XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 2 di Lunedì 3 novembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 3 
Boccia Francesco , Presidente ... 12 
Galli Giampaolo (PD)  ... 12 
Marcon Giulio (SEL)  ... 13 
D'Incà Federico (M5S)  ... 13 
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 13 
Fanucci Edoardo (PD)  ... 14 
Santini Giorgio  ... 14 
Simonetti Roberto (LNA)  ... 14 
Boccia Francesco , Presidente ... 15 
Signorini Luigi Federico , vicedirettore generale della Banca d'Italia ... 15 
Boccia Francesco , Presidente ... 16 

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Boccia Francesco , Presidente ... 16 
Alleva Giorgio , presidente dell'ISTAT ... 16 
Boccia Francesco , Presidente ... 22 
Tabacci Bruno (Misto-CD)  ... 22 
Librandi Gianfranco (SCpI)  ... 23 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 23 
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 24 
Lai Bachisio Silvio  ... 24 
Galli Giampaolo (PD)  ... 25 
Boccia Francesco , Presidente ... 25 
Alleva Giorgio , presidente dell'ISTAT ... 25 
Boccia Francesco , Presidente ... 28 
Baldacci Emanuele , direttore del dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca dell'ISTAT ... 28 
Boccia Francesco , Presidente ... 28 

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Boccia Francesco , Presidente ... 28 
Squitieri Raffaele , presidente della Corte dei conti ... 28 
Boccia Francesco , Presidente ... 38 
Tancredi Paolo (NCD)  ... 39 
Melilla Gianni (SEL)  ... 39 
Guerra Mauro (PD)  ... 39 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 39 
Zanoni Magda Angela  ... 39 
Boccia Francesco , Presidente ... 40 
Squitieri Raffaele , presidente della Corte dei conti ... 40 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 41 
Squitieri Raffaele , presidente della Corte dei conti ... 41 
Flaccadoro Enrico , consigliere della Corte dei conti ... 41 
Boccia Francesco , Presidente ... 42 

Audizione di rappresentanti del CNEL (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Boccia Francesco , Presidente ... 42 
Marzano Antonio , presidente del CNEL ... 42 
Boccia Francesco , Presidente ... 46 

Audizione di rappresentanti di Confindustria (Attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera):
Boccia Francesco , Presidente ... 47 
Squinzi Giorgio , presidente di Confindustria ... 47 
Boccia Francesco , Presidente ... 50 
Galli Giampaolo (PD)  ... 50 
Fassina Stefano (PD)  ... 50 
Santini Giorgio  ... 51 
D'Incà Federico (M5S)  ... 51 
Boccia Francesco , Presidente ... 52 
Squinzi Giorgio , presidente di Confindustria ... 52 
D'Incà Federico (M5S)  ... 54 
Squinzi Giorgio , presidente di Confindustria ... 54 
Boccia Francesco , Presidente ... 54 

Allegato 1: Documentazione depositata dalla Corte dei conti ... 55 

Allegato 2: Documentazione depositata dal CNEL ... 111

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 17.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Banca d'Italia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti della Banca d'Italia.
  È presente il dottor Luigi Federico Signorini, vicedirettore generale della Banca d'Italia, che è accompagnato dal dottor Eugenio Gaiotti, capo del Dipartimento economia e statistica, dal dottor Paolo Sestito, capo del Servizio struttura economica, dal dottor Sandro Momigliano, dirigente presso il Servizio struttura economica, e dalla dottoressa Antonella Dragotto, titolare della Divisione stampa e relazioni esterne.
  Do la parola al dottor Luigi Federico Signorini, vicedirettore generale della Banca d'Italia.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Grazie, presidente. Ringrazio le Commissioni.
  Ci vediamo dopo poche settimane dall'occasione in cui ho avuto modo di discutere, in questa stessa sede, la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (DEF). In quell'incontro ho fornito elementi sul quadro macroeconomico, sullo stato dei conti pubblici, sulle riforme e sulla rispondenza dei programmi alle regole di bilancio. Ritorno molto brevemente su questi aspetti solo per rammentare alcune osservazioni che rimangono particolarmente importanti e per dare conto di alcuni sviluppi degli ultimi giorni.
  In primo luogo vorrei ribadire che lo scenario macroeconomico programmatico delineato dalla Nota di aggiornamento è nel complesso condivisibile, come dicevo allora, e in linea con la valutazione dei principali previsori, pur se, come rilevato, soggetto a rischi. L'aumento della volatilità sui mercati finanziari, osservato nelle ultime settimane, non altera il giudizio sullo scenario, ma conferma questi rischi al ribasso e pone ancora di più in risalto l'importanza di politiche volte a ridurre l'incertezza e a sostenere la crescita.
  Relativamente alla politica di bilancio, nei giorni scorsi, dopo un confronto con la Commissione europea, il Governo si è impegnato ad accentuare la correzione strutturale programmata per il 2015, portandola a tre decimi di punto percentuale del prodotto e utilizzando a tal fine soprattutto fondi di riserva già previsti nel disegno originale della manovra. Questi aggiustamenti non modificano in misura sostanziale il disegno complessivo della politica di bilancio.Pag. 4
  Al riguardo, nel nostro ultimo incontro rilevavo che il Governo aveva ricercato un punto di equilibrio tra le esigenze del sostegno della crescita e la disciplina di bilancio. Data l'eccezionale profondità e durata della recessione, il rallentamento nel processo di aggiustamento dei conti pubblici proposto può contribuire a evitare il rischio di una spirale recessiva. Ricordo nel testo successivo quali sono i prossimi passaggi istituzionalmente noti.
  Tenendo conto dell'impegno preso dal Governo, la manovra di bilancio mirerebbe a conseguire nel prossimo anno un indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche pari al 2,6 per cento del PIL, a fronte del 3 per cento atteso per quest'anno e del 2,2 per cento stimato per il 2015 in base alla legislazione vigente.
  In estrema sintesi, la manovra si caratterizza per una significativa riduzione del cuneo sul lavoro (13,9 miliardi di euro, di cui 2,7 già reperiti con il decreto dello scorso aprile) ed è finanziata soprattutto con un aumento dell'indebitamento netto, con misure di contrasto all'evasione e con riduzioni nette di spesa, escludendo da quest'ultima il credito d'imposta per i redditi medio-bassi.
  L'impatto della manovra sul prodotto dipenderà, tra l'altro, dalle modalità con cui verranno effettuati i risparmi di spesa. Sarà cruciale l'effetto sulla fiducia di famiglie e imprese, che può essere rilevante se le misure adottate saranno percepite come un orientamento duraturo di politica economica.
  Rispetto agli andamenti a legislazione vigente, gli interventi programmati determinerebbero nel 2015 un aumento dell'indebitamento netto di circa 6 miliardi di euro (0,4 per cento del PIL). Come è noto alle Commissioni, questi numeri sono cambiati rispetto al nostro precedente appuntamento per effetto degli eventi intervenuti nel frattempo.
  Sulla base delle informazioni disponibili, la manovra ridurrebbe le entrate di un miliardo di euro e accrescerebbe le spese di 4,9 miliardi di euro. Riclassificando tra le entrate il credito di imposta per i redditi medio-bassi, che ha natura ibrida ed è formalmente contabilizzato come un aumento di spesa, entrambi gli aggregati verrebbero ridotti dagli interventi, rispettivamente, di circa 8 e di circa 2 miliardi di euro.
  Nel 2016 l'effetto sul disavanzo sarebbe sostanzialmente nullo, mentre è programmata un'azione restrittiva nel 2017.
  In assenza di un quadro programmatico ufficiale analitico, si può stimare che, per effetto della manovra, la spesa primaria complessiva, che include il credito d'imposta per i redditi medio-bassi, aumenti rispetto al 2014 dello 0,7 per cento, sostanzialmente in linea con il tasso di inflazione atteso. L'incidenza sul prodotto delle entrate rimarrebbe pressoché stabile.
  Nel seguito di questa relazione mi concentrerò solo sui principali interventi: la riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, le altre misure di sostegno dell'economia, il finanziamento delle riforme dell'istruzione e del mercato del lavoro, le principali modalità di copertura (riduzioni di spesa, contrasto all'evasione, clausole di salvaguardia) e concluderò con alcuni commenti di carattere generale.
  Parlando innanzitutto degli interventi volti a ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, il disegno di legge del Governo prevede diversi interventi di questo genere. Viene reso permanente il credito d'imposta per i lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi. Il costo del lavoro per gli occupati a tempo indeterminato viene escluso stabilmente e in modo generalizzato dalla base imponibile dell'IRAP. Per i lavoratori assunti nel 2105 con contratto a tempo indeterminato, il datore di lavoro sarà, inoltre, esonerato per tre anni dal versamento dei contributi previdenziali.
  Secondo le valutazioni ufficiali, complessivamente queste misure comporterebbero maggiori oneri per circa 11 miliardi di euro nel 2015, quasi 13 nel 2016 e 12,5 nel 2017.
  Il credito di imposta per i lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi, introdotto in via temporanea nella scorsa primavera, diventa permanente. Al finanziamento della misura, che è pari a 9,5 miliardi di euro annui, concorrono le Pag. 5risorse già destinate a tale scopo, soprattutto con riduzioni di spesa, dal provvedimento di aprile.
  Il disegno del credito d'imposta è sostanzialmente analogo a quello del provvedimento che è attualmente in vigore. Dal 2015 il bonus viene erogato per l'intero anno, anziché per otto mesi come nel 2014. Il valore annuo massimo del credito d'imposta passa, quindi, da 640 a 960 euro.
  La stabilizzazione del beneficio, agendo sulle aspettative delle famiglie circa il loro reddito disponibile futuro, concorrerà ad accrescere l'impatto positivo della misura sui consumi. Può anche rappresentare uno stimolo alla partecipazione al mercato del lavoro per persone con un salario potenziale contenuto.
  Nel disegno di legge presentato dal Governo il bonus viene erogato nell'importo massimo di 960 euro annui a tutti i contribuenti con redditi da lavoro dipendente e assimilati, a condizione che la loro imposta lorda sia superiore alla detrazione da lavoro e che il reddito complessivo non superi i 24.000 euro annui.
  L'importo del beneficio si riduce linearmente per i contribuenti con redditi compresi tra questa soglia di 24.000 euro e 26.000 euro. Restano dunque esclusi dal godimento del bonus sia i lavoratori con redditi superiori a questa cifra sia quelli con redditi inferiori a circa 8.100 euro annui. L'entità del beneficio è rapportata al periodo di lavoro annuo ed è indipendente dalla struttura familiare del contribuente.
  Rispetto al quadro tendenziale per il 2015, la riduzione dell'aliquota media effettiva per i lavoratori coinvolti è significativa, soprattutto nel caso dei redditi appena superiori a 8.100 euro. L'effetto sulle aliquote marginali è dovunque nullo, con l'unica eccezione dei contribuenti con redditi compresi tra 24.000 e 26.000 euro, per i quali il rapido calo del credito d'imposta determina un sensibile aumento delle aliquote marginali effettive in questo ristretto intervallo, che raggiungono livelli molto elevati. Sarebbe opportuno in prospettiva, per attenuare tale problema, ampliare la fascia di reddito in cui il beneficio linearmente si riduce.
  Quanto all'IRAP, il costo del lavoro per gli occupati a tempo indeterminato viene escluso dalla base imponibile dell'imposta a partire dal 2015. La misura va nella direzione di semplificare la struttura dell'imposta, assorbendo di fatto alcune forme parziali di deduzione già previste dalla normativa vigente. Vengono contestualmente abrogate le disposizioni di riduzione delle aliquote della scorsa primavera.
  Complessivamente le misure in materia di IRAP determinano un minore gettito valutato ufficialmente in 2,7 miliardi di euro nel 2015 e nell'ordine di 4 miliardi di euro dal 2016, tenendo anche conto degli effetti indotti sulle imposte sul reddito, dalle quali è attualmente possibile dedurre una quota dell'IRAP gravante sul costo del lavoro.
  Non vengono però formalmente abrogati gli sgravi concessi negli scorsi anni, che hanno progressivamente ampliato la deduzione del costo del lavoro a tempo indeterminato dalla base imponibile dell'IRAP. Si introduce infatti un'ulteriore riduzione pari alla differenza, se positiva, tra il costo del lavoro a tempo indeterminato e le deduzioni previste dalla legislazione vigente. In prospettiva sarà utile procedere a una semplificazione delle norme.
  Il disegno di legge introduce inoltre un'agevolazione contributiva temporanea per i datori di lavoro del settore privato che assumano dipendenti con contratto a tempo indeterminato nel 2015. Le aziende sarebbero esonerate, per un periodo di tre anni, dal versamento dei contributi previdenziali a loro carico entro un limite massimo di circa 8.000 euro annui.
  La natura temporanea dell'agevolazione, l'ampiezza della platea dei potenziali beneficiari e l'entità dello sgravio sono giustificati dalla necessità di imprimere uno stimolo straordinario al mercato del lavoro. Le caratteristiche dell'intervento Pag. 6dovrebbero minimizzarne l'effetto distorsivo e semplificarne l'attuazione e il controllo.
  L'adeguatezza delle risorse stanziate (1,7 miliardi di euro nell'anno prossimo e circa 3,3 miliardi di euro nel biennio successivo) dipenderà dalla misura effettiva in cui le imprese sfrutteranno l'agevolazione. Un monitoraggio attento e tempestivo è opportuno.
  Questa misura implica una significativa riduzione del costo del lavoro temporanea, per i tre anni di durata del provvedimento, per le imprese che il prossimo anno decideranno di assumere a tempo indeterminato. L'incentivo potrà indurre una più rapida diffusione del contratto di lavoro a tutele crescenti nel tempo, che dovrebbe essere introdotto a seguito del Jobs Act.
  A differenza di analoghi interventi realizzati in passato, il beneficio non è condizionato a incrementi dell'occupazione aziendale totale o a tempo indeterminato. L'incentivo potrebbe indurre un'anticipazione al 2015 di assunzioni programmate per gli anni successivi, contribuendo a una più rapida ripresa dell'occupazione, che sarebbe altrimenti destinata a seguire con ritardo la ripresa produttiva.
  La stabilizzazione del credito d'imposta per i lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi, le modifiche della base imponibile dell'IRAP e gli sgravi contributivi per i dipendenti assunti nel 2015 con contratto a tempo indeterminato attenuano l'elevato prelievo sul lavoro.
  Si può stimare che, nel caso di un lavoratore dipendente con retribuzione lorda medio-bassa pari a due terzi di quella media di contabilità nazionale, ossia poco meno di 20.000 euro all'anno, e senza carichi familiari, il credito di imposta di 80 euro mensili riduca il cuneo fiscale di 3,6 punti percentuali, al 40,9 per cento.
  L'esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile dell'IRAP comporta una riduzione ulteriore di circa un punto. Nel caso di un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato nel 2015, il cuneo risulterebbe sostanzialmente dimezzato per tre anni. I lavoratori assunti prima della fine dell'anno in corso o dopo il 2015 beneficerebbero solo dei primi due sgravi.
  Per un lavoratore dipendente, invece, con retribuzione lorda pari a quella media di contabilità nazionale, circa 29.500 euro annui, escluso quindi dalla fruizione del bonus per i redditi medio-bassi, il cuneo fiscale viene ridotto dalla deduzione del costo del lavoro dalla base imponibile dell'IRAP. Per i neo assunti ai quali si applica la decontribuzione, il cuneo si riduce per il triennio di quasi quattordici ulteriori punti, al 33,4 per cento.
  Gli altri principali interventi di sostegno dell'economia riguardano l'introduzione di un regime fiscale agevolato per i lavoratori autonomi e gli imprenditori persone fisiche, da cui sono attese minori entrate per circa 0,9 miliardi di euro in ciascun anno del triennio 2015-2017; gli incentivi all'innovazione, con oneri crescenti da 200 milioni di euro nel 2015 a 600 milioni nel 2017; un sostegno al reddito delle famiglie con figli nati o adottati tra il 2015 e il 2017, con oneri che crescono da 200 milioni di euro nel 2015 a un miliardo di euro nel 2017; e le norme relative al TFR, che dovrebbero avere effetti trascurabili sul disavanzo.
  Il nuovo regime fiscale agevolato per i lavoratori autonomi e gli imprenditori persone fisiche i cui ricavi siano inferiori a determinate soglie anticipa l'attuazione della delega per la riforma del sistema fiscale, sostituendo i regimi esistenti. L'agevolazione consiste nella possibilità di versare un'imposta sostitutiva pari al 15 per cento del reddito, determinato in modo forfetario in base a coefficienti di redditività diversificati per tipo di attività economica, applicato ai ricavi e considerato al netto dei contributi obbligatori.
  A differenza dei regimi agevolativi vigenti, riservati a imprese di nuova costituzione e limitati nel tempo, quello contenuto nel disegno di legge è aperto anche a soggetti già operanti ed è permanente, se i requisiti di accesso continuano a essere rispettati. Con il nuovo regime la tassazione risulta generalmente inferiore rispetto Pag. 7ai sistemi di prelievo vigenti. Si configura un aggravio solo per nuove iniziative.
  Sulla base dei dati al momento disponibili, la platea potenzialmente interessata potrebbe raddoppiare rispetto a quella attuale, sfiorando il milione di soggetti, circa un quarto delle persone fisiche titolari di partita IVA.
  Le norme proposte hanno il pregio di semplificare gli adempimenti nella determinazione della base imponibile, negli obblighi contabili, nelle comunicazioni del contribuente all'amministrazione finanziaria, riducendo di conseguenza i costi di compliance. D'altro canto potrebbero accrescere l'incentivo a occultare parte dei ricavi al fine di rimanere entro le soglie stabilite per accedere al regime, possibilità rafforzata dal fatto che gli strumenti di accertamento induttivo del reddito, quali studi di settore o parametri, non si applicherebbero a questi soggetti.
  L'alleggerimento degli oneri di controllo per lo Stato dovrebbe liberare risorse da impiegare nelle verifiche sull'attendibilità dei ricavi dichiarati, che costituiscono la base per accedere alla facilitazione e anche la base di calcolo per la determinazione dell'imposta. Va inoltre sottolineato che l'irrilevanza dei costi effettivamente sostenuti nella determinazione del reddito potrebbe favorire indirettamente fenomeni di evasione tra i fornitori di contribuenti minimi, in quanto questi ultimi non avrebbero più un interesse specifico a richiedere la documentazione delle spese sostenute.
  Il rafforzamento degli investimenti delle imprese, soprattutto nell'attività innovativa, è una condizione necessaria per un rilancio duraturo della competitività del sistema produttivo italiano. Il disegno di legge introduce due nuovi strumenti di sostegno all'innovazione: un credito d'imposta per le spese in ricerca e sviluppo eccedenti il valore medio dei tre anni precedenti e il cosiddetto patent box, ossia la possibilità di escludere dal reddito d'impresa una parte dei redditi o delle plusvalenze derivanti da marchi, brevetti, opere di ingegno, disegni industriali che sono il risultato dell'attività di ricerca e sviluppo condotta o all'interno dell'impresa o anche in collaborazione con università e centri di ricerca.
  Mentre il credito di imposta incentiva l'impresa a investire in ricerca e sviluppo, il patent box consente loro di trarre maggiore profitto dagli eventuali risultati dei progetti innovativi. Il credito d'imposta si presenta come una misura di natura incrementale e temporanea, agevolando solo i maggiori investimenti effettuati tra 2015 e il 2019. Il patent box rappresenta, invece, una misura permanente. L'agevolazione concessa nel caso italiano risulta generalmente inferiore a quella ottenibile nei Paesi in cui un regime simile è presente.
  La scelta di applicare il credito d'imposta sulla parte di spesa in ricerca e sviluppo eccedente il valore medio dei tre anni precedenti avvantaggerà, in particolare, le aziende innovative appena entrate sul mercato. L'orizzonte pluriennale dello schema potrebbe fornire uno stimolo significativo all'avvio di progetti innovativi. È molto importante minimizzare gli adempimenti per accedere all'incentivo e predisporre un monitoraggio per la valutazione dei suoi effetti.
  Viene poi riconosciuto per ogni figlio nato o adottato tra il 2015 e il 2017 un assegno annuo pari a 960 euro, erogato mensilmente per tre anni, a condizione che il reddito familiare sia inferiore a 90.000 euro. Tale limite non opera a partire dal quinto figlio.
  Per sostenere i consumi delle famiglie la legge di stabilità attribuisce ai lavoratori dipendenti del settore privato, in via sperimentale, la facoltà di richiedere la liquidazione mensile in busta paga della quota maturanda del trattamento di fine rapporto (TFR) per il periodo da marzo 2015 a giugno 2018. Tale facoltà si aggiunge alle possibilità di richiedere un anticipo del TFR maturato già previsto dalla normativa vigente.
  La quota liquidata è assoggettata alla tassazione ordinaria, seppure non al prelievo contributivo, che è in generale superiore a quella cosiddetta separata operante per la liquidazione dell'intero TFR maturato. Pag. 8È anche per via di questo che, nelle valutazioni ufficiali, l'impatto del provvedimento sull'indebitamento netto e sul debito pubblico sarebbero sostanzialmente nulli.
  Le aziende con meno di cinquanta dipendenti che non intendono corrispondere tale quota con risorse proprie possono accedere ad appositi finanziamenti, concessi dagli intermediari finanziari, remunerati a un tasso non superiore a quello di rivalutazione del TFR e garantiti da un fondo assicurativo appositamente costituito presso l'INPS e, in ultima istanza, dallo Stato. Il finanziamento, quindi, non comporterebbe costi addizionali per l'impresa, che remunererebbe la banca allo stesso tasso previsto per il credito verso i lavoratori.
  È ragionevole supporre che chiederanno la liquidazione del TFR maturando e lo destineranno a finanziare maggiori consumi soprattutto lavoratori soggetti a vincoli di liquidità e quelli a più basso reddito. Questi ultimi hanno maggiori incentivi a esercitare tale scelta anche in considerazione del contenuto livello dell'aliquota marginale dell'IRPEF a cui sono soggetti, che rende meno costosa la liquidazione immediata del TFR.
  Secondo le valutazioni ufficiali, circa un quarto del TFR maturato annualmente è trasferito alla previdenza integrativa. Se i lavoratori coinvolti si attendono dai fondi pensione rendimenti maggiori rispetto a quelli del TFR, come avvenuto in effetti negli ultimi dieci anni, è probabile che siano meno propensi a richiederne la liquidazione immediata.
  Va sottolineato che lo smobilizzo del TFR maturando inciderebbe negativamente sulla capacità della previdenza complementare o del TFR, se percepito alla fine della carriera, di integrare il sistema pensionistico pubblico, che in prospettiva presenta bassi tassi di sostituzione, soprattutto per i giovani, mediamente più soggetti a vincoli di liquidità.
  L'adesione dei lavoratori a basso reddito all'iniziativa aggrava il rischio che questi abbiano in futuro pensioni non adeguate. È dunque cruciale che la temporaneità del provvedimento, motivato dalla fase congiunturale eccezionalmente avversa, venga mantenuta.
  È anche opportuno migliorare la trasparenza delle regole pensionistiche per consentire ai lavoratori di effettuare una scelta consapevole sull'opzione loro concessa. Potrebbe servire allo scopo l'invio della cosiddetta busta arancione, ovvero di un estratto conto nozionale che contenga proiezioni della ricchezza pensionistica al variare dello scenario macroeconomico e in funzione della carriera lavorativa di ogni singolo lavoratore.
  Quanto al finanziamento delle riforme, vengono stanziati complessivamente 2,5 miliardi di euro nel 2015 e 4,5 miliardi dal 2016 per finanziare la riforma della scuola e quella degli ammortizzatori sociali.
  All'inizio di settembre il Governo ha avviato una consultazione pubblica su alcune proposte di riforma del sistema scolastico, incluse nel documento «La buona scuola», e ha annunciato un intervento normativo nei prossimi mesi. L'azione si articolerebbe su due fronti: un piano straordinario di stabilizzazione degli insegnanti precari, da attuarsi in un'unica tornata nell'anno scolastico 2015-2016, e un insieme di riforme strutturali per il medio termine.
  Nel disegno di legge di stabilità si istituisce un fondo, con la dotazione di un miliardo di euro per il 2015 e di 3 miliardi di euro a decorrere dal 2016, da impiegare in primo luogo per finanziare le assunzioni. Gli effettivi oneri aggiuntivi per l'amministrazione pubblica saranno tuttavia minori. Bisogna tenere conto delle maggiori imposte e contributi pagati dai neo assunti – pari, secondo le stime ufficiali, a 0,5 miliardi di euro nel 2015 e a 1,4 miliardi di euro a regime – e dei minori esborsi per le indennità di disoccupazione.
  Sulla base del documento di settembre verrebbero stabilizzati sostanzialmente tutti gli insegnanti precari iscritti alle graduatorie a esaurimento. Si tratta di 155.000 persone, oltre ai vincitori e agli idonei del concorso bandito nel 2012, altre 7.500 persone. La dotazione del fondo Pag. 9sarebbe sufficiente a finanziare sia l'innalzamento dell'organico di fatto sia i maggiori costi pro capite del personale di ruolo rispetto a quello precario, che viene retribuito solo per i mesi di effettivo impiego e non gode di anzianità di servizio. Viene previsto in futuro il concorso pubblico a cadenza triennale come unico canale di accesso all'insegnamento, in linea col dettato costituzionale.
  Investire e investire bene nella scuola è molto importante. Nel confronto internazionale, tuttavia, verrebbe accentuata la caratteristica dell'Italia di avere una spesa per istruzione sbilanciata verso le spese correnti, soprattutto per via di un elevato rapporto tra docenti e studenti. I criteri con cui verrà messa in atto la stabilizzazione dovranno in primo luogo puntare a un innalzamento della qualità del corpo docente, prevedendo una verifica delle effettive capacità delle persone immesse nel sistema.
  Nel documento si propone l'introduzione di una serie di differenziazioni che fanno riferimento alla qualità dell'attività degli insegnanti. È importante che nelle valutazioni non si considerino solo gli attestati formali, ma anche gli effettivi risultati e che si tenga conto di valutazioni non solamente interne, ma in qualche misura anche esterne e obiettive.
  Vengono poi stanziati 1,5 miliardi di euro in un fondo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per far fronte agli oneri connessi con l'attuazione dei provvedimenti di riordino legati al Jobs Act. Le aree di intervento previste sono numerose e comprendendo: un ridisegno della struttura e dell'articolazione degli ammortizzatori sociali, inclusa la cassa integrazione guadagni (CIG); una riorganizzazione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive; lo stanziamento di fondi per l'attuazione dei provvedimenti normativi volti a favorire la stipula di contratti a tempo indeterminato a tutele crescenti.
  Quella degli ammortizzatori sociali è senz'altro materia in cui le ripercussioni immediate per le finanze pubbliche di una riforma che estenda la platea dei lavoratori coinvolti non possono che essere sfavorevoli, perché realisticamente, nel quadro macroeconomico corrente, il saldo tra contributi e prestazioni sarà negativo. Sarà importante, quindi, definire un sistema che a regime possa trovarsi in una condizione di equilibrio strutturale.
  Poiché forme e obiettivi dell'intervento non sono ancora definiti in dettaglio, una valutazione compiuta circa la coerenza della dotazione del fondo con le esigenze poste dalla riforma non è ancora possibile a questo stadio.
  Le principali fonti di copertura, oltre all'aumento dell'indebitamento netto, sono, come ricordavo, gli interventi di riduzione delle spese, il contrasto all'evasione e, con riferimento agli anni successivi al 2015, l'aumento dell'IVA stabilito dalla cosiddetta clausola di salvaguardia.
  Sono programmate riduzioni della spesa per 10,9 miliardi di euro nel 2015, 12,1 miliardi nel 2016 e 13,3 miliardi nel 2017; esse riguardano prevalentemente le amministrazioni locali e i ministeri. In larga misura si demanda alle singole amministrazioni l'individuazione delle aree di spesa sulle quali intervenire. In alcuni casi il disegno di legge interviene con tagli mirati a specifici settori o esborsi, individuati anche sulla base delle analisi condotte nell'ambito della spending review.
  Le risorse disponibili per le amministrazioni locali vengono ridotte di 6,2 miliardi di euro nel 2015, 7,2 miliardi nel 2016 e 8,2 miliardi nel 2017, principalmente contenendo i trasferimenti dello Stato e le compartecipazioni ai tributi erariali.
  I tagli sono in parte compensati da un allentamento dei vincoli del patto di stabilità interno per gli enti locali (un miliardo di euro all'anno nel triennio 2015-2017) e, in base alle valutazioni ufficiali, questo intervento dovrebbe tradursi in una maggiore spesa in conto capitale. In altre parole, nelle valutazioni ufficiali si stima che la riduzione delle risorse disponibili per gli enti decentrati si traduca interamente in una riduzione delle spese correnti.
  Tuttavia, l'evidenza degli ultimi anni mostra che, a fronte di una riduzione dei Pag. 10trasferimenti dallo Stato, gli enti decentrati hanno reagito anche aumentando significativamente le entrate e, nell'ambito delle spese, riducendo soprattutto quelle in conto capitale. La spesa per investimenti delle amministrazioni locali si è ridotta di un quarto nel periodo 2010-2013 e un'ulteriore contrazione è prevedibile per l'anno in corso. È importante evitare che questa tendenza prosegua.
  Per i ministeri la manovra prevede risparmi di spesa pari a 2 miliardi di euro nel 2015, destinati ad aumentare a 2,4 miliardi nel 2017. Circa il 40 per cento dei tagli riguarda spese in conto capitale. Sono inoltre previsti interventi volti ad aumentare le entrate dei dicasteri per circa 0,4 miliardi di euro nel 2015 e una cifra inferiore nel biennio successivo.
  L'azione di contrasto all'evasione è un capitolo importante. In Italia l'evasione fiscale sottrae alla collettività una quantità elevata di risorse, aggrava il prelievo sui contribuenti onesti, distorce le scelte economiche degli operatori, genera condizioni di concorrenza sleale tra le imprese e crea inefficienze nel sistema produttivo.
  Il disegno di legge di stabilità compie ulteriori passi rispetto a quelli fatti negli ultimi anni nell'affrontare il problema dell'evasione fiscale. Secondo le valutazioni ufficiali, le misure consentirebbero di reperire risorse per circa 3,5 miliardi di euro annui nella media del triennio. Alcuni interventi sono potenzialmente in grado di incidere sull'evasione; data la natura dei fenomeni considerati, gli effetti di gettito vanno ovviamente stimati con molta cautela.
  Tengo a ricordare che stime sistematiche del fenomeno dell'evasione a intervalli temporali definiti non sono disponibili e sono anche obiettivamente non facili da ottenere quasi per definizione.
  Una parziale eccezione è costituita dall'IVA, per la quale l'Agenzia delle entrate comunica annualmente la differenza fra il gettito effettivo e quello potenziale stimato. Nella media del triennio che va dal 2009 al 2011 l'indicatore si è attestato al 28,7 per cento del gettito potenziale, quasi sei punti percentuali in meno rispetto al triennio precedente.
  Le maggiori entrate deriverebbero principalmente da interventi di contrasto alle frodi che interessano l'IVA (2,6 miliardi di euro). In primo luogo, il regime dell'inversione contabile, chiamato spesso reverse charge, viene esteso al settore energetico, agli scambi di quote di emissione di gas serra e ad alcuni servizi relativi ai beni immobili. Sarebbe ulteriormente ampliato, sulla base di un emendamento, in attuazione dell'impegno del Governo a rafforzare la manovra, agli acquisti della grande distribuzione.
  Tale meccanismo prevede il trasferimento dell'obbligo di applicare e versare l'IVA dal fornitore all'acquirente dei beni o dei servizi e mira, quindi, a contrastare le frodi nelle quali un fornitore addebita regolarmente l'imposta ma non la versa allo Stato. Lo scorso marzo, presso la 6a Commissione del Senato, questo istituto aveva messo in luce l'opportunità di un ampliamento dell'ambito settoriale del reverse charge nel solco di quanto prefigurato dalla legge delega per la riforma del sistema fiscale. Un meccanismo simile, il cosiddetto split payment, viene previsto per gli acquisti di beni e servizi da parte degli enti pubblici.
  Per effetto dei suddetti interventi, le imprese che forniscono prevalentemente la grande distribuzione e gli enti pubblici accumulerebbero sistematicamente crediti IVA nei confronti dell'erario, con possibili problemi di liquidità se i rimborsi non saranno tempestivi. È quindi necessario, per il successo della misura, garantire procedure di rimborso semplici e veloci, in linea con gli interventi già previsti dal decreto legislativo sulle semplificazioni fiscali.
  Il disegno di legge predispone, per realizzare gli obiettivi di bilancio a partire dal 2016, le cosiddette clausole di salvaguardia, che consistono in un forte inasprimento dell'IVA. Dal 1o gennaio 2016 le aliquote del 10 e del 22 per cento passerebbero rispettivamente al 12 e al 24 per cento; dall'anno successivo salirebbero al Pag. 1113 e al 25 per cento; infine, a decorrere dal 2018, la più elevata salirebbe al 25,5 per cento. Gli aumenti di aliquote non sarebbero applicati, o sarebbero applicati solo in parte, se fossero adottati provvedimenti alternativi di incremento delle entrate o di razionalizzazione delle spese.
  Secondo le valutazioni ufficiali, tali misure produrrebbero un gettito pari a 12,1, 18,5 e 20,5 miliardi di euro rispettivamente nei tre anni che partono dal 2016, tenendo conto delle modifiche al disegno di legge iniziale indicate dal Governo. Il provvedimento, inoltre, riduce gli importi attesi dall'applicazione della clausola di salvaguardia introdotta dalla legge di stabilità per il 2014.
  Complessivamente, gli aggravi di imposta connessi con l'applicazione delle suddette clausole di salvaguardia opererebbero a partire dal 2016 e sarebbero pari a oltre 16 miliardi di euro nel primo anno, a 25,5 miliardi di euro nel secondo anno e a 27,5 miliardi di euro nel 2018.
  L'utilizzo di clausole di salvaguardia rafforza la credibilità dell'impegno del nostro Paese a proseguire nel processo di consolidamento delle finanze pubbliche, soprattutto quando l'applicazione della clausola è automatica, come avviene per gli inasprimenti dell'IVA indicati nell'attuale disegno di legge di stabilità.
  Tuttavia, l'aumento previsto delle aliquote le porterebbe su livelli molto elevati. Per evitarlo, e anche per dare maggiore certezza alla politica di bilancio, è quindi opportuno definire quanto prima provvedimenti riguardanti la razionalizzazione della spesa e dei regimi agevolativi che consentano di non far scattare queste clausole.
  Per concludere, il disegno di legge di stabilità attualmente all'esame del Parlamento, pur rivisto lievemente in senso restrittivo rispetto alla proposta originaria, realizza una significativa riduzione del cuneo fiscale sul lavoro, introduce alcuni utili incentivi all'attività innovativa e finanzia riforme potenzialmente importanti relative all'istruzione scolastica e al mercato del lavoro stesso.
  Alcuni interventi previsti semplificano principi e meccanismi di imposizione. Chiarezza, semplicità e stabilità delle norme tributarie sono un importante fattore di contesto per le imprese; sarà quindi utile proseguirle ulteriormente nell'attuazione della delega fiscale.
  L'intervento sul cuneo fiscale è un passo importante, perché riduce i maggiori oneri che si riscontrano rispetto agli altri Paesi dell'area dell'euro, segnalati più volte anche dalla Banca d'Italia.
  Il ridimensionamento dell'IRAP consente un significativo alleggerimento del costo del lavoro ma comprime i margini di autonomia delle regioni, per le quali il tributo rappresenta la principale fonte di finanziamento.
  In un assetto efficiente, gli enti decentrati devono poter essere responsabili dei livelli di entrate e di spese e, su questa base, venire giudicati dai cittadini. Inoltre, gli interventi modificano in misura significativa la struttura del tributo, rendendo opportuno avviare una riflessione sul suo ruolo nel sistema fiscale italiano.
  Alla copertura finanziaria delle misure, oltre all'aumento dell'indebitamento netto dello 0,4 per cento del PIL, concorrono la riduzione di spesa, interventi di contrasto all'evasione e, dal 2016, inasprimenti di imposte previsti dalle clausole di salvaguardia. Riguardo a questi ultimi, come rilevato, andrebbero rapidamente definiti provvedimenti tali da evitarne l'attivazione.
  In larga misura si demanda alle singole amministrazioni l'individuazione delle aree di spesa sulle quali intervenire. Diverse ricerche hanno messo in evidenza grandi differenze di efficienza nell'erogazione dei servizi pubblici tra le diverse amministrazioni e mostrano, quindi, che significativi risparmi di spesa possono essere conseguiti a parità di qualità dei servizi.
  A tal fine, è opportuno che il sistema dei trasferimenti agli enti decentrati sia basato su fabbisogni standard, che sia preservato il legame tra imposizione fiscale locale e decisioni di spesa, che sia Pag. 12disponibile un monitoraggio trasparente della quantità e della qualità dei servizi forniti.
  Riguardo al contrasto all'evasione, alcuni interventi inclusi nel disegno di legge di stabilità sono potenzialmente in grado di incidere sul fenomeno. Gli effetti sul gettito, però, non sono facili da stimare.
  Occorre evitare, accelerando i rimborsi, un eccessivo accumulo di crediti IVA da parte dei fornitori degli enti pubblici e della grande distribuzione, fenomeno che li penalizzerebbe aggiungendosi, per i primi, a quello dei ritardi nei pagamenti.
  L'azione efficace di contrasto all'evasione deve proseguire e non deve comportare in prospettiva un aumento degli oneri amministrativi per i contribuenti, che in Italia sono già molto elevati. Un maggiore sfruttamento delle nuove tecnologie per l'acquisizione di informazioni è quindi essenziale per ridurre i costi, effettuare controlli mirati, stimolare un aumento dell'adempimento spontaneo.
  Uno strumento importante da rendere pienamente operativo è lo scambio automatico di dati con le amministrazioni di altri Paesi.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Signorini e do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAMPAOLO GALLI. Ringrazio il vicedirettore della Banca d'Italia, Federico Signorini, per la relazione e per il testo consegnato. Come al solito, i documenti della Banca d'Italia hanno il pregio di chiarire molti aspetti e, soprattutto, il quadro di insieme di questo disegno di legge che, come tutte le leggi di stabilità e, prima ancora, delle leggi finanziarie, è molto complesso.
  Mi sembra che, complessivamente, la Banca d'Italia ci metta in guardia da alcuni rischi ravvisabili nel quadro macroeconomico e anche in singole misure, ma dando un giudizio positivo laddove si dice che si realizza una significativa riduzione del cuneo sul lavoro, utili incentivi all'attività innovativa, semplificazione nei meccanismi di imposizione, e così via. La Banca d'Italia ci mette in guardia da alcuni rischi, in particolare, per esempio, da quello relativo all'accumulo dei crediti di imposta dovuto all'ampliamento del criterio dell'inversione contabile.
  Ho particolarmente apprezzato la tabella 3, che la Banca d'Italia produce abitualmente e che riassume in maniera comprensibile l'intera manovra. Mi ritrovo su alcuni numeri che sono stati annunciati con forza dal Governo, laddove, nello spiegare la manovra, gli 80 euro sono stati inseriti tra le riduzioni di imposta e non tra gli aumenti di spesa. Il Governo ha, al riguardo, specificato chiaramente che l'analisi è stata effettuata in base alla somma tra il decreto-legge n. 66 del 2014 e il disegno di legge di stabilità, confrontando quindi lo scenario finanziario per il 2014 e quello per il 2015.
  Pertanto, i numeri essenziali sostanzialmente tornano perché abbiamo minori spese per 10,948 miliardi di euro, evidenziati al punto b), a cui vanno aggiunti circa 3 miliardi di euro che rappresentavano le coperture del decreto-legge n. 66 del 2014; arriviamo, quindi, a 14 miliardi di euro. Per quanto riguarda le minori entrate, ci sono 8 miliardi di euro che, tenendo conto del decreto-legge n. 66 del 2014 e anche del cosiddetto bonus bebé, diventano 18 miliardi perché ad essi si aggiungono 10 miliardi di euro. Credo che questi due numeri, ossia minori tasse per 18 miliardi di euro e tagli di spese per 14-15 miliardi di euro, siano noti a tutti.
  È vero che ci sono maggiori entrate, ma una parte notevole di esse, come ben chiarito, deriva da norme di contrasto dell'evasione e, una parte davvero ridotta, ancorché significativa dal punto di vista degli effetti che può avere, riguarda invece effettivi aumenti di tassazione su fondi pensione ed enti non commerciali.
  Per quanto riguarda le maggiori spese, forse vale la pena ricordare che una parte di queste trova giustificazione nel fatto di essere legata a riforme che voi stessi definite importanti. Mi riferisco, in particolare, al piano per «La buona scuola» e agli ammortizzatori sociali. Il grosso di ciò Pag. 13che residua consiste in spese a legislazione vigente che, se non proprio per la prima volta, in gran parte per la prima volta, vengono incluse nella legge di stabilità anziché essere decise in corso d'anno. Mi pare che questo completi il quadro e forse renda più chiaro il senso della manovra.
  Vi ringrazio ulteriormente per aver prodotto queste tabelle e queste valutazioni.

