XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 3 di Martedì 4 novembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

Audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 3 
Boccia Francesco , Presidente ... 10 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 10 
Fassina Stefano (PD)  ... 10 
Cariello Francesco (M5S)  ... 11 
Tancredi Paolo (NCD)  ... 12 
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 12 
Boccia Francesco , Presidente ... 13 
Marchi Maino (PD)  ... 13 
Guerra Mauro (PD)  ... 13 
Boccia Francesco , Presidente ... 14 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 14 
Cariello Francesco (M5S)  ... 14 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 14 
Boccia Francesco , Presidente ... 14 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 14 
Boccia Francesco , Presidente ... 15 

Audizione di rappresentanti dell'ABI (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Boccia Francesco , Presidente ... 15 
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 15 
Boccia Francesco , Presidente ... 18 
Galli Giampaolo (PD)  ... 18 
Caso Vincenzo (M5S)  ... 18 
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 18 
Currò Tommaso (M5S)  ... 19 
Boccia Francesco , Presidente ... 19 
Sabatini Giovanni , direttore generale dell'ABI ... 19 
Boccia Francesco , Presidente ... 22 

Audizione di rappresentanti di ANCE e Confedilizia (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Boccia Francesco , Presidente ... 22 
Buzzetti Paolo , presidente dell'ANCE ... 22 
Boccia Francesco , Presidente ... 25 
Fanucci Edoardo (PD)  ... 25 
Santini Giorgio  ... 26 
Lanzillotta Linda  ... 27 
Boccia Francesco , Presidente ... 27 
Buzzetti Paolo , presidente dell'ANCE ... 27 
Boccia Francesco , Presidente ... 29 
Spaziani Testa Giorgio , segretario generale di Confedilizia ... 29 
Boccia Francesco , Presidente ... 31 
Latronico Cosimo (FI-PdL)  ... 31 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 31 
Boccia Francesco , Presidente ... 31 
Spaziani Testa Giorgio , segretario generale di Confedilizia ... 31 
Boccia Francesco , Presidente ... 31 
Spaziani Testa Giorgio , segretario generale di Confedilizia ... 31 
Boccia Francesco , Presidente ... 32 

Audizione di R.ETE. Imprese Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Boccia Francesco , Presidente ... 32 
Fumagalli Cesare , segretario generale di Confartigianato Imprese ... 32 
Boccia Francesco , Presidente ... 36 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 36 
Santini Giorgio  ... 37 
Latronico Cosimo (FI-PdL)  ... 37 
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 38 
Pisano Girolamo (M5S)  ... 38 
D'Incà Federico (M5S)  ... 39 
Boccia Francesco , Presidente ... 39 
Fumagalli Cesare , segretario generale di Confartigianato Imprese ... 39 
Boccia Francesco , Presidente ... 41 

Audizione di rappresentanti di ANCI, UPI, UNCEM e Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Boccia Francesco , Presidente ... 41 
Chiamparino Sergio , presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome ... 41 
Fassino Piero , presidente dell'ANCI ... 43 
Bosone Daniele , componente dell'ufficio di presidenza dell'UPI ... 46 
Boccia Francesco , Presidente ... 48 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 48 
Guidesi Guido (LNA)  ... 49 
Zanoni Magda Angela  ... 50 
Cariello Francesco (M5S)  ... 51 
Melilla Gianni (SEL)  ... 51 
Melilli Fabio (PD)  ... 52 
Boccia Francesco , Presidente ... 53 
Chiamparino Sergio , presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome ... 53 
Fassino Piero , presidente dell'ANCI ... 54 
Maroni Roberto , presidente della Regione Lombardia ... 55 
Boccia Francesco , Presidente ... 55 
Bosone Daniele , componente dell'ufficio di presidenza dell'UPI ... 55 
Boccia Francesco , Presidente ... 56 

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL E UGL (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Boccia Francesco , Presidente ... 56 
Barbi Danilo , segretario confederale della CGIL ... 56 
Boccia Francesco , Presidente ... 59 
Petriccioli Maurizio , segretario confederale della CISL ... 59 
Boccia Francesco , Presidente ... 61 
Angeletti Luigi , segretario generale della UIL ... 61 
Boccia Francesco , Presidente ... 65 
Carenza Giuseppe , dirigente confederale dell'UGL ... 65 
Boccia Francesco , Presidente ... 67 
Melilla Gianni (SEL)  ... 68 
Librandi Gianfranco (SCpI)  ... 68 
Marchi Maino (PD)  ... 68 
Boccia Francesco , Presidente ... 68 
Angeletti Luigi , segretario generale della UIL ... 68 
Barbi Danilo , segretario confederale della CGIL ... 69 
Petriccioli Maurizio , segretario confederale della CISL ... 69 
Carenza Giuseppe , dirigente confederale dell'UGL ... 70 
Boccia Francesco , Presidente ... 70 

Audizione di rappresentanti di Assoprevidenza (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Saltamartini Barbara , Presidente ... 70 
Corbello Sergio , presidente di Assoprevidenza ... 70 
Saltamartini Barbara , Presidente ... 72 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 73

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 9.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro.
  Do la parola al presidente Giuseppe Pisauro.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Signor presidente, onorevoli deputati e senatori, il punto di partenza deve necessariamente consistere nel ricordare in sintesi i numeri principali del disegno di legge di stabilità.
  Per il 2015, dopo le modifiche che saranno apportate sulla base della Relazione recante variazione alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, che il Governo ha presentato al Parlamento il 28 ottobre scorso, l'effetto complessivo alla fine di tutto questo processo dovrebbe consistere in un peggioramento del saldo di circa 6 miliardi di euro. Questo effetto negli anni successivi è però destinato a modificarsi. Per il 2016, la manovra è essenzialmente in pareggio, con un miglioramento del saldo di circa 200 milioni di euro; nel 2017, invece, il miglioramento è di circa 7 miliardi di euro.
  Occorre tuttavia tenere conto del fatto che per il 2016 e il 2017 tutto è legato alla cosiddetta clausola di salvaguardia sull'IVA, che peraltro non è l'unica. Vi è infatti anche la clausola di salvaguardia contenuta nella legge di stabilità dello scorso anno che, sebbene ridotta, comunque vale ancora 4 miliardi di euro per il 2016 e 7 miliardi di euro per il 2017, mentre quella sull'IVA vale circa 12 miliardi di euro per il 2016 e 18,5 miliardi di euro per il 2017, per un totale quindi complessivamente di circa 16 miliardi di euro per il 2016 e di circa 25-26 miliardi di euro per il 2017.
  La manovra 2015, in estrema sintesi, vede, da un lato, un recupero di risorse per 26,5 miliardi di euro, provenienti soprattutto da tagli alle spese degli enti territoriali e dal contrasto all'evasione fiscale, di cui dopo parleremo. Gli impieghi sono pari a circa 32 miliardi di euro e, come sappiamo, sono principalmente destinati alla riconferma del bonus di 80 euro ai lavoratori dipendenti, alla riduzione del costo del lavoro, attraverso la sua deduzione dall'imponibile IRAP e la decontribuzione per le assunzioni a tempo indeterminato, nonché a una serie di altre Pag. 4misure che riguardano, in particolare, il sostegno del reddito delle famiglie, quali il TFR in busta paga, gli ammortizzatori sociali e via elencando.
  Se volete, per gli anni successivi trovate maggiori dettagli nelle tabelle allegate alla relazione che è stata distribuita. La relazione è organizzata nei termini seguenti: le prime sedici pagine contengono l'intervento, quindi trovate una serie di tabelle e grafici che saranno utilizzati nel corso della presente illustrazione e una serie di allegati e approfondimenti su alcuni dei temi che toccheremo durante questa presentazione.
  Un aspetto di un certo interesse riguarda l'analisi del contributo per sottosettori, ossia per amministrazioni centrali, amministrazioni locali ed enti di previdenza. Abbiamo detto che nel 2015 l'effetto complessivo in termini di peggioramento del saldo è di circa 6 miliardi di euro. Ciò risulta, se scomponiamo il dato per sottosettori, da un contributo positivo delle amministrazioni locali, che quindi migliorano il saldo di circa 2,5 miliardi di euro, più che compensato da quello di segno opposto degli enti di previdenza, in misura pari a circa 6 miliardi di euro, e delle amministrazioni centrali, per un valore di circa 2,4 miliardi di euro, più o meno la stessa cifra fatta registrare in termini positivi dalle amministrazioni locali.
  In sostanza, il finanziamento permanente di quelle che vengono indicate come le politiche invariate, ossia quelle misure che in ogni disegno di legge di stabilità sono rinnovate per un anno solo, nonché degli interventi a favore dei lavoratori a basso reddito e di tutte le misure che abbiamo prima ricordato è coperto, in parte, mediante ricorso al deficit e, in parte, grazie alla riduzione della spesa degli enti territoriali. Questo vale per il 2015.
  Nei due anni successivi, invece, il quadro è molto diverso. Aumenta l'effetto negativo per quanto riguarda gli enti previdenziali ed emerge un contributo positivo netto delle amministrazioni centrali, molto rilevante, derivante dall'aumento delle entrate, mentre si azzera il concorso delle amministrazioni decentrate.
  In estrema sintesi, si può dire che negli anni 2016 e 2017 viene meno la componente espansiva della manovra e il peso del finanziamento degli interventi permanenti è spostato sulle amministrazioni centrali, attraverso le maggiori entrate e i tagli a valere sulle spese dei ministeri. Per le amministrazioni locali, sempre provando a sintetizzare al massimo, l'impostazione della manovra comporta che la riduzione del cuneo fiscale attraverso l'IRAP, che è un'imposta regionale, e l'aumento degli investimenti siano coperti con il contenimento della spesa corrente.
  È sempre complicato fare queste analisi per sottosettore. Anche per avere un'idea forse più precisa, a pagina 20 della relazione ci sono delle figure. Nella seconda figura, quella relativa al quadro programmatico della spesa primaria consolidata, ci sono amministrazioni centrali, enti di previdenza, amministrazioni locali e amministrazioni pubbliche. Fatta 100 la spesa primaria totale nel 2009, si vede come si è sviluppata fino al 2013-2014 e come si svilupperebbe sulla base del quadro programmatico negli anni successivi. Vedete che, chiaramente, a parte il caso degli enti di previdenza – è la spesa previdenziale che continua a crescere – per gli altri due sottosettori c’è una divergenza evidente tra le amministrazioni locali, che scendono, come indica la linea tratteggiata con trattini più piccoli, e le amministrazioni centrali, che addirittura tendono a crescere negli anni successivi; vi è quindi un divario abbastanza evidente. Questo vale dal 2009.
  Tuttavia, nella prima figura della successiva pagina 21, come potete osservare, da un punto di vista di più lungo periodo, a cominciare dal 2001, il quadro appare un po’ diverso. La linea delle amministrazioni locali, quella tratteggiata, è più alta di quella delle amministrazioni centrali. La distanza si sta riducendo, perché dal 2009 al 2013 è successo il contrario, nel senso che è la spesa delle amministrazioni locali ad aver sofferto di più, ma negli Pag. 5anni precedenti era avvenuto esattamente il contrario. Da cosa dipende questo ?
  Una spiegazione la possiamo ricavare dalla seconda figura di pagina 21, che ci dà un po’ un messaggio di sintesi: dipende, essenzialmente, dalla sanità. In questa seconda figura non si distingue tra amministrazioni locali e centrali nel loro complesso, ma tra Stato, comuni, province, regioni ed enti sanitari locali. La linea della sanità, quella continua, è per così dire molto dinamica, mentre quelle degli altri soggetti, cioè le regioni al netto della spesa sanitaria, le province, i comuni, lo Stato, si collocano più o meno tutte allo stesso livello alla fine del periodo, sono tutte abbastanza vicine. Ci sono oscillazioni ma in un'ottica di medio-lungo periodo non si registrano differenze molto significative. Ciò non toglie che negli ultimi anni sta succedendo quello che abbiamo appena visto e detto.
  Del quadro macroeconomico abbiamo già parlato nell'audizione convocata ad horas nella scorsa settimana nell'ambito dell'esame della Relazione al Parlamento recante variazione alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014, quindi forse su questo punto potrò procedere più rapidamente. Senza ricordare tutte le fasi, il punto cruciale è che il quadro macroeconomico programmatico della Nota di aggiornamento del DEF 2014 presentata il 1o ottobre è stato confermato interamente dal Governo ed è entrato nel Documento programmatico di bilancio trasmesso alla Commissione europea.
  Noi avevamo validato quel quadro a suo tempo, se non ricordo male il 10 ottobre scorso, ed ora confermiamo la validazione anche del quadro mutato. Cosa è mutato rispetto ad allora ? È mutata, essenzialmente, l'informazione sulla manovra. Noi allora avevamo valutato e poi validato un quadro sulla base di un'ipotesi di manovra concordata in modo abbastanza farraginoso con il Ministero dell'economia e delle finanze, perché non era stata ancora pubblicata l'ipotesi di manovra da cui ottenere il quadro programmatico.
  La differenza sostanziale consisteva nella composizione e nella dimensione della manovra, che si immaginava molto più contenuta, intorno ai 24-25 miliardi di euro di manovra lorda anziché 31-32 miliardi, e nel disavanzo, che si immaginava di 11,5 miliardi di euro, mentre qui siamo a 6 miliardi. Da quel punto di vista, queste modifiche – minore disavanzo aggiuntivo, diversa composizione e più modesta dimensione della manovra – comportano un effetto restrittivo sull'economia rispetto a quell'ipotesi.
  L'altra novità consiste nel dettaglio delle misure contenute nel disegno di legge di stabilità. Nel dettaglio, una misura che non era stata considerata perché non era completamente all'ordine del giorno quando era stata pubblicata la Nota di aggiornamento è la questione del TFR. Tale misura, invece, ha un effetto espansivo. Pur senza avere effetti sui conti pubblici, come vedremo, tuttavia presenta un effetto di stimolo dei consumi che grosso modo compensa l'effetto di cui parlavamo prima, quindi in definitiva quella previsione di +0,6 punti percentuali nel 2015 rimane all'interno dell'intervallo di previsione.
  Per chi fosse incuriosito di sapere come si arriva a quel risultato, rinvio alla tabella di pagina 22, dove vedete l'effetto addizionale della manovra: quella sorta di bandierina indica le stime del Governo e i pallini rappresentano le previsioni del nostro panel di previsori, che ricordo essere composto da ISTAT e dai tre previsori privati indipendenti. Come vedete, le stime del Governo si collocano ampiamente all'interno dell'intervallo.
  C’è da dire, però, una cosa che dà un'idea di quanto sia incerta la stima per l'anno prossimo. Come potete notare, l'intervallo sul PIL è molto stretto. Si va da un minino di zero punti percentuali a un massimo di +0,3 punti percentuali come effetto della manovra. Se, però, guardate le singole componenti della domanda, come consumi, investimenti e via elencando, per le voci consumi e investimenti l'intervallo, che lì era di 0,3 punti percentuali, qui diventa pari a 0,7 punti percentuali Pag. 6per i consumi e addirittura a 1,6 punti percentuali, da -0,6 a 1, per gli investimenti. Le differenze, evidentemente, si compensano. Chi stima un effetto maggiore sui consumi, lo stima minore sugli investimenti, e quindi ottenete quel risultato che abbiamo visto. La previsione per il 2015, però, è soggetta a un notevole grado di incertezza, anche perché qui stiamo parlando appunto di valori come 0,1, 0,2 o 0,3 punti percentuali.
  Tanto per fare un esempio, una decina di giorni fa Prometeia ha presentato il suo rapporto con le sue previsioni, proponendo una previsione per il 2015 di +0,5 punti percentuali, ma ha proposto anche l'intervallo di confidenza, tra zero e un punto percentuale: il punto centrale è lo 0,5. È importante esserne consapevoli quando poi scopriremo che la previsione si rivelerà magari errata, come è successo negli ultimi anni.
  Per il 2016 e il 2017, c’è la figura successiva di pagina 23, che non commenterò, ma confermiamo completamente quello che abbiamo detto l'altra volta: la previsione del Governo è ottimistica rispetto alle previsioni del nostro panel, mentre diventerebbe del tutto plausibile se si depurasse quel dato dall'effetto delle riforme strutturali, che evidentemente non è stato valutato appieno o è stato valutato in misura molto minore dai previsori indipendenti.
  Sul rispetto delle regole e sul percorso verso l'obiettivo di medio termine, rispetto al disegno di legge di stabilità presentato nella sua versione originaria e al quadro della Nota di aggiornamento del DEF 2014 – allora il miglioramento era di 0,1 punti percentuali e adesso diventa di 0,3 punti percentuali, al secondo decimale anche qualcosa in più – rimane l'allontanamento dal percorso di avvicinamento che prescriverebbe 0,5 punti percentuali di miglioramento, però è una deviazione molto più contenuta.
  A questo proposito ci sentiamo, come Ufficio parlamentare di bilancio, di confermare la valutazione che avevamo dato nell'audizione dello scorso ottobre. In estrema sintesi, pensavamo e pensiamo ancora che nel 2015 vi siano condizioni eccezionali tali da giustificare una deviazione temporanea dal percorso di aggiustamento. Aggiungevamo però – e lo confermiamo – che occorre tuttavia garantire che l'ampiezza della deviazione non sia tale da mettere a rischio la sostenibilità di medio periodo della finanza pubblica; in particolare, va mantenuto un margine di sicurezza rispetto alla soglia del 3 per cento. Naturalmente, per effetto delle modifiche, questo margine di sicurezza, che allora come ricorderete faceva riferimento ad un dato di 2,9 punti percentuali, per cui eravamo molto vicini alla soglia, adesso invece evidentemente è più ampio.
  C’è da fare una notazione sul 2016 e sugli anni successivi. Il 2016 è un anno in cui, se si realizzeranno le previsioni ufficiali sul quadro macroeconomico, non sarà possibile invocare circostanze eccezionali. Lì è prevista una crescita del PIL di un punto percentuale, quindi è un anno normale dal punto di vista del percorso di aggiustamento. Ciò implicherebbe un miglioramento del saldo strutturale di 0,5 punti percentuali, che c'era nella Nota di aggiornamento ma che adesso non c’è più.
  Essendo migliorato, infatti, il saldo 2015, l'effetto paradossale è che il 2016 dovrà essere rivisto per realizzare lo 0,5 per cento. Allo stato attuale, quindi, si renderebbe necessaria una revisione degli obiettivi programmatici per il 2015, cui immaginiamo si porrà mano in primavera in sede di predisposizione del relativo Documento di economia e finanza.
  Nella parte preventiva del Patto di stabilità e crescita, la regola sull'obiettivo di medio termine è integrata da una regola sulla spesa, che essenzialmente prevede che la crescita della spesa, depurata da alcune voci, sia in linea con la crescita del prodotto potenziale. La buona notizia è che questa regola è rispettata sia nel 2014 sia nel 2015. Trovate in allegato la spiegazione di questo risultato.
  La regola sul debito, invece, che non era rispettata prima, continua a non esserlo neanche adesso, anche se naturalmente la deviazione è minore, ma comunque siamo ancora parecchio lontani dal Pag. 7rispetto di quella regola, che tuttavia rientra nella parte correttiva del Patto di stabilità e crescita. Abbiamo, però, detto l'altra volta che potrebbe anche essere un elemento considerato dalla Commissione europea già in questo round di raccomandazioni.
  Passiamo agli aspetti del disegno di legge di stabilità più nello specifico. Dal nostro punto di vista, sono importanti due aspetti: da un lato, naturalmente, gli effetti economici; dall'altro, e prima ancora, la segnalazione di possibili aree di rischio per quanto riguarda la valutazione degli effetti delle misure proposte nel disegno di legge di stabilità. Evidentemente, tutti i discorsi che abbiamo fatto prima su aumento, diminuzione, disavanzo ed effetti sulle varie voci dei conti pubblici tengono se le valutazioni e le quantificazioni elaborate nella relazione tecnica sono credibili. A tale riguardo, qualche area di rischio oggettivamente esiste.
  L'elemento che ci sembra più importante, anche in termini dimensionali, concerne il riferimento alle entrate legate ai giochi. Su questo punto, abbiamo letto il dossier predisposto dagli uffici della Camera dei deputati, in cui tale aspetto è ben spiegato. L'insieme di quelle misure, per dirlo in due parole, introduce un prelievo sulla raccolta da giochi anche con riferimento alla parte della rete gestita da operatori privi di concessione statale, operatori esteri. Quest'intervento, dal punto di vista sostanziale, può essere del tutto condivisibile. Tra l'altro, riequilibra le condizioni di concorrenza tra chi ha la concessione statale e chi non ce l'ha, quindi non è questo aspetto ad essere in discussione.
  Il problema, però, è che si tratta di una materia in cui c’è stato e c’è tuttora molto contenzioso. La misura proposta presenta dei limiti: tanto per fare un esempio, ipotizza una raccolta pari a tre volte la media per soggetti che non sappiamo quanto effettivamente raccolgano, quindi diventa una sorta di forfettizzazione del prelievo che può essere soggetta a contenzioso, come già avvenuto in casi analoghi anche in passato. La nostra valutazione, quindi, è che prudenzialmente forse sarebbe bene considerare questo gettito aggiuntivo, complessivamente nell'ordine di 900 milioni di euro, se ricordo bene, quando effettivamente si produrrà ed essere più cauti nella previsione.
  L'altro aspetto importante relativo alle entrate, rubricato nel capitolo generale della lotta all'evasione, è quello del reverse charge, l'inversione contabile sull'IVA, su cui forniremo nei prossimi giorni e settimane un approfondimento. Possiamo tuttavia anticipare che, sulla base delle analisi che abbiamo svolto, ci sembra credibile la stima di recupero di gettito derivante da quella misura.
  Poi c’è tutto il capitolo dei cosiddetti effetti indotti, cioè di quelle misure che hanno un costo ma che producono in qualche modo dei risultati in termini positivi per il bilancio pubblico. A tale riguardo, bisogna fare una casistica e in qualche caso possiamo avere dei dubbi. Ci sono casi meccanici: ad esempio, si assumono i precari della scuola e questo ha un effetto positivo dal momento che si paga loro lo stipendio, essi pagheranno le imposte e quindi l'effetto indotto è ovvio, quasi contabile.
  Ci sono, però, effetti indotti legati ai comportamenti. Qui il rischio esiste e può essere anche ampio. Un esempio è quello della decontribuzione, di cui parleremo tra un momento in modo più approfondito. In estrema sintesi, cosa può succedere con la decontribuzione ? Per come è costruita la misura, può esserci un «effetto di attrazione» all'inizio e alla fine del periodo del 2015 rispetto a contratti che sarebbero stati stipulati, in condizioni normali, negli ultimi mesi del 2014 e contratti che invece sarebbero stati stipulati negli anni successivi. Può darsi, quindi, che la platea effettiva di chi usufruisce della decontribuzione sia più ampia. Questo dipende dai comportamenti.
  Ragionare a bocce ferme, ipotizzando che i comportamenti del passato si ripropongano esattamente in una situazione modificata perché gli incentivi sono cambiati e c’è una norma nuova, naturalmente pone dei rischi. Un discorso analogo si Pag. 8potrebbe fare per la quantificazione delle agevolazioni in caso di ristrutturazioni edilizie.
  Un altro capitolo – e vi rimando al testo, altrimenti prenderei troppo tempo – è quello di una possibile perdita di gettito, superiore alle previsioni, per quanto riguarda l'introduzione del nuovo regime agevolato per i lavoratori autonomi e le imprese che esercitano attività in forma individuale. È plausibile immaginare che vi aderirà un numero di soggetti superiore a quello stimato e che porti alla perdita di gettito evidenziata nell'allegato 3 del disegno di legge di stabilità.
  Dal lato del contenimento della spesa, c’è tutta la questione del contributo delle autonomie territoriali e della riduzione degli stanziamenti dei ministeri e degli altri enti. Al riguardo, sarebbe necessaria un'analisi un po’ più attenta, che ci proponiamo di avviare nei prossimi giorni, per valutare non tanto l'effettiva attuazione dei tagli, ma la loro credibilità, nel senso di valutare le condizioni di continuità delle funzioni svolte e dei volumi di prestazioni erogate.
  Solo per fare una battuta, i debiti pregressi delle pubbliche amministrazioni in parte dipendono anche dall'attuazione formale di tagli, quando non accompagnati da una modifica organizzativa di strutture, di compiti, delle modalità di svolgimento delle funzioni e via dicendo.
  Nei prossimi giorni, presenteremo un'analisi distributiva per i comuni. Con riferimento al discorso dei tagli ai comuni, che nell'aggregato possono essere anche più modesti di quelli alle regioni, è interessante verificare a livello dei singoli comuni chi ci perde e chi ci guadagna, se le perdite siano sopportabili e cosa comportino.
  L'ultima parte della relazione riguarda gli effetti economici dei principali interventi. Noi ci siamo concentrati su due aree: la prima è la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, l'altra è il sostegno del consumo delle famiglie.
  Per quanto riguarda la variazione del cuneo fiscale, tre sono le misure che abbiamo considerato e che sono presenti nel disegno di legge di stabilità: la deducibilità integrale del costo del lavoro dalla base imponibile IRAP, tuttavia accompagnata dall'aumento delle aliquote riportate ai livelli del periodo d'imposta 2013; l'esonero dai contributi previdenziali per le imprese che assumono nuovi lavoratori a tempo indeterminato nel corso del 2015, di cui abbiamo appena parlato; il bonus di 80 euro. Queste sono le tre misure considerate.
  Nell'insieme, queste tre misure che effetto hanno sul cuneo fiscale ? Per una retribuzione relativamente bassa, corrispondente a due terzi di quella media nazionale pari a 19.700 euro annui, cioè un livello che dà diritto a ricevere il bonus di 80 euro in misura integrale, il cuneo complessivo si ridurrebbe di 4,6 punti percentuali, quindi una riduzione importante, dal 44,5 al 39,9.
  Se, tuttavia, la retribuzione lorda fosse più elevata, e quindi superiore al limite rilevante per il bonus di 80 euro, la diminuzione del cuneo fiscale sarebbe di 1,1 punti percentuali. Nel complesso, comunque, è un risultato che avvicina questa misura a quella della media dei Paesi dell'Unione europea.
  Naturalmente, il caso più estremo è quello di un lavoratore con retribuzione bassa e che usufruisce anche della decontribuzione, ottenendo cioè un nuovo contratto a tempo indeterminato nel 2015: in questo caso, c’è una caduta drammatica di quasi 24 punti percentuali e il cuneo passerebbe dal 44,5 al 20,6, ossia una misura, come è evidente, molto importante.
  Vorrei aggiungere altre due parole sulla misura della decontribuzione, che presenta difficoltà di valutazione notevoli. Per fissare le idee, chi potrà usufruire nel 2015 di questa misura ? Sono tre tipi di persone, tra cui quelli che comunque avrebbero ricevuto un contratto a tempo indeterminato nel corso del 2015. Questa è una componente invariante, gente che comunque sarebbe stata assunta e che continua a esserlo e riceve il beneficio. Questo gruppo è valutato, sulla base dei dati amministrativi INPS, in circa 640.000 Pag. 9unità. Se prendiamo lo scorso anno, troviamo che questo è il numero dei nuovi contratti a tempo indeterminato per persone che nei sei mesi precedenti non avevano avuto un altro contratto, quindi a bocce ferme arrivano sicuramente ma naturalmente non si aggiunge nulla.
  Le altre due categorie consistono, rispettivamente, nella trasformazione dei contratti a tempo determinato e, ultima categoria, nella nuova occupazione, ossia contratti che non si sarebbero avuti e si hanno solo perché c’è la decontribuzione. La terza categoria è pressoché impossibile da valutare. Sul secondo gruppo, invece, qualcosa possiamo dire.
  Quante possono essere le persone che avevano un contratto a tempo determinato o che sarebbero state assunte con contratto a tempo determinato e, invece, ricadono in questa misura ? La stima è complicata. Vi fornisco due numeri estremi per capire quanto essa sia complicata e quanto possa essere variabile questo valore. Un primo numero estremo è dato dai nuovi contratti a tempo determinato nell'anno, che a fine anno sono ancora in vita: secondo una nostra valutazione, sono circa 400.000. A bocce ferme, dobbiamo immaginare che questi, essendo diventato molto più conveniente il contratto a tempo indeterminato, sarebbero assunti con contratto a tempo indeterminato con decontribuzione. Questo, però, è il pavimento.
  Poi c’è il limite inferiore, cioè lo stock di contratti a tempo determinato. Potrei, infatti, non solo assumere i nuovi col nuovo contratto, ma anche trasformare quelli che già ho. Qui siamo già oltre i 2 milioni.
  La previsione ufficiale dà un totale di un milione, ossia i 637.000 cui si sommano i 363.000. Abbiamo detto che i 363.000 sono un numero più o meno in linea con la nostra idea minima, cioè i 400.000, ma se questo va a incidere sullo stock, siamo su numeri molto diversi.
  L'ultima questione è come questi si distribuiscono, l’«effetto di attrazione». I 637.000 che abbiamo visto prima e i 400.000, tutti i numeri che vi ho fornito sui flussi nuovi, sono in condizioni normali, di un anno normale, in cui non c'erano misure di questo tipo. Se, però, c’è una misura che parte il 1o gennaio e cessa il 31 dicembre, devo immaginare che, se oggi volessi assumere un lavoratore con un contratto a tempo indeterminato, dopo due conti mi direi di aspettare un paio di mesi e lo farei a gennaio.
  Viceversa, a fine 2015, in relazione all'anno successivo, se ho una capacità di pianificazione anche di medio periodo, ad esempio anche per i successivi due anni, ed intendessi assumere un certo numero di persone, magari lo farei subito perché questo mi porterebbe un beneficio di tre anni di decontribuzione. I numeri, quindi, possono essere molto diversi.
  Con un'ipotesi molto conservativa, cioè quella di prendere il milione stimato ufficialmente, ripartirlo in modo uniforme per mesi e immaginare che a gennaio arrivino i due mesi precedenti e a dicembre i due mesi successivi, già così, mantenendo quel milione della stima ufficiale, avremmo una perdita di gettito aggiuntiva di circa 400 milioni nel 2015 e di circa un miliardo nei due anni successivi, solo con l’«effetto di attrazione».
  Va chiarito che tutti questi «effetti di attrazione», specialmente quello sul futuro, sono positivi dal punto di vista dell'occupazione e non negativi, trattandosi di nuova occupazione. Anticipare l'occupazione che ci sarebbe stata tra un anno o due è un effetto positivo, come pure lo è la riduzione dell'area del precariato. Certamente, sono tutti effetti positivi.
  Tuttavia, dal punto di vista dei conti dobbiamo stare attenti e per lo meno monitorare attentamente la realizzazione e la messa in pratica di questa misura nei prossimi mesi e nel corso del 2015. Non avendo nessun tetto, nessun limite, essa può avere dimensioni molto diverse da quelle immaginate.
  Vado molto rapidamente sugli ultimi due punti. Sul TFR trovate in allegato un'analisi in cui vi forniamo un risultato dal punto di vista micro: grossomodo, ragionando sulle famiglie che avrebbero convenienza ad anticipare il TFR con Pag. 10riferimento alla loro propensione marginale al consumo, ci sarebbe un effetto positivo sui consumi e, attraverso i consumi, sul prodotto di circa 0,1 punti percentuali nel 2015.
  Sul bonus di 80 euro, essendo la stessa misura già stata messa in pratica nel 2014, le analisi che si ripropongono sono in gran parte note. Dal punto di vista distributivo, sappiamo che il targeting della misura non è il più appropriato. Alla fine, non riesce a raggiungere le famiglie più povere, perché prende come punto di riferimento l'individuo e non considera gli incapienti, con tutto quello che sappiamo. La misura è la stessa anche dal punto di vista distributivo. Trovate anche su questo in allegato un'analisi dettagliata.
  Tale misura, pur con questi limiti, dal punto di vista macro ha naturalmente un effetto di stimolo dei consumi che viene valutato, sempre sulla base di un'analisi a livello microeconomico, nell'ordine di 0,2 punti percentuali di PIL.
  Per concludere, prima vi ho fornito due valutazioni fatte a livello micro, cioè ragionando sulle famiglie. Vi rinvio ora alla tabella 3 di pagina 19 per un esercizio un po’ eroico che abbiamo chiesto ai previsori, quello cioè di scomporre l'effetto della manovra sul 2015 nelle singole misure. In questa tabella trovate proposte – con riferimento al bonus di 80 euro, alla riduzione IRAP, agli sgravi contributivi, al TFR in busta paga e ad ulteriori misure – la stima minima e massima dei nostri previsori dell'effetto sul PIL di queste misure.
  Per tornare a quello che abbiamo appena detto, l'impatto del TFR in busta paga, presente alla quarta riga, passa da un minimo di 0,07 punti percentuali, cioè praticamente pari a zero, a 0,15, grosso modo quindi da 0,1 a 0,15 punti percentuali. Noi abbiamo indicato 0,1 punti percentuali con l'analisi micro, quindi i valori sembrano essere coerenti. Qualcosa di analogo trovate sull'impatto del bonus di 80 euro, compreso tra un minimo di 0,17 punti percentuali e un massimo di 0,28 punti percentuali. Sulla base dell'analisi micro, confermiamo il risultato del modello macroeconomico, per cui la nostra analisi, come ricordavo prima, darebbe un risultato pari a +0,2 punti percentuali.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Pisauro.
  Do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO PALESE. Presidente, intervengo per porre una semplice domanda. Chiuderemo molto probabilmente, anzi quasi certamente, il 2014 con -0,3. Il disegno di legge di stabilità è costruito con il bilancio dello Stato prevedendo un PIL pari a +0,6, quindi bisogna recuperare lo 0,9. Secondo i dati ISTAT, non si andrà sicuramente oltre lo 0,5: qual è la vostra valutazione ?

