XVII Legislatura

VII Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Martedì 14 novembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE BUONE PRATICHE DELLA DIFFUSIONE CULTURALE

Audizione di Onofrio Cutaia, direttore generale dello Spettacolo dal vivo, MIBACT; Gualtiero Mramor, Presidente dell'associazione Artisti Associati di Gorizia (Piattaforma NID – Nuova Danza Italiana); Diego Loi sindaco di Santu Lussurgiu; Giambattista Ledda, sindaco di Sennariolo; Fortunata Chindemi, responsabile del servizio didattica dell'archivio di Stato di Reggio Calabria; Raffaele De Magistris, direttore della Biblioteca dei Girolamini di Napoli; e di Donatella Ruttar, presidente dell'Associazione Topolò Topoluove.
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 3 
Cutaia Onofrio , direttore generale dello Spettacolo dal vivo, MIBACT ... 3 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 5 
Mramor Gualtiero , Presidente dell'associazione Artisti Associati di Gorizia (Piattaforma NID – Nuova Danza Italiana) ... 5 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 8 
Loi Diego , sindaco di Santu Lussurgiu (Fondazione Hymnos Sardegna) ... 8  ... 8 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 10 
Ledda Giambattista , sindaco di Sennariolo (Fondazione Hymnos Sardegna) ... 10 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 10 
Chindemi Fortunata , responsabile del servizio didattica dell'archivio di Stato di Reggio Calabria ... 10 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 13 
De Magistris Raffaele , direttore della Biblioteca dei Girolamini di Napoli ... 13 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 16 
Ruttar Donatella , presidente dell'Associazione Topolò Topoluove ... 16 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 18 
Ruttar Donatella , presidente dell'Associazione Topolò Topoluove ... 18 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 18 
Carocci Mara (PD)  ... 18 
Malisani Gianna (PD)  ... 18 
Bossa Luisa (MDP)  ... 19 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 19 
Di Benedetto Chiara (M5S)  ... 19 
Murgia Bruno (FdI-AN)  ... 19 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 19 
Pes Caterina (PD)  ... 19 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 19 
Loi Diego , sindaco di Santu Lussurgiu (Fondazione Hymnos Sardegna) ... 20 
De Magistris Raffaele , direttore della Biblioteca dei Girolamini di Napoli ... 20 
Piccoli Nardelli Flavia , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori PER l'Italia: Misto-CIpI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
FLAVIA PICCOLI NARDELLI

  La seduta comincia alle 11.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna è garantita anche dalla trasmissione in diretta sul canale web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Onofrio Cutaia, direttore generale dello Spettacolo dal vivo, MIBACT; Gualtiero Mramor, Presidente dell'associazione Artisti Associati di Gorizia (Piattaforma NID – Nuova Danza Italiana); Diego Loi sindaco di Santu Lussurgiu; Giambattista Ledda, sindaco di Sennariolo; Fortunata Chindemi, responsabile del servizio didattica dell'archivio di Stato di Reggio Calabria; Raffaele De Magistris, direttore della Biblioteca dei Girolamini di Napoli; e di Donatella Ruttar, presidente dell'Associazione Topolò Topoluove.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle buone pratiche della diffusione culturale, alcune audizioni particolarmente interessanti: l'audizione del dottor Onofrio Cutaia, direttore generale dello spettacolo dal vivo (MIBACT); del dottor Gualtiero Mramor, Presidente dell'associazione Artisti Associati di Gorizia (Piattaforma NID – Nuova Danza Italiana); del dottor Diego Loi, sindaco di Santu Lussurgiu, e di Giambattista Ledda, sindaco di Sennariolo, entrambi aderenti alla Fondazione Hymnos Sardegna; della dottoressa Fortunata Chindemi, responsabile del servizio didattica dell'archivio di Stato di Reggio Calabria; del dottor Raffaele De Magistris, direttore della Biblioteca dei Girolamini di Napoli; della dottoressa Donatella Ruttar, presidente dell'Associazione Topolò Topoluove.
  Avverto che la raccolta delle memorie pervenute è a disposizione dei colleghi.
  Nel rivolgere un saluto di benvenuto a tutti gli ospiti presenti, chiedendo loro di contenere il loro intervento entro un tempo ragionevole, comunico che le bozze dei resoconti delle precedenti audizioni sono già disponibili, anche se naturalmente ancora in versione provvisoria. Apriamo la nostra seduta dando la parola al dottor Cutaia, che molti di noi conoscono, anche perché è già stato in audizione più volte presso la VII Commissione. È uno dei nostri punti di riferimento al MIBACT su una serie di problemi, che vanno dalle fondazioni lirico-sinfoniche, per parlare di uno dei temi più drammatici affrontati in questi cinque anni, a tutto il tema dei teatri, del FUS e così via.

  ONOFRIO CUTAIA, direttore generale dello Spettacolo dal vivo, MIBACT. Grazie, presidente. Con molto piacere intervengo a questa seduta, soprattutto perché in questi giorni è accaduta una cosa molto importante per il nostro campo, un fatto storico che va segnalato, di cui va dato atto (lo dico da tecnico, ma anche da operatore nel campo da tanti anni, forse da troppi): il Parlamento ha approvato l'8 novembre scorso il cosiddetto codice dello spettacolo. Da parte di noi tecnici c'è una grandissima gioia nel poter vedere finalmente operativo uno strumento che dà certezze. Il percorso è stato lungo: lo si aspettava da più di quarant'anni. Non voglio dilungarmi, perché non è l'oggetto del nostro incontro ma, per alcuni versi, lo è anche, e cercherò di dire perché. Esso significherà per i prossimi Pag. 4 anni certezza per gli operatori. Alla legge del 1985, istitutiva del fondo unico dello spettacolo, cosiddetta legge portafoglio, non seguirono mai le cosiddette leggi figlie. Oggi, finalmente, abbiamo una legge di princìpi, che dovrà essere accompagnata, come è normale che sia, dai decreti attuativi, che saranno anche quelli frutto di un lavoro intensissimo delle prossime settimane, dei prossimi mesi. A parte che mi sembra doveroso parlarne in questa sede e dare atto al Parlamento di un lavoro importantissimo svolto, ma già per la riunione di oggi è molto importante. La legge approvata contiene alcuni princìpi, in base ai quali gli argomenti che oggi vengono trattati saranno assecondati e aiutati. La legge già prevede, per esempio, che tutta l'area dell'approccio, della possibilità di aderire all'offerta culturale, in questo caso di spettacoli dal vivo – stiamo parlando del campo specifico – sia molto favorita. Ed è uno dei temi di oggi.
  Oggi abbiamo potuto fare alcune cose in questo campo, al di là del sostegno ai produttori di teatro, di danza, di musica, sostegno praticato attraverso il fondo unico dello spettacolo, con strumenti che conosciamo molto bene, alcuni molto noti. Fortunatamente, oggi la situazione è molto migliorata: molte cose sono state anche messe a posto in una relazione molto fruttuosa con gli operatori del campo. Questi due anni sono stati molto importanti, perché sono state messe a punto strategie e tecniche di intervento, grazie ai correttivi voluti dal Ministro Franceschini, che definirei soddisfacenti per la platea non solo di chi sta dentro il sistema di finanziamento, ma anche di chi potrà avere un nuovo ingresso nel finanziamento pubblico grazie al decreto ministeriale del 27 luglio 2017. Oggi abbiamo addirittura la legge, e dunque questo puzzle istituzionale si compone molto bene.
  Passo a illustrare alcune linee progettuali. Il nostro compito è di favorire la progettualità nel campo del sociale, come si dice (per l'appunto) nell'invito che ci è stato rivolto, ma anche in quello economico che può scaturire da un impegno istituzionale in questo senso. Abbiamo realizzato alcuni progettui utilizzando gli strumenti che il nostro quadro normativo ci concede.
  Devo dire che queste azioni del ministero sono rese possibili anche per il fatto che, dopo la soppressione dell'Ente teatrale italiano del 2010, le importantissime funzioni di quell'istituto sono svolte oggi dal ministero, naturalmente non attraverso un'attività autonoma, ma favorendo queste attività in relazione a chi le fa nei territori. Come? Attraverso strumenti secondo me utilizzati un po’ poco: i cosiddetti accordi di programma. Abbiamo utilizzato degli accordi di programma con fondi che il ministro ha voluto dedicare a queste attività ulteriori rispetto a quelle legate al fondo unico dello spettacolo, che hanno dato frutti che definirei eccellenti, eccezionali in alcuni casi.
  Parliamo di una realtà molto composita, complessa e importante del territorio che ha potuto usufruire di un accordo istituzionale: una pratica virtuosa, presidente, tra un organo centrale, come può essere il nostro, e le regioni, gli enti locali, e soprattutto chi opera nel territorio. Con quest'unione virtuosa, che include progetti come il progetto della NID, una sigla che sta a indicare un progetto di sviluppo volto a favorire l'educazione delle persone a fruire del prodotto danza contemporanea – non ho difficoltà a chiamarlo così – si può generare davvero una miscela esplosiva, come è avvenuto a Gorizia pochi giorni fa. Ne parlerà poi Walter Mramor, certamente molto meglio di me.
  Settanta operatori italiani e internazionali, riuniti in Italia per verificare insieme lo stato dell'arte della danza contemporanea italiana, sono qualcosa che ha un duplice aspetto positivo. Uno è quello di promuovere un'arte a volte poco incentivata dalle istituzioni, che invece avrebbe necessità di avere spinte ulteriori, perché lo merita. Oltretutto, è semplicemente un linguaggio contemporaneo che i nostri giovani immediatamente percepiscono e adottano. Inoltre, c'è un risvolto economico, se si può utilizzare questo termine. Siccome, peraltro, la nostra danza contemporanea italiana sta facendo significativi passi avanti a livello di qualità, queste produzioni sono Pag. 5state molto apprezzate e verranno comprate e distribuite nel territorio europeo, grazie a uno sforzo comune, neanche tanto costoso, tra Stato, regioni, comuni e, soprattutto, chi lavora nel territorio, come nel caso di una realtà importante come quella diretta da Walter Mramor.
  Questo è uno degli esempi di un'arte considerata minore, a torto. Forse possiamo smetterla di chiamarla così, proprio perché esistono progetti così importanti. Noi siamo solo uno strumento. In punta di piedi, ma ce ne occupiamo moltissimo, con grande determinazione, senza fare alcuna scelta dal punto di vista artistico, ovviamente. Sono gli operatori che stanno nei territori a operare queste scelte, insieme ai loro colleghi internazionali. Ma è solo un'esemplificazione.
  Per concludere, presidente, in modo che si possa lasciare spazio agli altri, non posso non citare – tra qualche giorno penso che lo ascolterete – Paolo Masini, che si è molto occupato di questo progetto: parlo di «Migrarti», voluto dal Ministro Franceschini. È un progetto che sta dando soddisfazioni. In realtà, c'è un tema molto forte, oggi – lo dico sottovoce – legato agli italiani che non sono italiani, agli italiani a tutto tondo, agli italiani che hanno altro colore della pelle. Il nostro ministro ci ha chiesto di verificare la possibilità che un progetto di tal genere venisse realizzato. Lo abbiamo fatto, lo ha fatto anche la Direzione generale cinema; quindi i progetti sono due, in realtà, anche se potrebbe essere uno complessivo. Uno riguarda le arti sceniche dal vivo, la danza, la musica, il teatro; l'altro riguarda proprio i videomaker, i video, i film, il cinema, se si può dire così, realizzato, per l'appunto, insieme a persone che vengono da altri Paesi. Per descrivere il progetto ora il tempo non c'è. Lo farà Paolo Masini nei prossimi giorni, quindi sarà possibile per voi sapere qualcosa in più. Per noi, dal punto di vista istituzionale, è un progetto di punta, importantissimo, che dà luogo alla possibilità di parlarsi tra mondi che sembrano così distanti, ma che distanti non sono. Anche dal punto di vista economico-finanziario si cominciano a intravedere delle possibilità di aiuto a piccole imprese, imprese in senso generale, cosmico, di persone di cultura e nazionalità diverse, che mettono insieme le loro forze per poter lavorare nel campo delle arti sceniche. Questo è un altro progetto al quale teniamo molto. Naturalmente, sono tantissimi. Io ne ho scelti due per poterne parlare un po’ più diffusamente. Ancora, presidente, la ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringrazio Ninni Cutaia per questo suo intervento. Gli avevamo chiesto di intervenire su cultura come integrazione sociale, come sviluppo economico, garantito veramente da alcuni progetti di eccellenza, che mettono insieme la dimensione nazionale e quella locale e territoriale. È anche su queste nuove realtà che si costruiscono le eccellenze di cui stiamo parlando. Passiamo immediatamente a Gualtiero Mramor, presidente della piattaforma NID – che significa Nuova danza italiana, Artisti Associati –, localizzata a Gorizia, anche se abbiamo già capito che c'è una grossa dimensione di collegamenti internazionali.