  GIULIO MARCON. Ringrazio anch'io la Banca d'Italia e il dottor Signorini per la relazione di questa sera. Desidero porre un'unica domanda, ma prima vorrei togliermi una curiosità relativamente all'impatto della misura degli 80 euro.
  Vedo che lei fa riferimento all'impatto sui redditi medio-bassi; tuttavia, la volta scorsa, il presidente dell'ISTAT disse che, per due terzi, il provvedimento ha beneficiato individui che appartengono a famiglie con redditi medio-alti. Dopo di lei, audiremo il professore Alleva e anche a lui chiederò un chiarimento su questo aspetto, dal momento che Banca d'Italia e ISTAT forniscono una definizione diversa dei beneficiari di tale misura.
  La mia domanda riguarda le clausole di salvaguardia. Nella relazione della Banca d'Italia correttamente sono riportate le cifre relative agli anni 2016, 2017 e 2018 e, alla fine del paragrafo, è evidenziato il fatto che sarà necessario quanto prima capire quali saranno i provvedimenti per la razionalizzazione delle spese e dei regimi agevolativi.
  Quello che vorrei sapere è se, come Banca d'Italia, dal vostro punto di vista, vi sembra credibile e in qualche modo praticabile l'insieme delle ipotesi fin qui messe in campo dal Governo per evitare l'attivazione delle clausole di salvaguardia o se ritenete che ci sia ancora da fare per bloccarne l'automatismo. Non ritiene che, se dovessero scattare le clausole di salvaguardia, si produrrebbe un effetto recessivo sull'economia ? In altri termini, atteso che tali clausole si concretizzano sostanzialmente nell'aumento delle due aliquote IVA, ciò non causerebbe un effetto recessivo e l'annullamento del beneficio per le famiglie che godono degli 80 euro e degli sgravi IRPEF ?
  Non ci sarebbe un'automatica compensazione tra il reddito disponibile delle famiglie e l'attivazione di tali clausole ?

  FEDERICO D'INCÀ. Ringrazio il vicedirettore Signorini per la sua presenza e per l'esaustiva relazione. Vorrei chiederle di fingere che oggi sia il 3 novembre del 2018 e che le clausole di salvaguardia siano state completamente attivate, di modo che siano stati pagati 16 miliardi di euro nel 2016, 25 miliardi di euro nel 2017 e 27,5 miliardi di euro nel 2018.
  Potrebbe delinearmi indicativamente lo scenario economico per il 2019 di una legge di stabilità costruita nel 2018 alla luce di questa situazione economica ?

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Ringrazio anch'io il vicedirettore Signorini per la sua presentazione, che ha messo in luce diversi punti del disegno di legge di stabilità in esame. Volevo porre una domanda con riguardo all'impatto macroeconomico della manovra nel 2015.
  Come sappiamo, dalla domanda esterna, mondiale ed europea, non ci aspettiamo molto. Da questo punto di vista, quindi, sarà fondamentale raggiungere quel tasso di crescita dello 0,5 per cento che sarebbe appena sufficiente per lasciarci alle spalle questa situazione recessiva. Mi chiedo come sia possibile immaginare che anche un tasso così modesto possa essere raggiunto e vorrei sapere se avete valutato l'impatto della manovra.
  Nella relazione si fa presente, giustamente, che molto dipenderà dalle modalità con cui verranno effettuati i risparmi di spesa. Come lei ha detto nella presentazione, se, ad esempio, regioni e comuni compenseranno a valle i mancati trasferimenti, questo avrà un impatto molto diverso dall'eventualità in cui si riuscisse ad assorbirli attraverso riorganizzazioni.
  Tenuto conto di questo margine di incertezza, secondo alcune stime effettuate e addirittura secondo la stessa previsione del Governo, la manovra non avrebbe alcun effetto espansivo. In realtà, si può Pag. 14definire una manovra non restrittiva, nel senso che non produce effetti riduttivi ma ha un impatto intorno allo zero, praticamente nullo. Mi chiedo allora come si riesca a ottenere quello 0,5 o 0,6 per cento partendo dal punto in cui ci troviamo oggi, visto che, seppure in attenuazione, quella attuale è ancora una fase di recessione.
  Vorrei conoscere le vostre valutazioni al riguardo per capire da cosa ci si potrebbe attendere questo miglioramento dell'andamento complessivo.

  EDOARDO FANUCCI. Mi associo ai ringraziamenti dei tanti colleghi che sono intervenuti perché mi colpisce positivamente la lucidità, l'oggettività e l'analiticità della relazione, che ho ascoltato, apprezzandone il contenuto. Ho riletto anche alcuni passaggi nel testo che ci è stato consegnato.
  Più che una domanda, vorrei condividere con lei e i colleghi commissari una riflessione. Dalla lettura della relazione emergono alcune cose buone e alcuni spunti su cui il Governo deve riflettere. Tra le cose buone, noto e prendo atto di una positiva attenzione rispetto alla riduzione del cuneo fiscale, già annunciata e proposta dalla Banca d'Italia in più occasioni.
  Per quanto riguarda i meccanismi della lotta all'evasione fiscale, terremo conto del vostro giudizio non soltanto come intento per garantire le coperture alla legge di stabilità, ma anche come incentivo per un'azione che deve essere mirata al contrasto dell'evasione fiscale attraverso l'incrocio delle banche dati. Nella vostra riflessione e nelle conclusioni è detto opportunamente che non bisogna fermarsi a quanto è stato fatto, ma dobbiamo andare avanti incrociando le banche dati e cercando di arrecare meno danni possibili alle aziende nel corso delle analisi di contrasto. I dati li abbiamo; dobbiamo cercare di farne un corretto uso.
  L'altro elemento che mi sta particolarmente a cuore è quello della riduzione della spesa. Nella relazione non ci si limita a una valutazione sulla riduzione della spesa, la cosiddetta spending review, ma si conferma che diverse ricerche hanno messo in evidenza grandi differenze di efficienza nell'erogazione dei servizi pubblici tra diverse amministrazioni e mostrano quindi che significativi risparmi di spesa possono essere conseguiti a parità di qualità dei servizi.
  Questa è la strada e non ci sono garanzie che sia percorsa fino in fondo. Ritengo che le clausole di salvaguardia possano essere un grande pungolo per andare avanti in questa direzione, perché deve essere chiaro a tutti che, qualora questa strada non sia percorsa, interverranno quelle clausole con effetti pesanti per tutti.
  Concludo con un riferimento all'IRAP. La Banca d'Italia sottolinea chiaramente l'importanza di una sua riduzione, ma evidenzia anche un ripensamento nell'impostazione del tributo. Sono convinto che questo Parlamento debba mettere in agenda il problema non soltanto della riduzione di un tributo che, in quanto tale, determina un gettito importante, ma anche quello dell'impostazione stessa di una tassa che, a mio avviso, è ormai diventata anacronistica.

  GIORGIO SANTINI. Vorrei porre solo una breve domanda in riferimento all'ultima considerazione del collega Fanucci in merito alla qualità della spesa.
  Nella relazione si parla di fabbisogni standard, ma non di costi standard. Si tratta di due concetti diversi e poiché per la qualità della spesa il criterio dei costi standard, legato ovviamente ai fabbisogni standard e ai livelli essenziali, è fondamentale, vorrei una spiegazione su tale questione.

  ROBERTO SIMONETTI. Presidente, la mia domanda è la stessa che ha posto il collega senatore.
  Dal mio punto di vista è anche interessante conoscere il pensiero della Banca d'Italia sul taglio della spesa. Degli 8 miliardi di euro previsti, 6 o più sono a carico degli enti territoriali. Vorrei chiedere se questo non inficerà i servizi e i rapporti tra Stato e territorio e se le Pag. 15politiche restrittive che il Governo mette in atto non verranno, di fatto, pagate indirettamente dai cittadini attraverso un'ulteriore imposizione fiscale locale e l'attivazione delle clausole di salvaguardia.

  PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi e do la parola al vicedirettore Signorini per la replica.

