XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V e XII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Martedì 10 settembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

LA SFIDA DELLA TUTELA DELLA SALUTE TRA NUOVE ESIGENZE DEL SISTEMA SANITARIO E OBIETTIVI DI FINANZA PUBBLICA

Audizione di rappresentanti dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGE.NA.S.).
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Bissoni Giovanni , Presidente dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali (AGE.NA.S.) ... 3 
Boccia Francesco , Presidente ... 7 
Miotto Anna Margherita (PD)  ... 7 
Amato Maria (PD)  ... 7 
Lenzi Donata (PD)  ... 7 
Calabrò Raffaele (PdL)  ... 8 
Palese Rocco (PdL)  ... 8 
Capelli Roberto (Misto-CD)  ... 9 
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 10 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 10 
Bissoni Giovanni , Presidente dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali (AGE.NA.S.) ... 10 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 12 

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA), dell'Associazione nazionale sanità integrativa (ANSI), del Fondo assistenza sanitaria integrativa (FASI) e della Cassa assistenza sanitaria quadri (Qu.A.S.):
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 12 
Focarelli Dario , Direttore generale dell'Associazione nazionale fra le imprese assicurative (ANIA) ... 13 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 15 
Alfieri Massimo , Presidente dell'Associazione nazionale sanità integrativa (ANSI) ... 15 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 17 
Cuzzilla Stefano , Presidente del Fondo assistenza sanitaria integrativa (FASI) ... 17 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 18 
Raineri Pierangelo , Presidente della Cassa assistenza sanitaria quadri (Qu.A.S.) ... 18 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 19 
Galli Giampaolo (PD)  ... 19 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 19 
Miotto Anna Margherita (PD)  ... 20 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 11.15.

  (Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGE.NA.S.).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, l'audizione di rappresentanti dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGE.NA.S.).
  Do la parola agli auditi.