  GUALTIERO MRAMOR, Presidente dell'associazione Artisti Associati di Gorizia (Piattaforma NID – Nuova Danza Italiana). Presidente, buongiorno. Buongiorno a tutti. Grazie per questa meravigliosa opportunità. Sono Walter Mramor, direttore di Artisti Associati. Vengo da Gorizia. Dirigo una cooperativa nata nel 1987, riconosciuta dal MIBACT quale impresa di produzione teatrale. Rispondendo alle esigenze del territorio, dove non esisteva la diffusione organica della danza, nei primi anni Duemila la cooperativa si mette al servizio anche di questo settore e, nel 2006, crea il Circuito danza regione Friuli-Venezia Giulia, confluito poi, nel 2015, nel più ampio circuito multidisciplinare.
  Il 2012 è un anno importante. Assieme ad altre realtà del territorio di distribuzione della danza, si forma in seno ad ADEP (Associazione danza esercizio e promozione), in Agis, il primo RTO (raggruppamento temporaneo di operatori), che ha ideato e promuove, in collaborazione con la Direzione generale spettacolo del MIBACT Pag. 6 e con gli enti locali, il progetto NID Platform. L'obiettivo della nuova piattaforma della danza italiana è quello di mettere in contatto le compagnie italiane di danza contemporanea con gli operatori del settore italiani e internazionali, di creare un dialogo tra produzione e distribuzione e di dare visibilità alla scena della danza contemporanea italiana nel rispetto della pluralità dei linguaggi e delle poetiche. Come si svolge? È un appuntamento biennale. Per ogni edizione, l'RTO individua al suo interno un capofila, che poi organizza la manifestazione nel territorio di competenza, assicurandosi il cofinanziamento degli enti locali, in primis della regione. Le compagnie di danza sono invitate a partecipare a una call pubblica, presentando una loro nuova produzione. Un comitato artistico internazionale, che varia di edizione in edizione, seleziona, tra quelli pervenuti – quest'anno sono stati 118 – gli spettacoli idonei a comporre un cartellone dai 16 ai 18 titoli, per quattro giornate di rappresentazione. A latere, sono organizzati momenti di incontro, confronto, attività collaterali, tavoli tematici. Alla NID sono invitati operatori, direttori di teatro, di festival, di rassegne italiani e internazionali. Si configura come un format in grado di allargare e rinnovare l'attuale mercato italiano della danza e di diffondere la conoscenza della produzione coreografica all'estero.
  Come vediamo dalla slide, la prima edizione si è svolta in Puglia nel 2012; la seconda in Toscana nel 2014; nel 2015, in occasione di Expo, in Lombardia. In questi anni, la manifestazione è cresciuta e ha consolidato la sua immagine all'interno del panorama della danza e generato ricadute sempre più tangibili. La quarta edizione, di cui vi parlerò brevissimamente, si è svolta a Gorizia recentemente, dal 19 al 22 ottobre scorsi, ed è stata sostenuta dal MIBACT e dalla regione Friuli-Venezia Giulia, oltre che dal comune di Gorizia, dalla camera di commercio Venezia Giulia e dalla Fondazione Cassa di risparmio di Gorizia.
  Ora, in sintesi, desidero illustrarvi alcuni aspetti di rilevanza e unicità della NID Platform 2017: la piattaforma della danza come evento culturale, non pensato come un singolo avvenimento che si esaurisce in se stesso, ma concepito in funzione di un intero sistema socio-economico. Secondo quest'ottica, abbiamo prestato attenzione a tre dimensioni del progetto, e cioè alla sua specificità (i contenuti dell'evento, la loro capacità di generale interesse, la capacità dell'evento di aggregare la comunità della danza); alla dimensione territoriale (l'evento quale veicolo di promozione e animazione del territorio e l'ampio coinvolgimento del tessuto locale quale parte attiva del progetto); alla dimensione legata all'esperienza dell'evento (la sua capacità di generare una risposta emotiva, e quindi un dialogo costruttivo tra partecipanti e pubblico). Riguardo alla prima dimensione, l'aggregazione della comunità quale obiettivo primario di NID, è stata perseguìta attraverso la fondamentale attenzione alla qualità del prodotto, ma anche e soprattutto attraverso una reale occasione di incontro per l'avvio di nuove relazioni o il consolidamento di relazioni già esistenti.
  La piattaforma è un momento funzionale agli operatori per l'incontro e lo scambio di informazioni e pratiche; è uno strumento di promozione delle compagnie, alle quali viene offerto un palcoscenico internazionale. Inoltre, ha ampie potenzialità di formazione e allargamento del pubblico. È, quindi, un'aggregazione della comunità della danza con un interscambio molto vario tra artista e operatore, operatore e operatore e pubblico, artista e operatore, tra istituzioni e altre categorie.
  A Gorizia, quest'interscambio è stato certamente favorito dall'individuazione di un unico grande spazio centrale. Abbiamo preso il grande spazio del museo Santa Chiara, un palazzo di quattro piani, dove abbiamo allestito un meeting point, che racchiudeva l’infopoint, la sala stampa, la sala conferenze, corner espositivi per le compagnie, ma anche un angolo ristoro e un angolo relax: un ambiente informale che ha favorito la coesione della comunità e lo sviluppo di relazioni e di nuove collaborazioni. Le giornate sono state anche scandite da momenti specificamente legati a incontri mirati, coordinati da un professionista. Pag. 7Sono stati oltre 60 i pitch attivati. Gli sviluppi saranno monitorati in questo periodo. Abbiamo già delle informazioni molto positive.
  In attesa di NID, abbiamo sviluppato attività collaterali per coinvolgere il pubblico e avvicinarlo alla danza: una rassegna di film, per esempio, dedicata alla danza in video, assieme all'università di Udine. Un progetto di sensibilizzazione per i giovani e giovanissimi, perché quest'anno per la prima volta NID ha ospitato spettacoli di danza per ragazzi: una rarità. Con 45 studenti e docenti del liceo linguistico di Gorizia abbiamo attivato un progetto di alternanza scuola-lavoro che ha visto i ragazzi impegnati nell'organizzazione e, in particolare, nella prima accoglienza degli ospiti italiani e internazionali.
  La seconda dimensione, come si diceva, è legata al territorio, concepito come elemento caratterizzante fondamentale dell'evento. Il radicamento sul territorio permette alla manifestazione di assumere a ogni edizione un carattere speciale, locale. Il coinvolgimento attivo della comunità ospitante è stato fondamentale per evitare che questa manifestazione fosse percepita come un’enclave riservata solamente agli operatori. Significative sono state le azioni di coinvolgimento delle realtà economiche del territorio, la valorizzazione delle location e della caratteristica transfrontaliera dell'area. I primi soggetti ai quali è stato proposto il progetto sono stati gli enti finanziatori pubblici e privati. Con essi il dialogo è stato avviato quattro anni fa. In questo modo, è stato possibile veicolare la validità del progetto e assicurarsi l'appoggio non solo in termini economici, ma anche di completa condivisione del progetto. NID Gorizia si è configurata così come un modello virtuoso e replicabile di partnership pubblico-privato. Con molti mesi di anticipo, inoltre, NID si è proposta ai soggetti attivi della comunità locale come occasione di arricchimento culturale e promozione del territorio: ristoranti, attività commerciali, strutture recettive, attività produttive. Ciò ha permesso di attivare un'inedita rete di relazioni che, oltre ad aver avuto ripercussioni positive nello sviluppo della manifestazione, costituisce il presupposto per la creazione di progettualità future. La volontà di proporre poi Gorizia e Nova Gorica, come unica città condivisa tra due nazioni, ha reso la NID Platform unica e difficilmente ripetibile, con ricadute straordinarie in termini di sviluppo di collaborazioni transfrontaliere e di coesione territoriale. Inoltre, sono stati resi funzionali non solo gli spazi teatrali, che sono quattro (tre in Italia e uno nella vicina Slovenia), ma anche gli spazi di grande interesse culturale, come i palazzi storici. Abbiamo attivato anche il Museo di Santa Chiara, Palazzo De Grazia, Palazzo Lantieri, Palazzo Coronini Cronenberg, e le vie centrali della città, come il Corso, via Rastello e lo stesso Castello.
  La terza dimensione è quella legata all'esperienza. Con questa dimensione si intende la capacità dell'evento di interagire con l'utente. I partecipanti all'evento non sono semplici spettatori, quindi fruitori del prodotto artistico, ma utenti attivi, a loro volta portatori di contenuti. Abbiamo perciò sviluppato azioni che favorissero lo scambio di feedback e opinioni, che stimolassero il racconto e la testimonianza dell'evento anche ai fini della sua documentazione.
  Innovativa è stata l'idea di un portale Web, che abbiamo creato – non esisteva prima – legato alle nuove produzioni della danza italiana: uno spazio virtuale in cui chi produce può presentarsi e attivare una relazione con chi fruisce e distribuisce la danza. Il portale tutt'oggi raccoglie tutti i 118 spettacoli pervenuti. In futuro diverrà più articolato, con la possibilità per gli artisti di aggiornare autonomamente la propria pagina. Uno specifico percorso formativo è stato dedicato al social media storytelling. Un gruppo di lavoro guidato da un esperto ha seguìto l'intero programma e ha affiancato alla parte teorica un'intensa attività sui social network, amplificando così l'eco dell'evento.
  I momenti di scambio e condivisione sono stati codificati anche attraverso percorsi di ascolto e monitoraggi, che hanno guidato la pianificazione e l'organizzazione della piattaforma, e testimoniano l'impatto Pag. 8economico sul territorio e sul settore di riferimento.
  Per concludere, passo all'ultima slide, che racconta alcune cifre di NID. Abbiamo raccolto dei benefìci per la danza italiana, ricadute interessanti sul territorio, il rafforzamento della comunità. Sono state presenti 43 compagnie, quasi 456 tra artisti, tecnici e operatori, che abbiamo ovviamente alloggiato, e molti spettatori. Vedete, però, di lato anche la partecipazione del territorio, con molti ristoranti, molte attività coinvolte, alberghi.
  Questo sondaggio al momento ha visto partecipanti solo 130 persone, ma lo stiamo ancora monitorando per il futuro. Ci sono già significativi risultati che posso anticipare. Abbiamo avuto già richieste dall'estero di alcuni spettacoli: da Parigi, da Zagabria, anche da Hong Kong. Per il nostro territorio è importante la proposta lanciata dal sindaco di Gorizia insieme a quello di Nuova Gorica di non disperdere l'esperienza NID, ma di mantenere sul territorio, anche con il sostegno della regione, quindi dall'assessore Torrenti, un festival di danza transfrontaliero. Speriamo che dall'anno prossimo la danza possa continuare a vivere a Gorizia, quale elemento unificante tra le due città. Voglio solo aggiungere che il monitoraggio proseguirà fino a primavera e costituirà un bagaglio che consegneremo alla prossima edizione di NID, prevista a ottobre 2019 a Reggio Emilia.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Presidente, la ringrazio a nome di tutta la Commissione.
  Chiedo ai colleghi di tener presenti le cifre che ci sono state fornite. Credo che dovremmo riuscire ad avere, alla fine di queste nostre audizioni, la presenza della professoressa Paola Dubini della Bocconi proprio per fare il punto sull'importanza di fenomeni di questo genere, attraverso cifre, o altri indicatori da individuare, che ci permettano anche di fare un confronto con i dati europei, laddove, spesso, l'Italia sembra assente, più che altro proprio per mancanza di una cultura legata alla produzione e alla raccolta di questi dati. Ringrazio quindi il presidente anche per averci portato queste indicazioni.
  Proseguiamo con Diego Loi, sindaco di Santu Lussurgiu, e Giambattista Ledda, sindaco di Sennariolo, che ci parleranno di Hymnos Sardegna. Mentre i nostri ospiti si preparano, ne approfitto per presentare ai nostri ospiti i colleghi parlamentari presenti: gli onorevoli D'Ottavio, Di Benedetto, Malisani, Blazina, Nicchi, Adornato, Carocci, Bonaccorsi, Pes, Narduolo e Bianconi. C'è una rappresentanza significativa.

