XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Martedì 29 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA STRATEGIA ENERGETICA NAZIONALE E SULLE PRINCIPALI PROBLEMATICHE IN MATERIA DI ENERGIA

Audizione di rappresentanti del Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) e di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano).
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 3 
Zorzoli Giovanni Battista , Portavoce del Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) ... 3 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 7 
Crippa Davide (M5S)  ... 7 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 8 
Zorzoli Giovanni Battista , Portavoce del Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) ... 8 
Petraroli Cosimo (M5S)  ... 9 
Zorzoli Giovanni Battista , Portavoce del Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) ... 9 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 10 
Ferraresi Fausto , Presidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano) ... 10 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 12 
Crippa Davide (M5S)  ... 12 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 13 
Ferraresi Fausto , Presidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano) ... 13 
Galliano Paolo , Vicepresidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano) ... 15 
Ferraresi Fausto , Presidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano) ... 15 
Galliano Paolo , Vicepresidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano) ... 15 
Ferraresi Fausto , Presidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano) ... 15 
Galliano Paolo , Vicepresidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano) ... 15 
Crippa Davide (M5S)  ... 15 
Galliano Paolo , Vicepresidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano) ... 15 
Ferraresi Fausto , Presidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano) ... 16 
Galliano Paolo , Vicepresidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano) ... 16 
Ferraresi Fausto , Presidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano) ... 16 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ETTORE GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 13.40.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) e di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla strategia energetica nazionale e sulle principali problematiche in materia di energia, l'audizione di rappresentanti del Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica) e di AIRU (Associazione italiana riscaldamento urbano).
  Do la parola all'ingegner Zorzoli, portavoce di FREE, per la sua relazione introduttiva.

