XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Giovedì 12 settembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 3 

Audizione del Viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, sugli indirizzi programmatici del dicastero dello sviluppo economico in materia di commercio internazionale e internazionalizzazione delle imprese (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 3 
Calenda Carlo , Viceministro dello sviluppo economico ... 3 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 15 
Vignali Raffaello (PdL)  ... 15 
Polidori Catia (PdL)  ... 16 
Benamati Gianluca (PD)  ... 17 
Fantinati Mattia (M5S)  ... 19 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 20 
Calenda Carlo , Viceministro dello sviluppo economico ... 20 
Epifani Ettore Guglielmo , Presidente ... 24 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal Viceministro dello sviluppo economico ... 25

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ETTORE GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, sugli indirizzi programmatici del dicastero dello sviluppo economico in materia di commercio internazionale e internazionalizzazione delle imprese.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del Viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, sugli indirizzi programmatici del dicastero dello sviluppo economico in materia di commercio internazionale e internazionalizzazione delle imprese.
  Ringrazio il Viceministro Carlo Calenda per la sua presenza. Dopo aver audito ieri la Ministra Carrozza, siamo finalmente arrivati anche a quest'audizione che, a causa dell'andamento dei nostri lavori (ovviamente non nostra personale), è stata più volte rimandata. Di questo ovviamente me ne scuso.
  Darei subito la parola a Carlo Calenda. In seguito apriamo la discussione e, se ci riusciamo, il Viceministro darà subito le risposte. Se invece il dibattito si prolunga, il Viceministro sarà così cortese da tornare per le risposte. Io credo che sia preferibile concludere l'audizione in un'unica seduta in modo da avere domande e risposte nella stessa sede. Onestamente, preferisco avere meno domande, più concentrate e più rapide, a cui viene risposto subito, piuttosto che diluire i tempi dei nostri lavori.
  Do la parola al Viceministro Carlo Calenda per la relazione.

  CARLO CALENDA, Viceministro dello sviluppo economico. Grazie. Le mie deleghe sono sostanzialmente orientate su due macrotemi: il primo è la promozione internazionale del sistema, vale a dire quello che l'Italia fa per aiutare le imprese a incrementare il loro export; e l'altro è la politica commerciale che, come voi sapete, è esercitata in via esclusiva da Bruxelles, ma ovviamente è fondata sulle linee che i Paesi danno attraverso il Consiglio in materia di commercio. Quindi, la prima è una parte di attività vera e propria, mentre l'altra è una parte più di indirizzo e di policy.
  La relazione che vedete ha come base il documento che ho presentato alla cabina di regia per l'internazionalizzazione, che è sostanzialmente la sede formale nella quale si definiscono le linee guida dell'attività promozionale (e non della politica commerciale), e che mette insieme sia gli attori privati (le associazioni) sia alcuni Ministeri fondamentali per l'internazionalizzazione. Segnatamente la cabina viene cogestita dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero degli esteri.
  Il documento che abbiamo predisposto è piuttosto ampio. Cercherò di procedere alla sua illustrazione con un certo grado di rapidità, ma sono disponibile ad approfondire Pag. 4anche successivamente i vari argomenti trattati in tutti i modi possibili. Innanzitutto, il mio punto di partenza è quello di cercare di dare un orizzonte temporale che ci consenta da un lato di pianificare le attività, e dall'altro di darci degli obiettivi misurabili. Abbiamo mappato questi obiettivi misurabili secondo una logica che da un lato tiene conto del trend consolidato (cioè l'andamento) delle esportazioni italiane, e dall'altro assume che una serie di azioni possano determinare un aumento o una variazione delle esportazioni stesse. Parliamo quindi degli effetti che le policy che porteremo avanti avranno sull'aumento delle esportazioni.
  Come vedete, la nostra previsione per il 2013 è di una crescita pari al 3,2 per cento. Successivamente vedremo in dettaglio come stanno andando le cose. C’è un dato che occorre in particolare tenere a mente: la percentuale di export sul PIL, che di fatto è un modo per avere una misura puntuale non solo di come stanno andando le esportazioni, ma anche di quanto conta il settore dell'esportazione sul prodotto interno lordo. Voi direte che è un numero grande, e lo è. Tuttavia, non è un numero gigantesco, se paragonato a quello della Germania. Questo è determinato da una cosa che poi vi mostrerò, ma che credo sia intuitiva per tutti noi: la dimensione media dell'azienda italiana, che ha una certa difficoltà a internazionalizzarsi.
  Quali sono gli elementi che potranno determinare questa crescita ipotizzata per l'anno 2013 ? Il primo fattore è la chiusura di una serie di accordi di libero scambio. Noi, come vedete, abbiamo cercato di tirare la curva fino alla fine del 2015. In particolare, possiamo vedere l'impatto nel 2015 della chiusura dell'accordo di libero scambio con gli Stati Uniti, di cui vi abbiamo dato alcune evidenze.
  In questo momento l'Unione europea sta negoziando due accordi molto concreti, che sono quello già citato con gli Stati Uniti, e quello col Canada, che è in via di chiusura, e su cui poi vi darò delle anticipazioni. Ci sono invece alcuni altri accordi che sono molto più lenti a chiudersi: quello con l'India, che sarebbe il primo accordo di libero scambio con un grande Paese BRIC; e quello col Giappone, che è in una situazione di estrema difficoltà, in quanto non cede sulle cosiddette «barriere non tariffarie», di cui poi vi parlerò brevemente, perché costituiscono il nuovo grande problema della globalizzazione.
  Vi ho riportato alcuni dati. La slide a pag. 6 (vedi pag. 6 dell'allegato) riguarda le esportazioni italiane per settore ed è necessariamente articolata. È possibile vedere dove la nostra quota di mercato è superiore o inferiore a quella francese, e a quella francese e tedesca. Vi illustro i dati in estrema sintesi. Prima di tutto vi fornisco un dato di cui si sa relativamente poco: nel 2012 (dato consolidato) il nostro export è cresciuto più di quello di Francia e Germania. Soprattutto la Francia, come vedrete, ha un problema, che sta diventando sempre più strutturale, in tema di esportazioni, tanto che la nostra quota di mercato è superiore alla loro, pur essendo l'economia italiana inferiore. Mentre la variazione percentuale ovviamente prescinde dalle dimensioni assolute, la quota di mercato non prescinde dalle variazioni assolute. È chiaro dunque che idealmente la quota di mercato francese dovrebbe essere per definizione sempre superiore a quella italiana, proprio in virtù dell'entità economica.
  Aggiungo un'altra considerazione molto interessante: all'inizio del periodo in cui la globalizzazione si è andata affermando, voi avete sentito tantissima retorica sul fatto che il modello industriale italiano era sbagliato, perché sostanzialmente basato su una manifattura di settori di prima industrializzazione, ossia quelli che tradizionalmente i nuovi Paesi industrializzano subito. Penso in particolare al tessile e all'agroindustria. Invece quello francese, che era più caratterizzato da grandi aziende, con centri di ricerca che rimanevano in loco e pezzi delocalizzati in altri Paesi, era un modello che più si confaceva Pag. 5alla globalizzazione. Mi riferisco a quella che viene chiamata global value chain, di cui sentite molto parlare.
  La mia tesi, su cui il Governo sta orientando tutta la sua attività, è che questa opinione sia palesemente falsa. Infatti i settori cosiddetti tradizionali del manifatturiero italiano sono forti, soprattutto all'estero. Questo pone una riflessione su quello che facciamo in Italia, perché se le nostre aziende sono più forti all'estero di quelle francesi e tedesche, allora emerge un problema del sistema. Soprattutto, il manifatturiero sta tornando nei Paesi occidentali, tant’è che il Presidente degli Stati Uniti ne ha fatto un elemento centrale della sua attività di politica industriale. Anche quei Paesi del cosiddetto «blocco del Nord Europa», capitanati dall'Inghilterra, cominciano pian piano a capire che senza manifatturiero neanche i servizi si evolvono.
  È chiaro che non può essere un manifatturiero di natura puramente tradizionale. Deve essere un manifatturiero nuovo. Le imprese italiane stanno già sviluppando questo manifatturiero nuovo. Io ho avuto un incontro all'OCSE – una delle prime cose che ho fatto – durante il quale la tesi prevalente era che l'Italia non cresce perché c’è poca ricerca. Questo è vero; lo sappiamo, ed avete sentito anche il Ministro Carrozza recentemente intervenire su questo argomento.
  Tuttavia, queste ricerche non tengono mai in considerazione quella che io ho chiamato in quell'occasione «innovazione on the job». Voi sapete che le aziende italiane hanno innovato sulla catena di montaggio; e questo ci ha dato la forza nel sistema delle macchine utensili. Questo tipo di ricerca non può prescindere dalla presenza della catena produttiva. Questo vuol dire che delocalizzando la catena produttiva, cessa anche quel tipo di innovazione. È per questo che il nostro asset fondamentale rimane oggi il manifatturiero. Da questa visione noi dobbiamo orientare la politica industriale, e soprattutto la politica commerciale, che il manifatturiero deve supportare, e in qualche modo difendere. Da questo nasce il grande scontro interno all'Europa, perché ci sono molti e diversi orientamenti.
  In generale noi abbiamo un problema: le nostre esportazioni sono orientate verso mercati più tradizionali o vicini, ovviamente a causa della dimensione d'impresa. Tuttavia, come vedrete, è anche vero che l'accelerazione sull’export extraeuropeo è molto pronunciata in questo momento. Noi siamo sicuramente leader – o piuttosto ce lo contendiamo – in una serie di Paesi, come quelli del Nord Africa. Nei due blocchi associati dei Paesi europei che non fanno parte dell'Unione europea (a partire dai Balcani) e dei Paesi del Nord Africa, tradizionalmente sfere di riferimento della Germania gli uni, e della Francia gli altri, l'Italia sta mordendo in tutte e due le aree. Se consideriamo il posizionamento complessivo, siamo i più forti. Questo vale anche per la Turchia.
  Questo è un grande asset e un grande rischio in questo momento. Infatti, si tratta di Paesi – soprattutto quelli del Nord Africa – che sono in una situazione di instabilità molto forte. In particolare penso al problema dell'Egitto, dove le aziende italiane sono molto esposte. Ci sono anche alcune percezioni di chiusura in Turchia, che sono appena agli inizi, ma che rischiano di far cambiare in qualche modo la nostra situazione.
  Su questo noi stiamo vigilando molto attentamente, implementando quelle che noi chiamiamo «azioni government to government», cioè non portando le aziende in questi Paesi, ma monitorando le aziende che ci sono e il lavoro che i Governi locali stanno facendo. Non stiamo quindi continuando con l'attività promozionale, ma stiamo affermando che prima di portare altre imprese italiane vogliamo capire cosa stanno facendo per proteggere quelle che ci sono in questo momento.