  DIEGO LOI, sindaco di Santu Lussurgiu (Fondazione Hymnos Sardegna). Buongiorno, presidente. Grazie per questa straordinaria occasione di poter raccontare un progetto di questo genere. Rivolgo un saluto agli onorevoli deputati presenti. Prima di introdurre la mia relazione, vorrei chiedervi sessanta secondi di attenzione per visionare un video, e soprattutto ascoltare. È un'introduzione che ritengo utile per poter raccontare meglio il nostro progetto.

  (segue proiezione video)

  DIEGO LOI, sindaco di Santu Lussurgiu (Fondazione Hymnos Sardegna). Questo è il Miserere, forse la rappresentazione più alta della polivocalità liturgica in Sardegna, sia per i contenuti sia la forte carica emotiva, che si celebra durante la Settimana Santa, con quelli che si chiamano in Sardegna i «gruppi a cuncordu», ancora oggi presenti nelle nostre comunità.
  In questa breve relazione, in questa nostra audizione, raccontiamo del progetto in Hymnos, che ha dato vita a una fondazione che porta questo nome, che sostanzialmente vuole trovare gli strumenti, attivare azioni e iniziative che consentano di preservare nel tempo quest'importantissima tradizione, questo elemento culturale così forte e così radicato nelle comunità della Sardegna, tanto da essere ancora oggi una delle rappresentazioni più contemporanee della spiritualità, ma direi anche più in generale, dell'identità culturale in Sardegna. Attorno ai temi della polivocalità, infatti, si sviluppa il progetto Hymnos, che ha l'obiettivo fondamentale di combinare la ricerca scientifica e la divulgazione d'alto livello nel campo della musicologia storica Pag. 9e dell'etnomusicologia. Parlare di un progetto come questo, parlare di iniziative che intendono mettere al centro l'identità delle nostre comunità è particolarmente emozionante per me oggi.
  La sfida del progetto Hymnos, attraverso la fondazione creata con quest'obiettivo, è quella di attivare iniziative che consentano di mantenere viva questa grandissima carica culturale presente nelle nostre comunità, ma nello stesso tempo anche di darle una caratterizzazione di contemporaneità che consenta veramente di non considerare la tradizione come qualcosa esclusivamente da conservare all'interno di un archivio, ma di testimoniare come la tradizione in molte di queste comunità ancora oggi sia viva e pulsante e permetta di mantenere viva l'identità di queste comunità.
  Il progetto Hymnos coinvolge 15 comunità in Sardegna. Santu Lussurgiu è il comune capofila, e si avvale poi della rete dei comuni di Aidomaggiore, Ghilarza, Sennariolo, Soddì, Tadasuni, Aggius, Bonnanaro, Bortigali, Bosa, Castelsardo, Cuglieri, Galtellì, Irgoli, Nughedu San Nicolò, Orosei e Scano di Montiferro: tutte comunità collocate nel centro-nord della Sardegna. Nella memoria che abbiamo presentato abbiamo voluto rappresentare attraverso una cartina la rete che si è costituita. Sono tutte piccole comunità; ma va detto anche che la lotta della quale spesso si parla in termini di persistenza, di riscatto, di permanenza all'interno delle piccole comunità, passa anche attraverso il radicamento, ma soprattutto la valorizzazione di aspetti identitari così importanti, com'è questo legato alla polivocalità. Da qui nasce l'evoluzione del progetto, che parte da quest'elemento così forte, così emozionante e così importante, tanto da avervi voluto mostrare come si sviluppa questo tipo di rito. È solo vivendolo che si riesce a percepire la forza emotiva e il coinvolgimento che la nostra tradizione ha in questo periodo, ma anche in altri appuntamenti importanti durante l'anno.
  Non parliamo esclusivamente di Settimana Santa e di riti legati alla religione, ma anche di forme di coralità a più voci che attraversano la vita quotidiana delle nostre comunità, di momenti come quelli del carnevale, di altre iniziative, di feste paesane, in cui trova spazio questa risorsa, questa forza rappresentata dalla polivocalità. Partendo da questo concetto, Hymnos ha voluto allargare il ragionamento all'analisi e alla ricerca scientifica sul patrimonio musicale della Sardegna, in collegamento privilegiato con i due poli universitari della Sardegna (l'università di Cagliari e l'università di Sassari) e attraverso una serie di reti, di rapporti tra le amministrazioni comunali, di cui ho fatto prima l'elenco, ma anche attraverso i gruppi, i cori, i singoli che mantengono viva ancora oggi questa tradizione.
  Laddove vi fosse la possibilità di frequentare, di venire a trovare una di queste comunità nelle loro varie manifestazioni, colpirà – è molto importante per gli amministratori, che nel loro ruolo devono mantenere una grande attenzione alla possibilità di evoluzione delle proprie comunità – il fatto che questa tradizione, ancora oggi, è garantita dalla trasmissione dei valori, delle regole che governano queste liturgie e paraliturgie dei giovani. Tanti ragazzi, anche tanti bambini, in contesti anche di convivialità normale, iniziano a cimentarsi con questa tipologia di attività, di canto. Questo ha un valore eccezionale di trasmissione dell'eredità e della cultura orale, di tutto ciò che riguarda la tradizione non scritta. Ha anche un altro valore molto importante: indica e trasmette ai giovani l'identità nella propria realtà, ma soprattutto la capacità di mantenerla viva nel tempo, e quindi di trasmetterla ancora. Tutto questo è, appunto, il progetto della fondazione Hymnos, che si basa molto sul concetto di comunità locale e, dunque, pone l'attenzione sul fare musica odierna e passata, sul concetto della grande risorsa identificata con la risorsa umana. Proprio per questo, è assolutamente speciale e vivo il reale concetto di quelli che vengono chiamati soulful bodies, coloro che sono essi stessi essenza di trasmissione della cultura.
  Mi avvio alla conclusione: l'articolazione della rete a livello regionale prevede un centro di coordinamento, che è nel Pag. 10comune capofila, Santu Lussurgiu, una splendida struttura resa che ospita laboratori multimediali, un'importante biblioteca del professor Baroffio, di oltre 12.000 volumi, una sala conferenze con una foresteria, e si avvale di una serie di altre sedi periferiche distribuite in Sardegna. Nelle azioni che vengono realizzate – vorrei evidenziarlo bene – la fondazione si occupa di raccogliere sistematicamente: materiale storiografico e archivistico per la schedatura e catalogazione delle fonti orali e scritte sulla cultura musicale in Sardegna relativamente alle paraliturgie e, più in generale, alle pratiche di canto a più voci nella vita religiosa e sociale delle comunità; un importante catalogo di codici liturgici musicali della Sardegna secondo le metodologie più recenti della codicologia liturgica e paleografia musicale. Si tratta di una raccolta e di una catalogazione – questo è molto importante – che consente anche la fruizione a distanza delle registrazioni audiovisive relative alle varie pratiche di canto a più voci della vita sociale e religiosa delle comunità locali. C'è, inoltre, un'attività di produzione e divulgazione di DVD e altro, che consentono di rendere note all'esterno le varie attività. Ancora, si costruiscono pagine Web accessibili per la divulgazione sonora, filmica e testuale dei risultati della ricerca, e si tengono corsi di aggiornamento, si dà supporto scientifico con laboratori di approfondimento.
  Vorrei solo aggiungere che abbiamo pensato di fare un omaggio ai membri della Commissione, per cui vi lasceremo, se avete piacere, un piccolo opuscolo che racconta meglio quanto non sono riuscito a dire oggi.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il sindaco di Santu Lussurgiu. Chiediamo a Giambattista Ledda un intervento velocissimo.