  GIOVANNI BATTISTA ZORZOLI, Portavoce del Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica). Innanzitutto, ringrazio la Commissione dell'invito e presento l'ingegner Alessandro Caffarelli e il dottor Simone Togni, entrambi membri del comitato di gestione di FREE.
  FREE si è costituito all'inizio di quest'anno. Anche se si chiama coordinamento, è un'associazione a cui afferiscono come soci ordinari altre venticinque associazioni, attive per la maggior parte nel settore delle rinnovabili e dell'efficienza energetica, alcune a spettro più ampio, come, per esempio, l'Ordine degli ingegneri di Roma e l'Adiconsum, che è un rappresentante dei consumatori. Non vi do i numeri, perché li trovate nella documentazione che vi abbiamo consegnato. Siamo complessivamente la più grande associazione rappresentativa di questo settore in Italia.
  La mia presentazione nella prima parte riassume brevemente dove siamo. Procedo rapidamente, perché sono cose note. Come è risaputo, noi stiamo operando sulle rinnovabili sulla base di una direttiva del 2009 che ha fissato per il 2020 l'obiettivo del 17 per cento dei consumi interni lordi da fonti rinnovabili. C’è poi una direttiva sull'efficienza energetica, che è la direttiva n. 31 del 2010, che non ha funzionato molto bene, tant’è vero che l'hanno sostituita.
  Di efficienza si parla molto ma si fa, ahimè, molto meno. La Strategia energetica nazionale ha stabilito obiettivi molto più ampi. Addirittura invece del 17 ha indicato dal 18 al 20 per cento il contributo delle rinnovabili ai consumi finali e dal 35 al 38 per cento quello dell'energia elettrica. Ricordo che quest'anno sull'energia elettrica saremo intorno al 32 per cento, e quindi non siamo molto lontani dall'obiettivo finale, anche se si deve tener conto che i consumi sono scesi. Speriamo tutti che aumentino nei prossimi anni.Pag. 4
  La SEN prevede addirittura che tra il 2010 e il 2020 la domanda totale di energia in Italia (elettrica, termica, per trasporti) scenda da 165 a 160 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. È una vera sfida. In questa direzione ci aiuta la nuova direttiva n. 27 del 2012. Questa direttiva è stata recepita dalla legge n. 90 del 2013, di conversione del decreto legge n. 63 del 2013, cosiddetto sugli ecobonus.
  La direttiva è molto impegnativa. Voglio sottolineare quest'aspetto, per dire che sarà necessaria la massima attenzione del Parlamento, del Governo e della pubblica amministrazione per attuarla. La direttive prevede per la fine di quest'anno alcune prime comunicazioni a Bruxelles ed entro metà del 2014 un piano impegnativo di efficienza energetica che sarà sempre più stringente, anno dopo anno. Entro la fine del 2018 tutti gli edifici occupati da enti pubblici o di loro proprietà, nuovi o in profonda ristrutturazione, dovranno essere ad energia quasi zero. Ciò significa che tra isolamenti, interventi sulla struttura e fonti rinnovabili, che probabilmente faranno da sostegno, dovranno praticamente prendere pochissima energia dall'esterno. A fine 2020 questo varrà anche per gli edifici privati.
  Ricordo che si stima che in Italia nei prossimi anni, per via della tempistica con cui furono costruiti la maggior parte degli immobili residenziali fra gli anni 1950 e gli anni 1960, il 60 per cento del patrimonio edilizio dovrà subire una profonda ristrutturazione, e quindi rientrerà in questa categoria. Già per i prossimi anni si prevedono norme molto stringenti che, passo dopo passo, porteranno al quasi zero nel 2020. Questa direttiva non entra nel merito di come si arriverà a quest'obiettivo. La direttiva afferma che ognuno può scegliere fra interventi di efficienza energetica, fonti rinnovabili termiche o fonti rinnovabili elettriche nel modo più cost effective. Ognuno si fa i suoi conti e inserisce quello che costa meno. Questo ha un altro effetto rivoluzionario (uso proprio questo termine) nelle prospettive: la querelle sugli incentivi sarà un ricordo del passato. Infatti, con queste normative sempre più stringenti, interventi di efficienza, rinnovabili termiche e rinnovabili elettriche saranno come gli ascensori, i vetri e gli infissi delle finestre, ossia qualcosa che i costruttori avranno a catalogo e dovranno necessariamente utilizzare per raggiungere gli obiettivi imposti dalla direttiva. Il risultato sarà che in catalogo i costruttori avranno l'elenco di tutto quello che possono utilizzare per rendere più efficiente l'edificio, tra energia rinnovabile, termica e elettrica, e sceglieranno quello che costa meno. Il costo non sarà un dato assoluto, ma dipenderà dalla tipologia dell'edificio, dalla sua vetustà, e dalla sua ubicazione a Messina piuttosto che a Milano.
  Avremo dunque una grande gamma di possibilità. Si apre una grande opportunità anche per l'industria delle costruzioni. Già oggi metà dell'industria delle costruzioni lavora sulla manutenzione. È evidente che con questo processo ciò riguarderà la maggior parte delle imprese. Stiamo parlando di industria, di reddito nazionale e di occupazione. È una grande opportunità che non può essere sprecata, anche perché se non l'applichiamo le sanzioni saranno anche più dure degli oneri che dovremo sostenere.
  Ricordo che i consumi termici rappresentano quasi il 45 per cento dei consumi energetici totali e il 78 per cento dei consumi domestici. Si apre quindi un grande spazio. Si dice che le termiche siano state sacrificate. Non lo saranno più, perché, attraverso questo meccanismo, sarà obbligatorio tenerne debitamente conto.
  Ci sono ancora delle cose che vanno risolte. C’è stato il conto termico, che è stato un passo in avanti notevole. Secondo il decreto legislativo n. 28 del 2011, da due anni si sarebbe dovuto attivare il Fondo di garanzia per le reti di teleriscaldamento a biomassa, che dovrebbe garantire le banche (si tratta di investimenti con ritorno a vent'anni). Tuttavia il fondo non è ancora stato attivato. Inoltre, vanno promossi meglio i certificati bianchi, che sono un grande strumento, e va rivista l'incentivazione del solare termico, che è l'ideale per raggiungere il quasi zero di consumo Pag. 5esterno per gli usi civili, ed è l'unica insufficiente tra tutte le incentivazioni che permangono. Vanno altresì semplificate le procedure per le piccole installazioni. Non è pensabile che chi vuole installare qualcosa sulla casa debba far fronte a procedure troppo complicate.
  L'ultimo discorso in prospettiva riguarda la mobilità sostenibile. Noi abbiamo innanzitutto una grande opportunità per l'agricoltura italiana. L'agricoltura italiana può produrre molto più biogas di quello che produce oggi, recuperando molti residui, con una ricaduta dal punto di vista ambientale, e garantendo un reddito aggiuntivo agli agricoltori. Il modo ottimale di utilizzare il biogas è trasformarlo in biometano e immetterlo nelle reti o nelle automobili a gas. Anche su questo aspettiamo un decreto da due anni. Pare che sia quasi in uscita, ma voglio ricordarvi che ancora non c’è. Invece, fortunatamente, è uscito il decreto per i biocarburanti di seconda generazione che – tanto per intenderci – producono bioetanolo, passando dai residui e non dal mais, e quindi senza danneggiare l'agricoltura, nel senso elementare del termine. Bisogna prendere provvedimenti, perché gli altri Paesi marciano più veloci di noi per dare incremento alla mobilità elettrica, che è la posizione del futuro.
  Queste sono le prospettive che noi vediamo. Quali sono i punti su cui vorremmo soffermare la vostra attenzione ? Innanzitutto, abbiamo preso una posizione molto radicale: il nostro obiettivo principale è il superamento del meccanismo degli incentivi nei tempi più brevi possibili (che ovviamente variano da tecnologia a tecnologia). Il meccanismo degli incentivi è già finito per il fotovoltaico, e noi proponiamo il suo superamento anche per le altre rinnovabili nei tempi necessari. Nella relazione troverete in dettaglio alcune proposte specifiche.
  Siamo consapevoli che lo sviluppo che hanno avuto le rinnovabili e che avrà l'efficienza energetica sta producendo dei problemi, per esempio per la produzione tradizionale di energia. Noi intendiamo collaborare alla soluzione di questi problemi. L'ultima parte della relazione è dedicata proprio a questi aspetti. Innanzitutto c’è una proposta. Voi sapete che le varie bozze del cosiddetto decreto del «Fare 2» prevedono un taglio con un sistema di bond che lascerà ai nostri figli (per quanto mi riguarda ai miei nipoti, perché i miei figli sono grandicelli) un onere di 35 miliardi di euro sulle spalle. Noi abbiamo proposto (abbiamo presentato questa soluzione in tutte le salse e siamo disponibili a darvi tutti gli elementi) un meccanismo che, attraverso un mix di sgravi fiscali e di detassazioni, come per gli ecobonus, si autofinanzi, nel senso che IVA, IRPEF e IRES copriranno abbondantemente il mancato gettito.
  Bisognerebbe convincere il Ministero dell'economia e delle finanze che non si può fare la ragioneria anno per anno, ma bisogna vedere il problema nel suo insieme. Questo è un programma che non riguarda solo le rinnovabili, ma anche molte altre cose. Abbiamo dimostrato che in questo modo, prevedendo la cartolarizzazione per la transizione dal vecchio al nuovo meccanismo, e utilizzando i bond per questa funzione e non per un debito a lungo termine, riusciremmo a congelare gli incentivi al livello già raggiunto, almeno per quanto riguarda l'eolico. Se questo sistema scattasse domani, gli incentivi che sono già stati dati ci sarebbero già. Nella relazione tutto questo è spiegato con maggiore dettaglio. In questo modo rimarrebbe ancora una piccola quota di incentivi per le rinnovabili termiche. Per il resto, la parte elettrica, che è molto consistente, verrebbe bloccata. Questo, secondo noi, sarebbe il modo migliore per dare un taglio alle tariffe.
