XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 13 di Giovedì 9 giugno 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SU «INDUSTRIA 4.0»: QUALE MODELLO APPLICARE AL TESSUTO INDUSTRIALE ITALIANO. STRUMENTI PER FAVORIRE LA DIGITALIZZAZIONE DELLE FILIERE INDUSTRIALI NAZIONALI

Audizione della Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini.
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 ,
Giannini Stefania , Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 4 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 10 ,
Giannini Stefania , Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 10 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 12 ,
Da Villa Marco (M5S)  ... 12 ,
Benamati Gianluca (PD)  ... 12 ,
Scuvera Chiara (PD)  ... 14 ,
Basso Lorenzo (PD)  ... 14 ,
Vallascas Andrea (M5S)  ... 14 ,
Giannini Stefania , Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 15 ,
Vallascas Andrea (M5S)  ... 15 ,
Becattini Lorenzo (PD)  ... 15 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 15 ,
Giannini Stefania , Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca ... 15 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 13.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su «Industria 4.0»: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione della Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca, Stefania Giannini, che ringraziamo per la presenza.
  Ringrazio anche i commissari, perché in un giorno in cui non sono previste sedute in Assemblea assicurano comunque una presenza qualificata.
  Prima di darle la parola, vorrei solo fare qualche considerazione per spiegare alla Ministra non solo perché le abbiamo chiesto di venire qui in audizione, ma in particolare che cosa per noi sarebbe molto utile acquisire come elementi informativi. La trasformazione tecnologica che va sotto l'espressione di «Industria 4.0», ma che in realtà investe la digitalizzazione, e non solo, dell'attività produttiva, ma dell'economia, della società e dei servizi, implica probabilmente nel medio periodo un cambiamento epocale.
  Usiamo termini giusti. Parliamo sempre di prima, seconda, terza, quarta rivoluzione. È evidente che quello che sta accadendo cambierà nel tempo quasi tutto il modo di produrre, il modo di consumare, e quindi apre anche problemi del tutto inediti.
  Abbiamo visto, guardando le esperienze degli altri Paesi, in modo particolare la Germania, che quest'ultima già da quattro o cinque anni proprio nel mondo del lavoro tedesco si sta cimentando con questi problemi, con lo strumento della cabina di regia, per assicurare la governance nazionale e locale, tenendo assieme centri di ricerca e università, Stato centrale, i Länder, le parti sociali nella cabina di regia.
  Nella missione che abbiamo fatto nel Baden-Württember, siamo andati a Stoccarda, e abbiamo potuto prendere visione sia le modalità di lavoro della Porsche sia questa grande azienda che realizza macchine strumentali per il taglio dell'acciaio, la Trumpf, particolarmente digitalizzata.
  Nell'incontro con il Governo del Baden-Württemberg, ci hanno parlato di investimenti e della questione della formazione, i primi perché altrimenti non si recupera la produttività necessaria per il cambiamento, la seconda perché evidentemente qui siamo di fronte a un cambio così epocale che abbiamo bisogno di lavorare assieme, con processi formativi e investimenti. Il primo aspetto è, quindi, questo, bisogna considerare la formazione non più soltanto come valore in sé, ma come scelta che dentro questi processi deve avere una particolare attenzione.
  In secondo luogo, e questo è il tema che riguarda da vicino l'audizione di oggi, ci sono sorti dei timori guardando, ascoltando Pag. 4 centri di ricerca e università. Ne abbiamo sentite davvero tante. C'è stata molta attenzione e volevano venire in molti. A un certo punto, abbiamo dovuto selezionare solo alcuni di questi soggetti, soprattutto le università, che certamente non potevamo sentire tutte. Abbiamo sentito il Politecnico di Torino e di Milano, l'università di Bologna, e quella di Pavia. Che cosa temiamo?
  Pur essendoci tante risorse, temiamo che vengano spese, investite, indirizzate, senza un minimo di coordinamento. Il CNR sta per conto suo, ogni università va per conto proprio, ognuno ha un rapporto con un pezzo di impresa e una filiera produttiva. Che cosa vediamo?
  Le risorse non sono infinite e di questo la ministra Giannini è a conoscenza certamente meglio di noi. Noi avremmo bisogno di provare a immaginare una qualche forma di coordinamento, di regia – leggera, per carità – con cui provare a dire: tu stai lì, sei specializzato su questo, stai lavorando su questo, continua su questo; tu fai quest'altra cosa, mettete in sinergia qualche pezzo. Non so se è chiaro. Questo servirebbe a utilizzare le risorse, che naturalmente non sono infinite, nella maniera ottimale rispetto agli obiettivi che ci si prefigge nel passaggio alla fabbrica digitale.
  Siccome adesso la questione di Industria 4.0 è molto dibattuta, com'è giustamente, attorno alle questioni più discusse può esserci anche l'idea che intanto occorra fare qualcosa. Pur di mostrare che anche il nostro Paese è impegnato a fare qualcosa su questo fronte, spendiamo qui e spendiamo lì, mentre dovremmo utilizzare le risorse disponibili con un po’ di raziocinio. Magari possiamo avere tanti che studiano, ad esempio, le stampanti 3D, mentre nessuno studia i big data.
  Siccome la rivoluzione tecnologica e digitale è fatta davvero di tanti fattori, ma tutti complementari, dovremmo avere la capacità, guardando quello che già c'è – penso ad esempio ai cluster – di capire come si può affrontare questo passaggio cruciale nel mondo produttivo.
  Questi sono i due temi: la centralità della formazione e come coordinare la spesa sia quella delle università, sia quella dei centri di ricerca, sia quella del ministero, per avere un minimo di armonizzazione che renda tutto più efficiente e logico.
  Do quindi la parola alla professoressa Stefania Giannini, Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

