non devono essere moduli prestampati, sempre per il discorso che facevo prima, ma personalizzati, verificando un rapporto stretto tra medico e paziente.
  Sulla questione dell'alimentazione e dell'idratazione il deputato Mantero ha colto un punto. Effettivamente nella nostra presentazione non l'abbiamo toccato, ma è un punto in cui anche nel documento sulle dichiarazioni anticipate abbiamo registrato una divisione all'interno del Comitato nazionale tra chi riteneva idratazione e alimentazione una cura ordinaria, una care comunque da fornire al malato fino al limite in cui c’è una fisiologica capacità di assimilazione del corpo, e chi, invece, riteneva che anche questi fossero trattamenti sanitari rifiutabili dal paziente. Si tratta di una divisione, come ha giustamente detto, che è riemersa nell'altro documento, in cui comunque c’è stata una posizione di maggioranza, ma anche una postilla che riprendeva questa differenza.
  Sulla definizione di eutanasia proverò a dire che cosa, secondo me, non è eutanasia, perché anche questo è un punto importante. Non è eutanasia la sospensione dell'accanimento terapeutico, che però al Comitato nazionale abbiamo preferito chiamare «accanimento clinico». La sospensione dell'accanimento clinico non è eutanasia. La sedazione profonda nell'imminenza della morte non è eutanasia. Grazie al quesito dell'onorevole Binetti abbiamo espresso anche questa posizione. Credo che questo sia un punto importante da chiarire.
  Che cosa sia eutanasia è un punto su cui preferirei lasciare la parola al professor D'Avack, perché in fondo esiste una definizione giuridica di eutanasia. Ci sono legislazioni che regolano l'eutanasia, ossia l'intervento attivo del medico, su richiesta volontaria del paziente, rispetto al morire. Ovviamente, si tratta di una definizione giuridica di eutanasia, che però implica anche altre precisazioni e specificazioni, perché ci sono altre possibili sfumature, come quella omissiva. Anche quando il medico omette di intervenire e la conseguenza è l'anticipazione della morte, questa è considerabile come eutanasia.
  Quanto al fiduciario, vorrei ritornare su questo punto, perché nel documento dicevamo che non è obbligatorio. Se un soggetto non lo vuole nominare, è libero di non nominarlo. Se però il fiduciario è nominato, deve essere obbligatoriamente consultato, anzi, addirittura nelle raccomandazioni dicevamo che se ne può nominare più di uno e soprattutto che il fiduciario deve assumersi la responsabilità. Deve sapere di essere stato nominato fiduciario e deve anche sottoscrivere le DAT per prendersi questa responsabilità, perché non è detto che tutti se la vogliano prendere.
  Passo all'ultimo punto, ho rubato troppo tempo. Assolutamente, presidente, sono d'accordo con lei sulla questione dell'umanizzazione del fine vita. Rischiamo di pensare solo a quali siano la volontà e il desiderio del malato a fine vita, che certamente vanno tenuti in considerazione, ma la verità è un'altra, ed è anche scritta nel documento del Comitato nazionale: non dobbiamo pensare a un'autonomia e a un'autodeterminazione lucida. Forse a volte c’è rispetto al fine vita, ma a volte no. A volte ci sono condizioni di assoluta fragilità e di assoluta vulnerabilità.
  In questi casi probabilmente è utile l'assicurazione da parte del medico che esistono terapie palliative, che esiste la possibilità di accompagnare i pazienti e che esiste la possibilità di aiutarli a non soffrire, perché quello di cui abbiamo paura è certamente la morte, ma è soprattutto la sofferenza. Occorrerebbe inserire anche questo come un dovere. Abbiamo scritto nella raccomandazione delle dichiarazioni anticipate che il dovere del medico è anche quello di dire che il malato va accompagnato e che sarà fatto tutto il possibile per non farlo soffrire. Pag. 15Credo che questo sia un punto molto importante che dovrebbe essere presente nella legge.

  LORENZO D'AVACK, presidente del Comitato nazionale per la bioetica. La professoressa Palazzani si è fatta carico di difendermi di fronte ad alcune affermazioni che erano tutte mie e non sue. Sul fiduciario ha detto. Il problema di base riguarda la prima domanda che mi è stata fatta, che concerne l'opportunità, se ho capito bene, di un intervento normativo o meno anche a fronte della possibilità che vi siano delle altre linee-guida in questo senso e soprattutto del fatto che potremmo anche richiamarci ad altre regolamentazioni, che sono regolamentazioni di un'etica rafforzata, come può essere il Codice deontologico dei medici.
  Debbo dire la verità, dopo quanto ho visto accadere in questi ultimi anni, proprio a fronte dell'assoluta assenza di una normativa e, quindi, dell'inevitabilità del sorgere del conflitto. Sappiamo che nelle nostre società, nelle società democratiche, il conflitto deve essere necessariamente risolto dal giudice e conosciamo la possibilità che hanno avuto i nostri giudici di spaziare nelle più diverse letture delle nostre attuali norme esistenti, compresi il famoso articolo 32, comma 1 e comma 2 della nostra Carta costituzionale, l'articolo 13 e l'articolo 2 della Carta costituzionale e di attribuire loro tutte le interpretazioni del caso per arrivare poi a soluzioni che non sono soluzioni uniformi. Probabilmente, se vivessimo un sistema di common law, di ciò non avremmo bisogno, perché accanto alla legge statutaria avremmo una legge che si è formata attraverso delle decisioni unitarie da parte di giudici.
  In conclusione, per me questa esperienza è stata molto insoddisfacente. Per me giurista, non bioeticista, questa esperienza è stata profondamente insoddisfacente. Da qui deriva la raccomandazione che prima o dopo nel nostro Paese si addivenga a una regolamentazione giuridica.
  D'altra parte, se mi guardo intorno negli altri Paesi europei, vedo che anche gli altri Paesi europei hanno sentito la necessità di regolamentare questo consenso informato e la possibilità che il paziente ha – e fino a che punto ce l'ha – di rifiutare un trattamento sanitario.
  Naturalmente, sono perfettamente consapevole delle vostre difficoltà, che crescono soprattutto quando il legislatore deve mediare fra posizioni etiche tra loro contrapposte. Questa è la vera bravura del legislatore in questi casi. È molto più facile andare a discutere su un negozio giuridico e fare una normativa sul negozio giuridico. È molto più complicato fare una normativa su questi settori.
  A proposito di normative, naturalmente, per quanto riguarda il progetto di legge dell'onorevole Paola Binetti, esso esclude la possibilità che l'idratazione e la nutrizione – è stato chiesto prima, mi pare, da uno dei vostri colleghi, ossia dall'onorevole Mantero – rimangano fuori da quelli che possono essere trattamenti disponibili che il paziente può rifiutare nell'ambito delle DAT, ma, mi sembra di capire, anche sempre e comunque.
  Su questo, devo dire la verità, il Comitato nazionale di bioetica si è diviso. C’è stato un parere a maggioranza a favore della posizione che l'idratazione e la nutrizione sono un trattamento assistenziale e non un trattamento medico. Devo dire che scientificamente sia l'OMS, sia la Società italiana di nutrizione artificiale e metabolismo riconoscono l'idratazione e la nutrizione come un trattamento sanitario. Tuttavia, vorrei uscire da questa polemica se si tratti o non si tratti di un trattamento sanitario o di un trattamento assistenziale per ricordarvi da un punto di vista meramente giuridico che siamo sempre nell'ambito di interventi, qualora non desiderati, naturalmente, invasivi sulla persona.
  Noi viviamo con delle vecchie tradizioni, che sono quelle dell’habeas corpus, che ci ha insegnato il mondo anglosassone nel Seicento e che possiamo ritrovare nell'articolo 13 della nostra Carta costituzionale: nessuno può subire degli interventi invasivi. Questo fa sì che, a mio modo di vedere, questa polemica cessi di Pag. 16esistere. Ho l'impressione, infatti, che, se avessimo una normativa che proibisse la disponibilità dell'idratazione e nutrizione, ci troveremmo il giorno dopo di fronte alla Corte costituzionale. Questa è una mia impressione, ma è un'impressione – torno a dire – assolutamente personale.