  GIOVANNI BISSONI, Presidente dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali (AGE.NA.S.). Grazie, presidente. Ho letto il programma dell'indagine conoscitiva, un programma puntuale che mi sembra evidenziare molto bene i passaggi delicati di questa fase del Servizio sanitario nazionale. Seguendo le osservazioni e i punti critici presenti nel programma approvato, vorrei esprimere alcune considerazioni.
  Viene giustamente messa in evidenza la preoccupazione derivante dall'invecchiamento della popolazione e dall'innovazione tecnologica come elementi che possono influenzare e influenzano la spesa sanitaria. È assolutamente comprensibile e condivisibile, in quanto sono due elementi su cui si riflette non solo nel nostro servizio sanitario ma in generale. La mia impressione è che siano elementi reali, di cui spesso però si tende a enfatizzare l'impatto. Non c’è dubbio: una persona anziana consuma più servizi sanitari rispetto a una giovane, ma è anche vero che, se il Servizio sanitario nazionale sa introdurre significative innovazioni, questo impatto può essere sensibilmente contenuto.
  È evidente che un servizio sanitario vecchia maniera, ospedalocentrico, è meno adatto ad assistere una popolazione anziana, mentre lo sviluppo di servizi territoriali, in grado di prendersi carico di una popolazione anziana con un alto indice di cronicità, può contenere significativamente l'impatto della spesa.
  Il primo elemento da evidenziare è quindi che, senza negare l'impatto dell'invecchiamento, questo può e deve essere governato con forti azioni di innovazione del sistema. D'altra parte ne abbiamo significativi esempi, con una parte del Paese che presenta ancora tassi di invecchiamento di valenza europea e pezzi di Paese con tassi di invecchiamento elevato: se andiamo a valutare la spesa, constatiamo quanto sia comunque possibile governarla con sistemi di innovazione.
  Lo stesso ragionamento va fatto per l'innovazione tecnologica. Un servizio sanitario che rinunci all'innovazione è destinato a diventare un servizio sanitario Pag. 4residuale, in quanto l'universalismo deve contenere al suo interno la parte più debole e la parte più forte della popolazione, laddove, se un sistema sanitario non sa introiettare l'innovazione, la parte più forte è la prima a uscire dal sistema, e a quel punto l'impoverimento sul tema della qualità vale per tutti.
  Troppo spesso, però, i sistemi sanitari tendono a subire l'innovazione tecnologica, che invece va governata ed è spesso un'opportunità di efficientamento del sistema. Il problema è uscire dalla logica di dover subire l'innovazione tecnologica per adottare quella di governarla. Da questo punto di vista, però, il nostro Paese deve compiere alcune scelte, perché è difficile trovare un Servizio sanitario nazionale come il nostro senza una funzione strutturata di high technology assessment, cosa che invece nel nostro sistema non è codificata. Pezzi di technology assessment vengono fatti da varie agenzie, dalle singole regioni, però come tutti i Sistemi sanitari nazionali noi abbiamo bisogno di strutturare una funzione nazionale di technology assessment che aiuti e sostenga l'introduzione di reali innovazioni, distinguendole dalle false.
  Allo stesso modo, le vere innovazioni introdotte nel sistema hanno bisogno di riflettersi sull'organizzazione dei servizi. Siamo infatti spesso abituati ad assumere innovazioni vere semplicemente sovrapponendole alla situazione precedente, senza valutare gli eventuali effetti di cambiamento e cogliere le eventuali opportunità in termini di efficientamento del sistema.
  Sul tema della spesa il documento è molto chiaro e assolutamente condivisibile. Faccio un'unica osservazione: quando si afferma che nel decennio 2000-2010 la spesa sanitaria ha avuto una crescita abnorme (circa il 50 per cento) non si deve dimenticare che in quegli stessi dieci anni il tasso di inflazione reale era attorno al 24 per cento, che la popolazione italiana è cresciuta del 6 per cento e che dentro quella crescita c’è una scelta politica molto chiara che il Paese ha compiuto.
  La crescita maggiore di quella spesa sanitaria è infatti concentrata nei primi cinque anni, quando l'Italia scelse, con i famosi Patti per la salute (il primo nel 2000), di uscire dalla situazione in cui era caduta negli anni ’90, quando eravamo scesi a una spesa sanitaria attorno al 5 per cento del PIL, che era in assoluto la più bassa rispetto non solo ai grandi Paesi con cui normalmente ci confrontiamo, ma a tutti i Paesi europei. L'uscita da quel significativo calo di finanziamento portò il Paese a finanziare la spesa in maniera significativa, tanto che il suo andamento non è omogeneo ma subisce una grossa accelerazione dal 2000 al 2006, anno a partire dal quale appare molto più regolare.
  Nell'ambito della spesa sottolineo come altamente positiva la scelta di rinunciare ai 2 miliardi di euro di ticket a partire dal 1 gennaio 2014, non solo perché il ticket è sempre un'introduzione antipatica, una forma di compartecipazione sgradita al cittadino, ma anche perché il livello di compartecipazione nell'ambito del servizio sanitario, se non è ben calibrato, rischia di produrre effetti contrastanti.
  In relazione alla stessa manovra degli 800 milioni di euro che è stata fatta nell'arco del 2012, il lavoro fatto da AGENA.S. specificatamente su questa manovra, ha evidenziato come in realtà quegli 800 milioni non siano mai entrati nelle casse delle regioni e l'incremento si sia fermato attorno alla metà e soprattutto come abbia determinato un effetto non voluto di fuoriuscita di servizi dal servizio sanitario.
  Per effetto dell'incremento del ticket per il cittadino è diventato più conveniente assumere una serie di prestazioni sul mercato privato. Ovviamente non si tratta di contrapporre pubblico e privato, però questo non sempre ha prodotto risparmi nel pubblico, perché alcune prestazioni hanno costi in relazione a quanto si eroga, ma altre hanno costi fissi, che restano a prescindere dalla quantità dei servizi erogati. Cito ad esempio i laboratori, che alcune regioni hanno ampiamente riorganizzato non acquistando più esternamente da privati l'attività laboratoristica per rispondere alle richieste dei cittadini. I costi Pag. 5fissi dei laboratori sono enormemente superiori ai costi marginali, dovuti all'erogazione di una prestazione. Quei costi sono rimasti quasi tutti dentro il sistema in quanto la laboratoristica è una delle attività che hanno avuto una forte fuoriuscita dal servizio pubblico, quindi non ci sono più entrate perché escono i paganti, non gli esenti, e restano i costi fissi e alla fine questo si traduce in un vantaggio economico non all'altezza di quanto preventivato.
  Pensare di aggiungere 2 miliardi di euro in questo sistema, tenendo conto che oggi le entrate da ticket sono circa 3,5 miliardi, diventerebbe complicato non solo sul piano sociale, ma anche dal punto di vista della resa economica. È quindi positivo che il Governo abbia assunto questa posizione ma, anche sulla base degli attuali livelli di compartecipazione, è necessario lavorare per rivedere i criteri di equità nell'esenzione (oggi non è un sistema equo) e ricalibrare il ticket sulle singole prestazioni, per evitare la fuoriuscita dal servizio. Non aggiungo nulla sull'andamento della spesa 2012, abbiamo appena visto anche le rendicontazioni della Corte dei conti.