  Non ho tempo di entrare nei dettagli ora, ma se lo richiedete posso mandarvi un documento molto più articolato che abbiamo elaborato. Questa è una proposta che noi riteniamo vincente, perché riduce i prezzi e non blocca lo sviluppo di un settore molto importante.
  Per quanto riguarda le altre fonti non ancora mature, pensiamo che ci vogliano tempi più lunghi per finire gli incentivi, in quanto le biomasse e il biogas hanno una Pag. 6quota rilevante in termini di costi di esercizio. Di questo va tenuto conto, valorizzando il fatto che puliscono i boschi e recuperano i rifiuti agricoli. Insomma, la situazione va studiata in un altro modo, perché queste fonti fanno un'operazione positiva di cui bisogna tener conto. Non è un incentivo alla produzione, ma è un incentivo all'ambiente. Inoltre, ci sono il solare termico con un'insufficiente incentivazione e il solare termodinamico, il piccolo eolico e la piccola geotermia, che vanno ancora sostenuti. Sono tutti settori (convenzionato, biomasse, solare termodinamico, geotermico, efficienza energetica) dove c’è una grossa presenza di industrie nazionali. Penso alle caldaie per le biomasse, alle pompe geotermiche e al solare termodinamico, uno dei pochi casi in cui siamo all'avanguardia a livello mondiale. Si tratta di settori su cui vale la pena di insistere, anche come politica industriale e non solo come politica energetica.
  Per concludere, veniamo a quello che vogliamo fare per venire incontro ai problemi dell'industria elettrica e dei produttori elettrici. Abbiamo fatto i conti ed è emerso che, anche se non ci fosse stata la crisi economica e anche se le rinnovabili si fossero sviluppate meno, ci sarebbe stata ugualmente una sovraccapacità. Qualche errore è stato fatto, e questo non si può nascondere. Innanzitutto, dovrebbe partire un collegamento con il Montenegro, per importare in Italia 5 terawattora di energia elettrica. Siamo già in sovraccapacità. Mi domando come mai Terna debba investire quasi un miliardo di euro per peggiorare la situazione in Italia. A nostro avviso bisognerebbe riflettere su questo.
  I cicli combinati l'anno scorso sono riusciti a produrre 55 terawattora. Questo aumenterebbe del 10 per cento la penalizzazione sui cicli combinati. Noi abbiamo proposto (l'estensione dell’ecobonus alle pompe di calore va in questa direzione) di incrementare quei consumi elettrici che sono più efficienti del consumo del gas. Mi riferisco in particolare alle pompe di calore elettriche per produrre il calore e alle piastre a induzione per la cottura del cibo. Da qui al 2020 si possono recuperare 15 terawattora. Si tratta di consumi elettrici aggiuntivi più efficienti del consumo del gas. Questa è una cosa che va tenuta presente. Inoltre, noi chiediamo di modificare la tariffa bioraria. Oggi la tariffa bioraria obbliga i cittadini a consumare quando l'energia costa di più. Se noi la modificassimo, aumenteremmo la domanda nelle ore di massima richiesta, e quindi daremmo sbocchi ulteriori nei momenti più interessanti per la produzione elettrica. Si può intervenire in tanti modi. Mi limito ad enunciarne ancora uno. Nella relazione troverete una serie di esempi. Le società elettriche non possono essere soltanto produttori e venditori di chilowattora, ma devono diversificarsi sui servizi, come sta succedendo in Germania e in Inghilterra. Tutte le industrie nella loro evoluzione si diversificano. Abbiamo elencato una serie di servizi meno redditivi in termini di fatturato ma molto più redditivi in termini di vita, che i grandi produttori elettrici potrebbero offrire, tra l'altro anche alle rinnovabili. Potrebbero svolgere loro quella funzione di bilanciamento, che, come sapete, è una delle grosse questioni in campo, e su cui c’è stato anche un ricorso al TAR.
  Loro potrebbero aggregare una serie di impianti a fonti rinnovabili in un ambito territoriale omogeneo, inserire un paio di cicli combinati per fare il backup quando manca e prendersi i premi previsti. In questo caso, non ci sarebbero penalità e si lascerebbero tranquille le fonti rinnovabili. Quello che ho fatto è solo un esempio, ma nella relazione ci sono altri esempi di attività di servizio che sono il futuro di questo settore.
  Per concludere, faccio un'ultima osservazione sugli obiettivi della SEN. Mi scuso per la lunghezza del mio intervento, ma le cose da dire erano tante. Se si realizzeranno gli obiettivi della SEN, nel 2020 la domanda di gas sarà fra 50 e 60 miliardi di metri cubi all'anno, meno della metà della capacità oggi disponibile.
  Ci sono alcune infrastrutture ormai in corso di realizzazione, penso, ad esempio, al TAP. Noi su queste infrastrutture non abbiamo nessuna obiezione ma, anche se Pag. 7non è nostro compito, lanciamo un avvertimento: attenzione a non fare l’overcapacity del gas, dopo aver fatto l’overcapacity dell'energia elettrica. Alla fine c’è sempre qualcuno che paga queste cose. O le paga il consumatore, o le paga il contribuente, oppure le paga disastrosamente il Paese. Non vorremmo vedere realizzata nessuna delle tre ipotesi. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Zorzoli per la sua esposizione molto interessante.
  Colgo l'occasione per segnalare a chi non lo avesse visto che nel The Economist della settimana scorsa c’è un articolo esattamente su queste stesse questioni. L'articolo parte dall'analisi della condizione tedesca, ma parla anche della condizione italiana e di quella spagnola. I temi affrontati nell'articolo sono: il problema della sovraccapacità produttiva; il rapporto tra rigidità della generazione elettrica attraverso i metodi tradizionali e flessibilità dei metodi nuovi; l'aumento dei sussidi e la diminuzione dei costi, che non si traducono in vantaggi per il consumatore; il calo dei profitti e delle utility tradizionali; e i modi per impedire che questo calo dei profitti abbia ripercussioni sull'intero sistema.
  Lo cito soltanto perché nelle considerazioni appena svolte ho trovato molte assonanze con le conclusioni dell'articolo dell’Economist.
  Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE CRIPPA. Grazie, presidente. Sicuramente l'approccio che propone il coordinamento FREE è molto vicino alla nostra idea di pianificazione: prima di tutto dovremmo iniziare a preoccuparci dell'esistente. Ho la convinzione che bisognerebbe osare, nel senso che dovremmo arrivare alla conclusione che alcuni edifici devono essere per forza rottamati. Dobbiamo arrivare a una conclusione per la quale se all'emergenza di riqualificazione energetica si sommano problematiche legate alla sismicità o ai certificati di prevenzione incendi, in alcuni casi forse bisognerebbe veramente avere il coraggio di demolire e ricostruire.
  È ovvio che per far questo ci deve essere un piano nazionale con il quale si mettano sul binario delle iniziative virtuose per dare uno spiraglio a questo tipo di attività. La nostra convinzione è che questo debba partire innanzitutto da una pianificazione nazionale concreta sul panorama degli edifici pubblici. Sono ben contento di trovare i dati riferiti al consumo di energia termica in rapporto ai consumi totali, perché mentre, durante alcune audizioni, qualcuno ci diceva che il nostro panorama energetico degli edifici è soddisfacente, io, forse a causa di ricordi dell'attività che svolgevo in precedenza, pensavo che fossimo ben lontani dall'essere considerati un Paese all'avanguardia in termini di risparmio energetico. Sicuramente lo siamo come tecnologia, ma non lo siamo in termini di criteri di applicabilità.
  Leggerò con attenzione soprattutto il passaggio contenuto nella relazione sui bond, perché, in effetti, la proposta del ministro di indebitare le generazioni future non piace affatto neanche a noi. È ovvio che si sta parlando ancora di una bozza del decreto, per cui non c’è nulla di ufficiale.
  Vorrei chiedere una precisazione sugli elettrodotti. Credo che sia un paradosso costruire un elettrodotto dal Montenegro, o uno tra Albania e Polignano, andando a incidere, casualmente, su delle zone in cui oggi c’è un problema di senso opposto. A fronte di un plus di generazione, andiamo a interconnettere un canale d'importazione di energia elettrica dall'estero. Secondo me, questo rispecchia la mancanza di una pianificazione energetica concreta, che dovrebbe consistere nel costruire le dorsali, capire effettivamente quali siano quelle che hanno bisogno, ed eventualmente passare a quei concetti di distretti energetici di cui si parla da molto tempo. Vorrei capire la vostra posizione sui distretti energetici, cioè sui famosi SEU e Pag. 8RIU, e se riusciremo finalmente ad arrivare a una regolamentazione degli stessi, da troppi anni promessa.
  Chiudo con una domanda sui servizi collegati, come sistema per cercare di andare incontro a questa sovraccapacità produttiva di generazione di gas. Ho la convinzione che dovremmo smetterla di produrre da centrali a combustibili fossili meno pulite rispetto al metano. Quindi, cominciamo a chiudere le centrali a carbone e a sopperire alla mancanza di carbone con il gas oggi in sovraccapacità. Parallelamente, vorrei capire in che modo i servizi collegati di questi produttori potrebbero portarci dei benefici. Sono un po’ spaventato quando il produttore energetico mi offre un pacchetto chiavi in mano di riqualificazione virtuosa del mio edificio e mi controlla anche la fatturazione. Oggi qualcuno lo sta facendo in qualche Esco. Per il mio passato, ho un po’ di diffidenza, in quanto in questi casi il controllore è anche il controllato e fattura quello che gli conviene. Alcuni interventi di risparmio non sono sempre così convenienti dal punto di vista naturale della vendita. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Zorzoli per la replica.