  LUIGI FEDERICO SIGNORINI, vicedirettore generale della Banca d'Italia. Grazie, presidente. Con riguardo ad alcune delle considerazioni svolte, non vi è particolare motivo di risposta da parte mia. Comincio dalla domanda puntuale dell'onorevole Marcon sulla questione dei redditi medio-bassi o medio-alti. Come la Commissione sa benissimo, il provvedimento interessa una fascia di reddito che va da circa 8 mila euro fino a 24 mila euro. Nelle nostre valutazioni, i redditi sono definiti come medio-bassi perché li abbiamo rapportati ai due terzi del reddito medio di un lavoratore dipendente nella contabilità nazionale. Non vorrei essere coinvolto in una discussione terminologica con l'ISTAT.
  I termini esatti sono noti alla Commissione. La condizione è che non si superino i 24 mila euro e tra questa soglia e i 26 mila euro è prevista l'applicazione di un taglio lineare che fa sì che in quella ristretta fascia di reddito le aliquote marginali siano molto elevate, cosa su cui forse si potrebbe ragionare.
  Le clausole di salvaguardia, richiamate in diversi interventi, hanno il pregio di dare certezza. Il loro meccanismo automatico, che è dimostrato poter essere attivato in caso di necessità, come già avvenuto, offre una garanzia per il rispetto di determinati obiettivi di bilancio. È anche vero che il loro effetto è, per definizione, quello di un incremento della tassazione, indiretta in particolare, fino a livelli molto elevati.
  È stato chiesto in che situazione ci troveremmo nel 2018 se questi interventi venissero effettivamente attivati. Ci troveremmo certamente con un'imposizione indiretta molto elevata, con il peso che questo comporta per l'attività economica. Inoltre, quanto più è elevata l'imposizione fiscale tanto maggiori sono, purtroppo, gli incentivi all'occultamento delle transazioni. È, quindi, preferibile che non si arrivi a far scattare le clausole di salvaguardia.
  Il completamento di un insieme di misure di riduzione e di razionalizzazione della spesa è quello che serve e che dovrà essere sviluppato nel corso del tempo; il tempo sicuramente c’è. Le clausole di salvaguarda iniziano a scattare nel 2016, ma è opportuno che si dia un quadro di certezze quanto prima. Le clausole di salvaguardia dovrebbero essere viste come tali, cioè come qualcosa che garantisce il rispetto degli obiettivi in mancanza di meglio. Tuttavia, è preferibile intervenire per evitare che queste clausole siano attivate.
  La semplificazione, menzionata da un paio di interventi, è importante. L'intervento sull'IRAP, in particolare, nella sostanza è fortemente semplificatorio, nel senso che elimina pressoché completamente, con poche eccezioni, i redditi da lavoro dipendente dalla base imponibile di tale imposta. In realtà, per evitare che con il nuovo regime un'impresa possa ritrovarsi in una situazione peggiore della precedente, nella forma la misura non sostituisce radicalmente, ma ritaglia e aggiunge le nuove esenzioni alle vecchie.
  A regime è sempre opportuno, a mio avviso, disegnare le imposte e i modi di calcolare il pagamento nella maniera più semplice, chiara e trasparente possibile, non solo al fine, importantissimo, di ridurre i costi di compliance per il contribuente e gli oneri di controllo per l'amministrazione, ma anche al fine della trasparenza e della chiarezza del sistema impositivo.
  Quanto alle spese, sottolineo che alcune voci richiederanno che i costi siano verificati e monitorati nel corso del tempo. Il forte sgravio contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato nell'arco dell'anno 2015, per esempio, necessita un monitoraggio della misura in cui le imprese sfrutteranno effettivamente questa agevolazione Pag. 16per verificare l'adeguatezza delle risorse stanziate. Credo che ciò sia particolarmente importante.
  Vengo alle coperture. Nel preparare questo intervento ho chiesto ai miei colleghi in che misura fosse possibile verificare l'efficacia delle varie iniziative o misure di contrasto all'evasione fiscale che sono state prese nel corso del tempo. Non è facile perché l'evasione fiscale, per sua natura, non è una quantità stimabile in modo sicuro. Tuttavia, i dati dimostrano che alcuni passi avanti nel corso del tempo sono stati compiuti. Alcuni dei provvedimenti proposti corrispondono a quanto da noi suggerito, ma è difficile calcolarne esattamente l'impatto. Anche per questo motivo, occorrerà un monitoraggio sui reali effetti e sugli effettivi risultati.
  Concludo con la domanda più difficile di tutte, che è quella sull'impatto macroeconomico, rivolta dal senatore Guerrieri. Da quanto mi risulta – e chiedo conforto ai miei colleghi – non credo che il Governo abbia ipotizzato esplicitamente un effetto macroeconomico delle misure e, certamente, come sostiene il senatore Guerrieri, la manovra si iscrive nei vincoli di finanza pubblica che sono noti. Dal confronto tra lo scenario tendenziale e lo scenario programmatico del documento di cui discutevamo l'altra volta, pare di capire che il Governo ipotizzi un modesto effetto espansivo nell'ordine di un decimo di punto percentuale.
  Il senatore Guerrieri chiede quali siano le nostre stime. È molto difficile farne, perché credo che l'impatto della manovra dipenda non solo dalle forme effettive in cui si realizzeranno le riduzioni di spesa o gli eventuali aumenti d'entrata che sono parte della manovra che discutiamo, a seconda dei quali può cambiare il moltiplicatore della domanda. Una parte ancora maggiore dipende dall'effetto sulla fiducia delle famiglie e delle imprese che consegue all'azione della finanza pubblica.
  Quello che posso dire è che – se i miei colleghi vogliono svolgere ulteriori precisazioni, sono lieto che lo facciano –, essendo le stime del Governo, per quanto implicite, relativamente modeste, non c’è motivo di pensare che gli effetti saranno minori; gli effetti saranno più o meno dello stesso ordine di grandezza. Lo ripeto, rispondere alla domanda del senatore Guerrieri è molto difficile perché siamo in un momento di prolungata stagnazione, come si ricordava, e di incertezza a livello internazionale. Anche dal punto di vista econometrico, non è quindi facile procedere a un disentanglement dei vari effetti.
  Per quanto riguarda fabbisogni standard e costi standard possiamo avere un'interlocuzione bilaterale.

  PRESIDENTE. Ringrazio la delegazione di Banca d'Italia e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti dell'ISTAT.
  È presente il professor Giorgio Alleva, presidente dell'ISTAT, che è accompagnato dal dottor Giampaolo Oneto, direttore della direzione centrale della contabilità nazionale, dal dottor Emanuele Baldacci, direttore del dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca, dal dottor Roberto Monducci, direttore del dipartimento per i conti nazionali e le statistiche economiche, dalla dottoressa Cristina Freguja, direttore della direzione centrale delle statistiche socio-economiche, dalla dottoressa Stefania Rossetti, dirigente dell'unità operativa segreteria per le attività tecnico-scientifiche, e dalla dottoressa Patrizia Cacioli, direttore della direzione centrale per la diffusione e la comunicazione dell'informazione statistica.
  Do la parola al professor Giorgio Alleva, presidente dell'ISTAT, per lo svolgimento della sua relazione.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'ISTAT. Presidente, nell'audizione resa a Pag. 17questa Commissione il 13 ottobre scorso ho già ampiamente illustrato l'evoluzione recente dell'economia mondiale e italiana e alcuni impatti distributivi dei provvedimenti programmatici previsti nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanze.
  Pertanto, in questa occasione mi limiterò a un breve aggiornamento del quadro macroeconomico, integrato con elementi delle prospettive per l'economia italiana che l'ISTAT ha diffuso questa mattina, soffermandomi sull'analisi di alcune tra le principali misure previste nel disegno di legge di stabilità all'esame del Parlamento a favore delle famiglie e delle imprese.
  Con riguardo al quadro macroeconomico, la congiuntura economica internazionale è attualmente caratterizzata da andamenti eterogenei tra le grandi aree economiche. I dati più recenti confermano il vigore della crescita negli Stati Uniti nel terzo trimestre dell'anno (+ 0,9 per cento) e il persistere delle tendenze molto contrastate nell'Eurozona. Nell'area dell'euro, nel secondo trimestre, il PIL è rimasto invariato, a sintesi di un andamento positivo in Spagna e in molte economie minori, di una crescita nulla in Francia e di un calo congiunturale dello 0,2 per cento in Germania, dove però vi era stato un forte progresso nel trimestre precedente, e in Italia, dopo un trimestre di crescita nulla.
  Ricordo che queste stime sono le prime computate secondo il nuovo sistema di contabilità nazionale, il SEC 2010, completato dall'ISTAT proprio con il rilascio delle serie storiche dei conti trimestrali il 15 ottobre scorso.
  I nuovi dati, che incorporano le molte innovazioni di metodi e fonti introdotte nei conti economici annuali, hanno modificato, seppur limitatamente, anche le misure relative all'evoluzione congiunturale dei principali aggregati economici.
  Secondo le nuove stime, alla diminuzione congiunturale del PIL del secondo trimestre corrisponde un calo dello 0,3 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013 e una variazione acquisita per il 2014 anch'essa pari a -0,3 per cento.
  Nel secondo trimestre del 2014 si conferma, dunque, la fase di ristagno dell'attività, in atto ormai da un anno, che segue due anni di continua contrazione del PIL.
  La flessione congiunturale ha riguardato tutti i principali comparti: nell'industria in senso stretto il calo del valore aggiunto si è lievemente accentuato (da -0,2 a -0,4 per cento nei due trimestri), nel comparto delle costruzioni è proseguita la tendenza fortemente negativa già in atto (-0,8 per cento) e nel settore dei servizi il valore aggiunto è tornato a diminuire, seppur leggermente (-0,1 per cento), dopo un modesto recupero nel trimestre precedente.
  Per quel che riguarda le componenti della domanda, nel secondo trimestre si conferma l'andamento lievemente positivo dei consumi delle famiglie, con un incremento congiunturale dello 0,2 per cento, che porta la crescita tendenziale allo 0,5 per cento, che rappresenta il risultato migliore dall'inizio della fase recessiva.
  Il lento recupero dei consumi è stato sostenuto da un calo significativo della propensione al risparmio, scesa all'8,3 per cento, oltre un punto percentuale inferiore rispetto all'anno precedente, mentre il reddito disponibile delle famiglie ha segnato un calo congiunturale, dovuto soprattutto all'andamento negativo dei redditi da capitale e da impresa.
  Il risultato negativo del PIL nel secondo trimestre è spiegato dalla contrazione congiunturale degli investimenti (-0,9 per cento) e dal decumulo di scorte.
  La componente estera della domanda ha invece offerto ancora un lieve contributo positivo (+ 0,1 punti percentuali), risultante da incrementi congiunturali dell'1,1 per cento per le esportazioni e dello 0,8 per cento per le importazioni.
  Nei mesi più recenti le informazioni disponibili indicano un'evoluzione congiunturale ancora debole sia in Italia sia nelle altre maggiori economie europee.
  Più in dettaglio, gli ultimi dati rilevati dall'ISTAT mostrano alcuni segnali positivi, che tuttavia sono ancora eccessivamente Pag. 18frammentari e instabili per indicare con chiarezza la conclusione della lunga fase recessiva.
  Nel mese di agosto si è registrato un lieve recupero dell'attività industriale, che tuttavia rimane ancora su livelli nettamente inferiori all'estate 2013, ma con segnali di crescita diffusi a tutti i principali settori produttivi.
  Sul versante delle esportazioni, a settembre si è registrato un rafforzamento della tendenza positiva nelle vendite verso i Paesi extra Unione europea, particolarmente dinamiche verso gli Stati Uniti e le economie asiatiche.
  Inoltre, i dati mensili sull'andamento del mercato del lavoro diffusi il 31 ottobre scorso segnano in settembre un recupero significativo dell'occupazione, con un aumento di 80 mila unità rispetto ad agosto e di 130 mila unità (+ 0,5 per cento) rispetto allo stesso mese del 2013. Tale risultato giunge dopo una fase di sostanziale stazionarietà che era seguita all'emorragia occupazionale del 2013.
  Grazie all'attenuazione dell'impatto deflazionistico dei prezzi dei prodotti energetici e alla lieve accelerazione della crescita di quelli dei servizi, a ottobre l'inflazione torna a essere leggermente positiva. Si è attestato allo 0,1 per cento l'incremento dell'indice dei prezzi al consumo per l'intera collettività, sia sul mese precedente sia su base annua. L'inflazione di fondo è risalita allo 0,5 per cento.
  Nello stesso mese di ottobre, infine, tanto in Italia che nelle altre maggiori economie dell'Unione europea, si è registrato un diffuso miglioramento degli indici di fiducia delle imprese. Per il nostro Paese, nel terzo trimestre 2014 si riduce la quota di imprese del settore dei servizi che percepiscono l'esistenza di ostacoli all'attività produttiva, scendendo al 49 per cento dal 61 per cento del precedente periodo.
  Le previsioni macroeconomiche per l'intero 2014 ricalcano comunque le tendenze già osservate nella prima metà dell'anno.
  La flessione del prodotto interno lordo è prevista attestarsi intorno allo 0,3 per cento e sarebbe interamente attribuibile alla significativa contrazione degli investimenti.
  Il contributo, pur favorevole, della domanda estera è previsto in netto ridimensionamento rispetto agli anni precedenti (+ 0,1 punti percentuali), a seguito del recupero delle importazioni e della decelerazione delle esportazioni. L'apporto delle scorte risulterebbe lievemente negativo.
  Nel biennio 2014-2016, la moderata distensione dello scenario macroeconomico, insieme all'adozione di misure di sostegno dell'attività economica, favorirà l'uscita dell'economia italiana dalla fase recessiva, sia pure su ritmi di crescita ancora contenuti. Questa sarà essenzialmente sospinta dal miglioramento delle componenti interne di domanda.
  Nel 2015 la variazione del PIL tornerà debolmente positiva (+ 0,5 per cento), chiudendo la lunga recessione del triennio precedente. Per il 2016 è previsto un consolidamento dell'espansione (+1 per cento), benché ancora su ritmi inferiori a quelli dei principali concorrenti europei e internazionali.
  Come indicato nel comunicato stampa diffuso questa mattina, tali previsioni sono soggette a elevati livelli d'incertezza, dovuti in particolare all'evoluzione del quadro economico internazionale.
  Passiamo ora al commento del disegno di legge di stabilità e degli effetti macroeconomici della manovra. Il modello macroeconometrico dell'ISTAT consente una valutazione quantitativa degli effetti dei provvedimenti di politica economica indicati dal Governo nel disegno di legge di stabilità per il 2015 e nella Relazione di variazione alla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, presentata il 28 ottobre in seguito alle osservazioni formulate dalla Commissione europea.
  Le misure aggiuntive per il 2015 indicate in tale relazione riguardano in particolare: l'utilizzo di risorse sul Fondo per la riduzione della pressione fiscale per 3,3 miliardi di euro; l'estensione del meccanismo dell'inversione contabile per l'IVA o, in alternativa, un aumento delle accise per Pag. 19730 milioni di euro; la riduzione delle risorse per il cofinanziamento dei fondi strutturali europei per 500 milioni di euro.
  L'obiettivo della manovra complessiva è supportare la domanda aggregata e la competitività delle imprese, raggiungendo nel 2015 un livello di indebitamento netto della pubblica amministrazione pari al 2,6 per cento del PIL, superiore di quattro decimi di punto al livello stimato nel quadro tendenziale presentato nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza.
  L'obiettivo di indebitamento netto per il 2016, pur in miglioramento rispetto all'anno precedente, è fissato pari al tendenziale, in altre parole all'1,8 per cento del PIL, e, per il 2017, allo 0,8 per cento.
  Per il 2015 la manovra decisa dal Governo è espansiva nelle valutazioni d'impatto ex ante per circa 7 miliardi di euro (quattro decimi di punto di PIL). La manovra simulata, coerente con quella annunciata dal Governo, è composta di un aumento netto di uscite per circa 5,2 miliardi di euro e di una diminuzione netta di entrate per 1,8 miliardi di euro.
  Per l'anno successivo, il 2016, la manovra risulta in sostanziale pareggio ex ante, con un aumento netto delle uscite per circa 5 miliardi di euro annui e un aumento delle entrate totali di pari ammontare, come risultato principalmente della riduzione del gettito dei contributi sociali e dell'applicazione della clausola di salvaguardia secondo le indicazioni ufficiali.
  Nel 2017 la manovra necessaria per raggiungere l'obiettivo di saldo ha un impatto restrittivo ex ante pari a 6,8 miliardi di euro.
  Per la loro incerta quantificazione, alla luce delle informazioni attualmente disponibili, nell'esercizio di simulazione condotto dall'ISTAT non sono stati considerati gli effetti di riforme strutturali né i possibili effetti sul costo del debito pubblico dovuti agli interventi di politica economica che costituiscono parte integrante dell'azione programmata dal Governo.
  Con tale premessa, in base ai risultati delle analisi condotte, nel 2015 e nel 2016 la crescita economica reale beneficerebbe in modo marginale delle manovre espansive, rimanendo sostanzialmente invariata rispetto al quadro tendenziale.
  L'aumento della dinamica dei consumi delle famiglie, stimato pari a circa due e quattro decimi di punto nei primi due anni, si rifletterebbe in parte in maggiori importazioni e verrebbe compensato dalla riduzione di consumi e investimenti pubblici.
  La dinamica dell'occupazione è stimata migliorare di tre decimi di punto in entrambi gli anni, corrispondenti a oltre 50 mila occupati aggiuntivi ogni anno.
  Nel 2017, in conseguenza dell'orientamento restrittivo della manovra programmata (quattro decimi di punto di PIL), la crescita economica si ridurrebbe di quasi due decimi di punto rispetto al quadro tendenziale.
  Gli effetti sul bilancio pubblico potrebbero, tuttavia, essere più favorevoli rispetto alle valutazioni ex ante, permettendo il raggiungimento di obiettivi di finanza pubblica più ambiziosi di quelli fissati dal Governo.
  In particolare, se si manifestassero effetti positivi su crescita economica e occupazione, derivanti dall'attuazione di riforme strutturali, o se venisse attuata una ricomposizione del bilancio pubblico sulla base di interventi con caratteristiche più favorevoli al miglioramento della competitività e alla crescita economica, lo scenario previsivo potrebbe mutare.
  Di conseguenza, le manovre necessarie al raggiungimento degli obiettivi fissati nel 2017 e nel 2018, stimate nella Nota di aggiornamento pari, rispettivamente, a quattro e sei decimi di punti di PIL, potrebbero essere significativamente meno restrittive, con l'avvio di un circolo virtuoso tra risanamento finanziario e crescita economica.
  Passiamo ora a esaminare i provvedimenti per imprese, individui e famiglie. Su alcuni dei provvedimenti più significativi previsti nel disegno di legge di stabilità, l'ISTAT può offrire un contributo conoscitivo di analisi.Pag. 20
  Al riguardo, di seguito mi soffermerò sulla stabilizzazione del bonus di 80 euro previsto all'articolo 4, sulla deduzione del costo del lavoro dall'imponibile IRAP di cui all'articolo 5, sul credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo di cui all'articolo 7, sugli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato di cui all'articolo 12 e sulle misure per la famiglia di cui all'articolo 13, con alcune valutazioni quantitative, indicazioni sulle platee dei potenziali beneficiari o analisi di contesto.
  Con riguardo alla stabilizzazione del bonus di 80 euro previsto all'articolo 4, come ho già illustrato nella precedente audizione sulla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, dalle analisi condotte con il modello dell'ISTAT di microsimulazione della situazione reddituale delle famiglie, risulta un aumento del reddito dei beneficiari pari a circa il 2,7 per cento.
  Come è noto, numerose famiglie nelle fasce più povere non sono comprese nella platea dei beneficiari o sono incapienti. Ciononostante, la misura porterebbe una lieve riduzione della disuguaglianza economica e del numero di famiglie a rischio di povertà (circa 97 mila famiglie in meno rispetto allo scenario di base nel 2015).
  Per quanto riguarda la deduzione del costo del lavoro dall'imponibile IRAP di cui all'articolo 5, la disposizione prevede l'esclusione della componente relativa al costo del lavoro dalla determinazione della base imponibile IRAP e la contestuale abrogazione della riduzione del 10 per cento dell'aliquota ordinaria introdotta a maggio per l'anno d'imposta in corso. L'esclusione riguarderà soltanto il costo sostenuto per il lavoro dipendente a tempo indeterminato, al netto delle deduzioni in vigore.
  Questo provvedimento si inserisce in un lungo ciclo di interventi volti ad alleggerire parte del cuneo fiscale sul costo del lavoro a tempo indeterminato, avviato con la legge finanziaria per il 2007.
  Attraverso l'uso del modello di microsimulazione fiscale dell'ISTAT sulle società di capitali, sono stati valutati gli effetti complessivi della normativa proposta in termini distributivi e di gettito per lo Stato.
  La riduzione del carico fiscale sul costo del lavoro dipendente restringe sensibilmente l'insieme delle società interessate: poco più del 55 per cento delle società di capitali considerate impiega lavoro dipendente.
  Il peso dell'IRAP sul costo del lavoro a tempo indeterminato prima della manovra prevista dal disegno di legge di stabilità è mediamente pari all'1,3 per cento.
  L'effetto combinato della riduzione della base imponibile e dell'aumento dell'aliquota ordinaria, previsti dal disegno di legge di stabilità, determina un beneficio netto per circa il 27 per cento delle società considerate, che in termini di addetti costituisce il 67,2 per cento del totale.
  Nel complesso, la perdita di gettito IRAP riferita alle sole società di capitali ammonta a quasi 2,7 miliardi di euro, pari a circa il 24 per cento del prelievo IRAP attuale.
  Considerando il contestuale aggravio IRES, derivante dalla minore deduzione dell'IRAP gravante sul costo del lavoro dall'imposta sul reddito delle società, la perdita di gettito sarà, però, inferiore.
  Le imprese del Nord risultano avvantaggiate dal provvedimento proposto e, dunque, molte tra le regioni settentrionali – il Friuli Venezia Giulia, il Veneto, l'Emilia-Romagna, la Liguria e la Lombardia – vedrebbero ridotte le entrate IRAP in misura superiore alla media.
  Per le imprese beneficiarie lo sgravio d'imposta complessivo, IRAP e IRES, determinato dalla manovra è in media pari al 12,2 per cento, mentre per le imprese sfavorite l'aggravio di spesa è pari all'1,9 per cento.
  La percentuale dei beneficiari è più elevata tra le imprese dell'industria e del commercio, ma l'entità dello sgravio è superiore alla media nei settori delle public utilities e negli altri servizi, inclusi i trasporti.
  La percentuale dei beneficiari cresce con la dimensione dell'impresa. Tra le società di capitali di minori dimensioni, Pag. 21con fatturato inferiore a 500 mila euro, meno del 20 per cento ottiene uno sconto di imposta, mentre tra le società di grandi dimensioni, con fatturato superiore a 10 milioni di euro, oltre tre quarti beneficiano della manovra.
  Con riguardo al credito d'imposta per attività di ricerca e sviluppo previsto all'articolo 7, il disegno di legge di stabilità prevede, per gli investimenti incrementali in ricerca e sviluppo, l'introduzione di un credito d'imposta del 25 per cento, che sale al 50 per cento per le spese relative all'assunzione di personale qualificato e per le attività svolte con partner esterni (la cosiddetta spesa extra-muros).
  La misura intende favorire investimenti in attività di ricerca e sviluppo da parte delle imprese e, per tale motivo, fornisco alcuni elementi del ritardo che registriamo in questo ambito rispetto al quadro europeo.
  Nel nostro Paese la spesa per ricerca e sviluppo nel 2012 rappresentava meno dell'1,3 per cento del PIL, un livello molto inferiore al 2,1 per cento raggiunto dall'Unione europea nel suo complesso. Il divario con l'Unione europea è ancora maggiore considerando la componente di spesa relativa alle imprese, pari allo 0,7 per cento del PIL in Italia contro l'1,3 per cento nell'Unione europea.
  Inoltre, nei limiti di comparabilità di questo tipo di stima, gli incentivi pubblici in Italia sono relativamente modesti a confronto con l'insieme delle altre economie avanzate. Infine, le previsioni delle imprese rilevate dall'ISTAT indicano nel 2014 una spesa a prezzi correnti per attività di ricerca e sviluppo inferiore a quella registrata nel 2012.
  I risultati dell'indagine sulla spesa per ricerca e sviluppo svolta annualmente dall'ISTAT offrono indicazioni sulla platea dei potenziali beneficiari del provvedimento. La spesa è sostenuta per circa due terzi da imprese con almeno 500 addetti. Per contro, le imprese di minori dimensioni, quelle fino a 49 addetti, pur rappresentando oltre il 66 per cento delle imprese coinvolte, ne spiegano circa il 9 per cento.
  Sia in termini di imprese sia in termini di spesa, l'attività di ricerca e sviluppo è svolta per circa tre quarti da imprese del Nord e per poco più dell'8 per cento da imprese del Mezzogiorno. Il maggiore incentivo per la spesa in ricerca e sviluppo extra-muros potrebbe coinvolgere un numero più limitato di imprese, ma favorire al tempo stesso quelle di minori dimensioni, che mostrano un'intensità di spesa in ricerca e sviluppo extra-muros superiore a quella intra-muros.
  Infine, negli ultimi anni si osserva anche una tendenza a un incremento del personale ad alta qualifica, con un titolo di studio universitario, anch'esso interessato da un maggiore incentivo, la cui quota tra il 2008 e il 2012 passa dal 39 al 44 per cento del totale degli addetti impegnati nelle attività di ricerca e sviluppo.
  Passiamo agli sgravi contributivi per assunzioni a tempo indeterminato di cui all'articolo 12. La disposizione prevede l'esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro privati, con riferimento alle nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, con esclusione dei contratti di apprendistato e dei contratti di lavoro domestico.
  La misura intende promuovere forme di occupazione stabile, perciò in questa sede fornisco indicazioni sull'entità e natura del fenomeno del lavoro atipico (contratti a termine e collaboratori), che potrebbe essere interessato dal provvedimento. Per ulteriori dettagli, rinvio al dossier allegato.
  Nel secondo trimestre 2014 il lavoro atipico coinvolge 2 milioni e 758 mila occupati, pari al 12,3 per cento del totale. I dipendenti a termine sono il 10,5 per cento, rispetto alla media europea del 14,1 per cento.
  Il lavoro atipico risulta attualmente la più frequente modalità d'ingresso o rientro nell'occupazione: su 100 persone occupate nel secondo trimestre 2014 che l'anno precedente dichiaravano di non lavorare, il 55,6 per cento svolge un lavoro atipico, il 48,2 per cento un lavoro a termine e il 7,4 per cento una collaborazione. Tale Pag. 22incidenza sale al 65,9 per cento tra i giovani fino a trent'anni. Nello stesso periodo, più della metà dei lavoratori a termine, il 53,9 per cento, ha un contratto con una durata inferiore all'anno.
  Per una quota consistente degli atipici, la condizione di temporaneità del rapporto di lavoro si protrae nel tempo: sono 566 mila gli atipici che svolgono lo stesso lavoro da almeno cinque anni e circa la metà di questi con contratti di durata inferiore all'anno rinnovati ripetutamente.
  Veniamo ora alle misure per la famiglia previste all'articolo 13. La disposizione prevede, per ogni figlio nato o adottato, a decorrere dal 1o gennaio 2015 fino al 31 dicembre 2017, un assegno d'importo annuo di 960 euro per tre anni, al fine di incentivare la natalità e contribuire alle relative spese di sostegno.
  Il provvedimento si inserisce in un contesto di calo della natalità, iniziato in termini assoluti nel 2009 e diventato via via più intenso nel corso della crisi. Nel 2013 sono stati iscritti in anagrafe per nascita circa 514.300 bambini, oltre 60 mila in meno rispetto al 2008.
  Nonostante le neomadri risultino sempre più istruite e presenti nel mercato del lavoro, come illustrato nel dossier allegato, nel 2012 oltre il 22 per cento delle madri occupate all'inizio della gravidanza ha lasciato il lavoro a circa due anni dalla nascita del bambino; nel Sud si tratta di un terzo. Inoltre, tra le donne che hanno mantenuto il lavoro, crescono le difficoltà di conciliazione, dal 37 al 42 per cento.
  La rete informale continua a essere il supporto fondamentale per le madri, mentre diminuiscono i bambini che vanno al nido pubblico. Quasi un terzo della richiesta di asili nido da parte di madri lavoratrici rimane disattesa, soprattutto perché la retta è considerata troppo cara.
  Infine, con riferimento alle adozioni, la platea potenziale dell'intervento può essere stimata in circa 4 mila unità, corrispondenti al numero di adozioni, nazionali o internazionali, nel 2012.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Alleva. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  BRUNO TABACCI. Presidente, la ringrazio per le informazioni che ci ha trasmesso, prevalentemente concentrate sugli aumenti di spesa e sulla riduzione delle tasse. Non c’è un riferimento specifico alle principali modalità di copertura, su cui l'ISTAT forse potrebbe darci qualche elemento in più per ragionare.
  Ricordo che, se vogliamo evitare la clausola di salvaguardia con gli aumenti dell'IVA prestabiliti, è necessario che tutte le altre azioni funzionino in misura precisa, sia per quanto riguarda la riduzione delle spese, con una parte che fa riferimento agli enti periferici pari a 6,2 miliardi di euro per il 2015, sia con riguardo al funzionamento della lotta all'evasione fiscale, per cui è previsto il reperimento di risorse per 3,5 miliardi di euro nella media del triennio.
  L'esperienza di questi anni ha dimostrato che la riduzione delle risorse disponibili riferite agli enti territoriali e locali, regioni e comuni, non si sono tradotte in una riduzione delle spese correnti, ma piuttosto in due altre direzioni: la riduzione drastica delle spese in conto capitale e l'aumento della tassazione ovvero l'aumento delle entrate.
  Questo è un capitolo da investigare in profondità, perché è evidente che, se vogliamo evitare che si determini una partita di giro con uno scarico sui cittadini, questa azione, così come è presentata, non è sufficiente.
  A proposito dell'azione di contrasto all'evasione fiscale, penso che l'inversione contabile da sola non basti e che, comunque sia, è necessario avere una fotografia più precisa sul tema della profondità dell'evasione nel nostro Paese.
  Poiché l'ISTAT da alcuni anni è forse l'unico istituto che ha cominciato a ragionare su questi argomenti, bisognerebbe andare in profondità sia sulla questione della cosiddetta economia sommersa sia sulle conseguenze in termini di evasione fiscale che si determinano.Pag. 23
  È chiaro, infatti, che, se qui viene indicata una stima di 3,5 miliardi di euro ma la Banca d'Italia, i cui rappresentanti sono stati auditi prima di quelli dell'ISTAT, ci dice che le stime sul punto vanno verificate con grande cautela, va da sé che forse converrebbe concentrarsi molto su questi aspetti, se si vuole mettere la Commissione bilancio nella condizione di esprimere un parere un po’ più consapevole.