  PRESIDENTE. Scusi se la interrompo. Onorevole Binetti, se riesce in venti secondi a chiedere quello che voleva chiedere, concludiamo. Se riesce, le do la parola, altrimenti continua il presidente.

  PAOLA BINETTI. Prendo venti secondi soltanto per dire che questo è stato il punto di rottura per cui nella legislatura precedente non siamo riusciti ad approvare la legge. Mi sembrerebbe interessante avere dal Comitato nazionale di bioetica qualche elemento, che magari potrebbe non piacere agli uni e agli altri – magari a me non piace – ma che potrebbe diventare elemento positivo dal punto di vista della decisione da prendere all'interno del dibattito.
  I colleghi che hanno seguito questo dibattito nella legislatura precedente sanno perfettamente a che cosa mi riferisco. Penso a qualcosa di meno «è così, ma potrebbe anche essere così» e qualcosa che definisca meglio, perlomeno a livello personale, professor D'Avack, quello che lei ritiene.

  PRESIDENTE. A me sembra che il professor D'Avack abbia già fornito una risposta. Io l'ho capita così. Ho capito che, in realtà, poiché si tratta di una pratica invasiva e che è già previsto dalla Costituzione e da tante altre leggi che si possa rifiutare in quanto invasiva, la discussione se si tratti di pratica assistenziale o sanitaria e se, quindi, in un caso si possa rifiutare e in un altro caso no, secondo il professor D'Avack, è superata da quest'altro fatto, se ho capito bene.

  LORENZO D'AVACK, presidente del Comitato nazionale per la bioetica. Ha capito benissimo. Rimango ancora più perplesso sul fatto che avremmo la possibilità di rifiutare un trattamento sanitario, che è importante, tanto più se fosse salvavita, e non un trattamento assistenziale sul nostro corpo. Mi sembra, francamente, poco logico, ma poi ognuno decide come crede meglio.
  Vorrei direi due cose rapidissime, se me lo consente, a livello strettamente di intervento giuridico. Ho accennato prima al rischio di cadere in regole troppo dettagliate, ma qualche cosa mi ha colpito.
  Sempre a proposito del consenso, quando si parla del consenso del minore, si afferma che il minore debba essere ascoltato. Questa ormai è una regola, soprattutto quando parliamo dei grandi minori, che hanno undici-dodici anni. Questi debbono essere ascoltati.
  Non mi pare che si dica lo stesso rispetto alle persone interdette o incapaci. Ponete attenzione al fatto che l'interdizione e l'incapacità giuridica ricadono fortemente nel patrimoniale, ma non nel personale e soprattutto non nell'assistenziale. Non è affatto detto che una persona che è stata dichiarata incapace o interdetta non sia in grado di capire perfettamente quale trattamento sanitario accogliere e quale trattamento sanitario rifiutare.
  Faccio un'altra breve osservazione. Sento spesso parlare di «accettazione del trattamento sanitario». Facciamo attenzione, perché il problema non è soltanto quello di dare il consenso a un trattamento sanitario; è molto più rilevante il problema di uscire da un trattamento sanitario.
  Noi dobbiamo tenere presente che abbiamo due situazioni profondamente diverse. La prima è quella di colui che è in grado di rifiutare un trattamento sanitario iniziale, che è perfettamente capace di intendere e di volere. Non credo che ci sia nessuno che possa pretendere giuridicamente di legarlo su un lettino e di obbligarlo all'amputazione di una gamba (faccio un esempio). Eticamente, se seguo il percorso che è stato tracciato dalla professoressa Palazzani, ma anche da altri nell'ambito del Comitato nazionale, potrei Pag. 17avere un mio dovere etico di farmi tagliare la gamba, ma giuridicamente non abbiamo questo problema.
  Cominciamo ad avere dei problemi nel momento in cui io sto all'interno di un trattamento sanitario, perché l'ho già accettato oppure perché in caso di necessità mi è stato imposto (magari non ero in grado di fare dichiarazioni), e voglio uscirne. Il problema è lì, ovvero nel momento in cui il medico deve aiutare il paziente a uscire dal trattamento sanitario.
  Infatti, se il paziente è in grado di uscirne da solo, se Welby è in grado di uscire dalla macchina da solo, non ci sono problemi, non c’è l'incriminazione di Riccio per omicidio del consenziente o per altri reati che si potrebbero ravvisare in queste fattispecie.
  Il problema è uscire dal trattamento sanitario attraverso l'aiuto di un terzo, nel caso specifico del medico. Fate attenzione perché anche su questo noi abbiamo avuto delle sentenze, che ci hanno detto che, se è il medico che aiuta il paziente a uscire da un trattamento sanitario salvavita, si ravvisa l'articolo 32, comma 2, della Carta costituzionale, che è principio fondamentale, e, quindi, il reato non si configura.
  E se fosse un familiare ad aiutarlo ? Quel giudice ci dice che, se fosse un familiare, il reato si configurerebbe. Infatti, il reato non si configura soltanto perché abbiamo un rapporto ben definito medico-paziente, con l'obbligo preciso del medico di aiutare il paziente, nell'ambito dell'alleanza terapeutica, a uscire da un trattamento sanitario. Il familiare non lo può fare giurisprudenzialmente.
  Ho detto questo soltanto per richiamare la vostra attenzione sulla delicatezza delle diverse fattispecie. Ecco perché dico: «Facciamo attenzione, non rimaniamo troppo generali, perché c’è il rischio che probabilmente non risolviamo nulla».
  Faccio un'ultima osservazione, sempre di carattere giuridico-conflittuale. In alcuni progetti di legge vedo che se le dichiarazioni anticipate di trattamento creano un conflitto, come è logico, è opportuno che questo conflitto venga risolto.
  Se non ricordo male, il progetto di legge dell'onorevole Binetti fa una differenza a seconda che ci sia il fiduciario o meno. Se c’è il fiduciario, è un collegio di medici che decide; se non c’è il fiduciario, è il giudice titolare o il tribunale a decidere. Francamente non capisco bene questa differenza. Capirei se il conflitto venisse risolto, tanto nell'uno quanto nell'altro caso, nello stesso modo.
  A proposito delle possibili scelte (collegio dei medici, comitato etico, tribunale), devo dirvi la verità: non mi sembra che nell'ambito delle strutture sanitarie i comitati etici abbiano questo genere di compiti. Istituzionalmente ne hanno degli altri, soprattutto quelli sulla sperimentazione farmaceutica.
  Mi sembra anche che rimettere la decisione in mano a un collegio di medici ci porterebbe probabilmente a sentirci accusare di nuovo paternalismo medico. Penso che istituzionalmente sia inevitabile che decida il giudice, anche se non mi entusiasma. Questo è il punto.
  C’è un progetto di legge che dice che, se il giudice accerta che ci sono delle dichiarazioni anticipate di trattamento, deve per forza far rispettare quelle. Ricadiamo nel discorso di quale vincolatività abbiano le dichiarazioni anticipate di trattamento. Ribadisco quello che ha detto la dottoressa Palazzani. Io sono assolutamente in linea con il Comitato nazionale di bioetica, quando afferma che devono essere orientative, che devono avere una loro rilevanza importante per il medico e che, nel momento in cui non vengono più rispettate, bisogna motivarlo in cartella clinica, ma io credo...

  PRESIDENTE. Rilevanti ma non vincolanti.

  LORENZO D'AVACK, presidente del Comitato nazionale di bioetica. Io credo che il «non vincolanti» sia una garanzia per il paziente, anche sulla base di quello che diceva il presidente, perché naturalmente Pag. 18oggi io potrei ritenere particolarmente invasivi degli interventi che nel tempo potrebbero non esserlo più e, quindi, verrebbe meno la ragione del mio rifiuto verso quei determinati trattamenti sanitari. Mi sembra una garanzia.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i nostri auditi e li salutiamo. Ci aiutano effettivamente ad avere un panorama delle diverse posizioni già espresse nel Comitato nazionale di bioetica. Sicuramente sono stati molto utili nella loro esposizione e nel tentativo di rispondere alle nostre domande.