  STEFANIA GIANNINI, Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Ringrazio il presidente e saluto tutti e tutte i commissari anche per essere qui, appunto in una giornata che non riguarda il loro lavoro d'Aula.
  Condivido e ringrazio il presidente Epifani anche per lo spunto che mi esime, quindi, da un'analisi forse troppo dettagliata che il testo scritto che lascio volentieri a disposizione della Commissione prevede. Lo stimolo che mi offrite è quello di esporre il merito della questione, cioè che cosa il Paese sta facendo sul piano della formazione.
  Nel caso del mio Ministero, che poi è quello che effettivamente ha una responsabilità globale, olistica, del processo formativo, dico subito che parte dalla scuola e giunge ai più avanzati centri di ricerca, passando per i corsi di vario livello universitario. Il metodo è il modo in cui si intende nel presente e nel futuro governare questi processi in modo che autonomia non significhi rischio di anarchia, e non dico abbondanza, ma disponibilità di risorse per questo tipo di iniziative, cioè adeguare il nostro sistema della ricerca, della formazione a un modello manifatturiero industriale.
  Aggiungerei alle cose dette un presente progressivo. Non direi che cambia o cambierà, ma che sta cambiando nel presente e con grandissima rapidità, e che quindi si impone a chi si occupa soprattutto di formazione di adeguare il modello, di prevederne i possibili sviluppi in un futuro immediato e, possibilmente, almeno in un futuro di medio termine, e quindi dare strumenti educativi e direi organizzativi al sistema della formazione.
  Posso saltare, credo, il preambolo che ci ricorda quanto l'Italia sia una potenza insieme Pag. 5 alla Germania in campo manifatturiero, quanto il mondo delle imprese sia coinvolto anche in termini quantitativi, sicuramente come prima attività che lo caratterizza da sempre nella nostra tradizione. Sono più di 400 mila le imprese coinvolte, che possono essere definite quindi aziende che saranno o sono già coinvolte da questa profonda trasformazione che viene anche a livello internazionale definita come Industry 4.0, «Industria 4.0», manifatturiero 4.0 o advanced manufacturing.
  In sintesi, i concetti sono quelli già citati di una tecnologia che sta rapidamente modificando i processi produttivi e di un'esigenza pressoché immediata di competenze in grado di organizzarli e anche di renderli più competitivi a livello nazionale e internazionale.
  Direi che il tema della formazione è centrale, non solo perché è il pilastro che consente ad aziende che devono anche preoccuparsi dell'evoluzione delle strutture e delle infrastrutture di avere la garanzia di un personale qualificato e adeguato, ma anche perché siamo forse nella prima fase della storia dell'umanità in cui è assolutamente impossibile prevedere sul piano delle competenze specialistiche che cosa servirà ai nostri giovani, che oggi sono nella scuola superiore o sui banchi universitari e che saranno tra dieci anni inseriti nel mondo del lavoro, in termini di abilità e competenze applicative.
  Il primo passo è un modello educativo che si trasformi da un modello basato esclusivamente sulla conoscenza a uno che integri il pilastro della conoscenza, quindi i saperi di base, con competenze adeguate.
  Devo dire che su questo abbiamo una policy centrale molto chiara. D'altra parte, a differenza che in Germania, che è stata evocata ed è sicuramente uno dei Paesi che anche su questo sta facendo in Europa passi e avanzamenti importanti, non abbiamo il sistema federalista dei Länder, ma un Governo centrale responsabile delle policy, oltre che della politica educativa del Paese.
  In questa direzione ci siamo mossi e ci stiamo muovendo. Il primo documento e organo di
  indirizzo strategico che intende dare nell'arco di cinque anni alla scuola italiana una trasformazione, un'evoluzione verso la cosiddetta scuola digitale è il Piano nazionale della scuola digitale.
  Ne abbiamo parlato in più contesti. Qui mi limito, presidente, a sottolineare i punti che riguardano l'argomento specifico che ci interessa, cioè quali delle 35 azioni previste nel piano nazionale della scuola digitale sono finalizzate specificamente a far sì che i ragazzi dalla primaria alla scuola superiore secondaria di secondo grado oggi, e quindi i futuri lavoratori, o comunque operatori nel mondo produttivo di domani, siano in grado di avere competenze qualificate, di formare anche la loro capacità di imparare, come ho detto, su un modello impossibile da prevedere oggi il loro ruolo necessario.
  Abbiamo due azioni specifiche. Una riguarda le competenze specialistiche su cui è necessario che la scuola italiana insista da subito, e che sono apprendimenti che finora sono stati richiamati in attività extracurricolari, e comunque destinati magari a buone pratiche, a buone esperienze diffuse a macchia di leopardo nel Paese, ma sicuramente non a sistema. Questo dato è stato il punto di partenza dell'analisi che ha condotto nell'arco di un anno di lavoro alla stesura del piano d'azione della scuola digitale.
  Ricordo per inciso che le risorse destinate a questo piano sono di un miliardo di euro per il quinquennio, che comprende sia la dimensione infrastrutturale, cioè l'adeguamento della produttività, che comunque è condizione necessaria ma non sufficiente, e poi tutti i contenuti.
  Passando alla prima misura, è l'azione 15 che esattamente prevede la costruzione di scenari innovativi per lo sviluppo di competenze digitali applicate. I settori di riferimento che riguardano contenuti di tipo caratterizzante – così si direbbe in gergo accademico – per la scuola specialistica, per essere meno burocratica, sono orientati a cinque particolari settori. Pag. 6
  Il primo è l'economia digitale, intesa proprio come conoscenza di quell'evoluzione di tutto l'ecosistema economico di cui stavamo parlando, che i ragazzi – qui parliamo di scuola superiore – non hanno o non necessariamente hanno, se non per fatti occasionali legati al loro background personale. C'è poi la comunicazione e l'interazione digitale, ovvero l'insegnamento a generare, analizzare, rappresentare e riutilizzare i dati. Questa è, direi, in nuce la preparazione che serve poi a occuparsi di big data, cioè analisi e processing dei grandi volumi di dati, che poi si possono applicare ai settori più disparati in campo scientifico o in campo applicativo e produttivo, dalla salute ai gusti dei consumatori che utilizza Amazon, per citare l'esempio più banale e più evidente alla percezione comune.
  Il terzo settore, molto importante, è quello del making e della robotica, che ha come sottosettore altrettanto innovativo e sicuramente in tempi rapidissimi di uso comune – anche se parlarne oggi può sembrare ancora, in qualche caso, veramente avveniristico – l’Internet delle cose, l’Internet of things, un altro dei pilastri di un'evoluzione del rapporto dell'informatica, con espressione un po’ grossolana, e mi perdoneranno eventuali specialisti del settore, che si sta spostando dal dialogo tra macchine al dialogo tra macchine e oggetti.
  I ragazzi devono essere consapevoli del processo alla base di quest'attività e acquisire gli strumenti precocemente, quindi nella scuola superiore, per poi eventualmente occuparsene a livello specialistico o anche di inserimento nel mondo del lavoro.
  Il quarto punto, non secondario – voglio sottolinearlo anche con un briciolo, se me lo consentite, di partecipazione personale per il nostro Paese – è l'applicazione del digitale al cultural heritage, all'arte, a tutto il dominio della gestione e della valorizzazione del patrimonio artistico. L'Italia ha delle eccellenze in campo universitario, in campo di centri di ricerca, che sono note e che destiniamo molto spesso a una cooperazione internazionale che ci vede leader team di importanti progetti, dal Medioriente all'area centro-asiatica, e potrei citare esempi specifici.
  Quello che mi interessa dire qui è che anche nella scuola superiore, particolarmente negli indirizzi che hanno quel tipo di orientamento, è importante che si dia qualche nozione di base che consenta di capire la potenzialità di questo strumento.
  Il quinto, non ultimo, è una competenza più di base rispetto alle quattro che ho elencato adesso: i sistemi di lettura e di scrittura in ambiente digitale, cioè quell'abilità di rielaborazione, costruzione di testi, quindi quella che si chiama anche digital creativity, che non può solo essere affidata allo spontaneismo e al talento individuale, ma ha comunque un codice e un'alfabetizzazione necessari.
  Solo come informazione che forse non riguarda direttamente questa Commissione, ma come dato culturale di sfondo, mi fa piacere ricordare che in questo capitolo prevediamo anche quasi in veste provocatoria un recupero e un reinserimento dell'esercizio della scrittura manuale per i bambini e per i ragazzi. Questo è un elemento, dal punto di vista cognitivo, fondamentale.
  Se spostiamo la bilancia tutta e solo per questa competenza sull'abilità testuale che si fa con la tastiera e si perde l'abilità manuale, che è quella dell'esercizio della scrittura, è un disastro cognitivo, come dico proprio con semplicità. Siamo uno dei primi Paesi che sta prevedendo questo tipo di attività programmatica, ma questo è un capitolo separato che non ci interessa ai fini di quanto stiamo dicendo.
  Per quest'azione 15 prevediamo un bando immediato che uscirà a fine giugno, che prevede 4 milioni di euro, per mettere le scuole in condizione anche di aprire su questi temi a partenariati innovativi con centri di ricerca e università che possano aiutare il mondo della scuola a implementare quest'azione.
  L'azione 17, la seconda, è quella invece di cui abbiamo già in più occasioni parlato. Ha una diffusione internazionale abbastanza ormai radicata in alcuni Paesi. Direi che la casa madre di quest'abilità che è il coding sono gli Stati Uniti. Noi siamo il secondo Paese dopo gli Stati Uniti per quantità, credo anche a questo punto dopo Pag. 7un anno di serio lavoro in tal senso, per qualità di iniziative ad aver inserito il pensiero progressivamente computazionale e il coding a partire dalla scuola primaria.
  Abbiamo coinvolto con quest'anno scolastico 850 mila studenti, con l'obiettivo di un milione, che sarà raggiungibile nei primi mesi dell'anno scolastico 2016-2017. C'è un'attività importante per quantità e qualità di formazione degli insegnanti su questo settore. Si badi – forse anche questo è un argomento noto, ma ci tengo a sottolinearlo – che non riguarda gli insegnanti di informatica, di tecnologia o di uso degli strumenti, ma molto spesso gli insegnanti per esempio di filosofia, di materie scientifiche o umanistiche, che però hanno a che fare con la logica, che è un po’ la base di questo nuovo alfabeto, di questa nuova lingua che i ragazzi cominciano ad apprendere nell'ambito dei primi anni, e poi sviluppano nel corso della loro carriera scolastica.
  All'italiana lo abbiamo chiamato «Programma il Futuro», mentre gli americani lo chiamano «Code.org». È la stessa cosa, ma inserita nel nostro modello, e significa non un'ora di informatica o due in più, per intenderci, ma veramente inserire questo modello di apprendimento e di insegnamento nella scuola.