  Abbiamo mappato i principali settori industriali. Innanzitutto c’è un aspetto interessante che riguarda la chimica farmaceutica, che cresce moltissimo. La quota di mercato, che è relativamente Pag. 6contenuta, sta crescendo tantissimo, a testimonianza che il sistema italiano è molto più articolato di quello che si pensa.
  Abbiamo un problema sulla meccanica, dove siamo tradizionalmente molto forti, ma non riusciamo a reggere se dobbiamo basarci solo sulle esportazioni. Quindi abbiamo bisogno di agire, sullo schema di quanto fatto con la legge Sabatini. Quest'ultimo è un provvedimento che aiuta moltissimo anche le esportazioni, perché comunque c’è bisogno di una componente su beni di d'investimento e di domanda interna per mantenere una capacità innovativa e competitiva. Vi ho riportato inoltre il peso dei settori sull’export italiano, che può essere interessante conoscere.
  Ovviamente voi sapete che se facessi questa presentazione in un'altra sede, sottolineerei che non è vero, come pensiamo tutti, che i nostri beni siano principalmente legati all'abbigliamento, alla moda e al lusso. Come dicevo, c’è l'innovazione on the job. Tipicamente succede che l'operaio sulla catena di montaggio di un prodotto di abbigliamento, si inventa un sistema per migliorare la produzione e ne fa un business. Questa è l'origine della meccanica italiana, ed è una storia preziosissima che va tutelata in tutti i modi.
  Siamo nei settori sbagliati ? Questa è una domanda che mi sono posto, perché, come vi dicevo, c'era una grande retorica su questo all'inizio della globalizzazione. La risposta è che non lo siamo per niente. Se esaminate i tassi attesi di crescita della domanda mondiale sui vari settori, vedrete che sono tutti tassi molto significativi. Dunque non c’è nessun trend storico che emargini l'Italia per la sua specializzazione settoriale. Al contrario, ci sono opportunità che crescono giorno dopo giorno.
  Il problema è che la dimensione d'azienda incide in maniera determinante. Oggi noi abbiamo un numero di aziende che esportano troppo ridotto. Il dato positivo è che, mentre l'accelerazione sull'internazionalizzazione riguardava prima le grandi imprese, e poi le medie imprese, nell'ultimo anno ha riguardato soprattutto le piccole e medie imprese. Ciò vuol dire che ovviamente la crisi, avendo prosciugato il mercato interno, ha dato una spinta molto forte agli imprenditori, che, peraltro, per stare sui mercati stranieri tendono a ridurre i margini di profitto. Stanno facendo una scelta saggia e di lungo periodo: guadagnano meno, però non perdono quote di mercato.
  Uno dei nostri obiettivi strategici è lavorare per portare imprese che sono occasionalmente esportatrici, con una percentuale inferiore al 10 per cento, a diventare esportatrici abituali, stabili e poi prevalenti. Il lavoro che va fatto, a cui dedichiamo un'attività ad hoc, consiste nell'andare a cercare non le imprese che sono già presenti e hanno già assaggiato l'internazionalizzazione, ma piuttosto quelle che oggi fanno due o tre contratti di export, però non hanno un export manager, e quindi non sanno come fare export. Queste imprese sono troppo piccole per assumerne uno, e quindi bisogna trovare una soluzione. Da qui nasce l'idea di una misura che aiuti il temporary export manager, cioè quelle società che già oggi stanno dando un export manager alle imprese, magari per uno o due giorni a settimana. In questo modo l'impresa piccola può pagare, perché non deve assumere l’export manager spendendo tanti soldi subito, ma può mandarlo a regime prima di assumerlo.
  I dati di questi primi sei mesi sono molto disomogenei. La performance è migliore di quella di Francia e Germania, ma è in lieve stabilità. Tenete però presente che l'anno scorso fu l'opposto. Con questo voglio dire che il periodo di dodici mesi è appena sufficiente per dare una valutazione. Infatti l'anno scorso ci fu un'accelerazione fortissima nella prima parte dell'anno e una decelerazione nella seconda. Quest'anno ci aspettiamo esattamente l'inverso, cioè una lieve decelerazione nella prima parte, e un'accelerazione nella seconda.
  L'altro trend è quello di cui vi dicevo prima: ci sono Paesi extra UE che funzionano, e Paesi dell'Unione europea che Pag. 7contraggono. Noi riteniamo che la progressiva uscita dalla crisi, che ormai, per quanto riguarda l'Unione Europea, è abbastanza chiara, farà ripartire questo pezzo di domanda che in questo momento manca.
  L'altro elemento da considerare è che i settori sono molto disomogenei: c’è un calo molto pronunciato dei prodotti petroliferi, e di derivazione petrolifera, e di metalli; c’è una tenuta dei settori tradizionali del made in Italy; continua andare molto bene la farmaceutica, che sta diventando un settore che cresce molto positivamente.
  Un altro elemento, davvero drammatico, su cui abbiamo già iniziato un lavoro dedicato è la questione del Sud. C’è una disomogeneità che diventa sempre più ampia tra regioni meridionali e regioni settentrionali.
  Come funziona oggi la promozione ? La promozione aveva elementi misti. I fondi per la promozione erano sostanzialmente di due tipi: c'erano il fondo made in Italy, gestito dal Ministero, e i fondi del piano promozionale dell'ICE, gestiti appunto dall'Istituto per il commercio estero. Questi fondi avevano la loro ragione d'essere in termini di differenziazione di attività, nel senso che i fondi per il made in Italy avevano un'operatività un po’ più strutturale, e meno di promozione, mentre i fondi dell'ICE erano più dedicati alla promozione.
  La prima cosa che ho fatto è cercare di unificarne nella gestione, per una ragione molto semplice: viste le esiguità delle risorse – erano 40 milioni di euro, ne sono stati tagliati 2, e dunque ora sono 38 milioni di euro nel complesso – questi fondi non consentono una dispersione, ma vanno concentrati.
  Il secondo elemento da considerare è che, data l'esiguità dei finanziamenti, noi non riusciamo a coprire nuovi mercati. Ci sono una serie di appuntamenti a cui le aziende italiane vogliono andare comunque. Faccio un esempio di un posto dove andrò: l'Anuga, che è la grande fiera agroalimentare. Le imprese italiane ci vanno sempre di più, e fanno ottimi affari. Il problema è che lo stanziamento si è ridotto (poi vi farò vedere la curva). Si sono lasciate indenni queste manifestazioni, che vanno tenute, perché rappresentano un po’ il core business che le imprese chiedono di avere, mentre si lasciano totalmente scoperti nuovi mercati, con percentuali che, come vedete, sono semplicemente ridicole.
  Penso a tutta l'Africa subsahariana, dove parliamo di cifre che nemmeno un'industria privata da sola spenderebbe. La situazione è interessantissima. Io sono rientrato di recente dal Mozambico, dove sono stato perché, come voi sapete, l'ENI ha scoperto due importantissimi giacimenti. Lì c’è un Paese da fare, con tutta l'impiantistica e le infrastrutture, ma anche con tutta l'agroindustria. Non c’è nessuna trasformazione. Questi Paesi sono molto interessanti, ed oggi non sono praticamente presidiati.
  In secondo luogo, questa situazione delle risorse dà luogo a squilibri tra i settori. Ho cercato di capire come funziona. Se ci sono la farmaceutica e le biotecnologie che stanno partendo, bisogna accompagnarle. Se si destina loro il 2,1 per cento dei fondi, si parte già molto male. Sui prodotti agroalimentari si può fare un lavoro molto più forte. Tra l'altro il prodotto agroalimentare in questo momento continua a crescere benissimo, ma non abbiamo fondi da destinare. Questa è la ragione per cui la situazione è quella che è.
  Vedete qual è l'assegnazione dell'attività promozionale dell'ICE nel corso degli anni. Vedete i fondi, già ridotti, che sono andati pian piano a scemare. Questi sono alcuni dati su quello che fanno gli altri. I nostri fondi per il piano promozionale sono 28 milioni di euro, mentre sono 170 in Germania, 150 in Francia, e 140 in Spagna. Vi rendete conto che stiamo parlando di un nulla. Non si riesce dunque a diversificare l'attività; e non c’è un rafforzamento della rete estera. Per esempio, tutta l'Africa subsahariana – adesso abbiamo cominciato ad aprire in Mozambico Pag. 8– si seguiva dal Sudafrica. In questo modo non si può fare un lavoro serio sull'aumento delle imprese esportatrici.
  Su questo, come succede di solito in Italia, c’è una discussione su quello che fanno le regioni, con una componente di retorica e una componente di verità. La componente di retorica è che le regioni abbiano decine di miliardi di euro. Noi abbiamo mappato i fondi regionali; la situazione è ben diversa.
  È anche vero però che va fatto un lavoro di distribuzione di compiti tra Stato e regioni. Una delle cose che avremmo deciso con Spacca, che si occupa della parte internazionale per le regioni, è che le regioni facciano un lavoro di natura diversa, che dopo vi farò vedere, collegato a quello che vi dicevo sull’export manager. Se le regioni riuscissero ad aiutare le imprese della regione a prendere un export manager, anche con misure di sostegno all’export manager temporaneo, che comincia con lo stare due o tre giorni a settimana, questo determinerebbe un'immediata crescita dell’export. Chi meglio delle regioni, che sono vicino alle realtà imprenditoriali, potrebbe dedicarsi prevalentemente a questo lavoro ?
  Questa è la distribuzione delle risorse, a cui vanno aggiunti alcuni fondi di coesione, su cui c’è una discussione ampia. Di fatto le regioni riescono a spenderli poco sull'internazionalizzazione, e quindi li riprogrammano continuamente. Anche lì il lavoro che si deve fare – ne ho parlato con il Ministro Trigilia – è focalizzare, dicendo alle regioni di utilizzate i fondi per due o tre attività di natura strutturale, e non di natura promozionale pura. La promozione pura rischia di essere poco efficace, se parcellizzata o ridotta a una sola regione.
  Vi ho fatto vedere quali sono le differenze di stanziamento. L'altra cosa che io ritengo importante è ragionare in ottica di benchmarking, cioè vedendo cosa fanno gli altri. Per non infierire, cercherò di evitare di soffermarmi troppo sui numeri, ma considerate l'equivalente dell'ICE per la Germania, che segue le aziende con le Camere di commercio. Le Camere di Commercio fanno il lavoro di promozione all'estero, e quindi i numeri vanno aggiunti. Come vedete, non c’è paragone, neanche dal punto di vista strutturale. Il punto di vista strutturale è importantissimo, perché quello che serve alle aziende italiane non è solo l'attività promozionale in occasione della fiera, ma anche un lavoro «uno a uno». Quando l'impresa va all'estero, bisogna fornirle servizi. Ma se non si ha personale all'estero, perché è concentrato in Italia, come nel caso dell'ICE, questo diventa molto difficile.