  GIOVANNI BATTISTA ZORZOLI, Portavoce del Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica). Innanzitutto chiarisco se siamo o non siamo un Paese efficiente dal punto di vista edilizio e, più in generale, a che punto è l'efficienza.
  L'Italia è stata storicamente un Paese a intensità energetica relativamente bassa rispetto agli altri Paesi industrializzati. Tuttavia, se analizziamo il trend degli ultimi dieci anni, vediamo che mentre gli altri sono scesi rapidamente, ci stanno raggiungendo o ci hanno superato, noi siamo stati molto fermi.
  Tre giorni fa è stata pubblicata una relazione dell'Agenzia europea dell'ambiente, un organo ufficiale della Commissione europea, in cui c’è una tabella a questo proposito. Mi spiace non averla con me perché è molto interessante. Questa tabella divide i Paesi europei in tre categorie: quelli che hanno buone probabilità di arrivare agli obiettivi del 20 per cento di riduzione nel 2020, quelli che dovranno fare un grande sforzo e quelli di cui si dubita molto. L'Italia purtroppo sta nella terza categoria. Questa è una risposta ufficiale europea e non una risposta mia. Basta leggere la relazione dell'Agenzia per vedere che purtroppo siamo in fondo.
  Per quanto riguarda i collegamenti, noi ci siamo occupati soltanto di quello con il Montenegro perché è l'unico per il quale, per fortuna, gli investimenti non sono ancora stati fatti, però è entrato nel famoso pacchetto prioritario che la Commissione europea ha individuato. Gli incentivi attribuiti dall'Unione europea sono risibili. Se ho fatto bene i conti, su 700-800 milioni di euro di costo a preventivo (non so quale sarà il costo a consuntivo), per questo progetto l'UE darà 2 o 3 milioni di euro. Non sono certo che siano questi incentivi a cambiare le cose. Ciò nonostante, il progetto è stato messo fra quelli prioritari. Dal punto di vista degli aiuti comunitari non perdiamo molto se rinunciamo a questo progetto. Per il resto è ancora tutto sulla carta.
  Sui distretti energetici abbiamo preso due posizioni. La prima è quella che menzionavo: aggregare le fonti rinnovabili per ambiti territoriali omogenei e, se necessario, integrare con impianti a ciclo combinato per il bilanciamento. In secondo luogo, noi abbiamo fatto una proposta specifica, che abbiamo anche inviato alle Commissioni del Senato che attualmente hanno in esame il disegno di legge di stabilità. Mi riferisco all'incentivo fiscale, cioè a una detassazione sulla sostituzione dell'amianto con impianti fotovoltaici. Questo sarebbe un servizio al Paese. Nell'allegato che abbiamo mandato ci sono i numeri dettagliati anno per anno, data una tassazione al 50 per cento e non al 65, e si mostra chiaramente che lo Stato ci guadagnerebbe.
  Noi auspichiamo – lo dico anche a voi, perché adesso è in discussione al Senato – che questo emendamento venga preso in Pag. 9considerazione in quanto è a costo zero. Ci sono i numeri; se qualcuno non è d'accordo, può verificarli. È a costo zero e permette di togliere l'amianto, perché viene consentito di farlo alle persone giuridiche e alle aziende. Il privato cittadino che ha l'amianto sul tetto che incentivo ha a toglierlo ? Se non è proprio sotto il tetto non ci pensa neanche. Invece in questo caso sono le persone giuridiche che godono di questo incentivo se intervengono. Abbiamo stimato un giro di affari (lavoro e occupazione) tra i 200 e i 300 milioni di euro all'anno a carico zero per la comunità. Questo rientra anche nella logica decentrata. Altri 8 chilometri quadrati di amianto che spariscono. Non sarebbe male. Spero che in qualche modo si riesca ad inserire questo emendamento nella legge di stabilità, visto che non costa nulla.
  Per quanto riguarda la chiusura delle centrali a carbone, noi come coordinamento siamo perché operi essenzialmente il mercato. Abbiamo detto anche che vogliamo rinunciare agli incentivi. Tuttavia abbiamo una proposta, che qui non ho citato perché le proposte sono tante. La nostra proposta è sostituire tutta una serie di balzelli con la carbon tax, come stanno facendo in Francia. Si tratta di una carbon tax a fiscalità complessiva neutra, cioè con una riduzione sull'IRPEF e sull'IRES, che tra l'altro è prevista dal disegno di legge di delega per la conversione e ristrutturazione del sistema fiscale. Con la carbon tax ai valori francesi le vecchie centrali a carbone chiudono da sole. Non chiudono le nuove centrali, ma quelle vecchie e più inefficienti. L'ETS (Emission Trading System), che è tra 4 e 5 euro, fa ridere i polli. Lo sappiamo tutti.
  Vengo ora alle Esco. Fate attenzione: quello che proponiamo qui non è fare concorrenza alle Esco che intervengono sulla villetta della signora Brambilla. Noi parliamo di grandi interventi sul complesso industriale e commerciale, dove certamente questo non lo può fare la normale Esco, mentre un'azienda produttrice elettrica è in grado di farlo e ha una controparte che capisce, e che quindi – scusate la brutalità – non si lascia ingannare.