  Il secondo segmento che vorrei brevemente descrivervi a livello di policy nell'ambito educativo che riguardano il sistema scolastico è quello che riguarda l'istruzione tecnica superiore. Questo è il settore dell'istruzione terziaria più robusto che abbiamo nel nostro Paese, decisamente ancora molto insufficiente dal punto di vista della quantità per la comparazione con gli altri Paesi. Si tratta degli istituti tecnici superiori, ricorderete legiferati nel 2006, istituiti nel 2010, quindi con un passaggio anche di consegna da un Governo di centro-sinistra a uno di centro-destra, ma che hanno dato il risultato atteso, devo dire. Almeno fino ad oggi, sono cresciuti per quantità e qualità.
  Sono 87 nella mappatura nazionale, con 265 corsi attivati e 6.400 studenti, ancora molto pochi rispetto a quanto dovremmo poter indirizzare a questo tipo di studi, anche in alternativa all'iscrizione ai corsi teorici universitari. Sono, però, uno dei pilastri anche della formazione di secondo livello sul digitale.
  Una parte consistente degli istituti tecnici superiori riguarda, infatti, proprio il manufacturing, l’«Industria 4.0» e questo tipo di specialità, che devo dire, partita con un'etichetta un po’ romantica, evocativa della nostra tradizione del made in Italy e il suo ripensamento, si è sempre più specializzata invece nel rinnovamento delle tecnologie applicative, che preparano questi ragazzi – lo ricordo – con un biennio di studi che poi volendo li immette subito nel mercato del lavoro.
  Tra l'altro, con job placement il dato medio è molto interessante, del 76,6 per cento, ma per alcuni, per esempio quelli della meccatronica, si passa all'80 per cento, quindi è un dato molto significativo.
  Gli ITS che si occupano, soprattutto i meccatronici, di digitalizzazione e di «Industria 4.0» in questi anni – sono nati cinque anni fa – quindi soprattutto nell'ultimo biennio hanno potenziato alcune iniziative e alcune attività. Vi enuncio quelle che a mio parere sono le più significative, anche perché sono quelle estese all'interno del sistema.
  La prima al solito riguarda il ripensamento della didattica e riguarda l'inserimento nei percorsi di studio di moduli e di unità formative relativi proprio alle specializzazioni settoriali in chiave «Industria 4.0»: additive manufacturing, sistemi di controllo e automazione industriale, ma della nuova generazione, non l'automazione industriale per intenderci degli anni Novanta, gestione dei sistemi automatici, di nuovo robotica, forse l'eccellenza su cui, anche per un legame con centri di ricerca di altissimo livello, che citerò più avanti, siamo all'avanguardia.
  Vi è anche la prototipica, sostanzialmente il laboratorio di progettazione di prototipi di automazione industriale. Anche su questo, per i dati a mia conoscenza, l'Italia non ha veramente nulla da invidiare a Paesi di grande tradizione e anche di recente trasformazione innovativa, come la Pag. 8Germania, poc'anzi evocata dal presidente Epifani.
  Un'altra caratteristica, questa però quasi in re, per cui non la metterei come punto di valorizzazione, ma come potenziamento della vocazione degli ITS, è su questo settore specifico del manufacturing l'intensa attività di collaborazione con le università. Ricordate che l'ITS è frutto di una fondazione che mette insieme, in sostanza, un'università, un ente pubblico e una o più aziende, e l'ITS diventa la creatura generata da questo micro-ecosistema della formazione avanzata di tipo terziario, quindi senza uno sviluppo teorico di certe discipline.
  Su questo settore devo dire che si sta lavorando un po’ più che su altri. Ci sono ITS sull’agrifood, che vanno molto bene, altrettanto bene in termini di job placement, ma che magari hanno avuto fino ad oggi meno agilità nel raccordo e nell'integrazione con l'attività universitaria. Se Stoccarda ricordo bene che lo faceva in anni remoti e non fatico a immaginare che sta sviluppando soprattutto questo tipo di ecosistema, penso che per fare un esempio molto concreto quello che avviene a Milano – avete sentito il Politecnico – o a Genova è esattamente la costruzione di un modello che riprende quest'ambizione innovativa.
  Un terzo punto che mi preme sottolineare in questa sede sono i piani di riqualificazione dei laboratori. Alcuni di questi ITS, nemmeno la minoranza, nascono anche usufruendo di strutture preesistenti, con un patrimonio laboratoriale non trascurabile, ma ovviamente nato nel secolo scorso, generato per altri obiettivi, e che quindi ha un assoluto bisogno, simultaneamente rispetto alla modifica e alla trasformazione del sistema educativo e appunto dell'integrazione del curriculum didattico, di essere adeguato. Lo si sta facendo soprattutto in questi ITS di tipo più industriale.
  Poi ci sono tre esperienze, che vorrei citare rapidamente. Abbiamo circa un'ora a disposizione per i nostri lavori? Si tratta della scuola di robotica di Genova, che ho già richiamato, un ente formatore costruito dal Ministero dell'istruzione, che a sua volta ha creato nel corso di cinque anni una rete di scuole. Sono 23 le scuole che partecipano a questo network.
  Partito, però, da questo nucleo, ora si sta espandendo e i dati più recenti mi dicono che sono un centinaio in tutta Italia che stanno aderendo a questo progetto. Qui c'è il tema della robotica, c'è l'IT, c'è un'università con un dipartimento forte, e quindi evidentemente anche la loro partecipazione diretta all'European Digital Agenda e alla Grand Coalition for Digital Jobs è derivato da questo. Inoltre, l'Istituto di biorobotica della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, istituto di ricerca avanzata, che però a sua volta ha generato fertilizzando molto positivamente in questo caso il territorio toscano e creando il coinvolgimento di una rete significativa di scuole. È circa il 30 per cento delle scuole della Toscana – ovviamente, parliamo sempre di scuole superiori in questo caso – a essere coinvolto, con 400 insegnanti, altrettante classi. Qui c'è un'osmosi proprio di formazione e anche di aggiornamento degli insegnanti presso l'Istituto di biorobotica del Sant'Anna.
  Infine, c'è la Rete Robotica Scuola, rete che opera in Piemonte, partita da un'iniziativa centrale del ministero, ma che poi si è concentrata sull'ufficio scolastico regionale e sugli attori principali che riguardano la meccatronica, la robotica e le specialità dell'industria piemontese, che sono quelle dell’automotive, in collegamento soprattutto col Politecnico di Torino.
  Il secondo settore, sempre parlando di formazione prima di arrivare a un cenno necessario credo anche di raccordo effettivo con il mondo della produzione, che è quello della ricerca, è l'università. Il presidente ha detto, credo pertinentemente forse anche a seguito di una raccolta di testimonianze dirette bottom up dai colleghi universitari, che la sensazione è che un po’ ognuno faccia la sua agenda, abbia le sue attività.
  Dico subito che questo non succede solo in Italia, ma le università in Italia in modo particolare – lo dice la Costituzione, lo dicono le leggi applicative della Costituzione – hanno uno statuto veramente autonomo. Pag. 9 Quando dico autonomo, significa che hanno l'autonomia non solo di gestione dei processi, ma anche di sviluppo in evoluzione. A Grenoble, per non citare nulla del nostro, scelgo di sviluppare il sincrotrone. A volte sono scelte che si evolvono in progetti di successo; a volte, come spesso capita, hanno evoluzioni meno felici.
  Il compito ministeriale è, ovviamente, di tutela e di controllo dei processi, ma è anche di dare in questo caso linee di indirizzo e di governo di carattere generale, ciò che avviene e che devo dire – lo ritroviamo subito dopo – viene anche per l'azione che possiamo e dobbiamo fare nell'indirizzare, questa volta invece sì in termini centralizzati, le policy sui finanziamenti per la ricerca e sulle priorità della ricerca. Quello è un argomento nazionale, che si integra con i sistemi regionali, almeno a Costituzione vigente, che genera complessità, quest'integrazione credo nota a tutti, ma che comunque ha un dovere, una responsabilità di costruzione e di gestione di una cabina di regia nazionale.
  È chiaro, per dirla in altri termini, che se finanzio di più perché ritengo che sia priorità strategica del Paese l’advanced manufacturing, anche le università hanno uno stimolo generale a orientare, quelle che ne hanno le competenze, che vogliono svilupparle, le loro attività formative in questi settori.
  Detto questo, qui scelgo di fornirvi soprattutto dati di tipo quantitativo, cioè qual è il panorama attuale, quanti sono i corsi e dove si concentrano.
  Parliamo di sedici atenei italiani più i tre poli politecnici, quindi Milano, Torino, Politecnica delle Marche. Non mi risulta che Bari abbia un corso specialistico in questo settore. Parliamo delle università – non ho l'elenco, se riusciamo a recuperarlo, poi lo possiamo lasciare, – che conosco direttamente, più concentrate nell'area delle nord-ovest direi, quindi Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna. Forse sono quelle che avete anche sentito in audizione. Ci sono, però, anche eccezioni al centro e al sud che magari sarebbe opportuno poter avere.
  La specializzazione che si è cercato, soprattutto negli ultimissimi tempi, di perseguire è quello che veramente manca o mancava fino a pochissimo tempo nei nostri corsi di laurea – qui si parla di magistrali, o addirittura di segmenti di dottorato innovativo – ossia l’Internet of things, tutta la parte dell’Internet delle cose e la parte di big data.
  Intendiamoci, quest'ultimo è argomento per definizione multidisciplinare. Non c'è il corso di laurea in big data, c'è magari business analytics, un settore di economia che specializza i ragazzi anche nella gestione dei big data, c'è la parte di health, di salute, sanità, che quindi prevede per i bioinformatici questo tipo di specializzazione, ma si stanno creando corsi di laurea e corsi soprattutto di dottorato sempre più orientati a questo.
  Dovessi fare una previsione, direi che nell'arco dei prossimi cinque anni la mappatura quantitativa e qualitativa del sistema universitario dovrebbe raggiungere certi risultati. Adesso c'è un gap, onestamente, non tanto rispetto alla Germania, quanto al mondo anglosassone, partito un po’ prima anche per la presenza dei gruppi che hanno stimolato, da Google a tutto ciò che sappiamo, anche Apple, un'attenzione delle università negli ecosistemi della costa occidentale, soprattutto degli USA e di alcune università britanniche questo tipo di studi.
  Un'iniziativa, invece, puntuale, puntiforme, che voglio citare, piccola per quantità ma interessante per merito, è il progetto PhD ITalents, che ha previsto l'attivazione di 136 posti per dottori di ricerca, che possono andare previa selezione – le domande erano 10 mila – in imprese, strutture ospitanti, che sono state molto reattive a questo bando. Mille sono state le aziende, 450 quelle selezionate per caratteristiche effettivamente rispondenti a quello che il bando chiedeva.
  È un'esperienza di dottorandi che possono già nel corso di dottorato avere un orientamento del loro lavoro di ricerca all'esperienza aziendale, ma purché sia un'esperienza aziendale di ricerca, cioè innovativa...