  GIANFRANCO LIBRANDI. Presidente, vorrei fare una valutazione. Stiamo ascoltando i rappresentanti della Banca d'Italia e dell'ISTAT, che ringrazio tantissimo per l'analisi del quadro economico generale appena svolta, che apprezzo molto perché contiene elementi di grande riflessione.
  Considerato che l'ISTAT ha un modello macroeconomico che consente delle valutazioni, perché questo non diventa un modello attivo che fa delle proposte al Governo ? Vedo che tutti enunciano un'analisi dei dati, ma mi sembra che nessuno abbia il coraggio di proporre delle soluzioni.
  Alla fine, secondo questi dati, avremo una crescita dello 0,1 e 0,4 per cento e un rischio di clausole di salvaguardia di miliardi di euro. Secondo me, ci vuole il coraggio di guardare le manovre messe in campo dagli altri Stati, tentando di capire, tutti insieme, in che modo tali manovre abbiano funzionato e cercando di aiutarci per trovare una soluzione che possa trascinare il nostro Paese fuori da questa situazione.
  Per quanto riguarda le aziende, che mi sento di rappresentare, per il momento abbiamo solo avuto un aumento della retroattività dell'IRAP, cioè una tassa in più. Dunque, perché continuiamo a dire che va tutto bene ? Non va bene niente.
  Dobbiamo avere il coraggio, tutti insieme, di dare, non dico una sferzata, ma almeno un aiuto al Governo, magari guardando, non solo le situazioni passive degli Stati che ci circondano o delle nazioni più importanti, come è stato fatto, ma anche le modalità con cui nel recente passato alcune nazioni, tra cui l'Inghilterra, hanno trovato delle soluzioni più incisive per togliere i cittadini da questa situazione drammatica.
  Io potrei avere le mie idee, ma preferisco che tutti insieme cerchiamo di ragionare su delle idee attive piuttosto che passive.

  GIOVANNI PAGLIA. Presidente, vorrei fare un'osservazione e una domanda.
  Quanto all'osservazione, mi sembra di capire, anche dalle considerazioni svolte dal presidente dell'ISTAT, che individuiamo nella contrazione degli investimenti pubblici e privati il più grosso problema rispetto al tema della crescita in Italia. Devo rilevare che, ancora una volta, anche in questo disegno di legge di stabilità non c’è nulla per incentivare né gli uni né gli altri.
  Sugli investimenti privati ci si limita all'idea, del tutto ipotetica, che una diminuzione dell'IRAP possa tradursi in investimenti. Ciò, ovviamente, in assenza di un qualche tipo di incentivo in questa direzione, non è scontato, anzi. Invece, sul piano degli investimenti pubblici c’è verosimilmente una forte contrazione perché, essendoci un taglio fortissimo di spesa pubblica, questo non potrà che tradursi in una contrazione, a partire dal fatto che persino i fondi europei vengono di fatto tagliati in merito al cofinanziamento di 500 milioni di euro.
  Vengo alla domanda. Nell'ultima rilevazione abbiamo avuto, rispetto al tema dell'occupazione, due dati apparentemente discordanti, ossia un aumento contemporaneo del tasso di disoccupazione e del numero di occupati.
  Mi chiedo se, dal punto di vista dell'ISTAT, questo possa essere riferito esclusivamente al fatto che una discreta massa di persone improvvisamente ha ricominciato a cercare lavoro, dopo essersi sottratta alla necessità o al desiderio di farlo per mesi o anni, o se invece non ci sia qualche altra ragione.
  Non so in che modo venga fatta la rilevazione. Qualcuno pensa che lo stesso contratto sulla stessa persona sia stato più volte ripetuto nell'arco dello stesso periodo Pag. 24statistico. Questo non rappresenterebbe un aumento del numero degli occupati, ma un aumento del numero delle firme, che è una cosa decisamente diversa.
  Infine, ci viene confermato ancora una volta – non è un dato nuovo, però ci tengo a sottolinearlo – che il tasso di risparmio in questo Paese continua a essere in contrazione. Credo che questo dato, unito a ciò che sappiamo rispetto al reddito di fine lavoro che le persone avranno in Italia e anche ad alcune manovre contenute in questo disegno di legge di stabilità, che certamente non incentivano il sistema pensionistico nel suo complesso, non disegni un futuro particolarmente roseo, soprattutto se, a fronte di un tasso di risparmio che diminuisce in modo sensibile, l'aumento del tasso di consumo è sostanzialmente irrilevante.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Ringrazio molto il presidente Alleva per la sua presentazione e per i dati che ci ha fornito.
  Vorrei mettere a fuoco un aspetto. Poc'anzi con i rappresentanti della Banca d'Italia abbiamo parlato delle stime. È stato confermato, anche da parte vostra, che l'impatto macroeconomico di questo disegno di legge di stabilità e delle misure previste, almeno per l'anno prossimo, sarà relativamente trascurabile e si può definire, al meglio, non restrittivo.
  Naturalmente, ciò significa che, per quanto riguarda le fonti di domanda e, quindi, anche di eventuale impulso alla ripresa, la domanda esterna rimane fondamentale.
  Nell'allegato statistico che voi avete unito alla presentazione, vedevo che, in realtà, soprattutto nel 2012 e in parte nel 2013, abbiamo avuto una componente esterna che in termini netti ha significativamente, se non unicamente, contribuito a compensare la domanda interna. Questo, in seguito, è venuto meno soprattutto perché le importazioni hanno ripreso a crescere.
  Da questo punto di vista, vorrei una vostra valutazione. Si dice frequentemente, soprattutto a livello europeo, che l'Italia è l'unico tra i Paesi cosiddetti più indebitati che in questi ultimi anni non ha prodotto un significativo aggiustamento sul piano della competitività dei costi. Gli esempi che si riportano sono quelli della Spagna, del Portogallo e finanche della Grecia.
  Guardando l'andamento del costo del lavoro per unità prodotta, emerge che in questo periodo abbiamo avuto aggiustamenti di gran lunga minori, se non proprio trascurabili. Questo fa capire perché nelle vostre previsioni il contributo netto della domanda estera rimarrà trascurabile (0,1 per cento), il che significa che tutto graverà, ancora una volta, sulla domanda interna. Dico «ancora una volta» perché la situazione di recessione e di ristagno è derivata soprattutto da un mercato interno che sappiamo come si è comportato.
  Mi chiedo innanzitutto se, secondo le vostre valutazioni, il problema della «competitività» del sistema produttivo italiano sia tale per cui sul fronte export-import non possiamo aspettarci granché, almeno nel prossimo futuro, come stimolo alla crescita.
  In secondo luogo, in base a che cosa il prossimo anno gli investimenti dovrebbero invertire quel segno negativo che abbiamo visto, se sul fronte della domanda ci aspettiamo molto poco ? Ciò che rimane non ha una visione prettamente in termini di acceleratore degli investimenti, però la domanda su quanto ci si aspetta di vendere è fondamentale.
  Da che cosa deriverà, secondo voi, questa inversione di tendenza negli investimenti fissi che nel 2015 genererà una ripresa, non esaltante, ma comunque significativa ?

  BACHISIO SILVIO LAI. Presidente, vorrei porre due domande. In primo luogo, vorrei sapere dal presidente dell'ISTAT se è stato elaborato dal suo istituto un impatto, una valutazione della manovra anche sul piano geografico.
  Chiedo questo perché mi colpisce molto l'effetto congiunto che si realizza con l'intervento sull'articolo 7 e sull'articolo 5. Entrambi gli interventi, dall'analisi che voi fate, paiono favorire, in particolare, le Pag. 25imprese che appartengono a regioni settentrionali e le imprese che hanno una dimensione sopra i 500 addetti, che sono maggiormente presenti nel territorio settentrionale.
  Questo, al di là del comportare entrate IRAP maggiori alla media nelle regioni del Nord, parrebbe a prima vista intervenire su regioni che, se i dati non mi inducono in errore, hanno già un avvio di ripresa, al contrario delle regioni del Mezzogiorno, dove l'economia registra sicuramente maggiori difficoltà. Se questo è vero, vorrei sapere se avete dei consigli per rendere più selettivi gli interventi.
  La seconda domanda è invece relativa alle misure per la famiglia, di cui mi ha colpito un aspetto. Da una parte, c’è una descrizione della misura, che è molto importante ed è in qualche modo giustificata dall'inserimento in un contesto drammatico di calo della natalità. Infatti, in solo cinque anni è stato registrato il 10 per cento in meno di nascituri (nove bambini contro dieci). Tuttavia, nello stesso tempo, si citano una serie di dati che colpiscono molto – anche su questo punto ci potrebbe essere un elemento geografico, ma non lo voglio citare – e che mostrano che il calo della natalità è connesso sostanzialmente all'inesistenza di servizi.
  Pertanto, le chiedo se ritiene che la misura introdotta corrisponda, in termini di efficacia, a un contrasto al calo della natalità ovvero a un'alternativa, cioè alla possibilità di accedere tramite questo assegno ai servizi che servirebbero per contrastare questo calo.

  GIAMPAOLO GALLI. Presidente, sono stati indicati tantissimi numeri in questa audizione, cosa di cui la ringraziamo, e li studieremo. In qualche caso, si è un po’ frastornati e si fa un po’ fatica a capire da dove vengano questi numeri, perché fate delle affermazioni piuttosto forti e abbastanza perentorie, mentre la Banca d'Italia è tipicamente più cauta nelle valutazioni.
  Cito due esempi che mi sembrano sostanziali. Il primo riguarda le valutazioni macroeconomiche. Stiamo parlando dello 0-0,1 per cento, come si diceva poc'anzi in un intervento, non stiamo parlando di grandi differenze. Tuttavia, mi chiedo per quale motivo voi attribuiate alla manovra zero effetti sul PIL e, allo stesso tempo, parliate di 50 mila occupati aggiuntivi ogni anno.
  Questo è dovuto al fatto che è prevista la misura straordinaria, che dura un anno, di azzeramento dei contributi ? Quale modello macroeconomico o di altro tipo è in grado di valutare quanto le imprese saranno indotte effettivamente ad anticipare le assunzioni ? In altre parole, mi chiedo da dove vengano questi 50 mila occupati in più.
  Mi colpisce un'altra cosa. Voi citate due numeri secchi che riguardano le imprese beneficiate dal taglio dell'IRAP e quelle che invece finiscono per essere sfavorite. Affermate che le imprese che ne saranno avvantaggiate avranno in media un beneficio del 12,2 per cento, mentre le imprese che ne saranno sfavorite avranno un aggravio di spesa dell'1,9 per cento.
  Come fate a dare questi dati, se non si sa quanti dipendenti stanno da una parte o dall'altra ? Ci possono essere due imprese che sono beneficiate e un milione che sono sfavorite, o viceversa. Forse i dati sono nelle tabelle.
  A parte il 2014, ci sarà un problema di qualche rilievo nel 2015 riguardo a imprese che potranno essere sfavorite dall'eliminazione del costo del lavoro dalla base imponibile e dalla contemporanea eliminazione della riduzione del 10 per cento ? È un tema di qualche rilievo o è un problema che può riguardare in maniera del tutto marginale alcune imprese ?

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Alleva per la replica.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'ISTAT. Grazie per queste domande. Mi permetto di fornire qualche dettaglio in più. In seguito, cederò la parola al mio collega, il dottor Baldacci, che magari potrà dare qualche dettaglio più tecnico su alcuni elementi.
  Innanzitutto vorrei dire all'onorevole Tabacci che noi abbiamo ipotizzato che, a Pag. 26fronte della riduzione delle spese prevista per le regioni, non ci sia un aumento della tassazione. Qualora si avessero questi impatti, i nostri conti cambierebbero. Stiamo immaginando che si tratti di una riduzione della spesa pubblica.
  Vorrei sottolineare anche che la qualità di queste riduzioni è importante. Naturalmente noi abbiamo un modello macroeconomico e, quindi, non abbiamo preso in considerazione gli effetti di medio termine di una riduzione della spesa in una direzione piuttosto che in un'altra.
  Ovviamente questo si può fare e può essere letto in modo differente rispetto ai dati che produciamo. Nel nostro modello, quando si parla di riduzione di spesa, abbiamo ipotizzato che non ci siano corrispondenti aumenti di tassazione.
  Sono perfettamente d'accordo sull'importanza dell'informazione per il Paese sull'economia sommersa e l'evasione fiscale in generale, che, peraltro, sono informazioni preziose non solo per stimare i fenomeni economici per quello che sono nella realtà, ma anche per favorire azioni di contrasto mirate.
  A questo proposito, recentemente, in occasione del ricalcolo del PIL, l'ISTAT ha migliorato fortemente la qualità della propria stima dell'economia sommersa. Parliamo di 190 miliardi di euro, ossia dell'11,5 per cento del prodotto interno lordo.
  Certamente sul tema dell'evasione fiscale, grazie all'integrazione di basi dati, potremmo fare molto di più. Credo che questa sia una direzione da prendere senz'altro, in accordo con altri soggetti istituzionali, e naturalmente l'ISTAT è pienamente disponibile a fornire le informazioni per migliorare questi strumenti fondamentali per la lotta all'evasione fiscale.
  Per quanto riguarda le modalità di copertura, il dottor Baldacci darà qualche riferimento.
  Io, invece, vorrei soffermarmi sulla questione dell'utilizzo del modello macroeconomico in modo attivo, anziché per la valutazione degli effetti ex ante o ex post di provvedimenti pubblici. Credo che questo sia un uso certamente utile, anzi credo che dovremmo quanto più possibile orientare le nostre scelte sulla base di evidenze che ci vengono dai dati. Certamente sono dei supporti fondamentali.
  Tuttavia, non spetta all'ISTAT, per il suo ruolo istituzionale, fare proposte. Naturalmente siamo fortemente interessati a mettere a disposizione i nostri strumenti e le nostre competenze al Parlamento e, in generale, ad altre istituzioni per fare valutazioni di questo tipo.
  D'altra parte, abbiamo delle occasioni, tra cui non rientrano certamente le audizioni ma, ad esempio, il rapporto annuale o le nostre pubblicazioni di ricerca, in cui correntemente facciamo anche esercizi di questo tipo.
  A questo proposito, vorrei ricordare che, come ho già detto nella scorsa audizione, l'ISTAT supporta da un punto di vista metodologico l'azione dell'Ufficio parlamentare di bilancio proprio per fare una valutazione ulteriore delle scelte pubbliche.
  Per quanto riguarda i dati sui disoccupati e il tasso di disoccupazione che abbiamo diffuso qualche giorno fa, che peraltro sono stati commentati correttamente da gran parte dei mezzi di comunicazione, si tratta di due buone notizie che non sono in contrasto: da una parte, c’è l'aumento degli occupati e, dall'altra, la diminuzione degli inattivi.
  Naturalmente la diminuzione degli inattivi comporta un maggior numero di persone che cercano occupazione e, quindi, un aumento del tasso di disoccupazione. L'aumento del tasso di disoccupazione è un buon segnale, perché significa che il Paese si sta mettendo in moto.
  Se si può leggere questo fatto come il tentativo di avere un'altra fonte di reddito nelle famiglie, dobbiamo ricordare che il vero elemento che differenzia moltissimo il nostro mercato del lavoro da quello degli altri Paesi è proprio il basso tasso di attività. Pertanto, qualsiasi elemento che spinge più persone a partecipare al mercato del lavoro è un dato estremamente positivo.
  Ricordo che noi abbiamo un tasso di occupazione del 55 per cento, quindi è Pag. 27bene che ci sia un aumento di questo tasso. Pertanto, ci sono due buone notizie: aumentano gli occupati e aumentano le persone che cercano occupazione.
  Considerato che svolgiamo un'indagine campionaria sulle famiglie, sulle persone e sulla forza-lavoro, rispondo all'onorevole Paglia che non lavoriamo su dati amministrativi e sui contratti, ma chiediamo alle persone che stanno nel campione la loro posizione professionale. Pertanto, non c’è quel problema di cui lui parlava.
  Per quanto riguarda le osservazioni del senatore Guerrieri Paleotti, vorrei sottolineare che nel 2015 i numeri sono bassi, ma il segno positivo è importante e, in qualche modo, dovremmo vedere la nostra economia uscire dalla fase recessiva. Tuttavia, questo è ancora un elemento di debolezza che, secondo le nostre ipotesi, si rafforzerà soltanto nell'anno successivo.
  Come abbiamo sottolineato, in generale si tratta di una dinamica guidata dalle componenti della domanda interna (consumi e investimenti), mentre si immagina che, con riferimento alle ipotesi che sono state avanzate, di commercio mondiale, di tasso di cambio euro-dollaro e di prezzo del petrolio, con quella domanda e quella nostra competitività, la parte di domanda estera netta sia più ridotta di quella degli anni passati.
  Come ho sottolineato, ciò non è dovuto a una ridotta capacità di esportare, ma soprattutto all'aumento delle importazioni e, pertanto, quel saldo ha misura ridotta e partecipa poco nella dinamica della domanda.
  Certamente si può fare molto di più, non soltanto per questioni di variabili esogene. Dagli studi che abbiamo condotto, anche recentemente, sappiamo che ci sono forti margini di maggiore internazionalizzazione nel nostro sistema produttivo e che gran parte delle imprese hanno adottato comportamenti conservativi e difensivi nella fase della crisi. Questo riguarda, in generale, gli investimenti, ma anche i mercati esteri.
  Si tratta, quindi, di mobilitare un numero maggiore di imprese e di far sì che le imprese che già oggi sono internazionali aumentino la loro propensione, naturalmente diversificando anche i mercati. Abbiamo studiato quanto le imprese ci guadagnino, ossia quale sia la profittabilità di imprese che hanno un'azione forte di internazionalizzazione. Ci sono, quindi, dei margini che sono collegati alla capacità di investimento e, in generale, alla fiducia.
  Rispondendo alla domanda su cosa può muovere gli investimenti, credo che la fiducia sia un elemento importante perché – lo ripeto – si tratta di imprese ferme, che puntano alla sopravvivenza. Consideriamo l'accesso al credito come un altro elemento in grado di aumentare gli investimenti delle imprese. Si tratta di un altro elemento che oggi è largamente inespresso e che ha un potenziale capace di aumentare gli investimenti.
  Abbiamo visto che anche la manovra induce un certo aumento degli investimenti. Si tratta di un aumento ridotto – mi sembra che parliamo dello 0,1 per certo –, però ci sono anche gli effetti indotti dalla manovra. Poiché parliamo di una crescita guidata da incrementi di consumi, anche se non particolarmente forti, naturalmente questi incrementi a loro volta generano degli investimenti.
  Ci sono, quindi, diversi elementi che dovrebbero rimettere in moto gli investimenti, che sostanzialmente sono quelli che noi riteniamo responsabili di questa fase ancora recessiva.
  Abbiamo fornito informazioni sulla platea dei beneficiari a livello geografico e a livello di dimensione delle imprese perché, come istituto di statistica, abbiamo questa informazione. Per quanto non ci siamo spinti a valutare gli impatti differenti per area geografica o per classe dimensionale delle imprese, abbiamo comunque dato un elemento su quelli che possono essere in misura maggiore i destinatari degli interventi che abbiamo analizzato.
  Ci siamo limitati a questo anche perché utilizziamo un modello di previsione aggregato e ancora non abbiamo approntato strumenti per differenziare. Comunque, è una direzione praticabile quella di fare ragionamenti di questo tipo. Credo che Pag. 28tale informazione sia utile per capire gli effetti potenziali nei diversi territori per classe di ampiezza.
  La lettura degli squilibri è un'altra cosa, perché si può anche decidere a ragione di investire di più sulle grandi imprese piuttosto che sulle piccole o di fare altre scelte di questo tipo. Comunque, noi abbiamo fornito dei riferimenti sui destinatari.
  Perché aumenta l'occupazione mentre aumenta poco il PIL ? In questa manovra che stiamo valutando, ci sono degli effetti che abbiamo considerato, relativi all'IRAP e all'altra misura sul tempo indeterminato, che possono facilitare un aumento dell'occupazione, che peraltro – lo ricordo – è dello 0,3 per cento. Anche questa valutazione è cautelativa.
  Tuttavia, abbiamo visto che c’è un aumento dei consumi, per quanto piccolo. Dunque, c’è comunque una dinamica d'impresa che dovrebbe mettere in moto anche nuova occupazione.
  Per quanto riguarda gli sgravi e gli aggravi, vorrei ricordare che, avendo fornito quelle informazioni sui valori medi, abbiamo la disponibilità di dati su quante sono le imprese e quanti sono i dipendenti, in modo da poter calcolare quei valori. Questi dati, eventualmente, sono disponibili e credo che alcuni siano citati nei materiali che vi abbiamo consegnato.
  Vorrei cedere la parola al dottor Baldacci, che forse vuole aggiungere qualche ulteriore elemento.

  PRESIDENTE. Le chiedo, dottor Baldacci, di essere telegrafico, perché siamo già ben oltre l'orario.

  EMANUELE BALDACCI, direttore del dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca dell'ISTAT. Presidente, vorrei chiarire solo un punto citato dal senatore Tabacci relativo alle coperture. Non abbiamo fatto una valutazione autonoma della probabilità di realizzo delle coperture, ma ci siamo affidati alle relazioni tecniche.
  Tuttavia, abbiamo svolto delle analisi controfattuali del tipo what if, cioè «cosa succederebbe se». Se, ad esempio, non venisse introiettato il gettito dell'evasione e si ricorresse, quindi, a tagli di spesa per misura equivalente, l'impatto sul PIL sarebbe di due decimi di punto in meno rispetto allo scenario che abbiamo illustrato.
  Se, invece, i tagli alle spese correnti si trasformassero in tagli alle spese in conto capitale – questa è un'altra delle ipotesi che il senatore Tabacci citava come possibile misura – l'impatto sarebbe negativo di circa un paio di decimi di punto. Ciò è quanto abbiamo simulato sempre con il nostro modello.