  STEFANO FASSINA. Ringrazio il presidente Pisauro, al quale rivolgo tre domande. La prima riguarda il grafico a pagina 21, quello con la dinamica della spesa primaria consolidata a partire dal 2001. Sarebbe molto interessante se si potesse fare la previsione, anziché in termini nominali, in termini reali, cioè al netto dell'inflazione.
  Si vedrebbe, infatti, che, in termini reali, ad esempio, sostanzialmente tutti i comparti considerati vanno sotto accento. È chiaro che ciò non è rilevante in termini relativi, ma a me interessa cogliere la dinamica reale della spesa.
  Poiché ritengo che ci sia una grande disinvoltura nell'individuare facili obiettivi di tagli alle spese, se misuriamo questa spesa in termini reali e se si esclude la sanità, si vede che, per quanto riguarda le regioni, atteso che l'inflazione cumulata nel periodo considerato è stata intorno a 35 punti percentuali, esse stanno a 75, cioè spendono, nel 2013, 75 rispetto ai 100 che spendevano nel 2001, e così via per tutti gli altri comparti. Emergerebbe che anche per la sanità, in termini reali, è a 110 rispetto al 100 del 2001.
  Questo è rilevante sia per la dimensione dei tagli previsti per quest'anno, che quindi incidono su comparti che in termini Pag. 11reali sono diminuiti in misura significativa nell'ultimo decennio, sia per quello che è previsto per il 2016 e il 2017.
  L'altra questione che vorrei sollevare è che non sono sicuro che sia corretto chiamare clausola di salvaguardia l'intervento sull'IVA. La clausola di salvaguardia suppone che vi sia una norma primaria rispetto alla quale interviene la clausola qualora la norma primaria non funzioni, ma la norma primaria non c’è. In altre parole, questa è una misura di carattere primario, non di salvaguardia, quindi l'aggiustamento si fa con l'intervento dell'IVA. Eventualmente, soccorrono altre misure che nel disegno di legge di stabilità sono individuate sempre sulla spesa per importi molto significativi e che vanno a incidere sulle dinamiche reali che ho ricordato.
  Vengo al terzo e ultimo punto. Sono molto d'accordo con la vostra analisi sul cosiddetto bonus occupazione. Certamente, ha un effetto positivo per la trasformazione di contratti precari, che non necessariamente sono soltanto quelli a tempo determinato, ma possono essere, ad esempio, finte partite IVA o collaborazioni.
  C’è un effetto potenzialmente positivo sull'occupazione aggiuntiva. Mi chiedo se abbiate valutato anche l'effetto sostitutivo, ossia il fatto che, come ieri anche la Corte dei conti ha messo in evidenza e poi il presidente Boccia ha ricordato a Confindustria, potrebbero esserci situazioni di sostituzione di lavoratori che costano di più con lavoratori che costano di meno. Quest'incentivo, quest'agevolazione, a differenza di tutte le altre che avevamo introdotto in passato, non ha un vincolo di aggiuntività dell'occupazione a tempo indeterminato.
  Mi chiedo, quindi, se, attraverso una modifica, un emendamento alla norma, riusciamo a tenere la parte che genera effetti positivi, evitando gli effetti sostitutivi e anche lo «spreco» di risorse. Come, infatti, indica la relazione tecnica, 640 mila contratti verrebbero comunque conclusi; quindi, sprechiamo il 60 per cento di risorse su 640 mila contratti, mentre potremmo utilizzare quelle risorse per altri interventi e, con un vincolo di aggiuntività in termini di contratti a tempo indeterminato, eviteremmo anche i rischi dell'effetto sostitutivo.

  FRANCESCO CARIELLO. Ringrazio il presidente Pisauro. Voglio fare un passo indietro e tornare alla discussione per la variazione dei saldi di finanza pubblica resasi necessaria a seguito dell'ulteriore correzione fatta qualche giorno fa alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2014.
  In questo caso, dobbiamo intenderci. Perché è stato fatto tutto questo ? Qual è la base giuridica che ha portato a un'ulteriore correzione ? Questo non mi è chiaro e vorrei oggi una risposta secca e definitiva per poter dire ai cittadini che il Governo ha introdotto questa manovra con una slide in cui era scritto in grande «3 per cento», assumendo quindi una certa posizione verso l'Europa, dicendo che abbiamo necessità, per le condizioni eccezionali, per tutte le premesse che conosciamo, di indebitarci, di portare l'indebitamento netto al 3 per cento, per poter riattivare l'economia di questo Paese.
  Poi è avvenuto uno scambio di lettere, non ho capito sulla base di quale impianto giuridico e vorrei che lei me lo spiegasse, ma tutto questo per portare a un risultato che oggi vedo nella figura 4 a pagina 23, secondo cui tra tre anni, nel 2017, per il prodotto interno lordo, a detta di Governo e di tutti gli istituti che avete ascoltato, saremo addirittura, a meno dell'impatto delle riforme strutturali, in negativo. In altre parole, tutto questo serve per dire agli italiani che tra due o tre anni continueremo a non crescere o a non svilupparci.
  La base giuridica per cui abbiamo potuto chiedere di arrivare al 3 per cento è il Trattato. In condizioni eccezionali, il Trattato ci dà un valore di riferimento e prevede che uno Stato membro possa indebitarsi e utilizzare tutta la sua autonomia di spazi economici fino al 3 per cento.Pag. 12
  Abbiamo dovuto fare una correzione che porta a un aggiustamento del saldo strutturale che non consente nemmeno di perseguire l'obiettivo, cioè lo porta da 0,1 alla correzione dello 0,3, che comunque non è l'obiettivo. Quindi, dobbiamo disattendere un obiettivo e lo disattendiamo spingendo al massimo l'unica leva che al momento abbiamo per rendere questa manovra effettivamente espansiva.
  Dovendo spiegare quanto avvenuto agli italiani, in qualità di deputati della Repubblica, cosa possiamo dire ? Perché quest'ulteriore correzione, quest'ulteriore restrizione ? Sulla base di una lettera della Commissione europea ? Abbiamo ancora l'autonomia di decidere della nostra economia o l'abbiamo completamente delegata alla Commissione europea ?

  PAOLO TANCREDI. Ringrazio il presidente soprattutto per la precisione e la completezza dei dati. La mia domanda è sulla spesa. L'ho rivolta ieri anche al presidente della Corte dei conti. Ci appassioniamo moltissimo all'impatto che alcune misure avranno sull'economia, anche sul prodotto, nei prossimi anni. Manca completamente una vera analisi sulla qualità dei tagli selettivi della spending review; manca da tutte le fonti.
  Dopo cinque esercizi in cui abbiamo effettivamente ottenuto dei risultati enormi sui tagli quantitativi alla spesa primaria, credo che sia arrivato il momento di interrogarsi sulla qualità di questi tagli. Secondo me, la qualità o meno dei tagli ha un impatto sull'economia e sui valori economici dei prossimi anni superiore magari ad alcune misure che ci appassionano, come, ad esempio, valutare l'impatto che un punto decimale in più o in meno avrà sul prodotto interno lordo e sugli altri valori macroeconomici.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Ringrazio anch'io il presidente Pisauro per la presentazione e per questo documento che ci è stato messo a disposizione.
  Vorrei rivolgere due domande. Una riguarda una valutazione che, naturalmente, è, come sappiamo, connotata di grande incertezza, in un contesto che presenta un insieme di variabili che dipendono in parte o per niente da noi. Per quanto riguarda l'impatto macroeconomico, il prossimo anno soprattutto vi è la possibilità di agganciare comunque una ripresa, che sarà pure debole a livello internazionale ma ci sarà. Comunque, rispetto a un Paese come il nostro, che in realtà segna una crescita negativa ormai da tre anni, anche un aggancio a una ripresa non così intensa è importante.
  Anche lei, tuttavia, ha messo in particolare risalto la differenza sulla componente della domanda interna che chiamiamo investimenti. Sostanzialmente, l'ipotesi che si fa per quanto riguarda la manovra è che ci sia un significativo aumento degli investimenti alla fine di quest'anno, ma soprattutto il prossimo anno.
  Poiché non si può ricorrere a nessuna «teoria dell'acceleratore» per uscire dalla tecnicalità, non sarà certo la domanda che spingerà gli imprenditori a investire di più. Allora, a cosa dobbiamo pensare sia riconducibile ? A una sorta di ritorno di spiriti imprenditoriali che a un certo punto vogliano scommettere su un'inversione e un cambiamento del ciclo ?
  Da questo punto di vista, come sappiamo, è la più difficile, la più ottimistica delle previsioni immaginare che gli imprenditori, a dispetto della congiuntura e delle previsioni, scommettano, a meno che non si sia di fronte a quello che si definisce un vero e proprio salto tecnologico, soprattutto da parte delle imprese, che poi ce la stanno facendo, si stanno rinnovando, e si scommetta su queste opportunità. Vorrei sapere se avete delle valutazioni su questo.
  Inoltre, come sappiamo, sono sostanzialmente due le regole che dobbiamo rispettare in base agli accordi europei: una è quella del pareggio del saldo strutturale e l'altra concerne la riduzione dello stock di debito, che entrerà in vigore nel 2016.
  Mi chiedo, proprio in prospettiva e guardando anche i numeri, come sia possibile ipotizzare il rispetto di questa regola se rimarrà come riferimento ciò che è Pag. 13diventato il dato fondamentale per calcolare la differenza tra quello che produciamo effettivamente e quello che potenzialmente potrebbe produrre il nostro Paese. Questo vale per l'Italia, ma anche per gli altri Paesi.
  In base al modo con cui viene calcolato questo prodotto potenziale, ormai è assodato che a livello di Commissione europea, così come di Consiglio europeo, il prodotto potenziale segua pedissequamente gli andamenti del prodotto effettivo, si schiacci addirittura sulla dinamica temporale del prodotto effettivo. Tutto ciò significa che ai Paesi come il nostro saranno richieste, da qui ai prossimi anni, misure che saranno sempre strutturali e, quindi, procicliche.
  Mi chiedo, allora, come sia possibile immaginare che un Paese come il nostro, ma anche altri Paesi, siano in grado di rispettare la regola della riduzione dello stock del debito. Se dovesse rimanere questo il riferimento fondamentale, non è difficile capire che, in realtà, né l'Italia né altri Paesi che si troveranno in condizioni di ristagno o, comunque, di bassa ripresa saranno in condizioni, con le misure che ci verranno richieste, di ottemperare a questa riduzione sistematica.
  Chiedo se l'Ufficio parlamentare di bilancio abbia, anche in prospettiva, l'idea di esaminare questa che non è tanto una revisione tecnica, ma rimette in discussione addirittura la possibilità che sia onorato il Fiscal compact e tutti gli accordi. Così sarà difficile, anzi – diciamolo francamente – sarà tecnicamente impossibile.

  PRESIDENTE. Devo chiedere agli onorevoli Marchi e Guerra di essere telegrafici con le loro domande, perché siamo già oltre i tempi.

  MAINO MARCHI. Presidente, cercherò di stare in un minuto con tre domande. Vorrei sapere se è stato valutato l'effetto sull'occupazione della soppressione di taluni benefici contributivi, operata dal comma 2 dell'articolo 12, quello relativo agli sgravi. In quel caso, non si tratta solo di non cumularsi con altre misure, ma della soppressione di una misura per l'occupazione in vigore, mi pare, dal 1990.
  In secondo luogo, vorrei sapere se esista una valutazione sulla sostenibilità dei tagli per le province, visto che comunque le relative funzioni non sono state ancora riordinate e considerato che, comunque, alcune di queste dovranno essere ripartite tra regioni e comuni.
  Infine, per quanto riguarda, in modo particolare, i comuni, vorrei sapere se si ritiene che le misure previste possano effettivamente, allentando il patto di stabilità interno, favorire gli investimenti. Lo chiedo perché potremmo trovarci nella situazione in cui prima c'erano i vincoli e i soldi in cassa, mentre ho il timore che dopo non ci saranno più i vincoli, o ci saranno in misura minore, ma non si avranno più i soldi per gli investimenti.

  MAURO GUERRA. Presidente, sarò rapidissimo, anche perché l'onorevole Marchi mi ha preceduto in parte sulla domanda, che riguardava, sostanzialmente, diversamente dalla questione posta dal senatore Guerrieri, la parte degli investimenti pubblici e, in particolare, gli investimenti degli enti territoriali e dei comuni. L'impianto della manovra sui comuni, che, come abbiamo visto, è pesante e consegue a tutta una fase, è sostanzialmente costruita con un mix di interventi, dall'armonizzazione al fondo crediti di dubbia esigibilità, allo sgravio parziale sul patto, con il taglio di 1,2 miliardi di euro, sul presupposto che l'insieme di queste operazioni determini una contrazione ulteriore della spesa corrente e la possibilità, invece, che si liberino spazi dal lato degli investimenti con l'alleggerimento del patto di stabilità.
  La domanda è questa: è credibile che la dinamica, l'effetto complessivo di queste manovre possa prendere questa direzione ? Se sì, se si va davvero verso una contrazione di parte corrente e non verso una riduzione della parte degli investimenti, vorrei sapere se le dimensioni sono sostenibili, fatto salvo che il presidente qui ha preannunciato un approfondimento Pag. 14sull'impatto che sarà molto differenziato presumibilmente nella realtà del Paese. Vorrei sapere, complessivamente, che tipo di idea si ha al riguardo.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Pisauro per una replica incisiva, come sempre, e telegrafica.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Presidente, una replica telegrafica sarà difficile, ma ci proviamo. In ordine cronologico, in relazione alla domanda dell'onorevole Palese, su +0,6 e +0,5 punti percentuali non riesco onestamente a fare una valutazione. La differenza tra la previsione del Governo e quella dell'ISTAT è piccolissima. Onestamente non saprei come rispondere.
  Vengo alle tre domande dell'onorevole Fassina sulla spesa in termini reali. Certamente, è vero che, in estrema sintesi, come abbiamo visto più volte in passato anche con l'onorevole Fassina, fino al 2007-2008 la spesa è cresciuta in termini reali nell'insieme di circa il 2 per cento l'anno. Questo succedeva da metà degli anni Novanta per una decina d'anni. Poi questo andamento si è interrotto e, anzi, se escludiamo previdenza e sanità, la spesa in termini nominali è addirittura stabile, se non in diminuzione, negli ultimissimi anni. Dal 2009, le spese diverse da previdenza e sanità, evidentemente, sono state contenute. Questo è indubbio.
  È vero che quanto questo possa incidere – e mi collego alle domande formulate da altri – sulla qualità dei tagli è un'analisi che non è stata mai effettuata. Adesso ci proponiamo di cominciare a effettuarla, ma si tratta di un'analisi complicata e complessa; significa svolgere un'analisi sul campo. È sicuramente una sorta di buco nero dell'informazione di cui disponiamo, quindi sicuramente è qualcosa su cui bisognerà ragionare.
  La clausola di salvaguardia tecnicamente non è una clausola di salvaguardia, nel senso che è scritto che da quel giorno partirà l'aumento dell'IVA e non è messo in alternativa a qualcos'altro, quindi penso che sia corretto il punto di vista prima indicato.
  Non abbiamo valutato l'effetto sostitutivo della decontribuzione nei termini proposti dall'onorevole Fassina, ma è un aspetto su cui si può provare a ragionare.
  Onorevole Cariello, su correzione della manovra e base giuridica non posso dire, per il ruolo dell'Ufficio parlamentare di bilancio rispetto alle regole, se bisognava stare fino al 3 per cento o mantenersi al di sotto di questo. Immagino che la base sia un po’ quella che abbiamo raccontato l'altra volta. Questa è l'unica cosa che mi sentirei di dire.
  C’è la possibilità di una deviazione, ma è una deviazione non totale per il discorso che facevamo l'altra volta. Tra l'altro, sarebbe interessante che tutte queste sottoregole della Commissione europea, non esplicitate completamente, venissero invece indicate in maniera specifica. Ricorderete la questione che, per essere esentati completamente, bisognava avere un output gap negativo di 4 punti oppure una crescita reale negativa. Questo non è scritto né nei trattati né nei regolamenti. È una sottoregola che sarebbe interessante...

  FRANCESCO CARIELLO. A quale obbligo dobbiamo adempiere ?

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Non deve chiederlo a me.

  PRESIDENTE. Consentiamo al presidente di completare.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Sarebbe interessante avere tutta la serie della parte operativa di queste regole.
  Con riguardo alla domanda del senatore Guerrieri Paleotti, riproposta, mi pare, dall'onorevole Guerra, c’è una certa convergenza di tutti i previsori verso una ripresa degli investimenti privati, ma puramente ciclica, per fatti di costruzione dei modelli. Anch'io ho molti dubbi su questo.
  Sugli investimenti pubblici e la parte comune, in particolare, sarei in grado di dare una risposta dopo l'analisi microeconomica cui accennavo. Va soltanto notato, Pag. 15se prendiamo le cifre della manovra, che 2016 e 2017, almeno sulla carta, sono anni in cui, sulla base della manovra, la spesa pubblica per investimenti dovrebbe aumentare in misura superiore alla spesa corrente, cioè dovrebbe esserci una ricomposizione della spesa. Vedremo.
  Infine, rispondo ancora al senatore Guerrieri Paleotti. Come abbiamo detto nella prima audizione, quella di presentazione, il nostro intendimento, superata questa fase della discussione e dell'analisi del disegno di legge di stabilità, come nostro primo studio autonomo da svolgere entro novembre-dicembre, è quello di approfondire ulteriormente – abbiamo già detto alcune cose nelle audizioni precedenti – il tema dell’output potenziale. È una delle cose che abbiamo promesso fin dalla prima audizione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Pisauro per la relazione e per il documento depositato, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato), nonché l'intero Ufficio parlamentare di bilancio, composto anche da Chiara Goretti e Alberto Zanardi.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'ABI.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti dell'ABI.
  È presente il dottor Giovanni Sabatini, direttore generale dell'ABI, accompagnato dalla dottoressa Paola Giachetto, responsabile dell'ufficio tributario, bilancio e vigilanza, dal dottor Raffaele Rinaldi, responsabile dell'ufficio crediti, dalla dottoressa Maria Carla Gallotti, dell'ufficio relazioni istituzionali, e dal dottor Gianluca Smiraglia, dell'ufficio stampa.
  Do ora la parola al dottor Giovanni Sabatini, direttore generale dell'ABI, per lo svolgimento della relazione.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Ringrazio i presidenti e gli onorevoli senatori e deputati. Ringrazio anche a nome del presidente Patuelli per l'opportunità concessa oggi di esprimere le nostre valutazioni sul disegno di legge di stabilità.
  Pur comprendendo la ristrettezza dei tempi, permettetemi, prima di entrare nel merito dell'analisi del disegno di legge, una riflessione sulla giornata odierna. Oggi, di fatto, diventa effettiva la vigilanza del Sistema unico di vigilanza europeo, e quindi il primo pilastro dell'Unione bancaria è effettivamente operativo.
  Questo, che fa seguito alla fase di completamento dell'esercizio di valutazione approfondita, è un momento particolarmente importante per le banche, perché, come ha detto anche ieri il Presidente del Consiglio – abbiamo molto apprezzato la sua riflessione – è anche l'occasione per un'approfondita e ragionata analisi sulle regole, soprattutto nazionali, che governano il settore bancario.
  In effetti, l'Unione bancaria nasce anche con l'obiettivo di garantire un effettivo terreno di gioco livellato. Anche durante l'esercizio di valutazione approfondita abbiamo visto che, anche per la ristrettezza dei tempi, non tutte le regole erano perfettamente omogeneizzate. Penso anche soltanto al calcolo delle attività ponderate per il rischio: è stato anche oggi riconosciuto dalla BCE che rimangono differenze nel calcolo di questi importanti indicatori: quindi l'Unione bancaria deve portare a un'assoluta identità delle regole che governano le banche che partecipano all'Unione bancaria.
  Questo significa anche una riflessione sull'adeguatezza delle norme nazionali, che in alcuni casi possono rappresentare delle penalizzazioni per le banche che devono oggi competere in un mercato fortemente integrato. Non mi riferisco soltanto alle differenze dal punto di vista del fisco, la cui eliminazione potrebbe avere ulteriori impatti sul bilancio pubblico, ma anche a una serie di norme di tipo amministrativo che oggi ci disallineano completamente rispetto all'Europa. Una riflessione Pag. 16in questo senso, quindi, è assolutamente importante. Per questo, colgo quest'occasione per apprezzare lo spunto del Presidente del Consiglio e per augurare che questa riflessione possa avviarsi al più presto.
  Per quello che riguarda il disegno di legge di stabilità, abbiamo predisposto un documento, che è fondamentalmente organizzato in due parti. Nella prima, facciamo qualche riflessione sul quadro macroeconomico e poi entriamo nel dettaglio delle singole norme.
  Per quello che riguarda complessivamente la manovra, riteniamo che, con un approccio espansivo, rappresenti una discontinuità rispetto al passato e che, quindi, letta nel contesto che stiamo vivendo, che vede sicuramente un peggioramento del quadro non soltanto economico ma anche geopolitico dell'Europa, abbia una valenza positiva.
  Dal nostro punto di vista, pur permanendo forti gli elementi di criticità, cominciamo anche a rilevare qualche segnale positivo, soprattutto per quello che riguarda l'attività creditizia nei confronti delle famiglie considerata nel suo insieme. Osserviamo una sostanziale stabilizzazione della dinamica degli stock, quindi non osserviamo più andamenti negativi. Soprattutto, osserviamo, per quello che riguarda l'andamento delle erogazioni dei prestiti per l'acquisto delle abitazioni, una dinamica molto positiva nei primi nove mesi del 2014, con una crescita dell'ordine del 25-30 per cento. Osserviamo anche che all'interno del sistema di pagamento c’è un incremento delle richieste di carte di credito e dei pagamenti con moneta diversa dal contante.
  Ovviamente, questi segnali non sono in grado di accreditare prospettive di ripresa sostanzialmente più significative di quanto accade nelle valutazioni anche del DEF e che, sostanzialmente, condividiamo. In estrema sintesi, quindi, riteniamo che il quadro macroeconomico sia coerente con quanto delineato anche dai maggiori previsori del nostro settore, e che quindi l'insieme delle misure sia adeguato, dal momento che stimola la domanda complessiva.
  Detto questo, venendo a un'analisi dei singoli articoli del disegno di legge, ovviamente apprezziamo moltissimo la deducibilità integrale relativa all'IRAP a partire dal 2015. Effettivamente, sarà una misura che, consentendo la deducibilità integrale del costo del lavoro per il personale dipendente a tempo indeterminato, andrà incontro agli auspici delle imprese e avrà effettivi positivi in termini di stabilizzazione dei posti di lavoro, grazie all'alleggerimento del costo fiscale del lavoro stesso.
  Notiamo, tuttavia, che questa misura, che avrà effetto a partire dal 2015, di fatto comporta un appesantimento nel 2014 in quanto è eliminata l'agevolazione che prevedeva una riduzione nel 2014 delle aliquote IRAP, che per le banche era di circa il 10 per cento dell'aliquota nominale.
  Una misura molto importante è anche quella relativa allo sgravio contributivo per l'assunzione a tempo indeterminato. La norma, si tratta dell'articolo 12, introduce un incentivo triennale a favore dei datori di lavoro privati che assumono lavoratori con contratti a tempo indeterminato nel corso del 2015, prevedendo l'esonero dal versamento della contribuzione previdenziale. Anche questa è una misura che va nella giusta direzione di incentivare la formula contrattuale del contratto a tempo indeterminato.
  Ovviamente, ma questo credo valga per l'intera manovra, essa va considerata nel contesto complessivo delle misure di riforma che il Governo sta mettendo in atto, e quindi va letta anche in coordinamento con quanto previsto nel disegno di legge del Jobs Act, che interviene in maniera sostanziale sulla disciplina dei rapporti di lavoro. Se gli sgravi contributivi rappresentano un passaggio importante, devono trovare un rapido completamento nei decreti delegati attuativi del Jobs Act.
  Sono altresì importanti le misure relative agli interventi a favore delle famiglie, e quindi il bonus 80 euro e il cosiddetto «bonus bebè», perché vanno nella direzione Pag. 17di dare uno stimolo alla domanda e anche per il valore sociale che queste misure esprimono.
  Per quello che riguarda le misure sul lavoro, invece, ci lascia qualche perplessità la riduzione di 200 milioni di euro delle dotazioni del Fondo per il finanziamento degli sgravi contributivi di incentivo alla contrattazione di secondo livello. Questa ci sembra una misura che va in controtendenza rispetto all'indirizzo che anche noi stiamo cercando di perseguire nell'ambito del rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro del settore bancario, e cioè di dare sempre maggiore importanza, soprattutto per quello che riguarda la parte economica, alla contrattazione di secondo livello, alla contrattazione di prossimità. È soltanto a questo livello che si può correttamente collegare la produttività, quindi incrementi di produttività, a incrementi di salario.
  Ancora, il disegno di legge prevede una misura di stimolo della domanda attraverso la possibilità di chiedere la monetizzazione del TFR. Da questo punto di vista, possiamo soltanto rappresentare la piena disponibilità delle banche a individuare poi le misure tecniche nell'ambito della convenzione da stipulare con il Ministero dell'economia e delle finanze per dare attuazione a questa misura. Ovviamente, anche in questo caso occorre una riflessione, soprattutto con le autorità di vigilanza, affinché le misure siano coerenti con il nuovo quadro normativo, che non è più soltanto nazionale, come ricordavo, ma sostanzialmente europeo, soprattutto per assicurare che da questa misura non derivino ulteriori oneri per le imprese.
  Ancora, ci sembra molto positivo il credito d'imposta riconosciuto per le spese sostenute per gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo e il cosiddetto regime di patent box contenuti nell'articolo 7. Da questo punto di vista, l'unica osservazione che possiamo fare è l'auspicio che vi siano interventi di miglioramento soprattutto in termini di semplificazione del meccanismo di applicazione.
  Ugualmente positiva è la proroga del bonus fiscale per i lavori di ristrutturazione edilizia e per il risparmio energetico, considerato che questo può essere un ulteriore contributo al settore edilizio, che ovviamente continua a permanere in forti difficoltà.
  Quello che oggi possiamo osservare è che, per quello che riguarda l'articolo 44 in materia di fiscalità finanziaria, pur osservando che gli interventi qui previsti di fatto tendono a riallineare le aliquote fiscali alla nuova aliquota del 26 per cento per la tassazione dei principali prodotti, l'incremento di alcune aliquote, soprattutto per quello che riguarda i fondi pensione, la cui aliquota passa dall'11 al 20 per cento, ci lascia qualche perplessità per gli effetti che questa misura potrà avere sulla previdenza, tenuto conto dei delicati equilibri su cui si basa la struttura finanziaria della previdenza complementare e, soprattutto, più in generale, del risparmio destinato a fronteggiare le esigenze future.
  Il tema di come, anche a supporto di investimenti di lungo termine, favorire la formazione di risparmio a lungo termine è di sicuro particolarmente importante. Lo abbiamo posto anche come associazione al centro delle riflessioni a livello sia nazionale sia europeo. Queste misure non ci sembrano coerenti con quest'obiettivo.
  Devo dire che anche la previsione avente ad oggetto l'inasprimento nei confronti degli enti commerciali, incluse quindi le fondazioni bancarie, in termini di riduzione della percentuale di esclusione da tassazione dei dividendi, che dall'attuale 95 per cento sarà ridotta a circa il 23 per cento, suscita delle rilevanti riserve. In primo luogo, ridurrà, in un momento che è ancora di difficoltà, la capacità di far affluire risorse sul territorio attraverso, appunto, le fondazioni, soprattutto quelle bancarie, che operano nell'attività di ricerca, di promozione della cultura e dell'ambiente, quindi in tutto il terzo settore; non ci sembra una misura coerente con il contesto che stiamo vivendo.
  Tra l'altro, è anche una misura che, di nuovo, non ci sembra allineata con quanto avviene nel quadro europeo, dove analoghi Pag. 18soggetti no profit godono di una fiscalità di vantaggio. Da ultimo, ci lascia anche molto perplessi la decorrenza retroattiva al 1o gennaio 2014 di questa misura che, appunto, non solo non appare coerente con un disegno generale di riordino della fiscalità, ma impatta anche su attività già programmate dalle fondazioni. Direi, quindi, che anche questi interventi ci lasciano perplessi, perché si collocano al di fuori di un disegno organico della materia fiscale.
  Concludo su questo punto ricordando come, nel dare un giudizio sostanzialmente positivo su questo disegno di legge di stabilità, sia ugualmente importante per il mondo delle imprese una rapida attuazione della delega fiscale, e quindi una rapida approvazione dei decreti delegati, per favorire proprio un quadro di certezza del sistema fiscale italiano, particolarmente importante per attrarre investimenti esterni.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Sabatini.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAMPAOLO GALLI. Ringrazio il direttore Sabatini, al quale rivolgo due domande. La prima riguarda il TFR. Leggo della piena disponibilità del settore ad aprire tavoli e discutere su come rendere effettiva questa misura e, quindi, del supporto alle piccole imprese. Questo mi fa pensare che ci siano più problemi di quelli che non si pensasse. Mi chiedo se possa considerarsi superato e in che modo il tema della scadenza, mi pare tra 4 anni, dei TLTRO (Targeted Longer-Term Refinancing Operations). Adesso le banche possono finanziare al tasso del TFR rifinanziandosi con questo strumento presso la Banca centrale europea, ma esso ha una scadenza a tre o quattro anni, quello che sia, dopodiché l'impresa deve restituire i soldi e quindi, in pratica, si rinvia solo il momento del pagamento.
  La seconda questione riguarda la contrattazione di secondo livello e il salario di produttività. Taluni studi, molto controvertibili ovviamente, tendono a dire che gli incentivi alla contrattazione di secondo livello, su cui tutti noi abbiamo puntato molto negli anni scorsi, non sono serviti molto per la contrattazione di secondo livello. Può darsi che il sistema bancario rappresenti un po’ un'eccezione da questo punto di vista, perché ci sono imprese grandi e strutturate, che quindi sono riuscite. Lei riesce a darci un'idea di cosa possa succedere concretamente ? Salteranno accordi e premi di produttività e si rafforzeranno, a livello centrale, le burocrazie sindacali e l'Associazione bancaria italiana, che sarebbe il peggiore dei disastri possibili ?

  VINCENZO CASO. La mia domanda è puntuale: vorrei chiedere se sia stata effettuata un'analisi dell'impatto sul settore bancario di due norme del disegno di legge di stabilità, quella di cui all'articolo 5, concernente la deduzione del costo del lavoro dall'imponibile IRAP, tenendo conto anche del ripristino dell'aliquota al 4,65 per cento, e quella di cui all'articolo 6, concernente l'anticipo del TFR in busta paga.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Anch'io ringrazio il dottor Sabatini per la sua presentazione. Nel vostro documento viene sottolineato che l'andamento della domanda aggregata è fondamentale per sperare in una ripresa. Ai fini di quest'andamento, ovviamente l'andamento del credito e la possibilità di far affluire di nuovo risorse al sistema delle famiglie e delle imprese risultano altrettanto fondamentali. Nel vostro documento vengono altresì citati alcuni segni che possono, in qualche misura, definirsi incoraggianti.
  Da questo punto di vista, uno dei problemi – se non il problema – è rappresentato non solo dall'offerta ma, come sappiamo, anche dalla domanda, che riflette la difficoltà dell'economia reale e delle imprese. Per sorreggere la domanda, nella legge di stabilità dell'anno scorso si mise in piedi un sistema di garanzie a livello nazionale, in qualche modo relativamente consistente.Pag. 19
  In questo disegno di legge di stabilità, in realtà, su questo versante c’è molto poco, anzi quasi niente. Allora, la domanda è: questa scelta deriva dal fatto che stanno funzionando e hanno funzionato quei meccanismi ? Ritenete che siano, quindi, meccanismi a questo punto pienamente operativi ?
  In realtà, hanno funzionato poco, anche perché l'implementazione in alcuni casi è stata a dir poco carente, e quindi bisogna soprattutto farli funzionare. O c’è bisogno anche di altro, e quindi si potrebbe fare altro ? È evidente che questo rappresenta un dato fondamentale.
  Vengo molto brevemente alla seconda domanda. Sappiamo naturalmente che per far affluire di nuovo risorse per i consumi e gli investimenti, fondamentale è l'intermediazione del sistema bancario. Il nostro, come quello di altri Paesi europei, è un sistema bancocentrico, ma stiamo anche andando verso un necessario e inevitabile rafforzamento del cosiddetto canale non bancario di intermediazione. Come ha più volte sottolineato il governatore Visco, tale processo non deve vedere le banche collocarsi in una funzione antagonista, bensì contribuire affinché questo canale possa rafforzarsi.
  Da questo punto di vista, la tassazione sui fondi pensione e sulla previdenza complementare, dal momento che si stava pensando a un modo per far confluire risorse verso l'economia reale, potrebbe ostacolare o nuocere a questo rafforzamento ? A tale riguardo, quali misure ritenete possano essere incentivate ? C’è da fare qualcosa anche in questa legge di stabilità, che a vostro giudizio ancora manca, per introdurre meccanismi che possano essere considerati utili da parte vostra ?

  TOMMASO CURRÒ. Vorrei chiedere al dottor Sabatini se reputi idoneo, nell'ambito dell'Unione bancaria, la previsione di una doppia disciplina: una che valga per le grandi banche che operano nei settori finanziari e una, invece, più ritagliata sulle piccole banche, che operano maggiormente sul territorio e quindi rispondono meglio alle esigenze dell'economia reale.
  Come abbiamo visto negli ultimi anni, anche in forza dell'universalismo bancario, in qualche modo si è creata una scissione tra gli impieghi fatti nel mondo della finanza e quelli fatti nel mondo reale.
  Peraltro mi colpisce – concludo la domanda e nel contempo la ringrazio – quanto contenuto nel documento presentato, quando affermate che, per quanto riguarda l'attività creditizia verso le imprese, la caduta dello stock, o meglio la decelerazione e la caduta dello stock sono ascrivibili alla carenza di buona domanda, cioè di richieste collegate a progetti di investimento dalla buona redditività futura, come tali meritevoli di essere finanziati.
  Da questo asserto sembrerebbe quasi che, se non tutta, una componente della responsabilità del credit crunch, della mancanza di finanziamenti per l'economia reale, sia ascrivibile al mondo imprenditoriale e delle imprese. A tale proposito, le chiedo: visto che il mondo industriale e produttivo italiano è caratterizzato da una dimensionalità tutto sommato piccola rispetto agli altri Paesi membri dell'Unione europea, quanto incide il fattore della patrimonializzazione, il fattore dimensionale, sulla capacità del sistema bancario di erogare finanziamenti produttivi, mirati, come da voi evidenziato, a investimenti di lunga portata ? Come sa meglio di me, dottor Sabatini, è questa l'essenza, la sostanza della funzione bancaria, che dovrebbe in teoria essere in primis rivolta proprio a questa specifica finalità.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Sabatini per la replica.