  LORENZO D'AVACK, presidente del Comitato nazionale di bioetica. Noi ringraziamo voi, soprattutto per la pazienza di averci ascoltato.

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Società italiana di cure palliative (SICP) e di Danila Valenti, componente del Consiglio direttivo dell'Associazione europea di cure palliative (EAPC).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 1432 Murer, C. 1142 Mantero, C. 1298 Locatelli, C. 2229 Roccella, C. 2264 Nicchi, C. 2996 Binetti, C. 3391 Carloni, C. 3561 Miotto e C. 3596 Calabrò: «Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari», l'audizione della Società italiana di cure palliative (SICP) e di Danila Valenti, componente del Consiglio direttivo dell'Associazione europea di cure palliative (EAPC).
  Per la SICP sono presenti Carlo Peruselli, presidente e Piero Morino, membro del Consiglio direttivo nazionale.
  A tutti porgo il nostro benvenuto.
  Do la parola al presidente Carlo Peruselli, che apre la nostra audizione. Se non vi siete divisi il tempo, il dottor Morino può intervenire anche in fase di replica.

  CARLO PERUSELLI, presidente della Società italiana di cure palliative (SICP). Buongiorno. Spero di rispettare i tempi. La Società italiana di cure palliative è la società scientifica che rappresenta tutti i professionisti che operano nell'ambito delle cure palliative, ossia delle cure a persone che si avviano alla fine della propria vita. Si tratta di una società scientifica che rappresenta medici, infermieri e psicologi. Siamo federati anche con la Federazione cure palliative, che rappresenta decine e decine di organizzazioni non profit di volontariato che operano in questo mondo.
  Quello che volevo dire in premessa è che – abbiamo letto le varie proposte di legge – per noi questi sono, ovviamente, argomenti del nostro lavoro quotidiano. Ci occupiamo di questo tema, ragion per cui pensiamo di poter fornire, per quanto possibile, un contributo competente su questi aspetti.
  Crediamo anche che sia importante definire un percorso normativo. In merito vorrei fare un riferimento rispetto a un mondo che sta cambiando, per esempio ad alcuni aspetti di tipo demografico.
  L'incremento dell'età media della popolazione pone noi, che siamo partiti, come cure palliative, quasi esclusivamente con i malati di cancro che si avviano alla fine della vita, a confronto con una popolazione molto più vasta, quella con patologie cronico-degenerative. Tali soggetti nell'ultimo periodo di vita si trovano spesso, o comunque in una percentuale consistente, ad avere a che fare con il tema di una pianificazione anticipata delle cure e di un consenso realmente informato rispetto alle cure a cui vengono sottoposti, nonché a una consapevolezza che è importante e che in Italia è ancora un problema. Questo tema delle variazioni demografiche e anche delle variazioni delle patologie cronico-degenerative, che porta proprio un cambiamento profondo, credo sia fondamentale.
  Abbiamo due contributi importanti, credo, che per quanto riguarda la discussione vogliamo fornire. Uno è il documento che ho portato, che probabilmente Pag. 19molti di voi conosceranno. Si tratta di un documento alla cui stesura abbiamo partecipato, che riguarda proprio queste tematiche, che abbiamo condiviso insieme alla Società italiana di anestesia e rianimazione, la SIAARTI. Si tratta del documento del Cortile dei Gentili, un documento che sottoscriviamo in pieno, e che abbiamo sottoscritto anche formalmente in pieno. Riguarda proprio questo tipo di tematiche ed è, in fondo, la dimostrazione, secondo noi, che anche su argomenti controversi si può trovare una sintesi alta, come in questo caso è stato. Contiene una serie di premesse che giudichiamo importanti e che condividiamo, come società scientifica.
  Il secondo documento, che lascio ovviamente, è un documento che abbiamo approvato poche settimane fa. Si tratta di un documento proprio sul consenso informato in cure palliative, un documento della nostra società scientifica alla cui preparazione – il dottor Morino è colui che ha curato per la nostra società questo documento – hanno partecipato diversi rappresentanti, non solo medici, ma anche giuristi e filosofi.
  Fra l'altro, e poi chiudo, anche per questioni di tempo...

  PRESIDENTE. Prima di chiudere, secondo voi, il consenso informato in cure palliative ha delle specificità o è qualcosa che ha una valenza più ampia e che non confligge con altre necessità ?

  CARLO PERUSELLI, presidente della Società italiana di cure palliative (SICP). Ha sicuramente una valenza più ampia. È chiaro, però, che alcune delle tematiche che sono comunque trasversali, quando ci si avvicina alla fine della vita, assumono caratteristiche di maggiore pregnanza. Qui abbiamo proposto il tema di un consenso progressivo alle cure. Ci sono una serie di step successivi.
  Il consenso informato non può essere visto, ovviamente, come statico, come la firma di un documento burocratico. Tutto questo – sia il tema delle dichiarazioni anticipate, sia il tema del consenso informato – va, ovviamente, visto all'interno di un percorso di relazione fra l’équipe terapeutica (uso volutamente il termine «équipe terapeutica» e non solo «medico») e pazienti e familiari. Questo ci sembra un documento che propone delle linee rispetto al consenso informato e, quindi, all'acquisizione di un consenso progressivo che su questi malati, come spesso accade, è un elemento che fa emergere le criticità che magari in altre situazioni sono meno evidenti.
  Peraltro – lo segnalo perché prima ho visto fuori il professor D'Avack – nei giorni scorsi (non so se sia già ufficialmente disponibile), il Comitato nazionale di bioetica, ha approvato un documento sul tema della sedazione palliativa. Vi si cita questo documento come riferimento – per noi questa è stata una soddisfazione – per l'acquisizione del consenso per una delle pratiche particolarmente sensibili da un punto di vista etico, giuridico e anche (permettetemi) personale e professionale che svolgiamo nell'ambito delle cure palliative.
  Questa è la documentazione che vi lasciamo a supporto. È un po’ il contributo che vogliamo fornire a questo dibattito, che per noi – ripeto – è importante. Grazie di averci invitato.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal presidente della SICP Carlo Peruselli (vedi allegato 1). Vorrei ora dare la parola anche a Danila Valenti, componente del Consiglio direttivo dell'Associazione europea di cure palliative.