  GIAMBATTISTA LEDDA, sindaco di Sennariolo (Fondazione Hymnos Sardegna). Sarò telegrafico. Grazie, presidente, grazie alla Commissione per questa straordinaria opportunità. Ho visto nascere questo progetto come cantore e come amministratore – allora, ero assessore – e oggi essere qui è una grande soddisfazione. Noi crediamo molto in questo progetto come territori delle aree interne. Ieri, si parlava a Montecitorio delle città del futuro. Noi immaginiamo le città del futuro come città in cui si valorizza la sapienza del villaggio, e tra le varie sapienze rientra anche il canto a «cuncordu». Le radici si perdono nella notte dei tempi. Qualcuno le individua nel falso bretone. Qualche canto, ad esempio lo Jesu di Castelsardo, dicono che sia bizantino. L'importante è non solo conservare, ma tramandare questa tradizione, perché il fattore culturale ed educativo è fondamentale.
  Noi riteniamo che uno dei motivi dello spopolamento e della crisi delle comunità sia la mancanza culturale. In Sardegna questo è grave, perché nei nostri piccoli centri il tasso di alfabetizzazione era alto nell'immediato Dopoguerra, se pensiamo alle medie nazionali. Vogliamo recuperare quella cultura che ci appartiene e insegnare ai giovani che si può continuare a vivere anche nelle terre più sperdute, perché comunque la cultura è fondamentale.

  PRESIDENTE. Grazie davvero al sindaco di Sennariolo. Passiamo a un altro tipo di esperienza, quella dell'archivio di Stato di Reggio Calabria, rappresentato qui dalla dottoressa Fortunata Chindemi, responsabile del servizio per la didattica. Approfitto per salutare Donatella Ferrante, che accompagna il dottor Cutaia.