  Ci si appresta al nuovo Patto per la salute, per cui desidero fare un breve ragionamento sugli affetti della spending review. La spending sul sistema sanitario ha avuto l'effetto di contenimento del finanziamento, ha agito sul contenimento di alcuni fattori di spesa e su alcuni ha funzionato. Sul personale ha funzionato, in quanto, anche se è più difficile gestire aziende sanitarie dove c’è il blocco contrattuale, non c’è dubbio che l'impatto finanziario è stato importante e si è realizzato; sui beni e servizi ha funzionato molto meno. Conoscete gli effetti dell'intervento della magistratura amministrativa sui provvedimenti su beni e servizi, e la mia considerazione personale è che quella manovra sui beni e servizi da un lato non abbia colto un bisogno e un'opportunità che va assolutamente sfruttata e dall'altro abbia semplificato un processo, per cui bisogna riprendere quel percorso.
  Insisto su un punto: quando si ragiona di prestazioni sanitarie, cioè assistenziali, il mercato non funziona, in quanto nessuna azienda farebbe un appalto per assegnare la cardiochirurgia all'ospedale che la faccia pagare meno, perché questa scelta inciderebbe sul rapporto fiduciario fra il cittadino, il soggetto erogatore e il servizio sanitario, ma tuttavia alcune spese nel servizio sanitario, i beni e servizi, devono essere realizzate in una logica di mercato. Logica di mercato vuol dire quindi organizzare la domanda e, in un'area delicata come quella della sanità (perché una cosa è la fornitura dei pasti, altra cosa l'acquisto di protesi per l'ortopedia), avere capitolati realmente capaci di mettere in competizione qualità e costo.
  Questo lavoro va fatto e non semplicemente mettendo in campo i prezzi di riferimento peraltro basati su una raccolta di dati di tutti i soggetti appaltanti a prescindere dalla qualità dell'appalto. Da questo punto di vista c’è un lavoro enorme da fare nelle regioni, e penso che su questo tema occorra riprendere il percorso per costruire un sistema di mercato vero nell'ambito della fornitura dei beni e servizi.
  AGE.NA.S. su questo ha avviato un lavoro, ha rifatto l'elenco dei beni per evitare che in una stessa voce si mescolino prodotti diversi, e questo è un primo passo, ma il percorso per costruire il sistema di mercato è ancora da intraprendere.
  Molti soggetti si occupano di questo – la Ragioneria dello Stato, il Ministero dell'economia e delle finanze, l'Autorità di vigilanza, il Ministero della salute, AGENA.S. – ma considero necessaria una regia per definire meglio gli obiettivi per evitare che la famosa siringa abbia costi diversi da una parte o dall'altra.
  In merito al risultato del riordino dei servizi, per evitare che il contenimento della spesa si limiti al controllo di alcuni fattori di spesa senza mettere in campo un processo di innovazione del sistema, siamo molto in ritardo, perché il regolamento Pag. 6ospedaliero è al palo, le cure primarie sono al palo e quindi la parte di riordino è ferma.
  Il Patto per la salute dovrebbe rilanciare questo percorso. Ieri si è riunito il primo tavolo di confronto e penso che sia un fatto davvero positivo perché un sistema federale come il nostro senza una materializzazione della leale collaborazione istituzionale, che appunto è il Patto, trova difficoltà enormi.
  Sottolineo ancora un punto: i piani di rientro, che rappresentano uno degli elementi di riflessione nell'ambito del Patto per la salute. Ad esclusione del Piemonte che è in piano di rientro fondamentalmente per questioni finanziarie ma non perché abbia un livello di erogazione dei servizi particolarmente difficoltoso, tutte le altre regioni mettono insieme problemi di bilancio e problemi di livelli essenziali di assistenza.
  Pur non avendo un sistema capillare di individuazione dei singoli livelli essenziali di assistenza, esistono alcuni elementi di valutazione. L'ultima elaborazione Oasi sui dati Censis sul gradimento del Servizio sanitario nazionale presso i cittadini va dal 74 per cento di gradimento del nord-ovest all'82 del nord est, al 46 per cento del centro, al 37 del sud e delle isole.
  L'Italia è il Paese che in Europa ha le maggiori differenze fra un'area territoriale e l'altra, fatto che considero il principale problema del Servizio sanitario nazionale. I piani di rientro dovevano essere lo strumento per recuperare questo differenziale, si sono dimostrati utili per mettere sotto controllo la spesa e darle copertura, ma hanno messo in campo poche azioni di riordino, soprattutto finalizzato a una riqualificazione del sistema. Oggi una parte significativa del Paese sottoposta a piani di rientro non solo non ha migliorato i propri livelli assistenziali, ma in alcuni casi li ha visti ulteriormente calare.
  Abbiamo bisogno di cambiare la natura di quei piani di rientro: non è in discussione il diritto/dovere dell'economia di controllare i conti nell'esercizio delle proprie funzioni, ma sono i piani di rientro che non possono non mettere in campo delle azioni significative di riorganizzazione dei servizi. L'obiettivo dei piani di rientro non può essere esclusivamente quello dell'economia, ma questa deve essere considerata come una ricaduta del rispetto dei livelli essenziali di assistenza. D'altra parte, l'articolo 120 della Costituzione è molto chiaro: i poteri sostitutivi dello Stato scattano quando sono in discussione i diritti essenziali dei cittadini. Attenzione quindi ai conti, alla necessità di mettere sotto controllo i conti, ma l'equilibrio economico-finanziario deve essere il frutto di una riorganizzazione seria dei servizi e non solo del controllo di alcuni fattori di spesa (personale e beni e servizi) e deve realizzare una grossa operazione di riorganizzazione dei servizi. Questo naturalmente incide sulla natura dei piani, ma anche sulle procedure.
  Quando il piano di rientro da solo non basta, perché non si mettono in campo tutte le azioni per elaborarlo e attuarlo correttamente, scattano i poteri sostitutivi, che come sono stati esercitati fino ad oggi sostanzialmente non funzionano. Se la figura del presidente-commissario si fa carico dell'attuazione del piano di rientro e anche la presenza del sub-commissario è finalizzata a quel processo, abbiamo risultati positivi, ma nella misura in cui il presidente-commissario non assume questa posizione per motivi vari di praticabilità politica, di convinzione o altro, la figura del sub-commissario non è in grado di incidere sull'attuazione, per cui si giunge a una situazione di veti reciproci ma non a un'evoluzione dei processi di aggiornamento e di miglioramento dei servizi.
  Tutto questo oggi appartiene a un linguaggio comune a Governo e regioni, che ha permesso di sbloccare la situazione e di far ripartire il Patto per la salute. Nelle prossime settimane capiremo come si risponderà ad alcuni problemi, ma la sintonia fra le dichiarazioni del Ministro e le dichiarazioni della Conferenza dei presidenti delle regioni è già positiva.