  COSIMO PETRAROLI. Si è parlato dell'eventualità di puntare sui biocombustibili. Vorrei sapere se, secondo lei, vi siano seri pericoli che questo combustibile prodotto dagli scarti dell'agricoltura possa in qualche modo invadere l'agricoltura tradizionale. Mi riferisco al rischio che, soprattutto nel nostro Paese, si sostituiscano i campi agricoli con questo tipo di agricoltura meno raffinata. Inoltre, considerato che la SEN punta molto sulle trivellazioni nel Mar Mediterraneo, vorrei sapere se l'opportunità di considerare, anche attraverso gli incentivi, la produzione di biocombustibili esclusivamente con gli scarti industriali o agricoli possa in qualche modo compensare le eventuali trivellazioni nel Mediterraneo.

  GIOVANNI BATTISTA ZORZOLI, Portavoce del Coordinamento FREE (Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica). La ringrazio di questa domanda. Innanzitutto preciso che il decreto che è appena elaborato dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero dell'ambiente riguarda le bioraffinerie di seconda e di terza generazione. Tra l'altro, in Piemonte abbiamo un impianto in funzione da 40 mila tonnellate annue. È un know-how italiano. Una volta tanto è una ricerca sviluppata dall'Enea e fatta proprio dall'industria. È un caso purtroppo abbastanza raro in Italia, ma che va valorizzato. Questo decreto va in questa direzione. Come è scritto anche nella nostra relazione, ha alcuni limiti perché non valorizza altri prodotti, come le bioplastiche. Questo impianto utilizza soltanto residui derivanti dalla pulizia dei letti dei fiumi o dal taglio dei boschi, cioè tutti residui no food. Pensiamo che ciò consenta di ripagare questi servizi: ripulire costa, non è gratis. Ci sono prospettive per avere una produzione significativa, anche se non posso quantificarla. Non dimentichiamo che, al di là del futuro, abbiamo l'obiettivo del 10 per cento nel 2020. Tra l'altro, la Pag. 10Commissione europea prevede che più passano gli anni e più la filiera deve essere corta. Questa è una cosa importante.
  Il biogas, come noi l'abbiamo concepito, va nella stessa direzione. Siamo contrari a qualunque uso sostitutivo del territorio agricolo. Sappiamo benissimo come è la nostra agricoltura. Anche nella pianura padana, che mi è familiare, perché vengo da lì e la conosco molto bene, oggi gli operatori agricoli hanno qualche difficoltà ad andare avanti. Non dimentichiamo che gli aiuti della politica agricola comunitaria scendono. Quindi questo problema c’è. Integrare (e non sostituire) la produzione agricola, per esempio, con un impianto a biogas che porta un reddito ulteriore, è un modo per salvare e sviluppare l'industria agricola del Paese. Questo è il nostro obiettivo. Se riescono a produrre biometano, c’è finalmente un decreto che permette di venderlo. La cosa assurda oggi è che se produco biometano non so come venderlo perché manca il regolamento.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Zorzoli e proseguiamo con la seconda audizione prevista.
  Abbiamo qui l'Associazione Italiana Riscaldamento Urbano (AIRU), rappresentata dall'ingegner Fausto Ferraresi e dall'ingegner Paolo Galliano.
  Do la parola all'ingegner Ferraresi per l'illustrazione della relazione introduttiva.