Pag. 10

  PRESIDENTE. Italiana e anche estera?

  STEFANIA GIANNINI, Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca. No, questo è italiano, queste sono tutte aziende italiane o branch di aziende straniere che sono in Italia. Vi parlerò di quelle internazionali, ma è un altro capitolo. Qui abbiamo destinato 16,2 milioni di euro, cofinanziato due terzi e un terzo dal MIUR e dalle aziende, quindi circa 11 milioni il nostro ministero e 5 milioni gli altri.
  Direi che quello della ricerca è forse il settore più sfidante, promettente, anche complesso da gestire. Credo che si stiano facendo passi in avanti molto mirati. Se quello che la Commissione chiede come quesito di fondo è se esista una visione, una volontà di arrivare a obiettivi coordinati, pur nella libertà di azione dei soggetti che ho prima descritto, la risposta è decisamente sì. Posso dimostrarla con strumenti scelti, finanziamenti destinati e azioni di implementazione in corso a partire dalle prossime settimane.
  Non vi cito – ho un ricco elenco – le iniziative che sono già state fatte sui programmi di ricerca del Settimo programma quadro, non per non voler parlare delle cose molto positive fatte da altri Governi, ma semplicemente perché sono sviluppi di attività che oggi abbiamo il compito e il dovere di mandare a regime dove necessario, se non sono già state completate, ma che non rispondono alla visione del Governo, e quindi all'impostazione delle policy per la ricerca dei prossimi anni.
  Forse l'unica che ha una maggiore ricaduta – ce ne stiamo occupando a livello europeo, e credo che possa essere davvero un volano di sviluppo per quest'area del manifatturiero – è l'iniziativa che a partire dall'European Institute for Innovation & Technology, quell'EIT che ricordate fu istituito con sede a Budapest qualche anno fa dalla Commissione, si è concretizzata come un bando importante anche per risorse destinate dal titolo Knowledge and Innovation Community Added Value Manufacturing. È la policy dell'Istituto europeo di tecnologia, che nelle ambizioni della Commissione dovrebbe diventare nel tempo il pendant del MIT negli Stati Uniti, destinato a questo settore.
  Come si è operato? C'è una call europea, un invito ai Paesi e alle loro comunità scientifica e di ricerca a presentare progetti di settore. Mi permetto di dire anche per esperienza personale che è una delle rare volte che abbiamo mirato su questo settore una cordata italiana, cercando di spendere le frammentazioni, ovviamente non nata da un cilindro, ma dalla rassegna delle specialità, degli strumenti e delle risorse umane e finanziarie disponibili, soprattutto quelle umane, quindi strutture di ricerca.
  Questa è una cordata che fa capo al Politecnico di Milano e al CNR, ma che riguarda più atenei, che ci dovrebbe mettere in una buona posizione per avere un co-location centre su questo tema KIC (Knowledge and Innovation Community), per usare l'acronimo, cioè dell'innovazione in campo manifatturiero in Italia con risorse importanti. Parliamo, infatti di un cofinanziamento MIUR di 30 milioni di euro, non so se al 50 per cento. Dovrebbe essere sicuramente rilanciato almeno il 50 per cento, quindi parliamo di decine di milioni nell'arco dei prossimi quattro anni.
  C'è anche una cordata – ve lo dico per conoscenza – sull’agrifood. Anche quello è un altro dei settori che interagisce con altri atenei, con altre aziende e così via. Questa è un'iniziativa di policy, mi sembra, importante.
  Lo strumento strategico di cui ci siamo dotati è, però, il piano nazionale della ricerca, che non è un'invenzione di questo Governo, ma è questo Governo che ha scelto di declinarlo in maniera innovativa, cioè rendendolo lo strumento strategico in mano a tutto il Governo, sia pur con coordinamento MIUR – questo la legge prevede, ovviamente – ma che metta insieme e costituisca una leggera e non strutturata cabina di regia per la finalizzazione dei fondi dal 2015, 2016 ormai, al 2020.
  Si tratta di 2,5 miliardi di euro. Approssimo per 20 milioni, per essere precisi. Si partiva da 1.980.000.000, sono stati aggiunti 500 milioni con delibera CIPE di due mesi fa. Queste risorse hanno una serie di azioni di tipo orizzontale. Vi cito quella che Pag. 11mi pare più interessante: l'investimento sul capitale umano, cioè attivazione di dottorati innovativi, di dottorati internazionali, di dottorati industriali, che quindi non solo tematicamente su questi aspetti ma orizzontalmente vanno a coprire tutte le aree ritenute come prioritarie.
  Sono dodici e cito, presidente, solo al volo quelle che includono la fabbrica intelligente e la manifattura 4.0, ma che non esauriscono. C'è lo spazio, l’agrifood, le tematiche del mare, uno degli assi di sviluppo delle policy della Commissione su questo bando Horizon 2020. Come forse avete sentito, il programma nazionale riflette quello europeo, ma con un'evidenziazione delle specialità e dei settori che a noi sono più congeniali, su cui già abbiamo un patrimonio che intendiamo evolvere e sviluppare.
  Le cifre sono importanti. Il capitale umano, tutto compreso, avrà a disposizione un miliardo, di questi 2,5, di risorse nei prossimi cinque anni. Significa, come ho già detto altre volte, migliaia di posti da dottore di ricerca e da ricercatore nei campi specifici segnalati, nelle università e negli enti. Questo è, infatti, un discorso che ovviamente riguarda tutto il mondo della ricerca.
  Ci sono, però, delle misure che sono precisamente indirizzate all'argomento di cui stiamo discutendo. Una sul capitale umano è la policy definita startupper e contamination lab, che significa attività previste per i dottorandi e incentivazione sui temi della valorizzazione della ricerca, del trasferimento tecnologico. Al solito, è un po’ come un PhD Italent, che vi ho citato prima, esteso però a maglia larga su tutto il sistema, quindi un incentivo per discipline che lo consentono a sviluppare già in ambito di corso, a partire grosso modo dal secondo anno di dottorato, triennale nel nostro Paese, l'aggancio con l'azienda, o comunque con l'ente di ricerca applicato che può essere coinvolto.
  L'altro è il doctoral placement, che dovrebbe favorire, ma sono sicura che ciò avverrà con qualche complessità innovativa in più, il contatto del mondo dell'impresa con quello dei dottori di ricerca. Intendiamoci, che cosa intendo dire? Si immagina di orientare il dottorato anche alla dimensione applicativa e non solo a una dimensione teorica.
  Voi sapete forse che a livello anche internazionale c'è un ampio dibattito sulla risposta alla domanda se il dottorato sia il terzo livello dell'istruzione superiore o il primo scalino dell'ingresso avanzato nel mondo del lavoro, per quegli studenti ovviamente che hanno scelto studi di istruzione superiore.
  Io credo che veniamo da una tradizione decisamente e drasticamente orientata alla prima risposta. Nella mia generazione si faceva il dottorato per fare ricerca universitaria, punto, anche se non eri un umanista, ma un ingegnere o un informatico. Adesso è necessario assolutamente sviluppare anche la seconda vocazione. Queste misure mirano a quello. Il plafond di risorse previste è di 40 milioni sul pacchetto del miliardo di cui vi ho detto precedentemente.
  Poi c'è l'attività del CNR, del Consiglio nazionale delle ricerche. Probabilmente, l'avete già audito, non so, quindi non sto a ripetervi cose evidentemente già ben note. Sottolineo solo anche qui una serie di cose che mi sembrano importanti, quattro delle iniziative del Centro nazionale delle ricerche italiano, per quantità sicuramente l'infrastruttura della ricerca più importante che abbiamo nel Paese, già orientate in questa direzione.
  Sicuramente, le avrete già sentite: Manufuture, European Factories of the Future Research Association, quindi l'inserimento della road map con un ruolo di leadership, che vuol dire partecipare ai bandi dell’«Industria 4.0» e esserne coordinatori, la fabbrica intelligente, un cluster.
  Lo avevo dimenticato, ma una delle policy che abbiamo applicato, già dal Settimo programma quadro, e che stiamo sviluppando – quel che è buono si sviluppa, non si cancella – sono i cluster e 4.0 è uno dei cluster. Il CNR sta facendo veramente molto anche in questo campo.
  Fabbrica del Futuro è un progetto bandiera, che ha già qualche anno di vita, con qualche complessità devo dire di decollo di Pag. 12quest'iniziativa, ma che mi sembra che adesso stia producendo risultati abbastanza significativi.
  Sacrificando un dettaglio, che lascio, se il presidente lo ritiene, alla vostra agenda, credo di esaurire la descrizione di un sistema che si sta orientando, con la consapevolezza che c'è bisogno di fare molto presto, ma anche – lasciatemi dire – di fare molto bene. Ormai in campo di istruzione e ricerca si può e si deve improvvisare, ma particolarmente in questi settori credo sia necessario avere una strategia che ci faccia capire dove può e deve andare il nostro sistema scolastico. Ripeto, perché è fondamentale, che si parte da lì, poi c'è tutto l'orientamento, nel rispetto delle piene autonomie dei nostri atenei, del sistema della ricerca e degli enti.