  FORTUNATA CHINDEMI, responsabile del servizio didattica dell'archivio di Stato di Reggio Calabria. Buongiorno presidente. Buongiorno a tutta la Commissione. Grazie per quest'invito. È un'occasione per presentare il lavoro che si svolge negli archivi di Stato, in particolare in quello di Reggio Calabria. Ho intitolato così il power point che mi aiuterà a spiegare l'attività, soprattutto della sezione didattica, ma che vede coinvolto tutto il personale. Questo è il territorio della provincia di Reggio, in cui opera l'archivio di Stato. C'è una sede principale a Reggio Calabria e delle sedi periferiche nel territorio, una a Palmi e una a Locri. Le sezioni ci permettono di penetrare Pag. 11 tutto il territorio della nostra provincia, raggiungendo soprattutto quelle scuole pedemontane che altrimenti avrebbero difficoltà a conoscere la realtà degli archivi.
  L'archivio di Stato ha svolto fin dalle origini, che per quello di Reggio risalgono al 1852, essenzialmente le funzioni di conservazione e tutela del patrimonio archivistico. Dal 1998, un decreto legislativo ha aggiunto la funzione della valorizzazione e della promozione. È stata questa un'esperienza fondante e fondamentale, che abbiamo realizzato soprattutto attivando il coinvolgimento delle istituzioni locali e dei privati cittadini. Questo ci ha permesso di creare una rete di relazioni a supporto della nostra azione di promozione, proprio per renderla più efficace. Quest'azione di promozione ha visto coinvolta anche la sezione didattica, che inizialmente ha mosso i primi passi con visite guidate e percorsi didattici a cui, dal 2015, si sono aggiunti i progetti di alternanza. È un'esperienza ancora in corso per noi. Possiamo dire che ci stiamo organizzando, migliorando l'offerta formativa che possiamo offrire agli studenti. Mi soffermo un attimo su quest'esperienza, per poi parlare della valorizzazione che facciamo nel territorio.
  Quella dell'alternanza è un'esperienza che viene fatta all'interno dell'istituto. I ragazzi possono conoscere il patrimonio archivistico, e quindi amarlo e tutelarlo. Loro collaborano in tutti i servizi offerti al pubblico, quindi in questo senso è coinvolto tutto il personale, dal servizio di accoglienza all'assistenza in sala studio, alle ricerche per corrispondenza, al riordino dei fondi archivistici. È un'esperienza importante. I ragazzi si appassionano. Devo solo aggiungere che le ore di lavoro nell'azienda sono troppo numerose perché sia garantita la bellezza del percorso. I ragazzi, dopo la terza settimana, si stancano. A mio avviso, per dare efficacia piena a questo tipo di esperienza, che è preziosa sia per gli istituti culturali sia per gli studenti, occorrerebbe un po’ ridimensionarla, almeno nel settore dei beni culturali, almeno per i licei, non dico per gli istituti tecnici, che svolgono attività nelle aziende, nelle industrie, in modo che i ragazzi possano avere consapevolezza e orientare anche la propria scelta futura.
  Vi offro ora una carrellata delle attività che svolgiamo per far conoscere il patrimonio archivistico, ma che di fatto sono un'opportunità per il territorio per conoscere la propria storia. La nostra attività è motivata dalla consapevolezza che la comunicazione del patrimonio favorisce lo sviluppo umano, sociale, economico e democratico.
  Iniziamo con quello che è avvenuto nel 2009 da noi. Abbiamo coinvolto gli studiosi, che sono stati i protagonisti della promozione, che hanno raccontato la loro passione per la ricerca in archivio, una passione contagiosa.
  In occasione della festa della donna, abbiamo pensato di raccontare la storia del nostro territorio al femminile. È una storia a volte poco conosciuta, ma che ha determinato anche lo sviluppo sociale ed economico della nostra terra. Quest'immagine raffigura le gelsominaie, le donne che uscivano di notte per raccogliere i fiori di gelsomino, che all'alba, col sorgere del sole, diventavano meno profumati. Queste donne dovevano raccogliere almeno 8.000 fiori per fare un chilo di prodotto e per ricevere una minima paga per sfamare i propri figli. È una realtà che va conosciuta per capire le nostre radici.
  C'è poi l'esperienza dell'emigrazione e il raffronto con l'attualità di tutti i temi che presentiamo ai cittadini: un'esperienza che ancora tocca sia noi come madri, che vediamo i nostri figli andare al nord o all'estero per trovare lavoro, sia l'esperienza dell'immigrazione che sta coinvolgendo tutta l'Italia.
  Quello che facciamo è anche dare valore alle opere culturali realizzate da altri. Diventiamo come un altoparlante per far conoscere la cultura.
  Abbiamo presentato questo libro, che è stato pubblicato da un editore calabrese: la ristampa di un'opera di un antropologo norvegese che negli anni Sessanta ha vissuto nel territorio del comune di Bova per studiare la civiltà contadina di un paese in cui ancora si parlava la lingua greca. È una pagina interessantissima di storia dei valori Pag. 12della vita contadina, delle tradizioni, della cultura.
  C'è poi la grande promozione del nostro ministero, anche con slogan che hanno una grande efficacia. Certamente, la cultura è apertura: apertura al territorio. Abbiamo allestito anche alcune mostre: ultimamente, soprattutto le celebrazioni per il centenario della Prima guerra mondiale, che hanno fatto riscoprire anche a noi, che l'avevamo studiato solo sui libri, il dramma di questa guerra. Abbiamo provveduto in quest'occasione, con l'aiuto di un collega che è stato bravissimo nel dedicarsi a questo lavoro, al recupero e riordino di oltre 60.000 schede di notizie che sono state trasmesse dai soldati alle famiglie. Parlo dell'ufficio notizie per le famiglie dei militari in guerra. È stato un recupero importante della memoria storica, perché tutto ciò che rimane nei documenti non morirà mai veramente. È questo il messaggio che abbiamo lanciato, oltre al coinvolgimento delle famiglie del territorio, che oramai ci conoscono e ogni volta che facciamo una mostra, sono così generose da portare loro stesse i loro cimeli per arricchire le mostre. Certo, il documento non ha la bellezza di un quadro, di una statua, ma, con l'oggetto accanto che ne illustra il significato, ecco che acquista tutta un'altra luce.
  Quest'anno, per le celebrazioni del Giorno della memoria, abbiamo collaborato con la prefettura per la realizzazione di una mostra sulla civiltà ebraica, che è stata presente anche nel nostro territorio, con l'esposizione anche grafica del più antico insediamento ebraico, che è sempre nel territorio di Bova.
  Abbiamo anche più volte fatto conoscere emergenze architettoniche scomparse che sono presenti soltanto nei nostri archivi. Abbiamo recuperato il quadro di una Madonna che era in una chiesa distrutta dal terremoto del 1908, nascosta in una sacrestia. Per la prima volta è stata esposta. Anche il culto di questa Madonna è venuto scomparendo.
  Abbiamo realizzato il recupero dell'archivio del filosofo Cardona, che è tornato nella sua terra natia, Palmi.
  Su questa mi soffermo un attimo. È l'immagine della città di Reggio, una passeggiata in città, prima del terremoto del 1908. In occasione del centenario del terremoto, abbiamo allestito una mostra per presentare la città scomparsa, perché di Reggio non è rimasto nulla dopo il terremoto, tranne una parte del castello. Le carte d'archivio ne conservano, però, la memoria. Avremmo voluto trovare un finanziamento per ricostruire virtualmente questa città, ma non è stato possibile.
  Un'esperienza interessante, con un risvolto anche economico, è la riscoperta degli antichi lavori, ad esempio della tessitura. Abbiamo esposto gonne ricamate in argento, accanto alle matasse di seta grezza lavorate nelle antiche filande del territorio, abiti tessuti in seta con ricami finissimi, sempre del nostro territorio, fino ad arrivare a un piviale, che ci è stato prestato dal museo diocesano di Gerace, in lino e ginestra, i tipici tessuti della nostra zona.
  C'è poi l'esperienza attuale della tessitura, ancora nel nostro territorio, divenuta una griffe internazionale. La casa di moda Cangiari nasce a Locri, con i tessuti ricamati nei telai della cooperativa fondata dall'arcivescovo Bregantini, che, per togliere dalla disoccupazione o dall'associazione alle famose mafie i giovani del territorio della Locride, ha fondato queste cooperative, che con intelligenza hanno sfruttato questa tessitura povera. Tessere un metro quadrato di ginestra comporta giornate intere di lavoro. Non si possono vendere come strofinacci, ma devono essere cucite, per realizzare abiti di alta moda ecosostenibili, che adesso sfilano a Parigi e sono esportati anche nei Paesi arabi. Qui c'è, ancora, una coperta di seta che ci è stata prestata da una famiglia.
  La montagna è una risorsa infinita per il nostro territorio. Il bergamotto ha creato il primo profumo, l’eau de cologne. Questo è il numero civico del laboratorio, in cui venivano inviate le essenze del bergamotto che cresce, con questa tipicità capace di fissare i profumi, soltanto nel nostro territorio. Sono ricchezze che potrebbero essere ancora valorizzate e dare lavoro anche ai nostri giovani. Pag. 13
  Non parlo poi della pinna nobilis, che è presente nel nostro mare. Abbiamo avuto l'esposizione di questa pinna, presente anche nelle monete dell'età greca, o dei doni che adesso il territorio fa all'archivio di Stato. La cittadinanza si rende conto della tutela che svolgiamo, e così ci donano i loro archivi.
  C'è l'esperienza della Varia, a cui abbiamo contribuito con i documenti, perché fosse riconosciuta come patrimonio immateriale dell'umanità, una festa importantissima.
  L'ultima è la pagina della legalità, se posso ancora occupare un po’ di tempo. Collaboriamo di solito con la prefettura di Reggio per le celebrazioni della Festa della Repubblica. Abbiamo portato la conoscenza del territorio del comune di Rosarno, altrimenti famoso per altre vicende, e abbiamo raccontato il territorio devastato dai terremoti, ricostruito, bonificato, e poi l'esperienza luminosa di una cooperativa, che negli anni Sessanta ha creato il club «I giovani e le tre P». Lo slogan era: provare, produrre per progredire. Questo pannello è stato proposto ai giovani del territorio. È importante recuperare le risorse per dare occupazione e legalità al territorio.
  Vi presento questo, che è un approfondimento della Costituzione con il contributo dell'università Mediterranea. Vi mostro questi due documenti messi a lato: «Viva la libertà d'Italia» e «Viva la Costituzione di Napoli». Sono delle prove di reato che erano unite da alcuni processi, prima dell'Unità d'Italia. Da noi, quindi, già si respirava il contributo del nostro territorio per l'Unità d'Italia, che è stato notevole, ma poco conosciuto. Non emerge se non per la venuta di Garibaldi nei testi ufficiali di storia, che andrebbero un po’ arricchiti di altri particolari.
  C'è poi l'esperienza di due reggini, il procuratore Gratteri e il professore Nicaso, che hanno frequentato le nostre sale studio per ricostruire la vita della ’ndrangheta nei nostri territori, ma soprattutto per diffondere l'idea di legalità. Solo conoscendo i luoghi angusti e l'oppressione creata da questa malavita si può risorgere e creare quel movimento di cultura necessario per il nostro territorio. Questi sono i testi che loro pubblicano e poi presentano nelle nostre sale.
  Questa è l'esperienza dell'archivio di Stato. Aggiungo soltanto che l'archivista non si prepara in un giorno, ha bisogno di anni, deve conoscere il patrimonio che conserva. Tra cinque anni, l'archivio di Stato sarà privo del personale, rimarranno solo due persone, presidente. Mi auguro che l'arrivo di nuovi archivisti possa essere imminente, perché ci vuole tempo per trasmettere questa cultura che abbiamo acquisito in quarant'anni di lavoro. Grazie a tutti.

  PRESIDENTE. Vi devo dire che la dottoressa Chindemi, parlando prima un attimo fuori, mi ha detto che sono stati travolti dalle richieste di ragazzi che volevano andare all'archivio di Stato di Reggio Calabria, in alternanza scuola-lavoro. Non stento a crederlo, vedendo quante cose l'archivio di Stato di Reggio Calabria propone e come siano interessanti per il territorio, anche in questa funzione di megafono delle realtà territoriali positive.
  Proseguiamo con un altro caso eccezionale, quello della Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Il direttore, Raffaele De Magistris, ci racconterà di quest'esperienza, nota alle cronache, ahimè, per un passato difficile e faticoso, ma anche come modello virtuoso di un recupero su una realtà straordinaria come quella dei Girolamini.