  GIOVANNI SABATINI, direttore generale dell'ABI. Tutte le domande richiederebbero corpose risposte, quindi magari integreremo nella memoria che abbiamo distribuito quello che non riuscirò a dire.
  In sintesi, per quello che riguarda le due domande dell'onorevole Galli, sicuramente, se l'obiettivo deve essere quello di non far gravare in alcun modo sulle imprese la misura relativa al TFR, occorre Pag. 20tenere conto di una serie di riflessioni tecniche, anche alla luce della disciplina prudenziale. Ad esempio, sicuramente uno dei temi da affrontare, soprattutto con le autorità di vigilanza, è come evitare che l'eventuale finanziamento con cui l'impresa eroga la monetizzazione del TFR aumenti l'esposizione dell'impresa nei confronti della banca e determini, quindi, segnalazioni alle centrali di rischio od altro ancora. Vi è quindi una serie di aspetti e di tecnicalità che devono essere risolti in sede di convenzione e di verifica di compatibilità.
  La misura del TFR è prevista per il momento, a quanto pare, in via temporanea, e quindi dovrebbe avere un orizzonte coincidente con quello dei TLTRO. Sicuramente, però, alla scadenza dei quattro anni si porrà il problema. In proposito occorrerà vedere se possano essere immaginate soluzioni – ma è qualcosa che oggi non figura nel testo del disegno di legge di stabilità, quindi probabilmente andrà valutato in sede di convenzioni – fondate su meccanismi mutuati, ad esempio, da quanto è stato previsto per lo smobilizzo dei crediti verso la pubblica amministrazione, laddove per una determinata scadenza, qualora la pubblica amministrazione chiedesse una ristrutturazione, un allungamento del pagamento del credito alla banca, la banca ha la possibilità di cedere quel credito alla Cassa depositi e prestiti.
  Questo è, però, uno dei temi su cui bisognerà fare ancora delle riflessioni. Da questo punto di vista, quindi per noi, come abbiamo fatto in passato, c’è la massima disponibilità a discutere le soluzioni tecniche, ma devono essere in alcuni casi ancora individuate.
  Per quello che riguarda il tema dello spostamento della contrattazione sul secondo livello, la cosiddetta contrattazione di prossimità, abbiamo sempre detto che comunque crediamo nella centralità del contratto collettivo nazionale ma, soprattutto per quello che riguarda la parte economica, questo contratto dovrebbe sempre più definire una cornice quadro e demandare poi effettivamente alla contrattazione aziendale, magari fissando i criteri con cui misurare la produttività, la quantificazione delle variazioni di produttività, e quindi delle variazioni di salario. Ciò soprattutto perché andremo incontro a un mondo sempre più altamente competitivo e in cui saranno sempre più differenziate anche le performance delle singole banche.
  Sarà opportuno, quindi, che in azienda si determini la componente economica avendo comunque fissato un quadro generale nel contratto collettivo nazionale. Questo è uno dei temi su cui ci stiamo, ovviamente, confrontando, al fine di trovare il giusto bilanciamento rispondente alle esigenze del contesto. Quello che sicuramente credo non sia più sostenibile è il doppio livello di contrattazione economica, cioè quello nazionale e quello aziendale.
  Per ciò che riguarda l'analisi dell'impatto dell'IRAP e del TFR, non sono in grado di fornire dati precisi, ma questa era sicuramente fino a oggi una di quelle misure fiscali che fortemente penalizzava le banche italiane rispetto a quelle estere. Questa misura riporterà la fiscalità sulle banche italiane, al netto di altre misure che comunque ci penalizzano, un po’ più in linea rispetto a quanto accade per i nostri competitor.
  Noi avevamo stimato che in media negli ultimi dieci anni la fiscalità sulle banche italiane era di 15 punti percentuali superiore rispetto a quella delle altre banche europee. L'IRAP era sicuramente una di queste componenti. Il trattamento degli accantonamenti e delle perdite su crediti, che poteva essere ridotto soltanto in diciotto anni, era un altro elemento insieme ad altri ancora, quindi sicuramente questa è una misura di riallineamento verso l'Europa che va nella giusta direzione.
  Per quello che riguarda il TFR in busta paga, bisognerà vedere quale potrà essere la domanda di monetizzazione da parte dei dipendenti del settore, quindi nella presente sede non siamo francamente in grado di fare delle stime.
  Venendo alle due domande del senatore Guerrieri Paleotti, sicuramente oggi uno degli ostacoli a una maggiore dinamica Pag. 21delle grandezze del credito è l'elevata rischiosità del credito stesso. Anche insieme a Confindustria e ad altre associazioni di imprese, abbiamo sempre sostenuto che i sistemi di garanzia imperniati su un buon funzionamento del fondo centrale di garanzia fossero determinanti per cercare di far accedere al credito soggetti, imprese o famiglie, che da soli non hanno adeguato merito di credito, quindi avevamo salutato con grande favore le misure contenute nella legge di stabilità per il 2014, che effettivamente andavano in quella direzione. È tuttavia servito del tempo per renderle completamente operative.
  Credo ci siano dei piccoli ingranaggi ancora da oliare per quello che riguarda non più il quadro normativo, ma quello regolamentare di secondo livello. C’è anche il tema di migliorare la governance per la gestione del predetto fondo. Probabilmente, si pone anche il problema di ampliare l'intervento del citato fondo, ma ciò ovviamente richiederebbe risorse aggiuntive, per consentire l'intervento del medesimo non soltanto nei confronti delle piccole ma anche delle medie imprese. Quello di immaginare, quindi, sempre più sistemi di garanzia che possano sfruttare risorse non solo pubbliche ma anche private, è un tema sul quale sarebbe opportuno, e stiamo cercando di farlo, compiere un'ulteriore riflessione, in quanto rappresenta sicuramente uno degli snodi chiave.
  Il secondo tema era quello del ribilanciamento delle forme di finanziamento delle imprese tra canale bancario e canale mercato. Da questo punto di vista, abbiamo sempre detto che vediamo con favore questa possibilità, e quindi avevamo espresso apprezzamento per le misure che già sono state adottate, in particolare lo strumento dei mini-bond.
  Quello che ci sentiamo di dire – ma forse soprattutto al legislatore europeo – è che, nello sviluppare il canale di finanziamento mercato, è comunque opportuno che non si creino aree che abbiano dei vantaggi regolamentari o che siano poco regolamentate, correndo il pericolo di spostare rischi dal settore più presidiato a uno meno presidiato. Ricordo che la crisi del 1998 del Long-Term Capital Management (LTCM) ebbe un impatto rilevante e nasceva nel cosiddetto settore bancario ombra, che aveva poca regolamentazione. Ben vengano, quindi, gli strumenti di mercato e, da questo punto di vista, ben venga anche il progetto di un'unione dei capitali che affianchi l'Unione bancaria, ma adeguatamente presidiato da un sistema di regole efficace.
  Alla domanda dell'onorevole Currò sul tema se sia adeguata una regolamentazione assolutamente uniforme per tutti i tipi di banca, la prima osservazione che mi viene è che non si tratta di un problema di tipo dimensionale, ma di un tipo di modello di banca. Abbiamo sempre detto fin dall'inizio, quando si discutevano le prime bozze dell'accordo noto come Basilea 3, che forse era opportuna una maggiore distinzione tra il modello di banca commerciale tradizionale, cioè quella che fa raccolta del risparmio ed erogazione di finanziamenti, e il modello di banca di investimento puro.
  Da questo punto di vista, avevamo conseguito un risultato positivo ottenendo che nelle norme di Basilea 3 fosse riconosciuto un fattore di correzione per l'esposizione nei confronti delle piccole e medie imprese, il cosiddetto Sme supporting factor, per evitare che un aumento indiscriminato dei requisiti patrimoniali colpisse l'erogazione di credito nei confronti delle piccole e medie imprese.
  Credo che questo sia un tema che nell'ambito dell'Unione bancaria debba essere riproposto per evitare che il modello della banca commerciale, che strutturalmente ha una più bassa redditività perché ovviamente comporta minori rischi, non sia completamente appiattito da un sistema di regole che non tiene conto di queste differenze. Credo, quindi, che questo sia sicuramente un tema sul quale riflettere e sul quale faremo anche le nostre riflessioni e proposte in sede europea.
  Detto questo, sicuramente oggi la dinamica del credito è anche resa più difficile in Italia dalla micro dimensione delle Pag. 22nostre imprese. Al riguardo, cito il governatore nella sua relazione all'assemblea dei partecipanti al capitale della Banca d'Italia del 31 maggio scorso, che ha evidenziato come il sistema delle imprese in Italia abbia un deficit di capitale di circa 200 miliardi di euro.
  Questo, alla luce delle regole europee, sarà un elemento da considerare, perché già in sede di esercizio di comprehensive assessment erano state avanzate delle ipotesi che prevedevano, indipendentemente da eventuali ritardi di pagamento dell'impresa, di considerare crediti deteriorati quelli nei confronti di imprese che presentavano livelli di indebitamento eccessivo rispetto al patrimonio.
  Sicuramente, quindi, le misure che favoriscano la patrimonializzazione – da questo punto di vista, l'ACE è stato un importante passo avanti – e la crescita dimensionale delle imprese costituiscono elementi che potrebbero, nel contesto dell'Unione bancaria e delle regole identiche che a questa presiederanno, promuovere una migliore dinamica del credito.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Sabatini e la delegazione dell'ABI. Prima di concludere l'audizione, intendo comunicarvi che l'Associazione di fondazioni e di casse di risparmio (ACRI) ci ha inviato una nota, che abbiamo messo in distribuzione per tutti i colleghi, che faceva riferimento ad alcuni temi comunque già ripresi nella relazione anche dal dottor Sabatini. Per correttezza, non avendo potuto raccogliere tutte le richieste di audizione, abbiamo consentito la distribuzione degli atti di alcune associazioni, così che ogni deputato e ogni senatore possa consultarli. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di ANCE e Confedilizia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti di ANCE e Confedilizia.
  È presente, per l'ANCE, il presidente Paolo Buzzetti, accompagnato dal dottor Antonio Gennari, vicedirettore generale, dal dottor Marco Zandonà, direttore della fiscalità edilizia, dal dottor Flavio Monosilio, dirigente responsabile della direzione affari economici e centro studi, dalla dottoressa Stefania Di Vecchio, dirigente responsabile dell'Ufficio rapporti con il Parlamento, e dalla dottoressa Ginevra Sotirovic, dirigente responsabile dell'ufficio comunicazione e stampa.
  È, inoltre, presente, per Confedilizia, l'avvocato Giorgio Spaziani Testa, segretario generale, accompagnato dall'avvocato Giovanni Gagliani Caputo.
  Abbiamo circa cinquanta minuti per ascoltare i rappresentanti di ANCE e Confedilizia, quindi do la parola al dottor Paolo Buzzetti, presidente dell'ANCE, per lo svolgimento della sua relazione.

  PAOLO BUZZETTI, presidente dell'ANCE. Grazie, presidente. Innanzitutto, mi corre l'obbligo di ringraziare per l'attenzione che le presenti Commissioni bilancio di Camera e Senato hanno posto al problema dell'inadeguato aumento dell'IVA che si stava prospettando dal 4 al 10 per cento, fuori dal contesto di un ragionamento generale di valutazione delle questioni attinenti al problema della casa. Il nostro giudizio sul disegno di legge di stabilità è che, indubbiamente, esso configura una manovra molto coraggiosa che rompe i paradigmi del passato, se non altro dal punto di vista del tentativo di un abbassamento delle tasse che, in base ai nostri calcoli, per quanto riguarda la deducibilità del costo del lavoro dall'imponibile IRAP – e nel nostro settore abbiamo, ovviamente, molta manodopera – si aggira intorno al 35 per cento. L'importante, però, è un segnale in questo senso.
  Più in generale, però, mantiene a nostro avviso la stessa, solita impostazione di attenzione e di condanna a questo rigore europeo, che di fatto annulla completamente Pag. 23quella politica di investimenti e di shock di investimenti pubblici che continuiamo a ritenere, dal nostro modesto punto di vista, fondamentale per far ripartire l'economia.
  Infine, anche la mancata presa di posizione chiara sul tema della tassazione sulla casa, a nostro avviso, continua a rappresentare un elemento di grandissima instabilità per tutto il settore relativo alla casa e ad esso collegato. È stata annunciata – e speriamo che sia adottata – una tassazione unica, ma rimane insopportabile, per alcuni specifici aspetti, l'IMU sui beni strumentali delle imprese. Inoltre, non viene posto un tetto alle aliquote, lasciando così inalterato un meccanismo di patrimoniale che sta fiaccando il settore.
  Ciò premesso, entriamo più nel dettaglio. A nostro avviso, nonostante vengano previsti 7,3 miliardi di euro in più per il triennio per gli investimenti pubblici, tali importi si perdono di fronte ai vari elementi di calcolo che portano sostanzialmente – nella relazione è tutto riportato in dettaglio – a un -11 per cento di investimenti pubblici per l'anno 2015, a un -9 per cento per l'anno 2016 e a solo un +0,6 per il 2017.
  A questo si deve aggiungere che ci auguriamo che sia disponibile il miliardo di euro che era stato predisposto per l'allentamento del patto di stabilità degli enti locali. Non è ancora chiaro dalle tabelle se in questo momento esso sia destinato al conto capitale, cioè alla spesa per investimenti, in modo tale che gli enti locali non possano poi utilizzarlo per la spesa corrente, altrimenti sarebbe assolutamente inutile.
  Sul patto di stabilità, quindi, sarebbe affatto positivo poter disporre già almeno di questo miliardo di euro, ma permettetemi di dire che sempre su questo piano c’è il problema dei pagamenti, che non è stato minimamente risolto per il conto capitale, nonostante un protocollo importante che abbiamo stipulato con il Ministro dell'economia e delle finanze.
  Ciò è veramente un po’ paradossale, nel senso che siamo stati noi come ANCE a sollevare il problema dei ritardati pagamenti. Il settore edile è quello che, per chi opera investimenti in conto capitale, soffre maggiormente, eppure sono stati risolti tutti i problemi. Ci dispiace – lo dico scherzando, ovviamente – di aver fatto perdere la scommessa al Presidente del Consiglio; sinceramente, noi volevamo fargliela vincere.
  La spesa corrente è stata risolta e non abbiamo nulla in contrario. È stata inoltre impostata una piattaforma in base alla quale chi, come nel settore del farmaceutico, attende il pagamento dei crediti maturati in quel campo, finalmente ottiene il pagamento in tempi più rapidi; in tal senso si è data una grande soluzione al problema, ma lo stesso discorso non vale per noi. Non solo non ci sono più nemmeno i 500 milioni di euro che erano stati previsti a tale fine, ma la questione risulta nel complesso irrisolta proprio in relazione al problema del patto di stabilità. Esistono, dal punto di vista dei pagamenti, 3-4 miliardi di euro di ritardi al 2013 che arrivano fino a 10 se si considerano i ritardi maturati nell'ultimo anno. Detti ritardi permangono tutti, con l'insieme dei problemi che ciò può comportare.
  C’è di positivo, naturalmente, la conferma degli ecobonus sulle ristrutturazioni. Questo, sicuramente, è un elemento positivo, bisogna tuttavia osservare che i suddetti incentivi, relativi soprattutto a piccole ristrutturazioni, non hanno la forza di riuscire a far ripartire completamente il settore dell'edilizia, che continuiamo a ritenere strategico e fondamentale per la ripresa del mercato interno, che soffre sempre di più. Non vi tedierò con la descrizione di una situazione che peggiora in maniera progressiva e molto rapidamente.
  È altresì da ritenere non positiva la previsione, in riferimento alle ritenute sui bonifici effettuati alle aziende, di cui all'articolo 44, comma 27, del disegno di legge di stabilità, di un raddoppio dell'aliquota, una misura che francamente sorprende per le imprese che operano nel campo delle ristrutturazioni perché intacca, in alcuni casi, anche l'utile che ne Pag. 24può derivare. Capisco che sia una garanzia antievasione, ma la liquidità in questo momento non c’è.
  Naturalmente, poi ci sono altre norme positive sul reverse charge e sulla riapertura dei termini per la rivalutazione delle aree edificabili. In ogni caso, il punto fondamentale è che non è stato affrontato ancora una volta in modo sostanzialmente strutturato il discorso della fiscalità nel campo dell'immobiliare, ma vi è la speranza che prima o poi si arrivi ad affrontare tale questione, nonostante le dichiarazioni che in questo senso erano state già rilasciate.
  Procedendo sempre in maniera rapida, mi permetto di sottolineare l'anticipazione al 10 per cento negli appalti, una misura assai apprezzabile che ha già prodotto risultati positivi che stiamo monitorando, reintrodotta come principio applicato in tutto il mondo e, naturalmente, secondo importi maggiori. Tale misura, che scade a fine anno, andrebbe quindi confermata, perché ha un effetto positivo in questo momento di scarsa liquidità ed appare giusta da un punto di vista concettuale.
  Nella relazione abbiamo evidenziato, inoltre, alcuni dettagli molto importanti per il settore, sui quali non vi tedierò. Vi è, per esempio, un meccanismo di sanzioni su cui richiamo la vostra attenzione, perché incidono nella vita delle aziende in maniera dirompente. Adesso ci siamo inventati che, se un'azienda sbaglia a presentare i documenti, deve pagare una multa salatissima. In proposito, noi riteniamo che se l'errore è lieve, allora l'azienda non dovrebbe pagare la multa; se l'errore è grave, si potrebbe ipotizzare di non ammettere alla gara l'azienda interessata.
  Il fatto che l'azienda debba pagare in un caso e nell'altro è invece privo di logica. Capisco che sia un modo di fare cassa, ma in questa maniera si finisce davvero per distruggere senza motivo un tessuto imprenditoriale. Non so quanto ciò sia di vostra competenza, ma questo è un aspetto che andrebbe assolutamente risolto. Quanto alla pubblicità obbligatoria, pur comprendendo le ragioni dell'editoria, allo stato nelle gare di appalto l'impresa deve pagare i costi di pubblicazione dei bandi, nonostante oggi si faccia tutto on line sui giornali: ditemi voi se anche questo ha un significato. Sono piccole cose, ma che danno importanti segnali dal punto di vista generale.
  Poi c’è, naturalmente, il calcolo che abbiamo fatto sull'IRAP, per quanto riguarda la diminuzione del costo del lavoro per le imprese del nostro settore, che abbiamo salutato positivamente.
  Infine, noi non abbiamo trovato alcune norme che, a nostro avviso, sono state tolte dai meccanismi di funzionamento, come quella di ripristinare i regimi agevolativi per i trasferimenti di immobili nell'edilizia residenziale, che erano all'1 per cento e che sono venuti meno dal 1o gennaio di quest'anno. Questo mette in difficoltà non solo le imprese ma anche gli enti locali, che non possono più prendere in consegna delle opere a scomputo, dal momento che ciò avrebbe per loro costi troppo elevati. Pertanto, rimangono delle situazioni incastrate da questo improvviso salto di aliquota, che non trova, a sua volta, una giustificazione particolare.
  Voglio infine – e concludo – riferirmi alle disposizioni sul TFR, sulle quali si registrano molte osservazioni, come vedete in questo momento, e su cui vi è stata anche una presa di posizione da parte della Banca d'Italia.
  In realtà, bisogna stare attenti. C’è questa facoltatività per le piccole aziende, che ovviamente scommettono anche sulla liquidità del TFR. Certamente un po’ di fatica ci può essere. Capisco la finalità di rimettere denaro in giro, ma è come per la questione degli 80 euro: ritorniamo al punto di partenza.
  Si può notare, quindi, il tentativo di far ripartire l'economia, che bisogna apprezzare. Noi abbiamo avuto anche il decreto-legge «sblocca Italia», che conteneva, per esempio, alcune misure relative agli acquisti con affitto. Su questo tema qualche confusione è stata apportata, mi spiace dirlo, nel passaggio parlamentare, nel senso che il provvedimento è applicabile solo all'invenduto, che è un problema Pag. 25andare a definire esattamente che cosa sia. Quella misura andrebbe corretta, ma complessivamente sono stati introdotti dei validi provvedimenti normativi di semplificazione.
  Quello che è mancato nello «sblocca Italia» sono le risorse, perché il 70-80 per cento delle risorse sono spese dal 2018. In realtà, quello che continua a non esserci è una politica – questa è la nostra convinzione – di shock all'economia, riuscendo a spendere un po’ di soldi pubblici.
  Addirittura l'associazione tedesca dei costruttori e quella francese hanno chiesto di presentare insieme a noi una richiesta a Bruxelles, cosa che abbiamo fatto, per portare fuori dal Patto di stabilità e dai vari patti di limite alcune spese – noi abbiamo fatto aggiungere anche quelle per il dissesto del territorio, per la manutenzione e per alcune infrastrutture fondamentali – perché anche in Germania e in Francia la questione sta cominciando a generare effetti devastanti sulla manutenzione delle infrastrutture.
  È logico che noi non possiamo salutare positivamente il disegno di legge di stabilità da questo punto di vista, pur apprezzando il tentativo di rimettere il tema in campo. Speriamo che i numeri reali finali nelle dimensioni siano questi.
  Siamo, quindi, molto preoccupati per un 2015 ancora con il segno meno, dopo tutti questi anni di crisi, situazione che il settore delle costruzioni non è più in grado di reggere. Non è più in grado di reggere il mercato interno né l'impatto con una tendenza così negativa.
  Pertanto, dobbiamo di nuovo sottolineare che purtroppo, in definitiva, le politiche economiche che stiamo perseguendo in Europa sono troppo rigide ed improntate ad una eccessiva austerità. Se non cambiano queste politiche, la nostra opinione è che finirà male per vasti settori industriali e per ampia parte dell'economia interna del Paese, con danni rilevanti anche sul piano sociale.
  Non sappiamo più come dirlo. Vedo e comprendo che non si riesce a cambiare questa impostazione. Temo, però, che alla fine saremo costretti all'adozione di provvedimenti estremi, fra qualche tempo, perché i nodi verranno al pettine, anche a livello europeo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Buzzetti.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  EDOARDO FANUCCI. Ringrazio per la relazione, che mi ha francamente colpito in alcuni passaggi.
  Il primo sta nel non aver sottolineato a sufficienza, a mio modo di vedere – al di là della relazione, sono andato a vedere anche il testo che ci è stato consegnato – la questione della proroga del bonus per la ristrutturazione e dell’ecobonus. Tale misura ha visto il Governo impegnato in un grande sforzo per confermare per il 2015 il livello di detassazione e, quindi, di contribuzione da parte del Governo, che, in realtà, avrebbe dovuto essere diminuito nel corso del tempo.
  Nello specifico si rileva, nel testo e nella sua relazione, che non è stata accolta la richiesta dell'ANCE in cui si specificava che questi incentivi dovevano essere messi a regime. Da un punto di vista meramente oggettivo, mettere degli incentivi a regime vuol dire far perdere anche la misura dell'incentivo come un impegno anticiclico rispetto alla finalità dell'incentivo stesso, che ha questa portata proprio per la misura e anche per la finalità del provvedimento stesso. Mi spiego meglio. Io ritengo che il Governo abbia trasmesso un preciso segnale rispetto a dove vogliamo andare. Questo può essere condivisibile o meno da un'associazione che persegue interessi legittimi, ma particolari nella loro legittimità. Si tratta di favorire non le nuove costruzioni, ma le riqualificazioni dell'esistente, cercando anche di spingere rispetto al mondo della green economy, di cui spesso si parla, ma per il quale poco si fa.
  A mio avviso, questo, che è un provvedimento forte e importante nella legge di stabilità, che ha impegnato il Governo nel ricercare e inseguire alcune risorse, deve Pag. 26essere sottolineato dalla vostra associazione. È vero, tutto è possibile, si può sempre fare di più, ma io ritengo che, in un'interlocuzione chiara e diretta tra il Parlamento, il Governo e le associazioni di categoria, si debbano anche far emergere alcuni elementi positivi che sono oggettivi e sotto gli occhi di tutti.
  Per il resto mi sarei aspettato qualche cenno in più, per esempio, sull'edilizia scolastica, un tema che ci sta particolarmente a cuore. Noi ci siamo già mossi con altri provvedimenti e con altri interventi nel corso del tempo, al di là di questa legge di stabilità, che non prevede interventi, perché non ci sono le risorse in questa misura. Tuttavia, c’è la possibilità, nell'attesa di andare incontro all'esigenza che lei ha palesato più volte nel corso del suo intervento, di ricercare quei famosi 300 miliardi di euro che Juncker ha presentato in più occasioni anche all'Italia, destinando quelle risorse prevalentemente, a mio avviso – qui parlo a titolo personale – all'edilizia scolastica.
  L'edilizia scolastica da tempo necessita di questi interventi e già in diverse occasioni, ma non nella legge di stabilità, il Governo ha dichiarato di voler investire e continuare a crescere in quella direzione.

  GIORGIO SANTINI. Vorrei ringraziare l'ANCE anche per gli stimoli forti che ha portato alla discussione. Mi pare che ci sia, ovviamente, la tematizzazione delle difficoltà di utilizzare margini di risorse. Questo ha molto a che fare con il rapporto con l'Europa.
  Voi sapete, e l'abbiamo visto proprio in questi giorni, come la manovra fosse anche più coraggiosa. Poi è stata ridotta, ragion per cui anche alcuni margini che c'erano stati e che c'erano nella precedente versione, in termini di possibilità – penso, per esempio, ai debiti in conto capitale – di intervenire, sono stati, purtroppo, azzerati e la manovra ha fatto delle scelte.
  Per quanto riguarda il vincolo europeo, bisogna trovare il modo, in maniera intelligente, ma rapida, di uscirne, almeno per la parte degli investimenti. Dico anch'io quello che diceva il collega, ossia che è molto importante adesso capire l'impatto sulle infrastrutture del tema dei 300 miliardi di euro.
  Come sapete, c’è un grosso tema, tutto italiano, soprattutto sulle grandi infrastrutture, che hanno un problema non solo di finanziamento, ma anche di capacità progettuale e di selettività delle opere. È un tema sul quale è giusto aspettare, è giusto chiedere ed è giusto anche determinare un cambiamento europeo. È importante, però, anche prepararsi come sistema complessivamente istituzionale, prima ancora che dei costruttori. Il primo punto è questo. In merito vorrei un'opinione.
  Vedo poi sollevato giustamente un tema su cui noi ci siamo intrattenuti già altre volte: la vicenda dei debiti della pubblica amministrazione in conto capitale. C’è un rapporto diretto con l'indebitamento e, quindi, c’è un problema proprio di quadro. Vediamo di trovare nel corso della discussione – ci sono anche alcune idee vostre – se ci sia una strada percorribile anche nelle varie forme di rapporto col sistema bancario, come voi qui dite. Vediamo se riusciamo a individuare una soluzione sui debiti della pubblica amministrazione, perché questo è davvero il punto nell'impianto del disegno di legge più lacunoso e difficile.
  Passo all'ultima questione. Ne parlavamo anche ieri sera con Confindustria. Voi giustamente invitate a prestare attenzione al fatto che il rastrellamento di risorse per poi coprire sia la decontribuzione sia il taglio dell'IRAP rimette in discussione l'utilizzo dei fondi europei anche nella coda finale del 2007-2013, cioè nel Piano di azione e coesione.
  Questo è vero, ma, secondo me, si tratta di un metodo che può essere usato anche a vantaggio delle infrastrutture. Il problema fondamentale della programmazione, purtroppo anche di quella futura, anche di quella che sta iniziando adesso, è che essa continua a essere segnata non dalle necessità reali del sistema economico, ma da una coerenza procedurale astratta.Pag. 27
  Si tratta, a mio avviso, di coinvolgere proprio, in questo caso, il mondo dei produttori, che ha istanze molto forti. Nelle infrastrutture, peraltro, siamo pienamente dentro gli obiettivi generali di sistema dei fondi strutturali. Penso in particolare al Mezzogiorno, ma non solo. Bisogna aprire un'interlocuzione molto forte con il nostro Governo, ovviamente, nonché con l'Europa per rinegoziare.
  La programmazione 2014-2020 è avvenuta del tutto in continuità con quella degli anni precedenti, che però in realtà aveva determinato una serie di fallimenti non piccoli. Questa è l'inerzia delle procedure. Bisogna inserirsi con l'urgenza delle problematiche. Questo meccanismo di «rastrellamento» di risorse su obiettivi, però, chiari e forti, che abbiano un impatto economico, deve essere messo in pratica anche per le opere e per le strutture.
  Su queste tre questioni mi interesserebbe capire anche la vostra opinione.

  LINDA LANZILLOTTA. Vorrei fare solo una domanda a proposito dei debiti della pubblica amministrazione. Conosciamo dai primi decreti-legge la vicenda dei debiti pregressi fino al 2013 che incidono sull'indebitamento. Io trovo molto preoccupante il dato del 2014, con un tasso di formazione dei nuovi crediti molto alto.
  Su questo punto qual è la valutazione ? Qual è la causa determinante ? È un problema di Patto di stabilità o è un problema di cassa, cioè di divaricazione tra competenza e cassa ? Io credo che le Commissioni bilancio dovrebbero intervenire sul ritardo con cui si va alla competenza economica e, quindi, alla divaricazione tra competenza e cassa. Questo è uno dei motivi per cui si accumulano questi debiti della pubblica amministrazione, che dovrebbero essere, in teoria, superati già dai decreti attuativi della legge n. 196 del 2009.
  Vorrei capire come si può incidere, stanti le nuove regole sui pagamenti, su questo tasso di formazione dei nuovi debiti della pubblica amministrazione, che mi sembrano veramente consistere in una cifra molto cospicua.

  PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica ai quesiti posti dall'onorevole Fanucci, dal senatore Santini e dalla senatrice Lanzillotta.

  PAOLO BUZZETTI, presidente dell'ANCE. Comincio dall'intervento dell'onorevole Fanucci. Noi siamo assolutamente favorevoli alle norme sull’ecobonus, ci mancherebbe. L'aspetto che va considerato prima di tutto, però, è che tali norme non sono in grado da sole di far ripartire il settore dell'edilizia. Non lo sono, ovviamente, perché si tratta in genere di lavori puntuali, che avvengono, il che va benissimo, in parte sulle strutture e in parte sugli elementi impiantistici, ma che non producono poi l'occupazione che potrebbero produrre.
  Ci sono dei problemi che permangono anche sull'applicazione di svariati tipi di contratto dentro il cantiere edile. Questo è un altro tema che andrebbe discusso, anche se non in questa sede. In ogni caso, questi interventi non riescono a dare quello che lei diceva, ossia il grande impulso alla riqualificazione, e a far veramente partire la riqualificazione delle città.
  Si tratta di un tema su cui questi interventi, anche con questi incentivi, ben vengano. Finalmente si è dimostrato che aumentano il gettito per le casse dello Stato e non il contrario, come si è sostenuto per anni. Tuttavia, la riqualificazione è qualcosa di più complesso, nel senso che deve riguardare la fiscalità e la capacità di intervenire nelle aree delle città, innescando davvero processi di manutenzione e riqualificazione.
  In questo senso noi siamo riusciti a far accogliere il criterio di dedicare attenzione proprio alle città, esattamente due anni fa, ma poi non ne è seguito nulla. Stiamo proponendo da tempo – questo sarebbe veramente un tema centrale per il Paese – insieme a tutta la filiera dei professionisti, fino a Legambiente e a tutte le associazioni artigianali, un modello e siamo andati Pag. 28anche a studiare diverse città, tra cui Marsiglia.
  La faccio breve, ma possiamo fornire tutti gli atti che desiderate. Abbiamo ragionato sul fatto che noi dobbiamo seguire l'amministrazione francese, che è quella a cui noi cerchiamo un po’ di assomigliare, o alla quale comunque assomigliamo, come impostazione. In Francia hanno fatto interventi di riqualificazione strutturati ripartendo dalle aree degradate, una per città, mettendo in campo investimenti pubblici e favorendo investimenti privati sul piano fiscale. Hanno riqualificato e stanno tentando di riqualificare, con ben 400 interventi nel Paese, importanti aree cittadine.
  Come si interviene ? Si interviene con una fiscalità mirata, con alcune semplificazioni, le quali naturalmente sono sempre sostenute da tutti, ma soprattutto agendo sulla fiscalità con la direzione generale pubblica, nazionale. Noi abbiamo proposto che ci sia presso Palazzo Chigi un'unità che si interessi di questo discorso, tramite investimenti pubblici, pur lasciando fare a ogni sindaco il suo lavoro. Ogni sindaco sceglierebbe il progetto per la propria città e l'area da cui vuole cominciare, ma si applicherebbero queste regole fiscali e anche di tipo urbanistico-normativo, che adesso per brevità non elenco.
  Mi riallaccio solo brevissimamente all'onorevole Santini, quando chiede: «Che cosa facciamo con questi fondi europei, che non riusciamo nemmeno a utilizzare ?» Facciamoci anche queste cose. Ci potrebbe anche essere un fondo utilizzato per le città che assicuri la necessaria presenza di denaro pubblico. Il resto lo farà poi il denaro privato, in questo caso.
  Questo dell’ecobonus è, quindi, un pezzo, un pezzettino. Per carità, è uno sconto giustissimo e validissimo. Lo proponemmo noi per primi tanti anni fa. Va benissimo, ma non ha l'impatto dello shock che noi continuiamo a insistere essere indispensabile anche dal punto di vista delle città.
  È questo il vero patrimonio da cui riparte il Paese. Dobbiamo rendere possibili alcuni spazi. Basti pensare a quelle che potrebbero essere alcune attività nel centro delle città per i giovani. Per esempio, dico la cosa più banale: pensiamo alle stampanti 3D e a ciò cui potrebbero dar vita. Ditemi, però, dove stanno gli spazi di uso cittadino nel centro delle nostre città, con le rigidità nelle quali siamo impostati adesso.
  Venendo al senatore Santini e al ragionamento in merito alle esclusioni dal Patto di stabilità: noi ci rendiamo conto delle difficoltà dei nostri governanti, quando affrontano in Europa questo tema. Io le capisco. Devo anche segnalare, però, che noi continuiamo a ignorare completamente il settore dell'edilizia. Io non credo che questo sia fatto strumentalmente, ma vi dico che negli ultimi anni di crisi abbiamo visto una riduzione del 48 per cento delle risorse per gli investimenti pubblici. Il nostro è l'unico Paese che abbia fatto realmente questo, l'unico.
  In questa situazione, noi proponiamo di portare fuori dal Patto di stabilità il dissesto idrogeologico. Anche qui il Governo ha fatto una pregevole opera di censimento con l'unità di missione. Il fatto che l'avessimo suggerita noi è un vanto che, avendo due secondi di tempo, mi prendo, ma in realtà sono stati bravi. Hanno impostato l'unità di missione e stanno facendo un censimento di tutte le opere necessarie.
  Bene, bravissimi, ma i soldi dove stanno ? Il problema è che non ci sono le risorse: 2,5 miliardi di euro sono lì dal 2009, quando li chiedemmo noi e li facemmo stanziare, ma ne è stata spesa una piccolissima parte, con tutti i commissari del mondo che mi vengono in mente e che sono stati utilizzati. Questo è accaduto perché ci sono mille problemi, quali le sovrapposizioni di competenze, dovute al Titolo V, tra regioni e Stato centrale, i bacini imbriferi e via elencando. Ci sono mille complicazioni, per carità, ma probabilmente il Paese, se dimostra di riuscire a invertire la tendenza di un degrado senza più riparo e riesce a fare qualcosa, può averne vantaggio. Portiamo, dunque, fuori questo aspetto.Pag. 29
  Concludo rapidamente. A proposito delle opere che, in realtà, noi paghiamo 3,5 miliardi di euro, che l'Europa ci abbuona fuori Patto per intervenire dopo, non potrebbero darci prima questi soldi ? Sono banalità sulle quali è difficile credere che non si riesca a ottenere qualche cosa, con tutto il rispetto dei parametri.
  Sui 300 miliardi di euro poi vedremo, perché in realtà non ho capito bene a noi che parte toccherebbe. Speriamo, ma finora sono ancora tutti discorsi e parole.
  Quanto alla questione dei pagamenti, che anche la senatrice Lanzillotta solleva, io penso che purtroppo il problema è sempre legato principalmente al Patto di stabilità. È talmente alta la multa che il sindaco subisce, dovendo pagare tanto quanto ha sforato, che non può più assumere nessuno, non può fare più mutui, non può più gestire. Se solo sfora in un caso di pagamento o comunque di investimento in conto capitale, paga tantissimo. Se, invece, non paga, i danni di eventuali ricorsi delle imprese li vedrà il successore. In sostanza, questo elemento è disarmante. Chi l'ha pensato l'ha pensato bene.
  Anche a livello centrale noi abbiamo sottoscritto un accordo col Ministro Padoan. In realtà sembrava che la questione si potesse risolvere. Cassa depositi e prestiti si è dimostrata disponibile a garantire i pagamenti anche per il conto capitale, ma, poiché questo è stato ritenuto un intervento sempre incidente, alla fine, sul deficit, è stato bloccato.
  Io penso che qualcosa su questo tema si debba fare sicuramente. Ritengo che questa sia una questione sulla quale voi potrete – lo spero, me lo auguro – intervenire, perché non possiamo farla passare nel silenzio generale. Qualcosa è stato pagato negli anni, come sapete bene. Nel nostro settore sono stati pagati 7,5 miliardi di euro, che non sono nulla. Qualche cosa è stato pagato, ma occorre il completamento e soprattutto sono d'accordo che venga stabilito che a regime ciò non accada più.
  Questo è il vero tema, perché ormai siamo già arrivati di nuovo a 8-9 mesi di attesa, ma la cifra sta aumentando ancora e, quindi, ci ritroveremo, magari fra due o tre anni, con una situazione di nuovo gravissima. Occorre trovare una soluzione dal punto di vista dei pagamenti. C’è, però, una norma tutta italiana che regola questa situazione. Bisognerebbe forse intervenire su di essa per cercare di ristabilire una certa normalità fisiologica.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Buzzetti e l'ANCE per la disponibilità.
  Continuiamo l'audizione iniziata con l'ANCE e passiamo a Confedilizia. Chiedo al segretario generale, avvocato Spaziani Testa, di sintetizzarci in cinque minuti la sua relazione, con le peculiarità e le valutazioni fatte sul disegno di legge di stabilità, in modo da consentire ai colleghi di porre qualche domanda.