  FAUSTO FERRARESI, Presidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano). Grazie. Buona sera a tutti. Mi corre l'obbligo di un ringraziamento per avere accettato la nostra richiesta di essere auditi nell'ambito di questa indagine conoscitiva. La presentazione che intendo svolgere è molto sintetica.
  Iniziamo spiegando che cos’è il teleriscaldamento. Lo possiamo definire come una distribuzione tramite rete di un'energia termica prodotta da una o più fonti, con una pluralità di edifici o siti. Il sistema energetico integrato consente di utilizzare tutte le forme di energia localmente disponibili, attraverso una rete.
  Dal punto di vista della direttiva sull'efficienza energetica, cioè la direttiva n. 27 del 2012, le potenzialità del risparmio energetico attraverso il teleriscaldamento sono estremamente importanti.
  Vi illustro brevemente che cos’è il teleriscaldamento in Italia. Si tratta di un servizio sviluppato nelle regioni del Nord, dove i gradi giorno, cioè la quantità di calore necessaria, sono più importanti. Abbiamo 216 reti, 142 operatori e circa un milione di appartamenti serviti. Eroghiamo 7,3 terawatt di energia termica. Attraverso le nostre reti evitiamo 1,3 milioni di tonnellate di CO2 e veicoliamo qualcosa di relativamente piccolo, cioè il 4 per cento del fabbisogno nazionale. Abbiamo uno sviluppo limitato e soprattutto a macchia di leopardo.
  Contestualizziamo questo servizio all'interno dell'Europa: il valore italiano pari al 4 per cento è molto piccolo se confrontato con i valori dei Paesi vicini. Questo ci indica la potenzialità di sviluppo di questa tecnologia, come è già avvenuto in altre parti, anche partendo da situazioni diverse. Faccio l'esempio della Polonia, che aveva un grosso problema nell'individuare un'alternativa all'utilizzo del carbone. La Polonia oggi veicola il 50 per cento del calore necessario attraverso impianti di teleriscaldamento.
  Spendo due parole per quanto riguarda il rapporto tra TLR (teleriscaldamento) e SEN. Per quanto ci riguarda, riteniamo di essere perfettamente inseriti nella Strategia energetica nazionale, anche per quanto concerne gli obiettivi dal 2020 al 2050, che sono fondamentalmente: la riduzione del costo dell'energia, la decarbonizzazione, il recupero dell'ambiente, la sicurezza degli approvvigionamenti, la crescita economica, e soprattutto le azioni di efficientamento energetico.
  La rete di teleriscaldamento può essere definita proprio uno strumento di efficientamento energetico e soprattutto consente lo sviluppo delle fonti rinnovabili e sostenibili. Per questa ragione il TLR può fornire un contributo rilevante per raggiungere gli obiettivi da qui al 2020. Conseguentemente Pag. 11riteniamo che il nostro servizio sia assolutamente coerente con gli obiettivi e le azioni della SEN.
  Passo ora al rapporto tra teleriscaldamento e servizio pubblico locale, in questi mesi molto discusso. Allo stato attuale il teleriscaldamento non è incluso ex lege tra i servizi pubblici locali. Infatti, è facoltà dei comuni che ne hanno eventualmente necessità decretarne l'assunzione a rango di servizio pubblico locale. Se un comune vuole avere il teleriscaldamento come servizio pubblico locale lo può benissimo fare, attraverso una trafila che è definita dalla legge. Ha quindi la possibilità di realizzarlo in regime autorizzativo.
  Per quanto riguarda il rapporto tra TLR e mercato, oggi non esistono obblighi di connessione alla rete. Questo è molto importante. Noi riteniamo che questo servizio debba rimanere un servizio di libero mercato, proprio perché non c’è nessun obbligo in Italia di allacciarsi alla rete. Il cliente è assolutamente libero di scegliere altri vettori, dal gas all'energia elettrica. Esiste una competizione basata sulla capacità del prezzo e sulla qualità del servizio che viene erogato. Conseguentemente il cliente è messo di fronte alla possibilità di poter fare le sue scelte.
  Per queste ragioni il teleriscaldamento è un concorrente dell'operatore dominante gas nel settore del riscaldamento residenziale. In ogni caso, il gas è sempre stato e sempre sarà nostro concorrente naturale, almeno finché avrà un così importante ruolo nel riscaldamento urbano.
  Per quanto riguarda la dinamica di definizione dei prezzi, essendo il teleriscaldamento un servizio di libero mercato, i prezzi vengono definiti sulla base di un costo complessivo del teleriscaldamento tradizionalmente e localmente dominante. Per fare un esempio molto banale, non possono essere confrontate le due bollette perché una è la fornitura di un combustibile e l'altra è la fornitura di un servizio. Per fare una comparazione oggettiva occorre mettere in campo, insieme alla bolletta del gas metano, i cosiddetti «costi accessori» che sono tipicamente quelli della gestione, dell'impianto, del terzo responsabile, della manutenzione e della pulizia.
  Per quanto riguarda la variazione dei prezzi, questi sono normalmente indicizzati secondo parametri Istat o attraverso il riferimento ai combustibili, cioè generalmente al gas. In ogni caso, ripeto che il cliente ha sempre la possibilità di valutare trimestre per trimestre la convenienza di questo vettore.
  Qual è la situazione italiana ad oggi sulla regolazione del teleriscaldamento ? Il teleriscaldamento è regolato a livello locale secondo necessità e peculiarità del territorio servito. Dicevo che nella misura in cui si ritenga, a livello comunale, che questo debba essere un servizio pubblico lo si può fare tranquillamente. Un'eventuale regolazione nazionale, a nostro avviso, potrebbe creare ostacoli alle possibilità di sviluppo del teleriscaldamento. Vi voglio ricordare che il teleriscaldamento negli ultimi dieci anni ha raddoppiato la sua volumetria, nonostante stiamo attraversando una congiuntura economica non certamente molto felice.
  Direi che, nonostante i numeri bassi, questo è sicuramente un elemento importante. Da questo punto di vista, riteniamo che la possibilità di avere una scelta nel libero mercato sia un elemento importante nello sviluppo di questo servizio.
  Qual è la situazione a livello europeo ? Alle volte è molto importante guardarsi attorno. Generalmente il teleriscaldamento è esercito in condizione di libero mercato. In tutta Europa abbiamo un esempio solo (la Danimarca) in cui si tratta di un servizio pubblico. In Danimarca tuttavia esiste l'obbligo dell'allacciamento e quindi non c’è una libera scelta. È stata fatta una scelta a livello politico: il teleriscaldamento è un servizio pubblico regolato e conseguentemente tutti si devono allacciare dove c’è il teleriscaldamento.
  In tutti gli altri Paesi viceversa il teleriscaldamento è un servizio di libero mercato. Le indagini di autorità locali non hanno ravvisato l'opportunità di introdurre sistemi di regolazione centralizzati, Pag. 12a eccezione della Danimarca dove, come vi dicevo, esiste questo tipo di regolamentazione.
  Che cosa sta succedendo in Italia ? In Italia è in corso un'indagine dell’Antitrust, la IC46, aperta nel dicembre del 2011 a seguito di una serie di segnalazioni. Ovviamente l'indagine ha coinvolto anche la nostra associazione. Siamo stati sentiti e come aziende siamo stati investiti da richieste dell’Antitrust su tutta una serie di documentazioni, fondamentalmente per capire le dinamiche di svolgimento di questo servizio. Ho avuto diversi rapporti con l’Antitrust. In un incontro di dieci giorni fa uno dei consiglieri mi diceva che sono fiduciosi di poter concludere entro novembre il loro lavoro, che fino a quel momento non aveva evidenziato ragioni per ritenere necessaria una regolamentazione del servizio. Da questo punto di vista, riteniamo abbastanza strano che ci siano richieste in questo senso da parte di altri organi. Parlo della AEEG (tanto per essere chiari), che attraverso una iniziativa del proprio presidente ha chiesto di regolamentare il servizio di teleriscaldamento adducendo necessità evidenziate dall'Autorità stessa. Per quanto riguarda l’Antitrust, non pare al momento che queste esigenze siano riscontrabili. Ribadiamo che il teleriscaldamento in Italia è già regolato a livello locale e può essere ulteriormente vincolato, a seconda delle necessità o delle decisioni che un dato comune intende portare avanti. La regolazione centralizzata potrebbe diventare un ostacolo allo sviluppo del settore invece che un elemento di traino.
  Soprattutto, a nostro avviso, c’è la necessità di attendere l'esito dell'indagine dell'Antitrust come elemento di partenza di un ragionamento che eventualmente metta sul tavolo le oggettività che verranno riscontrate. A nostro avviso, non si può immaginare un'eventuale procedura di ipotesi di regolazione non avendo chiaro quali sono le condizioni reali del servizio.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'ingegner Ferraresi. Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE CRIPPA. Grazie, presidente. Ne approfitto per chiedere una serie di precisazioni sulle reti di teleriscaldamento, perché non mi convincono alcuni aspetti.
  Innanzitutto, dal momento in cui giustamente si solleva la possibilità che in alcune amministrazioni il teleriscaldamento sia considerato un servizio di pubblica utilità, bisognerebbe capire che la rete di approvvigionamento dovrebbe essere separata, ossia di gestione terza come avviene per la rete di approvvigionamento. Se la lasciamo in mano allo stesso soggetto che ci fattura la gestione del calore, ritorniamo a una situazione di monopolio da cui stiamo cercando (purtroppo solo a parole) di svincolarci. Mi riferisco ai contatori del gas e ai contatori Enel. Immagino che la rete debba essere necessariamente affidata ad un soggetto terzo rispetto al soggetto che ci vende il calore.
  L'ingegner Ferraresi affermava che non c’è nessun obbligo di connessione di rete. In realtà, nella regione Piemonte è previsto che su tutte le nuove abitazioni siano dotate delle predisposizioni obbligatorie. Di conseguenza i fabbricati avranno già una sorta di predisposizione all'accesso alla rete. Ho avuto anche l'occasione di analizzare il progetto di teleriscaldamento a Novara e in quel caso è emerso un problema di questa natura.
  È ovvio che sovradimensionando la rete di distribuzione del teleriscaldamento, si va a diminuire drasticamente il bacino di utenza del mercato del gas. Se io oggi sostituisco una serie di utenze condominiali con una rete di distribuzione del teleriscaldamento, diminuisco la vendita di gas in quel tratto di rete.
  Come al solito, la politica non arriva a capire che in realtà dovremmo azzerare l'utilizzo del gas in alcune zone. Se io devo garantire sempre il servizio del fornello della signora Maria, la rete che mi porta il gas al fornello della signora Maria rimane la stessa. Peccato però che i costi di gestione e di manutenzione della medesima rete ricadano sui volumi venduti Pag. 13alla signora Maria e non più su quelli venduti all'intero palazzo per la gestione termica. Diminuendo i volumi fatturati alle utenze del condominio, i costi delle reti di manutenzione gravano maggiormente.
  Passando ad un'altra questione, vorrei capire se avete un criterio di massima distanza tra produttore e utilizzatore. Visto il decadimento che avviene, proporzionale alla distanza tra punto di produzione e punto di utilizzo, io mi sono sempre immaginato che le reti di teleriscaldamento avessero un senso qualora fossero di zona o di piccoli quartieri. In alcuni casi invece vengono create reti con chilometri di tubazioni e con mandate forse esagerate, per avere un ritorno minimo e riuscire a soddisfare anche le ultime utenze. Vorrei capire se avete un criterio di utilità sulla massima distanza tra i punti.
  L'altra questione riguarda gli scambiatori. Dalla rete, tramite uno scambiatore, diffondo calore alla rete separata del riscaldamento. In quel momento di chi è la proprietà di tale apparecchiatura ? Mi risulta ci siano diatribe aperte con diversi gestori sul fatto che il dimensionamento dei contratti di potenza ogni tanto viene fatto direttamente dal gestore e in altri casi viene richiesto dal condominio. Vorrei sapere se avete qualche informazione in più su questo aspetto.
  Chiudo sottolineando un'ulteriore preoccupazione. Sempre in regione Piemonte è possibile non adempiere alla normativa sulle fonti energetiche per soddisfare le utenze termiche qualora ci si allacci a una rete di teleriscaldamento. A mio avviso, questo processo presenta una notevole criticità. Se oggi realizzo un edificio con la scusante di utilizzare una rete di teleriscaldamento per soddisfare i fabbisogni di acqua calda sanitaria, il giorno in cui mi dovrò distaccare dovrò tornare di nuovo al comune e farmi dare la concessione per mettere il pannello solare termico, perché ai tempi in cui io ho avuto la concessione edilizia era in vigore una normativa che mi richiedeva di avere il 50 per cento di acqua calda sanitaria fatta da pannelli.
  Oggi posso usare questa scappatoia di collegarmi al teleriscaldamento, ma questo, secondo me, diventa un contratto obbligatorio a vita. Nel momento in cui mi scollego e non ho i pannelli solari termici, devo tornare a fare una richiesta al comune di una pratica edilizia per la modifica dello stesso. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola all'ingegner Ferraresi per la replica.