  PRESIDENTE. Ringrazio il ministro.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARCO DA VILLA. Ringrazio il ministro per l'illustrazione. Ho una domanda molto veloce da porre.
  Alla luce del tessuto imprenditoriale italiano, fatto per la gran parte da microimprese, vedo, vediamo difficile l'applicazione di queste nuove figure a realtà imprenditoriali in cui il soggetto è unico, o comunque ha un organico talmente ristretto da non potersi permettere figure come quella di un business analyst, figure quindi che lo possano proiettare verso queste nuove sfide.
  In questo senso, si sta pensando alla possibilità, magari in collaborazione col MiSE, di formazioni per gli imprenditori? Mi riferisco alla possibilità di un aggiornamento che si avvalga comunque degli approfondimenti e degli studi che possono essere fatti nelle università, ma direttamente applicabile e fruibile da chi si trova già con le mani in pasta, che magari ha poco tempo, ahimè, quindi non può permettersi percorsi di studi articolati, e però non ha neanche le possibilità economiche o non riesce ancora a vedere l'utilità immediata di un investimento di questo tipo, per cui si trova spiazzato, da una parte tagliato fuori perché troppo piccolo da quest'innovazione, dall'altra comunque facendo parte del nostro tessuto imprenditoriale.

  GIANLUCA BENAMATI. Avrei alcune domande specifiche da porre. Ringrazio anch'io la ministra per la sua relazione introduttiva. È stata molto ampia, ricca di dati e di indicazioni anche difficili da elaborare e analizzare, e intervenire nel merito in pochi minuti. Ci sarà bisogno quindi di un'attenta lettura della relazione che accompagna l'esposizione ricca della Ministra, che peraltro mi fa venire in mente, presidente, che sarebbe opportuno che, finita questa indagine conoscitiva, dedicassimo un approfondimento anche allo stato della ricerca tecnologica in Italia, materia di competenza di questa Commissione.
  Vorrei porre alcune questioni che richiamano tematiche fondamentali di quest'indagine conoscitiva. Abbiamo, signora ministro, il tema della formazione, sia di primo livello sia di livello superiore, essere orientata naturalmente all'ambiente digitale. I nuovi giovani, coloro che cominciano oggi, debbono essere formati complessivamente in quest'ambiente.
  Dalle scuole primarie e dalle superiori, questo tipo di approccio, che va al di là anche naturalmente della semplice informatica, il corso tipico di quelli della mia generazione, è un dato assolutamente positivo.
  Su questo, però, mentre apprezzo appunto la formazione di nuove figure, al di là dell'alta formazione – parliamo di media formazione, di tecnici con competenze e capacità, ci sono alcuni problemi formativi e di integrazione della formazione esistente del personale già operativo. Già il collega Da Villa molto opportunamente ha citato la necessità di convogliare informazione e formazione su una categoria specifica, che è quella dell'imprenditore, il piccolo imprenditore sostanzialmente, che è uno degli attori di quest’«Industria 4.0».
  Accanto a questo, però, ci sono anche le persone che già stanno lavorando, per quali occorre prevedere naturalmente percorsi di aggiornamento formativo. Da questo punto di vista, pensa che si possa accompagnare Pag. 13 lo sforzo delle aziende, che il Ministero che dirige abbia un ruolo o si tratti di una competenza che riguarda, come la formazione, per esempio, il Ministero del lavoro? Questo è uno dei problemi importanti ed essenziali, non solo la formazione del nuovo, ma l'aggiornamento e l'informazione e formazione di coloro che sono già operativi.
  Il secondo tema riguarda una cosa che ha citato alla fine, il ruolo degli enti di ricerca. Mi perdoni, abbiamo ascoltato con molta attenzione anche l'esposizione del Consiglio nazionale delle ricerche: come spesso accade in Italia, ci sono progetti, competenze e capacità che sono la frontiera delle attività di ricerca a livello complessivo europeo e, come spesso accade, queste rimangono oasi immerse in una situazione desertica, nel senso che mancano poi i reali contatti, le cinghie di trasmissione che portano questo tipo di esperienze a contatto con chi dovrebbe utilizzare e col mondo produttivo.
  Qui pongo due temi per avere una risposta. Non voglio entrare in polemica, abbiamo un insieme di enti di ricerca che hanno diverse strutture e hanno tutti la possibilità di concorrere positivamente allo sforzo su «Industria 4.0», purché naturalmente ci sia un'organizzazione chiara, una strutturazione della responsabilità chiara. Mi pare di avere capito che il CNR dovrebbe avere una funzione di capofila e di coordinamento. È così? Non ho capito male?
  C'è su «Industria 4.0» la possibilità di avere, al di là dei piani nazionali e delle call alle quali partecipare, anche una strutturazione organica della partecipazione degli enti di ricerca? Se sì, come ce la immaginiamo? Ritiene – questo esula un po’ dalla domanda, dal contesto, ma riguarda un tema più ampio – che la riorganizzazione complessiva degli enti di ricerca sia qualcosa che possiamo considerare realizzabile in un tempo ragionevole, in modo da mettere risorse finalizzate con responsabilità chiare su questo sistema?
  Torno a dire che non si vuole dare un giudizio di merito sulle capacità e sull'efficienza di diverse realtà presenti nel panorama italiano, che sono state anche oggetto di discussioni recenti per le scelte effettuate, che lei ha anche richiamato, su alcuni investimenti.
  Ultima questione è il tema delle università, particolarmente delicato. L'università ha il ruolo della formazione, della ricerca, ed è un sistema importante. Abbiamo potuto ascoltare l'opinione di quattro università, mi pare, molto significative, che hanno dato delle indicazioni: il Politecnico di Milano e il Politecnico di Torino molto specifiche, l'Università di Pavia e l'Università di Bologna che ha fatto un intervento più ampio rispetto al tema dello sviluppo tecnologico di settore, trattando anche l'impatto in altri settori, addirittura l'impatto sociale di questo cambio nella manifattura e nelle tecnologie per la manifattura.
  Da questo punto di vista, lei accennava a una nuova visione del PNR molto cooperativa ma orientante. Confesso la mia ignoranza in questo, non ho guardato se nel PNR ci sono delle misure dedicate specificatamente al «Industria 4.0». Dal punto di vista dell'università, oltre a quello dei bandi, quale può essere uno strumento incentivante perché appunto le università, capillarmente presenti sul territorio, possano intraprendere misure anche di diffusione di questa conoscenza?
  Molto spesso le piccole e medie aziende, al di là dell'ente pubblico di ricerca, si rivolgono alla loro università più vicina, in modo da avere informazioni, da capire, da conoscere. Ovviamente, tra i FabLab ci sono diverse cose, realizzazioni anche in corso, ma da questo punto di vista forse, al di là del programma per l'università a cui può concorrere con bandi, forse un'organizzazione di raccordo in questo senso potrebbe servire.
  Abbiamo visto anche l'esperienza della Germania: le università partecipano molto alle piattaforme che si vanno definendo, in questo caso piattaforme non in senso tecnologico ma giuridico e tecnico di associazioni, di organizzazioni che si vanno formando proprio per l'essenziale questione dell'informazione e della conoscenza per creare consapevolezza tra gli operatori.

Pag. 14

  CHIARA SCUVERA. Anch'io ringrazio la ministra e, oltre alle questioni che hanno posto i colleghi, dico sicuramente che è una buona notizia questo stanziamento dei 2,5 miliardi di euro, ma le faccio una domanda retorica, e anzi già un'affermazione: spero che sia proprio il primo passo per il rilancio dell'investimento sul sistema universitario pubblico. Mi chiedo se, parallelamente, non si pensi anche a un rilancio della ricerca di base oltre che alla ricerca applicata per ridare fiducia anche a questo capitale umano già esistente e che noi sappiamo anche molto precario.
  Questa era la prima domanda, forse banale, ma che mi sentivo di farle proprio perché attorno a questo grande asse di politica industriale che è «Industria 4.0» forse potremmo aggregare la fiducia soprattutto dei giovani che lavorano nelle università.
  In secondo luogo, in molte audizioni è emersa l'importanza del sapere umanistico per la formazione delle nuove competenze manageriali, che saranno fondamentali per orientare questo processo e che sono particolarmente interessate dalla riconversione dell'occupazione. Che cosa pensate di fare per valorizzare il sapere umanistico, anche questo così a volte mortificato, e rilanciarlo?

  LORENZO BASSO. Sarò molto conciso, perché la relazione della Ministra è stata molto ampia, articolata e precisa, e quindi non mi attarderò su troppi profili.
  Se riuscissimo a portare ad attuazione tutti i passaggi fatti sulla riforma e il piano della scuola digitale, non solo quelli sul pensiero computazionale, ma tutti gli altri che ha richiamato, sulla ricerca, sull'università, credo che questo sarebbe il miglior fattore evolutivo che potremmo avere anche per intercettare la quarta rivoluzione industriale. La nostra attenzione maggiore è proprio sull'attuazione di impostazioni che sono già state date in questo periodo.
  La domanda che le pongo richiama il tema del primo intervento del collega Da Villa, che so essere in parte competenza più delle regioni che non del MIUR, ossia quello della formazione permanente e della formazione dei lavoratori. È, però, per noi fondamentale, perché se le altre sono state già ben impostate, e quindi guardano più all'attuazione che non alla strategia, c'è una preoccupazione forte per quanto riguarda la formazione, come ricordava il collega, dei piccoli imprenditori – a volte non sono come in Germania, piccole medie imprese, ma proprio microimprese, addirittura talvolta a conduzione familiare – ma anche del middle management, quindi di quel management che deve crescere e che molto spesso ha il peso di dover prendere in mano aziende di tradizione familiare e portarle verso l'internazionalizzazione e la capacità di convertire rispetto alle nuove tecnologie.
  Il tema è come sia possibile sostenere anche all'interno di quest'articolazione regionale molto spinta un programma di formazione permanente che agevoli e porti coloro che hanno molto spesso in mano l'azienda, il piccolo imprenditore o il manager, ad avere un vantaggio nella formazione permanente che gli permetta di conoscere, quindi di implementare? Questo è un problema che si scontra con la pratica quotidiana, appunto, di un manager che deve decidere se chiudere un contratto o fare un percorso di formazione che gli consenta di agganciare.
  Sarebbe molto utile capire, anche se so che non è di diretta competenza del MIUR, come comunque il MIUR possa dare degli indirizzi, agevolare la formazione nelle regioni, che permetta di cogliere l'occasione di un tessuto imprenditoriale molto vasto, molto importante, che potrebbe cogliere davvero le grandi opportunità che questa rivoluzione dà anche alle piccole e medie imprese, ma che molto spesso non trova il tempo di agganciare percorsi formativi.

  ANDREA VALLASCAS. Richiamo alcuni dati che il MIUR ha pubblicato sull'uso coerente dei fondi strutturali europei per accrescere la capacità innovativa. Vi annuncio che sto preparando un'interrogazione proprio sull'utilizzo di tali risorse e sul fatto che questi fondi europei non vengono spesi in modo efficiente. Proprio per questo, chiedo in quale percentuale siano stati utilizzati i fondi dal Ministero dell'istruzione Pag. 15 e se vi siano state difficoltà nel loro utilizzo.
  Mi è, inoltre, sfuggito un particolare. Il Ministero sta pensando di valorizzare alcune università, che magari sono già attive nel settore della ricerca sull’«Industria 4.0» o pensa di promuovere tutte le università italiane affinché, appunto, questa nuova mentalità possa essere diffusa in tutto il territorio nazionale?

  STEFANIA GIANNINI, Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Lei si riferisce all'utilizzo dei fondi strutturali che sono adesso in rendicontazione.

  ANDREA VALLASCAS. Sì, esatto.