  PRESIDENTE. Quindi, in entrambi i casi parliamo di due decimi di punto. Penso che questa audizione sia stata esaustiva.
  Ringrazio il presidente Alleva e tutta la delegazione dell'ISTAT.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti della Corte dei conti.
  È presente il dottor Raffaele Squitieri, presidente della Corte dei conti, che è accompagnato dal dottor Angelo Buscema, presidente di sezione, dai consiglieri Enrico Flaccadoro, Salvatore Tutino, Natale Maria Alfonso D'Amico, Mario Nispi Landi, Cinzia Barisano e Maurizio Pala, nonché dal dottor Paolo Peluffo, consigliere dell'ufficio stampa, e dal dottor Roberto Marletta, funzionario dell'ufficio stampa.
  Do la parola al dottor Raffaele Squitieri, presidente della Corte dei conti.

  RAFFAELE SQUITIERI, presidente della Corte dei conti. Grazie, presidente. Abbiamo depositato agli atti della Commissione Pag. 29una versione completa del testo del nostro lavoro, di cui illustrerò una sintesi abbreviata, ma la relazione contiene anche delle appendici monotematiche di grande interesse alle quali faccio rinvio per ragioni di tempo.
  La legge di stabilità 2015 avvia il percorso programmatico delineato dalla Nota di aggiornamento del DEF, sulla quale la Corte è stata ascoltata solo pochi giorni fa.
  Nel corso della consultazione preliminare all'esame del Documento programmatico di bilancio, il Governo ha accolto l'invito della Commissione ad assicurare nel 2015, in ottemperanza alle regole comunitarie, un rafforzamento della correzione del saldo strutturale.
  Le misure indicate nell'aggiornamento della Nota, che modificano l'impianto originario della manovra, comportano un miglioramento dei saldi nel 2015 rispetto all'anno precedente superiore allo 0,3 per cento.
  La manovra proposta dal Governo nel testo iniziale presentato al Parlamento, prevedeva interventi per circa 36,2 miliardi nel primo anno, 45,1 miliardi nel 2016 e 45,6 miliardi nel 2017. A seguito delle modifiche disposte dal Governo in esito alle consultazioni con la Commissione, la dimensione complessiva della manovra verrebbe a ridursi a 32,4 miliardi nel 2015.
  Il finanziamento in disavanzo si ridurrebbe peraltro nel 2015 a 5,9 miliardi, dallo 0,7 allo 0,4 per cento del PIL, mentre si rafforzerebbe, nell'ipotesi del permanere degli effetti dell'inversione contabile, il cosiddetto reverse charge, il miglioramento dei saldi negli anni successivi.
  Le entrate registrano una riduzione netta di poco più di un miliardo nel 2015 e un incremento, rispettivamente di 6,7 e 13,5 miliardi, nel biennio successivo: un andamento che risente dell'inserimento, a partire dal 2016, di una nuova clausola di salvaguardia per il conseguimento degli obiettivi programmatici, equivalente a 12,8 miliardi che crescono a 19,2 miliardi nel 2017.
  Le spese presentano un incremento netto di circa 4,9 miliardi nel 2015 e di 5,9 miliardi in ciascuno degli anni successivi. Aumenta, in particolare, la componente di spesa in conto capitale, con una variazione incrementale nel triennio considerato da 2 miliardi nel 2015 a 4,3 miliardi nel 2017.
  Su tale rappresentazione della manovra incide naturalmente la contabilizzazione, come maggiore spesa, nelle prestazioni sociali in denaro secondo i criteri di contabilità nazionale, del bonus di 80 euro per i lavoratori dipendenti, pari a 9,5 miliardi annui.
  Una sua considerazione tra le minori entrate modificherebbe invece considerevolmente il quadro complessivo della manovra: le entrate nette si ridurrebbero di 10,5 e di 2,7 miliardi nel primo biennio, per crescere di 3,9 miliardi nel solo anno terminale.
  La copertura dalla manovra è assicurata principalmente dalla riduzione delle spese delle amministrazioni territoriali e centrali, a cui si aggiungono gli utilizzi di fondi accantonati per la riduzione del prelievo fiscale. Per questi ultimi si tratta di 3 miliardi per il 2015, che salgono rispettivamente a 4,6 e a 4,1 miliardi nel biennio successivo.
  I ministeri concorrono direttamente per 2,3 miliardi nel 2015 e nel 2016 e per 2,4 miliardi nel 2017. Solo marginale è poi il contributo assicurato dalla riduzione dei trasferimenti alle imprese e dalla revisione della disciplina dei crediti d'imposta.
  Gli importi più consistenti sono attesi dai risparmi di spesa corrente delle amministrazioni territoriali: 8,5 miliardi nel 2015, che crescono ad oltre 10,5 miliardi nel 2017. Di questi, 4 miliardi sono richiesti alle regioni mentre la restante somma è attesa dagli enti locali, che tuttavia ottengono una rilevante riduzione degli obiettivi del patto di stabilità interno, nell'ordine di circa 3,4 miliardi, che è previsto si traduca in una crescita della spesa in conto capitale di pari ammontare.
  Maggiori entrate, infine, sono attese dall'innalzamento dell'aliquota di tassazione per i fondi pensione dall'11 al 20 per cento, nonché dall'incremento della tassazione della rivalutazione del trattamento di fine rapporto dall'11 al 17 per cento e Pag. 30dall'introduzione nell'ordinamento nazionale del sistema dell'inversione contabile per operazioni relative al settore energetico e del gas e per le prestazioni di servizi di pulizia e per gli acquisti delle pubbliche amministrazioni.
  Sono attesi, inoltre, circa 1,6 miliardi nel 2005 e 5,2 miliardi nel triennio da una maggiore cooperazione tra l'amministrazione finanziaria e i contribuenti e dalla revisione del sistema di tassazione del gioco.
  Sul versante delle entrate la manovra dovrebbe produrre nel triennio effetti rilevanti, anche se di dimensione e di segno differenziati: una riduzione di prelievo netto di poco più di un miliardo nel 2015, per effetto di sgravi, pari a 11,4 miliardi, solo in parte compensati da inasprimenti impositivi, pari a 10,4 miliardi, e per contro un aumento di prelievo netto dell'ordine di 6,8 miliardi nell'anno seguente, destinato a raddoppiare nel 2017 sino a 13,5 miliardi.
  Oltre che per le dimensioni complessive, la manovra si segnala anche per una composizione contraddistinta da molteplici misure dagli effetti variamente caratterizzati – di aggravio e di sgravio, diretti e indotti – e distribuiti su un'ampia platea di contribuenti. Al loro interno, è possibile intravedere alcune linee guida, taluni obiettivi che ne sono espressione e la tipologia degli strumenti impiegati: tutti aspetti che aiutano ad esprimere una valutazione sulla struttura e sugli effetti della manovra e a segnalare taluni rischi ed incertezze che potrebbero manifestarsi in sede attuativa.
  Il disegno di legge di stabilità 2015 appare orientato in due direzioni: rilanciare l'offerta, favorendo la ripresa della produzione; sostenere la domanda, creando spazi all'aumento del reddito disponibile e alla crescita dell'occupazione. Nel perseguirle il Governo si concentra su tre obiettivi. Quello della riduzione del cuneo fiscale risulta prioritario: le risorse impegnate ammontano nel triennio della previsione a complessivi 51 miliardi, di cui 23 di riduzione del prelievo e 28 sotto forma di aumento di spesa.
  Ad essere aggredite sono tutte le componenti del cuneo: quella contributiva, interessata da una cancellazione triennale degli oneri previdenziali a carico dei datori di lavoro, per le assunzioni a tempo indeterminato effettuate nell'arco del 2015, quella relativa all'IRAP che, a seguito dell'integrale deducibilità del costo del lavoro dalla base imponibile, per i lavoratori a tempo indeterminato cessa di far parte del cuneo fiscale, quella tributaria, infine, che almeno per 11 milioni di lavoratori dipendenti, quelli con un reddito inferiore ai 26.000 euro, interessati dal bonus di 80 euro, registra un'attenuazione dell'onere IRPEF.
  Gli effetti del congiunto operare di tali misure sono in astratto di difficile identificazione. L'entità dello sgravio sarà, infatti, diversificata per ogni singola impresa in relazione alla sua particolare combinazione di fattori produttivi, capitale e lavoro, alla quota di lavoratori a tempo indeterminato sul complesso dei dipendenti e infine al peso e al livello retributivo dei nuovi assunti.
  Risulta invece possibile formulare una valutazione degli effetti delle tre misure, separatamente considerate. In particolare, si può stimare che: l'intervento sull’ IRAP ridurrebbe strutturalmente il costo del lavoro in misura compresa tra l'1,5 per cento per le imprese manifatturiere e il 2 per cento per quelle di servizi; la decontribuzione relativa ai nuovi assunti a tempo indeterminato intaccherebbe il costo del lavoro in misura più pesante, poco più del 20 per cento a un livello retributivo prossimo ai 26.000 euro, anche se per un arco temporale limitato a un triennio; il riconoscimento del bonus, infine, avrebbe effetti significativi in termini di reddito disponibile e di riduzione del cuneo fiscale solo per i livelli retributivi più bassi, considerando che per una retribuzione lorda di 18.000 euro l'onere IRPEF sarebbe contenuto di oltre 5 punti.
  Un secondo obiettivo può essere individuato nel sostegno assicurato a specifici segmenti dell'attività produttiva. Ad essi sono destinati sgravi fiscali e contributivi netti di poco inferiori, per il triennio Pag. 312015-2017, a 4 miliardi di euro. Ne sono interessati soprattutto gli operatori di ridotte dimensioni del lavoro autonomo e della piccola impresa individuale, per effetto dell'introduzione di un nuovo regime fiscale agevolato.
  Interventi non meno significativi sono indirizzati sia a favore di alcuni settori produttivi maturi, quali quello delle costruzioni, della riqualificazione energetica e dei mobili, che traggono beneficio dalla proroga del regime di detraibilità delle spese, sia a favore di settori innovativi caratterizzati dall'utilizzo di brevetti, marchi e opere di ingegno, per effetto dell'introduzione di un regime di esclusione parziale dei redditi derivanti dall'utilizzo di beni immateriali.
  Un terzo obiettivo infine è quello rivolto al sostegno alle famiglie, che impegna circa 2,5 miliardi di risorse nel triennio. Ad esso risultano direttamente riconducibili due misure: il riconoscimento per un triennio di un bonus annuo di 960 euro per ogni figlio nato o adottato fra il gennaio 2015 e il dicembre 2017, e la facoltà, accordata sperimentalmente ai lavoratori dipendenti del settore privato, di optare per la corresponsione in busta paga della quota maturanda di TFR.
  Ma, a ben vedere, tale obiettivo è rinvenibile, in concomitanza con quello della riduzione del cuneo fiscale, anche nella ricordata stabilizzazione del bonus da 80 euro.
  Nell'avanzare le prime valutazioni, conviene soffermarsi su due aspetti della manovra. Il primo riguarda gli effetti attesi dalla prevista decontribuzione dei nuovi dipendenti assunti a tempo indeterminato. La sua operatività, limitata alle assunzioni effettuate nel corso del 2015, presenta diversi aspetti problematici, di seguito elencati: possono beneficiarne anche imprese che abbiano ridotto gli organici negli ultimi anni o mesi; la dimensione dell'intervento previsto, che consente di ridurre di oltre un terzo il costo del lavoro, potrebbe esercitare limitati effetti aggiuntivi di crescita dell'occupazione; il costo della misura – relativamente contenuto, anche perché sconta una diluizione nel tempo dei benefici – potrebbe aumentare a seguito di una loro concentrazione; in presenza di un incentivo così corposo non pare si possano escludere, in assenza di adeguate cautele normative, comportamenti distorsivi volti a ottenere il beneficio della decontribuzione.
  Il secondo aspetto riguarda invece l'impatto del bonus di 80 euro introdotto dal decreto-legge n. 66 del 2014 ed ora stabilizzato a decorrere dal 2015. Gli effetti della misura si confermano importanti: l'esborso per la finanza pubblica è valutato in 9,5 miliardi l'anno, indipendentemente che la si configuri come una riduzione di prelievo o come un aumento delle spese di trasferimento alle famiglie.
  Come è noto, il bonus si applica a 11 milioni di lavoratori dipendenti, quelli con reddito imponibile compreso fra 8.147 e 26.000 euro, che fruiscono di un beneficio compreso fra 11 e 2 punti di aumento del reddito disponibile. Restano pertanto esclusi dal provvedimento poco meno di 10 milioni di lavoratori dipendenti, collocati sotto o sopra le soglie prescelte, oltre naturalmente all'intera platea dei pensionati e dei lavoratori autonomi.
  L'osservazione che i soggetti che beneficiano del bonus si identificano con le code reddituali più basse del lavoro dipendente ridimensiona gli effetti del provvedimento in termini di riduzione del cuneo fiscale. In questi casi il bonus assume i caratteri più vicini a quelli del trasferimento sociale che non a quelli della riduzione dell'IRPEF.
  Di conseguenza, nel momento in cui la legge di stabilità rende permanente il bonus sarebbe opportuna una riflessione sulla natura dell'istituto, per deciderne o l'assorbimento nell'ossatura dell'IRPEF ovvero l'esplicito inquadramento tra le misure a sostegno dello stato sociale.
  Quanto ai rischi e alle incertezze che il disegno di legge di stabilità 2015 evidenzia sul versante delle entrate, appare opportuno sottolineare, in primo luogo, l'acuirsi delle incertezze sul gettito futuro per effetto del crescente ricorso a clausole di salvaguardia, che si connotano sempre più come soluzioni che rispecchiano difficoltà Pag. 32e ritardi nell'effettiva realizzazione della revisione della spesa pubblica. Da un lato, dunque, risultano dilatate le responsabilità addossate al sistema del prelievo, dall'altro si riducono gli spazi della politica fiscale, tendenza questa che risulta accentuata dal parallelo fenomeno che vede un crescendo nella prenotazione di gettito futuro a copertura di già varati provvedimenti di politica economica. Basti in proposito richiamare la situazione determinatasi sul fronte delle accise, con aumenti di prelievo per complessivi 2,2 miliardi già prenotati fino al 2021 per coprire esigenze di bilancio manifestatesi sin da 8 anni prima. In secondo luogo, appare opportuno sottolineare le incertezze e i rischi insiti nel ritorno a un utilizzo improprio dei proventi, per loro natura incerti, della lotta all'evasione per coprire spese o sgravi fiscali certi. In terzo luogo, appare opportuno sottolineare, il rischio che regioni ed enti locali siano indotti a compensare l'ulteriore riduzione dei trasferimenti recata dal disegno di legge di stabilità con un aumento dell'imposizione decentrata.
  Si consideri in proposito che nel corso dell'ultimo decennio le addizionali IRPEF sono aumentate in misura significativa sia quanto a gettito complessivo, quasi raddoppiato fino ai 15 miliardi del 2013, sia quanto ad aliquote, la cui incidenza effettiva sul reddito medio dichiarato è passata dall'1,4 per cento all'1,7 per cento, con punte del 2,6 per cento nelle regioni sottoposte al piano di rientro. E la crescita potrebbe subire un'accelerazione nel 2015, allorché sarà possibile completare il percorso di aumento dell'addizionale regionale, ai sensi del decreto legislativo n. 68 del 2011, aumentando l'aliquota di un punto.
  Le previsioni a legislazione vigente contenute nella Nota di aggiornamento del DEF confermano che nell'arco temporale di riferimento la spesa per il pubblico impiego resta sotto controllo per effetto delle misure assunte con il decreto-legge n. 78 del 2010, alcune delle quali vengono prorogate dal disegno di legge di stabilità.
  Si tratta in primo luogo di un ulteriore rinvio della contrattazione collettiva fino a tutto il 2015, misura destinata a comportare complessivamente un blocco della dinamica retributiva per due periodi triennali, 2010-2012 e 2013-2015. Effetti finanziari sono ascritti alla proroga di un anno della corresponsione dell'indennità di vacanza contrattuale, prevista a partire dal 2018. L'impatto migliorativo sull'indebitamento netto è stimato in 320 milioni per il predetto anno e in 170 milioni per quello successivo.
  Il comma 3 dell'articolo 21 proroga di un anno, fino al 31 gennaio 2015, il blocco dei meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato. La relazione tecnica prevede un impatto migliorativo, a decorrere dal 2015, pari a 40 milioni di euro, con effetti riflessi in termini di minori entrate pari a 20,7 milioni.
  Come preannunciato, il disegno di legge di stabilità non contiene l'ulteriore proroga della disposizione contenuta dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, pertanto a partire dal 2015 dovranno essere corrisposti agli interessati, sia pure senza arretrati, i benefici connessi con promozioni, avanzamenti di carriera e passaggi di livello, utili fino al 2014 esclusivamente ai fini giuridici.
  Si tratta di oneri già previsti dalla legislazione vigente, particolarmente importanti con riferimento al personale delle Forze armate e dei Corpi di polizia.
  Non risultano prorogate neppure le norme in materia di vincoli assunzionali, con la conseguenza che le percentuali dei nuovi ingressi restano quelle rimodulate nei relativi esercizi fino al 2017 dalla legge di stabilità per il 2014. Vengono peraltro differite al 1o dicembre 2015 le assunzioni già previste per i Corpi di polizia e per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco a partire dal mese di gennaio del predetto anno, con un risparmio complessivo di 27,2 milioni al lordo delle minori entrate fiscali.
  Gli obiettivi di razionalizzazione, efficientamento e contenimento della spesa statale sono ormai da molti anni al centro degli indirizzi di politica di bilancio, pur essendo divenuti più pressanti in una fase Pag. 33di crescenti difficoltà finanziarie come quelle prodotte dalla crisi economica internazionale e interna dell'ultimo quinquennio.
  Se tuttavia l'esigenza di ridurre l'incidenza della spesa pubblica, e quindi anche della spesa dello Stato in senso stretto, sul PIL costituisce un traguardo largamente condiviso, molto più complessa e controversa appare l'individuazione dei settori di spesa realisticamente aggredibili, così come la misurazione dei margini di risparmio conseguibili e la scelta dei tagli da effettuare.
  La dimensione raggiunta dalla spesa dello Stato in termini di contabilità nazionale, oggi nell'ordine dei 370 miliardi al netto degli interessi del debito e dunque pari a più della metà della spesa pubblica primaria totale, induce a ritenere agevole un'azione di contenimento con effetti quantitativamente significativi e di rapida realizzazione.
  Nella realtà, le difficoltà di imprimere un'inversione di marcia di impatto rilevante alle tendenze della spesa dello Stato, soprattutto nell'orizzonte del brevissimo periodo, emergono non appena si abbandoni la scala dei dati aggregati per confrontarsi con i molteplici vincoli connessi alle funzioni e ai programmi demandati ai singoli ministeri.
  Non va inoltre sottovalutato che a partire dal 2010 anche la spesa statale ha segnato una netta inversione di tendenza rispetto agli anni 2000: è bene ricordare che nel periodo 2000-2009 la spesa statale primaria era cresciuta a un tasso medio annuo del 6 per cento, nel quadriennio 2010-2013 si è invece realizzata una diminuzione a un ritmo annuo dell'1,5 per cento, un risultato, quello della riduzione dei livelli nominali assoluti della spesa, di notevole rilievo, soprattutto in una fase ciclica che ha richiesto il potenziamento degli interventi di ammortizzazione delle condizioni di più grave disagio economico e sociale.
  Alla luce di tali evidenze fattuali, le strategie più recenti di riduzione della spesa statale, e in particolare l'approccio adottato in sede di spending review, hanno assunto, nel confronto con opinioni e proposte emerse nel dibattito di politica economica, obiettivi più graduali e più realistici.
  Con il disegno di legge di stabilità ora all'esame del Parlamento, il contributo richiesto ai ministeri in termini di riduzione della spesa è limitato. Nel quadro complessivo il contributo assegnato ai ministeri è infatti di 2,3 miliardi nel 2015, di circa 2,4 miliardi nel 2016 e nel 2017.
  Va rilevato che tale importo deriva per il 2015 da riduzioni di spesa corrente dell'ordine di un miliardo, da una minore spesa in conto capitale per poco meno di 900 milioni e da maggiori entrate nette per quasi 400 milioni. In termini spesa, pertanto, l'obiettivo di riduzione è dell'ordine di 1,9 miliardi nel 2015.
  Va osservato che, sempre in materia di spesa statale, la manovra prevede anche tagli ai trasferimenti alle imprese e ai crediti di imposta. Si tratta di riduzioni per circa 81 milioni nel 2015, che crescono sino a circa 120 nel biennio successivo. Tra questi, i tagli alla quota interessi dello Stato sul plafond gestito dalla Cassa depositi e prestiti relativo al Fondo rotativo investimenti alle imprese e le somme destinate di recente dal decreto-legge n. 66 del 2014 alle zone franche urbane, che peraltro non sono mai partite.
  Si tratta di un'area di interventi che è stata oggetto di ripetute analisi nelle diverse fasi recenti di revisione della spesa. Nel 2011 uno studio commissionato dal Governo aveva portato a individuare come eliminabili trasferimenti alle imprese nel bilancio dello Stato per 5,8 miliardi, a cui si aggiungevano 4,9 miliardi pagati da altre amministrazioni pubbliche, una quantificazione in seguito ricondotta dal Governo stesso su livelli più limitati, nell'ordine di 1,4 miliardi. Più di recente, anche il Commissario alla spending review aveva inserito tale voce tra quelle che potevano dare un contributo significativo.
  L'attenzione si era concentrata su un'area aggredibile di 3,7 miliardi nel 2014, che crescevano a 3,9 nel 2015 e a 4,1 nel 2016. La riduzione graduale, a partire Pag. 34dal 2014 nell'ordine di un miliardo, faceva prefigurare risparmi per 1,6 miliardi nel 2015 e 2,2 miliardi nel 2016.
  Quest'anno il disegno di legge di stabilità offre informazioni dettagliate sulla distribuzione del contributo al riequilibrio di bilancio richiesto ai ministeri. Ciò consente di disporre di un quadro dei risparmi attesi dagli interventi operati da ciascun dicastero e, di conseguenza, di esprimere le prime valutazioni sugli aspetti che potrebbero richiedere aggiustamenti e correzioni dirette a evitare effetti indesiderati o il mancato conseguimento dei risultati programmati.
  Più della metà del contributo complessivo richiesto riguarda solo due ministeri, quello della difesa, con oltre 750 milioni, e quello del lavoro e delle politiche sociali, con più di 450 milioni. Importi non trascurabili sono anche quelli dei risparmi attesi dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con oltre 300 milioni, dal Ministero dell'economia e delle finanze, con più di 200 milioni, e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con poco meno di 200 milioni.
  Come già osservato, il contributo al reperimento delle fonti di copertura dell'intera manovra, quantificato per i ministeri in 2,3 miliardi per il 2015, è il risultato di una combinazione di tagli di spesa e di maggiori entrate – e, per importi molto ridotti, anche di minori entrate – nonché di un mix molto diversificato, nel confronto tra i ministeri, di riduzioni di spesa corrente e di minori spese di investimento o, in generale, in conto capitale.
  Proprio con riguardo ai due ministeri della difesa e del lavoro e delle politiche sociali, che assommano ad oltre la metà del contributo alla manovra, questo intreccio tra modalità diverse di perseguimento degli obiettivi assegnati si presta ad alcune puntualizzazioni, per le quali rinvio al dettaglio del testo e all'approfondimento contenuto in un apposito allegato.
  Tra gli interventi volti a contenere la dinamica della spesa, una particolare attenzione va dedicata a quelli riguardanti gli enti locali e le regioni che, come si è detto, dovrebbero consentire una riduzione di spesa corrente di oltre 8,5 miliardi, solo in parte compensata da una crescita di quella in conto capitale di 3,4 miliardi negli enti locali.
  Per i comuni la correzione è il risultato di un complesso insieme di fattori destinati a distribuirsi tra le amministrazioni in maniera molto differenziata. Rinviato al prossimo anno il passaggio agli equilibri di bilancio, l'applicazione dei nuovi principi contabili ai comuni e, in special modo, la previsione del Fondo crediti di dubbia esigibilità, che sterilizza l'utilizzo di risorse non riscuotibili, sono destinati a produrre un rafforzamento nel vincolo riconducibile al Patto, compensato dalla revisione al ribasso delle percentuali previste e dalla modifica della base per il calcolo del saldo obiettivo.
  L'effettiva azione di contenimento della spesa dipenderà non solo dalle misure specifiche introdotte con la legge di stabilità, ma anche e soprattutto dal rilievo che avrà l'entrata a regime delle norme che regolano l'armonizzazione dei sistemi e degli schemi contabili e l'impatto che queste avranno sull'operare del Patto di stabilità interno.
  Se sarà confermata la stima dell'accantonamento destinato a sterilizzare le entrate per circa 2,4 miliardi – tali sono le stime assunte nella relazione tecnica al provvedimento, che tuttavia ad avviso della Corte e dello stesso Governo sottostimano il rilievo del fenomeno – nel complesso il contributo netto richiesto agli enti locali sarà di poco superiore al miliardo.
  La revisione delle regole del Patto accompagna gli enti locali in quest'ultimo anno prima dell'introduzione del sistema degli equilibri di bilancio e si caratterizza per la semplificazione dei meccanismi di quantificazione e per l'alleggerimento complessivo dei saldi, attraverso la forte riduzione dei coefficienti di correzione da applicare alla spesa corrente di comuni e province.
  Per i comuni, che vedono in sostanza dimezzata l'aliquota, l'effetto di tale misura viene quantificato nella relazione tecnica in oltre 3 miliardi annui fino al 2018. Pag. 35Si tratta di un beneficio importante che determina l'abbattimento dell'obiettivo 2015, rispetto al calcolo effettuato sulla base delle norme previgenti, di oltre il 70 per cento. Il vantaggio si distribuisce tuttavia in modo differenziato sul territorio, soprattutto in considerazione delle dimensioni dei comuni.
  L'effetto positivo per i comuni legato alla riduzione dell'aliquota, e per i soggetti più virtuosi allo scorrimento della base di calcolo, viene ridimensionato dall'applicazione a tutti i comuni delle nuove norme di contabilità che obbligano le amministrazioni a stanziare in bilancio una quota pari, per il 2015, almeno al 50 per cento dell'accantonamento al Fondo crediti di dubbia esigibilità, accantonamento quantificato in base al tasso di mancata riscossione di entrate proprie registrato negli ultimi 5 anni.
  È previsto che tale stanziamento rilevi ai fini del Patto di stabilità, riducendo di fatto il livello di entrate utili per il saldo di competenza mista. A ciò si aggiunga l'ulteriore obiettivo del risparmio di spesa corrente posto a carico dei comuni dall'articolo 36 del disegno di legge di stabilità e quantificato in 1,2 miliardi, il cui effetto migliorativo dei saldi di finanza pubblica è garantito dalla riduzione di pari importo del Fondo di solidarietà comunale, un taglio di risorse che si cumula nel 2015 ai 280 milioni già previsti dal decreto-legge n. 66 del 2014 e dalla legge n. 228 del 2012.
  Queste due misure impongono alle amministrazioni una manovra correttiva di rilievo che tuttavia, in aggregato, non si discosta dai limiti dell'obiettivo di Patto previgente. Considerando poi che la spesa in conto capitale ottiene una flessibilizzazione di un miliardo e che non si esclude – come già avvenuto in passato – che il maggior spazio concesso si traduca in un alleggerimento dell'obiettivo complessivo piuttosto che in investimenti aggiuntivi, il rispetto dei saldi programmati potrebbe risultare meno carico di tensioni rispetto agli ultimi anni.
  Il peso delle condizioni individuali degli enti appare tuttavia determinare differenze anche significative nella distribuzione del carico complessivo. Va tenuto presente che la soglia minima di stanziamento pari al 50 per cento del Fondo è prevista solo per il bilancio di previsione, mentre a rendiconto dovrà essere data copertura all'intero accantonamento con la conseguenza che, se la regola dovesse essere applicata in tale senso anche ai fini della verifica dei saldi rilevanti del Patto, ben più stringente sarebbe la quantificazione finale di entrate su cui gli enti potranno contare per il raggiungimento degli obiettivi.
  Infine, lo spazio finanziario aggiuntivo in conto capitale va visto anche in rapporto alle nuove compensazioni territoriali, che andranno a sostituire gli attuali meccanismi dei patti di solidarietà regionali. Nel passaggio al nuovo sistema degli equilibri di bilancio delle regioni con conseguente superamento del patto di stabilità regionale, è comunque previsto che strumenti di compensazione orizzontale e verticale continuino a garantire, a livello regionale, quella flessibilità degli obiettivi che nelle ultime versioni del Patto si era tradotta in un alleggerimento di oltre un miliardo annuo, destinato ai pagamenti di spesa in conto capitale.
  Tra i differenti meccanismi che potevano essere attivati, al patto verticale incentivato vanno ascritti i risultati migliori in termini di efficacia, soprattutto perché ha consentito l'accesso ai benefici previsti dalle norme anche a enti appartenenti ai territori più svantaggiati, dove le amministrazioni regionali erano più in difficoltà nella concessione di spazi finanziari.
  Andrà pertanto osservato e valutato l'effetto che l'introduzione degli equilibri di bilancio per le regioni potrà avere sul sistema delle compensazioni a favore degli enti del proprio territorio e pertanto sugli obiettivi di Patto di questi ultimi anni.
  Il concorso delle regioni agli obiettivi di finanza pubblica è affidato a tre diversi interventi. In primo luogo, si ricorda una modifica delle disposizioni introdotte con il decreto-legge n. 66 del 2014, volta a incrementare per gli anni 2015-2018 la riduzione delle risorse a disposizione delle Pag. 36regioni a statuto ordinario per circa 3,5 miliardi e delle regioni a statuto speciale per circa 548 milioni. Definito il riparto per le regioni a statuto speciale, è prevista una determinazione in sede di auto coordinamento e, in mancanza, una applicazione dei tagli da parte dello Stato, ivi comprese anche le risorse destinate al finanziamento della sanità.
  In secondo luogo, si ricorda il passaggio al pareggio di bilancio delle regioni a statuto ordinario dal 2015, con conseguente ridefinizione di alcune voci e di importi da ricomprendere nei saldi. In terzo luogo, infine, si ricorda l'abolizione del Patto di stabilità sempre per le regioni a statuto ordinario, con la conseguente riscrittura del sistema sanzionatorio con riferimento ai saldi, la definizione delle somme relative a particolari spese da escludere dagli equilibri perché già escluse dai limiti del Patto, la revisione delle modalità di funzionamento dei Patti orizzontale e verticale.
  Il contributo richiesto alle regioni appare molto impegnativo, anche tenuto conto che si aggiunge a quello già previsto con il decreto-legge n. 66 del 2014. Esso comporterebbe in un solo anno una riduzione del 15 per cento della spesa aggredibile, quella al netto dei trasferimenti ad altre amministrazioni pubbliche e alla sanità.
  Va osservato che tale intervento si colloca a valle dei tagli di risorse introdotti negli ultimi anni, che hanno portato a una flessione delle spese dirette regionali, al netto dei trasferimenti ad altre pubbliche amministrazioni, di circa il 10 per cento nell'ultimo triennio.
  Recependo quanto previsto dal nuovo Patto della salute siglato nello scorso mese di luglio, dato un livello di finanziamento del Servizio sanitario nazionale per il 2014 pari a 109,9 miliardi, il disegno di legge di stabilità fissa gli importi per il biennio 2015-2016 in misura pari rispettivamente a 112,1 e 115,4 miliardi.
  Essi sono determinati sulla base delle cosiddetta regola di variazione a legislazione vigente, che prevede per tale comparto una crescita del finanziamento in linea con la dinamica attesa per il PIL nominale, come indicato dalle stime ufficiali: 2,5 e 3,1 per cento nei due anni secondo il Documento di economia e finanza 2014 presentato ad aprile scorso, ultimo documento programmatico disponibile, superiore quindi agli ampliamenti già previsti dalla Nota di aggiornamento presentata a metà di ottobre, pari all'uno per cento nel 2015 e al 2 per cento nel 2016.
  Inoltre, secondo quanto previsto dal comma 3 dell'articolo 39, che conferma la previsione del Patto, eventuali risparmi nella gestione della sanità rimangono all'interno del comparto. Ciò potrà contribuire al miglioramento della qualità delle prestazioni e a facilitare il percorso di efficienza basato sui costi standard, avviato in anni caratterizzati da una continua rimodulazione delle risorse.
  La norma fa salvo il meccanismo previsto dal comma 80 della legge n. 191 del 2009, che consente alle regioni in piano di rientro, che presentano un disavanzo sanitario inferiore al gettito derivante dalla massimizzazione delle maggiorazioni dell'aliquota IRAP e dell'addizionale regionale dell'IRPEF, di ridurre le predette maggiorazioni, garantendo comunque una copertura adeguata del disavanzo, o di destinare il gettito eccedente a finalità extrasanitarie.
  Come la Corte ha avuto modo di osservare, tale ultimo meccanismo, introdotto dal decreto-legge n. 120 del 2013, fa venir meno il legame diretto tra formazione dei disavanzi sanitari e attivazione della leva fiscale a copertura che pure, secondo il legislatore, era diretto a innestare una sanzione politica nei confronti degli amministratori regionali inadempienti o inefficienti.
  Tra le numerose misure previste dal Patto e riprese dal disegno di legge di stabilità appare opportuno ricordare le disposizioni sulla governance sanitaria e in particolare quelle sulle nomine dei commissari ad acta per la predisposizione e l'attuazione dei piani di rientro, per i quali si sancisce l'incompatibilità con l'affidamento Pag. 37o la prosecuzione di qualsiasi incarico istituzionale presso le regioni soggette a commissariamento.
  Appare senz'altro condivisibile sottrarre alla disponibilità del governo regionale un'area rilevante come la sanità in presenza di quelle gravi inadempienze che portano al commissariamento, e positiva è la scelta di affidarne la gestione a figure di qualificate e comprovate professionalità ed esperienza, anche in base ai risultati in precedenza conseguiti.
  Resta tuttavia da chiarire la portata della norma, la cui applicazione riguarda le nomine effettuate a qualunque titolo successivamente all'entrata in vigore della presente legge: non è chiaro, infatti, se nelle regioni attualmente commissariate i presidenti che usciranno dalla prossima tornata elettorale continueranno a essere responsabili del settore in qualità di commissari, così come i loro predecessori, o se in base a tale disposizione non potranno svolgere tale compito.
  La razionalizzazione delle società partecipate, cui è dedicato l'articolo 43 del disegno di legge di stabilità, è argomento di primaria attenzione nel processo di revisione della spesa pubblica, essendo evidenti le esigenze di un profondo riordino di un settore ad alto rischio per gli equilibri della finanza pubblica e con ampi margini di efficientamento.
  Del resto, l'importanza del tema è confermata da una specifica delega che, sulla stessa materia, è contenuta nel provvedimento sulla riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (Atto Senato n. 1577).
  Il disegno di legge di stabilità si limita però soltanto a dettare disposizioni che disciplinano il percorso di adesione agli ambiti territoriali ottimali (ATO) e l'affidamento e gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica a rete, integrando e modificando quanto già previsto dall'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, al fine espresso di superare l'attuale frammentazione del settore, di promuovere la gestione aggregata e industriale e di favorire economie di scala e di scopo.
  A fronte della riscontrata inerzia e resistenza degli enti tenuti a organizzare la gestione dei servizi pubblici in questione per ambiti territoriali, allo scopo di assicurare l'effettività della disposizione viene prevista l'attivazione di poteri sostitutivi. Nell'affidamento del servizio pubblico a rete particolare rilievo deve assumere la programmazione di adeguati investimenti, oltre che la capacità e sostenibilità degli stessi.
  Gli enti di governo, che per i servizi pubblici di competenza comunale o provinciale saranno principalmente le province nel nuovo assetto istituzionale, all'atto dell'affidamento del servizio sono tenuti a pubblicare sul proprio sito web una relazione, già prevista dall'articolo 34, comma 20, del decreto-legge n. 179 del 2012, orientata anche a far conoscere gli investimenti programmati e la capacità di interventi infrastrutturali, che dovrà contenere tra l'altro il piano economico-finanziario, da asseverarsi da parte di istituti di credito o società di revisione.
  Nel caso di affidamento in house, la relazione dovrà anche specificamente informare circa la solidità finanziaria della società, dando conto dell'assetto economico-patrimoniale, del capitale proprio investito e dell'ammontare dell'indebitamento da aggiornare ogni triennio.
  Onde evitare che da investimenti di capitale proprio possano derivare rischi di perdite che si rifletterebbero sui bilanci degli enti proprietari, gli stessi sono tenuti ad accantonare in bilancio pro quota una somma pari all'impegno finanziario corrispondente al capitale investito.
  Al riguardo sembrerebbe opportuno che, oltre alle previsioni di tale nuovo accantonamento, venisse anche espressamente affermato il principio che la gestione societaria dei servizi pubblici locali, da svolgersi sotto il controllo degli enti di governo dell'ambito, fosse improntata all'efficienza, economicità ed efficacia, requisiti che ex se potrebbero garantire contro il rischio di perdite future.
  La modifica introdotta dall'articolo 3 del decreto-legge n.  138 del 2011 prevede la possibilità di revisione del piano economico-finanziario Pag. 38dell'operatore economico affidatario, nel caso in cui operazione societarie, quali fusioni e acquisizioni, possano rendere necessario l'accertamento della permanenza dei criteri qualitativi e delle condizioni di equilibrio precedenti.
  In tale evenienza, è prevista anche la possibilità di aggiornare il termine di scadenza originario, richiamando l'articolo 143, comma 8, del decreto-legge n. 160 del 2006. Opportunamente, la verifica delle condizioni previste dal comma citato è rimessa all'autorità di regolazione competente, peraltro al momento non prevista per il settore dei rifiuti, in quanto un prolungamento non giustificato del termine della concessione potrebbe configurare violazioni dei principi di concorrenza.
  È prevista infine l'esclusione dal Patto di stabilità delle spese di investimento effettuate utilizzando risorse provenienti dalla dismissione totale o parziale di partecipazioni in società.
  In conclusione, la manovra proposta con il disegno di legge di stabilità conferma l'impianto annunciato con la Nota di aggiornamento. Nonostante il minor peggioramento dei saldi prefigurato nel nuovo quadro programmatico in risposta ai rilievi della Commissione europea, le misure disposte confermano le indicazioni programmatiche: esse mirano a cambiare le aspettative degli operatori economici e a sostenerne la fiducia con interventi strutturali di modifica del mercato del lavoro e del sistema fiscale.
  Così, a misure sul lato della domanda, quali bonus fiscale e intervento per i nuovi nati, si accompagnano interventi sul lato dell'offerta, come taglio dell'IRAP, decontribuzione, nuovi contratti di lavoro: un'azione di stimolo che, ridotto a poco meno di 6 miliardi il ricorso al peggioramento dei saldi, in gran parte continua a basarsi su interventi di carattere redistributivo. Si tratta di un'opzione non priva di rischi, ma giustificata dalle difficili condizioni economiche del Paese.
  Occorrerebbe, pertanto, una riflessione accurata sui provvedimenti assunti nei tempi e nelle modalità proposte. La mobilitazione di risorse consistenti, specie se posta in rapporto con i vincoli di finanza pubblica, richiede un attento monitoraggio degli interventi per assicurarne, in fase di attuazione, l'efficacia e, soprattutto, l'effettivo carattere aggiuntivo. A questo fine alcuni aggiustamenti potrebbero essere opportuni, come ad esempio in tema di sgravi contributivi per i nuovi assunti.
  Si tratta anche di leggere gli interventi individuati in relazione all'effettiva capacità di affrontare una crisi del sistema produttivo, che è sì riconducibile a un eccesso di pressione fiscale, ma è anche connessa alla stagnazione della produttività totale dei fattori; crisi che richiede un adeguato intervento sulle condizioni di contesto in cui vanno a operare le imprese e, tra queste, un'amministrazione percepita non più quale elemento di freno ma come supporto alla crescita.
  In particolare, nel caso di misure di contenimento della spesa degli apparati pubblici è urgente che esse siano accompagnate da un processo di riforma della pubblica amministrazione, che ne delinei funzioni e limiti.
  Le coperture individuate, specie quelle dal lato della spesa delle amministrazioni territoriali, mantengono margini di incertezza per il timore sia che da esse derivino peggioramenti nella qualità dei servizi, sia che esse inducano ad aumenti delle imposte.
  Occorre infine sottolineare il crescente impegno che grava sul futuro per ulteriori tagli di spesa, al momento sostituiti da clausole di salvaguardia, per un valore di 16 miliardi nel 2016 e oltre 23 miliardi nel 2017, che si aggiungono ai 3 miliardi di ulteriori tagli di spesa a partire dal 2016.
  In conclusione, gli spazi di azione per la politica economica con riguardo alle difficoltà del Paese sono molto angusti. Il forte ruolo che rivestono in questa fase le aspettative di operatori economici e famiglie impegna tutti a rendere certa e spedita la direzione verso cui muovere e a cui concorrere. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, presidente Squitieri. Do la parola ai colleghi che Pag. 39intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  PAOLO TANCREDI. Grazie, presidente. Porrò una domanda brevissima che riguarda la spesa, che giustamente nella relazione viene messa in particolare evidenza, così come si evidenziano i risultati positivi in termini assoluti sulla spesa primaria conseguiti negli ultimi cinque esercizi, in forte discontinuità con il primo decennio del secolo.
  Ci sono alcune considerazioni assolutamente condivisibili che testimoniano quali siano le difficoltà della spesa, ma vorrei chiedere anche un parere sulla selettività di questi interventi, cioè su questa famigerata spending review ed analisi selettiva della spesa, anche perché a ciò è legato il successo di questa manovra e delle manovre successive, nonché il famoso impatto sull'economia che avranno queste misure che stiamo implementando, perché naturalmente dalla qualità della spesa che andiamo a tagliare dipenderanno gli effetti che si avranno sull'economia.
  Vorrei chiederle quindi se secondo lei dal 2010 ad oggi ci sia stato un miglioramento di questa selettività dai famigerati tagli lineari alla spending review, cosa difficile da percepire anche per il decisore parlamentare, o se invece ci sia ancora da fare e quali siano gli spazi di manovra, anche se qualcosa al riguardo nella sua relazione già viene evidenziato, rispetto a una maggiore selettività e qualità dei tagli.