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  PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. Vorrei porre una breve domanda. Grazie per questa descrizione, presidente, ma c’è un tema che spesso viene presentato come una grande debolezza del nostro sistema sanitario e riguarda i venti sistemi sanitari con una formula banale che sottintende una critica feroce al modello federalista in sanità. Porre questa domanda a lei che presiede l'Agenzia delle regioni potrebbe sembrare quasi provocatorio, ma lo faccio ugualmente perché la consapevolezza di quanto pesi la differenza fra i sistemi sanitari regionali è molto forte, e pesa nel giudizio che si esprime purtroppo – e lo sottolineo – sulla validità di un sistema sanitario pubblico.
  Le chiedo quindi quali nuovi ruoli si potrebbero individuare fra Governo e AGE.NA.S. per evitare queste differenze che diventano insopportabili.

  MARIA AMATO. Vengo da una regione che è in piano di rientro, l'Abruzzo, e sta mettendo a posto i conti a fronte di un taglio feroce dei servizi.
  Da anni, a livello di corsi di formazione di management in sanità e di incontri sulle politiche per la salute si parla della riorganizzazione delle reti ospedaliere come una delle necessità per fare fronte alla sostenibilità del Sistema sanitario nazionale, ed è una cosa che si fa in prima battuta lasciando però sempre fuori o come fanalino di coda la riorganizzazione dei servizi di medicina territoriale, che è invece l'asse portante, probabilmente perché è un approccio più complesso, che richiede maggiore conoscenza del territorio.
  In prima battuta, quindi, tutti coloro che devono realizzare un risparmio di spesa si volgono al facile terreno della riorganizzazione degli ospedali. Si potrebbe intervenire invece cambiando il linguaggio e parlando direttamente della necessità di una riorganizzazione della medicina territoriale che comprende l'assistenza domiciliare, la rete di emergenza-urgenza, la continuità assistenziale, così da spingere di più chi deve rientrare nella spesa e riorganizzare il sistema a rivolgersi a questo settore.
  Per quanto riguarda i costi abbiamo vissuto una facilitazione con l'accesso a CONSIP anche per tecnologie di medio livello. Sarebbe interessante comprendere nel sistema tecnologico considerato da CONSIP tutta la linea di produzione, ad esempio per le radiologie mettere la risonanza magnetica e anche il sistema di archiviazione compatibile per quella risonanza oppure il sistema di archiviazione e tutto il sistema RIS e PACS che potrebbe portare a una riduzione dei conti per quanto riguarda questo settore e contemporaneamente incrementare la qualità dell'offerta.

  DONATA LENZI. Ha parlato dei ticket e nella Commissione di merito avevamo apprezzato il pregevole lavoro realizzato su questo tema. Lei ha detto che i 2 miliardi di euro del super super ticket non dovrebbero scattare automaticamente dal 2014. Come Commissione di merito sappiamo solo quanto dichiarato dal Ministro, che coincide con questa affermazione. Quindi vorrei sapere quale sia la copertura e come vada a sostituire questi 2 miliardi di euro, che rispetto ai ticket e al super ticket di 800 milioni di euro previsto da Tremonti nell'estate del 2011 e scattato nel 2012, sarebbe un ulteriore aumento, come se lo triplicassimo.
  Poiché si fa riferimento a una maggiore equità, in quanto circa il 25 per cento dei pazienti paga il ticket fra gli esoneri per reddito e gli esoneri per patologia, vorrei sapere se abbiate elaborato qualche proposta da cui partire per un'eventuale sostituzione.
  L'ultimo punto riguarda il tema della spending review: l'articolo 15 del decreto-legge n. 95 del 2012 su beni e servizi, che prevede un taglio lineare del 10 per cento, ha punito il produttore onesto che non aveva caricato troppo e ha lasciato dei margini al produttore disonesto, e questo vale anche per chi ha gestito le gare.Pag. 8
  Anche qui è chiaro che bisogna uscire dalla logica del taglio lineare e adottare un sistema più attento, più evoluto, più capace, e mi sembra di aver capito che la strada è quella di una maggiore attenzione ai capitolati. Vorrei sapere se lo prevediate in una centrale d'acquisto nazionale o se la logica sia quella di una migliore preparazione delle singole aziende.