  GIORGIO SPAZIANI TESTA, segretario generale di Confedilizia. Grazie, presidente. Io sarò brevissimo per un motivo molto semplice. Il motivo è non solo l'esigenza di brevità, ma anche il fatto che in questa occasione la Confedilizia, che da anni viene consultata, e di questo ringraziamo il Parlamento, sulla legge di stabilità ora e in precedenza sulla legge finanziaria e, quindi, sul principale provvedimento di politica economica del Governo, ha ritenuto di attuare una piccola – ovviamente non eclatante, ma speriamo significativa – forma di «protesta», ossia quella di non presentare alcun documento alle Commissioni.
  Questo non per mancanza di riguardo verso le Commissioni, tutt'altro. Non intendiamo presentare alcun documento di illustrazione né della posizione della proprietà immobiliare, né di specifiche proposte, perché riteniamo che sia davvero grave che questo disegno di legge non contenga alcuna previsione che possa concedere un, sia pur minimo, segnale di attenzione per la proprietà immobiliare.
  Non riteniamo, quindi, che sia necessario agli onorevoli componenti delle Commissioni presenti e a tutto il Parlamento illustrare ulteriormente la situazione di Pag. 30gravità estrema e assoluta in cui versa il settore immobiliare, che è stato caratterizzato da un aumento di tassazione che è iniziato sì nel 2012, in quanto stabilito a fine 2011, ma che è stato consolidato e, quindi, mantenuto e confermato negli anni successivi dai vari Governi che si sono succeduti.
  Si tratta di un aumento di tassazione che porterà solo quest'anno e solo per quanto riguarda le imposte locali al pagamento di quasi 28 miliardi di euro di imposte rispetto ai 9 miliardi di euro e poco più del 2011 che garantiva l'imposta locale sugli immobili di allora.
  Non è necessario illustrare maggiormente, con documentazione e carta, alle Commissioni e al Parlamento intero le conseguenze che tutto questo ha portato in termini di crollo dei valori immobiliari, che è stato stimato nella misura di quasi 2.000 miliardi di euro, e di conseguente riduzione dei consumi da parte dei cittadini, collegata alla mancanza di fiducia che la perdita di valore dei propri beni immobili produce nei cittadini stessi, con riferimento anche al valore della semplice abitazione. Questa mancanza di fiducia è collegata al venir meno, per lo più psicologicamente, ma in realtà tangibilmente, della garanzia che, dal punto di vista della persona fisica soprattutto, ma non solo, consente di avere la consapevolezza di un bene di un determinato valore per il proprio futuro.
  A queste conseguenze – mi avvio a concludere – negli ultimi mesi se ne sono aggiunte due ulteriori, che definire inquietanti è poco. Noi le abbiamo documentate e sono state illustrate anche in interviste televisive con persone fisiche e toccabili con mano.
  I proprietari, da un lato, sono arrivati alla determinazione di distruggere, o comunque di apportare modifiche ai propri beni tali da sottrarli alla tassazione, sottraendo agli stessi la caratteristica di fabbricati dal punto di vista catastale. Dall'altro, sono arrivati anche, e ci giungono continue richieste almeno di informazioni in tal senso, a rinunciare alla proprietà dei beni immobili.
  Ci riferiamo, naturalmente, non ai beni immobili che molto spesso si hanno presenti quando si propongono e si attuano politiche di aumento di tassazione, cioè a quelli più pregiati, ma ai tantissimi, ai milioni di immobili presenti nel nostro territorio che l'eccesso di tassazione, unito ad altre cause, ha trasformato in costi per i relativi proprietari. Si tratta di costi privi di qualsiasi redditività e di qualsiasi possibilità di vendita e addirittura di svendita, tanto che si arriva al punto di fare le operazioni che ricordavo.
  Non c’è in questo disegno di legge di stabilità nemmeno un segnale, come dicevo, di attenzione per il settore immobiliare. Noi ne avevamo proposto uno, che io definirei simbolico, che era quello della riduzione almeno di un 3 per cento rispetto all'aumento del 60 per cento che le rendite catastali hanno avuto nel 2012 e poi mantenuto, confermato e consolidato nel 2013 e 2014.
  Una riduzione del 3 per cento dei moltiplicatori catastali e della base imponibile della tassazione locale sugli immobili avrebbe comportato e comporterebbe per lo Stato oneri al di sotto del miliardo di euro, circa 700-800 milioni di euro.
  È maggiormente grave questa mancanza di un, sia pur minimo, segnale per l'immobiliare e per la proprietà diffusa se si pensa che continuano ad essere – e concludo veramente – confermate e anche aumentate, con il decreto-legge «Sblocca Italia», agevolazioni a grandissime società immobiliari quotate e a fondi immobiliari per 500 milioni di euro l'anno.
  Tali agevolazioni riguardano società che, come dimostra una documentazione che, se ci sarà consentito, depositeremo, non attuano neppure ciò che la proprietà diffusa, invece, tradizionalmente garantisce in Italia, ossia la locazione abitativa, per svolgere quella funzione sociale che l'affitto svolge da tanti anni in Italia e che non è necessario illustrare alle Commissioni. Tale funzione sociale viene completamente stravolta e annientata, se non addirittura eliminata, dalle politiche fiscali che si sono succedute.

Pag. 31

  PRESIDENTE. Ringrazio l'avvocato Spaziani Testa.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  COSIMO LATRONICO. Presidente, la sua relazione, non consegnata, ma oralmente dichiarata, è un grido d'allarme che noi non possiamo non considerare, perché rappresenta la condizione che, purtroppo, siamo costretti a registrare sul campo.
  Lei ci ha fornito questi dati, che sono allarmanti e che io credo che il Governo e le Commissioni facciano bene a considerare. Parlo di questa sorta di patrimoniale che si è materializzata in questi anni e che ha portato la tassazione sugli immobili da 9 miliardi di euro del 2011 a 28 miliardi del 2014.
  Io non so se il segretario generale può fornirceli, ma non sarebbe male riavere questi dati in maniera più sistematica, anche per dare contezza a tutti che non stiamo parlando di cifre al lotto, ma della dura realtà, che determina quella condizione che lei denuncia e che io le confermo a livello empirico. Non c’è neanche più un mercato, laddove c’è la svendita, ma c’è la condizione per molte famiglie di guardare le proprie situazioni immobiliari, spesso frutto di cessioni familiari e di eredità, in una condizione di deprivazione, di mancanza di interventi di manutenzione e di costi che si assumono.
  La mia domanda va nella direzione di sapere se sia possibile avere elementi documentati delle questioni che lei ha illustrato prima. Dico ai colleghi presenti in tale sede che questa riflessione va fatta.
  Passo alla seconda questione che mi ha suggerito la sua relazione. Lei parlava di agevolazioni a società di fondi immobiliari che non attuano neppure le funzioni sociali a cui sarebbero chiamate. Tali società avrebbero goduto, o godono, di particolari agevolazioni, che invece non ci sono per la proprietà immobiliare diffusa. Chiedo se vuole fornirci qualche elemento in più.

  ROCCO PALESE. Mi associo alla richiesta di avere in breve tempo i dati che sono stati qui annunciati e che, peraltro, non sono completamente fuori dal contesto in cui ognuno di noi vive, in merito a questa situazione.
  Volevo solamente chiedere, visto che i comuni hanno grandi difficoltà a fare i controlli e a trasmettere i dati, qual è il grado di evasione – chiaramente si tratta di un'evasione di assoluta necessità, non di un'evasione a delinquere, come ce n’è tanta nel nostro Paese – su IMU e TASI. Voi avete qualche campione, qualche dato ?
  Io ho l'impressione che, soprattutto al Sud, il tasso di evasione sia altissimo, perché la gente non ha i soldi per pagare, tanto per intenderci. Vorrei sapere se voi avete qualche dato, visto che il Ministero dell'interno non fornisce dati in merito, se non in maniera molto frammentata.

  PRESIDENTE. Do la parola al segretario generale di Confedilizia per una brevissima replica.

  GIORGIO SPAZIANI TESTA, segretario generale di Confedilizia. Nel ringraziare l'onorevole Latronico e l'onorevole Palese per gli interventi, mi dichiaro naturalmente disponibile a fornire i dati relativi alla tassazione.

  PRESIDENTE. A revocare lo sciopero.

  GIORGIO SPAZIANI TESTA, segretario generale di Confedilizia. No, li fornirei singolarmente. Sono dati noti, peraltro, che non sono frutto di particolari elucubrazioni, ma conseguenza di politiche fiscali. Ripeto, erano 9 miliardi di euro di ICI nel 2011, saliti a partire dal 2012, ma con consolidamento nel 2013 e 2014, via via sempre di più, cominciando dai 23,7 miliardi di euro del 2012.
  Per quanto riguarda le società di investimento immobiliare quotate (SIIQ), le società di investimento immobiliare non quotate (SIINQ) e i fondi immobiliari, si tratta di agevolazioni fiscali che non avrebbero motivo di essere contestate in sé, se non fosse che contestualmente una misura di questo genere non è stata prevista Pag. 32negli anni, e neppure con questo disegno di legge di stabilità, nemmeno con riguardo a particolari settori della proprietà diffusa, come, per esempio, coloro, persone fisiche, piccole società immobiliari o piccoli investitori, che locano i propri immobili, che li affittano in generale e, in particolare, coloro che li affittano a canone calmierato, a canone cosiddetto concordato.
  Queste agevolazioni esistono dal 1997 e riguardano pochi soggetti, che, ripeto, nel caso delle SIIQ e delle SIINQ non svolgono, se non nella misura dello zero virgola qualcosa per cento, locazione abitativa. Ci chiediamo quale sia la politica non di questo Governo, non di questo Parlamento, ma di Governi e maggioranze parlamentari che si sono succeduti negli anni, in particolare negli ultimi tre.
  Per quanto riguarda l'evasione di IMU e TASI, dati certamente obiettivi non può che averli il Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze. Da parte nostra abbiamo non già dati, perché è davvero difficile averli, se non con i mezzi del Dipartimento delle finanze, ma conferme di tante situazioni relative perlomeno a pagamenti molto ritardati, soprattutto per quanto riguarda la TASI e l'IMU dell'ultimo anno.
  Tali pagamenti ritardati hanno riguardato non solo situazioni di incertezza legislativa a tutti ben note, ma anche difficoltà di pagamento da parte di persone che a questa forma non di protesta, non di evasione, in realtà, bensì di ritardo e di impossibilità di pagamento hanno affiancato e affiancano altre forme che nel nostro settore, nel settore immobiliare, si stanno ormai manifestando sempre di più. Penso a quelle relative al pagamento degli oneri condominiali, sempre più disattesi o perlomeno ritardati, e a quelle relative alla morosità, per quanto riguarda gli inquilini, nel pagamento dei canoni di locazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'avvocato Spaziani Testa e Confedilizia per il contributo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti di R.ETE. Imprese Italia.
  È presente il segretario generale di Confartigianato Imprese, Cesare Fumagalli, che è accompagnato da Stefania Multari, direttore delle relazioni istituzionali di Confartigianato Imprese, Bruno Panieri, direttore delle politiche economiche di Confartigianato Imprese, Danilo Barduzzi, responsabile dell'area economica di Casartigiani, Claudio Giovine, direttore della divisione economica e sociale di CNA, Marco Capozi, responsabile delle relazioni istituzionali di CNA, Francesca Stifano, responsabile delle relazioni istituzionali di Confcommercio – Imprese per l'Italia, Vincenzo De Luca, responsabile del settore fiscalità d'impresa di Confcommercio – Imprese per l'Italia, Antonello Oliva, responsabile dell'area economica di Confesercenti.
  Do la parola a Cesare Fumagalli, segretario generale di Confartigianato Imprese, e ringrazio l'intera delegazione presente.

  CESARE FUMAGALLI, segretario generale di Confartigianato Imprese. Grazie. A nome delle cinque confederazioni del commercio e dell'artigianato che fanno capo a R.ETE. Imprese Italia esprimiamo un giudizio complessivamente positivo su una manovra che finalmente lascia i soli panni rigoristi per introdurre alcuni tratti espansivi che hanno sicuramente il nostro apprezzamento.
  Dico subito, però, che sono ancora troppo timide, a nostro parere, le politiche di rilancio dell'economia e degli investimenti, che dovrebbero trovare una maggiore accentuazione, anche per anticipare in Italia alcune tematiche che potrebbero precostituire la piattaforma con la quale il nostro Paese si propone all'Europa, per Pag. 33orientarne le decisioni nell'annunciato piano di rilancio dell'economia, proposto dalla nuova Commissione europea.
  La manovra di bilancio per gli anni successivi al 2015 – questo è un punto critico che non possiamo non segnalare – si regge sulla previsione di una robusta riqualificazione della spesa pubblica che dovrebbe portare, anzi che dovrà portare, ingenti risparmi. L'alternativa, descritta nelle clausole di salvaguardia, a questa severa spending review sarebbe quella di un innalzamento della pressione fiscale attraverso l'innalzamento dell'IVA dal 10 al 13 per cento e dal 22 al 25,5 per cento, una cura in grado di ammazzare davvero un cavallo, con una maggiore pressione fiscale, descritta nella relazione tecnica, di quasi 29 miliardi di euro come effetto cumulato nel 2018.
  Questa manovra si inserisce in un contesto che per le nostre imprese continua a essere di marcata fragilità e, per alcuni comparti, di conclamata sofferenza. A questo riguardo la possibile doccia scozzese dell'annuncio di un inizio di manovra espansiva che fosse seguito dal terribile salvaguardia descritto dalla possibile applicazione delle clausole di salvaguardia rischia di avere da subito un effetto negativo e di non consentire quel ritorno ai consumi che noi auspichiamo.
  Complessivamente, degli ultimi sette anni, dal 2008 al 2014, cinque sono stati di recessione e questo 2015 completa un triennio consecutivo di recessione. Il PIL è tornato indietro di quattordici anni e dobbiamo sottolineare come, nonostante le condizioni espansive della politica monetaria, con i tassi di riferimento ai minimi, persista una flessione del credito alle imprese che si associa, quindi, a un calo degli investimenti. Sul fronte dei prezzi siamo ormai prossimi alla condizione di deflazione.
  Passiamo alle nostre valutazioni sui singoli interventi previsti all'interno della manovra.
  Consideriamo positivo lo stanziamento che va sotto il titolo «La buona scuola» per un miliardo di euro nel 2015 e per 3 miliardi di euro a partire dal 2016. Tuttavia, poniamo l'attenzione sull'opportunità di specificare quante di queste notevoli risorse andranno alla sola stabilizzazione dei precari e quante, invece, saranno effettivamente destinate ai progetti di alternanza scuola-lavoro, che pure sono nel titolo dell'intervento complessivo «La buona scuola».
  È buona, a nostro parere, la scelta di stabilizzare il bonus degli 80 euro a favore dei lavoratori dipendenti, che potrà auspicabilmente trasformarsi in maggiori consumi. Tuttavia, dopo l'intervento di quest'anno, quello che abbiamo alle spalle, questa scelta sul bonus degli 80 euro ci vede preoccupati per la differenziazione, che a questo punto diventa strutturale, di trattamento fra diverse tipologie di contribuenti che sono tutte soggette ad IRPEF. Mi riferisco ai lavoratori diversi da quelli dipendenti, che subiscono, a nostro parere, un'inaccettabile discriminazione proprio sotto il profilo della capacità di generazione del reddito e del beneficio che il bonus degli 80 euro introduce.
  Positivo è anche il nostro giudizio sulla deduzione del costo del lavoro dall'imponibile IRAP. Condividiamo la scelta di concentrare una consistente parte delle risorse disponibili per ridurre il cuneo fiscale che grava sul lavoro.
  Anche qui, però, dobbiamo sottolineare come la combinazione di due previsioni contenute in questa proposta abbia un effetto divaricante. Se è vero, da una parte, che tutte le aziende che hanno consistente forza lavoro alle proprie dipendenze vedranno un beneficio consistente nel prossimo anno, dall'altra, per tutti gli altri soggetti – mi riferisco agli oltre 3 milioni di imprese che non hanno dipendenti – si produrrà un effetto perverso, quasi una beffa, perché ci sarà il ritorno dell'imposta di base dal 3,5 per cento, come era stata determinata negli ultimi provvedimenti, al 3,9 per cento. Chi non usufruisce di questa detrazione del costo del lavoro dall'imponibile IRAP si troverà addirittura, per l'anno prossimo, a vedersi innalzata la misura dell'imposta.
  A questo riguardo le nostre proposte sono sicuramente orientate nel senso di Pag. 34individuare anche nei confronti di questa larga platea di soggetti una possibile linea di intervento, perché essi hanno parimenti bisogno, per le condizioni che in precedenza ho ricordato, di ricevere stimoli dal punto di vista della riduzione del costo del lavoro e della pressione fiscale, che non concerne solo il lavoro dipendente.
  La nostra proposta è quella di un innalzamento della franchigia IRAP che consentirebbe di cogliere anche questa vasta platea, la quale di tutto ha bisogno tranne che di essere disincentivata. Si tratta di milioni di lavoratori non dipendenti, a volte di autoimprenditorialità, che restano fuori da ogni provvedimento, addirittura con un aggravio della misura di base dell'IRAP.
  Quanto al credito di imposta per la ricerca, noi stimiamo che le ricadute sulle micro, piccole e medie imprese saranno molto modeste. Potranno giovarsi del provvedimento solo le imprese di maggiore dimensione. In questo modo, si va a deprimere anche uno sforzo che le piccole e medie imprese stanno sicuramente facendo in questi anni, alla ricerca di tutte le possibili innovazioni che consentano loro di recuperare competitività sul mercato.
  La nostra proposta è di estendere il credito di imposta all'innovazione tecnologica e non tecnologica attraverso il sostegno anche di misure che possano trovare all'interno dei Programmi operativi nazionali (PON) della prossima programmazione comunitaria una possibilità per le piccole imprese di compiere interventi a sostegno di quell'innovazione, a volte non formale, che non ricopre tutte le caratteristiche dei tradizionali interventi di sostegno a ricerca e sviluppo che hanno sin qui connotato i provvedimenti assunti.
  Esprimiamo un particolare apprezzamento da parte nostra sulla proroga di un altro anno dell'intensità delle agevolazioni in materia di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica, a maggior ragione se consideriamo che le aziende di questo settore – e noi ne rappresentiamo moltissime – hanno subìto più gravemente di altre una crisi che dura ormai dal 2009, con un calo in questi anni di 460.000 unità registrato nel settore delle costruzioni.
  Allo stesso modo, è positiva per noi la proroga di un anno delle detrazioni per l'acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici.
  Consideriamo, invece, un brutto esempio della tecnica di dare con una mano e togliere con l'altra l'innalzamento della ritenuta d'acconto sugli importi dei bonifici con i quali i beneficiari delle agevolazioni fiscali pagano le imprese esecutrici dei lavori, ritenuta che è previsto debba passare dal 4 all'8 per cento. Si tratta solo di un'anticipazione secca di gettito all'erario, che sottrae risorse alle imprese su operazioni comunque segnalate al fisco. Con una mano, quindi, c’è la positività dell'azione che ho descritto, mentre con l'altra si opera una penalizzazione nei confronti di queste imprese in particolare sofferenza.
  Sull'introduzione del regime fiscale agevolato per gli autonomi apprezziamo la struttura del nuovo regime forfettario, in quanto semplifica notevolmente gli adempimenti per le imprese, riducendo al minimo quelli connessi alla tenuta della contabilità.
  Segnaliamo, però, la necessità e l'opportunità di incrementare l'ammontare dei ricavi previsti per l'accesso a questo regime, perché con gli attuali limiti, a confronto con le norme che vengono abrogate, ossia quelle concernenti il regime delle nuove iniziative produttive, il regime di vantaggio per l'imprenditoria giovanile e quello contabile agevolato, di fatto si introduce l'obbligo di tenuta della contabilità per un notevole numero di soggetti che oggi, entro i 30.000 euro di ricavi, godevano di una serie di importanti agevolazioni connesse ai regimi abrogati. Il nostro invito è di considerare proprio quanti soggetti risulterebbero esclusi e quanti invece entrerebbero con gli attuali limiti rispetto all'ammontare dei ricavi.
  Non vorremmo inoltre – ritengo opportuno sottolineare tale aspetto – che questa anticipazione del nuovo regime dei minimi, ossia del nuovo regime agevolato per gli autonomi, risultasse troppo disgiunta Pag. 35dalla previsione contenuta nella legge delega per la riforma fiscale che prevede il complessivo riordino dei regimi. Ci appare di qualche preoccupazione il fatto che venga considerata separatamente una parte importante come quella di un nuovo regime per i semplificati che possa andare verso la determinazione dei redditi per cassa, ossia per quanto effettivamente incassato nell'anno per aziende di piccola dimensione, con la possibilità di accesso, altrettanto congiunta, nella legge delega.
  Noi ci aspettavamo decreti delegati che insieme portassero avanti questi aspetti, consentendo l'accesso all'imposta sul reddito imprenditoriale (IRI), che garantisce una neutralità rispetto alla forma giuridica. Oggi l'IRES viene riservato alle sole aziende costituite in forma di società di capitali e non ai milioni di altre imprese che sono ditte individuali e società di persone. Speriamo che questa anticipazione venga seguita in questa direzione e in tempi assai rapidi dai decreti attuativi della riforma.
  Positivo è il nostro giudizio sugli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato. Riteniamo che la decontribuzione possa sicuramente portare nella stessa direzione dei provvedimenti che accompagnano la riforma complessiva del mercato del lavoro. In questo caso, c’è la rimozione di alcune caratteristiche di interventi già tentati dal precedente Governo in questa direzione, che erano poi sostanzialmente falliti per la pretesa di avere occupazione incrementale, che di questi tempi è sicuramente una condizione alla quale poche aziende sono in grado di accedere.
  Critica è, invece, la nostra valutazione relativamente alla previsione della possibilità del TFR in busta paga. Lo diciamo soprattutto per le aziende al di sotto dei 50 dipendenti. È facile infatti immaginare una perdita di flusso di liquidità, che costituisce attualmente il salario differito dei lavoratori, per le piccole aziende, rappresentando altresì un anticipo di costo, proprio perché il differito non è più per tutti i lavoratori che dovessero optare per questa soluzione. Rimane, inoltre, del tutto impregiudicata – non abbiamo visto nulla in questa direzione che ci tranquillizzi – la possibilità che le imprese non vedano ridotta la propria capacità di accesso al credito.
  Aggiungo ancora una nota di preoccupazione per l'ennesimo – ormai si susseguono, negli ultimi tempi – intervento di sottrazione di risorse per quanto riguarda i Fondi interprofessionali per la formazione continua. Questo ci pare in piena contraddizione con gli intenti, più volte dichiarati dal Governo, di investire sulla formazione continua dei lavoratori per la crescita delle competenze in funzione di una maggiore competitività delle imprese. Ogni volta poi si scivola nell'infilare la mano in tasca rispetto a questi strumenti che non cessano di avere necessità e che anzi, se possibile, nella crisi ne hanno anche di maggiore rispetto a prima.
  Negativo è il nostro giudizio sul taglio ai fondi per i patronati. Le organizzazioni che fanno capo a R.ETE. Imprese Italia hanno tutte istituti di patronato. L'intervento è davvero poco comprensibile, in un momento nel quale gli istituti, a partire dall'INPS, affidano ormai quasi completamente agli sportelli di patronato l'ultimo miglio, ossia l'interfaccia con i cittadini.
  Noi siamo piuttosto per una revisione dell'intera normativa che regola i patronati, per una riforma che, magari riaffermando la funzione di pubblica utilità dei patronati, ne ridefinisca ambiti, funzioni e competenze, prevedendo che solo alcune delle attività vengano finanziate. Ci pare che l'intervento sia, in questo caso, davvero a gamba tesa, senza preoccupazione degli effetti che ne deriveranno.
  Da ultimo, svolgo quattro notazioni su aspetti che, a nostro parere, sono del tutto carenti all'interno del disegno di legge di stabilità per il 2015.
  In materia di credito la nostra preoccupazione è che continuiamo a vedere politiche che denotano una marcata tendenza a centrare la finalizzazione degli strumenti a disposizione – Fondo centrale di garanzia, Cassa depositi e prestiti – verso le esigenze del mondo bancario e finanziario piuttosto che verso le imprese. Pag. 36Ci saremmo attesi all'interno del disegno di legge di stabilità interventi che prendessero in carico il problema del flusso di credito, enormemente diminuito, a favore delle imprese, soprattutto quelle di più piccola dimensione.
  Sui tempi di pagamento della pubblica amministrazione non si interviene più, dando per risolto il problema dello stock dei pagamenti arretrati. Non è il riscontro che noi abbiamo. È vero, sono avvenuti miglioramenti rispetto alla montagna che c'era prima, ma questa montagna è tutt'altro che erosa.
  In particolare noi riteniamo che, una volta esaurito o vicino a esaurimento lo stock, potrebbe essere necessaria e opportuna l'introduzione di una norma di assoluta civiltà, come quella, che da tempo noi proponiamo, della compensazione diretta e universale tra debiti e crediti. Se non lo si fa adesso che si è, come dice il Governo, quasi azzerato lo stock, quando ? Noi riteniamo inoltre che questa sia una norma che introdurrebbe quel clima di fiducia a cui tanti aspirano nelle dichiarazioni, ma che va concretizzato con iniziative.
  Rappresentiamo, altresì, l'esigenza di procedere ad una riforma della fiscalità immobiliare. Noi abbiamo assistito nel tempo a un convulso sovrapporsi di imposte aventi basi a volte diverse e a volte uguali, per finalità a volte simili, complementari o sovrapposte, tale da avere ingenerato davvero un aumento enorme della pressione fiscale che grava sugli immobili, e in particolare sugli immobili, per quello che ci interessa, destinati alle attività di impresa.
  Noi riteniamo che questa possa e debba essere l'occasione per un riordino che veda la possibilità di una tassazione ridotta sugli immobili strumentali all'attività di impresa, compresi i fabbricati merce, come pure l'integrale deducibilità del tributo immobiliare dalle imposte dirette e dall'IRAP.
  Come ultima notazione, ci saremmo aspettati di vedere in materia ambientale, ma non ce n’è traccia, la consacrazione del principio della correlazione con il pagamento da parte di chi inquina. Siamo, invece, ancora in presenza di una normativa sui rifiuti che è quella del SISTRI, la quale, dal 1o gennaio – poiché il 31 dicembre 2014 termina il periodo di sospensione – entra totalmente a regime, senza tuttavia avere la minima possibilità di essere davvero adempiuta da parte delle imprese e senza il vantaggio che avrebbe dovuto portare.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO PALESE. Ringrazio il segretario generale Fumagalli per l'esposizione molto articolata e ricca anche di tanti elementi di riflessione.
  Iniziamo dalla questione del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. Al di là del fatto che ci trova fortemente consenzienti il problema di affrontare una volta per tutte il problema della compensazione, lei accennava a una percentuale di pagamenti, evidenziando un miglioramento ma non certo una soluzione del problema. Vorrei sapere se c’è, grosso modo, l'indicazione di una percentuale e a quanto essa, più o meno, ammonta.
  Sul problema della formazione continua vorrei sapere se non ritiene utile un intervento anche legislativo in riferimento alla programmazione e all'utilizzazione del Fondo sociale europeo, spingendo per una percentuale più elevata rivolta alle imprese.
  Appare fin troppo evidente il quadro relativo alle regioni dell'Obiettivo 1, che mediamente dilapidano, senza produrre alcun effetto, circa 200 milioni di euro all'anno del Fondo sociale europeo per la formazione professionale, con l'aggravante che il trasferimento di funzioni alle province ha disastrato completamente il settore.
  Volevo sapere se da parte vostra si ritiene utile un intervento in base al quale una dotazione finanziaria a monte venga vincolata strettamente alla possibilità dell'utilizzo del Fondo sociale europeo per la riqualificazione e l'utilizzazione da parte Pag. 37delle imprese e non per formatori che hanno la necessità di essere formati loro stessi, indicati dal livello politico di destra o di sinistra, su cui è meglio tacere.
  Sul problema della situazione dei patronati, ritengo che il fondo vada ripristinato. Al di là di questo aspetto, però, in riferimento alle funzioni di assistenza, che non sono solo quelle delegate dall'INPS o da altri, io non vorrei – questa è più una riflessione che una domanda – che si andasse a instaurare il concetto che per le prestazioni rese dai patronati occorre la compartecipazione dei cittadini. Questa è, ripeto, una riflessione.
  Vorrei inoltre sapere se, oltre all'effetto in termini di liquidità, l'eventuale anticipazione in busta paga del TFR è suscettibile di produrre altri effetti negativi. Infatti, anche da alcune analisi che ci sono state fornite in questa sede nel corso delle audizioni, apprendiamo che quanto disegnato come proiezione di stime rispetto al disegno di legge di stabilità prevede in sostanza che le persone che dovrebbero usufruire di questa nuova norma rappresentino una percentuale non inferiore al 50 per cento, per poi avere la possibilità dell'ammontare finanziario previsto in entrata e in partita di giro all'interno della legge di stabilità. Risulta, però, che siano sì e no il 20 per cento.
  C’è solo un effetto sulla situazione di disponibilità in riferimento alla concessione del credito o ad altro utilizzo, che chiaramente diminuisce rispetto alla situazione delle imprese, oppure a voi risulta anche dell'altro ?

  GIORGIO SANTINI. Anch'io brevemente voglio ringraziare per l'esposizione e per il documento, che leggeremo con attenzione.
  Volevo chiedere una valutazione ed una stima da parte vostra circa l'impatto occupazionale della misura della decontribuzione, in rapporto anche alle dinamiche attualmente esistenti. In particolare, vorrei sapere se tale misura può agire anche per favorire trasformazioni di attuali rapporti a tempo determinato. Questo è un po’ il punto. Noi abbiamo i dati dell'ultimo anno, del 2014, che segnalano un notevole spostamento rispetto ai contratti temporanei, in particolare al contratto a tempo determinato, che dopo la riforma ha assunto molte altre tipologie, per la verità meno solide. È importante capire se dal vostro punto di vista questo intervento possa avere un'utilità.
  Sempre su questo tema, poiché avete fatto un riferimento, per quanto riguarda l'IRAP, alla questione della franchigia, potrebbe essere interessante approfondire anche questo ragionamento, con particolare riguardo all'impatto che tale questione potrebbe avere nella realtà artigiana e in quella delle piccole aziende, del commercio e del terziario.
  Per quanto riguarda la vicenda dei patronati – anch'io ne parlo un attimo – è importante la segnalazione che voi fate. Io mi chiedevo, e lo chiedo anche a voi, se, come più volte si era tentato di fare anche negli anni scorsi, l'occasione di parlare di patronati non sia anche l'occasione per riformare il meccanismo dei patronati.
  Al di là del dato quantitativo, che è ancorato, come sappiamo, al monte previdenziale, c’è un problema di soggetti che gestiscono questa partita e c’è il problema, a mio avviso, di costruire strutture, coinvolte nella gestione di questi temi, che siano più accreditate, più solide e più rappresentative anche degli effettivi bisogni dei cittadini.

  COSIMO LATRONICO. Pongo solo una domanda su una riflessione che è insistita ma che nella vostra relazione non è documentata in modo dettagliato, quella concernente il tema dei pagamenti della pubblica amministrazione. Ci interesserebbe capire, anche dal vostro punto di vista, molto privilegiato, della rete dei commercianti e soprattutto degli artigiani, che tipo di riflessione si può fare rispetto agli strumenti messi in campo e se questi abbiano risolto la dinamica della formazione del debito da parte della pubblica amministrazione oppure se si accumulino ancora debiti, come sembrerebbe emergere da alcune osservazioni.Pag. 38
  Con riferimento allo smaltimento del pregresso e alla formazione di nuovi debiti, vi risulta che gli strumenti messi in campo azzerino il pregresso ed evitino la formazione di nuovi debiti ?