  LORENZO BECATTINI. Sarò velocissimo. Mi unisco agli apprezzamenti dei colleghi, perché lei ci ha presentato un quadro molto chiaro, anche esposto molto bene, e la ringraziamo, di una strategia importante, ma ancorata a un tema che è oggetto del nostro lavoro, l'indagine conoscitiva sul punto «Industria 4.0», un sistema, questo che lei ha presentato, che naturalmente ci si augura rappresenterà un pilastro per far crescere meglio il nostro sistema produttivo e cogliere le opportunità che ci sono.
  Vengo alla domanda facendo questa premessa: per i tempi che viviamo, ciò che lei sta presentando dal punto di vista del sistema scolastico ha un legame di parentela, andando indietro nel tempo, con quella straordinaria performance che fu fatta degli istituti professionali quando ci consentirono di agganciare il miracolo economico. La formazione che maturò in quel periodo, sul fine degli anni Cinquanta, ci fece conseguire cinque anni di grandi successi. Fu la scuola, la formazione.
  Oggi, a condizioni diverse, questo sistema bisogna sia funzionale a ciò, e i numeri sono impietosi. Anche stamane si vedeva che, dal punto di vista dell'economia e delle conoscenze digitali, fatto 28 il numero dei paesi, noi siamo venticinquesimi.
  Fatta la premessa, la questione è la seguente. Tenuto conto della bontà di ciò che ha esposto, immagini di essere a capo di un Ministero con la forma di una grande impresa, che come tale con una mano governa la trimestrale e con l'altra il controllo di gestione: dovendo attuare queste cose e sottoponendole a un vaglio continuo – non possiamo svegliarci tra due anni e chiederci come è andato – tenuto conto di quello che hanno detto i colleghi, che i due pilastri negativi sono rappresentati dal fatto che dobbiamo trasmettere queste cose a un sistema di piccola e media impresa e fare in modo che ciò che viene prima, la pubblica amministrazione, sia funzionale a questo disegno di crescita, quali potrebbero essere le iniziative che si mettono insieme per testare, controllare e verificare con continuità se questo tema, se queste proposte, se questa strategia sono accolti e come correggerli?

  PRESIDENTE. Do la parola alla Ministra Giannini per la replica.