  FAUSTO FERRARESI, Presidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano). Direi che le domande sono molte. Tra l'altro c’è un collega qui vicino a me che è proprio del Piemonte e potrà essere decisamente più esaustivo se eventualmente dimentico qualcosa.
  Partiamo dalla prima considerazione sulla rete terza come distribuzione. Lei immagina un ragionamento simile alle reti gas e le reti elettriche, dove il modello di riferimento vede il distributore e il venditore assolutamente separati. In questo caso c’è una piccola variante, perché, come lei sicuramente sa, il tema della produzione del calore che viene veicolato nelle reti di teleriscaldamento è molto specifico.
  Gli altri servizi hanno un processo produttivo o di fornitura assolutamente indipendente, mentre in questo caso il distributore/venditore di calore attraverso teleriscaldamento è nel 99,9 per cento dei casi anche il produttore del calore, perché questo calore è assolutamente «intimo» rispetto ai suoi processi produttivi.
  Immaginare un'ipotesi di separazione di queste reti diventa abbastanza complicato. Innanzitutto, come dicevo, abbiamo una diffusione del teleriscaldamento assolutamente a macchia di leopardo, con situazioni territoriali completamente diverse. Quindi le ipotesi di omogeneità di trattamento, se possono andar bene per una rete elettrica o una rete gas, sono molto discutibili per una rete di teleriscaldamento. Questo è uno dei primi elementi da considerare.Pag. 14
  Sempre per quanto riguarda il discorso sulle reti, lei accennava al tema del loro dimensionamento, alle volte eccessivo, per cercare di accalappiare qualche cliente in più. Vorrei farle notare una cosa importante: oggi gli investimenti sugli impianti di teleriscaldamento vengono fatti senza nessun contributo statale.
  Sono finiti i tempi in cui la legge n. 308 del 1982 finanziava gli interventi sulle energie rinnovabili e tanti impianti di teleriscaldamento, da Torino a Ferrara, da Brescia a Reggio Emilia. Oggi se vogliamo fare impianti di teleriscaldamento devono investire direttamente le aziende, al di là di qualche piccolo contributo come c’è stato, per esempio, in Lombardia.
  Tenuto conto che i tempi di rientro dei nostri investimenti non sono mai inferiori ai quindici anni, vedo abbastanza strano il fatto di pensare che sovradimensioniamo un impianto se non è di carattere produttivo. Certamente, quando possiamo, dobbiamo posare la rete con il punto futuro di lavoro. Infatti, una volta posata una rete, che ha assunto un ruolo di infrastruttura principale attraverso il decreto legislativo n. 28 del 2011, non posso scavare per mettere un tubo più grande. Una volta che ho messo il tubo è un investimento assolutamente definitivo. Dico questo anche per evidenziare che essendo noi aziende a fare gli investimenti, credo che sia abbastanza opportuno avere la disponibilità di perseguire strade di competitività sul mercato e fare il prezzo che il mercato regolamenta. Non possiamo fare i prezzi che vogliamo. La gente è libera di scegliere quello che vuole.
  Arrivo alla questione delle predisposizioni degli allacci alla rete, che non c’è solo in Piemonte, ma in tutta Italia. Peraltro, il decreto legislativo n. 28 del 2011 ha approvato un fondo di garanzia a sostegno di queste nuove reti, che è finanziato ormai da due anni attraverso un contributo sul costo del gas, e non è ancora stato reso operativo. Gli operatori hanno investito; stanno aspettando questo tipo di aiuto che è molto importante, ma ad oggi il Ministero, nonostante le rassicurazioni, non ci ha ancora dato soddisfazione.
  Per quanto riguarda le predisposizioni, che vengono evidenziate soprattutto nei piani regionali energetici, non c’è alcun obbligo. Io vengo dall'Emilia Romagna, ma credo che sia la stessa identica cosa in Piemonte, in Lombardia o nel Veneto. La predisposizione non vuol dire che ci sia un obbligo, e lei lo sa meglio di me.
  Una cosa che invece fortunatamente è diventata un obbligo è l'eliminazione delle caldaie individuali, che sono sempre state un grande cavallo di battaglia da un punto di vista dell'individualizzazione delle forniture, ma che da un punto di vista dei rendimenti energetici rappresentano una follia.
  Posso decidere di alimentare il mio impianto in modo centralizzato. Che sia acqua calda che arriva dal teleriscaldamento, da una centrale a biomassa o da un impianto di solare termico, non c'entra assolutamente niente. La ratio è la seguente: se il legislatore ha fatto un ragionamento di questo genere ha ritenuto che le potenzialità del teleriscaldamento, laddove è esercito in maniera intelligente, possano dare dei contributi importanti.
  Le voglio solo citare un esempio da questo punto di vista. Vengo da Ferrara, dove abbiamo un impianto che serve circa il 20-25 per cento degli appartamenti della città. Fatto 100 il calore che immettiamo in rete, solamente il 17 per cento viene prodotto con energia primaria, cioè metano, perché abbiamo la fortuna di avere un impianto geotermico, recuperiamo il calore dal termovalorizzatore e abbiamo una serie di sinergie. Può piacere o non piacere, ma queste sono scelte di altra natura.
  Certamente questo è un elemento importante. Lei dice che, se attiva la rete di teleriscaldamento, evita il pannello solare per produrre il 50 per cento dell'acqua calda sanitaria. Credo che questo sia un elemento di merito attribuibile al teleriscaldamento. È evidente che, se lei domani Pag. 15mattina chiude il suo impianto, deve produrre quel 50 per cento in un altro modo. Quindi lei non lo farà mai ?
  Tuttavia, l'obbligo di legge non può essere imputato al teleriscaldamento. Il teleriscaldamento, se ha un determinato mix energetico, è anche in grado di farle cambiare la classe energetica dell'edificio. Oggi abbiamo elementi di questo genere. Si può condividere o non condividere, però l'energia primaria che lei consuma è l'elemento fondamentale.
  Chiederei di integrare la mia risposta al dottor Galliano, che arriva da Torino.