  DANILA VALENTI, componente del Consiglio direttivo dell'Associazione europea di cure palliative (EAPC). Grazie per l'invito. Grazie alla Commissione per aver di nuovo riportato il dibattito su questo tema, che è veramente un tema importante. Come Associazione europea di cure palliative, accogliamo con favore la ripresa del dibattito su questo tema. In Europa il Belgio, la Danimarca, la Francia, la Germania, il Lussemburgo, l'Olanda, la Svezia, Pag. 20la Svizzera e la Spagna hanno da tempo adottato leggi in materia.
  La premessa, come ha ben ricordato il dottor Peruselli, è che le cure palliative sono l'emblema del non abbandono. Le cure palliative sono l'emblema del non abbandono delle persone e l'emblema del rispetto totale che si ha in merito al concetto di qualità di vita che la persona ha in sé.
  Il concetto di qualità di vita è relativo alla persona che sta vivendo quella malattia e che sta vivendo quella vita. Le cure palliative hanno come obiettivo il raggiungimento della migliore qualità di vita per quella persona in quel momento della malattia, in quel contesto familiare e in quella situazione clinica.
  Per questo motivo chiediamo che la legge che verrà discussa debba sostenere concretamente le persone più fragili e i malati più indigenti per un diritto alle migliore cure possibili, che sono le cure palliative. Concretamente deve richiamare tutti a un impegno economico rispetto a questo.
  Deve diffondere e promuovere una cultura che riconosca anche il diritto alla malattia, il diritto alle persone ad essere sostenute nella malattia e ad avere la migliore qualità di vita nella malattia. Deve sostenere economicamente e culturalmente e rendere sempre più socialmente accettabile qualunque tipo di vita, ancorché fragile e malata.
  Deve sostenere, peraltro, il diritto di vivere in modo degno la propria vita, ma anche una vita degna grazie all'assenza di dolore e di altre sofferenze come le cure palliative possono garantire. Grazie alla legge n. 38 del 2010 questo è possibile.
  Deve anche garantire il diritto di morire con dignità alla luce del concetto di qualità di vita, di dignità di vita e di dignità di morte che ciascuno ha in sé.
  Fatte queste premesse, in cui c’è tutta una società che garantisce il diritto alla malattia e lo ritiene culturalmente accettato e accettabile, sempre più sostenendo il diritto alla malattia, riteniamo, come Società europea di cure palliative, che la società non possa imporre un proprio concetto di qualità di vita e che debba rispettare il concetto di qualità di vita e di dignità di vita che ciascuna persona ha in sé.
  Porto alcuni dati, peraltro anche abbastanza recenti. All'interno di studi che sono stati presentati anche recentemente ai nostri Congressi nazionali, svolti in un quinquennio, in cui è stata valutata l'ostinazione diagnostica rispetto a 6.700 pazienti nell'ultimo ricovero, ossia in quello che ha portato al decesso.
  In quattordici giorni di mediana di vita nell'ultimo ricovero – ribadisco, nel ricovero che ha portato al decesso – sono stati eseguiti qualcosa come 81 esami del sangue e 4,7 esami strumentali a testa, fra cui risonanze magnetiche, PET, colonscopie, gastroscopie, broncoscopie. Chi ha eseguito la preparazione di una colonscopia sa che una preparazione per questo esame non dà un giorno di vita in più, ma sicuramente lo toglie.
  Questo è legato anche al fatto che il consenso informato ha bisogno adesso di una legge più forte. Dobbiamo favorire la consapevolezza delle persone. Le direttive anticipate di trattamento esigono una responsabilità, che è una responsabilità individuale ed è una responsabilità sociale. Responsabilità individuale vuol dire che ciascuno deve raggiungere la massima consapevolezza possibile rispetto alla propria malattia, per poter così esprimere, su una base consapevole, le proprie volontà di trattamento o di dissenso al trattamento. Se non c’è questa consapevolezza, non è possibile una direttiva anticipata di trattamento.
  Qui forniamo altri dati. Dati relativi a pazienti che vengono ricoverati negli hospice ci dicono che la consapevolezza della diagnosi dei malati è di circa il 60-65 per cento. La consapevolezza della prognosi è molto bassa: è dell'ordine del 12-18 per cento. Dobbiamo promuovere una cultura anche del consenso informato, ma di un consenso informato che abbia alla base la responsabilità della consapevolezza, sulla base della quale possiamo esprimere i nostri desiderata e le nostre direttive anticipate. Senza consapevolezza non c’è Pag. 21possibilità di raggiungere quell'autonomia decisionale che è il primo dei princìpi della nostra bioetica medica.
  La legge deve favorire questo aspetto. Il consenso informato deve essere promosso attraverso persone competenti, che sappiano, nell'ambito di una comunicazione onesta, favorire nella persona l'espressione di un consenso o di un dissenso, ma consapevole. È questo che la legge deve favorire: la possibilità delle persone di poter veramente esprimere delle direttive anticipate sulla base di una consapevolezza che dobbiamo favorire anche attraverso una formazione, resa obbligatoria anche attraverso l'ECM, rispetto a questi temi, che ancora non sono conosciuti da tutti i medici, da tutti gli infermieri e da tutti gli operatori sanitari degli ospedali.
  Non c’è formazione all'università sulle cure palliative. Non c’è formazione universitaria. Non in tutti i corsi sono previsti corsi di comunicazione e di bioetica. Favorire questo significa favorire una legge che fornisca gli strumenti alle persone per poter esprimere le proprie direttive anticipate.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata da Danila Valenti, Componente del Consiglio direttivo dell'EAPC (vedi allegato 2).
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA AMATO. Grazie, professor Peruselli, grazie, professoressa. Con riferimento alla chiusura del suo discorso, è il tempo di introdurre la morte e le cure palliative nella formazione universitaria di base. Non è più possibile, in questo tempo, non farlo. Questo è il posto giusto per dirlo voi e per dirlo noi. La medicina in Italia deve fare il salto di qualità e deve finalmente considerare che la morte non riguarda solo le macchie cadaveriche. Il morire ha delle problematiche che sono più complesse della semplice constatazione di morte.
  Il morire è in rapporto con i parenti. Il morire è la formazione per riuscire a comunicare le cattive notizie. L'approccio corretto con il paziente sta nel riuscire a comunicare completamente la diagnosi, per quanto il paziente la può comprendere e per quanto il paziente la vuole comprendere.
  È il tempo di fare il salto di qualità e di introdurre l'insegnamento di cure palliative all'interno degli studi universitari, non i master, non i corsi fuori, perché i corsi sono a numero chiuso. Bisogna avere in sé già la consapevolezza che ci si deve formarsi su quel discorso. Non necessariamente, se uno non è stimolato nel suo percorso obbligatorio di formazione medica, infermieristica e relativa alle professioni sanitarie, poi vuole andare a fare i master.
  Faccio il medico radiologo fuori da questo contesto e ho fatto la formazione palliativista con la Scuola italiana di medicina palliativa, la SIMPA, per riuscire a parlare con i pazienti. A noi viene bene. L'abbiamo fatta tutti nel dipartimento.
  La domanda riguarda le esperienze normative estere relative agli stati vegetativi. Sulle problematiche oncologiche, sulle problematiche di SLA, sulla malattia degenerativa progressiva finora abbiamo sentito che ci si orienta, ma sugli stati vegetativi – sono là gli istituti, i reparti e le unità operative con queste persone – gli altri Stati che fanno ?

  PAOLA BINETTI. Mi sembra che rispetto alle cure palliative una delle cose più difficili da fare sia legata al fatto che si inseriscono in una sorta di frattura di rapporto del paziente con il medico, perché, nel momento in cui il medico consegna il paziente alle cure palliative, in qualche modo cambia un po’ lo scenario, perlomeno in genere.
  Ci sono cure palliative che vengono somministrate nell'ospedale, cure palliative che invece vengono somministrate in strutture – penso, per esempio, agli hospice – e cure palliative che possono, giustamente, essere somministrate anche a casa del paziente. In genere, però, sono Pag. 22due le linee di percorso: la linea strettamente ospedaliera oppure quella affidata a coloro che seguono questi pazienti nel doppio canale casa/hospice.
  Questo presuppone un distacco del paziente dal medico che fino a quel momento l'ha tenuto in carico che è sempre molto difficile da gestire. È difficile da gestire per il medico perché sembra quasi che se ne voglia lavare le mani ed è difficile da gestire per il paziente che comunque ha stabilito con il medico una sorta di relazione di attaccamento.
  Credo che questa sia una delle maggiori complessità per cui il malato finisce con l'accedere alle cure palliative negli ultimi tempi della sua vita, mentre sappiamo che le cure palliative potrebbero coprire almeno l'arco di un anno, un tempo in cui termina l'efficacia della linea terapeutica specifica che sta seguendo e incomincia l'approccio alle linee palliative.
  Questa complessità, che però non è soltanto una complessità tecnica, non è soltanto una complessità scientifica, non è soltanto una complessità farmacologica, ma è una complessità relazionale molto forte e molto profonda, dovrebbe vedere la presenza del palliativista in una relazione di condivisione, di corresponsabilità, insieme al medico. Tutto questo non succede, quindi questa è la prima domanda.
  Passo alla seconda domanda: dice bene la collega Amato in merito alla formazione alle cure palliative nella formazione di base, come previsto dalla legge, però di fatto poi si richiede una formazione più specifica alle cure palliative, che almeno finora, non essendoci la specializzazione, si ottiene attraverso i master, che recentemente hanno realizzato una sorta di rete per condividere il curriculum specifico.
  Anche questo è un problema, perché oggi le cure palliative riguardano non solo il paziente oncologico, ma anche il paziente neurologico, con tutta una gamma di quadri non facili da gestire.
  Mi chiedo in che modo riteniate fattibile una proposta operativa concreta, che rilanci la complessità della formazione del medico (non dico del medico di base) nei suoi 6 anni di formazione fondamentali, perché il morire diventi non un incidente di percorso, ma l'esito naturale di ogni processo vitale.