  In questa cabina di regia abbiamo stabilito innanzitutto di aumentare le risorse promozionali a disposizione dell'ICE. Questo serve per fare un piano che poi vi mostrerò, che è un piano di spinta che punta molto sulle piccole e medie imprese. In secondo luogo, intendiamo rilanciare molto la presenza all'estero, attraverso le missioni, che vanno fatte con un'ottica molto precisa, e con una segmentazione.
  A questo si collega l'altro documento che trovate: una bellissima analisi di Prometeia, che – tanto per chiarire – è stata fatta prima che io arrivassi, e quindi non ne ho alcun merito. È davvero fatta bene, e mostra una segmentazione dei mercati, sulla base dei settori di specializzazione italiana, in tre categorie: beni di investimento, infrastrutture, e beni di consumo. Noi abbiamo usato questo lavoro – senza rifarlo per l'ennesima volta – come schema, a cui abbiamo aggiunto alcuni altri parametri, per definire dove andiamo, in tutte le articolazioni del Governo, a seconda dell'obiettivo che vogliamo ottenere.
  Tendiamo poi verso una maggiore focalizzazione nella scelta dei mercati. Come vi dicevo, bisogna insistere su settori che oggi sono sottovalutati. Un altro obiettivo è la complementarietà, sia con i fondi del made in Italy, che sono quelli gestiti dal Ministero e che invece andrebbero tenuti dentro un flusso unico di lavoro, sia con il Piano Export Sud, che è un piano dedicato alle imprese e che mette in gioco, Pag. 9insieme alle regioni, 50 milioni di euro, per far fronte a un'emergenza su cui bisogna fare uno sforzo ulteriore.
  Vorrei ora affermare un principio di base: nel momento in cui diamo più risorse all'ICE, abbiamo chiesto a quest'ultimo di produrre un piano industriale, di cui vedrete dopo gli elementi fondamentali. L'ICE deve dirci in che modo sviluppa le sue attività, e deve conseguentemente darci degli obiettivi che siano misurabili. Altrimenti diventa una valutazione soggettiva e generica. Per aiutare questo sistema, il Ministero sta facendo una bando per affidare a una grande società una verifica dell'attività di ICE, SACE e Simest per tre anni. Questa verifica consisterà in un pannello di controllo, basato sostanzialmente su due assi: la qualità, misurata sul grado di soddisfazione dei clienti, cioè delle imprese; e il costo dei servizi.
  Per esempio, come credo voi sappiate, ci sono alcuni dubbi sul fatto che la SACE abbia dei rates competitivi – pondero le parole, data la sede istituzionale – però dobbiamo avere elementi oggettivi. Una cosa sono le percezioni dei singoli imprenditori, e altra cosa sono gli elementi oggettivi. Questa verifica sarà regolata, e ogni anno, per tre anni, ci saranno degli elementi oggettivi su cui misurare i loro risultati.
  Inoltre, ci sono due iniziative, tra cui una fondamentale, che è quella del road show per le piccole e medie imprese. Andremo a prendere quelle imprese che oggi sono saltuariamente esportatrici e le chiuderemo in una sala, non a Roma, ma su tutti i territori. Partiremo con Biella, che ha un valore anche simbolico, perché la tessitura italiana ha una grandissima difficoltà in questo momento. Copriremo tutta l'Italia in maniera permanente, e metteremo in una sala le imprese per un giorno e mezzo, con una parte di inquadramento internazionale dedicata al settore, dove si può andare o meno, e un'altra fatta uno a uno, ossia ICE, SACE e Simest incontreranno la singola impresa e per un'ora gli spiegheranno quello che può fare nei diversi mercati.
  Ovviamente raffineremo il sistema cento volte, perché sarà molto complesso. Dobbiamo tirar fuori queste imprese dall'Italia, e l'unico modo è non fare le iniziative a Roma, a cui partecipano sempre le stesse aziende, ma andarsele a prendere sul territorio.
  In secondo luogo, c’è l'accordo TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) con gli Stati Uniti. Secondo me ci vorranno orientativamente 18 mesi per concluderlo. Il massimo livello di impatto in termini positivi sarà sull'Italia, perché gli Stati Uniti sono molto protezionisti in tutti i settori tradizionali del made in Italy, a partire dal tessile. Dalla normativa sull'infiammabilità della seta, al cotone, passando per l'abbigliamento per bambini, hanno tantissime barriere, daziarie e non.
  Fatto l'accordo, il problema è che la distribuzione americana è difficilissima e ha regole molto complesse. Nella mia precedente vita professionale, ho lavorato alla Ferrari quando lanciammo la Maserati negli Stati Uniti, ed è stato praticamente come fare una macchina nuova, perché c'erano tutta una serie di regolamentazioni, tra cui la cosiddetta legge Lemon Law, in California, che consentiva di restituire la macchina se non funzionava. È un mercato difficilissimo.
  A questo proposito ci è venuta un'idea: visto che possiamo veramente beneficiare di questo accordo, non facciamo come al solito, arrivando a chiudere l'accordo per poi fare l'iniziativa, ma usiamo questi 18 mesi per andare con le associazioni di imprese negli Stati Uniti e in Italia, per spiegare loro come affrontare la distribuzione americana. In questa maniera quando l'accordo sarà concluso, loro potranno avere un'immediata accelerazione dal punto di vista della presenza sul mercato.
  Concludo con due osservazioni più o meno tecniche. La prima è che assurdamente il piano promozionale di quest'anno è stato approvato a luglio. Come fa un'impresa a pianificare cosa si farà ? Il piano promozionale 2014 deve essere approvato Pag. 10tassativamente entro quest'anno, altrimenti le imprese non riusciranno a regolare la loro attività.
  In secondo luogo, ci sono una quantità di siti diversi (ICE, Ministero degli esteri, Camere di commercio), e questo non può più funzionare. Aveva cominciato a svilupparne uno anche il Ministero dello sviluppo economico, ed io l'ho fermato, perché voglio vedere prima come si inserisce in questo quadro. Altrimenti inseriamo un'altra piattaforma e le imprese non capiscono più nulla.
  Come ho detto, la priorità per le regioni – ovviamente le regioni non devono seguire gli indirizzi del Governo in questa materia, ma si sono raccordate con noi e ho trovato una buona volontà – è l'attività sul temporary export management, che secondo noi è fondamentale.
  Avere queste risorse in più consentirebbe all'ICE di moltiplicare il numero delle iniziative, e soprattutto di coprire molti più Paesi e molti settori che oggi non vengono coperti. Abbiamo fatto un'ipotesi di allocazione delle risorse. Io l'ho voluta fare perché credo che quando vengono chiesti soldi agli azionisti – noi siamo tutti azionisti dell'ICE perché quelli che loro usano sono soldi pubblici – bisogna prima definire dove devono essere investiti. Io ho cercato di farglielo definire, sentendo le imprese e le associazioni di imprese, perché ovviamente sono loro a doverci dire, in parte, dove vogliamo andare.
  Vedete che in realtà la crescita forte è sul Nord America, proprio per le attività di preparazione al TTIP. Questi sono i risultati dell'analisi di Prometeia che avete, la segmentazione, e la metodologia che è stata usata. Io so che è uno studio apparentemente noioso ed enorme, ma vi consiglio davvero di leggerlo, perché è fatto molto bene e vi fa scoprire cose interessantissime.
  Ieri abbiamo incontrato il Primo Ministro della Thailandia. La Thailandia è un Paese straordinario, dove si può andare a fare tantissime attività, e dove noi siamo ancora molto poco presenti. Quando si parla di internazionalizzazione, ci si riferisce ovviamente sempre ai BRIC. Invece è molto importante capire che oggi si può arrivare a un grande mercato, anche attraverso un Paese che è legato ad esso con un accordo di libero scambio (nel caso della Thailandia, l'ASEAN che raggruppa 600 milioni di persone), che magari è di più facile accesso, e può costituire quello che noi chiamiamo hub internazionale, da cui si può esportare.
  Abbiamo poi definito il modo di procedere: le missioni non possono essere tutte uguali. C’è bisogno di missioni differenti, con posizioni differenti. Ci sono missioni di sistema che riuniscono insieme il Governo italiano al massimo livello, il sistema bancario, e il sistema delle imprese grandi e piccole, in cui il Paese si presenta tutto insieme. Queste sono state fatte con molto successo in passato, a condizione che il business to business, cioè l'organizzazione di incontri individuali per le imprese, sia la componente fondamentale. Altrimenti le missioni diventano solo degli eventi di ballo e cene, che non servono assolutamente a niente. Tuttavia tutti i grandi Paesi, ogni due anni, vanno nei grandi mercati con il Presidente del Consiglio e tutto il sistema. Questa è parte della vita di relazione economica che oggi esiste.
  Il secondo elemento sono i follow up, ossia le missioni settoriali che seguono queste missioni di sistema, e che vanno fatte costantemente. Non devono essere missioni estese, ma molto ristrette e molto precise.
  Il terzo fattore sono le missioni government to government, ossia missioni – io ne ho fatta una in Algeria, per esempio – in cui il Governo italiano va a difendere i propri interessi, in maniera molto chiara, cosa che talvolta non è stata fatta. Molto spesso noi abbiamo l'attitudine di dire che vogliamo portare le piccole e medie imprese in Algeria. Io porto le piccole e medie imprese in Algeria, se l'Algeria fa alcune cose per accoglierle. Lo Stato non può assumersi la responsabilità di portare imprese che non sono pronte per quel mercato. Ho citato l'Algeria come esempio, Pag. 11e non perché sia questa la situazione oggettiva. Non farò nomi di Paesi specifici per ovvie ragioni.
  Lo stesso vale per i Paesi che si stanno chiudendo. Se ci sono Paesi che mettono barriere verso i prodotti italiani, l'Italia, prima di portare altre imprese, deve chiedere la rimozione di quelle barriere.
  Vi ho parlato del road show. Sostanzialmente l'idea è di partire con queste quindici tappe, e poi farlo diventare un flusso automatico di input di aziende che vogliono internazionalizzarsi. Vi ho raccontato anche della preparazione dell'accordo TTIP.
  Riguardo agli strumenti, abbiamo chiesto all'ICE di fare un piano industriale. Qui vedete gli elementi qualitativi di questo piano industriale. C’è però un elemento quantitativo, che è l'unico che veramente ci farà misurare. Oggi l'ICE ha una componente di servizi che non sono quelli forniti a gruppi di imprese in occasione di una fiera, e pagati dallo Stato, ma quelli forniti alle singole imprese. Questi servizi sono talvolta a pagamento, anche se rappresentano molto poco sul bilancio dell'ICE.