  PAOLO GALLIANO, Vicepresidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano).
  L'unica integrazione che mi sento di fare è sul discorso della predisposizione. In realtà, quella norma, che come ha detto il presidente è valida in tutta Italia ai sensi del decreto n. 28 del 2011, parla genericamente di predisposizione e non ha nessuna traduzione concreta in termini di costruzione di involucro edilizio. L'unica cosa che siamo riusciti ad immaginarci è che non si può fare un impianto di riscaldamento interno all'abitazione usando vapore a 170 gradi, perché le reti di teleriscaldamento non arrivano a quella temperatura. Tolto questo, il decreto non dice assolutamente niente e sicuramente non costituisce nessuno obbligo di allaccio o preclusione all'allaccio. Quella, secondo noi, è una cosa del tutto irrilevante.

  FAUSTO FERRARESI, Presidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano). La predisposizione è un tronchetto frangiato che lascio per poter eventualmente allacciarmi. Non facciamo ragionamenti che siano diversi da un tronchetto a T che lascio frangiato.

  PAOLO GALLIANO, Vicepresidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano). Erano stati toccati altri due punti. Uno era il discorso della massima distanza tra centrale e utenza. Innanzitutto le reti di teleriscaldamento sono sistemi altamente efficienti, per cui il livello di perdita di calore lungo le reti è molto basso.
  Le reti di teleriscaldamento sono sistemi molto locali e normalmente molto limitati dal punto di vista territoriale. La sua osservazione è corretta. Tuttavia, non si può dare un parametro assoluto. Lei sa che a Torino c’è la rete più sviluppata d'Italia e tra la centrale più lontana e l'altro punto ci sono 10 chilometri. Stiamo parlando della rete più grande d'Italia. Io vengo da una realtà di provincia in cui abbiamo reti di teleriscaldamento in paesi da 3 mila abitanti. Parliamo di centinaia di metri. Quando arriviamo ai 2 chilometri siamo contenti.

  FAUSTO FERRARESI, Presidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano). Vorrei ricordare che in Svezia, per esempio, c’è un impianto con un collegamento di 70 chilometri.

  PAOLO GALLIANO, Vicepresidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano). Questa è la grossa differenza.

  DAVIDE CRIPPA. Quali sono le percentuali ?

  PAOLO GALLIANO, Vicepresidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano). In termini di perdita di energia, dipende molto dal consumo che si ha nel corso dell'anno. In termini percentuali si va dal 10 al 15 per cento, che è una percentuale di perdita significativa, abbondantemente compensata dalle efficienze in fase di generazione. I sistemi di teleriscaldamento, come ha detto il presidente, nella realtà italiana sono per il 50 per cento alimentati da produzioni in cogenerazione, per un 25 per cento da fonti rinnovabili e per il rimanente 25 per cento da caldaie d'integrazione. Infatti, la produzione di calore in cogenerazione genera efficienze energetiche molto significative e il recupero di calore da fonti rinnovabili altrimenti non utilizzabile. Faccio un esempio: la centrale a geotermia che ha il presidente a Ferrara è un qualcosa che Pag. 16nessun singolo condominio si potrebbe permettere. Nel momento in cui c’è un pozzo geotermico profondo 2 mila metri quel calore della rinnovabile o lo si mette in una rete di teleriscaldamento o non si può utilizzare. Non è gratis, perché tirarlo fuori costa. La dimensione è piccola, ma soprattutto la rete è un collettore di risorse che altrimenti non potrebbe essere utilizzate a livello di singola iniziativa. Quindi le efficienze che si fanno nella produzione compensano quelle inevitabili perdite, modeste, che comunque oggettivamente ci sono sulla distribuzione.

  FAUSTO FERRARESI, Presidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano). L'inceneritore finisce nella parte rinnovabile per la parte rinnovabile. Per il resto è calore di recupero.

  PAOLO GALLIANO, Vicepresidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano).
  Come ha detto il presidente Ferraresi, la frazione biodegradabile del rifiuto viene contabilizzata come energia da fonte rinnovabile. Quindi non tutto il calore prodotto dal termovalorizzatore è considerato rinnovabile.
  L'ultima domanda che ha fatto e che mi ero appuntato è quella sulla proprietà delle sottostazioni. Di norma la sottostazione appartiene all'azienda che ha realizzato l'investimento.

  FAUSTO FERRARESI, Presidente di AIRU (Associazione Italiana Riscaldamento Urbano). E che ha nel servizio la manutenzione ordinaria e straordinaria.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i rappresentanti di AIRU. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.50.