  RAFFAELE CALABRÒ. Sul tema delle regioni in piano di rientro ho apprezzato molto che finalmente venga sottolineato come il primo punto sia quello del rispetto dei LEA, della qualità dei LEA e dell'organizzazione del sistema sanitario, laddove l'aspetto economico deriva come conseguenza, nella misura in cui la riorganizzazione e la qualità del servizio portano anche ad una riduzione di sprechi e di costi.
  Penso invece che in tutti questi anni sia stata adottata una logica inversa e che ciò abbia pesantemente penalizzato le regioni in piano di rientro, come sottolineava prima il presidente nel corso del suo intervento.
  In particolare, ritengo che le regioni in piano di rientro siano state e continuino ad essere penalizzate dal blocco del turnover, tema questo che l'indagine conoscitiva è chiamata in qualche modo ad approfondire e rispetto al quale occorre avanzare proposte operative concrete. Il blocco del turnover oggi è assolutamente insostenibile in molte regioni in piano di rientro. Peraltro, è difficile uscire da tale situazione: non è infatti bastato adottare una norma nella precedente legislatura, dal momento che questa norma viene interpretata da parte del Ministero dell'economia e delle finanze con una cavillosità così capziosa che non riusciamo assolutamente a sbloccare i posti che sono stati assegnati dalla quota del 10 o del 15 per cento, ai sensi della norma stessa.
  Riporto l'esempio concreto della regione Campania, nella quale abbiamo avuto lo sblocco di 484 posti messi a concorso che si possono attivare, ma oggi una cinquantina di questi sono ancora in discussione perché il Ministero dell'economia e delle finanze non si ritrova bene con i numeri. In questi sei mesi anziché sbloccare i restanti 400 posti, per analizzare i cinquanta abbiamo bloccato tutti i 484 posti perché il Ministero dell'economia e delle finanze deve guardare fino all'ultima virgola e non ci dà il via libera. Oggi noi abbiamo uno spreco di risorse proprio perché tra straordinari, contratti e autoconvenzionamenti non riusciamo a erogare i servizi e aumentiamo sensibilmente la spesa. Io penso che questo tema vada affrontato, ed al riguardo vorrei conoscere anche l'opinione dell'Agenzia in merito alle possibili soluzioni.
  En passant, credo che il tema dei piani di rientro in generale possa essere letto differentemente, prestando un'attenzione particolare alla scelta dei subcommissari, la quale deve avere una valenza sanitaria prevalente rispetto alla valenza economica.

  ROCCO PALESE. Ho trovato estremamente interessante la riflessione del presidente dell'AGE.NA.S. sull'aumento delle differenze rispetto alle prestazioni erogate dalle singole regioni. È un problema fondamentale, che – come emerge in maniera chiara – è molto difficile affrontare dal punto di vista delle fonti normative esistenti.
  Non tratterò gli aspetti essenziali, sebbene vi sarebbe molto da dire sulla parte gestionale. Oltre alla parte organizzativa, all'aumento della spesa, alla ricerca scientifica e all'innovazione tecnologica – tutti dati che ci sono stati forniti – occorrerebbe compiere un ulteriore studio mirato, in grado di accendere un faro soprattutto sulle regioni del Sud, con riferimento alla spesa farmaceutica. La spesa convenzionata si è molto aggiustata rispetto al tetto, mentre la spesa ospedaliera sta esplodendo un po’ ovunque.
  Sono fermamente convinto che su beni e servizi si potrebbe risparmiare tranquillamente il 10 per cento, senza grande fatica e senza compromettere la qualità. Su questo non c’è ombra di dubbio, soprattutto per quanto riguarda i servizi che vengono erogati all'interno stesso delle strutture: mi riferisco, ad esempio, a ristorazione Pag. 9e pulizia, cui va aggiunta la parte relativa ai dispositivi medici.
  La questione dei piani di rientro costituisce invece un nodo fondamentale. Noi dobbiamo andare alla fonte delle norme, altrimenti non ne veniamo fuori. Dobbiamo ricostruire per flash quello che è successo. Nel 2000 è stato siglato il primo Patto per la salute, che nel 2001 è stato rafforzato sul principio «chi rompe paga». In seguito, nel 2006 lo Stato è stato costretto a concedere un prestito enorme ad alcune regioni, perché non si poteva fare diversamente, di fronte alla loro impossibilità ad erogare. Tra queste, la regione Campania e la regione Lazio erano quelle interessate dall'ammontare maggiore.
  Di fronte a quel tipo di situazione, dal punto di vista della fonte normativa è stato mutuato quello che l'Europa impone agli Stati membri, cioè un piano di rientro per deficit eccessivo. A mio avviso, le fonti normative che abbiamo oggi – salvo che non vengano modificate – mirano esclusivamente a un controllo sovraordinato a tutto da parte del Ministero dell'economia. La fonte normativa sui piani di rientro è difatti questa. Ecco perché, nella parte assistenziale, noi siamo totalmente a favore dei livelli essenziali di assistenza e siamo anche per legare la parte finanziaria a quella organizzativo-funzionale. Quindi, in base alle mie conoscenze, nelle regioni è successo questo: il piano di rientro era sotto il controllo dell'Economia e le regioni dovevano compiere tutte le ristrutturazioni possibili, che sono state fatte nell'ambito della loro autonomia, dopodiché la verifica è stata operata sui saldi. In molte regioni nulla è stato fatto dal punto di vista di una verifica sul nuovo modello organizzativo-funzionale, che non è stato costruito quasi in nessuna regione, rispetto alle ristrutturazioni e alla razionalizzazione. La questione a cui rispondere è se nelle regioni sottoposte al piano di rientro occorra rafforzare i poteri sostitutivi dal punto di vista dei modelli organizzativi-funzionali. Se si continua infatti a disegnare questi ultimi sulla carta, per poi non far nulla – per non parlare dei punti nascita, perché apriremmo una finestra anche peggiore – noi non andiamo da nessuna parte. L'esigenza è dunque quella di integrare le norme, in riferimento alla parte organizzativa-funzionale, con poteri sostitutivi. Mi spiego meglio: mentre per la parte finanziaria se si esce fuori da determinati limiti scattano le addizionali, o il commissariamento, invece in presenza di una lista d'attesa di tre anni per una mammografia non c’è alcuna conseguenza. Mi domando altresì: questi poteri dovranno essere affidati allo stesso subcommissario oppure è necessario prevedere un'altra soluzione ?