  Abbiamo chiesto all'ICE di fare uno sforzo e di indicare un obiettivo molto sfidante, cioè un aumento del 170 per cento. A parte il fatto che in questo modo copriamo un po’ di costi, (il che non è male), c’è un dato importante: se le imprese non sono disponibili a pagare per i servizi individuali, vuol dire che i servizi individuali erogati non sono sufficientemente buoni in termini di qualità. Questo è a priori un modo per valutare l'efficacia delle strutture dell'Istituto per il Commercio Estero. Devo dire che l'ICE ha accettato questa sfida, ha fornito questi dati e adesso potremo misurarli.
  Vi dicevo del pannello di controllo che abbiamo stabilito su ICE, SACE e Simest. SACE e Simest dipendono, come voi sapete, dalla Cassa depositi e prestiti, e quindi dal Ministero dell'economia e delle finanze, e su essi va fatta una riflessione seria, perché sono due strumenti di politica industriale per l'internazionalizzazione importanti quanto l'ICE. Bisogna che abbiano come missione fondamentale non solo quella di fare tantissimi utili – la SACE fa tantissimi utili, ed è un bene per tutti perché arrivano anche a noi – ma anche quella di orientare la loro attività a favorire categorie di imprese che hanno difficoltà ad assicurare le loro esportazioni.
  Questo vale per la Simest che lo fa per gli investimenti. È chiaro che, dato il modello delle piccole e medie imprese italiane, e dato il nostro modello di specializzazione settoriale, questi strumenti non possono lavorare esclusivamente in un'ottica di utile, perché ciò non è destinato a ritornare in termini economici e complessivi per il Paese. Per questa ragione abbiamo elencato una serie di cose che vanno fatte, in entrambi i casi, e sulle quali c’è un impegno condiviso del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Vi ho citato il caos dei diversi sistemi informativi. Anche su questo abbiamo iniziato un ragionamento.
  Arrivo ora all'ultimo capitolo, riguardante la politica commerciale, che forse è quello più politico. Come dicevo, abbiamo una serie di accordi in negoziazione. In realtà sono molti di più di quelli che vi ho citato: ce n’è uno con la Thailandia e ce ne sono molti altri. Vi ho parlato di quelli fondamentali.
  L'accordo con gli Stati Uniti, come vi dicevo, è l'accordo più importante per noi. Vedrete nelle slide successive alcuni numeri. Abbiamo fatto fare un'analisi d'impatto sull'economia italiana, prima di negoziare il mandato, perché tutti i Paesi degni di questo nome, prima di andare a sedersi a un tavolo in cui si negozia un accordo di libero scambio, cercano di capire cosa succede se si chiude in un modo o nell'altro. Magari si scopre che si subisce un rallentamento pauroso. In questo caso non è così, per le ragioni che vi ho detto. Gli Stati Uniti continuano a essere un mercato abbastanza chiuso, e rispetto all'Europa molto chiuso, su barriere tariffarie e non tariffarie e sui nostri settori.Pag. 12
  C’è un tema centrale, che tornerà, che è quello delle indicazioni geografiche. Voi conoscete la questione del parmesan cheese, che va moltiplicata per un miliardo. È un problema fondamentale. Gli Stati Uniti, come del resto moltissimi Paesi, non riconoscono le nostre indicazioni geografiche. Il concetto di indicazione geografica, ovvero che a usare il marchio «Parmigiano reggiano» possono essere solo quelli del Consorzio del Parmigiano Reggiano, così come avviene per il Prosciutto di Parma, non è legalmente riconosciuto. Per loro queste sono indicazioni generiche, per cui, per esempio, se un soggetto registra in Canada il «Parma ham», come fa Maple Leaf dagli anni 1970, il nostro prosciutto entra in Canada come «Original prosciutto», perché non può usare il marchio «Prosciutto di Parma».
  Gli accordi di libero scambio sono il modo fondamentale in cui l'Italia fa riconoscere questa indicazione geografica. Ciò non vuol dire che sarà vietato il Parma ham, che esiste dal 1971, ma che i nostri entreranno come «Prosciutto di Parma» (questo è il principio di coesistenza), e sarà negoziato un divieto di evocazione che impedirebbe di mettere sui loro prosciutti la foto della città di Parma o una bandiera italiana. Questo varia da categoria merceologica a categoria merceologica, ed è la battaglia che stiamo facendo.
  Su questo vi dico una cosa molto specifica che il Governo italiano ha deciso di fare. L'Unione europea ha concluso con i Paesi del Centro America un accordo di libero scambio, che prevedeva il riconoscimento delle indicazioni geografiche. A pochi giorni dalla notifica della chiusura dell'accordo, ossia dall'entrata in vigore reale, presso le Corti di Salvador e Costarica sono state depositate opposizioni alla registrazione di molti dei nostri marchi importanti (Parmigiano, Prosciutto di Parma eccetera). Casualmente – immagino – coloro che hanno presentato le opposizioni fanno parte di un'associazione che ha sede a Washington, che sostiene la genericità di questi nomi, e non vuole che si riconoscano.
  Il Governo italiano ha stabilito, con una decisione senza precedenti, di mettere il veto alla notifica di quest'accordo. Di conseguenza l'accordo non è andato in vigore per Costarica e Salvador. Abbiamo deciso di fare questo, perché riteniamo che il nostro interesse nazionale riguardi le indicazioni geografiche, come altri hanno altre tipologie di prodotto. Se necessario, siamo disponibili a non chiudere un accordo sul prosciutto o sul parmigiano. Era un principio fondamentale da stabilire con la Commissione, e un messaggio da mandare con grande chiarezza, anche agli Stati Uniti, in vista della negoziazione di un futuro accordo commerciale.
  Entro il mese di settembre le corti di Costarica e Salvador decideranno su queste opposizioni, e se tutto si risolverà – ce lo auspichiamo, perché sono due Paesi con cui abbiamo ottime relazioni – si chiuderà questo contenzioso e accetteremo la notifica, e quindi l'entrata in vigore dell'accordo.
  In Canada si sta andando verso una conclusione. Gli elementi negoziali sono molto informali. C’è un sostanziale miglioramento nel riconoscimento delle nostre indicazioni geografiche. Abbiamo fatto una riunione preliminare con i consorzi, che cerchiamo sempre di tenere a bordo in queste cose, perché sono loro a dover valutare se il risultato è soddisfacente o meno. Lo schema in questo momento è soddisfacente, ma stiamo chiedendo uno sforzo in più, soprattutto sul divieto di evocazione, quello che determina in larga parte l’italian sounding. Il Presidente del Consiglio sarà a Ottawa alla fine della prossima settimana, e contiamo di riuscire a dare una spallata su questo. Comprenderete che un accordo in questo senso con il Canada sarebbe di grande importanza, anche alla luce dell'accordo con gli Stati Uniti.
  Gli accordi con il Giappone e con l'India, come vi ho detto, sono molto più complessi. In particolare, il Giappone in Pag. 13questo momento non sta dando prova di voler smantellare le tante barriere non tariffarie che ha. A febbraio potremo invocare una rendez-vous clause, ossia l'Unione Europea potrà bloccare la negoziazione, sentendo i Paesi membri. Al momento, per come si sta evolvendo la situazione, questo rischio è più che concreto. La stessa cosa vale per l'India, con cui siamo in una fase di stallo.
  Nella documentazione trovate le analisi di impatto nei diversi scenari (cauto o ottimistico) di chiusura dell'accordo. L'avverarsi dello scenario cauto o ottimistico dipende dal livello di smantellamento delle barriere, soprattutto di quelle non tariffarie. Trovate anche un'analisi per settori. Chiudo su questo, perché poi c’è un tema di difesa commerciale più semplice. Riguardo alle barriere non tariffarie, oggi costituiscono il sistema di chiusura dei mercati internazionali che tutti stanno adottando; e molti lo stanno facendo in maniera piuttosto spregiudicata. Lo stanno adottando molto sui nostri settori di specializzazione, perché sono i loro settori di prima industrializzazione, e quindi cercano di bloccare.
  È un sistema molto complesso. Da noi oggi, ad esempio, sta molto soffrendo l'industria della concia, e questo è dovuto al fatto che sono gli stessi Paesi che si sviluppano a mettere dazi sulle esportazioni, perché vogliono tenersi la materia prima per loro. È tutto molto complesso, perché noi siamo abituati a guardare solamente le esportazioni, cioè i nostri interessi più immediatamente offensivi. In realtà oggi c’è una concatenazione tra esportazioni e importazioni. Se non importiamo bene, non esportiamo bene.
  Abbiamo proposto all'Inghilterra, che è il Paese più lontano da noi dal punto di vista di pensiero sulla politica commerciale (noi siamo più industrialisti, e quindi siamo tendenzialmente più legati alla Francia, alla Spagna, e in alcuni casi alla Germania), di fare un lavoro insieme sulle barriere non tariffarie, che hanno un interesse offensivo e quindi tutti vogliono smantellarlo quando riguarda gli altri Paesi. Oggi non si sa quale sia l'impatto e non si conosce l'ordine di grandezza di tale impatto. Vorremmo chiedere ad un grande centro internazionale di produrre un'analisi di impatto da presentare alla Commissione europea, per quantificare l'impatto che una barriera, magari piccolissima, ha per le imprese europee. Questo consentirebbe di rimettere il tema nell'agenda della Commissione, dove è relativamente poco trattato.
  Un altro obiettivo è aiutare le imprese ad avere immediate informazioni sui cambiamenti relativi alle procedure doganali e alle barriere. I Paesi dell'Unione doganale russa (Russia, Kazakistan, Bielorussia), ad esempio, cambiano continuamente le normative, e quindi capita di mandare prodotti, che poi vengono bloccati. Questo è un trend di fondo del commercio mondiale, a cui dobbiamo fare grandissima attenzione, e sul quale dobbiamo fornire alle imprese un servizio molto più reattivo e molto più immediato.
  L'agroalimentare, comprendendo anche la parte fitosanitaria, è il settore che più di tutti risente di queste barriere. Abbiamo fatto un tavolo, che non è formalizzato, ma è un tavolo di lavoro. Infatti si è riunito molte volte, e non è uscita neanche un'agenzia di stampa. In questo tavolo, con i Ministeri della salute e dell'agricoltura, con le dogane, con i consorzi, e con l'industria, esaminiamo di volta in volta le barriere che ci sono, cerchiamo di capire come reagire, e vediamo anche i problemi che ha l'Italia per l'esportazione.