  STEFANIA GIANNINI, Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Spero di riuscire a rispondere. Le domande sono tutte interessanti, quindi indurrebbero più all'analisi che alla sintesi, ma cercherò di non cedere alla tentazione. Partirò dall'onorevole Da Villa e dalla sua domanda puntuale, per cui spero di poter dare una risposta altrettanto puntuale.
  Come affrontare, più che il problema, direi il tema di piccole e microimprese, il cui personale è teoricamente meno avvantaggiato nel seguire questo processo rapidissimo di trasformazione delle competenze? Qui le indico, dal mio punto di vista, che è quello del ministero che si occupa della formazione, e quindi della ricerca, ma che interagisce anche costantemente e doverosamente con altri due ministeri su quest'argomento, quello dello sviluppo economico e quello del lavoro, una misura nel presente è una misura che stiamo attuando per un futuro, ma non remoto, bensì immediato.
  Quella del presente è, appunto, la formazione permanente, ma intesa non solo nell'accezione europea del lifelong learning, che vuol dire appunto come sappiamo che Pag. 16si aggiornano e si trasformano le competenze. Questo può valer bene per gli insegnanti o per chi è nel mondo della scuola o dell'istruzione, ma è un po’ più complesso per gli imprenditori.
  Qui significa intensificare a tutti i livelli, e quello che ho descritto credo che in parte almeno le dia una risposta su questo tema, il contatto – usiamo anche la parola giusta – la contaminazione tra chi fa impresa, anche se sono tre in azienda, e chi forma. Il pilastro della scuola-lavoro, l'alternanza intesa non tanto con mandare un ragazzo in azienda e metterlo in stage quanto come quell'attività seguita da un tutore a scuola e che diventa il trait d'union tra la parte formativa, e quindi tra tutte le innovazioni che si fanno a scuola e a seguire negli istituti tecnici superiori, e l'azienda, anche la micro che stiamo stimolando, con risposte onestamente faticose da ottenere, ma comunque in rapida progressione, è la misura per il presente.
  È ovvio, infatti, che non possiamo immaginare come Ministero di agire sulla parte che riguarda la gestione dei processi, che è un lavoro che fa più direttamente il Ministero dello sviluppo economico, ma anche col nostro aiuto nel senso che ho detto.
  Poi, però, mi permetta di osservare che vedo la misura più promettente e più efficace quella proiettata verso il futuro, che non ho citato, e cioè l'educazione all'autoimprenditorialità e la formazione costante in tutti i nostri ragazzi di un pacchetto di competenze trasversali che possa farne domani non solo manager, gestori di processi o dipendenti di aziende grandi, medie e piccole, ma anche loro stessi imprenditori che hanno già queste competenze avanzate. Questo è ciò che abbiamo anche messo come priorità nell'agenda della Presidenza del Semestre europeo e che stiamo sviluppando costantemente in maniera trasversale.
  Se mi chiede se, schiacciando un bottone, l'avrà domani, con tutta onestà intellettuale le rispondo di no, ma in cinque anni la prima generazione di ragazzi che uscirà dagli istituti tecnici, soprattutto professionali, sarà molto orientata a questo. Saranno rigeneratori indiretti, in questo caso, del sistema produttivo, anche quello caratteristico – non so fornirvi la cifra, che forse conoscete poi, ma credo che più del 90 per cento sia sul sistema imprenditoriale del Paese... Queste sono le due misure che mi sento di fornirle dal nostro punto di vista.
  Se posso, presidente, anticipo una risposta a una delle domande dell'onorevole Basso, che riguarda una parte di quello che citava l'onorevole Da Villa, ma con un'indicazione più specifica, e cioè come è possibile garantire, o comunque a immaginare di accompagnare, anche dal punto di vista di chi si occupa di formazione e non di industria, questo processo necessariamente rapido di evoluzione del sistema imprenditoriale, che non è solo McKinsey o FIAT, ma anche piccole, medie e micro aziende.
  Credo che, oltre all'intensificarsi dei rapporti, la prima parte della domanda che ho fatto, questa trasversalità di lavoro che stiamo cercando di realizzare in questo Governo per questi settori con questi tre ministeri, i laboratori di contaminazione, contamination lab, che citavo, il progetto start up, che non è gestito dal MIUR ma dallo sviluppo economico – se avete audito il MISE o lo audirete, credo che ve ne abbia parlato o ve ne parlerà dettagliatamente – sia in una serie di iniziative che guardano già oltre i limiti del presente.
  Anche qui, però, dovessi fare una previsione del tutto personale, ritengo che ci serva ancora una generazione. È molto più complesso agire sulla managerialità familiare oggi a capo delle piccole e medie aziende. Questo forse è più un discorso di formazione proprio di contenuti e non di competenze trasversali. Questa misura, però, ha quello scopo fondamentale. Si parla, in poche parole, di multidisciplinarietà a livello di istruzione e di università, c'è una trasversalità ormai di azioni che vanno anche all'interno dei Governi coinvolgendo settori diversi. È corretto vedere lo stesso problema da punti di vista diversi, dando ciascuno un contributo di iniziativa. Questo è lo spirito con il quale approcciare tali tematiche. Pag. 17
  L'onorevole Benamati ha posto una serie di domande, di cui una mi sembra che più o meno riprendesse il tema della formazione imprenditoriale, o comunque dell'aggiornamento.
  Non so se all'inizio ha citato anche gli insegnanti. Qui l'interazione con l'università e l'intensificazione di questa rete va potenziata. Su questo ci sono misure e incentivi, certo e le stesse misure rispondono a questa finalità.
  Sintetizzerei così i quattro punti, anche se richiedono una risposta specifica. Quanto all'eterogenei dei fini del sistema della ricerca, che non è solo italiano – sia ben chiaro, il concetto di autonomia è basilare, soprattutto nella ricerca di base – francamente giudico l'intervento top down non solo inutile, ma anche forse dannoso. Quello che, invece, è necessario e doveroso è cercare di dare quella struttura organica di cui lei parla.
  Per l'esistente, penso che questo capitolo del manufacturing sia un esempio, una buona pratica che stiamo attivando. Credo che dal vostro punto di vista, che ascoltate le diverse voci, dovrebbe comporsi un quadro omogeneo. Sono capitoli di finanziamento differenti, strumenti differenti, ma obiettivi convergenti, che portano allo sviluppo del sistema.
  Per quello che riguarda la riorganizzazione degli enti, tema importante, secondo me fondamentale, ovviamente non relativo ai temi di cui ci occupiamo oggi, riservandomi eventualmente, presidente, se necessario e se gradito anche un intervento a parte su questo tema in altra occasione, mi limito a dire che certo che si può e si deve immaginare una riorganizzazione degli enti.