  RAFFAELE DE MAGISTRIS, direttore della Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Buongiorno presidente. Buongiorno a tutti. Mi sento molto onorato di quest'invito sia personalmente, sia perché lo interpreto come un ulteriore segnale di attenzione nei riguardi della Biblioteca dei Girolamini di Napoli, che da maggio 2016 ho l'onore di dirigere ad interim. Sono, tra l'altro, anche direttore della Biblioteca Universitaria di Napoli.
  Leggo dalla memoria, che prego di pubblicare integralmente, tagliando qualche periodo, così mi terrò perfettamente nei tempi assegnatici.
  Intendo sottoporre alla Commissione un'esperienza di cui la biblioteca è protagonista Pag. 14 e che io ritengo sia da considerare una buona pratica con riflessi e spunti validi anche al di fuori del contesto specifico in cui si sta realizzando. Mi riferisco al corso biennale di alta formazione in storia e filologia del manoscritto e del libro antico, un'esperienza innovativa sotto diversi profili: da quello didattico a quello catalografico-biblioteconomico, un'esperienza sviluppata nell'ambito di un progetto di collaborazione messo a punto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dall'università degli studi di Napoli «Federico II». Utilissimi si sono rivelati al momento, per l'organizzazione della sede e le prime esperienze e le prime iniziative di catalogazione, i fondi disponibili grazie all’«Art Bonus», proprio per fini di questo tipo. Su un ammontare complessivo di 100.000 euro, 30.350 dei quali provenienti da elargizioni liberali e 69.650 quali cofinanziamento MIBACT, di cui al decreto ministeriale 28 gennaio 2016, sono stati impegnati a oggi all'incirca 43.000 euro.
  Proprio per evidenziare appieno lo spessore del progetto, è opportuno far precedere la sua descrizione da alcuni sintetici cenni sulla rilevanza storico-culturale della biblioteca e sullo stato di degrado in cui si è ridotta negli anni 2011-2012, naturalmente a seguito delle note vicende di illeciti.
  Da sempre parte organica dell'omonimo convento fondato nel 1586, la Biblioteca dei Girolamini va senz'altro annoverata tra le più prestigiose biblioteche cittadine. Come la gemella Biblioteca Vallicelliana, anch'essa si inserisce nel quadro del più ampio progetto culturale dei padri oratoriani, che vedeva nell'impegno a favore della promozione della cultura nel territorio un segno dell'attività di evangelizzazione. In particolare, la congregazione prevedeva che i padri avessero e impartissero ai giovani che all'oratorio approdavano, e che provenivano non di rado dalle famiglie meno abbienti del territorio parrocchiale, una formazione culturale accogliente e poliedrica, storica ed erudita, naturalistica, matematica, musicale.
  Altra caratteristica peculiare che contribuì a creare l’humus da cui trae origine la biblioteca va rintracciata in un'apertura culturale non comune per i tempi. I padri filippini, infatti, in confronto ai gesuiti e ai domenicani, ebbero un atteggiamento meno rigido rispetto alle direttive della Chiesa controriformata, restando dialetticamente vicini alla società civile e alle istanze culturali che da essa provenivano. Testimonianza di queste due matrici sono sia i preziosissimi documenti musicali, sia le pregevoli collezioni di testi antichi e rari. Tra queste, mi limito a menzionare, per l'estrema rilevanza storica e bibliografica, la biblioteca di Giuseppe Valletta, tra i massimi intellettuali napoletani del secondo ’600, cofondatore, tra l'altro, dell'Accademia degli investiganti. La biblioteca del Valletta fu acquistata nel 1727 su sollecitazione di Giambattista Vico e ospitata nella splendida sala appositamente realizzata e ora denominata appunto «Sala Vico».
  Apro un inciso. Penso che questo la dice veramente lunga sull'apertura mentale degli oratoriani. A dare un'idea emblematica dei tesori bibliografici posseduti bastano poche cifre. A oggi, si contano circa 530 manoscritti, 100 incunaboli, 5.000 cinquecentine, 900 volumi musicali, 100 documenti grafici, per lo più litografie. Se, come noto, in pochi mesi una percentuale significativa di questi tesori è stata sottratta o deturpata, molto meno conosciuti, da parte almeno del grande pubblico, sono gli atti di vandalismo e devastazione di cui sono rimaste vittime quelle stesse sale dove Vico, Croce, Di Giacomo si erano intrattenuti in assidue frequentazioni.
  Chi è entrato in biblioteca subito dopo il sequestro giudiziario da parte della magistratura, ha avuto netta la percezione di avere interrotto un gigantesco movimento di libri, frutto di un inconcepibile disegno criminoso: cambiamenti di collocazione e smembramento di collezioni senza alcun criterio biblioteconomico; migliaia di libri spostati inopinatamente da una sala all'altra, depositati sui tavoli o lasciati caoticamente accatastati sul pavimento o addirittura inscatolati per i fini più svariati; scaffalature in condizioni indescrivibili, alcune Pag. 15stracolme di libri, molte altre completamente vuote.
  Negli anni passati, pertanto, i bibliotecari e gli operatori intervenuti sotto il coordinamento della direzione biblioteche e istituti culturali hanno innanzitutto portato a termine una gigantesca opera di disinfestazione e bonifica delle collezioni e degli ambienti, seguìta dalla ricollocazione ordinata sugli scaffali di pressoché tutto il patrimonio e dalla revisione accurata delle consistenze, in specie dei testi collocati nelle più importanti sale storiche. È evidente, tuttavia, come la riorganizzazione del patrimonio secondo corretti canoni biblioteconomici rappresenti un passaggio ineludibile, ma sicuramente non sufficiente per la rinascita della biblioteca. Affinché questa si realizzi per davvero, occorre prospettare azioni in grado di invertire il depauperamento della coscienza che è stato perpetrato – facevo fatica a scrivere parole come questa – azioni in grado di cicatrizzare le ferite inferte a quei luoghi e di ridar loro la centralità che per secoli ne ha contraddistinto la presenza all'interno della comunità degli studiosi e della società civile della città di Napoli, e non solo di Napoli.
  È precisamente in questa direzione che va il corso di alta formazione in storia e filologia del manoscritto e del libro antico. Il corso, presentato ufficialmente il 22 maggio scorso con una conferenza stampa a cui presenziò il ministro, onorevole Dario Franceschini, ha avuto inizio il 3 novembre, e costituisce senza dubbio una tra le più significative espressioni del fruttuoso rapporto di cooperazione che si sta costruendo tra il ministero e l'università «Federico II». Esso origina da due importanti accordi stipulati nel febbraio di quest'anno tra il MIBACT e l'università: un accordo quadro di indirizzo complessivo che, nel definire la cornice di riferimento istituzionale, prevede una sempre maggiore integrazione tra ricerca, didattica e beni culturali; un accordo attuativo successivo, a cui si deve la concreta definizione e strutturazione del corso di alta formazione nelle sue diverse componenti e articolazioni. Intitolato a un maestro come Alberto Varvaro, il corso è diretto da Andrea Mazzucchi ed è aperto complessivamente a venti allievi, di cui dieci beneficiano di una borsa di studio di 6.000 euro annui. La biblioteca ne costituisce la sede d'elezione, dal momento che ospiterà non solo le 400 ore di tirocinio, ma anche gran parte delle 624 ore di lezioni frontali. A questo scopo si è provveduto ad allestire, dotandola di adeguate attrezzature e di impianti illuminotecnici informatici e di rete, una sala multimediale, indispensabile per procedere all'attività di studio, catalogazione e digitalizzazione dei testi. Molteplici sono gli obiettivi che il corso si propone: tra essi, ovviamente, quelli di natura scientifica. Il corso intende, infatti, costituirsi come luogo privilegiato per la formazione di esperti nelle discipline filologiche, paleografiche e codicologiche, fornendo competenze tecniche e professionali, con particolare riguardo alla filologia digitale e alla conservazione e diffusione del patrimonio librario antico, dall'elaborazione dei database per la catalogazione alla scansione, digitalizzazione, marcatura di immagini e restauro virtuale del patrimonio librario.
  Notevoli sono anche gli interventi programmati in merito alla sistemazione scientifica e catalografica del patrimonio bibliografico. Gli allievi della scuola, infatti, sotto la guida dei docenti del comitato scientifico, del personale bibliotecario specializzato, di tutor e supervisori, saranno impegnati nella realizzazione di un nuovo catalogo dei manoscritti, ovviamente presente a Girolamini, che aggiorni e sostituisca il benemerito ma ormai datato catalogo di Enrico Mandarini. Saranno anche impegnati nella catalogazione in rete e digitalizzazione del materiale librario più pregiato grazie anche alla possibile disponibilità di strumenti tecnologicamente avanzati collocati presso la sede della biblioteca.
  Accanto a quelli che ho elencato, e sono obiettivi prettamente scientifici, altrettanto importanti si mostrano però su un altro fronte gli obiettivi di carattere socioculturale.
  Le attività del corso, oltre a fornire un significativo impulso alla riapertura della struttura, contribuiranno in maniera determinante, ed è forse l'aspetto più rilevante, Pag. 16a rivalorizzare il ruolo della biblioteca riallineandola con la sua storia e la vocazione sociale dei secoli passati, ridonandole l'immagine di luogo di cultura e il prestigio che merita, dopo gli scandali per cui si è incredibilmente ritrovata sulle prime pagine dei giornali.
  In conclusione, per quanto sia prematuro trarre bilanci, mi pare di poter affermare che il corso nella sua configurazione e nei suoi princìpi metta in campo proficue sinergie tra mondo dell'istruzione e mondo dei beni culturali, delineando un metodo da esplorare, un inedito modello di collaborazione, che vale non solo per l’hic et nunc, ovvero tra la «Federico II» e una biblioteca di conservazione come i Girolamini, ma che più in generale può fungere da laboratorio sperimentale, e forse – perché no? – anche da volano per il futuro e per forme di sinergia sempre più articolate tra le università e le biblioteche.
  Ho accluso alla memoria, e le avete viste scorrere, quattro foto. Le ultime due mostrano la sala Croce, una delle sale storiche della biblioteca, com'è adesso, mentre si tiene una lezione del corso; le prime, come si presentavano subito dopo lo scempio. La differenza riveste, a mio avviso, una valenza simbolica oltre che augurale.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il direttore. Uniamo l'augurio di tutti noi perché questo lavoro sui Girolamini vada avanti bene. Ricordo per i colleghi, che forse non hanno visto i dati che sono stati diffusi dalla stampa nella giornata di ieri e dell'altro ieri a proposito di «Art Bonus» nel sud, che quella dei Girolamini è uno dei tre esempi virtuosi in cui anche al sud l’«Art Bonus» ha funzionato. È un'altra delle riflessioni che dovremo fare in conclusione del nostro lavoro.
  Ringrazio ancora il direttore. Passiamo all'ultima delle audizioni di oggi, di nuovo relativa a un'esperienza in Friuli Venezia Giulia, quella di Donatella Ruttar, la presidente dell'associazione Topolò Topoluove.