  Per esempio, voi sapete che la persistenza della peste suina in Sardegna determina un barrage alle nostre esportazioni. È un lavoro da fare tutti insieme, che ovviamente deve rimanere molto operativo, e che riguarda spesso misure molto piccole, che possono però cambiare in maniera molto significativa il profilo del nostro export.
  L'ultimo punto riguarda le procedure anti-dumping. La prima decisione che il Governo italiano, dopo essersi insediato, ha dovuto prendere in materia, è stato il voto sui pannelli fotovoltaici cinesi; ha Pag. 14dovuto cioè decidere se votare a favore della proposta del commissario di mettere il dumping contro i pannelli fotovoltaici cinesi, alla fine di un'analisi che è stata lunga, e che ha rilevato dumping e sovvenzioni.
  L'Italia ha votato positivamente, perché noi siamo beneficiari del 40 per cento circa dei provvedimenti anti-dumping, e vogliamo sostenere la Commissione, anche se magari da noi l'industria fotovoltaica, come produzione di pannelli, non è un'industria straordinariamente sviluppata. Le imprese tedesche avevano chiesto questo provvedimento, ma poi la Germania ha votato no. Questo ha determinato un grande indebolimento della Commissione europea, che ha dovuto chiudere un accordo con i cinesi, che è stato giusto chiudere, ma le cui condizioni non sono le più brillanti.
  I cinesi hanno fatto un'azione anti-dumping sui vini, che colpiva sostanzialmente Francia, Spagna e Italia, in misure totalmente diverse. Per noi sono circa 65 milioni di export, mentre per i francesi sono circa 600. Ovviamente il Governo cinese – non abbiamo ragione di non credergli – non collega questo al dumping sui fotovoltaici, però diciamo che casualmente i Paesi coincidono.
  Ora la procedura si è fermata, e i cinesi non metteranno dazi provvisori, però l'indagine va avanti. Questo è un rischio, perché è vero che le nostre esportazioni verso la Cina sono relativamente poche, però è anche vero che crescono moltissimo.
  Come sapete, quando c’è un'azione anti-dumping le aziende che esportano in quel Paese si devono registrare, dare tutta una serie di informazioni, prendere un avvocato, tradurre tutti i documenti in cinese eccetera. Nel caso dell'Italia c'erano 1.500 aziende, di cui molte esportavano quantità piccolissime, e altre un po’ di più. Noi abbiamo seguito per la prima volta tutta la procedura nel senso di customer care: abbiamo tradotto i documenti, abbiamo preso i contatti, li abbiamo inviati nei Paesi con valigie diplomatiche. È stato un servizio molto apprezzato dalle imprese, e quindi abbiamo deciso di renderlo permanente nei casi di dumping, e di assisterle proprio in tutta la filiera, anche nella parte di traduzione.
  Vi ho già raccontato di Costarica e Salvador. Per quanto riguarda la riforma degli strumenti di difesa, c’è una proposta di cosiddetta «modernizzazione» di questi strumenti, che in realtà noi consideriamo un indebolimento, e a cui ci opporremo, insieme agli altri Paesi che considerano che nella vita avere un'arma e non usarla è sempre un'opzione, ma in questo caso specifico, in un momento di grande irrigidimento della politica commerciale, dare via gli strumenti che si hanno per difendersi da comportamenti scorretti è davvero un eccesso. Non si tratta mai di misure protezionistiche, in quanto non sono mai applicate indipendentemente dall'esistenza di un comportamento scorretto oggettivamente rilevato.
  In allegato trovate il programma che abbiamo pianificato da qui al secondo semestre 2014. Ovviamente subirà delle variazioni, ma per noi era importante – e lo abbiamo definito con tutte le associazioni – dargli un orizzonte temporale di lungo periodo, in maniera da rendere più facile fare sistema. Per esempio, se le regioni sanno che si va in Polonia a gennaio 2014, probabilmente hanno interesse ad andarci tutte insieme. Se però glielo si dice all'ultimo minuto, è chiaro che loro si fanno il loro piano di missioni, e finisce come spesso succede, ossia che i nostri interlocutori internazionali ogni due mesi hanno qualcuno in missione da loro, che sia una regione o un'associazione, e non ci capiscono più niente.
  Per questa ragione ho cercato di dare un orizzonte molto ampio. Ovviamente tutto questo che vedete è sempre valutato con il mondo delle imprese, inteso in senso molto ampio: mondo delle cooperative, mondo delle imprese, mondo Rete Imprese Italia, gli artigiani, e tutto quello che è impresa. Non si tratta quindi di Confindustria, ma di tutto il mondo produttivo italiano.Pag. 15
  Questo è quanto vi volevo raccontare. Sono a vostra disposizione per ogni ulteriore chiarimento.

  PRESIDENTE. Mi pare che l'illustrazione delle linee programmatiche sia stata molto interessante e ampia. Autorizzo la pubblicazione della documentazione depositata dal Viceministro Calenda in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Do ora la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RAFFAELLO VIGNALI. Ringrazio il Viceministro e mi compiaccio innanzitutto per l'approccio, anche culturale.
  Francamente io sono tra quelli che non ne possono più di sentir dire che il nostro sistema economico è sbagliato. Fino a prova contraria, è quello che fa il PIL e l'occupazione in questo Paese, e se facciamo export probabilmente vuol dire che qualcosa stiamo pur producendo. Se poi consideriamo che abbiamo perso quota in termini percentuali, abbiamo ridotto i numeri, ma abbiamo aumentato in valore, probabilmente vuol dire che abbiamo anche innovato in questi anni in questo Paese, come giustamente lei diceva.
  La ringrazio quindi di aver sottolineato questo aspetto. Credo che sia fondamentale innanzitutto far giustizia, e magari – questo è un mio auspicio – fare in modo che sui media si parli di più di quello che funziona. Forse raccontando le tante esperienze positive che ci sono, agli imprenditori o agli operatori viene qualche idea.
  Vorrei quindi affrontare tre temi. Innanzitutto sono d'accordo sulla questione degli accordi. Ho una domanda rispetto all'appuntamento del WTO dopo il cambiamento del vertice. Evidentemente noi partecipiamo come Europa. Quali sono le linee su cui il Ministero intende lavorare ?
  Vorrei in proposito segnalare un problema. Abbiamo tante barriere, che sono anche tariffarie, ma in molti Paesi – penso al Brasile, a Cuba e al Nicaragua – abbiamo doppia imposizione, e bisognerebbe sollecitare l'altro Ministero che si occupa di queste cose, cioè il MEF, ad affrontarle o ad accelerare tali processi, laddove necessario. Sono aree in cui le nostre imprese stanno lavorando, fra l'altro nei settori che lei citava. Credo che sarebbe bene dar loro una mano, perché questo non possono farlo gli imprenditori. Per questa ragione apprezzo molto quest'impegno sugli accordi. Questa è la parte di cui si può occupare solo lo Stato. Un imprenditore a volte si può arrangiare, ma assolutamente non su queste cose.
  Sulla questione delle azioni e dei soggetti, invece, vorrei sapere se e come avete pensato di coinvolgere alcuni soggetti privati, che, soprattutto in alcune aree o per alcune tipologie, possono avere un ruolo importante. Penso in particolare alle due banche internazionali che abbiamo, che sono leader in molti Paesi. Lei accennava all'appuntamento del 2014 in Polonia, dove le nostre banche sono quasi monopoliste. In Polonia peraltro UniCredit e Pekao stanno facendo azioni di internazionalizzazione che sono assolutamente interessanti. Credo che in Polonia possiamo chiudere l'ICE, se lavoriamo bene con UniCredit.
  In Turchia UniCredit è la seconda banca ormai. Ovviamente queste banche non sono enti pubblici o strumenti pubblici, ma credo che possiamo trovare interessi in comune, come è successo in qualche caso. Penso alla vicenda degli agrumi siciliani in Polonia. Ci sono esempi molto positivi, che forse potrebbero servire da modello in altri settori.
  L'altro mondo sono le società di consulting. Penso soprattutto a quelle che fanno merger and acquisition, perché un altro modo per internazionalizzarsi è comprare qualcuno che è già internazionalizzato. Molti di quelli che l'hanno fatto hanno impiegato meno tempo a sviluppare questo processo.
  Un'altra cosa che vorrei sapere è se avete in mente altre iniziative per Expo 2015. Però bisognerebbe iniziare a lavorarci da subito. Mi riferisco a iniziative che avranno luogo durante l'Expo, e non Pag. 16prima. Durante i mesi dell'Expo avremo tutto il mondo in Italia. Potrebbe essere un'occasione, in particolare per le piccole imprese, per incontrare, a costi ridotti, operatori e buyer. Non so se avete già pensato a un asse di azione trasversale rispetto alle varie presenze, per favorire quest'incontro.
  Vorrei dire velocemente tre cose sugli strumenti. Sul monitoraggio, mi raccomando per i tempi. Tra i problemi lamentati dagli operatori, ad esempio quelli di SACE, non ci sono solo i costi, ma anche i tempi. A volte una mancata assicurazione in tempi rapidi, come succede in altri Paesi, comporta la perdita di commesse importanti. Credo che gli imprenditori siano disposti anche a pagare un po’ di più, pur di aver dei servizi. Avere servizi a prezzi teoricamente buoni, che poi risultano inutili non serve a molto.
  Un'altra questione, sulla quale chiedo se si può fare veramente un lavoro serio, è la formazione della rete all'estero. Spesso ci chiediamo cosa fanno i tanti dipendenti dell'ICE in Italia; io mi sono sempre chiesto cosa fanno i dipendenti dell'ICE all'estero. Infatti, non mi risulta che arrivino settimanalmente e-mail o fax che dicono che in un determinato Paese c’è l'opportunità di fare collanti o un'altra cosa. Le uniche comunicazioni che arrivano riguardano l'Enit, o altre notizie che conosciamo tutti. Sarebbe opportuna un'azione per fare in modo che questi uffici all'estero segnalino le opportunità, e non si attivino solo quando si deve organizzare la missione (quando lo fanno).
  Considerato che è anche prevista la rivisitazione dei siti, penso che, se si creasse una sorta di vetrina delle opportunità, potrebbe essere un buon servizio reso alle imprese. Comunque credo che sia fondamentale qualificare la nostra rete, anche in presenza di risorse limitate. È certamente una rete limitata, ma almeno facciamo in modo che funzioni.
  L'ultima questione sarebbe forse più giusto affrontarla in sede di sindacato ispettivo, ma la tratto velocemente. È ormai annosa la vicenda di RetItalia Internazionale. So che lei se n’è occupato, e anzi si è impegnato a fondo su questa vicenda. Vorrei sapere a che punto siamo sull'ipotesi di vendita, e soprattutto come si può risolvere il problema occupazionale, per evitare che metà dei 65 dipendenti vadano a spasso.