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Ho solo una domanda. La valutazione che voi date delle clausole di salvaguardia è una valutazione che noi abbiamo sentito ripetere anche da parte di altri. Sono vere e proprie misure e, a questo punto, andrebbero specificate, perché, così come si presentano, rappresenterebbero un fardello insostenibile.
  Indipendentemente da questo, volevo conoscere il vostro giudizio su manovre che possano contemplare incrementi dell'IVA e, allo stesso tempo, prevedere misure di sostegno per quanto riguarda la capacità di acquisto, soprattutto dei redditi medio-bassi. Sappiamo che questo tipo di manovre è stato sperimentato in altri Paesi e rappresenterebbe – chiamiamola così – una sorta di svalutazione nascosta, per un Paese come l'Italia che ha bisogno di recuperare competitività.
  Volevo sapere se il vostro giudizio è in via di principio negativo su qualunque idea di questo genere. Non sto parlando delle clausole di salvaguardia. Questo aspetto, in realtà, è stato ed è tuttora discusso, e potrebbe trattarsi di una manovra da non escludere a priori, soprattutto, ripeto, nel momento in cui si riuscisse a conciliare un incremento dell'imposta sul valore aggiunto, salvaguardando, però, almeno per alcuni segmenti di reddito, il potere d'acquisto.
  Più che altro vorrei sapere se questo giudizio si estende a qualsiasi misura che possa contemplare dei cambiamenti di questo genere.

  GIROLAMO PISANO. Grazie per l'audizione. Io vorrei sottolineare due fattori che vanno a incidere in modo assai rilevante sulla situazione creditizia delle imprese già in bilico, chiedendo al nostro gradito ospite di fornirci una visione un po’ più dettagliata.
  Mi riferisco, in particolare, all'aumento della ritenuta d'acconto dal 4 all'8 per cento, che sappiamo incidere sui lavori di ristrutturazione edilizia e di riqualificazione energetica che vengono pagati con bonifico. Ricordo che quello dell'edilizia è un settore nel quale si registra un disastro totale, mentre l'unico comparto che è riuscito a reggere un po’ è proprio quello delle ristrutturazioni.
  Noi, adesso, su un settore che ha bassissimi margini operativi – a mio avviso, mediamente non si supera il 10 per cento – andiamo a incidere con una ritenuta che agisce sull'importo complessivo, IVA compresa. Per le ritenute il sostituto di imposta è la banca, che non conosce l'imponibile, ma vede l'importo totale. Applicando un 8 per cento sull'importo complessivo, che ha un'IVA al 10 per cento, se facessimo il caso di un margine operativo del 15 per cento, noi avremmo che, a fronte di tasse da pagare non superiori a 40 euro circa, le imprese avrebbero anticipato 88 euro. Stiamo dicendo, quindi, che noi stiamo sottraendo più della metà delle imposte, come fattore finanziario, alle imprese.
  Questa è una misura, a mio avviso, gravissima. Vorrei sapere da R.ETE. Imprese Italia di quali dati relativi al settore specifico che riguarda i loro associati sia a conoscenza.
  Se andiamo a sommare questa misura a quella relativa all'anticipazione del TFR in busta paga, che oltretutto va a impattare sul reddito dei lavoratori, riducendo in qualche caso, per via dell'aumento complessivo del valore del reddito, quelle detrazioni e quelle agevolazioni di cui, sulla base anche del valore dell'ISEE, ad oggi beneficiano, di conseguenza abbiamo un doppio effetto negativo e non un effetto positivo. La suddetta anticipazione, infatti, incide negativamente sia sui lavoratori, che vedono vacillare uno dei propri pilastri, quello previdenziale, sia sulle imprese.
  Le imprese, infatti, dovranno anticipare somme a quella parte di lavoratori che hanno ancora l'opzione, e che non sono già passati alla previdenza complementare con i famosi fondi complementari diversi anni fa, e che oggi, per motivi economici e di sostentamento della propria famiglia, Pag. 39vorranno optare per l'erogazione del TFR in busta paga. Ciò costituirà un ulteriore fattore di esborso finanziario da parte delle imprese, che ad oggi viceversa non trovano riscontro nel credito delle banche, con l'ulteriore previsione di un fondo di garanzia istituito presso l'INPS con una dotazione irrisoria rispetto alle potenzialità di un simile intervento normativo.
  Vorrei capire su questi due punti specifici che cosa pensa R.ETE. Imprese Italia.

  FEDERICO D'INCÀ. Ringrazio, anzitutto, per l'audizione.
  A pagina 9 del documento illustrato, lei ha posto l'accento su «la semplificazione e il potenziamento della piattaforma per la presentazione delle istanze e per il censimento del nuovo debito», nonché sulla necessità di cambiare «verso, con l'introduzione delle compensazione diretta e universale tra debiti e crediti verso la pubblica amministrazione».
  Noi, come MoVimento 5 Stelle, abbiamo presentato a inizio anno un emendamento, che era anche passato. Tuttavia, la differenza tra quello che si riesce ad inserire all'interno di un decreto e l'effettiva realizzazione nei confronti delle imprese si chiama decreto attuativo, che deve ancora essere messo in campo.
  Su questa normativa il MoVimento 5 Stelle aveva già svolto una sua riflessione, portandola all'attenzione delle Commissioni e dell'Aula parlamentare. Il problema che, secondo me, anche voi dovete prendere in considerazione, è la differenza tra il decreto in Gazzetta Ufficiale e la parte attuativa, che ha dei tempi assolutamente lunghi, considerato che aspettiamo ancora centinaia di decreti attuativi per il Governo Letta e per il Governo Monti, oltre a quelli per il Governo Renzi.

  PRESIDENTE. Do la parola al segretario generale di Confartigianato Imprese, Cesare Fumagalli, per la replica.

  CESARE FUMAGALLI, segretario generale di Confartigianato Imprese. Parto dalla questione dei pagamenti per riferire che noi, proprio nel pomeriggio di oggi, avremo un incontro al Ministero dell'economia e delle finanze per una valutazione della fine del periodo in cui si poteva accedere alla certificazione per far scattare il meccanismo poi nei confronti delle banche. Chi non ha fatto la certificazione non resta senza il titolo del proprio credito. Resta titolare di un credito, ma ha l'impossibilità di agire attraverso il sistema previsto con le banche e Cassa depositi e prestiti.
  Noi insistiamo da sempre su questa necessità di compensazione, che oggi è consentita – ed è quasi una beffa – solo per chi ha pendenze verso il fisco. Chi ha una pendenza verso il fisco può fare compensazione entro determinati limiti; chi ha l'assoluta regolarità nei confronti del fisco è impossibilitato a questo tipo di compensazione.
  Inoltre, osserviamo che lo strumento sarebbe anche già pronto. Equitalia è infatti assolutamente capace nell'operare un collegamento fra i diversi soggetti, enti locali, regioni e le varie tipologie di soggetti per la parte delle imposte, in grado di fare raccolta e distribuzione. Una macchina così ben oliata potrebbe funzionare anche a rovescio. Sfidiamo pertanto a formulare eventuali obiezioni tecniche sotto il profilo della realizzabilità di una norma che ha un valore altissimo, a nostro parere, anche come norma di civiltà giuridica, nel senso di porre sullo stesso piano debitore e creditore a parti inverse.
  Noi non abbiamo dati, di cui dispone solo il Ministero dell'economia e delle finanze. Ce n’è forse qualcuno clamoroso, ma aspettiamo oggi di vederlo, sulla scarsità del ricorso alla certificazione nel volume dei crediti certificati. Ripeto, tuttavia, che in merito le fonti sono molto incerte. È sicuramente a tutti noto che il timore maggiore è rappresentato dai crediti fuori bilancio, la cui stima è una incognita totale.
  Per parte nostra – rispondo a qualche domanda in questa direzione – abbiamo avuto direttamente dalle imprese nostre associate notizie secondo cui a livello degli enti locali la partita è abbondantemente Pag. 40migliorata nell'ultimo semestre. Le dotazioni fornite hanno consentito da parte degli enti locali di migliorare l'arretrato.
  Non dimentico, però, che siamo in presenza di una legge dello Stato che prevede il pagamento ordinario entro i trenta giorni, termine dal quale siamo assolutamente lontani e dunque sono state aggiornate anche le pratiche. Per esempio, l'ente locale può dire: «Devo pagarti in trenta giorni; aspetta quando te lo dico io a presentarmi la fattura, così restiamo nei trenta giorni».
  Io credo che tutte queste pratiche potrebbero davvero, attraverso la compensazione diretta e universale, trovare una degnissima soluzione, che andrebbe anche nella direzione, da più di uno di voi ricordata, della finanza di impresa per le imprese, in particolare per quelle di più piccola dimensione.
  Quanto alla misura sul TFR, noi facciamo il tifo perché non funzioni, lo dico molto apertamente, perché avrebbe un forte impatto in termini di impoverimento. Dovesse trovare larga applicazione la misura stimata in relazione tecnica, per noi sarebbe, immaginiamo, un disastro e ci verrebbe subito da domandare per quali ragioni, se questo stimolo al consumo e ai mercati è ritenuto tanto necessario, il datore di lavoro pubblico ne risulta esonerato.
  Quanto alla questione dell'IRAP, la franchigia riguarda una platea di imprese, quelle di ridotta dimensione, fino a 180.000 euro circa di valore della produzione tassabile IRAP, che va a coincidere quasi completamente con la platea dei soggetti che non sono destinatari dell'intervento rilevante che viene previsto nel disegno di legge di stabilità.
  Voglio ricordare anche a questo proposito che il finanziamento dell'intervento che riguarda la deduzione integrale dalla base imponibile IRAP della componente lavoro è assicurato per intero dall'innalzamento dell'aliquota, che dal 3,5 per cento viene ripristinata al 3,9 per cento.
  Voglio ricordare che la diminuzione allora prevista di circa il 10 per cento era totalmente finanziata dall'incremento strutturale di ben 6 punti percentuali della tassazione sulle rendite finanziarie, che è stata fatta passare dal 20 al 26 per cento. Quell'intervento era finanziato, i 6 punti di innalzamento ci sono stati, ma adesso viene ripristinato un innalzamento dell'aliquota IRAP a carico di una vasta platea di soggetti. Da qui la nostra proposta, che sottolineo per l'estrema importanza che avrebbe – lo dico in termini negativi – se si vedesse esclusa questa platea che tanto sta facendo per farcela e per venire fuori da questa maledetta crisi.
  Quanto alla formazione continua, onorevole Palese, sul Fondo sociale europeo e su una dotazione vincolata per queste finalità sicuramente esprimo il nostro interesse. Mi permetto di osservare che basterebbe intanto non portar via quello che c’è, che sta funzionando e che è rimasto ad oggi per la gran parte delle regioni l'unico strumento ormai per fare formazione nei confronti dei lavoratori dipendenti.
  Circa la stima sugli effetti della decontribuzione credo che una previsione sia davvero molto difficile da elaborare. Sottolineo a questo riguardo un'opportunità, che è quella di prevedere espressamente che l'intervento sia applicabile per i casi di passaggio da tempo determinato a tempo indeterminato. Se si lasciasse inespressa tale precisazione, non vorremmo che poi con l'adozione delle circolari interpretative si finisse per neutralizzare un effetto che per la sua consistenza, il 23 per cento della contribuzione, può essere importante per le imprese e tale da risultare in competizione, secondo le casistiche, anche con il tempo determinato, così come opportunamente modificato dall'ultimo decreto Poletti.
  Sui patronati, come ho detto, riteniamo che questo sia un intervento davvero a gamba tesa. Se si vuole, invece, provare a riorganizzare le funzioni e gli strumenti, credo che ci sia spazio per poterlo fare attraverso una razionalizzazione anche degli interventi finanziati e, aggiungo io, l'estensione possibile di un mercato nuovo di questo tipo di servizi.Pag. 41
  Quello che non può succedere è che restino attività di interesse pubblico da svolgere in assenza di risorse, che non verrebbero più erogate. Questa è una previsione impraticabile, che sembra essere invece richiesta dalla tipologia di intervento, per come esso è stato concepito.
  Credo altresì sia di palmare evidenza come l'innalzamento dal 4 all'8 per cento della ritenuta sugli accrediti di bonifici disposti per beneficiare delle detrazioni fiscali connesse agli interventi di ristrutturazione e di risparmio energetico degli edifici rappresenti un intervento per raccogliere esclusivamente quattrini. È impossibile sostenere che esso abbia la finalità di combattere l'evasione, perché ciò che è notificato col 4 lo è anche con l'1 e con l'8 per cento.
  Ricordo che noi veniamo da una prima misura, negli anni scorsi, che era del 10 per cento e che poi, dietro nostra pressante insistenza, fu ridotta al 4, proprio perché la funzione antievasiva era comunque assolta e non andava a penalizzare. In questo momento – l'ho detto, pur nella brevità e nella sintesi – se c’è un settore che ha raccolto tutti gli effetti del diluvio della crisi, quasi fosse l'invaso finale, è stato davvero il settore delle costruzioni, dell'edilizia e di un vasto mondo connesso.
  Ho ricordato che questo settore ha perso 460.000 addetti nei sette anni della crisi. In coda, con il veleno, si innalza dal 4 all'8 per cento. Le disposizioni sul TFR e l'innalzamento dal 4 all'8 sono concause che vanno tutte a sommarsi agli effetti di una perdita di impieghi da parte delle banche nei confronti delle imprese, soprattutto quelle di piccola dimensione. Ricordo che con gli ultimi interventi adottati, le banche che ne hanno fatto provvista in Italia hanno destinato le nuove risorse messe a disposizione dalla Banca centrale europea alle classi di rating 1 e 2 e, se va bene, quando sono in campagna di espansione, alla classe di rating 3.

  PRESIDENTE. Ringrazio Cesare Fumagalli e l'intera delegazione di R.ETE. Imprese Italia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di ANCI, UPI, UNCEM e Conferenza delle regioni e delle province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti di ANCI, UPI, UNCEM e Conferenza delle regioni e delle province autonome.
  Ringrazio i rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome, ANCI, UPI e UNCEM. Darò ora la parola al presidente Chiamparino per le regioni, poi al sindaco Fassino, quindi all'UPI, per dieci minuti a testa. Poi ci riserviamo di fare domande. Iniziamo con una domanda per gruppo parlamentare e poi, se c’è tempo, potremo allargare la discussione ad altri quesiti.
  Do la parola al presidente Chiamparino.

  SERGIO CHIAMPARINO, presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Grazie, presidente. Vorrei fare una prima considerazione di tipo politico-istituzionale. Noi collochiamo l'attuale consultazione delle proposte che avanziamo sulla legge di stabilità nel quadro della riforma del Titolo V, che è una riforma che noi apprezziamo e che ha come cardine, in particolare per quanto riguarda il superamento del bicameralismo, il ruolo del sistema delle autonomie in senso lato, ossia regioni e comuni.
  Premetto questo per dire che noi ci sentiamo a pieno titolo componenti autonome, ma integrate nello Stato e che, quindi, in quanto tali, vogliamo essere protagonisti delle scelte politiche ed economiche del Governo.
  Lo preciso perché ogni tanto qualche segnale che ci fa sentire, o che vorrebbe farci sentire, come una sorta di parenti, che si nascondono quando non si vuole farli vedere al resto della famiglia, lo sentiamo. Noi non ci consideriamo tali: vogliamo pari dignità e pari doveri a cominciare, ovviamente, da quelli di stare Pag. 42dentro a una logica di risanamento, di riqualificazione e di ricerca di efficienza dello Stato e della pubblica amministrazione.
  Da questo punto di vista – e ho terminato su questo primo aspetto – riteniamo di avere molta strada da fare noi, ma riteniamo anche che molta strada la debbano fare, tutti insieme, lo Stato e l'Amministrazione pubblica italiana.
  Lo dico en passant, perché è una questione sulla quale mai nessuno si sofferma, ma la tanto vituperata sanità gestita completamente dalle regioni, se non sbaglio, sia come dati di costo pro capite e di costo assoluto, sia come dati di efficacia riconosciuta dall'OMS, si colloca nella fascia dei primi due sistemi sanitari europei. È una riflessione che vi lascio.
  La manovra con cui il Governo, trasferendo risorse alle imprese e alle famiglie, intende far ripartire l'economia è una manovra che – al nostro interno, lo sappiamo tutti, c’è Roberto Maroni e, quindi, non c’è bisogno di dire che abbiamo opinioni politiche diverse – io condivido nella sua impostazione di fondo, proprio per questa ragione.
  Proprio perché intende immettere risorse nell'economia, però, dobbiamo stare molto attenti, e questo è il senso della nostra presa di posizione originaria, agli effetti collaterali di questa scelta, sia in termini di servizi che il sistema delle regioni – non parlo per altri perché sono presenti – eroga, sia in termini di fiscalità e di tariffazione locale, che ovviamente sono connesse all'erogazione dei servizi.
  Nella formulazione originaria noi abbiamo definito non sostenibile questa manovra – spiegherò subito dopo il motivo per cui parlo di formulazione originaria – perché i 4 miliardi di taglio previsto sul 2015 vanno aggiunti ad altri importi. Io qui mi limito, scusate, a citare le cifre più rilevanti. C’è poi Massimo Garavaglia, il nostro coordinatore della commissione affari finanziari, che è presente per rispondere a tutti i quesiti più specifici. Lasceremo, ovviamente, una memoria delle cose che sto dicendo.
  Come dicevo a grandi cifre, ai 4 miliardi di euro di riduzione dei trasferimenti per il 2015 vanno aggiunti circa 1,750 miliardi, che sono gli effetti delle leggi finanziarie pregresse.
  A questo va aggiunta una questione che pochi considerano, cioè che le regioni, a differenza degli altri livelli dell'amministrazione dello Stato, hanno anticipato il pareggio di bilancio al 2015. Questo, se non ricordo male – cito a memoria – equivale a un effetto riduttivo della possibilità di spesa di circa 2,7-2,8 miliardi di euro.
  Aggiungo che c’è una tanto condivisa, almeno da me, e auspicata riduzione dell'IRAP, a cui però corrisponde una riduzione di imponibile e, quindi, una riduzione di gettito, che, in termini di imponibile, se non ricordo male – anche qui cito a memoria –, è dell'ordine di quasi mezzo miliardo di euro, circa 450 milioni di euro.
  Aggiungo a questa, onorevoli deputati e senatori, un'altra considerazione. Non voglio fare le parti di Piero Fassino, ma è evidente che il taglio, soprattutto il taglio alle nuove province, determina una riduzione che rischia di avere un effetto domino. Questo lo dico partendo dalla mia esperienza, ma ci sono ben più autorevoli testimoni di me in questa sala. Avendo la legge nazionale attribuito alcune funzioni fondamentali, di cui alcune molto pregnanti in termini anche di immediatezza – pensiamo alla viabilità e alle scuole –, è evidente che questo, nel momento in cui non ha un corrispettivo finanziario, si rivolgerà inevitabilmente alle regioni, cosa che sta già avvenendo. Noi – qui c’è Simonetti, della provincia di Biella – abbiamo testé garantito 600.000 euro, altrimenti sarebbero scaduti i contratti per il riscaldamento.
  Queste sono le cifre che ci hanno portato a dichiarare insostenibile la manovra. Lo dico proprio con una battuta en passant, visto che alcuni commentatori sostengono che in fondo si chiede solo di ridurre il cosiddetto tendenziale. Questo è vero solo in parte, perché, se si considerano tutte queste cifre e le si somma, è evidente che il solo tendenziale di 2 miliardi Pag. 43di euro sulla sanità, quand'anche fosse azzerato, non sarebbe sufficiente a coprire tutto il resto e lascerebbe del tutto aperto il problema dell'inadeguatezza, già acclarata proprio in sede parlamentare – ho visto i dati di audizioni precedenti –, del fondo del trasporto pubblico locale.
  Ho dimenticato una cosa che, però, poi forse Garavaglia ricorderà più di me. Anche qui, per inciso, se si prende la spesa primaria delle regioni dal 2009 al 2012, si vede che noi abbiamo avuto un taglio, se non ricordo male, mediamente parlando, di circa il 38,5 per cento, a fronte di un peso del 4,5 per cento della spesa primaria delle regioni sul totale della spesa primaria. Viceversa, tanto per fare un solo esempio che mi viene bene, l'amministrazione centrale dello Stato, che pesa per il 24 per cento, ha avuto una riduzione del 12,2 per cento. Questo è per dare un ulteriore elemento del contesto in cui sono state effettuate le scelte del 2013, del 2014 e del 2015.
  Passando alle nostre proposte, riassumo quelle più significative dal punto vista politico e poi lascio spazio a eventuali risposte di Massimo Garavaglia su sollecitazione vostra.
  Una prima proposta è quella di rendere più stringente il Patto per la salute, che noi abbiamo già firmato ad agosto. Cosa intendo per più stringente ? Che noi siamo pronti anche ad accentuare per tutte le regioni la logica che sta nel Patto della salute – ciò significa fare più risparmi – a condizione che insieme al Governo si rimettano in circolo delle risorse per investimenti nella sanità che, a nostro parere, e siamo in grado di documentarlo, sono giacenti presso il bilancio dello Stato per opere che non si sono realizzate e che se fossero messe in circolo potrebbero aiutare a migliorare l'assetto edilizio e tecnologico della sanità, con conseguenze evidenti anche sulle spese di gestione nel medio-lungo periodo.
  Il secondo punto sono i costi standard. Se dovessi fare uno slogan direi «costi standard per tutti», ma non vorrei essere troppo faceto. Quando dico «per tutti» intendo dire che siamo pronti ad accettare un confronto con il Governo e con il Ministero dell'economia e delle finanze su un'applicazione rigorosa alle regioni – ma anche alle amministrazioni centrali dello Stato – in tutti i campi e non solo nella sanità, nell'ambito di una logica che abbini più strettamente efficienza nella gestione dei servizi, costi ed efficacia nell'erogazione dei servizi medesimi.
  Ci sono altre misure sulle quale richiamare l'attenzione, ma sottolineo l'importanza di un patto verticale incentivato verso i comuni e verso le aziende che consenta quella flessibilità in grado di mettere in circolo liquidità.
  Una quarta proposta riguarda l'ottimizzazione di flussi e fondi finanziari che sono già appostati presso il bilancio dello Stato in nome e per conto delle regioni e che, con un'opportuna ottimizzazione, potrebbero probabilmente offrire risorse tali da far sì che, mettendo insieme tutti i titoli che ho citato, il concorso delle regioni ai saldi della manovra finanziaria sia anche superiore ai 4 miliardi di euro di cui si è discusso.

  PIERO FASSINO, presidente dell'ANCI. Grazie per questa possibilità. Anch'io voglio essere sintetico. È stata distribuita una nota dell'ANCI che mi consente di concentrare il mio intervento sulle questioni principali.
  Parto da una considerazione e cioè che questa non è la prima manovra. Può sembrare scontato, ma bisogna tenerne conto. Molti dei presenti sono stati sindaci prima che parlamentari e sanno che la finanza locale ha una flessibilità data dalla possibilità di avere risorse o non averle. È come il soffietto della fisarmonica: suona perché lo muovi. Se lo chiudi la fisarmonica non suona più, e noi siamo a questo limite.
  Io registro che dal 2010 al 2014 i comuni hanno contribuito al risanamento dei conti pubblici per 17 miliardi di euro, di cui 8 miliardi di tagli lineari e 9 miliardi sul Patto di stabilità. Come dimostra la nota che vi abbiamo distribuito, la spesa dei comuni è costantemente in diminuzione, mentre la spesa statale continua Pag. 44ad aumentare. Se si fa 100 il debito pubblico globale del Paese, la quota imputabile ai comuni è il 2,5 per cento. Se si fa 100 la spesa pubblica globale del Paese, quella imputabile ai comuni è il 7,6 per cento. Noi siamo talmente responsabili da voler portare anche il 2,5 e il 7,6 per cento a zero, ma le dimensioni son queste. Se noi siamo il 2,5 per cento del debito e il 7,6 per cento della spesa, mi permetto di dire che non siamo noi il problema.
  Detto questo, venendo al disegno di legge di stabilità, la nostra valutazione coincide con quella del presidente Chiamparino. Rispetto all'impostazione generale del disegno di legge di stabilità abbiamo espresso una condivisione sull'obiettivo sostanziale. La riduzione della pressione fiscale per liberare risorse, rilanciare investimenti e creare lavoro è un obiettivo che ci trova assolutamente concordi. Così come apprezziamo una serie di previsioni contenute nel disegno di legge di stabilità, quali la riduzione dell'IRAP, la decontribuzione per le nuove assunzioni, la conferma del bonus degli 80 euro, i provvedimenti sulla scuola, alcuni programmi d'investimento e le norme sulle partecipate. Ci sono molte misure che corrispondono a proposte e a sollecitazioni avanzate da lungo tempo dall'ANCI. Penso, ad esempio, a quelle sulle partecipate.
  Dov’è che anche noi manifestiamo invece grande preoccupazione e uno stato di forte disagio ? Nello sforzo che viene richiesto ai comuni. La vulgata che è stata trasmessa è che il contenimento della spesa è quantificato in 12,2 miliardi di euro, di cui 6 miliardi a carico delle amministrazioni dello Stato, 4 miliardi a carico delle regioni, un miliardo a carico di province e città metropolitane e 1,2 miliardi a carico dei comuni, peraltro con un allentamento del Patto di stabilità.
  Ebbene, le cifre non sono queste. Lo sforzo che viene richiesto ai comuni, se si quantificano tutte le misure che sono ricomprese nel disegno di legge di stabilità, secondo i nostri calcoli ammonta a 3,7 miliardi di euro. Si arriva a questa cifra considerando, per prima cosa, che il taglio lineare non è di 1,2 miliardi, ma di 1,5 miliardi, perché vanno aggiunti i 300 milioni di tagli già previsti da provvedimenti assunti nel 2013 e nel 2014 che hanno valore pluriennale e incidono anche sul 2015.
  Bisogna poi calcolare gli impatti che sta determinando l'intreccio tra la nuova contabilità, che entra in vigore il 1o gennaio 2015, e le norme sul fondo per i crediti di dubbia esigibilità. Il disegno di legge di stabilità, infatti, prevede che si debba accantonare e conteggiare in spesa corrente, con una riduzione della spesa disponibile, il fondo per i crediti inesigibili, che incide anche sul Patto di stabilità.
  A ciò si aggiunga che a oggi il disegno di legge di stabilità non rifinanzia il patto verticale sul Patto di stabilità e che ci sono il divieto di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente e il divieto di utilizzare gli avanzi di bilancio non vincolati. Tutto questo, poiché ognuna di queste norme è quantificabile, equivale a 3,7 miliardi di euro.
  Segnalo anche che, nel momento in cui abbiamo calcolato queste cifre, ci siamo posti il problema di capire se sbagliavamo noi o sbagliava qualcun altro e siamo andati a verificare con il Ministero dell'economia e delle finanze: la verifica conferma che le nostre quantificazioni sono corrette.
  Il punto che noi solleviamo, quindi, è esattamente questo: 3,7 miliardi di euro sono un onere assolutamente insostenibile per qualsiasi comune grande o piccolo, del Nord o del Sud, virtuoso o non virtuoso. Se si calcola che in quattro anni abbiamo dato un contributo di 17 miliardi di euro e ce ne viene chiesto un altro di 3,7 miliardi in un esercizio solo, chiunque capisce che questa onerosità non è sostenibile.
  Si aggiunga a questo anche il taglio di un miliardo di euro per città metropolitane e province. Segnalo un curioso approccio. La «legge Delrio» distingue fra città metropolitane, le cui funzioni vengono espanse più di quelle che hanno oggi le province uscenti, e province di secondo grado, che hanno funzioni ridotte. C’è però un generico taglio indifferenziato di Pag. 45un miliardo di euro che smarrisce qualsiasi distinzione. Anche questa è una curiosa contraddizione.
  Si aggiungano anche le riduzioni indotte. Nel disegno di legge di stabilità si prevede una decurtazione significativa delle risorse delle camere di commercio. Questo si traduce in un taglio significativo delle erogazioni che le camere di commercio fanno sul territorio. C’è anche un prelievo fiscale aggiuntivo sulle fondazioni bancarie e le fondazioni bancarie dicono che allora le erogazioni si ridurranno. Le erogazioni – per eliminare qualsiasi equivoco sulla parola – non sono erogazioni clientelari ad amici. Vanno a sostenere welfare, cultura e parte dei servizi che gli enti locali erogano. Alla fine, tra tagli diretti e tagli indiretti, il rischio è che si scarichi sul territorio, aggiungendo anche quanto va a carico delle regioni, una manovra insostenibile.
  Noi chiediamo alle Commissioni parlamentari, così come chiederemo al Governo – subito dopo questa audizione incontreremo il Governo per esaminare gli approfondimenti tecnici che ci sono stati fin qui – di valutare quali elementi correttivi introdurre per rendere sostenibile la manovra.
  Ci rendiamo tutti conto che l'Italia sta compiendo uno sforzo straordinario per uscire da una condizione di stagnazione che è durata troppo a lungo. Questo richiede lo sforzo di tutti, anche degli enti locali. Noi non diciamo che non ci interessa, ma lo sforzo deve essere sostenibile, pena mettere in ginocchio la possibilità di erogare servizi fondamentali.
  Aggiungo alcune altre questioni che si cumulano alle precedenti. Uno degli effetti che una manovra siffatta produce è quello di vanificare l'allentamento del Patto di stabilità. Questo è il punto. L'allentamento del Patto di stabilità l'abbiamo salutato come un elemento positivo perché lo abbiamo chiesto a lungo. Tuttavia, una manovra così configurata lo vanifica.
  Chiudo dicendo che cosa chiediamo. Intanto, chiediamo di valutare se il taglio, che non è di 1,2 miliardi di euro ma di 1,5 miliardi, possa essere ricondotto a 1,2 miliardi, assorbendo i 300 milioni di taglio prodotti dagli esercizi passati.
  In secondo luogo, chiediamo che l'allentamento del Patto di stabilità sia effettivo, e perché sia effettivo bisogna che gli attuali 850 milioni di euro a sostegno dell'allentamento siano incrementati di una cifra analoga, che agirebbe in ogni caso in conto debito e non in termini di saldo netto da finanziare. Questo è il modo vero per allentare il Patto.
  In terzo luogo, chiediamo che il fondo dei crediti di dubbia esigibilità sia escluso dal calcolo del Patto di stabilità, altrimenti l'effetto penalizzante è doppio. Chiediamo, come ha fatto anche il presidente Chiamparino, una qualche forma di rifinanziamento del patto verticale e chiediamo di ridefinire i criteri di riparto del Patto tra i comuni. Questo per quanto riguarda la manovra finanziaria. Chiediamo, inoltre, in coerenza con quanto ho detto prima, che almeno per il 2015 – nel 2016 si vedrà – si possa continuare a utilizzare gli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente.
  Anche noi sottolineiamo il fatto che il taglio di un miliardo di euro per città e province rischia di far partire questi enti in default. Segnalo che le province uscenti nella stragrande maggioranza sforeranno il Patto di stabilità. Se non lo faranno sarà perché non attenderanno alle manutenzioni minime delle strade e delle scuole, o a predisporre, nelle zone del Nord, lo spazzamento della neve se nevica, tutte cose che, se non fatte, producono ciò che abbiamo visto a Genova o da altre parti. Dobbiamo sapere che c’è un problema non solo per il 2015, ma già sull'esercizio 2014 per le province uscenti.
  Inoltre, va benissimo che le spese per gli uffici giudiziari, che dal 1941 erano regolate da una legge che le caricava sui comuni, che poi non venivano risarciti, visto che vantiamo crediti per 350 milioni di euro, passino a carico dello Stato. Il disegno di legge di stabilità, però, prevede che questo avvenga dal 1o settembre 2015, il che vuol dire che per otto dodicesimi Pag. 46saranno di nuovo a carico nostro. Forse si potrebbe partire dal 1o gennaio. Se si fa questa scelta, la si faccia davvero.
  Chiediamo, poi, che il disegno di legge di stabilità preveda il superamento di tutti i vincoli ordinamentali di cui siamo stati caricati in questi anni. Se al taglio di risorse si aggiungono anche i vincoli ordinamentali, come i blocchi sul personale, la situazione diventa ingestibile. Noi siamo sostenitori dell'opportunità che le spending review si facciano sui saldi. Una volta che ci avrete detto qual è il saldo, ogni comune dovrà essere libero di rispettare quel saldo sulla base della propria capacità e delle proprie specificità.
  Determinato il saldo con la legge di stabilità e la spending review, i comuni contribuiranno sapendo di essere liberi, ognuno nella sua organizzazione e nel suo ordinamento. Se invece bisogna tenere conto anche di tutti i vincoli che si sono accumulati nel tempo, perseguire l'obiettivo diventa insostenibile.
  Ancora pochi giorni fa è stato annunciato che il Governo intende riorganizzare la fiscalità locale con un unico tributo. Questo incontra una nostra sollecitazione, ma a due condizioni. La prima è che di questo tributo i comuni siano titolari in esclusiva, superando ogni forma di compartecipazione. La seconda è che il gettito che questo tributo dovrà generare non sia vincolato nella sua entità al punto tale da ridurlo ulteriormente rispetto al 2014, altrimenti sarebbe un'altra forma di taglio.
  Da ultimo, segnalo che nel testo originario del disegno di legge di stabilità l'articolo 17, comma 3, stabiliva l'istituzione di un fondo pluriennale di oltre un miliardo di euro per il finanziamento delle metropolitane per le grandi aree urbane, fondo che nel testo licenziato dal Governo è sparito. Poiché tutta la manovra è volta a rilanciare investimenti e crescita, il fatto che si sopprima un fondo finalizzato a rilanciare investimenti sulle metropolitane nelle grande aree urbane è una contraddizione con l'obiettivo che ci si pone.