  DONATELLA RUTTAR, presidente dell'Associazione Topolò Topoluove. Buongiorno. Ringrazio la presidente e la Commissione per avermi invitato. Sono Donatella Ruttar e, insieme a Moreno Miorelli, da 24 anni curo Stazione di Topolò – Postaja Topoluove, un progetto che abbiamo ideato insieme, partito appunto 24 anni fa, in un piccolo paese, Topolò, di cui si vedranno alcune immagini e di cui voglio raccontare una brevissima storia, altrimenti il nostro progetto non ha senso.
  Topolò, appunto Topoluove nell'antica lingua slovena, è sperduto in mezzo ai monti e oggi ha venticinque abitanti, mentre prima delle due guerre ne contava 400. A Topolò la strada finisce, e a Topolò si arriva; da lì si parte, ma non si transita. Certo, è un bel paese, Topolò, che vediamo adesso nelle immagini, posato sul pendio del monte, costituito da un labirinto di vie tutte pedonali, che salgono e scendono intrecciandosi lungo il pendio. Tra i boschi, a poca distanza dal paese, a 400-500 metri in linea d'area, passa il confine. Dall'altra parte del monte, oltre il confine, c'è la Valle dell'Isonzo, c'è Caporetto.
  Proprio in queste settimane si sta ricordando e celebrando questo momento della storia che noi ricordiamo come la disfatta o la rotta di Caporetto, mentre dall'altra parte del confine ricordano come il miracolo di Caporetto, Kobariški čudež.
  Quella linea che passa tra i boschi, a pochi metri da Topolò, ha fatto la storia di un intero secolo. Tre guerre si sono combattute, e la terza, quella Fredda, è stata la peggiore per questa popolazione e per quest'area. La Guerra fredda trasformò il territorio di confine in un luogo di assoluta inospitalità. Divieti, controlli, delazioni divennero prassi quotidiana. Il risultato fu il disastro sociale, il disintegrarsi della comunità, il rifiuto per i più della propria identità linguistica e culturale, l'abbandono come unica possibile salvezza e, per chi rimase, fu il trauma, il blocco psicologico, la sfiducia, il timore. Il timore e il sospetto divennero dei tratti caratteriali.
  In questo desolante quadro, nel 1994 prende avvio il nostro progetto, Stazione di Topolò – Postaja Topoluove, come dicevo. L'idea è quella di una stazione, di un luogo di arrivi e partenze, di passaggio, di incontro, di sosta e movimento in un luogo che Pag. 17di tutto ciò era l'esatto contrario. È un progetto, è un azzardo, è stata una sfida, fondata sull'incontro tra un Paese esanime e l'arte contemporanea sperimentale e di ricerca. Quest'incontro ha creato immediatamente un corto circuito. L'incontro tra la memoria e il futuro, la fusione tra l'arcaicità e la sperimentazione, in uno spazio che era fino a pochi anni fa off limits, ha generato un ribaltamento di alcuni luoghi comuni. Topolò non è più luogo marginale, non è più luogo inospitale, non è più luogo fuori dal tempo. In qualche modo l'arte ha creato a Topolò una nuova identità.
  A Topolò invitiamo da sempre artisti che arrivano da tutto il mondo proprio per ribaltare quel punto di vista di un'assoluta marginalità e, peggio ancora, di insignificanza che c'era. Gli artisti che vengono invitati raccolgono tantissimi stimoli di questo piccolo microcosmo, che sono appunto la storia, passata e presente, il dramma del confine, l'abbandono, l'invadenza della natura, l'architettura, il paesaggio, la lingua slovena parlata o negata, le tradizioni, i ritmi, il silenzio. Tutti questi diventano materiali con i quali gli artisti lavorano e cercano di elaborare il proprio progetto a Topolò. Agli artisti abbiamo chiesto fin da principio una cosa: la disponibilità all'ascolto e all'incontro, per realizzare poi un'opera che traduca questa relazione. Alle persone di Topolò, invece, abbiamo chiesto di aprire le case, di ospitare questi stranieri, per quanto artisti, e di non avere più timore.
  In questo lavoro siamo semplicemente come dei mediatori. Questo miracolo che a Topolò è avvenuto già nei primi anni, direi subito, è stato quello che il Paese ha aperto le proprie porte, ha accolto e oggi ospita e collabora in questa nuova normalità, in questa vita che torna. In quelle immagini vediamo cose impensabili un tempo. Per i topoluciani, gli abitanti di Topolò, questo nostro progetto è semplicemente il Seniam, la festa, la festa del paese, di una normalità ritrovata. Quando, venticinque anni fa, siamo partiti con questo progetto, mai avremmo pensato che sarebbe durato così a lungo. Era davvero per noi un gioco e un po’ una sfida, sfida che ponevamo anche all'arte contemporanea, spostando completamente i termini della ricerca.
  Parlando dei progetti, quello che posso dire è che a Topolò, come dicevo fin dal principio, arrivano artisti da tutto il mondo, ai quali viene chiesto di creare qualcosa per Topolò. I progetti sono, cioè, creati per il paese, per quel microcosmo, per quella situazione, quasi a ripagare di una storia così difficile. Sono, quindi, un dono che gli artisti fanno al paese, mettendosi innanzitutto in ascolto.
  I progetti sono sempre molto numerosi. Forse, in 24 anni – quest'anno abbiamo organizzato la 24ª edizione – ne stimiamo intorno ai mille, circa 50 ogni luglio, ogni dieci o quindici giorni di luglio, quando la stazione rianima il paese di Topolò. Tanti di questi, sono diventati poi dei progetti permanenti. È difficile raccontare Topolò senza entrare nel dettaglio, ma nella memoria ho dettagliato meglio, perché la storia è davvero lunga. Quello che, però, è interessante è come dai primi progetti, che semplicemente si ponevano in dialogo con Topolò, la sua storia, alcuni siano poi diventati una sorta di campo di lavoro aperto e permanente, aperti a tutti. Ne ho fatto un lungo elenco. Questo è l'orario dei treni di Topolò. Le ambasciate di Topolò, ad esempio, non sono altro che il progetto di alcuni artisti che hanno talmente condiviso il nostro modo di lavorare, che hanno voluto aprire la loro ambasciata. Le prime furono quella olandese e quella ceca, ma un'altra importantissima per noi è quella della Nuova Zelanda, con la quale collaboriamo da sempre. In quel caso, gli artisti, che sono anche i nostri ambasciatori, non solo ce ne suggeriscono altri giusti per la nostra esperienza, che potrebbero arricchire e mettersi in relazione con questo piccolissimo luogo così denso di storia e di temi, ma finanziano anche la Stazione di Topolò, trovando gli sponsor. Gli artisti sono spesso sponsorizzati dagli istituti di cultura dei loro Paesi. Così abbiamo, ad esempio, l'ambasciata d'Olanda, come dicevo, quella ceca, l'ambasciata di Norvegia – si era vista anche la fotografia del direttore Per Platou – l'ambasciata dei Cancellati, l'ambasciata della Nuova Zelanda. Pag. 18
  Abbiamo l'università di Topolò, che ha un suo rettore, l’ex rettore dell'università di Udine, Furio Honsell, con vari dipartimenti. L'ultimo che si è creato è il dipartimento di balcanitudine, diretto da Angelo Floramo; ma abbiamo anche il dipartimento di paesologia, diretto da Franco Arminio, che conosciamo. Abbiamo l'istituto di topologia di Topolò – abbiamo organizzato grandi convegni sulla topologia matematica – che si occupa della scienza dei luoghi di Topolò. Abbiamo la pinacoteca universale di Topolò, che raccoglie le opere d'arte del mondo in questo spazio circoscritto, ma il progetto è grande, guidato da Guido Scarabottolo. È un progetto che ha sempre sostenuto la Stazione.
  Per dirne una, un anno in cui eravamo profondamente in crisi, quattro anni fa, quando pensavamo di festeggiare i nostri vent'anni, e invece all'inizio non ci venne dato il contributo che ci avrebbe aiutati a fare le cose, si mobilitarono in tantissimi: ci fu una pagina sul Domenicale del Sole 24 Ore, si organizzò un concerto a Graz per raccogliere i fondi, la galleria Affiche di Milano diede all'asta i suoi quadri per raccogliere fondi per la Stazione, i ragazzi crearono un crowdfunding. La Stazione di Topolò vive. Abbiamo tanti progetti.

  PRESIDENTE. Dottoressa, sono purtroppo costretta a chiederle di sintetizzare, perché vorrei consentire ai colleghi, sia pure rapidissimamente, di interloquire con voi.

  DONATELLA RUTTAR, presidente dell'Associazione Topolò Topoluove. Concludo, allora, così. Non parlerò più dei progetti, ma vorrei dire due cose su che cosa questo progetto ha restituito al paese, alla comunità: innanzitutto, l'intervento dei privati, che hanno ristrutturato buona parte delle case che vediamo quasi in rovina; il comune, che è intervenuto rifacendo la rete fognaria e l'illuminazione, dandoci una sede, mettendo a posto un grande edificio, creando gli spazi per il ristoro, il sentiero Topolò-Livek, un sentiero d'arte che adesso ha ricollegato Topolò al paese in Slovenia.
  Vi sono poi tesi di laurea dedicate alla Stazione di Topolò, un fatto davvero importante per noi. Nella memoria ne ho messe dieci, che sono proprio quelle centrate sulla Stazione di Topolò, e che sono state fatte all'università «Ca’ Foscari», allo IUAV, al Politecnico di Torino, a Roma 3, dove ne è stata dedicata una agli aspetti geografici. Si indaga questo fenomeno – è per questo che lo chiamiamo festival – perché ha tanti aspetti interessanti anche dal punto di vista economico. Si studia come sia possibile tenere un festival con questa ricaduta.
  Noi, che ci occupiamo del patrimonio, anche quello che va in rovina, l'anno scorso, nel 2016, abbiamo ospitato il terzo incontro mondiale sui paesaggi terrazzati, che aveva sede tra Padova e Venezia. Topolò era insieme alle Cinque Terre, insieme ad altri otto luoghi in Italia, uno dei luoghi in cui si lavorava intorno al tema del recupero. Abbiamo organizzato laboratori. Mi fermerei qua.