  Questo, però, non significa necessariamente e tanto la reductio ad unum di cui qualcuno parla, perché è un modello che è stato attuato anche in Italia. La memoria talvolta, diceva Cicerone, è corta se non la si esercita. Lo fece Letizia Moratti esattamente dieci anni fa, e quel modello ha prodotto – non credo per demeriti dell'allora ministro, ma proprio per una forzatura del sistema – una proliferazione di iniziative a valle, che ha portato poi alla necessità di tornare a ben altre iniziative.
  Stiamo lavorando anche su questo. Ci sono due deleghe – lo ricordo – i decreti delegati Madia, ma su cui l'interazione è con noi, e quindi penso proprio che nei prossimi mesi sarà oggetto di dibattito e anche di soluzioni dimostrate.
  Se mi chiede un parere, e credo che io possa e debba darlo, la cosa più importante è intervenire su forme e modalità del finanziamento della ricerca in Italia. È lì che c'è un problema. Abbiamo solo nel mio Ministero, che ricordo copre il 72 per cento dei fondi complessivi che il Paese dà alla ricerca non industriale, alla ricerca cosiddetta di base o che prevede il trasferimento tecnologico, credo almeno dieci differenti livelli di PRIN, SIRT, FIRB – chi fa il mestiere di professore o di ricercatore identifica dietro l'acronimo il tema e qualche volta, purtroppo, il problema. Si capisce bene che lì è necessario intervenire.
  Lì i modelli non mancano. Penso, per esempio, come ho detto altre volte, al Fraunhofer della Germania, un fondo di investimento per il finanziamento della ricerca pubblica:: è lì, è uno! Sull'università, se mi consente, le rispondo collegandomi a quanto diceva mi sembra l'onorevole Vallascas nel suo ultimo intervento. Passerei all'onorevole Scuvera sul rilancio. Non solo formulo anch'io un auspicio, ma assumo l'impegno che questo sia un importante ma solo primo passo per il rilancio quantitativo e qualitativo con il meccanismo di modifica che ho appena citato del finanziamento alla ricerca pubblica, dell'incentivazione di un partenariato sempre più strutturato tra pubblico e privato.
  Non dimentichiamo, infatti, presidente, che quando prendiamo a modello altri Paesi, dobbiamo vederli non solo nella prima metà della torta, ma tutti interi. I tedeschi finanziano, per esempio, da fonti private 1,9 per cento del plafond, noi siamo allo 0,69: fate voi i conti. Qui è necessario intervenire. Sono molto d'accordo sulla ricerca di base. Mi permetto, però, di farle osservare che tutto ciò che è asse di finanziamento del cosiddetto capitale umano sostanzialmente è il finanziamento di ricerca Pag. 18 di base. Signori, che si studino i papiri di Ossirinco o le cellule staminali o che si faccia ricerca in ambito tecnologico, sono le teste e – dobbiamo confessarlo – spesso quelle dei più giovani, che danno la linfa e l'alimento alla ricerca più innovativa.
  Servono, quindi, più persone e selezioni, più qualità della selezione e maggiore apertura delle frontiere. Questo è uno degli indirizzi delle misure orizzontali che citavo che sono state non casualmente privilegiate.
  Sul settore umanistico che le devo dire? Non posso che sposare in toto, non solo per ragioni – ci mancherebbe – di propensione personale, di storia personale, ma perché è un pilastro del sapere unico che il nostro mondo occidentale ci consegna come patrimonio strutturale della conoscenza. Credo che si stiano facendo anche qui dei passi in avanti, anche nelle valorizzazioni di quest'avanzamento – stiamo parlando di questo – della tecnologia.
  Citavo la digitalizzazione applicata alla gestione del patrimonio culturale. Ricordo, perché l'ho vissuto non in questo ruolo, ma da professore universitario del settore, che è stata una battaglia durissima che abbiamo fatto in Europa perché il cultural heritage fosse uno dei settori previsti e che Horizon non prevedeva nella prima versione. Ora che c'è, bisogna essere pronti ad attivare e stimolare.
  Visto che si parla di università, farei questa sintesi per rispondere alla seconda delle domande che mi poneva l'onorevole Vallascas e la risposta che devo all'onorevole Basso. Con molta onestà, a valorizzare tutti su tutto le dico no. Questo sarebbe veramente un rinunciare a quel principio di specializzazione e di potenziamento delle specializzazioni che è l'orizzonte per inserire il meglio di quello che abbiamo e aiutare le realtà più deboli in un contesto nazionale sempre più di qualità e in un contesto internazionale sempre più competitivo.
  Su «Industria 4.0» abbiamo un panorama molto puntuale e preciso. Non è un caso che qui siano venuti gli atenei che avete citato. Non significa che questo non consenta di sviluppare competenze e iniziative anche in altre università, ma è evidente – le ho citato l'esempio – su Kic devo necessariamente valorizzare quella cordata di atenei che ci dà una ragionevole non dico garanzia ma speranza di poter competere a livello europeo per portare a casa non solo un finanziamento importante, ma un co-centre dell'Istituto europeo di tecnologia.
  Questa è un po’ la policy, cioè valorizzare e potenziare l'esistente, e ovviamente i bandi servono a questo, cercando di aprire anche non a improvvisazioni – qualche volta, diciamolo con tutta l'onestà intellettuale, succede anche questo – ma all'ambizione di evolversi. Un ateneo può aver – per carità – sviluppato il meglio della sua storia in un settore e poi ne scopre l'anemia del presente, e quindi vuole spostarsi. Questo, però, si fa con un monitoraggio delle attività.
  Mi riallaccio a quanto l'onorevole Becattini diceva nella seconda parte della sua domanda: come facciamo a garantirci che ci possa essere un cambiamento anche in quello che è stato – sono d'accordissimo con lei, ho anche usato qualche volta quest'espressione – il pilastro educativo che ha accompagnato l'industrializzazione del Paese, da una parte, e la trasformazione necessaria nel mondo industriale? Come fare da ipotetico amministratore delegato di una grande azienda pubblica che va dalla scuola dell'infanzia allo spazio a prevedere l'evoluzione?
  Direi che qui si devono raffinare i processi di valutazione che già esistono, col monitoraggio non trimestrale, perché non sarebbe la nostra misura, ma sicuramente annuale dei risultati raggiunti e l'incentivazione laddove, con la stessa logica che dicevo, il risultato si misura e ci sono strumenti, non solo l'ANVUR, ma anche tutte le possibili valutazioni che si fanno in questo specifico capitolo di riscontro con il mondo imprenditoriale.
  Lascio per ultimo i fondi strutturali, perché abbiamo un numero, e soprattutto mi chiedevano questo. Non so se ho lasciato qualche questione posta senza una risposta. Mi sembra di no. Ovviamente, se Pag. 19ha consegnato un'interrogazione, le sarà risposto puntualmente, come naturale.
  Siamo al 64 per cento speso, ma credo all'85-90 per cento delle risorse risulta impegnato, quindi ora lo sforzo è di far arrivare a spesa tali fondi. Le ricordo, onorevole, ma lo sa molto bene, che una parte di questi fondi sostanzialmente si integra con i finanziamenti regionali. Questa è una complessità che lascia immaginare le difficoltà di gestione. D'altra parte, la responsabilità è del Ministero dell'istruzione, quindi siamo noi a rispondere.

  PRESIDENTE. Ringraziamo la Ministra Giannini.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.