  DANIELE BOSONE, componente dell'ufficio di presidenza dell'UPI. Ringrazio le Commissioni. Non posso che condividere quanto hanno detto Sergio Chiamparino e Piero Fassino. Aggiungerò alcuni elementi che riguardano in modo specifico le province.
  In questo momento noi ci troviamo in una condizione del tutto particolare. Stiamo cioè cercando di attuare una legge di riordino che riguarda gli enti locali, il che ci accomuna, in questa straordinaria avventura, ai comuni e alle regioni. Da una parte, c’è il riordino delle funzioni delle province previsto dalla «legge Delrio» e, dall'altra, dobbiamo conciliare il riordino con il riassetto economico, i tagli e le pesantissime ulteriori riduzioni di spesa. Questo ovviamente sta creando una grandissima confusione.
  Abbiamo appena eletto i nuovi presidenti di provincia e oramai per la stragrande maggioranza gli amministratori provinciali sono sindaci. Qui c’è il sindaco di Vicenza che è anche presidente della sua provincia. Le campagne elettorali sono state condotte all'insegna del territorio. Fassino e Chiamparino hanno ragione quando dicono che siamo qui tutti insieme, e insieme allo Stato, per tenere in piedi i servizi sui territori. Noi non ci sentiamo una parte diversa rispetto allo Stato, rispetto al Parlamento, rispetto al Governo. Penso che dobbiamo recuperare il senso di una visione complessiva dello Stato, che parta da qui e arrivi fino all'ultimo comune delle nostre province, se vogliamo che la crisi economica si risolva e non diventi anche una crisi sociale di territorio, con un depauperamento delle competenze.
  Noi condividiamo i contenuti di questo disegno di legge di stabilità e vogliamo contribuire alla crescita. Io sono lombardo, come altri colleghi qui presenti. Expo è un problema italiano, non solo lombardo. Ci collochiamo nel 2015 con un evento che dovrebbe segnare simbolicamente la crescita economica del nostro Paese, ma lo facciamo con una manovra che, dalla regione in giù, rischia di mettere in crisi un evento che riguarda un territorio molto più grande del sito Expo.Pag. 47
  Le province sono pienamente inserite dalla «legge Delrio» dentro le politiche di sviluppo dei territori. Basti pensare alla viabilità. Il 70 per cento della viabilità italiana corre su strade provinciali o ex statali, passate in competenza alle province, che non siamo più in grado di manutenere, a partire dai ponti. È un grande problema di sicurezza.
  Ci sono anche problemi legati alla formazione. Come ripeto, le province previste dalla «legge Delrio» sono dentro lo sviluppo complessivo del Paese. Le scuole di secondo grado, la formazione scolastica, la programmazione del trasporto pubblico locale, la tutela e la valorizzazione ambientale sono funzioni che noi vorremmo cercare di svolgere ancora nei prossimi anni, in accordo con i comuni, nell'ambito dell'area vasta.
  Voglio ricordare che le province escono da un 2014 molto brutto, perché reduci da tantissimi tagli. Nel 2014, come il sottosegretario Baretta sa, abbiamo riassorbito il taglio di 340 milioni di euro previsto dal decreto IRPEF, utilizzando gli avanzi di amministrazione. Questo farà sì che molte amministrazioni provinciali usciranno dal Patto di stabilità perché, come sapete, l'avanzo di amministrazione rientra nel Patto, altra cosa che varrebbe la pena di correggere. Infatti, se sono risorse che lo Stato vuole incamerare, ce lo dica chiaramente e stabiliamo come, altrimenti vanno liberate dal Patto di stabilità perché diventino risorse per la crescita del territorio. In ogni caso noi abbiamo utilizzato l'avanzo, che è denaro proprio delle province, non per far crescere i territori, ma per contribuire ai conti dello Stato ai fini del decreto IRPEF.
  La nuova legge di stabilità prevede un ulteriore taglio di un miliardo di euro sul sistema delle province, cui vanno aggiunti gli effetti delle spending review precedenti e cioè 182 milioni di euro e 155 milioni di euro di armonizzazione contabile, per arrivare quindi – questa è la cifra vera – a un miliardo e 337 milioni di euro.
  È chiaro che noi non saremo in grado di garantire le funzioni fondamentali che ho citato e che sono previste dalla «legge Delrio». Lo hanno detto anche Chiamparino e Fassino. Non saremo in grado di sostenere le funzioni fondamentali – non parliamo di tutte le altre –, dalle buche sulle strade, alle scuole, al trasporto pubblico locale, in accordo con le regioni.
  Nel nostro voler contribuire alla crescita di questo Paese lanciamo un allarme. I tagli previsti sono insostenibili perché partiamo da una spesa corrente che nel 2014 è di 7 miliardi di euro per tutto il sistema delle province italiane. Tanto per dare qualche numero, 7 miliardi di euro corrispondono all'1,4 per cento della spesa pubblica italiana. Come facciamo a sostenere altri tagli ? Dovremmo tagliare un altro miliardo nel 2015 e un altro ancora nel 2016 e così via. Diventa insostenibile mantenere le funzioni fondamentali.
  Voglio concludere facendo anche qualche proposta. Quello che ho detto vale per le aree vaste, per le province e per le città metropolitane a maggior ragione. Le proposte da fare sono chiare ed evidenti. Se vogliamo evitare che nel 2015 le province italiane dichiarino contestualmente il dissesto – il famoso default, cioè l'incapacità di fare i bilanci e mantenere le funzioni essenziali –, la prima cosa da fare è un taglio commisurato alle funzioni essenziali e alla filiera regione, comuni e province. Ci deve essere un'armonizzazione dei tagli che vengono operati ai vari livelli per garantire i servizi territoriali. Chiediamo, quindi, una riduzione del taglio previsto.
  Chiediamo anche un'accelerazione della riattribuzione delle funzioni non fondamentali e non previste dalla «legge Delrio». Chiediamo un'accelerazione della messa in funzione degli osservatori, anche se sappiamo che non è facile. Chiediamo una norma che ci aiuti a riattribuire il personale. Oggi non c’è e il vero problema è che rischiamo di iniziare il 2015 con a carico tutto il personale, anche quello addetto alle funzioni non essenziali. Il 1o gennaio 2015 non riusciremo a ricominciare a gestire le funzioni essenziali. C’è un problema di accelerazione nell'attribuzione delle funzioni e del personale.
  Anche noi chiediamo l'alleggerimento dei vincoli ordinamentali e norme chiare Pag. 48sul prepensionamento del personale, che oggi non ci sono. Abbiamo bisogno del rifinanziamento del patto verticale nonché della sospensione delle sanzioni del Patto di stabilità. Con queste abbiamo pagato il contributo allo Stato. Non ci sembra giusto pagare due volte. Essendo la sanzione prevista dal Patto di stabilità un taglio ulteriore sulle spese correnti, il default delle province si aggraverebbe.
  Chiudo dicendo che esiste una proiezione relativa alle province lombarde. Solo per le funzioni essenziali quella che perde meno chiude in default di 9 milioni di euro; quella che perde di più chiude in default di più di 100 milioni di euro. Immaginate qual è ?

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO PALESE. Ringrazio i nostri ospiti per averci fornito un quadro completo e reale. Farò un unico intervento rivolto a tutti e tre.
  Dal punto di vista generale, mi sembra che crolli tutto il castello e non mi soffermerò molto su questo aspetto. Altro che manovra espansiva che rilancia, questa è una manovra insostenibile e restrittiva ! Più di così sarebbe impossibile. Il quadro articolato e obiettivo che emerge fa spavento.
  Parto dal rappresentante dell'UPI. Ero in sofferenza mentre lei parlava, perché le cose che ha detto noi le abbiamo gridate ai quattro venti. Questo è il motivo principale per cui non abbiamo votato quella riforma. Era fin troppo evidente che con quell'impianto si sarebbe andati incontro a queste difficoltà.
  Sarebbe stato più serio articolare e disciplinare il trasferimento delle funzioni, delle risorse e quant'altro. Allo stato attuale per la finanza pubblica e per i cittadini la situazione è estremamente delicata. È il medesimo errore che si fece nel 1995 quando si decise l'aziendalizzazione delle USL, che diventarono ASL. Dopo che scoppiò il disastro finanziario, con contenziosi e ritardi, finalmente si procedette alla gestione liquidatoria.
  Il Governo continua a non fare quanto richiesto dalle province e quanto da noi più volte sollecitato. La riforma del Governo Monti, indipendentemente dal fatto che le province dovessero o meno rimanere, in questo era sbagliata, così come lo è la «legge Delrio» nei suoi aspetti fondamentali. Manca una disciplina con la quale si stabilisca cosa deve accadere il giorno dopo. Stiamo cadendo in questo errore.
  O si fa quello che dice l'UPI, e noi non abbiamo alcuna difficoltà a sposarne la posizione, oppure il Governo si sbrighi a intervenire. Invece di fare morire le province per dissesto o asfissia, si faccia una gestione liquidatoria. È più onesto e più corretto.
  Condivido poi quanto dicevano il presidente Chiamparino e il presidente Fassino a proposito del Patto di stabilità, che è a costo zero. Facciamolo noi, se il Governo è stato così disattento da non pensare a qualcosa di così fondamentale.
  Vengo a una domanda. Ritengono di poter dare una spinta alla crescita esentando dai vincoli del Patto di stabilità la spesa per i fondi strutturali ? Per quello che riguarda la spesa, è fin troppo evidente che il trasporto pubblico locale e l'invarianza rispetto all'IRAP sono questioni importanti, ma il problema vero, presidente Chiamparino, è da sempre la macro spesa della sanità. Su questo ho molto apprezzato l'apertura che lei ha fatto verso un'auto-razionalizzazione. Sull'organizzazione dei modelli sanitari, sulle prestazioni non dico nulla, ma sull'acquisizione di beni e servizi qualcosa in più si potrebbe certamente fare.
  Vorrei fare un'annotazione sui costi standard con riguardo alle regioni. Io sono un fautore di Consip, delle centrali uniche di acquisto, delle gare al massimo ribasso e via dicendo. Gli esperti sentiti nel corso dell'indagine conoscitiva sulla spesa sanitaria svolta dalla nostra Commissione e dalla Commissione affari sociali hanno però rappresentato una grande difficoltà a individuare i costi standard all'interno del Servizio sanitario nazionale. Come si fa a stabilire, ad esempio, il costo standard di Pag. 49un reparto di rianimazione ? Io ritengo che occorra molta prudenza e che non sia questa la soluzione. Certo è che, con riferimento all'acquisizione di beni e servizi e di tutto ciò che può essere standardizzato, i costi standard sono una risorsa da esplorare.
  Per quanto riguarda l'ANCI, alla fine si scopre che il taglio ai comuni è di 3,7 miliardi di euro. Non faccio annotazioni. Mi limito a dare la disponibilità della mia parte politica a sponsorizzare la proroga dell'utilizzo degli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente, perché è a costo zero per lo Stato. Non capisco come mai il Governo abbia avuto queste sviste.
  Se le difficoltà sono tali in questo momento di transizione, la proroga di un anno per la nuova contabilità e per l'attivazione del fondo per i crediti inesigibili potrebbe essere salutare, nel contesto di una revisione generale.

  GUIDO GUIDESI. La mia sarà una breve valutazione, ma non sul disegno di legge di stabilità perché questo non è il momento. Sulla natura espansiva di tale provvedimento la pensiamo in maniera estremamente diversa, ma avremo modo di discuterne in Commissione. Ci avete parlato di circa 10 miliardi di euro di tagli alle regioni e di circa 4 miliardi di euro di tagli ai comuni per il prossimo anno. Rispetto a questa situazione, credo che la vostra disponibilità ad accettare possibili tagli, purché siano ridotti rispetto alle prime ipotesi, si trasformi in remissività. Dico questo perché la manovra su enti locali e regioni è pesantissima. È tanto pesante quanto mette a rischio alcuni servizi essenziali, come voi ci dite.
  Con riguardo alle regioni, avrei anche una domanda per il presidente di Regione Lombardia. Io sono lombardo e vorrei sapere se Regione Lombardia, come immagino, ha valutato gli effetti della manovra. La prima domanda, più generale, è se i tagli alle regioni toccheranno la sanità. A Regione Lombardia, invece, vorrei chiedere che tipo di analisi e valutazione è stata fatta di questa manovra rispetto a una regione virtuosa come la Lombardia e quali sarebbero le conseguenze se la manovra non cambiasse.
  Noi abbiamo ritenuto la «legge Delrio» una legge allucinante, da un lato anche imbarazzante, che non ha cancellato gli enti, ma la loro vita dal punto di vista economico. Soprattutto ha cancellato la democrazia nella scelta del governo degli enti di secondo livello.
  La nostra preoccupazione principale è che, all'interno di un gioco ordinamentale e finanziario tra istituzioni verticali di questo Paese, alcune competenze non si sappia più di chi siano e perdano copertura economica, mettendo effettivamente a rischio servizi essenziali per i cittadini. È un problema ordinamentale di competenze. Voi fate riferimento a un patto verticale che deve essere, sì, finanziario, ma anche e soprattutto ordinamentale. Dal nostro punto di vista, questo è il primo rischio al quale ci troviamo di fronte.
  Vengo alla questione principale che avete toccato. Lei, presidente Chiamparino, parla di costi standard per tutti. Io le chiedo in tutta franchezza se all'interno della vostra Conferenza abbiate valutato le differenze tra regioni in termini di virtuosità e di mancanze. Non è possibile che esistano situazioni di virtuosità o di costo per abitante così difformi da una regione all'altra. Un parametro di equilibro ci deve assolutamente essere, altrimenti la positività di alcune regioni serve a compensare la negatività di altre, ma sono troppi anni che questa storia va avanti. Sarebbe meglio che la valutazione fosse trasparente anche da questo punto di vista.
  La prossima domanda è per il sindaco Fassino. Tutti sappiamo che ci sono comuni che non sono in condizione nemmeno di tappare le buche nelle strade, figurarsi di dare servizi essenziali ai cittadini. Se i comuni saranno costretti a operare i tagli proposti, o anche tagli minori, visti i vincoli del Patto di stabilità, l'ordinamento e la struttura dei bilanci comunali, i sindaci saranno costretti ad aumentare le tasse locali. Questa manovra non è espansiva anche e soprattutto per questo motivo, cioè per il fatto che gli enti locali saranno costretti ad aumentare le Pag. 50tasse che gravano sulla testa dei cittadini, e nel complesso della pressione fiscale dobbiamo mettere anche questo.
  La domanda è questa. Nel momento in cui manca la possibilità di spesa e di investimento da parte dei comuni e manca la flessibilità ordinamentale di struttura dei bilanci, che alle elezioni comunali vinca l'uno o l'altro non cambia assolutamente niente. Non pensate che questa sia una perdita di competizione democratica per questo Paese ? In una condizione come questa, che faccia il sindaco l'uno o l'altro non cambia niente.
  Quando lei, presidente Fassino, parla di un'imposta unica che dovrebbe essere completamente gestita e incassata dai comuni, dovremmo anche parlare di un accordo con il Governo centrale per la fine dei trasferimenti. Non è possibile che ci siano comuni trattati in un modo e comuni trattati in un altro. L'esempio lampante è il comune di Roma, ma potremmo farne tantissimi altri. Ci sono comuni le cui virtuosità servono a coprire i buchi di bilancio degli altri, e questo è un dato di fatto che sta nei bilanci comunali, ma anche nei provvedimenti che ogni sei mesi arrivano, principalmente dal Governo, in questa Commissione.
  Se vogliamo lasciare ai sindaci competizione elettorale e capacità di utilizzare creatività e fantasia nella gestione amministrativa, dobbiamo concedere loro completa autonomia, il che vuol dire gestione delle imposte locali, ma allo stesso tempo la fine dei trasferimenti dello Stato ai comuni. Vuol dire soprattutto massima flessibilità nell'ordinamento dei bilanci comunali, perché così non c’è via di uscita.
  Chiudo dicendo che oggi parliamo di un miliardo in più o di un miliardo in meno, ma tutti siamo consci del fatto che, se questa manovra va in porto, anche con un miliardo di tagli in meno, il prossimo anno ci saranno comuni costretti a chiudere perché non saranno in grado di dare i servizi essenziali ai propri cittadini.
  In una situazione di disagio sociale come quella che stiamo vivendo era l'ultima cosa da fare, soprattutto per un Governo di sindaci che probabilmente si sono dimenticati di esserlo stati.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Espongo due note introduttive e arrivo alla mia domanda.
  La prima valutazione riguarda il sistema degli enti locali, e giustamente abbiamo qui rappresentati tutti e tre i livelli. Il fatto è che sono strettamente interconnessi l'uno con l'altro e non è sufficiente eliminarne uno per risolvere i problemi degli altri. Soprattutto ci vorrebbe un ripensamento dell'impianto della legge n. 42 del 2009. Dopo cinque anni che cosa abbiamo del federalismo ? Mi sembra che l'autonomia delle realtà locali e la dignità dei livelli istituzionali non siano state sufficientemente rispettate.
  Abbiamo salutato con favore il passaggio dai tagli lineari a un sistema che cominciasse a tener conto delle diversità e delle virtuosità degli enti. Il fondo per i crediti di dubbia esigibilità non è che questo. L'allentamento del Patto di stabilità in parte vi è legato, così come il 10 per cento dei trasferimenti connessi ai fabbisogni e ai costi standard. Le buone notizie, però, finiscono qui. Purtroppo il taglio e l'entità della manovra rischiano di vanificare questo percorso, che sembrava avviato in senso positivo.
  Credo che il grido d'allarme che abbiamo sentito questa mattina lo si debba raccogliere, cercando di capire come recuperare perlomeno parte delle richieste pecuniarie. Sicuramente bisogna però raccogliere tutti i suggerimenti che riguardano la semplificazione e fare tutto ciò che non è costoso, cosa che credo aiuterebbe già molto gli enti. Per quel poco di esperienza che abbiamo noi che proveniamo dagli enti locali, sappiamo che dobbiamo almeno cercare di alleggerire gli enti di tutti gli adempimenti amministrativi e burocratici che appesantiscono di molto l'attività e che non si risolvono in servizi in favore dei cittadini.
  Vanno bene le nuove tassazioni, ma credo che, se per un semestre o un anno tenessimo ferme le regole e i comuni Pag. 51potessero vivere con ciò che hanno, sarebbe una buona cosa. Se, come credo sia giusto, dobbiamo ripensare il sistema della tassazione locale, dobbiamo però farlo a partire da un anno successivo al prossimo. Adesso dovremmo consentire agli enti, dando loro certezza, di poter fare i propri bilanci entro i mesi di gennaio e febbraio. Sono ancora una di quelle che spera e pensa che nella certezza delle regole si viva meglio e si conseguano effettivamente efficienza e risparmio.
  Arrivo alla mia domanda. State costruendo una mappa della variabilità dell'impatto della manovra ? Dico questo perché già sappiamo che molti comuni non riusciranno a chiudere i bilanci. Quale percorso pensare ? Dovremmo cercare di capire con qualche anticipo – lo chiederò anche alla Commissione bicamerale sul federalismo – quale possa essere la mappa dei comuni con maggiori criticità per poter individuare percorsi che non siano quelli normali del default, dato che non saremo in grado di gestirli tutti insieme.
  La preoccupazione è che, laddove ormai gli sprechi sono stati eliminati – e molti comuni sono in questa situazione –, si comincerà a rosicchiare sui servizi. Sappiamo bene quanto sia pericoloso questo percorso, perché eliminare i servizi rende inutili gli 80 euro dati alle famiglie, visto che saranno utilizzati per recuperare la perdita di welfare cittadino. Sappiamo anche che esiste il fenomeno del «passaggio della porta» per i nostri cittadini. Le fasce più deboli, infatti, non avranno più i servizi e passeranno dalla porta dei servizi sociali, creando un grave problema sociale.
  Grazie per tutte le informazioni che ci avete dato. Leggeremo i vostri documenti con molta attenzione e vedremo sicuramente che cosa fare.

  FRANCESCO CARIELLO. Sarò brevissimo, ma auspico di ricevere una risposta concreta da parte di tutti gli auditi.
  Il Governo centrale ha chiesto al Parlamento di spostare il pareggio di bilancio al 2017. Di contro, ha riversato su di voi l'obbligo del pareggio di bilancio, o saldo strutturale che dir si voglia, l'anno prossimo. Come intendete fare ? Questa è la domanda. Praticamente, come lo spiegherete ai cittadini, viste tutte le difficoltà che avete già dimostrato ?
  Per cortesia, però, risparmiateci questa diatriba tra voi e il Governo centrale. Chiedere semplicemente al Governo centrale di tirare la coperta, anziché verso di voi, verso i ministeri e le amministrazioni centrali è una farsa che francamente non sta in piedi. Voi siete i governatori, siete lo Stato. Rappresentate i cittadini.
  A mio avviso – e qui vengo alla proposta –, potete sostituirvi al Governo centrale verso Bruxelles e ottenere quel margine di flessibilità, che non ci è stato concesso con l'ultima lettera ricevuta, attraverso una vostra presa di posizione. Fate squadra, rappresentate i cittadini fino in fondo e almeno salvate la vostra di faccia, visto che il sindaco d'Italia non è riuscito a ottenere quello che era già stato chiesto nella prima versione del disegno di legge di stabilità.
  Quest'ultimo ancora contiene quei 4,5 miliardi di euro, che verranno comunque rivisti con un emendamento del Governo. Agite su quello e fatevi portavoce di quelle che sono le reali rivisitazioni delle vostre spese e della richiesta di ulteriori 4 miliardi di euro, su cui vi impegnate in prima persona verso i cittadini affinché non vengano ridotti i servizi di trasporto, di sanità e tutto quello che avete detto.
  È una proposta, un pacchetto. Se volete, ci sono parlamentari pronti a supportarvi a Bruxelles, ma per favore risparmiateci questa diatriba tra voi e il Governo centrale.

  GIANNI MELILLA. Un osservatore che abbia un minimo di buonsenso non può non rendersi conto di come le regioni siano al centro di un attacco politico, culturale, mediatico, a volte anche folkloristico, inaccettabile da ogni punto di vista.
  Anche chi alza la voce e conquista le prime pagine dei grandi quotidiani, come nel caso della Corte dei conti, quando viene qui e presenta i propri pareri ufficiali, non può che dire: «Il contributo Pag. 52richiesto alle regioni appare molto impegnativo, anche tenuto conto che si aggiunge a quello già previsto con il decreto-legge n. 66 [del 2014]. Esso comporterebbe in un solo anno una riduzione del 15 per cento dalla spesa aggredibile – cioè, quella al netto dei trasferimenti alle altre amministrazioni pubbliche e alla sanità. Va osservato – continua la Corte dei conti – che tale intervento si colloca a valle dei tagli di risorse introdotti negli ultimi anni che hanno portato a una flessione delle spese dirette regionali, al netto dei trasferimenti alle altre pubbliche amministrazioni, di circa il 10 per cento nell'ultimo triennio».
  In questi giorni il presidente Chiamparino ha risposto a questi rilievi e a questi attacchi in modo impeccabile e ha evidenziato anche proposte alternative molto concrete. Le ho lette su un giornale. Ovviamente dalle poche righe di un'intervista non si può capire il disegno complessivo, ma vorrei che oggi ci parlasse proprio di queste sue proposte alternative.
  Non c’è bisogno di fare strumentalizzazioni. Io rappresento il gruppo di Sinistra Ecologia e Libertà, ma dinanzi a problemi così gravi, come quelli che ci vengono elencati dal sindaco, dal rappresentante delle province e dal presidente delle regioni, la parte politica non conta. Da Maroni a Chiamparino, da Fassino a Marino, credo che non si debba fare alcuna strumentalizzazione politica.
  C’è una grande questione in questo Paese. Io che ho amministrato per quattordici anni un comune come Pescara e una regione come l'Abruzzo, mi chiedo con quale serenità e tranquillità possa lavorare oggi un sindaco, un assessore, un presidente di regione, esposto com’è ad attacchi di ogni tipo, politici, giudiziari e via dicendo.
  Vorrei che le Commissioni bilancio riunite di Camera e Senato avessero piena consapevolezza della gravità della situazione e che noi ci mettessimo al servizio del cambiamento di ciò che è possibile cambiare in questa manovra, anche sulla scorta delle proposte concrete che sono state avanzate.

  FABIO MELILLI. Ho due domande. Non ritengono le regioni e i comuni che un'operazione così straordinaria, come quella dell'armonizzazione dei bilanci da un lato e dei saldi effettivi dall'altra, un obiettivo che risale a qualche decennio fa – e mi spaventano le richieste di proroga che ho sentito, perché sono decenni che proroghiamo – invece di essere coperta in via prudenziale, come fa la manovra, attraverso un accantonamento dei crediti di dubbia esigibilità, cosa che rende uguali sia quelli che tengono in bilancio i residui passivi falsi sia quelli che sono corretti nell'allocazione del residuo passivo e del residuo attivo, dovrebbe essere affrontata con una logica più simile a quella del decreto-legge n. 35 del 2013 ?
  Se si fa un'operazione che porta allo scoperto anche, perdonate il termine pesante, falsità di bilancio nell'allocazione di un residuo attivo che non esiste, perché invece di accantonare risorse correnti, creando una condizione che non è certo espansiva e che ritengo in contraddizione con gli obiettivi che si dà il Governo, non si compie un'operazione sistemica attraverso un indebitamento di medio periodo che chiuda la partita una volta per tutte ? Vorrei sapere dal presidente Chiamparino se lo riterrebbe utile.
  Penso anche, e vedo le regioni meno coraggiose di quanto avrei immaginato, presidente Chiamparino, che a saldi di bilancio inequivocabili non abbia più senso, rispetto alle ultime norme, commissariare le sanità in giro per l'Italia. Se gli obiettivi di saldo e di certezza dell'assetto economico-finanziario delle regioni venissero certificati con un'operazione importante, penso che si potrebbe cominciare a restituire qualche responsabilità ed evitarne il palleggiamento tra Stato e regioni commissariate.
  L'ultima domanda è se non ritengano che un'altra operazione di portata storica, quale quella sulle province, al di là delle opinioni personali, dovrebbe avere come conseguenza che le regioni per una volta assumano una posizione comune. So che il presidente Maroni non condivide la riforma Delrio, ma le leggi vanno applicate, Pag. 53e nei testi della Conferenza unificata e della Conferenza Stato-regioni ritorna questa legittima rivendicazione di essere sovrani a casa propria, cioè nei consigli regionali, come è ovvio che sia. Non pensano, però, le regioni che questa volta ci sia bisogno di una posizione comune nazionale che porti a chiudere la vicenda delle province così come sono state disegnate e a riallocare le funzioni in maniera rapida ? Ho l'impressione che ci stiamo avviando lungo un percorso che tra dieci anni ci vedrà ancora qui a discettare delle funzioni che le province ancora eserciteranno.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  SERGIO CHIAMPARINO, presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Premetto che, se il presidente Boccia lo consente, chiederei al collega Maroni di rispondere, visto che è stato chiamato in causa. Sarò molto rapido perché metterò insieme alcuni interventi e chiedo scusa se non citerò tutti.
  C’è un grande tema che riguarda la sanità e risponderò molto chiaramente. Il Patto per la salute che abbiamo firmato in data 5 luglio, e su cui c’è un'intesa con il Governo, è già un programma pluriennale teso a far sì che la «mitica» siringa abbia lo stesso prezzo da Est a Ovest e da Nord a Sud. Lo sottolineo perché molti pensano che il Patto per la salute serva ad avere più soldi. Il Patto per la salute è un regolamento che disciplina tanti campi, ivi compreso – ma l'onorevole Palese non c’è – quello della valutazione delle prestazioni sanitarie in cui si stabiliscono bacini di utenza e via dicendo.
  Quanto alla domanda che mi ha posto l'onorevole Guidesi, è evidente che quando la sanità rappresenta l'80 per cento della spesa delle regioni, nel momento in cui ci si fa carico di partecipare a una riduzione di spesa nazionale, è impossibile non toccarla. Nelle nostre proposte cerchiamo di farlo lavorando sul tendenziale e non sulle cifre connesse al Patto della salute, che, come ho cercato di dire prima, includono già un processo di miglioramento dell'efficacia e dell'efficienza delle prestazioni. Spero di essere stato chiaro.
  Per quanto riguarda la questione che poneva l'onorevole Cariello, se Roberto Maroni è d'accordo – consentitemi la mezza battuta –, io, come altri colleghi presidenti, sono sempre disponibile ad andare a Bruxelles a vedere se ci danno più spazio. Tuttavia non abbandonerei la diatriba e le spiego perché, facendo anche riferimento all'intervento dell'onorevole Melilla.
  In base a nostre stime, ci risulta che nella manovra i tagli ai ministeri siano di circa 2,3 miliardi di euro. Facendo un calcolo che valuti il 3 per cento della spesa primaria dello Stato, si arriverebbe a un taglio di 4,7 miliardi di euro. Quindi, 4,7 miliardi meno 2,3 miliardi fa 2,4 miliardi. Nella logica che dicevo prima dell'applicazione dei costi standard, i margini ci sono. Non è una diatriba, un braccio di ferro o una prova muscolare, ma una valutazione di merito legata a una questione molto concreta che fa parte delle nostre proposte.
  Sulle province bisognerebbe aprire una discussione. Noi prendiamo atto che alcune funzioni sono state affidate da leggi dello Stato e cerchiamo di gestire le altre funzioni in un modo che sia flessibile quel tanto che consente di tenere conto dell'articolazione dei territori. Come l'onorevole Melilli sa, ci siamo battuti in sede di Conferenza unificata per avere un testo d'accompagnamento che consentisse esattamente questo, contro alcune rigidità che per fortuna abbiamo superato.
  Sui commissariamenti non le so rispondere. Prendo atto della sua considerazione e dico solo, proprio per dimostrare che quando diciamo Patto per la salute e costi standard non vendiamo solo fumo, che alcune regioni sono in difficoltà anche perché non hanno nemmeno le soglie minime per poter esercitare in modo efficace le stesse funzioni definite dal Patto per la salute. Una logica di gestione dei servizi sanitari che tenga conto di questo dato, secondo me, è inevitabile, e con l'avanzare delle tecnologie sanitarie ciò Pag. 54sarà ancora più vero. Questo non vuol dire necessariamente il commissariamento, ma piuttosto che i servizi sanitari di alcune regioni forse andrebbero considerati in modo integrato con altre regioni, senza correre dietro a sogni di fusioni tra regioni. Pensare concretamente a una gestione integrata credo che in alcuni casi sia invece una strada percorribile.

  PIERO FASSINO, presidente dell'ANCI. Prendo atto che due gruppi parlamentari si sono espressi a favore di una possibile rimozione del divieto di utilizzare gli oneri di urbanizzazione per la spesa corrente nel 2015 e questo certamente, se passerà, sarà una cosa buona. Da sola però non basta.
  La proposta dell'onorevole Palese di rinviare al 2016 il fondo per i crediti inesigibili la metto in relazione con quanto ha detto l'onorevole Melilli. La proposta di Melilli la sposo toto corde, ma significa compiere un'operazione del tutto diversa, di tipo «sblocca crediti».
  Noi l'abbiamo proposto e non adesso. Sono otto mesi che propongo al Ministero dell'economia e delle finanze e alla Cassa depositi e prestiti di prendere in considerazione un'ipotesi di intervento della Cassa depositi e prestiti di assunzione dei residui attivi presenti nei bilanci e la loro distribuzione su un arco temporale più lungo della dimensione decennale già prevista dalla legge, che consenta ai comuni di liberarsi di questo onere e al tempo stesso di pagare.
  Su questo non ho il minimo dubbio. Se viene avanzata una proposta di questa natura, sarebbe ciò che ANCI ha proposto. Significa però una gestione del tutto diversa da quella prevista dalla legge. È un'ipotesi alternativa. Non si andrebbe sul fondo per i crediti di dubbia esigibilità, così come costituito, ma sulla strada di un'operazione analoga a quella effettuata con il decreto-legge n. 35 del 2013. Come ripeto, l'abbiamo proposto otto mesi fa.
  La seconda questione è connessa alla prima. Segnalo, perché non è un aspetto banale, che l'accumulo dei crediti di dubbia esigibilità nel fondo è oggetto di stima diversa, e in misura significativa. Il Ministero dell'economia e delle finanze dice che questi crediti ammontano a 2,25 miliardi di euro; noi diciamo invece che ammontano a 2,8 miliardi. In questo delta stanno molti dei problemi che abbiamo. Nel momento in cui venisse riconosciuta la nostra stima, tutti i ragionamenti cambierebbero, ma per ora non è così. Anche questo è un punto che va rivisto.
  L'onorevole Guidesi chiedeva cosa succederebbe se i tagli non dovessero cambiare. Io naturalmente spero che cambino, ma le posso dire quello che noi sindaci vorremmo evitare di fare. In primo luogo, non vorremmo ridurre i servizi, perché non siamo stati eletti per chiudere servizi, bensì per tenerli aperti. Questo, se mi si permette la parentesi, va considerato quando si ragiona di costi standard. Se, come è capitato a me, un commissario alla spending review, non l'ultimo ma il precedente, mi dice che a Torino ho troppi asili e dovrei chiuderne qualcuno, non ci siamo. Io non chiudo asili solo per rientrare in una media nazionale. Bisogna che ci capiamo. Noi non vogliamo chiudere servizi.
  In secondo luogo, vorremmo evitare di ricorrere a prelievi fiscali, visto che si sta facendo una manovra per ridurli. Per questo noi poniamo il problema di cambiare la manovra, perché l'unico modo per uscire dalla stretta di riduzione dei servizi o aumento del prelievo fiscale – cosa che noi non vogliamo fare, né l'uno e né l'altro – sta nel recuperare margini maggiori sulla manovra stessa. Chiediamo, quindi, ai gruppi parlamentari di intervenire sulla manovra esattamente per evitare ciò che, come ripeto, non vogliamo fare.
  Capisco quello che dice la senatrice Zanoni. Veniamo da anni di tassazione locale che ogni sei mesi cambia e forse un attimo di calma non sarebbe male. Purché anche nella calma si affronti qualche problema. Se deve rimanere l'IMU così come è stata fin qui, allora noi poniamo il problema di discutere della destinazione dei soldi degli immobili di categoria catastale D. Anche se si mantiene il regime attuale e non si cambia, qualche problema Pag. 55bisogna affrontarlo. La mappatura della situazione la stiamo facendo. Lei ha ragione a dire che è certamente utile per capire cosa succede e cosa dobbiamo fare.
  Onorevole Cariello, noi non facciamo a scaricabarile. Non sta nel nostro modo di affrontare i problemi e lei lo sa. Non è, però, vero che ci siano gli stessi margini di intervento sulla spesa tra amministrazioni locali e amministrazioni dello Stato. Non è vero per la semplice ragione – non voglio fare il gioco delle tre carte – che le riduzioni di spesa decretate, decise o deliberate in questi anni sui comuni hanno avuto tutte efficacia. Buona parte delle riduzioni di spesa che sono state decretate e deliberate sulle amministrazioni dello Stato poi non sono state attuate. Se vuole, le faccio mille esempi.
  C’è una differenza e io credo che, in un ragionamento equilibrato, si debba dire che in questi anni è stato chiesto a comuni e regioni proporzionalmente di più di quanto è stato chiesto alle amministrazioni dello Stato. È tempo, proporzionalmente, di riequilibrare lo sforzo. Non c’è il minimo dubbio su questo.
  Infine, onorevole Guidesi, noi siamo i primi a volere una distinzione tra chi è virtuoso e chi non lo è. In questi anni non tutti i comuni si sono comportati allo stesso modo. Lo so benissimo. Ci sono comuni che hanno messo ordine nei loro conti, hanno determinato una virtuosità ed oggi rischiano di essere penalizzati come altri. Per questo chiediamo una serie di elementi correttivi alla manovra che ci permettano anche di distinguere. Segnalo, come ultima considerazione, un elemento che sfugge. Il comparto dei comuni italiani oggi è contributore attivo al bilancio dello Stato. Diamo più di quello che riceviamo perché di trasferimenti non ce ne sono pressoché più.
  Anche questo forse andrebbe considerato.