  PRESIDENTE. Credo abbiamo avuto tutti un'impressione straordinaria di quest'esperienza. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, ma molto rapidamente.

  MARA CAROCCI. Ho solo una domanda per il sindaco di Santu Lussurgiu. Ho visto dalle foto che le voci polifoniche sono solo maschili. D'altra parte, anche le tradizioni della mia città hanno questa caratteristica. Mi chiedo, visto che vi rivolgete anche ai giovani, all'integrazione col territorio, se e in che modo riuscite a coinvolgere anche le giovani, in qualche attività collaterale. Immagino che nel canto vero e proprio non sia possibile.

  GIANNA MALISANI. Non è tanto una domanda, la mia. Vorrei riferirmi, invece, in particolare, all'importanza del canto popolare e della musica popolare e alle modalità con cui sono stati disciplinati dalla recente legge sullo spettacolo dal vivo e su cui abbiamo presentato anche ordini del giorno. Il testo potrebbe ingenerare un po’ di confusione, mentre, in realtà, si voleva sottolineare l'importanza della tradizione Pag. 19orale per tutte le terre d'Italia, comunque legate alla questione linguistica. Approfitto della presenza del dottor Cutaia per far emergere questo timore e ammetto che non conoscevo questo progetto di cui è evidente l'importanza. Non mi soffermo su Topolò, che conosco benissimo. Vorrei solo ricordare l'importanza di quel festival, soprattutto per il recupero architettonico e ambientale di un luogo abbandonato della nostra regione, come esempio di riutilizzo e di recupero ambientale e paesaggistico.

  LUISA BOSSA. Mi scuso, ma ero in Commissione d'inchiesta sulla mafia, quindi non potevo ascoltare i relatori. Vorrei chiedere al direttore della biblioteca dei Girolamini di Napoli se il corso di alta formazione di storia e filologia del manoscritto e del libro antico sia cominciato e, eventualmente, come sta andando.

  PRESIDENTE. Su questo il direttore è stato molto esauriente, ma le riassumerà rapidissimamente quello che ci ha detto.

  CHIARA DI BENEDETTO. Faccio una battuta velocissima. Quello che avrei voluto dire è stato già detto dalla collega Malisani, ma nello specifico è importante per me sottolineare il valore di questi progetti, che tutelano e preservano la tradizione orale, come quello portato avanti dal progetto Hymnos. Siamo stati a Palermo la scorsa settimana e la Commissione ha potuto vedere il lavoro svolto da realtà importanti che lavorano nella stessa direzione con il Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino di Palermo e la Fondazione Ignazio Buttitta, che svolgono un lavoro fondamentale nella tutela, nella catalogazione e, soprattutto, nella conservazione di tutto questo materiale, che rappresenta un patrimonio del nostro territorio, che secondo me ha un impatto sui cittadini, sulla società, e soprattutto sui giovani, sicuramente da incentivare. Rivolgo poi i miei complimenti per il progetto di Topolò, che credo visiterò quest'estate come prima meta assolutamente già definita.

  BRUNO MURGIA. Prenderò solo venti secondi. Purtroppo, non ho potuto ascoltare i miei amici della Sardegna. Vorrei però ricordare che loro stanno realizzando un progetto con il professor Macchiarella, un grande esperto di canto popolare e di tradizioni popolari. Esiste un'applicazione, che feci realizzare quando ero presidente dell'Istituto etnografico, l'ISRE, proprio col professor Macchiarella. La trovate sull’Apple Store. Racconta con precisione tutta la storia del canto popolare e del canto tradizionale della musica popolare sarda. È un'informazione per chi fosse interessato. In realtà, non ci sono molte donne che cantano, anzi probabilmente è un caso se qualcuna lo fa. Tuttavia confidiamo che in futuro qualche giovane sindaco possa favorire la loro partecipazione.

  PRESIDENTE. Visto che coniugano tradizione e contemporaneità, mi pare, da quello che ci hanno detto, probabilmente accadrà.

  CATERINA PES. Sì, in risposta anche alla domanda dell'onorevole Carocci, la tradizione del canto sardo è prevalentemente maschile, perché quella è la storia dell'isola. Naturalmente, nel momento in cui si valorizza, si tutela la storia e il racconto di questa piccola comunità che è la popolazione sarda, questi aspetti devono essere studiati. È una società, quella sarda, profondamente matriarcale, ma contestualmente, nell'aspetto esteriore della vita sociale, l'uomo racconta e trasmette la cultura. La trasmette e basta, poi la donna la tutela. Io vorrei sottolineare il valore di queste esperienze. L'aspetto creativo e musicale di queste forme della cultura tradizionale è proprio ciò che noi, con la responsabilità che abbiamo per i luoghi che momentaneamente occupiamo, le istituzioni, dobbiamo prima di tutto tutelare. Ce lo dobbiamo ricordare. Sono quelle esperienze importanti che aiutano quel formano il collante fondamentale in una società e in una realtà come quella dei nostri piccoli paesi e che, però, per ovvi motivi, viene dimenticata.

  PRESIDENTE. Mi pare che ci siano soltanto delle richieste brevissime di intervento Pag. 20 per il sindaco Loi o il sindaco Ledda e per il direttore dei Girolamini, cui do la parola per la replica.

  DIEGO LOI, sindaco di Santu Lussurgiu (Fondazione Hymnos Sardegna). Faccio un brevissimo inciso in risposta alle sollecitazioni che sono venute. Grazie per l'apprezzamento dimostrato da tutti.
  La domanda, molto essenziale e semplice, in realtà ha una risposta molto complicata, come diceva prima anche l'onorevole Pes.
  Parliamo della ritualità, del senso di iniziative, come quelle che abbiamo descritto, che in realtà sono fenomeni, eventi, liturgie, riti della comunità. Nell'ambito di una valutazione o analisi completa di ciò che avviene nelle nostre comunità, le donne hanno un ruolo fondamentale. Non cantano in questa tipologia di canto, ma fanno parte delle celebrazioni complessive che sono attorno, ad esempio, ai riti della Settimana Santa.
  Quella che abbiamo potuto vedere è una delle confraternite più affermate che esista in Sardegna. Hanno compiuto quest'anno quarant'anni. Sono Su Cuncordu e Su Rosariu. «Su cuncordu» è l'espressione canora di quella che in Sardegna è una confraternita nella sua versione maschile, ma che ha le consorelle, che fanno parte del rito in maniera molto forte. Esiste un'altra espressione della liturgia religiosa che passa sotto il nome di «gosos», un'altra tipologia, dove cantano anche le donne.
  L'esperienza che abbiamo voluto raccontare, per quanto in pochissimi minuti sia molto complicato, è proprio quella di una comunità vivente che ha tante forme, ma che trova la sua sintesi nell'espressione che abbiamo voluto raccontare, che nella lingua sarda, «a cuncordu», rappresenta la massima coralità e la massima espressione identitaria di ciò che le nostre piccole comunità rappresentano. Nella nostra cultura la donna ha una funzione fondamentale e ricopre ruoli assolutamente molto rilevanti.

  RAFFAELE DE MAGISTRIS, direttore della Biblioteca dei Girolamini di Napoli. Rapidissimamente, colgo anche quest'occasione per esplicitare meglio il significato che davo al concetto di apertura dei Girolamini e all'obiettivo di creare nuovi legami con la società e con la comunità degli studiosi del territorio. La scuola, che dicevo è iniziata dal 3 novembre, si pone due obiettivi scientifico-didattici: la formazione di figure specialistiche nel campo della codicologia, delle materie di studio del libro antico, dei codici e altro; da un punto di vista strettamente biblioteconomico, l'aggiornamento del repertorio del Mandarini, ormai datato, con la realizzazione di un nuovo catalogo dei manoscritti della biblioteca.
  Il terzo obiettivo, a cui davo probabilmente più importanza, era quello di far rivivere la biblioteca.
  Proprio l'altro giorno, un professore ha organizzato uno studio contemporaneamente su cinque codici manoscritti dei Girolamini. Credo che cinque codici non siano mai stati aperti ai Girolamini, in contemporanea. Lo abbiamo fatto, naturalmente con la dovuta sorveglianza: vedere venti ragazzi lavorare intorno a quei codici è stato un momento – non voglio sembrare retorico – veramente di gioia. È chiaro che questi sono i primi passi. La biblioteca andrà riaperta alla comunità. Anche perché provengo da esperienze di studio e professionali diverse, da public library, perché vivo il sentimento della biblioteca di pubblica lettura, io sono convinto che il miglior strumento, la migliore garanzia per la tutela sia la pubblicità, cioè il controllo della pubblica opinione, che, nel caso dei Girolamini, è in elezione la comunità degli studiosi, ma io direi non solo. I Girolamini sono anche una sede «museale» da visitare estremamente bella che va inserita all'interno del circuito di visita dell'intero complesso monumentale. Mi sono dilungato tantissimo. Chiedo scusa.

  PRESIDENTE. Grazie, direttore. Io chiudo il nostro incontro di oggi ringraziando soprattutto Ninni Cutaia per aver ascoltato e seguìto anche tutte le altre audizioni con particolare partecipazione, mi pare, così come le abbiamo seguite. Pag. 21
  Chiederemo poi al dottor Cutaia di venire a darci in altra veste conto dei decreti delegati e dei loro tempi su alcuni dei temi di questo decreto FUS, per la Commissione di particolare importanza. Cito soltanto, per esempio, quello sul riparto dei fondi sulle rievocazioni storiche che è nuovo e quindi ha bisogno di chiarimenti.
  Ringrazio di nuovo i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.30.