  MARISA NICCHI. Vi ringrazio perché qui è riportato un fondamentale tema di partenza, laddove ci sollecitava a una funzione politica e istituzionale che deve rimettere al centro la questione della dignità di morire e che la garantisca a tutti, a partire dagli indigenti.
  Qui si tocca proprio la questione dell'uguaglianza, perché sappiamo che certe forme di dignità del morire sono più facili per strati della popolazione più abbienti, dotati di maggior consapevolezza e maggior potere, mentre viene tralasciata la parte della popolazione più debole, socialmente più fragile, che rispetto al morire, che per Totò era una livella, evidenzia come nella dignità del morire non tutti siano uguali.
  Questo richiamo a investire per ricentrare questo diritto di uguaglianza è quindi molto importante. Dal vostro punto di vista come sta la situazione del nostro Paese ? Su questo punto dovremmo forse fare una riflessione che riacquisti questo significato alto.
  Vorrei sottolineare un altro punto, perché quando si parla di queste cose si incrociano anche tante esperienze personali: il momento della relazione nella fine della vita, che può lasciare un segno fortissimo nelle persone che vi partecipano. Sono convinta che esista un problema di formazione, giustamente sottolineato dalle mie colleghe, e di costruzione dell'autonomia decisionale del soggetto coinvolto.
  È importante valutare come intervenire con una legge con leggerezza e con delicatezza in questa relazione tra medici, familiari, reti familiari, pazienti alla fine della vita, a partire da questo principio di costruire e affermare pienamente nella legge il tema dell'autonomia decisionale del soggetto, come costruirla e come affermarla come valore indisponibile.
  In questa costruzione di un'autonomia decisionale in un contesto di relazioni diverse, dove i medici diversamente formati Pag. 23e i pazienti costruiti più consapevolmente, le reti di relazioni personali intorno possono garantire un fine vita diverso da quello che spesso si ricorda, perché è vero quanto lei ha denunciato: l'accanimento anche nell'ultimo giorno di vita è un dato di realtà di cui io testimonio.

  MATTEO MANTERO. Noi condividiamo le considerazioni fatte dagli auditi, ma vorremmo chiedervi di illustrarci le difficoltà che incontrano nel nostro Paese sia i medici palliativisti che i pazienti che vorrebbero accedere alle cure palliative, quali siano le mancanze delle nostre proposte e come possiamo intervenire per colmare il vuoto normativo su questo tema.

  DONATA LENZI. Vi chiedo: DAT vincolanti o non vincolanti, secondo voi che lo sperimentate quotidianamente ? Inoltre, chiedo se potete poi farci avere il documento europeo perché in questo quadro la dimensione europea ci è molto utile.

  PRESIDENTE. Prima di lasciarvi la parola per la replica, oltre all'accanimento terapeutico negli ultimi quindici giorni, a voi risulta un consistente fenomeno di desistenza terapeutica per cui non vengono date cure palliative né altro per polipatologie di anziani ?

  CARLO PERUSELLI, presidente della Società italiana di cure palliative (SICP). Provo a toccare alcuni punti. Sono partito non a caso dalla consapevolezza che dobbiamo avere di un cambiamento profondo. Non sono partito a caso perché per quanto concerne il tema del fine vita che Daniele Valenti suggeriva siamo ancora abituati a considerare la medicina come un problema che risolve i problemi acuti, ma in realtà i problemi acuti non sono quasi più un problema. Partiamo (guardo chi ho avuto come interlocutore professionale in passato) da un'idea della sanità pubblica che dovrebbe far fronte a problemi di natura prevalentemente acuta, ma non è più così da tempo.
  I bisogni sono calcolati dall'OMS; ogni anno muoiono in Italia 3-400.000 persone con bisogni di cure palliative, che non sono più soltanto i malati di cancro, ma sono gli anziani, sono i malati con demenza, sono i malati con Parkinson, sono una popolazione di malati che è in crescita esponenziale. Gli ultranovantenni, che oggi sono una popolazione significativa, fra il 30 e il 40 per cento hanno un quadro di demenza grave, quindi stiamo parlando di popolazioni enormi.
  Quali sono oggi le carenze principali ? L'Italia ha una legge, la n. 38 del 2010, che per molti versi è considerata all'avanguardia in Europa. Ero nel board dell'associazione europea e ricordo che quando è stata presentata è stata vista in ambito europeo come una legge esempio sotto molti punti di vista.
  Il problema (mi permetto di fare una sorta di appello in questa sede) è che la legge n. 38 del 2010 ha completato il suo iter normativo anche a livello di Conferenza Stato regioni, ma c’è ancora un'impressionante disomogeneità su base regionale (vi possiamo fornire i dati), quindi c’è una diseguaglianza non solo economica, ma anche su base geografica. Oggi un cittadino della Calabria non ha gli stessi diritti di dignità delle cure di fine vita di un cittadino lombardo o veneto, cosa che trovo devastante e professionalmente deprimente.
  Mi permetto quindi di fare un appello semplicemente per un'applicazione reale. Sul tema delle cure palliative non c’è da inventare nuove normative, ma c’è semplicemente da condurre a un'applicazione omogenea su tutto il territorio nazionale di una legge emblematica.
  Sul tema delle dichiarazioni anticipate di trattamento abbiamo fornito questo contributo. Il tema non è quello di definire una normativa specifica sul tema degli stati vegetativi, perché riguarda la pianificazione anticipata di trattamento, cioè di fronte a qualche centinaio di situazioni di questo tipo, che pure sono drammatiche e significative, c’è una popolazione potenziale di migliaia di persone che arrivano Pag. 24alla condizione di non competent non in modo acuto, ma in modo cronico (pensiamo ai quadri di demenza).
  Oggi, negli Stati Uniti oltre il 50 per cento dei malati che ricevono cure palliative non sono malati di cancro, ma sono prevalentemente affetti da demenza. Queste sono le tematiche sulle quali oggi si gioca una partita anche in termini di omogeneità.
  Vincolanti e non vincolanti: è chiaro che il tema si costruisce all'interno di una relazione di cura, perché, se come cittadino ho il diritto a non essere sottoposto ad alcuni trattamenti come persona cosciente, è paradossale che nel momento in cui divento non cosciente non mantenga questo diritto. Lo dico in termini semplicemente di buonsenso, come cittadino ancor prima che come medico e presidente di una società scientifica. Questa mi pare una base dalla quale partire e raggiungere un consenso diffuso, come dimostrato da quel documento, su cui fra l'altro si gioca il tema della proporzionalità delle cure.
  La proporzionalità delle cure è legata da una parte alla disponibilità tecnologica, dall'altra al giudizio della persona rispetto a ciò che è proporzionale per se stessa. Questa è una partita che si gioca su un bilanciamento che non è facile, che non è sempre tranchant tra bianchi e neri, ma spesso è una gradazione di grigi sulla quale si gioca la relazione medico/paziente. Certamente, però, il fatto che sia vincolante per chi continua a curare questa persona credo che sia un elemento centrale per quanto riguarda lo stesso consenso informato. Un consenso che vale soltanto finché sono cosciente e poi non vale nel momento in cui non lo sono più creerebbe gravi difficoltà.