  ROBERTO MARONI, presidente della Regione Lombardia. L'onorevole Guidesi chiedeva quali effetti avrebbe la manovra sui conti di Regione Lombardia. L'effetto sarebbe molto pesante e si tradurrebbe in una riduzione della spesa socio-sanitaria di 750 milioni di euro e in una riduzione della spesa per il trasporto pubblico locale (TPL) di 155 milioni di euro, il che vuol dire azzerare il contributo di Regione Lombardia al TPL e alle province. Per tutto il resto, cioè territorio, ambiente, Expo, attività produttive e istruzione, la riduzione sarebbe di 60 milioni di euro.
  La riduzione della spesa socio-sanitaria per 750 milioni di euro comporta il dover chiudere delle strutture. Lascerò questo appunto alla Presidenza. Faccio riferimento a uno studio realizzato nel 2012 dal professor Giarda ai tempi del Governo Monti sulla spesa pro capite delle singole regioni, da cui risulta che complessivamente la spesa pro capite di Stato, regione, province e comuni in Lombardia è di 3.651 euro, contro una spesa media di 4.329 euro, senza contare le regioni a statuto speciale.
  Per la sanità la Regione Lombardia ha una spesa pro capite di 1.674 euro, che è la più bassa in assoluto tra tutte le regioni. Ciò significa che un taglio di 750 milioni di euro per la Regione Lombardia mi costringe a chiudere delle strutture sanitarie, cosa che io non voglio fare, ma temo di esservi costretto.
  Tutto questo è stato dibattuto in Consiglio regionale e il Consiglio regionale, all'unanimità, con tutte le forze politiche, compresi il PD e il Movimento 5 Stelle, cioè le forze di opposizione, ha votato questa risoluzione, che io lascio agli atti delle Commissioni. Vi si impegna il presidente, cioè il sottoscritto, «a sostenere in ogni sede la necessità che i finanziamenti al sistema delle autonomie siano calcolati sulla base di un indice di efficienza che premi la virtuosità nella gestione amministrativa, sulla base di chiari e condivisi parametri di costo standard».
  Questo è quello che, associandomi al mio presidente, io chiedo alle Commissioni.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Maroni. È stato molto chiaro.

  DANIELE BOSONE, componente dell'ufficio di presidenza dell'UPI. Intervengo Pag. 56molto sinteticamente, perché i numeri che vi abbiamo consegnato parlano da sé. Sono numeri che derivano dalla due diligence concordata con il Ministro dell'economia e delle finanze a luglio e, quindi, sono numeri concordati, non sono numeri che escono dal cilindro.
  Noi vorremmo solo che i tributi dell'RC Auto e l'IPT rimanessero sui nostri territori, perché la Costituzione prevede che le autonomie locali debbano finanziare le funzioni essenziali loro assegnate. Diversamente i diritti dei cittadini vengono violati. Noi abbiamo dei diritti da tutelare, quali il diritto allo studio e il diritto dei cittadini a viaggiare sicuri sulle strade. Le province hanno ancora queste funzioni previste per legge e, quindi, per Costituzione, vorremmo continuare a esercitarle.
  In conclusione, chiediamo chiarezza su due questioni. Da una parte, le funzioni essenziali devono essere finanziate. Vanno bene i fabbisogni standard e i costi standard, ma le funzioni previste dalla «legge Delrio» devono essere finanziate. Va, quindi, rimodulato il taglio.
  Dall'altra parte, ci serve una norma cogente che con chiarezza faccia ritrasferire velocemente le funzioni non assegnate per legge alle regioni, insieme al personale, e che le regioni, nella loro autonomia, provvedano poi a riassegnarle o meno alle province, anche questo nella chiarezza del personale e dei fondi assegnati.
  In sostanza, serve chiarezza. Se non c’è chiarezza, finiremo nella confusione e nella palude più totale. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL E UGL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti di CGIL, CISL, UIL e UGL.
  Sono presenti Danilo Barbi, segretario confederale della CGIL, Riccardo Sanna, funzionario del Dipartimento politiche economiche della CGIL, Maurizio Petriccioli, segretario confederale della CISL, Angelo Marinelli, del Dipartimento politiche fiscali della CISL, Luigi Angeletti, segretario generale della UIL, Carmelo Barbagallo, segretario generale aggiunto della UIL, Antonio Passaro, funzionario della UIL, Giuseppe Carenza, dirigente confederale dell'UGL, Fiovo Bitti, dirigente confederale dell'UGL, e Claudia Tarantino, dirigente confederale dell'UGL.
  Do la parola a Danilo Barbi, segretario confederale della CGIL.

  DANILO BARBI, segretario confederale della CGIL. Buongiorno e grazie, presidente.
  La prima cosa che vorrei dire è che noi giudichiamo criticamente il disegno di legge di stabilità in termini generali. Troviamo l'impostazione sostanzialmente deludente, inadeguata e insufficiente, oltre a rilevare diversi specifici punti profondamente critici.
  Questo giudizio deriva dal fatto che noi, come è stato detto ieri anche dall'ISTAT, non riteniamo espansiva la manovra. Non è vero che la manovra è espansiva. A questo proposito bisogna considerare che ogni anno di recessione che passa è peggio per il Paese reale, per la condizione sociale del Paese e per le aspettative di crescita del Paese, come è noto. I fenomeni recessivi hanno questo effetto di automoltiplicazione.
  Si potrebbe dire che l'attuale Governo, fin dal DEF di aprile, abbia sbagliato completamente i calcoli di previsione del PIL nominale. Ad aprile il Governo calcolava un aumento del PIL nominale, fra crescita del PIL e crescita dell'inflazione, del 4,2 per cento fra il 2014 e il 2015. Lo stesso Governo, pochi mesi dopo, nell'aggiornamento di settembre, ricalcola questa crescita all'1,7 per cento in due anni.
  Perché cito questo dato ? In queste aule, a maggio scorso, nella stessa audizione, noi dicemmo che c'era un rischio di deflazione. Allora la parola non veniva Pag. 57nominata quasi da nessuno. Noi la vedevamo nei prezzi alla produzione intermedi, che erano già in fase di calo da diversi mesi. Oggi la deflazione è arrivata sui prezzi al consumo. Questo per noi è un fatto molto rilevante.
  Il Governo a settembre dice di aver sottovalutato questo aspetto, ma continua a farlo nella legge di stabilità. Continua nettamente a sottovalutare il rischio della deflazione.
  Noi insistiamo su questo rischio, su questo pericolo, e ci appelliamo al Parlamento perché lo valuti diversamente rispetto a quanto non sia riuscito a fare oggi il Governo. La deflazione nel Paese dell'inflazione, come è l'Italia, può essere una malattia di lunghissimo periodo e avere effetti molto significativi sulle propensioni ai consumi e agli investimenti. Come sapete, ce l'ha sui consumi e sugli investimenti già finanziabili, figuriamoci su quelli potenziali.
  La deflazione è un nuovo fatto e ha bisogno di una risposta diversa. Noi pensiamo che questo fatto della deflazione non vada citato solo come una sorta di circostanza eccezionale del ciclo economico. Pensiamo che si debba dire una cosa precisa, ossia che la deflazione è responsabilità delle politiche europee. Non viene da Marte. La deflazione è una precipua responsabilità delle politiche europee. È una conseguenza diretta delle politiche di austerità. Questo a noi sembra evidente.
  Se questo è evidente, la conseguenza è che, per quanto ci riguarda, sarebbe stato necessario da parte del Governo rimettere apertamente in discussione il Patto di stabilità europeo. Vogliamo svolgere questa considerazione nelle aule parlamentari in modo netto e preciso. Come sapete, la nostra non è un'organizzazione che ama la retorica in quanto tale. Noi pensiamo che, di fronte ai fatti sociali del Paese, questo sia ormai il punto della questione: bisogna rimettere in discussione il Patto di stabilità.
  Se non si assumono decisioni di questo livello, bisogna sapere che si ha come conseguenza la depressione del Paese. Non c’è più, ormai, a nostro modo di vedere, una terza possibilità. Da questo punto di vista, accontentarsi dell'austerità flessibile, concordata, come ci sembra che si sia fatto, magari scambiandola con un'ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro – questo ci sembra il punto –, non è in alcun modo una risposta ai problemi del Paese e a breve ci sarà presentato il conto.
  Detto questo, la scelta generale, a nostro modo di vedere, è evidentemente sbagliata. La scelta generale del disegno di legge di stabilità è quella di ridurre spese e investimenti pubblici, a fronte della speranza che aumentino gli investimenti privati. Questa è la filosofia generale del disegno di legge di stabilità.
  Al di là del fatto che si potrebbe osservare che questa impostazione è antimeridionale per definizione – diciamo così – perché, se funzionasse, sarebbe antimeridionalista, ci si può consolare tragicamente nel fatto che, a nostro parere, questo scambio non funzionerà. Anche su questo punto fra un anno vedremo chi aveva ragione.
  Io mi ricordo una discussione sul rischio della deflazione. Qualcuno diceva che lo si inventava e qualcun altro aggiungeva che il problema era che si era troppo critici. Rimane, però, il fatto che quelli critici hanno indovinato le previsioni in questi anni. Gli altri le hanno sempre sbagliate. Qualcosa vorrà dire.
  Questo è un problema di impostazione della politica economica. Oggi noi pensiamo che gli elementi di crisi sociale siano arrivati a un punto di tensione veramente profonda. In molte realtà del Paese questo è ciò che noi avvertiamo: una grande crisi sociale in alcuni territori e in alcune realtà aziendali, al limite della rottura sociale.
  Come dicevo, la manovra non funzionerà. Siamo di fronte a un calo della domanda estera e al punto più basso della domanda interna. In uno scenario del genere mettere la reazione del Paese tutta nelle mani degli investimenti privati o degli investimenti diretti esteri a noi sembra una scelta completamente sbagliata.Pag. 58
  D'altra parte, vorrei osservare che nelle carte del Governo è delineata una traiettoria dell'occupazione che, secondo noi, è insostenibile socialmente e politicamente. Altro che ripresa. Il Governo nelle sue carte stabilisce che al 2018 la disoccupazione sarà ancora, pur con previsioni del PIL che noi troviamo del tutto sovrastimate, all'11,2 per cento. Con la «legge Fornero» e il tasso di sostituzione attuale questo vuol dire un tasso di disoccupazione giovanile al 40 per cento al 2018, se tutto va al meglio di come potrebbe andare.
  Questo è il punto. Bisognerebbe far vedere per prime queste slide al Paese. Così il discorso sarebbe più chiaro, perché questa è la verità. Queste sono le carte del Governo, non le nostre valutazioni. Ci si rassegna, quindi, a un'altissima disoccupazione e a un'altissima disoccupazione giovanile.
  Infine – mi avvio rapidamente alle conclusioni – il Governo, a proposito delle forze sociali, per esplicito prevede una riduzione, nel periodo 2015-2018, di tutti i salari reali. È nelle tabelle programmatiche. In questo modo si annuncia che il blocco dei contratti pubblici continuerà. Tuttavia, anche per i contratti privati si programma un salario dell'1 per cento inferiore all'inflazione reale e del 3,5 per cento inferiore all'aumento di produttività.
  Questi sono i calcoli del Governo sui salari. La questione, per quanto ci riguarda, non può che essere valutata, come capite, criticamente, non solo per il blocco sociale che rappresentiamo, ma anche per l'effetto complessivo che questa misura non può che avere sul sistema Paese.
  Dunque, si sarebbe potuto agire diversamente. Le nostre controproposte, con un'altra politica economica, sono note. Noi pensiamo che bisognasse utilizzare di più il finanziamento in deficit di fronte a questa realtà. Non capiamo perché altri Paesi, come la Francia, lo programmino con un deficit molto più significativo di quello programmato dal Paese Italia. Non lo capiamo. Quale sarebbe la differenza ? Se il problema è totalmente di peso politico, allora va esposto in questo modo.
  Questa vostra risposta avrebbe un senso se la stabilità del nostro rapporto tra debito e PIL fosse un po’ aumentata in questi anni, cosa che voi dovete dimostrare, perché non è vera. Questa tesi ha questo difetto. Anche in Europa ha questo difetto, perché la sostenibilità del nostro debito è peggiorata in questi quattro anni e questo è un dato incontrovertibile. Si potrebbe anche suggerirlo alla Commissione europea, per esempio. Non si può continuare una politica palesemente sbagliata perché è stato fatto così. Questo, ormai, è il punto di rottura del Paese.
  Come voi sapete, noi pensiamo che ci siano spazi sull'evasione fiscale e per una patrimoniale sulle ricchezze finanziarie per finanziare programmi di creazione diretta di lavoro, anche triennali e quinquennali, in grandi progetti di opere pubbliche, a partire dalla sicurezza idrogeologica, per giovani, donne e disoccupati. Non è una cosa del tutto bolscevica. Ricordate quell'intervento che fece il presidente del Partito Democratico americano negli anni Trenta ? Pensiamo a una cosa così.
  Conoscete queste nostre proposte, ragion per cui non insisto. Su richieste di precisazione possiamo poi approfondirle.
  Rapidissimamente concludo su alcuni punti che, secondo noi, pur dentro un'impostazione sbagliata, sono sostanzialmente inaccettabili.
  Il primo punto è che i tagli proposti praticamente sono tutti lineari. Abbiamo capito perché il commissario della spending review sia caduto in un cono d'ombra: perché i tagli sono lineari e, quindi, non c’è spending review da fare.
  Il secondo punto è che c’è una politica di riduzione della politica sociale e sanitaria, sia centrale, sia decentrata. Anche questo è evidente. È evidente il rischio di aumento delle tasse locali, tant’è vero che la manovra non si preoccupa di impedirlo, come venne fatto in altre occasioni. Francamente, questo – abbiamo sentito la precedente audizione – è dato per scontato da buona parte del sistema delle amministrazioni locali.Pag. 59
  Peraltro, di nuovo, cadendo nei tagli lineari, è vero che chi ha un maggior controllo di virtuosità del bilancio è penalizzato da questa manovra. Questo è un altro fatto evidente.
  Il terzo punto è che le politiche di assunzione importanti nella pubblica amministrazione, soprattutto nella scuola pubblica, sono per buona parte finanziate da tagli e risparmi interni.
  La questione del TFR noi la troviamo, in relazione sia all'anticipazione, sia all'aumento delle tasse finali di rendimento, veramente assurda. Non stiamo parlando qui di un provvedimento di risparmio. Quello è stato un provvedimento di riforma, con cui il Paese ha costruito una seconda gamba di garanzie previdenziali.
  Voi sapete che si sono aperte discussioni per un utilizzo anche diverso nella politica industriale dei fondi contrattuali. Tutto questo, di fronte a questo meccanismo, collassa. Francamente, noi troviamo questa improvvisazione – non riusciamo a trovare un altro termine – assolutamente inaccettabile.
  Per concludere, passo alla questione dei patronati. Voi sapete che noi, come CGIL, non abbiamo mai fatto della sussidiarietà un fine, ma se, oltre che ridurre il fondo, si riduce anche il contributo, si destabilizza il sistema. Questo bisogna dirlo. Se si destabilizza il sistema, il sistema non si può più reggere su prestazioni gratuite, come oggi. Bisogna, dunque, che lo Stato si prepari a fare lui stesso quello che oggi fanno altre organizzazioni. Questo è il punto, ma bisogna dirlo: non si tratta di un risparmio, ma di un modo diverso di spendere. Noi non abbiamo mai pensato che il sindacato abbia bisogno per definizione di fare questo – ci penseranno l'INPS o l'INAIL – ma il Paese deve sapere che si sta producendo una situazione di questa natura.
  Per concludere davvero, la riduzione dell'IRAP è strutturale, mentre quella dell'IRPEF non solo non si allarga, ma non è nemmeno strutturale. Bisogna rifarla ogni anno. È una forma di mercato elettorale, invece che di politica economica. Noi prendiamo le distanze da questo fatto anche perché – insisto – quella dell'IRAP è una riforma strutturale e definitiva, non selettiva, così come non è selettiva la decontribuzione sui nuovi assunti, che, in molti casi, può essere anche in sostituzione di occupazione precedente a diverso titolo.
  Come ultima considerazione, il sistema forfettario sulle professioni, così come definito, secondo noi, sulle partite IVA non ordinistiche è peggiorativo. Tutte le simulazioni che abbiamo fatto danno questo risultato. Preciso che il nuovo sistema forfettario per le partite IVA non ordinistiche fa pagare di più e incide soprattutto sulle giovani partite IVA. Questo è il risultato.
  Inoltre, le clausole di salvaguardia confezionate dal disegno di legge di stabilità sono molto significative. Riguardano le accise, l'IVA in un modo rilevantissimo e, di nuovo, la questione delle tax expenditures. Una parte di tale questione è collegata alle previsioni del PIL, perché così è formulata, cosa che secondo noi in questo caso rappresenterà sicuramente un problema il prossimo anno. Lo diciamo ora per allora. Con alcuni di voi ci conosciamo. Ci troveremo nell'imbarazzante situazione in cui, fra un anno, ci direte che avevamo ragione.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola alla CISL, per la quale sono presenti Maurizio Petriccioli, segretario confederale, e Angelo Marinelli, del Dipartimento politiche fiscali.

  MAURIZIO PETRICCIOLI, segretario confederale della CISL. Grazie, presidente. Buongiorno.
  Il sentiero che esiste tra i vincoli di bilancio posti dall'Unione europea e la necessità di far uscire il Paese dalla recessione che esso sta vivendo è davvero molto stretto. Pertanto, noi cominciamo dicendo che il disegno di legge di stabilità che abbiamo letto presenta alcuni segnali di discontinuità rispetto all'impostazione politica precedentemente seguita.
  Osserviamo, però, che questo cambiamento non sembra essere sufficiente a Pag. 60imprimere una svolta, perché agisce sostanzialmente attraverso la riduzione del cuneo fiscale che grava sull'impresa. Tralascia, invece, la necessità di prendere a elemento fondamentale di una nuova politica la domanda aggregata per consumi e investimenti, proprio puntando a una forte crescita, cosa di cui il Paese avrebbe assolutamente bisogno.
  La dimostrazione di questo sta nei numeri. Dal quadro programmatico, che incorpora gli effetti delle politiche governative, risulta che un primo segnale di uscita dalla recessione dovrà esserci nel 2015 e dovrà essere consolidato nel 2016, ma, come ho già ascoltato, a fronte di tutto questo, l'indebitamento del Paese continua e l'occupazione non migliora. La fase è questa e la difficoltà è questa.
  Questi segnali, seppure marchino una discontinuità, non restituiscono quella necessità di cambiamento di politica economica che non può che venire attraverso un cambiamento strutturale delle politiche europee. Di conseguenza, noi incoraggiamo e sosteniamo il Governo verso una sospensione degli effetti dei vincoli del Fiscal Compact. Io credo che le parti sociali abbiano un compito importante in questa direzione, proprio per far comprendere la necessità di un cambiamento, non per smarcarci da un rigore positivo sui conti e tornare scioccamente a spendere a debito, ma perché il cambiamento necessario su quei vincoli va inquadrato nella situazione economica attuale.
  Questa situazione economica e la sua gravità ci portano a dire questo. Da un lato, quindi, apprezziamo il tentativo di rallentare l'aggiustamento dei conti pubblici, per evitare una spirale recessiva, ma, dall'altro, sottolineiamo la necessità di fare di più in questa direzione. Occorre fare di più, perché il dramma sociale, che ormai è evidente in questo Paese, ci porta a spingere in questo senso.
  Dal quadro che abbiamo visto consegue che, nonostante la deroga e le difficoltà di una trattativa a livello europeo, che il Governo italiano ha comunque svolto, la necessità di rispettare i vincoli e il voler rimanere all'interno del rapporto del 3 per cento fra deficit e PIL rischiano di non offrire un'opportunità di crescita sostanziale alla nostra economia.
  Questo è il problema che noi sottolineiamo, osservando che il margine è molto stretto e la linea molto sottile. Non è una questione semplice, perché non possiamo cambiare noi i vincoli del Fiscal Compact. È un lavoro che deve essere fatto a livello europeo e condiviso con tutti gli altri Paesi.
  Le considerazioni che ho svolto – ovviamente, abbiamo lasciato un documento in cui il ragionamento è molto più articolato anche sui punti e sulle richieste che noi andiamo a presentare – evidenziano almeno, ed è quello che sottolineiamo alla vostra attenzione, l'esigenza di una correzione della manovra, per cercare di rendere più equo ed efficace l'intervento complessivo che il Governo ha delineato e che voi dovete giudicare e sul quale farete le opportune proposte di cambiamento.
  Occorrono, quindi, dei cambiamenti che possano migliorare e rendere più equo l'intervento complessivo, cambiamenti che devono essere coerenti con le cose che abbiamo detto, quando parliamo di rilanciare la crescita.
  Sicuramente evidenziamo la necessità di un'estensione del bonus fiscale e di una sua strutturalità. Si è fatta una scelta: si è andati decisamente, con questo disegno di legge di stabilità, sulle imprese e sull'IRAP. Noi sottolineiamo che l'operazione che è stata fatta per la riduzione del cuneo, da un lato, è positiva, ma, dall'altro, deve essere fatta, conseguentemente, anche sull'altro fronte, ossia sul fronte del lavoro.
  Richiamiamo la vostra attenzione anche sulla congruità o sulla coerenza tra un Governo che chiede l'applicazione di un modello «contrattuale» tedesco, ma che poi dimentica totalmente, all'interno di questo disegno di legge di stabilità, di finanziare il Fondo per la detassazione dei premi di risultato a livello aziendale. Anzi, ci sono 200 milioni di euro di taglio sulla decontribuzione.
  Questo significa che gli spazi di contrattazione nelle imprese in cui si produce, in cui il lavoro e le commesse ci sono, non Pag. 61potranno più utilizzare questo tipo di strumentazione, che da alcuni anni era, seppur in misura sempre più ridotta, a disposizione.
  Sottolineiamo, perché ci sembra anche da questo punto di vista assolutamente non coerente, anche il tema dell'utilizzo del TFR. Il combinato disposto fra la possibilità di chiedere il TFR in busta paga, peraltro assoggettato a un'aliquota più alta di quella che era prevista prima, e quella di andare improvvisamente a una tassazione che è praticamente doppia sul rendimento di quanto versato nei fondi di previdenza complementare, causa il collasso del sistema di previdenza complementare.
  C’è una consapevolezza da parte del Governo in questo senso ? Poiché il Governo declina sempre la questione generazionale come una questione centrale, da domani mattina va aperta una vertenza sulla previdenza pubblica, perché la previdenza complementare in questa condizione non è più in grado di fornire una risposta alle future generazioni.
  Questo tema mi pare inevitabile. Se non c’è una coerenza, io credo che tutti noi dobbiamo sottolineare con forza questo problema e dobbiamo anche spiegare che la rendita previdenziale non è la stessa cosa di una rendita finanziaria.
  So che non è bello – l'ha già spiegato bene prima il collega Barbi della CGIL – ma lo faccio molto volentieri: rivendico un'attenzione sul taglio al fondo dei patronati. Il taglio serve per smantellare i corpi sociali ? Fatelo in un altro modo. Così smantellate una rete di servizi ai cittadini. Il Governo fa questo. Il Governo crea una condizione di questo tipo, dopo aver ridotto gli organici e la fruibilità dei servizi presso INPS e INAIL, che oggi non ricevono più imprese e cittadini per una qualunque pratica previdenziale, perché tutti i canali funzionano attraverso i servizi telematici e la porta di questi due grandi enti è diventata la rete dei patronati.
  Ciò che non si capisce è perché non ci possa essere un'elaborazione tesa a migliorare la qualità dei servizi dei patronati, ad alzare l'asticella, a integrare sempre di più i servizi con gli enti previdenziali assistenziali, ma si vada dritti sull'ipotesi di un taglio, che – ahimè – come avete visto, non genera grandi cifre rispetto al disagio che creerà nella popolazione, ma questo è.
  In ultimo, per citare, anche per questioni di tempo, solamente alcuni temi, io ritengo necessario ragionare attorno a un richiamo forte sullo sblocco della contrattazione del pubblico impiego. Anche questo lo facciamo perché lo dobbiamo fare ? Certo, ma il tema che noi proponiamo è un altro. Il tema che proponiamo è che, se esiste un patto sociale, un patto sociale ha dei momenti di regolazione. Io credo che il datore di lavoro pubblico dovrebbe impostare una grande riforma della pubblica amministrazione che si basi sulla qualità e sull'efficienza dei servizi, non illudendo che sia possibile, ancora una volta, fare così come accade e così come ci propone l'Europa.
  L'Europa propone che, visto che non è più possibile svalutare la moneta, si svalutino i diritti del lavoro e i salari che sono legati al lavoro stesso. Il Governo ha imparato questa lezione e continua a usare questa formula. Si tiene bloccato da sei anni il salario del pubblico dipendente, evitando di ragionare attorno all'efficienza, evitando di ragionare almeno sui risparmi di efficienza che si possono produrre a livello locale, evitando di ragionare attorno a una premialità a chi lavora per recuperare questa efficienza.

  PRESIDENTE. Grazie. Invito Luigi Angeletti, segretario generale della UIL, a svolgere la sua relazione.

  LUIGI ANGELETTI, segretario generale della UIL. Grazie, presidente. Noi avevamo sperato che il disegno di legge di stabilità seguisse una linea che era stata enunciata dal Governo nei mesi passati e che sostanzialmente avevamo interpretato in questo modo: dobbiamo rinegoziare con la Commissione europea una gestione flessibile del Patto di stabilità, negoziando contemporaneamente un pacchetto di riforme Pag. 62che garantiscano un riequilibrio e un rispetto dei patti in un periodo più lungo di quello che era immediatamente in discussione, cioè il 2014.
  Tutti sappiamo che, senza un cambiamento del Patto di stabilità, parlare di crescita è un bellissimo esercizio, buono per fare comizi, campagne elettorali e dibattiti televisivi. Tutti ci rendiamo conto che esistono dei patti, che bisogna rispettarli, che bisogna avere credibilità. Sono tutti argomenti che conosciamo. Questa volta, però, c'erano due condizioni favorevoli, per un Paese pure indebitato come l'Italia.
  La prima era che l'Unione europea è molto meno forte, molto meno credibile e anche molto meno amata degli anni passati. Il nostro Governo avrebbe potuto avere un maggiore peso nel portare avanti questo negoziato. È stato detto questo. Perlomeno, credo che la stragrande maggioranza, immagino anche del Parlamento, l'abbia interpretato così. Le conclusioni, però, non sono state all'altezza, fino alla patetica discussione se avessimo o no sforato dello 0,3 per cento, quasi dovessimo fare gli esami di riparazione.
  L'atteggiamento del Presidente del Consiglio è stato buono, quando ha parlato in televisione anche di questo tema, ma la sostanza non mi è sembrata andare nella stessa direzione. Una legge di stabilità che punti alla crescita e, quindi, ad abbattere la deflazione non può che porsi prioritariamente questo problema. Secondo noi, non è stato fatto quanto presumibilmente era realistico aspettarsi.
  Non voglio ricordare i casi della Francia e della Spagna. È vero che noi abbiamo un pesante indebitamento, però ci sono anche valutazioni sullo stato reale dell'economia, sull'economia reale e sul nostro apparato industriale. C’è un'altra serie di condizioni e c’è il fatto, soprattutto, che l'Italia è un Paese che sta portando avanti un processo di riforme strutturali che dovrebbero consentire di recuperare produttività e competitività al suo sistema economico, con riduzione degli sprechi e via discorrendo.
  Il risultato finale è che abbiamo predisposto un disegno di legge di stabilità dentro vincoli che avrebbero dovuto essere superati, anche se non definitivamente, rispetto alla loro rigida applicazione. Ciò ha comportato che questa legge di stabilità sia troppo poco espansiva. Io non sono così sprovveduto da non sapere che, avendo usato un po’ di debito, obiettivamente, un po’ di espansione ci sarà, almeno dal punto di vista delle quantità monetarie in circolazione. Tuttavia, sarà assolutamente insufficiente ai nostri bisogni e soprattutto a invertire in maniera significativa la tendenza, tanto è che le previsioni sull'impatto che essa avrà sull'economia reale sono evidenti a tutti e sono del tutto non accettabili per la loro inconsistenza.
  Nel merito parto dalle due cose buone, perché sono solo due e, quindi, faccio presto. Una riguarda il bonus di 80 euro. Noi abbiamo molto apprezzato che, per la prima volta da quattro anni, da quando CGIL, CISL e UIL promuovono iniziative, scioperi e manifestazioni per ottenere una riduzione delle tasse sul lavoro, finalmente ci sia stato un Governo che l'abbia applicata, e in maniera quantitativamente decente.
  L'altro aspetto positivo sta nell'avere finalmente incentivato le assunzioni con contratti a tempo indeterminato, un'altra nostra richiesta. Quando si parla del mercato del lavoro, noi abbiamo sempre cercato di spiegare una cosa banale, ovvero che non ci sono regole. Si può portare, come si dice sempre, il somaro alla fontana, ma non lo si può costringere a bere. Pertanto, occorre fare in modo che i contratti a tempo indeterminato siano veramente quelli che vengono maggiormente, se non prevalentemente, usati dalle imprese e renderli più convenienti rispetto a qualunque altro sistema contrattuale. Le cose buone, purtroppo, sono finite qui.
  Che cosa non consideriamo accettabile ? Quello che noi non consideriamo accettabile è la politica che si intende fare sul versante fiscale per quanto riguarda l'IRAP. Noi siamo favorevoli che si riduca l'IRAP, soprattutto sull'aspetto lavoro, ma Pag. 63non pensiamo che si possano oggi, nel 2014, destinare tutti quei soldi – e sono tanti – non dico per regalare, ma per far risparmiare alle imprese in maniera indifferenziata.
  Le imprese italiane, come tutti gli altri soggetti, non sono tutte uguali. Ci sono quelle brave, virtuose, che innovano, investono e, quindi, assumono e ci sono quelle che non sono per nulla virtuose, che sono fatte da incapaci, quando non da banditi, che non investono o che scelgono di sfruttare tutto quello che è possibile sfruttare e molto spesso non rispettano neanche le regole dello Stato.
  Qual è la ragione per cui in questo momento dobbiamo dare soldi a tutti ? Avremmo potuto benissimo finanziare le imprese che hanno aspetti virtuosi e rinviare agli anni successivi una generalizzazione della riduzione dell'IRAP. Questo, ovviamente, comporta il fatto che bisognerà finanziare questa riduzione generalizzata dell'IRAP e che la si finanzierà attraverso operazioni che presentano, secondo me, una serie di aspetti negativi.
  Io non mi iscrivo al partito di coloro che dicono, da quattro o cinque anni, ovvero da quando è cominciata la riduzione dei trasferimenti agli enti locali, perché già quattro anni fa ci fu la prima reazione dei sindaci: «Riducete i trasferimenti e noi taglieremo i servizi». Ogni tanto dovrebbero dire: «Ridurremo i costi di funzionamento». Sarebbe bello anche esteticamente.
  Non si possono, però, anche qui fare tagli lineari. È la scelta non solo più stupida, ma anche la più dannosa. Non tutte le amministrazioni sono uguali. Quello che, invece, si sarebbe dovuto fare era imporre e non rinviare i costi standard, imporre e non rinviare la fusione delle società municipalizzate, a partecipazione provinciale o regionale. Queste sono una fonte enorme di sprechi, quando rispettano le leggi. A volte sono anche un po’ criminogene. Rappresentano il vero cuore del problema della nostra spesa pubblica.
  Nello stesso modo io penso che si sarebbe dovuta programmare almeno una significativa riduzione del numero dei comuni. Né la prima, né la seconda operazione si può fare nell'arco di dodici mesi. Nessuno è così sciocco da pensare che una spending review seria, fatta bene, tanto più se selettiva, complessa e complicata, si possa fare in questo lasso di tempo. Ci sono dei problemi politici, sociali ed economici da gestire.
  Se, però, si rinvia sempre l'inizio, non vedremo mai la fine e il risultato finale sarà che ogni volta, ogni anno, voi, i vostri colleghi, o i vostri successori, ci spiegherete che, poiché c’è sempre un'emergenza, l'emergenza si risolve con i tagli lineari, che sono classici. Una volta toccava alle pensioni, che adesso sono state ridotte fino all'inverosimile. Poi si è continuato con i salari, comunque sempre con tagli lineari, con la stessa logica di prendere i soldi, a prescindere dagli effetti che questo provoca.
  In un Paese come il nostro il deficit è stressato e c’è un sistema sociale sull'orlo di una crisi irreversibile. Non tutte le crisi si possono recuperare. Ci sono crisi che non sono più recuperabili e noi ci stiamo rapidamente avvicinando a questo limite. In un Paese come questo bisogna avere coraggio sul serio. Bisogna far vedere che si comincia sul serio, che non si fanno solo annunci. Se si fanno solo annunci, la popolazione italiana non è più disponibile.
  Voi fate politica e, quindi, ci rappresentate e ci parlate tutti i giorni. Sapete perfettamente qual è lo stato d'animo e l'umore delle persone. Per questo motivo in questo disegno di legge di stabilità le riforme dolorose per il sistema, non per i cittadini, avrebbero dovuto cominciare a vedere l'inizio.
  Noi non siamo favorevoli ad aumenti di tasse, per nessuno, in primo luogo per gli effetti macroeconomici che un aumento del carico fiscale avrebbe e, in secondo luogo, per un problema di giustizia. Con un sistema fiscale sfasciato come il nostro aumentare le tasse, sotto qualunque forma, significa far pagare le tasse a quelli che già le pagano.
  Poiché, però, il sistema fiscale è sfasciato, noi dobbiamo introdurre una riforma Pag. 64fiscale per far pagare le tasse a quelli che non le pagano e, anche in questo caso, senza ricorrere sempre alle solite scorciatoie. Abbiamo bisogno di soldi. Che facciamo ? Aumentiamo le tasse. Non ha importanza dire che applichiamo le tasse ai ricchi, perché tanto in Italia i ricchi per il fisco non esistono e, quindi, poi le tasse si estendono a quelli che non sono ricchi, ossia alla stragrande maggioranza della popolazione.
  Ricordiamoci – gli ultimi dati di quest'anno non li conosco, ma quelli dell'anno precedente sì – che ci sono meno di mille cittadini italiani che dichiarano di guadagnare un milione di euro. La situazione non è cambiata. L'abbiamo detto quattro anni fa: la situazione non si è spostata.
  Pertanto, l'idea di far pagare ai ricchi è una bellissima teoria, ma in un Paese come il nostro non funziona. Bisogna far pagare le tasse agli evasori. Per questo motivo noi non ci facciamo incantare dall'idea che ci sia una soluzione evitando la strada più difficile, cioè quella di ridurre l'evasione fiscale, che è un'operazione complessa, politicamente difficile, oltre che dolorosa sul piano elettorale, ma tecnicamente possibile, com’è evidente.
  Non avete bisogno di suggerimenti. L'amministrazione sarebbe in grado di farlo senza i nostri contributi, che però noi potremmo offrire gratuitamente, su come fare e su come risolvere questo problema.
  La questione è che la manovra non è sufficientemente espansiva, banalmente e semplicemente, perché, essendo la principale componente della nostra crisi economica la caduta della domanda interna, se voi continuate a non fare aumentare le pensioni e a non trasferire ed estendere la riduzione delle tasse alle pensioni, tutto sarà molto complicato.
  I miracoli non li credo possibili. Io non credo che ci possa essere crescita da qualche parte. Non illudiamoci che il resto del mondo compri tutto quello che produciamo, perché più di così la vedo difficile nei prossimi due o tre anni.
  Poi c’è la questione scandalosa, non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista dell'etica pubblica, legata al fatto che lo Stato italiano è il peggiore datore di lavoro che ci sia in Italia. A parte quelli che sfruttano il lavoro nero, tutti gli altri imprenditori sono migliori dello Stato italiano. Non rinnovare i contratti significa non solo, ovviamente, penalizzare più di 3 milioni di persone il cui reddito sistematicamente diminuisce di anno in anno, ma soprattutto rappresenta una resa dell'amministrazione a fare una riforma della pubblica amministrazione.
  È una resa. È come dire: «Non ci possiamo fare niente, non abbiamo né le idee, né la forza, né la voglia di modernizzare la pubblica amministrazione. Di conseguenza, non facciamo discussioni, contratti e negoziazioni per vedere come si migliora».
  È l'efficienza il problema. Anche i capi di Governo e i ministri dell'economia hanno riconosciuto che non abbiamo troppi dipendenti e che non sono pagati troppo e, quindi, il nostro vero dramma è la scarsa efficienza. Qualunque impresa privata di servizi, in cui la componente lavoro è importante più che in un'impresa siderurgica, sarebbe fallita con questo sistema di relazioni con i lavoratori. Anche un'azienda buona che adesso funziona, se applicasse la stessa logica con la quale lo Stato amministra i rapporti con i propri dipendenti, fallirebbe nell'arco di poco tempo. Noi non possiamo, giustamente, fallire, perché c’è sempre chi paga le tasse. Non mi sembra un comportamento decente.
  L'ultima questione, che è stata già citata dai miei colleghi, riguarda la vicenda dei patronati. Io capisco perfettamente, vivendo in questo mondo, leggendo i giornali e ascoltando un po’ di meno la televisione, che ci sia una grande voglia, espressa e anche non espressa, di cercare di colpire le organizzazioni sindacali.
  Questo non mi scandalizza. Quello che mi scandalizza è la stupidità. Sapete cosa faremo noi ? Prenderemo i milioni di persone che adesso fanno la fila nelle migliaia di uffici dei patronati dei sindacati – ci vanno milioni di italiani, normalmente quelli meno facoltosi – e li porteremo Pag. 65nelle sedi dell'INPS. Poi, se non basterà fare la fila nelle sedi dell'INPS, li porteremo nelle sedi politiche, di quelli che prendono le decisioni, e gli diremo: «Questi sono coloro che vi devono dire come si fa una pratica per l'invalidità, come si ottiene l'indennità di disoccupazione o come si riceve una notizia sull'ammontare della pensione».
  Questo è esattamente quello che faremo. Volete colpire i sindacati ? Non vi do suggerimenti, ovviamente, ma questa è la strada più stupida. Non pensate che i finanziamenti ai patronati servano a fare chissà che cosa. Servono a questo. Se conoscete o potete informarvi su come funziona, vedrete che funziona così: i contributi vengono dati in proporzione alle pratiche fatte.
  L'INPS e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali controllano che le persone deputate siano capaci, che siano assunte e che siano rispettate le regole. Controllano non solo che le persone siano assunte regolarmente, ma che lavorino lì, in proporzione alla necessità: se ci sono tante pratiche, si deve avere un ufficio, che deve essere al piano terra e via discorrendo. Noi gestiamo un servizio che lo Stato non svolge perché gli costerebbe molto di più e che probabilmente svolgerebbe in maniera anche meno soddisfacente per i cittadini.
  Questa era l'ultima cosa che vi volevo dire. Io penso che ci sia uno spazio ragionevole per fare delle correzioni e per evitare soprattutto quelle scelte francamente poco giustificabili.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola a Giuseppe Carenza, dirigente confederale dell'UGL, per lo svolgimento della relazione.