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XII COMMISSIONE PIERPAOLO VARGIU

  ROBERTO CAPELLI. A me sembra che dal percorso che si sta svolgendo presso le Commissioni sia evidente che sarà necessario ridisegnare il sistema sanitario nazionale complessivamente, e non esaminandolo settore per settore, pezzo per pezzo, così come è stato fatto negli ultimi decenni.
  Facendo mie le considerazioni di altri colleghi che mi hanno preceduto, volevo essere sintetico e pragmatico nel porre l'attenzione su un altro settore della sanità non controllato e caratterizzato da sprechi: la rivisitazione del nomenclatore per le protesi e gli ausili. Molto spesso si dimentica che il nomenclatore è fermo al 1999 – all'epoca, se non sbaglio, era Ministro l'onorevole Bindi. Gli ultimi tentativi, tra i quali quelli del Ministro Balduzzi, sono naufragati, considerato che il 31 maggio sono scaduti i termini per la rivisitazione del nomenclatore.
  Cosa vuol dire questo ? Faccio un esempio banale: tra gli ausili, le carrozzine pieghevoli vengono fatturate dalle ASL come codice e non come modello o marca del fornitore. Se noi l'acquistiamo come ASL per fornirla poi all'utente che ha necessità di quell'ausilio, viene fatturata come codice a 440-480 euro, mentre il costo per un comune cittadino che acquista Pag. 10lo stesso modello è di 158 euro. Si possono fare immediatamente le dovute proporzioni per capire di cosa stiamo parlando.
  Possiamo parlare anche degli ausili per le persone sorde. Una recente indagine, facendo un raffronto tra modelli identici, ha rilevato che lo stesso apparecchio in Germania costa 1.050 euro mentre in Italia nel nomenclatore viene pagato oltre 4 mila euro. Per intenderci, ricordo che il contributo nazionale per l'ausilio uditivo non oltrepassa i 700 euro.
  Sommando tutti i valori di questi ausili, emerge che il costo, o meglio la spesa, del sistema sanitario è sicuramente anomala, in quanto gli aggiornamenti dovuti non sono tempestivi, come è stato rilevato anche nella relazione introduttiva del presidente. Permettetemi di dire che, a mio avviso, manca soprattutto professionalità etica – ecco perché è necessario rivedere l'intero sistema – nelle persone che sono chiamate a gestire il sistema sanitario nazionale nelle singole ASL, cioè nei venti «feudi» sanitari che sono oggi a capo della gestione dell'offerta di sanità in Italia.

  VITTORIA D'INCECCO. Ringrazio l'illustre relatore, che ci ha fornito una disamina molto puntuale di tutto quello che verrà a concretizzarsi nel piano di governo.
  Io sono molto contenta del fatto che si riescano finalmente a migliorare tante prestazioni cui il cittadino ha diritto, senza fare troppi sacrifici. È vero che tanti anni fa si andava dal medico con i bollini, ma è pur vero che adesso sono stati fatti tanti sacrifici e ciò nonostante continuano ad esserci liste d'attesa molto lunghe, tanto che – come diceva in precedenza un mio collega – le mammografie sono prenotate addirittura per il 2016.
  Sarò telegrafica. È importante che si pensi non soltanto ai sacrifici che devono fare i pazienti, ma soprattutto alla riorganizzazione del sistema. Per esempio un'ASL unica eviterebbe la presenza di tanti direttori generali, di tanti direttori amministrativi e di tutto il personale che serve per gestire un sistema che, a mio parere, potrebbe essere molto più semplificato.
  Come ricordava l'onorevole Amato, sono fondamentali la valorizzazione della medicina del territorio e la riconversione dei piccoli ospedali, con la formazione di una rete di emergenza-urgenza per i piccoli territori e di strutture per la riorganizzazione e la riabilitazione dell’handicap e degli esiti derivanti da patologie invalidanti.
  Ribadisco che mi piace quello che è stato già organizzato, però insisterei su questi punti. Una cosa importante, di cui mi raccomando, è l'integrazione sociosanitaria: in questo modo potremmo difatti realizzare risparmi fornendo ai pazienti servizi ugualmente efficaci.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola al dottor Bissoni affinché risponda alle domande poste dai colleghi, vi informo che purtroppo, essendo ospiti nell'aula della Commissione lavoro della Camera, i nostri tempi sono contingentati. Ho quindi chiesto al dottor Bissoni di essere sintetico nelle risposte. Vorrei anche chiedergli, a nome di entrambe le Commissioni, se fosse possibile avere, sia per la parte della relazione introduttiva sia eventualmente, se lo ritiene opportuno, per la parte che sarà oggetto delle risposte, un documento scritto che possa servire ai colleghi che oggi non sono presenti. Ritengo infatti che il contenuto dell'audizione sia senz'altro uno dei più interessanti che abbiamo avuto occasione di ascoltare.
  Do quindi la parola al dottor Bissoni per la replica.