  CATIA POLIDORI. Anch'io mi associo ai ringraziamenti al Viceministro per la sua relazione molto puntuale. Devo dire che ogni volta che mi stavo appuntando una domanda da porre, il Viceministro, subito dopo, mi rispondeva con la sua relazione.
  Sono tante le cose che vorrei chiederle. Anche a me era venuta l'idea dell'Expo 2015 come possibile vetrina, e quindi mi associo a quanto detto dal collega Vignali. Credo in proposito che ci sia bisogno di approfondire se gli strumenti in possesso di questo ex Ministero siano in grado, con l’expertise che hanno, di produrre un progetto adatto all'Expo 2015.
  Mi è sorto poi un dubbio. Stiamo sopprimendo i vari sportelli ICE in giro per le regioni. Proprio recentemente mi è capitato di partecipare ad una riunione di imprenditori, che mi chiedevano la differenza tra gli Sprint, che erano all'interno dell'ICE, soprattutto nelle regioni più grandi d'Italia, e il World Pass, messo in atto da Unioncamere. Sappiamo che tecnicamente Sprint si dovrebbe occupare di ICE, Simest e SACE, mentre il World Pass dovrebbe essere solo un primo approccio, ma credo che ci sia della confusione su questo.
  Come ha detto molto bene lei prima, nelle missioni succede che ognuno parta per conto suo, o che il Ministero organizzi una missione e venga a sapere troppo tardi che c’è già stata una regione poco prima. Queste sovrapposizioni non solo non fanno fare una bella figura all'Italia, ma rendono difficile all'utente l'utilizzo di strumenti che invece sono assolutamente importanti.
  Mi è piaciuta molto l'idea del road show. Ritengo che questa fosse proprio una delle criticità da risolvere, soprattutto dopo la soppressione dell'ICE. Conosciamo le vicende relative all'ICE: prima c'era, poi Pag. 17è stata soppressa, e poi è tornata ad esserci per metà.
  Visto che lei nel suo rapporto l'ha accennato, vorrei chiederle di parlare un po’ più nello specifico dell'International Trade Hub Italia (ITH Italia), perché è un progetto a cui io sono interessata. Vorrei sapere se e come andrà avanti. Al di là del problema della RetItalia Internazionale, che conosciamo, sono state investite importanti risorse economiche, e RetItalia lavorò in una maniera esagerata a questo progetto. Mi pare che fu presentato in Sicilia nel luglio 2011, raccogliendo un grandissimo successo tra gli imprenditori, perché semplificava di molto la vita di chi voleva o tentava di fare export.
  Faccio altre due rapide osservazioni. Non abbiamo parlato del rapporto con le ambasciate. Ritengo che ci siano varie possibilità d'interazione. Laddove non c’è lo sportello ICE, spesso troviamo un addetto economico dell'ambasciata, che non ha sicuramente la stessa formazione dell'addetto ICE, però in tante situazioni ha comunque risolto e facilitato la vita delle nostre imprese.
  Mi è capitata un'esperienza molto particolare, dove, in linea con la spending review, per sostenere le spese delle nostre ambasciate all'estero, in maniera, dal mio punto di vista, molto intelligente, ai nostri imprenditori – parliamo di nomi importanti – era stata offerta la possibilità di organizzare i propri eventi di presentazione, culturali o di altro tipo, all'interno dell'ambasciata, anziché affittare una sala altrove. Ciò non riguardava tutte le ambasciate: quella di Sarajevo non ha una sede idonea, invece quella di Parigi si presta particolarmente.
  Quindi, dato che in alcuni posti non abbiamo oggettivamente bisogno dell'ICE – ad esempio in Francia, in Spagna o in tanti altri Paesi ce la facciamo da soli ad esportare – magari potremmo risistemare questi sportelli ICE in Mozambico, come ci stava suggerendo lei, e utilizzare invece le ambasciate, laddove ci sono, con delle personalità – non me ne voglia il mondo diplomatico – che sono evidentemente più specializzate negli scambi economici.
  In occasione degli Stati generali del commercio con l'estero, furono organizzati sei tavoli a cui parteciparono gli imprenditori, e non i funzionari. Poteva assomigliare in maniera più grezza al road show di cui ha parlato lei, con sei tavoli che hanno rappresentato due giorni di lavoro memorabile. La presenza di mille imprenditori, che volontariamente si sono divisi in questi sei tavoli, ha mostrato un grande interesse da parte dell'impresa. Hanno elaborato un programma che anche a rileggerlo oggi, a distanza di due anni, mi sembra molto valido.
  L'elemento fondamentale di questo programma era la volontà di avere dei tavoli di confronto fatti proprio dagli imprenditori (accompagnati da funzionari delle associazioni di categoria), divisi in sei grandi aree tematiche, che in qualche modo potessero restare stabili. Questa fu la proposta che purtroppo, a seguito delle varie vicissitudini politiche, non ha avuto seguito.
  Mi permetto di suggerire quest'esempio, dato che ritengo importante il fatto che questi tavoli non siano composti solo da funzionari. È l'imprenditore che personalmente si prende l'impegno. Conoscendo gli imprenditori, è chiaro che non potrà essere un impegno mensile, però se si riunissero due volte l'anno per fare il punto della situazione sul settore, secondo me, potrebbero uscire delle idee, che andrebbero ad aggiungersi a quelle della parte istituzionale e delle associazioni di categoria, che assolvono egregiamente il loro ruolo.

  GIANLUCA BENAMATI. Signor presidente, credo – penso di condividere un'opinione del nostro gruppo – che l'approccio che fornisce oggi il Viceministro su questo tema essenziale per l'economia italiana sia convincente.
  È ovvio che serve un diverso approccio su questo tipo di problematiche e, in particolare sull'internazionalizzazione delle nostre imprese, che peraltro è stata Pag. 18fotografata in maniera molto positiva nella relazione del Viceministro. Lei ci ha confermato oggi tutta una serie di dati, in maniera molto chiara e intuitiva.
  Noi abbiamo attraversato questi ultimi due anni di crisi in un sistema che è riuscito a reggere – mi consenta questa frase un po’ forte – perché il nostro export, a fronte del calo del mercato interno, con i numeri che lei ci ha mostrato, ha tenuto, e anzi in alcuni casi ha guadagnato. Sono particolarmente interessanti i confronti, non solo con la Germania, ma anche con la Francia, rispetto alle situazioni nei Paesi dell'Unione europea, e in quelli al di fuori dell'Unione europea, nonché i saldi dei nostri due sistemi.
  Una serie delle questioni che vorrei porre discende anche da questo. Alcune osservazioni sono già state fatte in precedenza dal collega Vignali, che ha seguito un'impostazione che condivido molto. Nelle modalità operative rinnovate che lei va indicando anche noi ritroviamo un nuovo spirito molto efficace.
  L'onorevole Polidori, che mi ha preceduto, citava il sistema del road show, inteso come attivazione sul territorio della conoscenza dei meccanismi per andare all'estero. Questo forse si attaglia molto di più con un sistema come il nostro, rispetto a altri Paesi dove c’è un'industria medio-grande più diffusa.
  Sono tutte proposte che hanno un senso profondo, che sono ritagliate sul nostro sistema produttivo. Tuttavia, ritengo che il tema ICE vada focalizzato veramente bene. Io sono solo parzialmente d'accordo sul fatto che la distribuzione dei dipendenti a livello territoriale regga un paragone con la Germania. Sommare il numero dei dipendenti delle Camere di commercio, che hanno delle funzioni specifiche, è solo in parte corretto.
  C’è sicuramente bisogno di una ridefinizione adeguata della funzionalità dell'ICE, anche in accordo col sistema diplomatico italiano, che è la prima porta di accesso al nostro Paese. La distribuzione del personale interno e esterno, e la presenza nelle varie aree internazionali devono essere sicuramente oggetto di una profonda revisione.
  Va bene che ci sia un piano industriale dell'ICE, nel quale poi forse possono trovare soluzione anche quelle problematiche in parte evocate dall'onorevole Vignali che ha citato la questione di RetItalia, ma c’è anche quella di Buonitalia. Si tratta di strumenti operativi per la promozione, nel secondo caso dell'agroalimentare, all'estero. Tuttavia, è chiaro che prima di introdurre questa modifica occorre che il piano industriale dell'ICE sia redatto, validato e adottato dal Ministero, in concorso col Parlamento.
  Sono d'accordo sulla questione degli accordi internazionali. Su questo pongo alcune brevi domande, che discendono dalle mie considerazioni. C’è un tema, che lei ha iniziato a definire in nuce: il ruolo dell'Italia nella politica commerciale dell'Unione europea, che è il vero crocevia della questione. Noi possiamo siglare accordi bilaterali e ristrutturare l'ICE, ma la gran parte della nostra realtà commerciale verso l'estero passa attraverso la definizione di politiche commerciali e accordi redatti e sostenuti dall'Unione europea.
  In questo caso lei ha già iniziato a darci l'idea di una politica più attiva – non voglio dire più aggressiva, perché sarebbe sbagliato – rispetto alla nostra presenza e alla difesa dei nostri interessi all'interno dell'Unione. Le chiedo qualche elemento in più su questo.
  Visto che lei è il Viceministro del Ministero dello sviluppo economico, vorrei anche una sua opinione sul fatto che, accanto all'attività di rafforzamento di un nostro ruolo all'interno dell'Unione, come grande Paese produttore, che ha interesse alla politica commerciale, sia necessario anche un rafforzamento interno della politica di tutela del made in Italy. Questo argomento ha tante sfaccettature, tra cui la tutela del prodotto totalmente italiano, e l'analisi della concorrenza, anche in termini di salute, che forse sarebbe il momento di valutare. Su questo tema, questa Commissione sta operando. A livello Pag. 19parlamentare stiamo istituendo anche in questa legislatura la Commissione sulla lotta alla contraffazione. Probabilmente, nei prossimi mesi, se sarà possibile, cercheremo di trattare anche alcuni temi relativi al made in Italy.
  Vorrei anche chiedere un chiarimento al Viceministro Calenda rispetto al ruolo, che lei indicava, dei grandi attori nazionali. Lei ha detto che negli anni passati la politica commerciale, o comunque l'apertura delle rotte commerciali, era appannaggio dei grandi gruppi industriali di questo Paese, e specialmente dei gruppi industriali pubblici, che erano i più grandi. Lei ha fatto l'esempio di un'apertura importante nell'Africa sub sahariana, collegata al Mozambico. Ci sono altre realtà: la stessa Algeria è un sottoprodotto del rapporto storico con quel Paese, ma anche della presenza di interessi forti di grandi aziende italiane in un determinato settore.