  GIANNI MELILLA. Ringrazio il presidente Squitieri per il contributo che ci ha voluto dare e gli rivolgo una domanda puntuale. Questa mattina i giornali hanno pubblicato con grande evidenza i rilievi della Corte dei conti alle regioni: poiché ho visto nel paragrafo in cui parlate delle regioni un trattamento molto benevolo, vorrei sapere quale sia il riflesso dello stato del debito delle regioni sulla manovra complessiva dello Stato.

  MAURO GUERRA. Ringrazio anch'io il presidente Squitieri e mi soffermo rapidamente su un punto specifico. Nella sua relazione si è sottolineato il vigente regime del Patto di stabilità gestito a livello regionale in senso orizzontale e verticale, con la destinazione di risorse che hanno consentito di attenuare il carico sui comuni del peso del Patto medesimo.
  Vorrei chiederle quindi se ora, con il passaggio per le regioni dal regime del Patto di stabilità al regime del pareggio di bilancio, in mancanza di una destinazione specifica di risorse come era stato il miliardo per il 2014, si possano intravedere comunque margini e spazi di compensazione orizzontale e verticale con il nuovo sistema che possano alleviare le condizioni di sperequazione esistenti nel modo in cui i comuni affrontano il perseguimento degli obiettivi di Patto.

  ROCCO PALESE. Pongo una domanda semplice al presidente Squitieri, che ringrazio per l'esaustiva e puntuale relazione e per il costante lavoro che la Corte dei conti compie sull'intero territorio regionale e nazionale.
  Penso che ci sia la necessità di controlli: abbiamo letto tutti le notizie che in questi giorni sono di nuovo emerse con riferimento alla spesa delle regioni, ma i comuni non sono da meno e credo che analoga considerazione possa valere anche, a livello centrale, per i ministeri.
  Per come sono attualmente attrezzate sia in termini di dotazione tecnologica e strumentale, sia in termini di organico, le sezioni di controllo potrebbero essere in grado di svolgere controlli preventivi sugli atti della spesa di regioni e comuni ?

  MAGDA ANGELA ZANONI. Molto velocemente, noi salutiamo con favore per la prima volta il passaggio dai tagli lineari a situazioni di modifiche diversificate tra i comuni, però sappiamo che alcune fasce di comuni si troveranno in forte difficoltà, perché l'avanzo sarà molto ridotto dalla contemporanea revisione straordinaria dei residui, che probabilmente ridurrà di molto le disponibilità. Qualche comune non potrà quindi utilizzare il vantaggio dell'alleggerimento del Patto, perché non Pag. 40avrà più le risorse per poter realizzare gli investimenti.
  Se poniamo la prima applicazione dei fabbisogni standard, ancorché per una quota minima, che però comunque andrà ad incidere, in un calderone generale in cui comunque siamo ai primi di novembre e gli enti locali non hanno ancora indicazioni certe sulle modalità per costruire i loro bilanci, mi chiedo se i mesi di gennaio, febbraio e marzo non saranno molto difficili e non richiederanno un intervento straordinario per evitare che alcuni comuni vadano in default.

  PRESIDENTE. Non essendovi altre richieste di intervento, do la parola al presidente Squitieri per la replica.

  RAFFAELE SQUITIERI, presidente della Corte dei conti. Rispondo ai vari interventi, fermo restando che i miei colleghi potranno eventualmente aggiungere qualcosa di più specifico.
  Ho preso nota di alcuni concetti. L'onorevole Tancredi mi chiedeva un parere sulla selettività degli interventi, sulla spending review e se ci sia stato un miglioramento rispetto al sistema dei tagli lineari. Noi come Corte dei conti abbiamo da sempre criticato il sistema dei tagli lineari, che procede con la sciabola e crea una serie di disfunzioni e, tutto sommato, di iniquità.
  Dobbiamo dire che la logica della spending review rappresenta esattamente il contrario, ossia l'impegno a razionalizzare i tagli, quindi c’è un'assoluta contraddizione fra tagli lineari e spending review.
  Circa l'individuazione delle voci di spesa da sottoporre ad interventi in riduzione, la valutazione è politica, quindi non spetta alla Corte dei conti e ci asteniamo da qualsiasi valutazione, però, se si ha la bontà di leggere le nostre relazioni ripetute in tutti i settori di intervento, dagli enti pubblici agli enti locali, alle regioni, ai ministeri, si possono facilmente ricavare indicazioni precise e documentate di quelle che potrebbero essere le linee.
  L'onorevole Melilla ha posto invece in evidenza una contraddizione fra ciò che hanno pubblicato i giornali questa mattina a proposito degli interventi della Corte dei conti sulle regioni e quella che sembra essere, a suo giudizio, una maggiore disponibilità della Corte nello schierarsi dalla parte delle regioni in materia di tagli. Si tratta tuttavia di piani completamente diversi: una cosa è tagliare o non tagliare in relazione alla drammatica situazione che il Paese vive sul piano economico, patrimoniale e finanziario, altra cosa è razionalizzare e spendere le poche risorse disponibili.
  Sono due aspetti assolutamente divergenti. Noi ci rendiamo conto che le regioni in passato sono state già interessate da tagli cospicui e che quindi già affrontano specifici problemi di gestione, tuttavia se riuscissero a razionalizzare le spese e a renderle più efficienti eliminando gli sprechi, ciò potrebbe contribuire al miglioramento del sistema generale.
  Mi consenta inoltre, onorevole Melilla, di dirle che la Corte dei conti sotto questo profilo è in prima linea e con soddisfazione possiamo prendere atto che una volta tanto gli interventi ripetuti della Corte dei conti sono serviti, perché non sempre i nostri richiami vengono recepiti. In alcuni settori della spesa regionale l'intervento della Corte dei conti è stato determinante non solo per ridurre gli sprechi chiedendo poi il rimborso delle somme male impiegate, ma anche per ridurre la dotazione di spesa sulla quale si andava a incidere. Gli atti sono a disposizione.
  Ringrazio l'onorevole Palese per la questione che mi ha sottoposto. Come magistratura noi siamo certamente in difficoltà, registriamo una carenza organica spaventosa e ci mancano più di 150 magistrati. Non voglio in questa sede rivolgere lamentele al Parlamento, ma nella situazione di oggi la Corte con difficoltà riesce ad ottemperare ai propri compiti istituzionali e noi siamo costretti a mandare personale in provincia per completare i collegi di tre persone.
  In questa situazione pensare ad un controllo preventivo di legittimità sugli atti della regione – mi consenta la franchezza Pag. 41– è fantascienza. Non avremmo alcuna difficoltà a farlo e l'abbiamo fatto per decine di anni nei confronti degli atti dei ministeri, ma occorrerebbe trovare risorse e non è neanche pensabile.
  Un ulteriore discorso sarebbe poi quello sull'efficacia di un controllo di questo genere rispetto ad alcune tipologie di spesa.

  ROCCO PALESE. Chiedo scusa, presidente Squitieri, ma sulla spesa sanitaria sarebbe altamente efficace.

  RAFFAELE SQUITIERI, presidente della Corte dei conti. Se il Parlamento ci dà una mano sul piano delle risorse, delle strutture e soprattutto del numero dei magistrati, noi saremmo in grado di adempiere a tutto questo.
  Noi siamo il braccio tecnico specializzato e professionale del Parlamento, quindi, se il Parlamento ci fornisce gli strumenti, noi abbiamo già dimostrato di saperli usare.
  Abbiamo altresì stigmatizzato varie volte l'incertezza assoluta che attualmente caratterizza il settore della finanza locale, richiamata dalla senatrice Zanoni, per cui siamo arrivati a fare bilanci preventivi ad anno finito, ma questo è responsabilità di tutti e di nessuno, perché non c’è stata una volontà del Governo nel non consentire ai comuni di porre in essere previsioni credibili.
  La Sezione di controllo sulle autonomie ha adottato una delibera per stigmatizzare questa situazione e dare anche indicazioni concrete. Nelle appendici molto interessanti, che depositiamo in allegato alla nostra relazione, sono contenuti dati interessanti anche su questa specifica situazione, ai quali faccio rinvio.
  Per quanto riguarda la domanda posta dall'onorevole Guerra sulle differenze rispetto al vecchio Patto di stabilità, lascerei la parola al consigliere Flaccadoro.