  PIERO MORINO, membro del Consiglio direttivo nazionale della Società italiana di cure palliative (SICP). Rapidissimamente, stiamo attenti a non focalizzare l'attenzione su un puntino quando intorno c’è un mondo, si rischia di badare al dito piuttosto che a ciò che vogliamo indicare. La direttiva anticipata è una cosa molto importante anche per ribadire alcuni principi etici più o meno rilevanti.
  La realtà che mi preoccupa è che, se noi non pensiamo a quello che c’è prima, ci troveremo sempre a prendere decisioni su persone che sono ormai non più competenti, ma prima sapevamo a cosa andavano incontro. Si deve partire dall'informazione, ed ecco l'esigenza di parlare più di pianificazione anticipata di cure piuttosto che di direttiva anticipata. Le direttive anticipate riguardano poche persone, che improvvisamente, senza aspettarselo, si trovano nell'impossibilità di esprimere le proprie preferenze, quindi sono quelle che difficilmente pensano a redigere un documento delle direttive anticipate.
  Si rischia quindi di avere una legge che definisce benissimo qualcosa e poi risolve pochi casi, al di là della rilevanza etica che può avere questo dibattito.
  Noi tutti abbiamo una grande possibilità non di morire all'improvviso, anche perché spesso ci salvano, ma di morire per malattie croniche progressive, a partire dalla demenza, dove per anni la persona perde le proprie facoltà, però si sa cosa accade ad un malato di Parkinson, un malato di diabete, un malato di insufficienza cardiaca; si sa che un malato di BPCO morirà di soffocamento. È possibile ragionare con lui non tanto per sapere se all'ultimo momento vorrà essere attaccato a un ventilatore o no, magari dieci anni prima, ma per realizzare una relazione che si costruisce momento per momento insieme attraverso l'informazione precisa, in cui ci sono tutti gli elementi di conoscenza.
  Non è più vero che c’è una frattura fra le cure attive e le cure palliative: ormai si parla di cure palliative precoci e simultanee, in tutti i posti dove le cure palliative esistono il palliativista è al fianco del malato e del medico specialista ed è lui che decide quando diventano prevalenti le cure palliative rispetto alle cure attive.
  A me piuttosto preme sapere se quel malato voglia essere attaccato a un ventilatore all'ultimo momento, magari scrivendolo prima, perché, se si aspetta, quel Pag. 25malato sarà incompetente, a quel punto, perché chi sta per soffocare non è più in grado di prendere nessuna decisione. Mi preme molto più di sapere – e tutti i medici devono sapere – che quel malato morirà di insufficienza respiratoria, certamente, ma non può e non deve morire soffocato. E anche se sarà attaccato a un ventilatore morirà prima o poi soffocato, con una combinazione magari di infezioni o di altre malattie, quindi non è che se lo attacco a un ventilatore lo preservo dal morire soffocato. Non ha nessuna rilevanza, a quel punto, ma è rilevante che lui sappia che si può morire di insufficienza respiratoria, magari in sedazione, ma non si deve morire soffocati.
  Nessun paziente in un Paese civile deve morire soffocato. Oggi i pazienti muoiono in ospedale, con una maschera che gli viene legata sul viso, e magari legati al letto perché non possano strapparsela. Questo è il modo di morire in ospedale.
  Credo che in tutte le sedi noi dobbiamo poter garantire a queste persone che hanno un'insufficienza respiratoria – dico l'insufficienza respiratoria perché si capisce bene – che si morirà di questo, ma nessuno in un Paese civile deve morire soffocato.
  Se si ragiona sulle ideologie (non dico neanche sui princìpi etici), queste persone moriranno soffocate in ospedale legate a letto. Abbiamo una responsabilità.

  DANILA VALENTI, componente del Consiglio direttivo dell'Associazione europea di cure palliative (EAPC). Rapidissimamente, abbiamo lottato per avere una formazione universitaria durante i 6 anni iniziali, speriamo che questo avvenga, ma adesso ? Dal momento in cui si attiverà la formazione universitaria fino a quando questi medici potranno essere attivi come facciamo con i pazienti che abbiamo negli ospedali o a domicilio ?
  Dobbiamo pensare di formare sulla bioetica, sulle cure palliative, su queste modalità di cura palliativa delle persone anche attraverso il programma dell'educazione continua in medicina (ECM). Visto che è obbligatorio il basic life support (BLS), rendiamo obbligatorie anche le cure palliative annualmente.
  Il medico ha sempre a che fare con la morte, ma non ha mai ricevuto una formazione su di essa. In attesa che l'università possa in qualche modo attivarsi su questo e che accetti che si muoia – siamo ancora in pieno positivismo nella medicina – iniziamo anche con i programmi ECM, rendendo obbligatorio un corso annuale di cure palliative in tutti gli ospedali per tutte le figure professionali.
  Onorevole Binetti, con le cure palliative precoci noi supportiamo quel percorso di consapevolezza che fa sì che il malato arrivi a esprimere i propri desiderata due anni prima o un anno prima, non tre ore prima, perché non è in grado comunque di poterle esprimere. Ecco perché questo percorso di formazione deve essere supportato dagli specialisti palliativisti e promosso all'interno degli ospedali in tutte le specialità.
  Rispetto alle DAT, il problema si pone per le persone che perdono improvvisamente la facoltà di esprimere la propria volontà. Il percorso di costruzione delle dichiarazioni anticipate può essere sempre sospeso dalla persona stessa. Finché una persona è in grado di intendere e di volere, può dire: «Io voglio essere tracheotomizzato».
  Infatti, è possibile che una persona modifichi il proprio percepire della qualità di vita nel corso della malattia. Quello che due anni prima era inconcepibile come qualità di vita può diventarlo nel momento in cui si vive la malattia. Lo vediamo.
  Finché una persona è in grado di intendere e di volere, può rivedere le proprie dichiarazioni anticipate, ma quando una persona non è più in grado di intendere e di volere, se noi non rispettiamo le sue volontà espresse, la tradiamo nel momento di maggiore fragilità. Tradire i desiderata di quel paziente ha il significato del vero abbandono, ovvero l'allontanamento da quello che il paziente avrebbe voluto per sé in quella situazione.
  Noi, come medici e come infermieri, che abbiamo costruito un percorso di consapevolezza, dobbiamo rispettare le volontà Pag. 26che nel tempo il paziente ha avuto la possibilità di esprimere. Se non sono vincolanti, rischiamo di non rispettare la persona che abbiamo in cura.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINuC) e dell'Associazione italiana di dietetica e nutrizione medica (ADI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 1432 Murer, C. 1142 Mantero, C. 1298 Locatelli, C. 2229 Roccella, C. 2264 Nicchi, C. 2996 Binetti, C. 3391 Carloni, C. 3561 Miotto e C. 3596 Calabrò: «Norme in materia di consenso informato e di dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari», l'audizione della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC) e dell'Associazione italiana di dietetica e nutrizione medica (ADI).
  Do il benvenuto a Giancarlo Sandri, consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC).
  Faccio presente che a tale audizione è stata invitata anche la Società italiana di nutrizione artificiale e metabolismo (SINPE), che tuttavia non parteciperà.
  Do la parola al dottor Giancarlo Sandri per lo svolgimento della relazione.

  GIANCARLO SANDRI, consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC). Grazie, presidente e onorevoli parlamentari, per averci concesso la possibilità di questa audizione su un tema molto delicato, che sta molto a cuore a noi professionisti, come del resto a voi, perché quotidianamente abbiamo a che fare con le questioni su cui voi siete chiamati a discutere e a legiferare. Proseguo o volete pormi delle domande ?

  PRESIDENTE. Lei ci dica la cosa fondamentale che vorrebbe dirci in questo momento. In seguito le porremo delle domande.