  GIOVANNI BISSONI, Presidente dell'Agenzia per i servizi sanitari regionali (AGE.NA.S.). Grazie presidente. Sicuramente faremo seguito con un breve documento scritto che metta insieme le riflessioni iniziali ed eventualmente gli argomenti oggetto delle risposte.
  Onorevole Miotto, cinque regioni sono finite tra le regioni bench: ci hanno azzeccato o no ? Probabilmente a quelle cinque potevano aggiungersi anche altre regioni, che si trovano più o meno nella Pag. 11stessa situazione, ma la norma prevede che siano solo cinque. Tra quelle regioni, ve ne sono due che per anni sono state essenziali punti di riferimento per la famosa storia dei modelli: la Lombardia e l'Emilia-Romagna. Ci sono dentro entrambe. Mi chiedo allora se il problema dei ventuno modelli sanitari risieda nella differenza fra l'Emilia-Romagna e la Lombardia oppure in quella fra la Lombardia e la Calabria. Eppure sono tutte frutto dello stesso sistema basato sul Titolo V.
  Io ritengo che una cosa siano le differenze nei livelli di assistenza, altra cosa le differenze negli aspetti organizzativi e gestionali. Penso che i piani di rientro debbano avere al loro centro il tema del recupero del differenziale nei servizi. Non c’è dubbio che l'esperienza delle regioni che sono riuscite meglio di altre possa essere utile a questi fini, né spetta a me dire se va rivisto o meno il Titolo V; ritengo però che nell'attuale Titolo V ci siano le condizioni per agire in maniera diversa rispetto ai poteri sostitutivi dello Stato, nonché alle funzioni del Ministero della salute.
  Questo Ministero della salute, nato dall'ultimo provvedimento legislativo che lo ha nuovamente istituito, è un Ministero della salute che fin dalla sua nascita non ha la titolarità e l'autorevolezza per sviluppare politiche sanitarie. Fin dalla sua nascita, le politiche sanitarie del Ministero sono infatti risultate subordinate ad altro. In questa particolare situazione nessuno può pensare che il Ministero dell'economia e delle finanze non debba mettere sotto controllo i conti dello Stato; il problema è tuttavia che quei risultati economici, in un'area come quella del Servizio sanitario, sono frutto di processi di ristrutturazione e innovazione dei servizi. Noi abbiamo bisogno di avviare questa trasformazione, anche ripensando, come dicevo prima, ai meccanismi con cui abbiamo esercitato i poteri sostitutivi.
  Io penso che il Ministero della salute debba essere in grado di verificare per tutte le regioni la situazione dei servizi, attraverso monitoraggio, valutazione e sostegno all'innovazione – ce n’è bisogno anche nelle regioni forti – e che in questo debba mettere a punto un'organizzazione della struttura tecnico-scientifica nazionale che sia chiara. Non è possibile che tutti – AIFA, Istituto superiore di sanità, AGE.NA.S. – svolgano funzioni parziali sovrapponibili. Abbiamo bisogno di definire chiaramente qual è la struttura nazionale utile a sviluppare questa funzione nazionale di valutazione.
  Richiamavo prima la funzione di technology assessment. È chiaro a tutti che non è possibile che ogni azienda sanitaria svolga funzioni di technology assessment, perché altrimenti arriviamo al punto che non sappiamo fare neanche un capitolato per l'acquisto della carrozzina, come giustamente prima sosteneva uno degli onorevoli intervenuti. Infatti, mentre per i farmaci noi abbiamo una procedura europea che consente la fissazione dei prezzi, quando parliamo di dispositivi medici – farmaci esclusi – non è possibile fissare i prezzi. È possibile però fissare le procedure di acquisto e capitolati d'appalto che mi consentano di avere chiaro che cosa voglio, quanto pago e perché. In questo settore evidentemente c’è bisogno di sviluppare delle funzioni che siano perfettamente compatibili con le nostre norme.
  È difficile semplificare dicendo che è la CONSIP ad occuparsene, perché non è detto che tutti i beni abbiano come loro punto di efficacia il mercato nazionale. Nelle esperienze delle regioni avanzate ci sono situazioni in cui i beni vengono acquistati a livello regionale ed altre in cui vengono acquistati a livello sovraziendale ma non regionale. Ogni bene ha bisogno di essere valutato secondo il bacino ottimale per sfruttare le situazioni di mercato.
  Sul tema dello sviluppo dei servizi territoriali concordo con le cose dette. Considerate che noi abbiamo scelto un indice di dotazione ospedaliera pari a 3,7 posti letto per mille abitanti: è una delle dotazioni ospedaliere più basse d'Europa. La Germania ha una dotazione doppia rispetto alla nostra. Può essere vinta questa sfida ? Io penso di sì, se è accompagnata da un giusto livello di sviluppo dei Pag. 12servizi territoriali. Altrimenti noi non faremmo altro che allungare le liste d'attesa anche per tutte le attività ospedaliere programmate, schiacciandoci unicamente sulle situazioni di emergenza.