  GIUSEPPE CARENZA, dirigente confederale dell'UGL. Grazie, presidente. Grazie a tutti coloro che ci ascoltano.
  Noi siamo qui quest'oggi per esporre il nostro punto di vista su questo disegno di legge di stabilità. Noi eravamo convinti, alla luce di quello che il Governo stava mettendo in campo, di trovare un disegno di legge di stabilità che desse veramente crescita e sviluppo a questa Italia. Invece, ci accorgiamo quotidianamente, nonché dalla lettura attenta di questi documenti, che questi sono documenti poco credibili, ovvero che ci sono tanti assenti.
  Parafrasando la riforma de «La buona scuola» che questo Governo sta portando avanti, noi possiamo distinguere tra gli assenti e i presenti in tutto questo disegno di legge di stabilità.
  Gli assenti comprendono il rinnovo del contratto sul pubblico impiego. Sono sei o sette anni che ormai non si rinnovano più i contratti. Abbiamo tante professionalità che vengono tartassate e che sono lì abbandonate e si pretende di ridurre sempre più all'osso la macchina pubblica.
  Noi crediamo, come UGL, che le professionalità che sono in campo in queste strutture, in tutte le pubbliche amministrazioni, debbano essere valorizzate e che possano essere valorizzate se questo Governo vorrà dare un taglio diverso, iniziando dal rinnovo dei contratti della pubblica amministrazione.
  Poi ci sono le risorse per gli ammortizzatori sociali. Non è un dato di oggi, ma ormai è un bel po’ che ascoltiamo quotidianamente che le risorse sono sempre di meno per gli ammortizzatori sociali. Per di più, si è pensato di fare una riforma, e questo è il caso di ricordarlo, per la quale dopo ventiquattro mesi gli ammortizzatori in deroga non saranno più concessi a quei lavoratori. C’è una platea di centinaia, anzi di migliaia di lavoratori che sono senza alcun sostegno al reddito. Come poter affrontare questo tema, se non c’è una maggiore equità fiscale ?
  Questi sono sempre i punti degli assenti, di cui dicevo. Come poter pensare a degli stanziamenti per sviluppare, se non mettiamo mano alle infrastrutture del territorio, se non iniziamo a effettuare veramente l'apertura di grandi cantieri e di grandi imprese che diano lavoro a questa Italia ? È chiaro che avremo grosse difficoltà.
  Infine, il grande assente è il Mezzogiorno. Io, che vengo dal Mezzogiorno, ho notato che ormai sono già tre i Governi Pag. 66che si dimenticano del Mezzogiorno. Dimenticarsi del Mezzogiorno è una cosa grave. Significa spacchettare l'Italia in due tronconi, e non ce lo possiamo permettere.
  Vi invito a fare una riflessione su questo tema. Vi invito a far sì che ci siano iniziative sul Mezzogiorno, a partire dalle infrastrutture, perché sono una questione importante. Non è pensabile che l'alta velocità si fermi a Napoli. Non è pensabile che, per quanto riguarda l'Adriatico, ci si fermi a Pescara. Abbiamo bisogno di arrivare fin giù, perché abbiamo tante strutture. Il Mezzogiorno sarebbe ricco di turismo, se ci fossero le condizioni per arrivare a fare turismo in Puglia, Calabria e Sicilia. Questo, invece, non ce lo consentite con questa iniziativa, ma ciò sarebbe importante.
  Un'altra filiera importantissima che io vedo assente in questa manovra è quella delle politiche attive per i giovani nell'agricoltura. Ormai, da tutti gli studi che si fanno si evince che l'agricoltura è una filiera che ha buone possibilità di crescita. Leggevo, qualche giorno fa, di un 5-6 per cento in più di occupazione rispetto a tutti gli altri settori, che sono in negativo. Come pensare, allora, di non confermare ciò che già esisteva, ossia la possibilità che i giovani si impiegassero in agricoltura, con un cambio generazionale, attraverso tassi agevolati, esistenti fino all'altro giorno ?
  Questo, chiaramente, si ripercuote – sempre il discorso delle assenze che vi facevo – sulle prestazioni socio-sanitarie, sul welfare. Tante regioni sono in grossa difficoltà. L'abbiamo sentito oggi, nel corso dell'audizione che ci ha preceduti.
  Io credo che, se noi non riteniamo di valorizzare il welfare, se non riteniamo di valorizzare le prestazioni socio-sanitarie, probabilmente tutte quelle regioni che hanno fatto la scelta di ridurre o di chiudere gli ospedali e di creare strutture come le RSA, per far sì che il cittadino possa avere un riferimento, rappresentino ormai definitivamente un capitolo chiuso. Le regioni, se vorranno fare questo, lo dovranno fare soltanto tassando maggiormente, oltre a quanto già tassano sulle base delle ultime manovre.
  Sono poi grandi assenti le pensioni e la previdenza. Le pensioni sono assenti perché non sono state valorizzate. Sì, abbiamo dato gli 80 euro a una fascia di utenza. Forse, in quel momento, il Governo aveva interesse a pagare, con quel decreto-legge, gli 80 euro. Noi siamo favorevoli, ma sarebbe stato opportuno che anche le pensioni, che sono ridotte all'osso, con gente che vive di qualche centinaio di euro, venissero rivalorizzate.
  Quanto alla previdenza, noi abbiamo fatto tante campagne sulla previdenza complementare. Chi fa sindacato, chi fa politica, ormai da decenni parla della terza gamba, perché c’è l'esigenza di far sì che i pensionati, o i lavoratori che vanno in pensione, possano, con la previdenza complementare, avere quanto meno un sostegno, nel momento in cui vanno in pensione, più dignitoso. Questo, invece, non sarà possibile, se questa sarà la manovra.
  Infine, il taglio ai patronati – chiedo scusa, l'hanno detto anche i colleghi – è impensabile: ci sono stati Governi che hanno consentito di aprire questa funzione anche ad alcune strutture, a delle Srl che miravano a far patronato, che poi, di punto in bianco, hanno messo da parte, per fare, come diceva qualche collega prima, la guerra ai sindacati, alle confederazioni.
  Io credo che noi possiamo dire di aver sempre servito gratuitamente i cittadini che si sono rivolti ai nostri sportelli. Non si può pensare a questi tagli, perché ci sarebbero circa 5.000 dipendenti che saremmo probabilmente obbligati a mettere in disoccupazione.
  Queste sono le cose che, come UGL, noi riteniamo siano assenti dalla manovra. Invito il presidente, ma anche tutti i parlamentari, a prenderne coscienza.
  Passando ai presenti, invece, abbiamo notato alcune iniziative presenti, che valorizziamo e a cui diamo il nostro assenso.
  Il bonus degli 80 euro avrebbe dovuto essere un bonus per i consumi, ma, se viene tracciato in quel modo, così come è disegnato, difficilmente riuscirà a generare consumi, se poi ci ritroviamo con le tasse Pag. 67che aumenteranno e con l'IVA che aumenta di due punti percentuali. Diamo, quindi, 80 euro di bonus, ma forse ai lavoratori del pubblico impiego che non hanno rinnovato il contratto abbiamo tolto, fino ad oggi, 114 euro annualmente. Dov’è l'utile per il lavoratore, per il cittadino ? Non c’è.
  Quella degli sgravi contributivi e delle assunzioni a tempo indeterminato è un'ottima iniziativa, ma io credo che i fondi siano molto esigui. Gli sgravi contributivi, che si chiedevano già da tempo, sono una bella cosa, perché consentono ai lavoratori, ai cittadini, di poter programmare un futuro. Noi avvertiamo, però, che forse per tre o quattro mesi nel 2015 le aziende potranno affrontare queste operazioni. Dopodiché, forse non riusciranno più a fare altre assunzioni. Quando le aziende assumeranno con questa prospettiva e poi si ritroveranno davanti a un «no» da parte del Governo centrale, io non vorrei trovarmi dalla parte di chi governa questa Italia.
  Parlavo prima del piano «La buona scuola». È il fiore all'occhiello di questo Governo. Forse, però, non teniamo a riferimento che ci sono tagli per oltre 2.000 dipendenti ATA, ossia assistenti, tecnici e amministrativi. Quale buona scuola si può fare, se vengono a mancare i laboratori ? Quale buona scuola si può fare, se vengono a mancare le segreterie ?
  È vero, stiamo accorpando le scuole, le stiamo riducendo all'osso, stiamo cercando di ridurre il più possibile. Tuttavia, come taglio, ci sono oltre 2.000 dipendenti fuori da questo piano «La buona scuola». Daremo, quindi, forse un piano «La buona scuola» alle famiglie, agli alunni che si accingeranno a entrare, ma forse non sarà proprio una buona scuola.
  Cosa dire poi del TFR ? Noi riteniamo che il TFR potrebbe essere revisionato. L'iniziativa di questo Governo non ci convince, perché in busta paga comporta una doppia tassazione del 3 per cento per quelle quote di TFR, ma non c’è assolutamente un aumento della retribuzione.
  Noi, invece, abbiamo proposto al Governo e abbiamo consegnato a Palazzo Chigi il 7 ottobre un documento in cui proponevamo che l'articolo 2120 del codice civile prevedesse una casistica più ampia, con possibilità per i dipendenti di dilazionare il TFR in più richieste e non in un'unica richiesta.
  Forse questa potrebbe essere un'occasione per consentire che il TFR resti comunque un valore aggiunto, affinché, quando si arriva alla fine della carriera lavorativa, si possa avere quanto meno un minimo vitale per potersi mantenere.
  Tutto questo, chiaramente, noi lo vediamo in un rilancio dei consumi e dell'equità fiscale. Noi, come parte sindacale, crediamo all'equità fiscale, che però in questa riforma non leggiamo bene.
  Passo velocemente alla riduzione dell'IRAP. Il dato è questo: la riduzione dell'IRAP forse avvantaggerà le grandi imprese, ma le migliaia di piccole e medie imprese certamente non avranno un ottimo risultato, anzi saranno ridotte e non avranno un bell'impatto.
  Per quanto riguarda, invece, la decontribuzione, essa manca proprio.
  Per quanto riguarda i premi di produttività, non si può pensare di parlare di contratti di secondo livello se poi non c’è la possibilità di avere una somma da erogare come premio di produttività. Queste sono le cose che noi chiediamo.
  In ultimo, c’è la lotta all'evasione e al lavoro nero e sommerso. Se in questa manovra pensavamo di trovare 250 dipendenti, ispettori della Direzione territoriale del lavoro, che avrebbero dovuto essere assunti per la lotta al lavoro nero e per l'emersione, in questa occasione non ce li ritroviamo.
  Per questo motivo noi riteniamo che questa sia una manovra che andrebbe rivista e ridisegnata con gli spunti che vi stiamo fornendo, forse perché, se ci fosse più concertazione, probabilmente anche questo Governo avrebbe un miglior percorso di politica.

  PRESIDENTE. Grazie. Le relazioni sono state esaustive, ragion per cui chiedo Pag. 68domande telegrafiche e risposte iper-telegrafiche.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIANNI MELILLA. Grazie, presidente. Grazie ai rappresentanti delle confederazioni sindacali per il loro contributo. Se fossero stati qui ieri sera, si sarebbero resi conto ancora di più di quello che ci hanno detto, ossia di come, al calore e all'entusiasmo della Confindustria, che ha salutato con grande piacere questo disegno di legge di stabilità, siano corrisposti, invece, il loro parere critico e le loro osservazioni.
  C’è una domanda che voglio farvi. Uno dei punti più importanti di questa manovra è lo sgravio contributivo per le assunzioni con contratto a tempo indeterminato. Avete fatto uno studio, avete un vostro punto di vista sull'impatto che ciò avrà sullo stock di contratti a tempo determinato in essere e sulla possibile trasformazione dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, come si prefigge il provvedimento in esame ?
  Per i patronati è assolutamente incostituzionale questa norma, perché i patronati non li paga lo Stato. I patronati li pagano i lavoratori. È incostituzionale togliere quote della previdenza passandole alla fiscalità generale. Io penso, quindi, che su questo punto si tornerà indietro, altrimenti ci sarà un conflitto che sarà sollevato, in quanto c’è una palese violazione della Costituzione.

  GIANFRANCO LIBRANDI. Ringrazio i sindacati, anche se ho riscontrato un po’ di aggressività in alcuni passaggi.
  Volevo fare una precisazione. La disoccupazione giovanile non è al 40 per cento. Il 40 per cento è il tasso dei giovani dai 15 ai 24 anni che non studiano. In effetti, per tutti i giovani la disoccupazione è al 14 per cento, perché i nostri imprenditori italiani credono nell'Italia e combattono in Italia con orgoglio, nonostante le tasse doppie rispetto a tutti gli altri Paesi. Suggerirei, quindi, di non parlare di 40 per cento, quando la percentuale è del 14 per cento.
  Per quanto riguarda il resto, per sintetizzare velocemente, io penso che le nostre aziende abbiano un problema di competitività, ma non nei confronti della Cina, bensì nei confronti della Germania. Noi siamo più cari della Germania del 10 per cento per mille motivi, magari perché gli imprenditori non hanno investito e perché non si sono create le condizioni per lavorare bene insieme con il sindacato.
  Pertanto, io su questo aspetto difendo la legge di stabilità, perché cerca di essere una legge equilibrata, di spingere la domanda e di sostenere l'offerta, di trovare una soluzione in un momento difficile anche a livello mondiale. Chiedo, quindi, a voi del sindacato se siete disponibili, invece di parlare di vertenze, di scioperi e di milioni di persone nelle sedi politiche, a lavorare insieme con gli imprenditori e col Governo per cercare di analizzare i contratti locali uno per uno, perché ogni azienda ha la sua particolarità, e per cercare di trovare una soluzione che faccia in modo che, collaborando, tutti abbiano dei vantaggi immediati.

  MAINO MARCHI. Molto brevemente, mi pare di non aver sentito molte valutazioni sulla questione del fondo per gli ammortizzatori sociali. Vorrei un giudizio su questo piano.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  LUIGI ANGELETTI, segretario generale della UIL. Non abbiamo fatto studi perché è assolutamente difficile farli e anche perché le imprese, finché non vedono che una legge esiste, non la prendono neanche in considerazione. Secondo me, però, il vantaggio dei costi è apprezzabile. Certamente i contratti a termine hanno un altro vantaggio, che non è monetizzabile immediatamente per le imprese, nel senso che se ne liberano quando decidono, cosa che, secondo me, aiuta molto.Pag. 69
  Chiedo scusa se sono stato aggressivo. Non era mia intenzione. Sono i vizi del mestiere. Noi abbiamo fatto 10.000 accordi aziendali quest'anno. Siamo dei sindacati che fanno del negoziato la propria ragione d'essere e negoziamo con tutti coloro che sono disposti a negoziare. Se lei ha avuto la possibilità di conoscere il merito dei negoziati e degli accordi, saprà perfettamente che sono tutti, sia quelli buoni, ossia quelli che danno, perché l'azienda va bene, sia, paradossalmente, quelli che, purtroppo, non sono fatti per dare, ma per togliere, ispirati a spirito costruttivo e collaborativo.
  La nostra competizione con la Germania la pagano soprattutto i lavoratori, perché, come lei sa, hanno dei salari inferiori del 40 per cento mediamente. È vero che tutto il resto costa di più in Italia, ma chi paga sono solo i lavoratori dipendenti.
  Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, noi pensiamo che la quantità finanziaria sia insufficiente. Ovviamente, si spera sempre che le cose migliorino e che la cassa integrazione si riduca, ma obiettivamente, allo stato reale dell'arte, ossia di ciò che è realistico prevedere, la quantità finanziaria è insufficiente a garantire il livello di copertura che viene promesso.

  DANILO BARBI, segretario confederale della CGIL. Noi pensiamo che la misura sul tempo indeterminato si debba vedere insieme al Jobs Act. Il Jobs Act ridefinisce il concetto stesso di nuovi contratti a tempo indeterminato. Noi temiamo, per come è formulata, che in parte tale forma sia sostitutiva di altre tipologie di lavoro esistenti. L'ho già detto prima.
  Per quanto riguarda il 40 per cento, mi dispiace – una persona ha fatto un'obiezione – ma prendiamocela con ISTAT e con Eurostat. La disoccupazione giovanile si calcola sui giovani che cercano lavoro. Io potrei dire, per esempio, che non sono calcolati gli scoraggiati, che porterebbero a una percentuale ancora più alta. Io ho citato i dati ufficiali dell'ISTAT.
  Per quanto riguarda il tema dell'aggressività, è interessante. Questo è giusto. Personalmente confesso di essere stato un po’ aggressivo, perché penso che questo Paese vada verso un punto di collisione. Poiché noi stiamo nei posti socialmente più esposti, sentiamo crescere nel Paese una rottura sociale e il nostro compito è trasportarla in queste auliche aule.
  Per quanto riguarda la disponibilità a discutere, tendenzialmente siamo sempre disposti a discutere, anche con coloro con cui non siamo d'accordo. Bisognerebbe dire la stessa cosa al Governo.
  In merito voglio dire una cosa chiara, almeno per quanto riguarda la CGIL: noi non consentiremo facilmente a questo Governo di modificare l'articolo 18, così come hanno provato a fare Berlusconi e Monti prima, per un fatto di coerenza. Se ci vogliono provare, visto che la modifica di cui si parla è esattamente quella, ossia liberare un canale di licenziamenti illegittimi, che lo facciano. Noi ne mastichiamo di queste cose e vediamo nei testi una singolare coincidenza, da dieci anni, con questo tentativo. Noi pensiamo di opporci brutalmente a questo tentativo. Lo voglio dire anche qui.
  Infine, sugli ammortizzatori noi pensiamo che la cifra attuale non allarghi gli ammortizzatori perché riformula la cassa in deroga. Ammette, quindi, alcune nuove figure, di cui aumenta un finanziamento strutturale, ma riduce il finanziamento straordinario di altre, in particolare nella piccola impresa.
  Non è, dunque, un'operazione di allargamento, ma solo di allargamento di una copertura strutturale, che però varrebbe quando uno ha perso il posto di lavoro. Avrebbe quest'altra differenza rispetto ad altre coperture, come la cassa in deroga, che per un dato periodo mantiene il rapporto di lavoro.

  MAURIZIO PETRICCIOLI, segretario confederale della CISL. Sulla questione del finanziamento per i contratti a tempo indeterminato forse, per togliere un equivoco che è presente anche in quest'audizione, è necessario inserire un criterio di aggiuntività e togliere, quindi, questo tipo di meccanismo.Pag. 70
  Passando alla seconda questione, come hanno già detto altri, i fondi per gli ammortizzatori sociali sono insufficienti. Basta che guardiamo la dimensione utilizzata nella cassa integrazione in deroga nell'anno precedente e ci rendiamo conto di che cosa stiamo parlando. Questo si può fare anche in base alle stesse dichiarazioni che il Governo rilascia rispetto agli occupati e ai disoccupati. Ciò significa che di ammortizzatori ci sarà ancora bisogno per tutto il 2015.

  GIUSEPPE CARENZA, dirigente confederale dell'UGL. Per quanto riguarda la partecipazione, l'UGL fa da sessantaquattro anni una battaglia. Noi crediamo che l'articolo 46 della Costituzione ci inviti alla partecipazione, a discutere con le aziende e con il Governo. L'abbiamo sempre fatto, non ci siamo mai tirati indietro. Lo vorremmo fare, ma abbiamo visto che questo Governo probabilmente ha qualche difficoltà.
  Per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali in deroga, o meglio per gli ammortizzatori sociali in generale, secondo gli studi che noi abbiamo, e che abbiamo allegato alla relazione, i 2 miliardi di euro a decorrere dal 2015 a legislazione attuale sono insufficienti. Non riusciremmo nemmeno a coprire per tre o quattro mesi la platea dei lavoratori che ad oggi ha diritto agli ammortizzatori, considerato anche che c’è stata questa universalizzazione del trattamento.
  Per gli sgravi contributivi, sempre secondo i nostri studi, se parliamo di sgravi massimi di 8.060 euro annui per tre anni, ciò significa, in parole povere, per renderci conto di che cosa stiamo parlando, di un'assunzione più o meno di 100-120 mila dipendenti. Io credo che, in un'Italia con 56 milioni di lavoratori e con chi dice il 40, chi dice il 14 per cento di disoccupati – c’è un divario non indifferente –, sia opportuno tenere a riferimento che c’è l'esigenza di ricoprire e di rimpinguare quella fonte.

  PRESIDENTE. Grazie a tutte le organizzazioni sindacali per il loro contributo. Dichiaro conclusa l'audizione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI BARBARA SALTAMARTINI

Audizione di rappresentanti di Assoprevidenza.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti di Assoprevidenza.
  Sono presenti Sergio Corbello, presidente, e Gianfranco Verzaro, consigliere di amministrazione.
  Ricordo ai colleghi che abbiamo soltanto venti minuti e che poi dobbiamo scendere in Aula per il voto di fiducia. Diamo, quindi, subito la parola ai nostri ospiti.

  SERGIO CORBELLO, presidente di Assoprevidenza. Grazie, presidente. Assoprevidenza è un centro tecnico di previdenza e assistenza complementare ed è un'entità no profit. Noi non rivendichiamo, quindi, alcuna rappresentatività di carattere sociale, ma esprimiamo delle opinioni di carattere meramente tecnico.
  Detto questo, come tecnici, noi siamo anche politicamente scorretti, nel senso che tendiamo a dire le cose che pensiamo che vadano bene o che non vadano bene dal punto di vista della nostra ottica, che è settoriale, ed è quella della previdenza.
  Noi esprimiamo un totale dissenso all'approccio del disegno di legge di stabilità, che ci pare punitivo e distruttivo nei riguardi del comparto previdenziale e soprattutto della previdenza complementare.
  Ci è venuto addirittura un dubbio tecnico, ossia che forse si stia parlando di qualcosa che il Governo considera diverso Pag. 71dalla realtà. Ci viene il dubbio che la previdenza, e la previdenza complementare in particolare, sia considerata un prodotto finanziario e non già un servizio che integra le prestazioni previdenziali di base, secondo una visione che dagli anni Novanta ha addirittura sottolineato in più pronunce la stessa Corte costituzionale.
  Detto questo, cercando di sottrarre meno tempo possibile alle Commissioni, svolgo due argomenti chiave.
  La prima riguarda il TFR in busta paga. Ricordo come il TFR sia il presupposto per la previdenza complementare nel nostro Paese per quanto riguarda i lavoratori subordinati. Il TFR pesa il 7 per cento della retribuzione. Pertanto, con il 7 per cento di TFR, qualche minimo punto a carico del datore di lavoro e qualche minimo punto a carico dei lavoratori, si arriva a quel 10 per cento che è uno zoccolo minimo, dal punto di vista tecnico, per fare una previdenza complementare che abbia un senso.
  In altri Paesi si può fare un ragionamento diverso. Non c’è il TFR, ma c’è anche una contribuzione alla previdenza di base molto più bassa. Noi dobbiamo coprire attraverso il metodo ripartitivo le promesse pensionistiche dell'Istituto nazionale della previdenza sociale e, quindi, non possiamo immaginare nel breve periodo di abbattere i contributi alla previdenza di base. Senza il TFR non si fa, quindi, previdenza complementare per mancanza di provvista di risorse.
  Peraltro, sottolineiamo che il TFR è una realtà di cui le aziende non hanno più disponibilità, se hanno più di 50 dipendenti. Ne hanno disponibilità se sono al di sotto dei 50 dipendenti, ove i loro dipendenti non abbiano già fatto la scelta di mettere il TFR a previdenza complementare.
  Ci sembra, quindi, che l'ipotesi del TFR in busta paga, da un lato, destabilizzi la previdenza complementare – in questo senso ci ha fatto molto piacere che la stessa Banca d'Italia, pur con tutti i pudori istituzionali che caratterizzano un'istituzione come Banca d'Italia, abbia detto esattamente questo – e, dall'altro, rischi di andare a colpire ulteriormente le piccole e medie imprese, che hanno già delle grosse problematiche di liquidità e di approvvigionamento del credito e che utilizzano quello che resta del TFR in forma di autofinanziamento.
  La nostra contrarietà a questa norma, dunque, è totale e ne suggeriamo la cassazione.
  La seconda questione per cui ci sembra veramente che l'equivoco tra prodotti finanziari e previdenza complementare sia stato pieno è la tassazione della previdenza complementare. Sottolineo che l'equivoco in questione ci pare coinvolgere addirittura anche le casse professionali, che sono il primo pilastro, ma credo che vi sia stata già un'audizione da parte dell'AdEPP e che questo aspetto sia stato ampiamente evidenziato.
  Per quanto riguarda la previdenza complementare, vi è un fil rouge che unisce i Paesi dell'Unione europea e i Paesi contigui all'Unione europea. Penso alla Confederazione svizzera e al Regno Unito. Si tratta di favorire al massimo lo sviluppo della previdenza complementare a capitalizzazione.
  Le motivazioni sono piuttosto elementari. Da un lato, si tratta di integrare con i servizi previdenziali dei fondi pensione le carenze della previdenza di base e il tasso di sostituzione modesto di tutta la previdenza di base a livello europeo. Noi abbiamo ancora, tutto sommato, i tassi più alti. Dall'altro lato, si tratta di favorire lo sviluppo di investitori istituzionali che svolgano una funzione virtuosa sul mercato.
  Detto questo, il favor di tutti i Governi europei, indifferentemente dal colore politico e dall'avvicendarsi delle maggioranze, si estrinseca anche nel dato fiscale. Il regime europeo di tassazione dei fondi pensione è EET, un acronimo che corrisponde a «esenzione dei contributi al versamento, esenzione dei rendimenti durante il periodo di permanenza del piano previdenziale e tassazione delle prestazioni».
  Noi abbiamo già derogato a questo schema europeo e abbiamo una modesta esenzione dei contributi – sono i vecchi 10 milioni di lire trasformati in poco più di 5.000 euro – fermi da dieci anni e, quindi, Pag. 72sempre in riduzione. La bassa inflazione degli ultimi anni rende ciò meno evidente.
  Avevamo una tassazione dell'11 per cento sui rendimenti, portata all'11,50 quest'anno e ipotizzata al 20 per cento. E segnalo – attenzione – che si tratta del 20 per cento sul maturato, non sul realizzato. In sintesi, fare l'ipotesi di tassare al 20 per cento il maturato di un fondo pensione significa trattarlo peggio di un prodotto finanziario, perché il 26 per cento sul realizzato è sicuramente meno del 20 per cento sul maturato. Questa è una cosa scandalosa, che ci pare veramente una follia.
  Aggiungo che in Europa la tassazione interviene sulle prestazioni. Peraltro, il regime delle prestazioni nel nostro Paese è particolarmente favorevole, ma non bisogna essere soverchiamente maliziosi per constatare il fatto che di prestazioni ce ne sono pochissime. Non c’è materia su cui mordere, diciamoci la verità. Di conseguenza, il timore di tutti gli iscritti ai fondi pensione è che si cambi in corso d'opera. A questo punto, forse, bisognerebbe riprendere in mano la materia e fare un ragionamento di carattere complessivo.
  Dimenticavo di dire che in questo approccio distruttivo della previdenza complementare tassare di più vuol dire accumulare di meno, vuol dire abbassare le prestazioni, che sono la trasformazione del montante, vuol dire impedire l'accumulo, vuol dire avere meno investimenti da parte di un investitore istituzionale. Questo è un circolo non virtuoso per la previdenza complementare.
  La nostra proposta è, da un lato, di evitare la retroattività del provvedimento, che è un'altra ingiuria terrificante – che va contro ogni tipo di logica e contro lo Statuto del contribuente – e, dall'altro, di mantenere per il 2015 invariata la tassazione all'11,50 per cento, che può essere anche il 12,50, con una delega al Governo a riordinare l'intera materia.
  In tutta onestà – questo lo dico a titolo personale – la circostanza che ci sia una tassazione finale in misura fissa, a prescindere dalla progressività, forse ha un cattivo odore di non costituzionalità che è piuttosto pesante.
  Negli altri Paesi si tassano con l'IRPEF ordinaria le prestazioni della previdenza complementare, come la previdenza di base, ragionando anche su possibilità di abbattimento per la lunghezza del mantenimento dell'investimento previdenziale. Ricordo che anche nel nostro Paese un regime di questo genere era stato istituito nella famosa circolare Guarino per le polizze vita, in cui vi era proprio un abbattimento in funzione del fattore tempo. La durata dell'investimento giustifica uno specifico abbattimento.
  Tornando alle proposte, suggeriamo di modificare l'aliquota per il 2015, con delega al Governo di rivedere l'intera materia della tassazione della previdenza complementare.
  In stretto subordine, come si usa nelle comparse in chiave giudiziaria, suggeriamo di mantenere immodificato l'anno 2014, ovviamente senza retroattività, ciò che vale in ogni caso, e di prevedere un'aliquota del 15 per cento per l'anno prossimo, ma sul realizzato e non sul maturato e comunque sempre con delega al Governo per riordinare la materia.
  Questo ci sembrerebbe un approccio tecnicamente commendevole, non punitivo per la previdenza complementare e soprattutto non alterativo di un equilibrio costituzionalmente considerato tra previdenza di primo pilastro e previdenza di secondo pilastro, per arrivare a un risultato unitario – come ha detto la Corte costituzionale – di adeguatezza delle prestazioni pensionistiche.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.

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