  Vorrei sapere se lei crede che nella nuova strategia commerciale del nostro Paese, anche all'interno dell'Unione, i grandi gruppi italiani (specialmente quelli che hanno un legame forte con lo Stato, e quindi costituiscono un asset che va valorizzato) abbiano e possano mantenere (o ritrovare, a seconda del suo punto di vista) un ruolo.

  MATTIA FANTINATI. Signor presidente, anche noi ci uniamo ai ringraziamenti al Viceministro, e soprattutto ci complimentiamo per la sua esposizione chiara, puntuale, e anche avvalorata da cifre che, secondo noi, danno una certa concretezza alla relazione.
  Noi del Movimento 5 Stelle, come chi ha parlato prima di me, abbiamo rilevato il fatto di dare diversi pesi nella strategia di apertura degli uffici ICE nel mercato estero. Forse in Belgio e in Inghilterra riusciamo ad andarci veramente da soli, ma dalle informazioni in mio possesso so che è stato chiuso l'ufficio in Cile, che è uno dei Paesi emergenti.
  Dato che questo tema è già stato trattato da chi ha parlato prima di me, vorrei soffermarmi soltanto su un punto. Personalmente, come imprenditore, avevo partecipato alla prima missione in Cina del 2006, con il Governo Prodi, grande fiore all'occhiello dell'ICE. Le devo dire però – come ha detto anche lei in modo velato – che agli imprenditori il lavoro dell'ICE sembrava molto macchinoso, e anche di scarsi risultati. Nel 2009 ho seguito una missione in India. Io sono un ingegnere, e all'epoca con uno studio di commercialisti volevamo aiutare le aziende italiane ad andare in Cina, ma dato che la Camera di commercio italo-cinese lo faceva in modo gratuito, noi abbiamo chiuso l'attività. Anche in India l'idea era proprio quella di riformare l'ICE.
  Vorrei chiedere a lei se, nell'ottica della spending review, ma anche con l'idea di rafforzare la penetrazione italiana in un mercato estero, si potrebbe creare un ufficio unico insieme alla SACE, che possa promuovere le piccole e medie imprese. Sappiamo che una grande azienda non ha problemi ad aprire uffici e sedi all'estero, mentre le piccole imprese hanno veramente bisogno dell'ICE e di fare rete.
  Mi chiedo inoltre se non possa esserci come finalità la promozione turistica, legata al patrimonio dell'Italia, ma anche delle nostre regioni, che ora con un grande dispendio di forze e di energie sembrano andare ciascuna per sé in modo un po’ solitario.
  La ringrazio, perché anche noi abbiamo molto apprezzato che è stato notato l'utilizzo troppo massivo del prodotto made in Italy, a volte anche contraffatto. Tuttavia rimane una perplessità: molto spesso, come ho rilevato durante il mio soggiorno in Cina, l'internazionalizzazione fa rima con delocalizzazione. L'ICE promuoveva la delocalizzazione di impianti produttivi dall'Italia verso i Paesi a basso costo di manodopera. Se vedo l'internazionalizzazione delle imprese come una cosa positiva, che deve sicuramente essere realizzata – non si può produrre lo stesso articolo per il mercato cinese, così lontano dal mercato italiano, per gusti e per tanti altri aspetti – vedo invece in maniera abbastanza negativa la delocalizzazione, cioè lo spostamento di catene o di intere Pag. 20linee produttive con la scusa del basso costo di manodopera, e che sia proprio lo stesso Paese, aiutato magari anche dall'ICE, ad invitare le aziende italiane ad andarsene.

  PRESIDENTE. Do la parola al Viceministro Calenda per la replica.

  CARLO CALENDA, Viceministro dello sviluppo economico. Se dimentico di rispondere a qualche domanda, richiamatemi all'ordine.
  A proposito del WTO, ho incontrato l'attuale direttore generale Roberto Azevedo, all'OCSE prima che prendesse incarico, e lo rivedrò a settembre. La situazione del round è molto critica. Da un lato, ci sono le intransigenze sul capitolo cosiddetto di trade facilitation, riguardante i beni, da parte dei Paesi in via di sviluppo (li chiamo così perché non so come altro chiamarli), soprattutto Brasile e India, dall'altro, c’è la questione che riguarda il contenzioso agroalimentare.
  Non ho un aggiornamento su questo tema. Lo avrò quando incontrerò Azevedo. La percezione non è positiva, ed è grave, perché se il round si concluderà negativamente, vuol dire che noi passeremo da una globalizzazione guidata da accordi multilaterali, a una globalizzazione guidata da accordi bilaterali. Non capiamo fino in fondo cosa voglia dire. Gli Stati Uniti ne stanno negoziando due: uno con l'Europa, e uno con molti Paesi asiatici, tranne la Cina. C’è dunque una ricomposizione di uno schema geopolitico, che non è positiva in nessun modo, ma dentro cui noi stiamo, e in cui, a mio avviso, dobbiamo stare, difendendo gli interessi del nostro Paese. Io credo, almeno nel mio lavoro, non si possa costruire la linea di politica commerciale sulla base di quello che desidereremmo, ma solo sulla base di quello che possiamo ottenere in un contesto dato.
  Dunque noi sosteniamo il Doha Round, che nella nona Conferenza ministeriale di Bali, dove io andrò, dovrebbe trovare uno sbocco, ma se così non fosse dobbiamo attrezzarci per lavorare in questo sistema di alleanze asimmetriche sul commercio, che non ci piace, ma dentro cui dobbiamo stare per difendere gli interessi italiani.
  Sulla doppia imposizione, l'onorevole ha perfettamente ragione e mi farò carico di parlare col Ministero dell'economia e delle finanze.
  A proposito dei soggetti privati e delle banche, sono andato in Polonia, dove c’è un amministratore delegato straordinario di UniCredit, con cui ho lavorato molto bene. Le banche sono sempre coinvolte. Questo che lei vede è stato condiviso con le banche. Anzi, stiamo ragionando sull'ipotesi di diversificare il loro coinvolgimento. Per esempio, Banca Intesa ha una buona presenza in America e potrebbe occuparsi del lavoro sul road show TTIP. UniCredit ha fatto un buon lavoro d'internazionalizzazione su alcune regioni italiane, e potrebbe fare più road show. Ci stiamo lavorando. È sempre così. Lei ha perfettamente ragione.
  Do ora una risposta complessiva sull'ICE. L'Istituto per il commercio estero ha prima di tutto una professionalità di grande qualità. Lo dico essendo stato dall'altra parte della barricata ed essendo andato a chiedere servizi. Ovviamente c’è molta discontinuità.
  Il mio approccio è che, essendo gli imprenditori clienti, le loro eventuali «critiche» sono giuste per definizione. Le dico però qual è la mia percezione. Secondo me l'ICE ha delle ottime professionalità, con dei servizi che funzionano solo sull'area della promozione. Se c’è un budget risibile, tolta la parte fissa che serve per pagare gli stipendi (che non la decide l'ICE, ma la decidiamo tutti noi) non si può chiedere qualità.
  È per questo che il ragionamento che abbiamo fatto sulle risorse ha senso: io ti do le risorse, ma tu mi dai dei momenti di qualità misurabili. La questione dei servizi all'impresa è misurabile, e se l'ICE non la raggiunge, avrà fallito, e noi lo sapremo. La cosa drammatica in Italia è che non si sa mai se un soggetto fa bene o fa male. L'obiettivo invece è dare dei parametri.Pag. 21
  L'ICE non sostiene la delocalizzazione delle imprese, perché non fa commercio, cioè non si occupa degli investimenti. Quello è il ruolo della Simest. In questo vale un principio. Domenica sono andato a inaugurare uno stabilimento della Ferrero a Smirne. Pare che da Smirne la Ferrero farà una Nutella molto buona, perché già comprava le nocciole dal Mar Nero, che come materia prima sono forse addirittura più buone di quelle italiane. Questo mi infastidisce parecchio. Quella Nutella sarà però venduta in Turchia e nei paesi limitrofi. Quella è una delocalizzazione buona di presidio di mercato.
  Se io dovessi andare a inaugurare uno stabilimento di un imprenditore che ne chiude uno in Italia, onestamente avrei delle difficoltà, e non ci andrei. Questo non vuol dire non comprenderne le ragioni. Noi dobbiamo essere realistici. Innanzitutto, non possiamo gridare «al lupo ! al lupo» e poi far pagare il 68 per cento di total tax rate alle imprese, altrimenti c’è una contraddizione in termini. In secondo luogo, bisogna rispettare il principio secondo cui un imprenditore è libero di fare quello che ritiene giusto, perché l'impresa è privata. Il Governo italiano non incoraggia le imprese a delocalizzare, e deve lavorare perché rimangano in Italia.
  Nell'ambito di questi due principi, però, l'ICE fa un'altra attività. Io come Confindustria contribuii a organizzare quella missione in Cina, quindi mi prendo la sua critica, perché lei in quel caso era cliente. Le cose che facciamo dipendono dal settore. Se si chiede all'ICE di organizzare cinque incontri con un'azienda tessile a Canton, lo sa fare. Se invece si parla di servizi d'ingegneria, commerciali o d'altro tipo, soprattutto in Cina, la questione è molto più difficile. Questo sta alla selezione delle imprese. Se io in quel caso avessi saputo che lei veniva per trovare dei partner, per esempio, le avrei detto che non si trattava di quel tipo di missione, perché è una richiesta troppo specifica.
  È importante innanzitutto dare all'ICE le risorse per poter fare le cose che deve fare, e poi monitorarla. Altrimenti entriamo nel ragionamento per cui la mancanza di risorse diventa una scusa per loro per non svolgere bene i servizi. C’è poi un dato oggettivo: non hanno le sedi. Ha perfettamente ragione. In Europa devono fare un presidio, perché il nostro export verso i Paesi europei è importante, e quindi tutte queste fiere come l'Anuga, dove vanno tantissime imprese italiane, ci devono essere.
  Lo sviluppo è solo sulle sedi internazionali. In Cile non hanno chiuso le sedi, ma ha chiuso proprio l'ICE, che è stato smantellato. Mancano attualmente 12 milioni di euro per farlo funzionare. Noi li stiamo cercando, ma se non li ritrovassimo chiuderebbero le sedi estere. I dipendenti italiani non possono essere licenziati o mandati a casa (e nessuno lo vuole, tra l'altro).
  Io credo che l'ICE abbia molti fronti di miglioramento, in particolare sui servizi alle singole aziende, piuttosto che nelle fiere, e che abbia la comprensione che questa cosa deve avvenire. Io sono dell'idea che bisogni dargli da un lato le risorse, e dall'altro parametri oggettivi su cui si può valutare la sua attività e li si può «richiamare». Altrimenti diventa tutto un ragionamento di percezione, con cui è difficile governare un ente di qualunque natura, che sia statale o meno.