  ENRICO FLACCADORO, consigliere della Corte dei conti. Anche noi, pur non in maniera molto forte, abbiamo messo in rilievo che ovviamente il passaggio delle regioni agli equilibri di bilancio rende più problematico il ruolo che svolgevano in termini di compensazione verticale, quindi nel 2015 i margini di compensazione verticale con le regioni saranno molto più difficili, anche perché la cessione di spazi di pagamento alle amministrazioni locali creerebbe, con il passaggio agli equilibri di bilancio, l'impossibilità per la regione di recuperare, visto che il recupero avviene in base alla normativa solo fra enti locali.
  La mancanza in questo anno può essere in qualche misura supplita dal fatto che la manovra, almeno dal punto di vista generale, offre degli spazi di spesa maggiori, in termini di spesa in conto capitale, agli enti che sono nelle condizioni finanziarie di farlo.
  Anche inserendomi nell'ultima domanda, certamente il 2015 sarà un anno molto impegnativo per le amministrazioni locali. Come Corte dei conti stiamo mettendo in rilievo da anni il fatto che, specialmente dal punto di vista delle entrate, i bilanci degli enti locali in più occasioni presentano delle problematiche di attendibilità e di realizzabilità di ciò che viene mantenuto in bilancio.
  Nel 2015 ci sarà dunque un passaggio con la messa in chiaro di difficoltà di tradurre in entrate effettive appostazioni di bilancio spesso di esercizi molto vecchi, e abbiamo già messo in evidenza anche nel rapporto di coordinamento una forte quota territorialmente non omogenea di entrate, specialmente del Titolo III, che provengono da esercizi molto vecchi, quindi di difficile recupero.
  Questo processo di pulizia dei bilanci, e soprattutto il riaccertamento dei residui che nel 2015 è previsto venga fatto nei bilanci degli enti locali, costituisce un passaggio obbligato. Naturalmente non si può nascondere che questo processo creerà ad alcuni enti notevoli difficoltà di tenuta del bilancio, però è un passaggio necessario e probabilmente l'accompagnamento in un anno ancora transitorio, in cui si passa agli equilibri di bilancio, potrà consentire di arrivare a una condizione di maggiore solidità nel futuro.

Pag. 42

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Squitieri per la relazione svolta e per la documentazione depositata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1), e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti del CNEL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti del CNEL.
  È presente il professor Antonio Marzano, presidente del CNEL, che è accompagnato dal dottor Salvatore Bosco, vicepresidente, dal dottor Costanzo Jannotti Pecci, consigliere, e dal dottor Valerio Gironi, portavoce del presidente.
  Do la parola al professor Antonio Marzano, presidente del CNEL.

  ANTONIO MARZANO, presidente del CNEL. Abbiamo depositato il testo integrale in un certo numero di copie e, considerata anche l'ora, vorrei tentare di esporre qui in modo riassuntivo, per sommi capi, anche se ogni richiesta di chiarimento ovviamente troverà riscontro.
  Signori parlamentari, l'indice generale della variazione sui dodici mesi dei prezzi al consumo in Italia è andato rapidamente scendendo. Questa previsione è confermata anche da altri tipi di confronto e le aspettative ormai si orientano alla stabilità o alla discesa dei prezzi. Come dimostra anche la più recente teoria economica, le aspettative sono l'aspetto più preoccupante della situazione.
  Se, infatti, si attendono prezzi stabili o in discesa, la domanda di beni viene rinviata e conseguentemente produzione e investimenti non decollano.
  Questa situazione è conseguenza di un lungo periodo di stagnazione. Mentre nel 1937, a otto anni dall'inizio della grande crisi del 1929, il PIL pro capite dell'Italia in termini reali aveva recuperato i livelli pre-caduta, le più aggiornate proiezioni del DEF prevedono che nel 2015 il PIL reale pro capite sarà sotto i valori pre-crisi per oltre il 10 per cento. Per quanto riguarda specificamente gli investimenti, il Governatore della Banca d'Italia ha ricordato recentemente che tra il 2007 e il 2013 la caduta degli investimenti privati e pubblici è stata rispettivamente del 25 e del 30 per cento, contro una media complessiva europea del 20 per cento.
  Quelle attuali sono dunque circostanze eccezionali che, come sostiene con forza il Governo italiano, secondo spirito e lettera dei trattati, dovrebbero indurre a sfruttare al meglio i margini di flessibilità nel percorso di aggiustamento fiscale.
  Le attuali regole dell'Unione europea, il Six pack, consentono infatti margini di flessibilità nei bilanci pubblici nazionali in presenza di «eventi economici avversi e inattesi che provocano conseguenze sfavorevoli sulle finanze pubbliche» nonché di «circostanze eccezionali» che la Commissione europea deve valutare, escludendo qualunque automatismo interpretativo in entrambe le fasi, preventiva e correttiva, del Patto di stabilità e crescita.
  La Commissione ha invece sempre rifiutato, da ultimo nell'autunno 2013, l'adozione della «regola d'oro», cioè quella dell'esclusione dal calcolo del deficit annuale degli investimenti pubblici, anche se cofinanziati dall'Unione europea, ribadendo in modo ossessivo la tesi che una simile interpretazione aprirebbe la strada a un comportamento opportunistico dei Governi chiamati a deliberare sulle politiche di aggiustamento fiscale.
  Si sta allargando la platea degli economisti americani ed europei che criticano le ricette di austerità autoimposte nell'area dell'euro e avanzano la proposta di una politica fiscale – e non solo monetaria – aggressiva, con tagli consistenti di imposte e paralleli, anche se inferiori, tagli di spesa pubblica, che potrebbero comportare il superamento della soglia del 3 per cento nel deficit ma solo temporaneamente, contando sul rientro nei parametri a seguito dei forti effetti espansivi di tali manovre sul PIL, sulla falsariga di quanto suggerisce Pag. 43la buona teoria macroeconomica e di quanto è avvenuto negli Stati Uniti e nel Regno Unito durante l'attuale crisi.
  La situazione appare oggi significativamente mutata e aggravata. Se sino a qualche mese fa si poteva ipotizzare che la crisi riguardasse solo i Paesi deboli dell'area dell'euro, appesantiti da un'instabilità della loro finanza pubblica, oggi dalle ultime rilevazioni emerge che il fenomeno è assai più preoccupante, perché, anche se l'area dell'euro non sarà ancora tecnicamente in recessione per la terza volta dal 2008-2009, ci sono segni chiari di un simile fenomeno in diversi Paesi.
  Anche la locomotiva Germania si è fermata sia per la domanda interna, persistentemente debole, che per il rallentamento del suo export di beni e servizi, particolarmente verso l'Europa, che ne assorbe quasi il 60 per cento.
  Le forze sociali non ipotizzano la rinuncia ad una seria politica di revisione delle politiche di bilancio, intesa non come strumento di occasionale recupero di risorse per ridurre il deficit e/o il prelievo fiscale, ma come strumento permanente di riqualificazione della macchina pubblica, a partire da politiche di riequilibrio del carico fiscale che alleggeriscano il prelievo sul lavoro e sulle imprese, da finanziamenti più adeguati alla ricerca, all'innovazione, alla formazione, alla modernizzazione delle infrastrutture e dei servizi ai cittadini e alle imprese.
  Tale politica deve peraltro essere accompagnata da interventi monetari e di bilancio, che modifichino rapidamente le aspettative, a partire da quella del tasso di inflazione, il cui valore obiettivo è fissato non casualmente nelle regole della Banca centrale europea in funzione di una prospettiva di crescita al 2 per cento.
  Il CNEL riafferma con forza che i nodi dell'economia italiana si possono risolvere in realtà solo in una prospettiva di rilancio dell'Unione europea attraverso politiche più integrate.
  In questa prospettiva si muovono le scelte innovative contenute nel DEF che il Governo avrebbe dovuto difendere, secondo il CNEL, con maggiore determinazione nel recente negoziato con la Commissione europea.
  Il carattere espansivo della manovra risulta infatti ridimensionato in misura significativa nella versione modificata a seguito del confronto in sede europea e la sua concreta dimensione potrebbe ulteriormente ridursi in relazione alle verifiche previste per novembre.
  Un contributo ad una maggiore capacità espansiva potrebbe invece venire dalla piena operatività e dalla ripartizione del programma di investimenti per 300 miliardi di euro annunciato dal presidente Juncker. Anche in relazione al ruolo che gli investimenti pubblici hanno nell'innesco delle politiche di sviluppo, è dunque indispensabile che il Governo segua con particolare attenzione lo sviluppo della trattativa.
  La legge di stabilità e i provvedimenti urgenti in discussione, che con tale legge fanno sistema, contengono misure che hanno il dichiarato obiettivo di muoversi in tale direzione, ma non sempre paiono le più idonee a realizzare questo proposito.
  Sono certamente rivolte a obiettivi di sviluppo la reiterazione e stabilizzazione dell'agevolazione di 80 euro per i lavoratori dipendenti con minore reddito, che possono determinare una crescita della domanda interna; gli interventi per la riduzione del costo del lavoro, che riducono i costi di produzione, e quelli che incentivano la stabilizzazione dei nuovi assunti; le misure per superare le vischiosità delle procedure di spesa determinate dal contenzioso amministrativo e/o giudiziario, anche attraverso il superamento della duplicità della giurisdizione ordinaria e amministrativa, e quelle, correlate, del Patto di stabilità interno, per adeguare la capacità di spesa di regioni ed enti locali in materia di opere pubbliche, nonché quelle volte ad adeguare la funzionalità della pubblica amministrazione e, in particolare, della scuola.
  Si tratta di misure che in parte vengono finanziate attraverso l'utilizzazione dei margini di flessibilità consentiti alle manovre finanziarie degli Stati, sia pure dentro Pag. 44il limite di un disavanzo che non superi il 3 per cento del PIL nominale, in presenza di eventi economici avversi e inattesi, che provocano conseguenze sfavorevoli sulle finanze pubbliche, e di circostanze eccezionali.
  Non meno condivisibili sono le norme che contengono modifiche, sia pure marginali, di redistribuzione del carico fiscale, come la tassa sui giochi, e di recupero dell'evasione, che potrebbe fornire risultati più significativi. Una parte del finanziamento deriva peraltro da misure di controllo e riduzione della spesa delle amministrazioni centrali e di quelle regionali e locali, che andrebbero meglio sostenute, in primo luogo con l'attuazione rigorosa delle riforme istituzionali approvate – come, ad esempio, la gestione associata delle funzioni degli enti locali, la riduzione delle società da essi controllate e la riformulazione del bilancio per missioni e programmi – nonché di quelle in corso di approvazione.
  Sarebbe auspicabile che, in un clima di leale cooperazione tra i diversi livelli di governo, nel corso dell'ulteriore iter del provvedimento si applicassero rigorosamente le procedure di cui all'articolo 5 della legge n. 42 del 2009, che individuano nella Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica la sede per la «definizione degli obiettivi di finanza pubblica per comparto, anche in relazione ai livelli di pressione fiscale e di indebitamento».
  Una simile procedura, estesa anche alle procedure per accertare eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica e all'attivazione degli eventuali interventi necessari per il rispetto di quegli obiettivi, consentirebbe in particolare di evitare il rischio che la garanzia degli equilibri di bilancio dei livelli regionali e locali di Governo sia realizzata mediante una modulazione in aumento delle addizionali IRPEF, con conseguenze contraddittorie rispetto al dichiarato obiettivo di incrementare il reddito disponibile delle famiglie.
  Nella direzione dello sviluppo possono fornire un contributo politiche sia funzionali all'espansione della domanda, come quelle che hanno favorito una maggiore disponibilità ai titolari di redditi da lavoro dipendente al di sotto dei 26.000 euro, sia quelle rivolte a eliminare la componente lavoro dal calcolo della base imponibile IRAP, problema che dovrebbe riguardare anche il lavoro cosiddetto temporaneo, che nel caso di molte imprese è quasi l'unico tipo di lavoro esistente, sia quelle volte ad anticipare decisioni di investimento che sarebbero altrimenti rinviate nel tempo, come l'erogazione di incentivi automatici a fronte degli incrementi di spesa per ricerca e sviluppo. Queste misure potrebbero avere un effetto espansivo nel breve periodo.
  Per quanto riguarda invece la previsione di una deduzione integrale, agli effetti IRAP, del costo complessivo sostenuto per lavoro dipendente a tempo indeterminato, il CNEL rileva come questa norma vada letta insieme a quella che ripristina, a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2013, le misure delle aliquote IRAP vigenti antecedentemente all'entrata in vigore del decreto-legge n. 66 del 24 aprile 2014, come convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 23 giugno 2014.
  Questa norma determina un'effettiva riduzione del peso della componente lavoro sui costi di produzione, ma il ripristino dell'aliquota base del 3,9 per cento riduce la dimensione dell'effettivo beneficio sui complessivi costi aziendali. Al di là degli aspetti quantitativi, preoccupa soprattutto il fatto che, confermando la scorretta prassi di violazione dello Statuto del contribuente, la retroattività della norma investirà anche le nuove agevolazioni e, introducendo un elemento di incertezza nella programmazione fiscale delle imprese, ne indebolirà le caratteristiche strutturali.
  C’è infine da considerare il fatto che l'esclusione della componente lavoro dalla base di calcolo dell'IRAP dovrà essere necessariamente estesa, come dicevo e come confermo, al lavoro stagionale in Pag. 45quei settori nei quali questo rappresenta la forma ordinaria del rapporto di lavoro.
  Occorre peraltro avere consapevolezza che questi interventi non intaccano la cronica dispersione dei fondi fra progetti e tra imprese di scala troppo piccola per migliorare la competitività tecnologica dell'Italia rispetto ai concorrenti più agguerriti. Parte degli incentivi dovrebbe quindi essere destinata, anche mediante l'utilizzazione del Fondo per lo sviluppo sostenibile, a imprese che partecipano a progetti e programmi di ricerca industriale congiunta con altre imprese e centri di ricerca, inclusi i progetti cofinanziati nel quadro della strategia di Europa 2020.
  Tali interventi dovrebbero collocarsi all'interno di un organico «patto per la produttività», che spinga il nostro apparato industriale e dei servizi a impegnarsi in innovazioni organizzative di processo e di prodotto, in cambiamenti organizzativi e gestionali, in miglioramento del capitale umano.
  In particolare, avendo presente la situazione del Mezzogiorno, occorre una strategia mirata a utilizzare una quota significativa di risorse per garantire l'operatività delle procedure previste dal combinato disposto degli articoli 23, concernente il Fondo per la crescita sostenibile, e 27, concernente il riordino della disciplina in materia di riconversione e riqualificazione produttiva di aree di crisi industriale complessa, del decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012.
  Anche in tale campo gioverebbe un migliore coordinamento tra le politiche centrali e quelle regionali e locali. In relazione al Mezzogiorno preoccupa la previsione, contenuta nella variazione alla Nota di aggiornamento del DEF 2014, secondo la quale una parte delle risorse necessarie per rispettare i nuovi impegni europei – 500 milioni di euro – sarà reperita attraverso il taglio dei fondi destinati al cofinanziamento dei programmi realizzati con i fondi strutturali europei.
  Il decreto-legge n. 133, c.d. sblocca Italia, dell'agosto di quest'anno individuava una serie di interventi di promozione per la internazionalizzazione delle imprese. Il finanziamento di tali interventi per il triennio 2015-2017 veniva demandato alla legge di stabilità, che tuttavia non ha previsto tali stanziamenti, ma anzi ha ridotto la disponibilità per l'ICE di 4 milioni.
  Questa decisione appare contraddittoria e dannosa, specie in un contesto come quello attuale dove si dovrebbero incrementare le azioni per assicurare una maggiore presenza del made in Italy nei mercati in crescita.
  In relazione all'inadeguata offerta di politiche verso la famiglia, infine, particolarmente per l'infanzia, gli anziani e i disabili, si pone con molta urgenza l'esigenza di recuperare risorse per un'offerta più adeguata di moderni servizi sociali.
  Il CNEL, infine, avendo ben presente il quadro normativo nel quale si colloca questa istituzione anche in termini costituzionali, ritiene che la formulazione dell'articolo 25, che rischia di pregiudicare l'equilibrio della rappresentatività delle componenti stabilite dalla legge e il numero legale delle riunioni, sia incompatibile con il vigente regime costituzionale. Dal punto di vista costituzionale, il CNEL è la sua assemblea.
  La previsione in una disciplina finanziaria che, eliminando in particolare tutte le spese connesse all'esercizio delle funzioni istituzionali, impedisce di fatto il funzionamento dell'assemblea, equivale di fatto alla soppressione del CNEL con legge ordinaria.
  Anche nel nuovo assetto costituzionale, conseguente all'approvazione definitiva della legge di riforma in corso di esame alla Camera, lo Stato italiano sarà tenuto alle forme di dialogo sociale previste dai trattati dell'Unione europea, cui l'Italia partecipa. Quest'obbligo è ribadito anche nel recente scambio di informazioni reso opportunamente pubblico dal Governo, nel quale la Commissione richiama l'articolo 7 del Regolamento CE n. 473/2013, recante disposizioni per il monitoraggio e la valutazione dei documenti programmatici di bilancio.
  Nello stesso Regolamento si ribadisce, all'articolo 1, comma 2, che la sua applicazione Pag. 46deve conformarsi pienamente all'articolo 152 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea e che le raccomandazioni adottate a norma del Regolamento medesimo, devono rispettare la prassi e i sistemi nazionali vigenti in materia di determinazione delle retribuzioni, conformemente all'articolo 28 della Carta dei diritti fondamentali.
  L'esigenza di un coinvolgimento delle formazioni sociali, anche senza la previsione di specifici organismi, è prevista anche nel disegno di legge di riforma costituzionale, che segue la strada delle procedure previste per la riforma di organi di rilevanza costituzionale e che, introducendo specifiche modificazioni nell'articolo 71 della Costituzione, disciplina la partecipazione delle stesse formazioni sociali alla determinazione delle politiche pubbliche, con modalità distinte rispetto a quelle previste per il coinvolgimento della generalità dei cittadini.
  Con l'articolo 25 si prevedono misure con le quali si anticipano gli effetti che conseguirebbero per il CNEL all'atto della definitiva entrata in vigore del nuovo testo costituzionale. Questa anticipazione è di dubbia legittimità e, impedendo l'attività dell'assemblea, decisamente incostituzionale.
  In altre parole, le procedure di riforma di un organo di rilevanza costituzionale sono previste dalla Costituzione e il Parlamento le ha già avviate ma, prima che esse seguano il loro corso come previsto dalla Costituzione, si interviene con questo articolo della legge di stabilità che pone di fatto il CNEL nell'impossibilità di operare.
  Si fa riserva della facoltà, che compete anche ai singoli consiglieri, di impugnare per incostituzionalità quella parte dell'articolo 25 che surrettiziamente sopprime anticipatamente il CNEL, eludendo le procedure previste dalla Costituzione.
  Il CNEL ritiene che sia possibile in modo limpido andare in simile direzione, prevedendo già in legge di stabilità, attraverso però una riformulazione dell'articolo 25, la transizione verso le nuove forme del dialogo sociale per contribuire alla determinazione delle politiche pubbliche.
  Andrebbero indicati contenuti e modalità organizzative, anche attraverso la selezione delle funzioni oggi previste nella legge n. 936 del 1986, e in altre specifiche disposizioni. Andrebbe previsto lo svolgimento dell'attività attraverso forme di stringente sinergia con il complesso delle pubbliche amministrazioni e una limitata struttura professionalmente qualificata di supporto al lavoro dell'assemblea.
  Si deve anche tener conto del fatto che, rendendo da subito non operativo il CNEL, si perde la sede istituzionale sulla quale sono stati incardinati i rapporti europei e internazionali – con soggetti quali l'Unione europea, l'OCSE e l'ONU – di competenza del CNEL, come definito nella sua legge. Con strumenti normativi secondari si dovrebbe successivamente provvedere all'allocazione delle ulteriori competenze oggi attribuite al CNEL e alla destinazione del personale e dei beni strumentali residui. Si eviterebbe in tal modo il paradosso di una previsione in bilancio di 10 milioni di euro, destinati implicitamente per almeno un esercizio a sole funzioni di autoamministrazione, senza che il CNEL possa produrre, solo per l'ordinaria amministrazione.
  In tale quadro il presidente e tutte le rappresentanze presenti al CNEL ribadiscono la propria disponibilità ad esercitare la propria funzione senza alcuna indennità di carica. Il CNEL si riserva di produrre, in tempi compatibili con il lavoro di analisi nelle Commissioni della legge di stabilità e dei provvedimenti ad essa collegati, una valutazione delle proposte settoriali attraverso specifici documenti, anche valutando la loro rispondenza alle raccomandazioni formulate a luglio del 2014 dalla Commissione europea e dal Consiglio dei ministri.
  Grazie, presidente. Quella che ho esposto è la versione sommaria del documento che ho lasciato agli atti.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente del CNEL, Antonio Marzano, per la relazione svolta e per la documentazione depositata, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della Pag. 47seduta odierna (vedi allegato 2) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 20.40, riprende alle 21.

Audizione di rappresentanti di Confindustria.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'attività conoscitiva preliminare all'esame dei documenti di bilancio per il 2015-2017, l'audizione, ai sensi dell'articolo 119, comma 3, del Regolamento della Camera, di rappresentanti di Confindustria.
  È presente il dottor Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, che è accompagnato dall'avvocato Marcella Panucci, direttore generale, dal dottor Francesco Fiori, assistente del presidente, dal dottor Fabio Minoli, direttore relazioni esterne, dall'avvocato Francesca Mariotti, direttore politiche fiscali, dal dottor Luca Paolazzi, direttore centro studi, nonché dalla dottoressa Emanuela Cherubini e dal dottor Zeno Tentella, relazioni esterne.
  Do la parola al dottor Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria.