  GIANCARLO SANDRI, consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC). La nutrizione artificiale, che fa parte della materia della nutrizione clinica e che è coinvolta nei trattamenti di fine vita, deve essere considerata a tutti gli effetti come un trattamento medico.
  Partiamo da questo punto di vista e sgombriamo il campo da altre considerazioni che a nostro modo di vedere non hanno pertinenza (cure compassionevoli, ordinaria assistenza). Spostiamo l'interesse sul fatto che, per le sue caratteristiche, la nutrizione artificiale, sia in ospedale che a domicilio...
  Molto spesso abbiamo a che fare con pazienti domiciliati, che hanno una sonda o un catetere venoso come unica possibilità di nutrirsi. Si è calcolato che sono circa 160 per 100.000 abitanti sul territorio nazionale, distribuiti purtroppo in maniera molto variegata e diseguale da una regione all'altra (questo è un problema comune a molti servizi sanitari).
  Se noi partiamo dal punto di vista che l'artificialità sta nell'applicazione di un mezzo artificiale, quale una sonda nasogastrica, una sonda naso-digiunale o, peggio, per le sue conseguenze negative, un catetere venoso centrale, noi non possiamo che identificare questo tipo di trattamento come un trattamento medico, con tutte le sue caratteristiche: consenso informato, preciso e obbligatorio; inizio o sospensione della terapia previo consenso informato, stabilita dal medico che ha la percezione e le informazioni sulle condizioni cliniche del paziente.
  A questo punto, parlare della nutrizione artificiale come di un accanimento terapeutico, come in certi casi si fa, ci sembra inappropriato, in quanto è proprio l'appropriatezza stabilita dal medico e accettata dal paziente che evita l'accanimento terapeutico.
  La nutrizione artificiale non è sempre appropriata, qualche volta è inappropriata, per esempio quando siamo vicinissimi (questione di giorni) alla fine della vita, perché, attraverso le metodiche proprie della nutrizione artificiale, non facciamo Pag. 27altro che peggiorare la qualità di vita residua, a volte di qualche giorno o di qualche settimana, del paziente. Quello è inappropriato e costoso e, quindi, è fonte di sofferenza per il paziente e di costi.
  Invece, è appropriata in casi in cui esiste la possibilità di un trattamento terapeutico eziopatogenetico. Per esempio, nel caso di un malato oncologico che verrà sottoposto a chemio e radioterapia, con le conseguenze che sappiamo sullo stato di malnutrizione che inevitabilmente si associa a queste terapie, la nutrizione artificiale è di valido sostegno al paziente e va fatta in collaborazione col collega oncologo.
  Noi sosteniamo anzi che in questi casi più precoce è l'inizio della nutrizione artificiale più ne trarrà vantaggio il paziente. Infatti, nutrire con la nutrizione artificiale, come spesso siamo chiamati a fare, pazienti che sono ridotti ormai a uno stato di malnutrizione estrema non ha quasi senso.
  Siccome sappiamo che alcune patologie neoplastiche hanno come conseguenza inevitabile la malnutrizione, a volte iatrogena (la stessa chemioterapia provoca malnutrizione), abbiamo immaginato che debba esserci un percorso parallelo, che veda le terapie specifiche della patologia accompagnarsi alla terapie specifiche della malnutrizione, che è prevedibile in alcuni casi e molto certa in altri.
  Riteniamo anche – questo è un altro tema che è stato molto dibattuto – che di fronte ai pazienti in stato vegetativo la nutrizione artificiale non debba essere discontinuata, ma debba essere continuata. Conoscete l'incertezza che c’è sulla possibilità di recupero degli stadi vegetativi e degli stati di minima coscienza. C’è uno sviluppo scientifico che ormai va nella direzione di non considerare come uno stato irreversibile neanche gli stati vegetativi cosiddetti «permanenti».
  Per esempio, noi seguiamo alcune persone domiciliate o istituzionalizzate che stanno in questa situazione. Conoscete i vari casi che nella storia sono venuti alla ribalta della cronaca e della giurisprudenza dagli Stati Uniti all'Italia.
  Occorre pertanto considerare la nutrizione artificiale come una terapia medica. Come tale va cominciata e finita, così come noi cominciamo e finiamo un'antibioticoterapia. Peraltro, è una terapia medica specialistica, che non può essere affidata al medico di base (con tutto il rispetto per il medico di base), perché richiede delle conoscenze specifiche proprie di questa disciplina che è la nutrizione clinica.
  Come noi iniziamo e sospendiamo una qualunque altra terapia medica, così ci dovremmo comportare per la nutrizione artificiale per sonda o per catetere venoso.
  Se questo viene accettato come principio cardine, ne derivano tutti gli altri, come la possibilità di sospendere quando si vede che il trattamento è futile. In certi casi il trattamento è assolutamente futile, quindi – lo ripeto ancora una volta – diseconomico – ma questo sarebbe tutto sommato meno rilevante – ma soprattutto fonte di complicanze possibili, ovvero di ulteriori sofferenze e di diminuzione della qualità di vita, in pazienti che non ne hanno certamente bisogno.
  È chiaro che anche il personale è chiamato, con pari responsabilità o con responsabilità di collaborazione con il medico, a considerare il trattamento di nutrizione artificiale come un trattamento medico.
  Imboccare l'anziano che non deglutisce perché ha degli esiti di ictus non è come mettergli una sonda che arriva nello stomaco, perché può avere rigurgiti o polmonite ab ingestis. Nel caso della nutrizione parenterale, che è proprio l'ultima spiaggia (nutrire in vena è quanto di più artificiale ci possa essere), hanno una certa frequenza le complicanze di tipo infettivo. Per nutrire il paziente e per fargli del bene, noi rischiamo di procurargli una sepsi da catetere.
  Mi sembra che questo sia il ragionamento che si deve fare per i pazienti in nutrizione artificiale in genere e per quelli in fine vita.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  MATTEO MANTERO. Io condivido il fatto che la nutrizione artificiale debba essere considerata a tutti gli effetti una cura, in quanto è fatta con mezzi medici, è prescritta da un medico, è seguita da un medico. Eventualmente può essere portata avanti da un parente, come peraltro avviene per le altre cure; anche le pastiglie sono prescritte dal medico, ma poi il paziente le prende da solo.
  Credo che questo tema sarà quello che porterà un più forte dibattito all'interno della Commissione e anche fuori, perché molto spesso sospendere quelle cure è visto come lasciar morire di fame una persona.
  Lei giustamente affermava che devono essere valutati i casi in cui la nutrizione artificiale è opportuna e i casi in cui non lo è. È evidente che, se io reputo che non sia opportuna, non posso dire che sto facendo morire di fame una persona, come non posso dirlo se decido di sospenderla a una persona che è tenuta in vita solo da quello.
  Forse questo è un tema un po’ più etico. A suo avviso, se la nutrizione e l'idratazione artificiale hanno l'unico scopo di mantenere in uno stato di vita artificiale una persona considerata in coma irreversibile, in stato vegetativo permanente, è opportuno che quella persona, attraverso una direttiva anticipata di trattamento, richieda che, se si dovesse trovare in quella condizione, possa non subire quel tipo di cura e, quindi, possa essere lasciata morire oppure no ?

  PRESIDENTE. Il dottor Mauro Rossini è un medico esperto in scienze dell'alimentazione per l'Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica e ci raggiunge in extremis, ma l'accogliamo, lasciando che senta una parte del nostro dibattito.