  Sull'Expo si sono previste moltissime attività, prima e durante. La parte dedicata a incontri di business sul settore agroalimentare sarà rilevante. Quest'anno abbiamo stanziato risorse per prepararla. Bisogna arrivare preparati, per evitare che diventi una cosa d'immagine con poca sostanza.
  Sulle aziende che fanno mergers and acquisitions (M&A) o consulenza, sono d'accordo, anche se la mia responsabilità è di far funzionare, al meglio che posso, le strutture pubbliche. Se un soggetto ha una dimensione aziendale che gli permette di utilizzare le strutture private, lo deve fare. Io l'ho fatto molto nei miei lavori d'azienda. Noi possiamo lavorare con società di consulenza come supporto. Su Pag. 22M&A, come ho detto, comprare un'azienda che è già sul posto è un metodo di internazionalizzazione.
  L'impresa di grandi dimensioni usa poco i servizi statali; essenzialmente riesce a farcela per conto proprio. È vero però che c’è un segmento intermedio, quello della media impresa, che magari non ci pensa da sola. Bisogna immaginare qualche strumento dedicato a queste imprese, forse anche con un ruolo che, secondo me, potrebbe derivare da quello che diceva lei, ossia mettendo po’ più insieme SACE, Simest e ICE, perché quest'ultima ha più una tradizione del commercio.
  Penso che l'impresa, che sia pubblica o privata, dovrebbe dare una mano alle altre imprese ad insediarsi su un mercato. Dovrebbe farlo per una ragione di natura patriottica, e per una ragione di natura opportunistica, in quanto se ha delle filiere di produzione con lei, l'azienda funziona meglio.
  È una cosa che avviene sempre ? No, ma è una cosa su cui mi impegno moltissimo, perché lo fanno tutti gli altri Paesi, e dunque dobbiamo farlo anche noi. La risposta che le do è dunque che questa deve essere una cosa che si fa sempre di più. Io devo dire che in Mozambico c’è stata un'ottima interazione con l'Enit da questo punto di vista. In quel caso ha funzionato. Vedremo nel tempo cosa avverrà negli altri Paesi.
  Vengo ora alle domande su sportelli, World Pass e Sprint, cioè su tutto questo mondo che comprende gli sportelli ICE nelle regioni, che sono stati chiusi; gli sportelli per l'internazionalizzazione delle regioni; e World Pass, che è il sistema delle Camere di commercio. La situazione, così com’è, non va bene. È una situazione caotica e complicata, che dobbiamo mettere a regime.
  Sto ragionando con le Camere di commercio, perché, a mio avviso, il lavoro che era svolto dall'ICE in Italia deve essere fatto da loro. Su questo si deve costruire un'integrazione, in un'ottica libera da condizionamenti. Noi abbiamo tanti rappresentanti del mondo produttivo nella cabina di regia, e ci sono associazioni che si dedicano alla rappresentanza, come Confindustria, che offrono anche servizi d'internazionalizzazione. Tuttavia le Camere di commercio hanno anche un ruolo pubblico, per cui è giusto che si crei un'integrazione più forte. Su questo stiamo lavorando con Dardanello e con Unioncamere. Questo aiuterà a semplificare.
  Vengo ora alla questione informatica: ITH e World Pass. Sto facendo sviluppare ITH (International trade Hub-Italia) fino alla fine, anche perché RetItalia Internazionale Spa (Ritspa) ha fatto un buon lavoro. Questo fa parte dell'accordo che ho fatto con Ritspa per ridurre il peso della cassa integrazione quasi a zero, in maniera che possano riprendere a lavorare. Vi dico la verità: io ho fatto un incontro con i sindacalisti Ritspa, che hanno esordito spiegandomi per 20 minuti quanto erano orgogliosi di lavorare nella loro società e, solo al ventunesimo minuto mi hanno detto di avere un problema. Per me che vengo dal mondo aziendale, questo vuol dire che sono bravi. Mi sono preso l'impegno, a titolo personale, di risolvere la vicenda di Ritspa. Per ora l'ho risolta nel senso della remunerazione, dandogli altre attività e facendo questo accordo. Adesso bisogna risolverla nel senso di vedere dove andrà a finire. Io penso che su questo non ci dobbiamo impegnare solo noi, ma anche tutte le altre società che si occupano di strumenti digitali. Forse dovrebbero considerare che c’è un lavoro che è stato fatto. Se su questo arrivasse una sollecitazione anche dal Parlamento, secondo me, sarebbe molto importante. Non posso essere più franco di così, ma posso solo dire che è gente di grandissima qualità.
  A proposito del made in Italy, se noi proviamo a regolare cos’è made in Italy e cosa non lo è nei settori industriali, ci mettiamo a fare un'attività di regolamentazione che distrugge il sistema imprenditoriale italiano. È difficilissimo stabilire le varie percentuali a seconda del settore.
  La difesa del made in Italy nel senso che ci siamo detti riguarda anche la contraffazione. Pag. 23In realtà, però, le indicazioni geografiche non sono propriamente contraffazioni, nel senso che se gli Stati Uniti non le riconoscono, noi la consideriamo contraffazione, mentre loro la considerano un normale esercizio del diritto d'impresa, e quindi questo va risolto con un accordo internazionale. Non si può risolvere caso per caso.
  Sulla contraffazione esisteva il sistema dei desk anti-contraffazione, che sono stati chiusi. Io non li conosco, perché non li ho mai usati, ma il feedback che mi danno le imprese è che erano qualitativamente discontinui e sicuramente molto costosi. Stiamo studiando di riaprirli, non dappertutto, in un sistema più economico, cioè integrandoli totalmente o alla rete ICE, o alla rete delle ambasciate, che ormai peraltro sono largamente integrate.
  Oggi l'ICE dove può sta dentro l'ambasciata, tranne in alcuni posti in cui tradizionalmente sta fuori. Quest'integrazione va sempre avanti. In Mozambico non abbiamo preso una sede – tra l'altro in Mozambico le case costano tantissimo – e dunque l'ICE sta dentro l'ambasciata, per risparmiare sui costi.
  Sull'uso delle ambasciate per le attività del made in Italy, ovviamente lo stanno facendo, con la dovuta attenzione. L'ambasciata è la sede istituzionale dell'Italia, e dunque credo che si facciano le attività che hanno a che fare con l'interesse generale. Sul fatto che, per trovare dei soldi, l'ambasciata possa essere affittata da qualunque impresa che vuole fare qualcosa, bisognerebbe parlarne con il Ministero degli affari esteri. Se vuole la mia opinione, starei attento, perché comunque è un'istituzione, come il Parlamento. Si può fare se si fa un lavoro di sistema, o per un settore. Bisogna fare attenzione a farlo per le singole aziende. Questo è il mio parere, ma ovviamente non dipende da me.
  Sugli Stati generali del commercio e i tavoli, sono io che le faccio una domanda. Vorrei ricevere questo rapporto che avevate redatto, perché è stato fatto prima che arrivassi e dunque non me l'hanno messo in evidenza. Possiamo fare un incontro ad hoc su questo, perché mi sembra un'ottima idea: quanto più gli imprenditori possono esprimere la loro opinione su quello che funziona o non funziona, tanto più si è a contatto con la voce dei clienti.
  C'era una domanda sulla politica commerciale in generale. Io penso che la politica commerciale di questo Paese debba essere ben assertiva, e le dico di più: appena arrivato, ho pensato subito che bisognasse giocare in squadra con l'Europa, e, come dicevo, abbiamo votato a favore dei dazi sui pannelli. In seguito ci hanno aperto una procedura anti-dumping sul vino, e la Germania, che aveva chiesto quella misura, non l'ha sostenuta, casualmente in coincidenza con la visita del Primo Ministro cinese in Germania. Quella per me è stata una lezione sul fatto che noi tenderemo sempre a supportare l'azione unitaria dell'Europa, ma non ci dimenticheremo mai dell'interesse italiano. C'entra ancora una volta la questione del multilaterale e del bilaterale. Una cosa è il mondo ideale che vorremmo, e altra cosa è la difesa degli interessi nazionali, a cui purtroppo spesso siamo chiamati, rispetto a un interesse più generale. Non possiamo essere l'unico Paese naïf nel contesto europeo.
  Credo che il segnale più importante di questo, che non mi sembrava una cosa piccola, è stato mettere il veto alla notifica dell'accordo con il Costarica e con il Salvador per le IGP indicazioni geografiche. Mi è dispiaciuto, come è dispiaciuto a tutti, perché sono Paesi con cui abbiamo ottimi rapporti, però bisognava affermare il principio che le indicazioni geografiche sono un interesse nazionale, che è prevalente rispetto a considerazioni di amicizia, o simpatia, che devono rimanere, e che quella questione va veramente presa sul serio. L'indicazione geografica non ha dietro un'azienda che l'ha costruita, ma ha dietro un centinaio di anni di lavoro di cooperative e di consorzi. Dunque è davvero inammissibile che la si tratti in questo modo.
  Per quanto riguarda l'integrazione Simest-SACE, io penso che dovrebbero lavorare Pag. 24sempre più negli stessi uffici. All'estero non succede tanto. È una questione su cui abbiamo margini di miglioramento. Queste attività sono tutte fatte insieme a Simest e SACE. Forse bisognerà ragionare un po’ sul tema strutturale.
  Sulla promozione turistica ho un dubbio, perché questa ha una specializzazione davvero significativa nel far venire i turisti in Italia. È un flusso dall'altro lato. Noi invece lavoriamo molto sul portare le merci italiane e gli investimenti produttivi. Non mi riferisco alla delocalizzazione produttiva, ma agli investimenti di copertura di mercati. Quello è un flusso che va in senso inverso.
  Non voglio dire che non c’è un collegamento straordinario. Le potrei citare casi incredibili. Gli indiani vanno tantissimo in Svizzera, perché quest'ultima ha fatto una straordinaria promozione nel cinema indiano. Molti film di Bollywood sono girati sulle Alpi svizzere, e quindi è diventato un luogo dove vanno esponenti della classe dirigente indiana. C’è uno straordinario collegamento tra cultura e turismo e questo è il bello, però il flusso in quel caso è molto diverso, perché è un lavoro che si fa con i tour operator su attività che hanno contenuti specializzati. Non dico che sia una cosa che non si può studiare, ma c’è una struttura che si chiama Enit, che fa questo lavoro, e questo oltretutto non è il mio campo d'attività. Se la dotazione dell'ICE è ridotta, quella dell'Enit lo è di più, però quello è un lavoro di flusso in entrata.
  Spero di aver risposto a tutte le domande. Se ci sono altri aspetti che volete approfondire, resto ovviamente a vostra disposizione. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Viceministro Carlo Calenda e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.05.

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