  GIORGIO SQUINZI, presidente di Confindustria. Illustri presidenti, onorevoli senatori e deputati, vi ringrazio per l'invito a questa audizione che mi permette di svolgere alcune considerazioni sul disegno di legge di stabilità, che rappresenta il passaggio chiave per attuare le scelte di politica economica del Governo per il 2015 e per il successivo biennio.
  Questa legge di stabilità segna un'importante discontinuità rispetto al passato: viene messa in secondo piano la riduzione del deficit per dare priorità al sostegno all'economia, rallentando il percorso di rientro e rinviando il raggiungimento dell'obiettivo del pareggio di bilancio dal 2016 al 2017.
  Per il 2015 il Governo ha concordato con la Commissione europea un deficit di 0,4 punti percentuali di PIL, più ampio di quello che si sarebbe avuto in base alle norme esistenti. Si tratta di circa 5,9 miliardi di euro che vengono impiegati con questa legge di stabilità, che contiene alcune importanti misure di miglioramento della competitività e per favorire l'occupazione.
  Sotto il profilo dei saldi la manovra non può dirsi propriamente espansiva. Per rispettare le regole europee e ottenere l'approvazione della Commissione europea sull'intera manovra, il disavanzo nel 2015 scende al 2,6 per cento del PIL dal 3 per cento del 2014, assicurando una correzione strutturale dello 0,3 per cento del PIL.
  Nel giudizio di Confindustria si tratta comunque di una manovra che segna una svolta, perché si impegna a limitare dosi ulteriori di restrizione della domanda in un'economia che non è ancora uscita dalla lunga recessione e che ha sperimentato nella scorsa estate, assieme al resto dell'Eurozona, un deterioramento della fiducia e delle aspettative di famiglie e di imprese. In altre parole, si alza il piede dal freno, ma nell'impossibilità di pigiare sull'acceleratore la capacità della legge di stabilità di aiutare l'Italia a uscire dalla spirale recessiva dipende in modo cruciale da come cambia la composizione di entrate e uscite e da se e quanto si riuscirà ad aumentare la fiducia degli italiani e indurre a una maggiore spesa consumatori e imprenditori.
  Vanno nella giusta direzione le misure su IRPEF, IRAP e contributi sociali sui nuovi assunti. Non aiutano, invece, la retroattività con cui viene riaumentata l'aliquota IRAP, abbassata dal 3,9 al 3,5 per cento solo sei mesi fa, e il rinvio della concreta efficacia di diverse misure a decreti attuativi.
  Inoltre, e più in generale, per ridare fiducia e rilanciare l'economia è assolutamente necessario un drastico miglioramento delle condizioni del fare impresa, perciò Confindustria ritiene cruciale l'attuazione della legge di delega fiscale, l'approvazione e l'implementazione del Jobs Act e la finalizzazione delle riforme istituzionali, della pubblica amministrazione e della giustizia.Pag. 48
  In ogni caso, la legge di stabilità rappresenta un buon avvio del percorso che deve portarci a ritrovare la strada della crescita. Il Governo ha preso atto della difficile crisi economica in cui si trova il Paese: il ritmo di arretramento si è invero attenuato, ma una svolta fatica a concretizzarsi.
  Si coglie, tuttavia, qualche elemento meno negativo nell'andamento degli indicatori qualitativi e quantitativi ed emergono segni di stabilizzazione, in particolare nella produzione industriale.
  Si sta componendo un mosaico di fattori propizi alla ripartenza nel 2015: la caduta del prezzo del petrolio e la diminuzione di valore dell'euro determinano un aumento del PIL di quasi un punto percentuale.
  La morsa del credit crunch tenderà ad allentarsi, ma occorre fare in modo che tutto ciò si trasformi in un chiaro cambiamento di rotta, tanto più che negli ultimi mesi le difficoltà si sono estese a tutta l'Eurozona, dalla periferia al nocciolo duro, fino a ieri considerato forte, compresa la Germania.
  Ciò ostacola l'uscita dell'Italia dalla crisi perché indebolisce l'importante traino alle esportazioni. Occorre sperimentare percorsi nuovi, come quello scelto dal Governo, attorno ai quali non si è però ancora coagulato l'indispensabile consenso tra i Paesi che formano l'Unione economica e monetaria.
  Confindustria sostiene da tempo che serve un cambio nella politica economica e lo ha ribadito in modo chiaro nel manifesto per l'Europa della crescita, presentato all'inizio dello scorso aprile, un decalogo al cui primo posto c’è la richiesta di andare oltre il dogma dell'austerità.
  A fine agosto il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, per la prima volta ha detto a chiare lettere che da sole la politica monetaria e le riforme non sono sufficienti a farci uscire dalla crisi e che ci vuole una politica di sostegno della domanda aggregata, utilizzando la leva dei bilanci pubblici.
  Quel che manca oggi, infatti, è la domanda interna. L'Eurozona in questa fase storica decisiva per la sua sopravvivenza sta esportando deflazione e depressione nel resto del mondo, non sta facendo quello che serve per contribuire ad uscire dalla crisi.
  Abbiamo bisogno di reagire con prontezza e in modo coordinato e di darci una nuova visione, che vada al di là dell'austerità, che sempre più si sta rivelando fine a se stessa; abbiamo bisogno di leadership ed è molto positivo che oggi l'Italia stia dimostrando visione e leadership europee, pur nel rispetto delle regole, delle istituzioni e degli impegni, in misura maggiore di quanto non accada nei nostri maggiori partner europei.
  In questo quadro difficile la legge di stabilità è indubbiamente importante per il Paese. Lo è per l'attenzione data finalmente alla competitività, con la riduzione del costo del lavoro attraverso il taglio dell'IRAP e la triennale cancellazione dei contributi sociali sulle nuove assunzioni – nell'insieme si tratta di circa il 40 per cento degli sgravi fiscali complessivi; lo è come segnale forte di incoraggiamento a tornare a guardare con più ottimismo al futuro.
  L'intervento su IRAP e oneri sociali va nella direzione indicata da molti anni da Confindustria, per alleviare il carico fiscale che grava sul costo del lavoro in misura molto maggiore che altrove, penalizzando le attività che creano più occupazione.
  Sono dunque misure utili al Paese ma va tuttavia sottolineato che questo intervento produrrà pienamente i suoi effetti solo dal 2016 e che la retroattività dell'aumento dell'aliquota rischia di minare l'affidamento sulla stabilità del sistema, precondizione necessaria per attirare investimenti. Confido che il Parlamento vorrà porre attenzione a questi profili.
  Contrasta inoltre con l'esigenza di miglioramento del nostro mercato del lavoro la riduzione delle risorse per la decontribuzione del salario di produttività e i fondi interprofessionali. Opportunamente, invece, la legge di stabilità stanzia 1,5 miliardi di euro dal 2015 per gli ammortizzatori sociali, così da far fronte agli oneri derivanti dall'attuazione del Jobs Act.Pag. 49
  In generale, la legge di stabilità è di qualità e per molti versi coraggiosa. Nell'attuale contesto il miglioramento della competitività di costo è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Se mancano le prospettive di domanda a livello italiano ed europeo, se la congiuntura è più fragile e incerta di quel che si prevedeva pochi mesi fa, la risposta e la reazione del sistema produttivo alle importanti sollecitazioni diventano necessariamente meno pronte ed ampie. Le prospettive della domanda perciò rimangono cruciali per attivare maggiori investimenti.
  La strategia di Confindustria per il rilancio rapido del Paese si basa su tre pilastri: il taglio del costo del lavoro, per aumentare la competitività; l'iniezione di liquidità con i pagamenti dei debiti della Pubblica Amministrazione, per contrastare il credit crunch; l'aumento degli investimenti pubblici, per sostenere la domanda interna con effetti positivi sulla competitività.
  La legge di stabilità appena varata interviene sul costo del lavoro. Sui pagamenti della Pubblica Amministrazione si è molto lavorato e c’è qualcosa anche in questo disegno di legge, sebbene non mi pare si sia ancora giunti alla soluzione definitiva.
  Manca invece un'azione decisa sugli investimenti. Ad eccezione del credito d'imposta per ricerca e sviluppo, che però va più incisivamente configurato e finanziato, dell'importante conferma per il 2015 dei bonus per efficienza energetica e ristrutturazioni edilizie e del patent box, sono limitati i fondi per favorire gli investimenti pubblici e privati e assenti quelli per sostenere il rinnovo degli apparati produttivi, attraverso il rafforzamento della cosiddetta nuova Sabatini e del credito d'imposta per gli acquisti di nuovi macchinari, e per incrementare il numero delle imprese esportatrici, attraverso un miglior finanziamento dell'ICE.
  Desidero soffermarmi proprio su due di questi punti: l'assenza di fondi su un piano, quello del made in Italy, varato dal Governo solo pochi mesi fa, e il mancato rifinanziamento della «nuova Sabatini», strumento che ha visto una marcata adesione delle imprese, sono incomprensibili e rappresentano un chiaro esempio di quello che andrebbe evitato, se si vuole davvero aumentare la fiducia delle imprese.
  Ricordo inoltre che, come abbiamo già segnalato in occasione della precedente legge di stabilità, non incoraggia gli investimenti privati il ritardo di un intervento organico di razionalizzazione e riduzione della tassazione degli immobili d'impresa. Tale intervento non è più procrastinabile e la situazione ha assunto connotati paradossali: le imprese, oltre a IMU, TASI e TARI sugli immobili, pagano anche una patrimoniale sui macchinari.
  Occorre agire con determinazione, perché queste imposte non colpiscono rendite ma fattori produttivi, il cui reddito è già tassato, e sono dovute anche quando l'impresa è in perdita. La necessità di aumentare gli investimenti pubblici al fine di sostenere la domanda interna non è solo dell'Italia, ma dell'intera Eurozona. Per questo abbiamo accolto con estremo interesse la proposta del neo presidente della Commissione europea, Juncker, di varare un piano di investimenti da 300 miliardi di euro.
  Nell'attesa di questo piano, però, è fondamentale utilizzare per intero le risorse a nostra disposizione. Sarebbe importante, quindi, ripristinare l'esclusione della spesa per il cofinanziamento dei fondi strutturali dal Patto di stabilità delle regioni, eliminata per venire incontro alle osservazioni della Commissione europea.
  Preoccupa infine l'incremento con efficacia retroattiva della tassazione dei fondi pensione, che sottrae risorse potenzialmente impiegabili nell'economia reale.
  Sul fronte delle coperture occorre prestare attenzione alle clausole di salvaguardia, che sono legate alla necessità di rendere credibile il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nel 2016 e 2017. È vero che potranno essere cambiate in base alle condizioni economiche e politiche, italiane ed europee, che ci saranno tra un anno, ma rischiano di mantenere alta l'incertezza sulle prospettive future, frenando così consumi e investimenti.
  Importanti da un punto di vista quantitativo le riduzioni di spesa, anche se non Pag. 50si può ancora parlare di un'ampia e vera spending review. In particolare, è totalmente insoddisfacente l'intervento sulle società partecipate dagli enti locali, che potrebbe invece non solo dare risorse necessarie da impiegare in maniera più produttiva ma anche favorire un migliore funzionamento dei mercati su cui tali società spesso impropriamente operano.
  Per evitare che la diminuzione delle risorse disponibili per gli enti territoriali si traduca in una maggiore imposizione, anziché in maggiore efficienza nell'erogazione dei servizi, è cruciale un costante e attento monitoraggio.
  Per concludere, confermo che la legge di stabilità, nel rispetto degli impegni assunti con l'Europa, potrà risollevare le sorti dell'economia italiana e rimettere il Paese su un più alto sentiero di sviluppo. Ciascuno deve fare la sua parte. Nessun livello di Governo può tirarsi indietro nel concretizzare lo sforzo richiesto dalla manovra sui conti pubblici, né può o deve scaricare l'onere sui cittadini e sulle imprese, aumentando le imposte locali che sono già molto alte. Non ci possono essere contrapposizioni, perché l'obiettivo è comune: rilanciare il Paese.
  Le imprese sono pronte a fare quel che devono e possono in un contesto caratterizzato ancora da una grande incertezza. I Governi europei possono e devono contribuire a dissipare in buona parte questa incertezza, rilanciando la domanda con maggiori investimenti e attuando le riforme essenziali a rafforzare l'Europa.
  Per Confindustria la priorità era e resta la crescita, perché è l'unica via per creare lavoro, per dare una risposta concreta e non populistica alle sofferenze delle persone, per offrire ai giovani un futuro migliore in Italia, senza quindi spingerli a cercare fortuna altrove. Perciò bisogna mettere al centro l'economia reale, che ha nel manifatturiero il cuore pulsante, e occorre mettere al centro le imprese, senza le quali non solo non c’è ripresa, ma non c’è proprio sviluppo.
  Sono le imprese che aprono strade nuove e gettano ponti tra l'oggi e il domani. Occorre lavorare sodo e portare a termine molto importanti riforme: dalla pubblica amministrazione alla giustizia, dal lavoro alla scuola, dalle istituzioni al fisco e al Titolo V della Costituzione.
  Sono convinto che con questi sforzi l'Italia alla fine ce la farà.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Squinzi per la relazione molto chiara e, vista l'ora, anche molto riassuntiva di una serie di temi. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAMPAOLO GALLI. Ringrazio il presidente, perché ha dato sinteticamente un quadro molto chiaro dei pregi di questo disegno di legge, dei suoi punti di discontinuità e di quelli che segnano una svolta rispetto al passato, ma anche di alcune criticità che ciascuno di noi si è appuntato e che sono state in parte anche sollevate da altri nel corso delle audizioni. Intendo riferirmi a questioni quali, tra le altre, quelle concernenti i fondi interprofessionali, i salari di produttività, la retroattività IRAP, la tassazione sugli immobili di impresa o sui fondi pensione.
  Si tratta di temi che sono all'attenzione, e direi che l'elemento di novità rispetto alle audizioni di oggi riguarda la questione del finanziamento del made in Italy. A tale proposito, c’è la «nuova Sabatini», c’è il credito d'imposta per i nuovi investimenti, c’è tutto il piano del made in Italy che stava nel decreto-legge n. 132 del 2014, c.d. sblocca Italia, e che è stato solo parzialmente finanziato, c’è il tema dell'ICE.
  Questo è un mondo molto grande, che va dall'ICE alla «nuova Sabatini» e a tanto altro, ma dovendo lavorare entro i limiti delle disponibilità, non so se abbiate già individuato le priorità, nel senso di destinare le risorse in favore del credito d'imposta per la ricerca piuttosto che della «nuova Sabatini», del credito d'imposta sui nuovi macchinari ovvero dell'ICE.

  STEFANO FASSINA. Ringrazio il presidente Squinzi per la concisa ma efficace relazione che ha proposto. Giustamente lei Pag. 51ha sottolineato l'importanza della domanda ai fini della ripresa, in particolare della domanda interna, perché in precedenza sia la Banca d'Italia che l'Istat hanno sottolineato il contributo netto modesto che può arrivare dalle esportazioni.
  A questo proposito vorrei capire se non avvertiate qualche preoccupazione sugli effetti dei consistenti tagli di spesa corrente ai fini della domanda, perché difficilmente quei tagli non si riverbereranno in minori servizi fondamentali o maggiore tassazione a livello territoriale, con un conseguente impatto negativo sulla domanda.
  In secondo luogo, condivido le preoccupazioni esposte dal presidente Squinzi a proposito delle risorse inadeguate per la «nuova Sabatini» e per i crediti d'imposta in favore degli investimenti innovativi.
  Le chiedo, quindi, quale sia la posizione di Confindustria rispetto a un'utilizzazione, a risorse invariate, di quanto oggi viene impiegato per ridurre l'IRAP allo scopo di destinarlo, almeno in parte, alla «nuova Sabatini» o ai crediti d'imposta per gli investimenti, cioè se ritenga utile – ai fini dell'impatto non solo sulla congiuntura, ma anche in termini strutturali – un utilizzo delle suddette risorse in chiave di sostegno agli investimenti innovativi delle imprese.

  GIORGIO SANTINI. Anch'io volevo ringraziare il presidente Squinzi per la relazione e per le valutazioni che, a mio avviso, colgono lo spirito del disegno di legge di stabilità, nel senso di cercare di dare un impulso già dal 2015 sia al versante della domanda interna, sia al versante dei fattori riguardanti la produzione e l'occupazione con gli interventi sull'IRAP e sulla decontribuzione per i nuovi assunti.
  Vorrei chiederle semplicemente un'opinione circa i segnali che avete raccolto in merito al riscontro che può avere questa volontà esplicita della manovra di accelerare e di dare un impulso, se possa cioè realizzare un salto in avanti, perché il Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha segnalato più volte il fatto che non possiamo permetterci il quarto anno di recessione consecutivo.
  Mi pare questo il grande obiettivo del disegno di legge di stabilità per il 2015 ed è importante conoscere su tale aspetto anche la vostra opinione.
  Vorrei porvi una seconda domanda o una considerazione da fare insieme a voi. Lei ha accennato al tema dei fondi europei, alla proposta italiana su cui da tempo stiamo insistendo in diverse sedi volta ad escludere dal patto di stabilità interno la quota del cofinanziamento nazionale, che non è andata in porto. A mio avviso, questo è un tema su cui insistere ancora perché sappiamo che esso costituisce un limite, come un limite è anche – e su questo credo che le rappresentanze del mondo dell'impresa e del lavoro dovrebbero insistere con maggior convinzione – il fatto che l'utilizzo di questi fondi è scarsamente vocato alla possibilità di sostenere lo sviluppo, ma si disperde in altre finalità e spesso non viene neanche concretamente impiegato.
  Questa è un'altra cosa che nei prossimi cinque anni non possiamo più permetterci perché, considerati i vincoli assai ristretti delle risorse – giacché tutto quello che possiamo impegnare deriva da ciò che riusciamo a tagliare, operazione quest'ultima molto difficile – sarebbe fondamentale non solo continuare con grande convinzione la battaglia per nettizzare il cofinanziamento, ma anche orientare meglio questa spesa, queste decine di miliardi che abbiamo in preventivo per i prossimi sei anni, ossia per il prossimo ciclo di programmazione, e che a mio avviso sono ancora una volta programmati in maniera molto generica e rischiano di essere poco incisivi se non si interviene con decisione.
  In ciò c'entra molto il nostro Governo, ma c'entra molto anche la pressione che a mio avviso deve provenire dalle forze del lavoro e dell'impresa.

  FEDERICO D'INCÀ. Ringraziando il presidente Squinzi per la presenza di questa sera, esprimo tuttavia una certa delusione nei confronti della sua audizione, in quanto la trovo molto appiattita Pag. 52sul ruolo del Governo – o forse è il contrario e il Governo è appiattito sul volere di Confindustria – in quanto mi aspettavo una maggiore sua attenzione nei confronti delle clausole di salvaguardia.
  Oggi il vicedirettore della Banca d'Italia ha fatto un rapido conto in base al quale, in caso di loro eventuale attivazione, nel 2016 avremmo circa 16 miliardi di imposizione IVA in più, nel 2017 25,5 miliardi e nel 2018 altri 27,5 miliardi.
  Credo che nei confronti della domanda interna e dei consumi del nostro Paese, ciò sarebbe la mazzata finale, quindi vorrei capire se Confindustria accetti questa possibilità semplicemente apostrofandola come «attenzione», come lei ha detto prima, o se vada piuttosto data un'evidenziazione diversa e un maggiore risalto anche come critica nei confronti del Governo.

  PRESIDENTE. Prima di darle la parola, presidente Squinzi, vorrei porle due brevi domande connesse alle audizioni di oggi su temi che si collegano al ruolo delle imprese.
  Oggi la Corte dei conti ci fa notare – ed è una valutazione che il Parlamento dovrà fare nella fase di discussione generale sui disegni di legge di bilancio e di stabilità, che si aprirà al termine delle audizioni – che per le assunzioni a tempo indeterminato, e cito testualmente il passaggio della Corte dei conti «non pare si possano escludere, in assenza di adeguate cautele normative, comportamenti distorsivi volti a ottenere il beneficio della decontribuzione», di fatto sottolineando al Parlamento come possano esserci imprese che riducono gli organici nell'ultima parte dell'anno per poi utilizzare la decontribuzione.
  Vorrei chiederle quindi se lei veda in maniera positiva e propositiva un vincolo temporale, nel senso di rendere possibile le nuove assunzioni a condizione che le persone interessate non siano state licenziate nei tre o quattro mesi precedenti, per evitare che i pericoli distorsivi paventati dalla Corte dei conti siano effettivamente posti in essere, anche se certamente da una sparuta minoranza di imprese.
  La Banca d'Italia, inoltre, con riferimento al TFR, ha segnalato quale elemento cruciale il fatto che la temporaneità del provvedimento, motivato dalla fase congiunturale eccezionalmente avversa, venga mantenuta.
  Grazie, presidente. A lei la parola per la replica.

  GIORGIO SQUINZI, presidente di Confindustria. La prima domanda era quella posta dall'onorevole Giampaolo Galli in ordine a quali siano, a giudizio di Confindustria, le priorità su cui intervenire. Al di là delle misure che sono già contenute nel disegno di legge di stabilità, noi riteniamo che la priorità dovrebbe essere, anzitutto, l'abolizione dell'IMU sui capannoni e sui macchinari imbullonati a terra, perché questa è una forma di tassazione degli strumenti di produzione veramente assurda, nonché unica al mondo.
  Su questa situazione non ho mancato anche questa mattina, durante l'incontro con il Presidente del Consiglio a Brescia, di sottolineargli personalmente le nostre preoccupazioni.
  La seconda priorità riguarda il discorso del credito di imposta per la ricerca e l'innovazione, che è stato previsto soltanto in termini di ricerca incrementale, mentre credo che, specialmente in un periodo come quello attuale, la ricerca incrementale rappresenti un pio desiderio ma certamente non una situazione molto diffusa.
  Penso quindi che il credito d'imposta per la ricerca e l'innovazione dovrebbe essere diffuso e stabilizzato e a tale riguardo vorrei ricordare una cosa che ho già detto tante altre volte: ho sempre in mente l'esempio del Canada, che negli anni Settanta era un Paese esportatore di materie prime – legname, energia elettrica, gas e petrolio – e che con un programma assai impegnativo di sostegno alla ricerca e all'innovazione, che è arrivato a riconoscere, fino a due volte e mezzo, un credito d'imposta agli investimenti in ricerca, si è trasformato in uno dei grandi attori della tecnologia a livello mondiale.Pag. 53
  Io ci credo tantissimo, da imprenditore e da uomo di ricerca, perché ho iniziato il mio percorso imprenditoriale partendo proprio da lì.
  Un altro discorso che vedo come priorità è quello di finanziare adeguatamente la cosiddetta «nuova Sabatini», anche perché vorrei ricordare che la prima tranche di finanziamento introdotta nel mese di febbraio aveva portato a risultati straordinari, con oltre 6.000 domande per circa 1,5 miliardi di investimenti, ed una spesa modesta per lo Stato, che non arrivava a 100 milioni di euro.
  C’è poi sicuramente il discorso del made in Italy, inteso in particolare come progetto per l'internazionalizzazione delle imprese e come adeguato finanziamento all'ICE, l'istituto deputato a svolgere questo compito che continua a subire una serie di docce scozzesi, considerato che mediamente ogni sei mesi gli danno dei fondi e poi glieli tolgono, mentre l'ICE è un ente fondamentale per favorire la diffusione mondiale dei nostri prodotti e del nostro made in Italy.
  Se dovessi identificare le priorità che non ci sono nel testo che è stato presentato in Parlamento, individuerei queste che vi ho testé indicato. Su molte altre cose, come ho detto, noi siamo assolutamente d'accordo e quindi da questo punto di vista non abbiamo grosse difficoltà.
  Con riferimento alle osservazioni svolte dall'onorevole Fassina, è chiaro che la domanda interna è quella che manca in questo momento e vorrei anche ricordare che le esportazioni complessivamente hanno tenuto, seppur con fasi alterne e qualche rallentamento, attestandosi in termini percentuali al livello addirittura della Germania. Ciò che in questo momento sta mancando alle nostre imprese sono i consumi interni, e questa credo che dovrebbe essere la nostra preoccupazione.
  I tagli di spesa onestamente non mi preoccupano. Ritengo che per far ripartire la domanda interna bisognerebbe cominciare a investire di nuovo sulle infrastrutture, poiché credo che la dotazione infrastrutturale, anche se il Ministro Lupi, grattando il fondo del barile, è riuscito a recuperare qualcosa, non sia sufficiente.
  Il nostro Paese è rimasto arretrato in termini di dotazioni infrastrutturali e ha la necessità fondamentale di potenziare la rete infrastrutturale ricorrendo a tutti i sistemi possibili e immaginabili, compreso il finanziamento pubblico e privato. Credo quindi che su questo aspetto ci si debba molto concentrare.
  Sulla «nuova Sabatini» noi siamo a favore, come ho già detto, e riteniamo che sia uno strumento importante. Riteniamo, altresì, che si debbano identificare tagli di spesa sulle società partecipate, come anche il commissario alla spending review Cottarelli aveva indicato chiaramente, e dalle nostre rilevazioni risulta la presenza di 12-13.000 società partecipate, molte delle quali non chiudono i bilanci in positivo.
  Il commissario Cottarelli aveva sicuramente identificato questa situazione come una possibile fonte per recuperare almeno un miliardo di euro in termini di spending review, quindi credo che un po’ di attenzione su questo punto sia assolutamente necessaria.
  Confindustria ritiene, inoltre, che le misure relative alla deducibilità del costo del lavoro dall'imponibile IRAP e alla decontribuzione per le nuove assunzioni a tempo indeterminato vadano nella direzione giusta. È vero, questo è il quarto anno in cui siamo in recessione, anche se questa è un po’ meno violenta degli anni scorsi perché non dimentichiamoci che nel 2012 eravamo a meno 2,4 e nel 2013 siamo stati a meno 1,9; non sappiamo ancora bene come chiuderemo quest'anno, però le nostre proiezioni individuano un valore negativo compreso tra lo 0,3 e lo 0,5 per cento.
  Abbiamo dunque assolutamente bisogno di svoltare. Sul discorso dei fondi europei sono invece assolutamente d'accordo che andrebbero tolti dai limiti vincolanti per i cofinanziamenti. In particolare, credo che sui fondi europei si verifichi anche una dispersione eccessiva, paurosa, perché tali fondi vengono investiti su migliaia di progetti mentre bisognerebbe piuttosto identificare progetti veramente strategici, concentrandosi in modo particolare soprattutto Pag. 54su progetti infrastrutturali che promuovano veramente la competitività del Paese ed investendo su questi. Questa è sicuramente una situazione sulla quale dobbiamo concentrarci e focalizzare gli sforzi per evitare le dispersioni.
  Rispondendo all'onorevole D'Incà, posso dire che noi siamo spiriti liberi e che Confindustria non è un partito politico, quindi non è a favore o contro un Governo piuttosto che un altro in termini pregiudiziali: noi riteniamo pertanto di esprimere la nostra opinione in base a quello che sentiamo e sull'azione di questo Governo noi condividiamo le impostazioni che sono state date.
  Anche noi siamo poi in attesa di vedere l'effettiva e concreta realizzazione di queste visioni, quindi siamo a favore in linea di principio però attendiamo anche la realizzazione. Questo per dire che non siamo schierati a favore di questo Governo pregiudizialmente.

  FEDERICO D'INCÀ. Invece sulle clausole di salvaguardia ?

  GIORGIO SQUINZI, presidente di Confindustria. Sicuramente sul fronte delle coperture bisogna prestare attenzione alle clausole di salvaguardia, che sono legate alle necessità di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nel 2016 e 2017, però anche su questo credo che ci sia una possibilità di oscillazione in base alle condizioni italiane ed europee.
  Personalmente come imprenditore sono molto preoccupato, perché vedo in questo momento un rallentamento deciso di alcuni Paesi europei. La Francia in questo momento è messa forse peggio di noi e la stessa Germania in termini di produzione industriale e di investimenti sta decisamente rallentando, anche perché il principale mercato potenziale di esportazione per la Germania siamo noi dell'Unione europea, quindi, se tutti noi siamo in difficoltà, anche loro automaticamente vanno in difficoltà.
  Dobbiamo essere molto attenti e adattare la politica in base a quello che succederà nei prossimi due o tre anni, questo è fuori discussione.
  Come imprenditore non mi sognerei mai di licenziare dei dipendenti per poterne assumere altri dal 1o gennaio dell'anno successivo, perché nel mio gruppo i dipendenti sono un patrimonio fondamentale, un asset fondamentale che garantisce la competitività del gruppo e specialmente oggi, con l'evoluzione tecnologica che c’è stata, il discorso della formazione del personale è diventato estremamente complesso, quindi avendo del personale formato io non mi sognerei mai di licenziarlo per poi riassumere dei giovani inesperti dal 1o gennaio dell'anno successivo solo per avere una decontribuzione.
  Credo che quello che la Corte dei conti ha menzionato sia un pericolo teorico e onestamente non mi aspetto una reale incidenza di una situazione di questo tipo.
  Sul discorso relativo al TFR abbiamo detto chiaramente fin dal primo momento che il TFR, se è neutro per le imprese ed è lasciato al libero arbitrio dei lavoratori, con un'assoluta equivalenza tra dipendenti delle aziende pubbliche e delle aziende private, a noi sta bene. È chiaro comunque che siamo preoccupati sul TFR, perché questo va ad impattare sulla previdenza integrativa in un modo che non riusciamo ancora a valutare in maniera precisa, e questa è una nostra grande preoccupazione.
  Come imprenditore vengo dal settore chimico, che è stato il primo a creare la previdenza integrativa complementare con il FONCHIM e il FASCHIM, quindi non nascondo di avere un po’ di preoccupazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Squinzi e la delegazione di Confindustria.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 21.45.

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