  DELIA MURER. Mi sembra molto chiara la sua posizione. Volevo, se possibile, che approfondisse questo tema, cioè quello di dire «no» all'accanimento terapeutico in quanto inappropriato in relazione alla nutrizione artificiale. Vorrei che potesse approfondirlo un po’.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre richieste di intervento, si aggiunge il presidente. Ovviamente, sull'alimentazione come trattamento sanitario o trattamento assistenziale non c’è accordo in letteratura. Lei è chiaramente per l'identificazione di questo intervento come trattamento sanitario. L'onorevole Mantero faceva riferimento a questo.
  Proprio a proposito dell'alimentazione artificiale ha parlato di sondino e di catetere venoso. Ci è stato posto il problema che, dal punto di vista giuridico, il dibattito se si tratti di intervento sanitario o assistenziale verrebbe a cadere se si ricordasse che si tratta comunque di un intervento invasivo e che, come tale, ci sarebbe sempre la possibilità di dire «no». Questo è il primo punto. Vorrei un parere da lei o da voi.
  Passo alla seconda questione. Lei ha parlato di appropriatezza, in quanto, ovviamente, fa vivere la persona e abbiamo, peraltro, un'incertezza sugli stati vegetativi permanenti anche in letteratura e, per fortuna, nella pratica. Per fortuna, in qualche caso ci sono episodi molto eclatanti di stati vegetativi permanenti che non sono stati più permanenti per nulla.
  In qualche misura ho capito che il limite che lei metteva sull'appropriatezza è relativo a quando l'intervento nutrizionale vada a mantenere o a migliorare la qualità di vita residua e non a peggiorarla, come limite alla decisione per intraprendere il trattamento o continuarlo. Qui si apre il problema del momento dell'ingresso in questa terapia e del momento dell'uscita eventuale da questa terapia. Volevo una vostra risposta.
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  GIANCARLO SANDRI, consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC). Grazie, presidente. Il mondo scientifico è ormai abbastanza dotato e attrezzato di strumenti di valutazione del paziente per decidere se ci sia appropriatezza, ossia se si debba iniziare Pag. 29e anche se si debba sospendere. Direi che i cardini fondamentali sono la beneficialità, da una parte...

  DONATA LENZI. Stavo scherzando: non serve un decreto.

  GIANCARLO SANDRI, consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC). Non lo so. Forse sì, ma siete voi i legislatori e non certo io.
  Il beneficio ci deve essere, perché nessuno si prenderebbe un'aspirina senza motivo, o perlomeno chi lo fa, fa male e abusa, fatte le dovute differenze. Se c’è un beneficio, si fa. Se c’è un maleficio o una futilità, non si fa, perché la futilità corrisponde, nella nutrizione artificiale, a un possibile aumentato rischio e a un peggioramento della qualità di vita. È inutile mantenere in nutrizione artificiale un paziente che ormai non ne ha vantaggi in termini di supporto nutrizionale ad altre terapie, perché non fa le altre terapie ed è fuori terapia.
  Però, per esempio, molti malati oncologici, grazie alla nutrizione artificiale riescono ad avere una qualità di vita migliore che se non la facessero, perché la malnutrizione, come sapete benissimo, peggiora tutte le condizioni patologiche: si resta indifesi e non si risponde bene alle terapie.
  Con riferimento al concetto di beneficialità e di maleficio, come è del resto stabilito dalla Convenzione di Oviedo e da pronunciamenti perfino della Conferenza episcopale di qualche anno fa, che considerava evidentemente appropriato il trattamento solo in determinate condizioni, il problema è: chi stabilisce le condizioni ?
  È importantissimo – mi permetto di sottolinearvelo – che non sia una persona non specializzata nella nutrizione artificiale, che non è se non una parte della nutrizione clinica, ed è una disciplina ancora poco chiara, ancora poco normata, per esempio in ambito degli studi universitari. I medici si laureano sapendo ben poco di nutrizione in generale. Esiste una specialità in scienze dell'alimentazione, ma è una cosa un po’ diversa, e comunque non ne esiste una in nutrizione clinica e in nutrizione artificiale.
  Poiché questi pazienti stanno aumentando, il problema è serio, come sapete benissimo e testimoniate con questo vostro rinnovato interesse. Già anni fa c'erano stati dei tentativi, a cui aveva partecipato la Società italiana di nutrizione parenterale ed enterale, come audita.
  Circa le direttive anticipate...

  PRESIDENTE. Dichiarazioni anticipate. Tendiamo per ora a chiamarle così.

  GIANCARLO SANDRI, consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC). DAT, in sigla.

  PRESIDENTE. Sì, ma non direttive, bensì dichiarazioni.

  GIANCARLO SANDRI, consigliere della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (SINUC). In merito c’è il grosso problema, su cui non so al momento fornirvi una risposta, perché non rientra nell'ambito delle mie competenze e forse neanche delle competenze mediche in generale, al di là della mia persona, che riguarda il tema se le dichiarazioni fornite a un dato momento siano ancora valide nel momento in cui ce ne dovessimo servire.
  Un paziente in condizioni ancora di discreto benessere dichiara di essere trattato in quel dato modo. Non credo che siamo, neanche come società scientifiche, tutti d'accordo sull'obbligo di attuare queste direttive, perché la situazione potrebbe essere cambiata. La situazione potrebbe essere cambiata dal punto di vista delle conoscenze medico-scientifiche, con maggiori opportunità e spostamento della bilancia sulla beneficialità rispetto al maleficio, e potrebbe anche essere cambiato il paziente. Il paziente ha dato una direttiva, ma può ricredersi.
  Qui non so e non debbo fornire delle risposte, credo. Bisognerebbe fare, il che non è cosa semplice, delle direttive che possano essere rinnovate periodicamente, con un fiduciario cui possa essere attribuito il compito di modificarle. Normativamente non so come si possa fare questo.Pag. 30
  Teniamo presente che la malattia è un percorso e che il malato cambia in questo percorso. Una volta che ha detto una cosa, non è detto che poi, dieci anni dopo, la situazione sia la stessa. Questo è il punto per le direttive anticipate.

  PRESIDENTE. Dottor Rossini, lei è venuto qui forse con un contributo per noi decisivo, che non conosciamo in anticipo. Il dibattito e le domande che ha ascoltato l'avranno già stimolata, ragion per cui può fornirci il suo contributo, anche rispondendo alle stesse domande.

  MAURO ROSSINI, rappresentante dell'Associazione italiana di dietetica e nutrizione medica (ADI). Innanzitutto colgo l'occasione per salutare la Commissione e il presidente a nome del professor Caretto, il quale, purtroppo, ha avuto un impegno inderogabile, che non gli ha dato la possibilità di essere qui. Mi ha pregato cortesemente di essere al suo posto, ma certamente in maniera poco degna, pur rappresentando senz'altro l'ADI, ossia l'Associazione italiana di dietetica.
  Senz'altro mi suscita un particolare interesse questo tema, perché naturalmente la nutrizione umana è veramente una parte integrante, e deve rimanere una parte integrante, di qualunque terapia. Mi sembra più che doveroso porci il problema, anche, come diceva giustamente il mio carissimo collega, dottor Sandri, a proposito dell'aumento continuo – direi esponenziale – dei pazienti.
  L'anzianità è più rappresentata nel nostro Paese; sappiamo che si cura di più e si cura meglio, ma, in realtà, la popolazione invecchia anche di più. Comunque, in ogni caso, gli interventi nutrizionali sono assolutamente sempre più numerosi e devono esserlo, anche perché effettivamente sono a sostegno proprio della qualità di qualunque cura. Non esiste una terapia – lo vediamo anche con i profili di terapia oncologica – e non c’è possibilità di sostegno di terapia oncologica se il paziente viene iponutrito e soprattutto se non si pensa anche a questo aspetto.
  Consegno un documento promosso dall'Associazione dietetica italiana e nutrizione clinica, federata a FeSIN, che già nel 2007 aveva sottolineato alcuni punti importanti ed essenziali. Tali punti sostanzialmente ribadiscono e accentuano probabilmente quello che anticipava il dottor Sandri, ossia innanzitutto la volontà da parte della sanità di essere presente dal punto di vista anche formativo e informativo, perché quello è il presupposto per curare meglio.
  Inoltre, c’è l'importanza che va attribuita al sostegno e al supporto delle risorse proprio per poter adempiere meglio a questo compito, naturalmente anche nel rispetto che sicuramente dobbiamo avere nei confronti del paziente e di chi vuole essere curato. Giustamente, l'invasività offende, talvolta, le condizioni del paziente e il paziente stesso. La volontà suprema penso debba spettare al paziente o a chi gli sta più vicino.

  PRESIDENTE. Ringraziando gli auditi del loro contributo, autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal rappresentante dell'ADI (vedi allegato 3) e dichiaro concluso il nostro ciclo odierno di audizioni.

  La seduta termina alle 16.30.

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