  C’è la centralità del medico di medicina generale, che non è però l'unico soggetto dei servizi territoriali. Ci sono nuove professioni, o vecchie professioni ma con nuovi ingressi, che hanno bisogno di una loro forte presenza sul territorio per garantire l'assistenza territoriale richiesta dalle patologie croniche nonché di porsi come punto di riferimento per altre figure professionali. Le questioni fondamentali sono dunque quelle della centralità del medico di medicina generale, delle relazioni con le altre professioni nonché quella rappresentata dal tema del sociosanitario.
  Il tema del sociosanitario è centrale. Nel caso di un paziente cronico la sanità si ferma infatti a un certo punto. Non è solo un problema di relazione tra medico e infermiere, a cui magari aggiungiamo l'assistente sociale; c’è anche un problema di relazioni istituzionali e di diverse competenze. Di conseguenza non c’è dubbio che il tema sociosanitario presenta, oltre al problema professionale, anche un problema istituzionale e un problema di risorse. Oggi sulla sanità si scarica tutto il contenimento della spesa pubblica sull'area dell'assistenza, quindi diventa sempre più difficile riuscire a offrire servizi adeguati.
  Mi riservo di indicare alcune altre riflessioni nella relazione scritta. Concordo con l'onorevole Calabrò. Io penso che in un piano di rientro ci sia una fase in cui si chiede a una regione di rallentare sul tema del turnover, ma una volta che è stato messo in evidenza il piano di riordino, e dove le risorse umane possono essere spostate, non tutto torna con i numeri: se mi serve un cardiologo e io ho un eccesso di ortopedici, non posso mettere gli ortopedici a fare i cardiologi solo perché i numeri non tornano.
  Le tappe sono: fase di riordino, rilettura dei bisogni e distribuzione delle risorse. Però, a quel punto, quando c’è bisogno di una figura professionale non si può aspettare che tornino i conti generali o gli obiettivi generali, perché questo inciderebbe negativamente sull'erogazione dei livelli essenziali di assistenza.
  Presidente, ho preso appunti di tutte le questioni che sono state sollevate. L'onorevole Lenzi ne ha sollevato una particolarmente delicata. I 2 miliardi di ticket a bocce ferme non sono più utilizzabili, dopo la sentenza della Corte, e quindi una cosa è certa: non scattano. Il problema è capire se ci sono le risorse sostitutive. Ieri il Ministero dell'economia e delle finanze all'avvio dei tavoli per il Patto della salute ha ribadito che sarà impegno del Ministero medesimo ripristinare quelle risorse nel prossimo provvedimento legislativo legato alla legge di stabilità.
  Le regioni hanno preso atto di ciò, anche perché questo è stato l'elemento che ha consentito di uscire dalla contrapposizione e dal blocco del tavolo per l'avvio del nuovo Patto per la salute e di sbloccare la situazione fra il Governo e le regioni. Io penso che questa sia una notizia positiva, che le regioni hanno assunto, a cui è bene prestare il massimo di attenzione ma anche la massima aspettativa.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Bissoni e il dottor Moirano per la loro disponibilità e anche per il testo scritto che ci vorranno inviare, che credo sarà valutato da entrambe le Commissioni con il massimo interesse. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA), dell'Associazione nazionale sanità integrativa (ANSI), del Fondo assistenza sanitaria integrativa (FASI) e della Cassa assistenza sanitaria quadri (Qu.A.S.).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, l'audizione di rappresentanti Pag. 13dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (ANIA), dell'Associazione nazionale sanità integrativa (ANSI), del Fondo assistenza sanitaria integrativa (FASI) e della Cassa assistenza sanitaria quadri (Qu.A.S.).
  Per problemi legati alla disponibilità dell'aula abbiamo tempi davvero contenuti, pertanto chiederei ai nostri ospiti – scusandomi anticipatamente anche a nome del presidente Boccia – di essere, se possibile, molto sintetici nei loro interventi introduttivi in modo da lasciare spazio ad eventuali domande poste dai colleghi parlamentari ed alle relative repliche.
  Do la parola al dottor Dario Focarelli, direttore generale dell'Associazione nazionale fra le imprese assicurative (ANIA).

  DARIO FOCARELLI, Direttore generale dell'Associazione nazionale fra le imprese assicurative (ANIA). Cercherò di essere il più sintetico possibile – peraltro abbiamo anche depositato una memoria che credo sia stata già distribuita – e sarò pronto a rispondere alle eventuali domande.
  Noi riteniamo che il Servizio sanitario nazionale sia il fulcro del welfare italiano e, contrariamente a tantissimi, non riteniamo che ci siano in generale degli elevati livelli di spreco e inefficienza. Argomentiamo ciò in maniera molto semplice: se facciamo un confronto internazionale, il costo del sistema sanitario nazionale è più o meno allineato alla media dei Paesi OCSE mentre il livello qualitativo è superiore alla media. Se questo è vero a livello aggregato, è evidente che il livello di sprechi e inefficienze non può essere più elevato di quello che osserviamo a livello internazionale.
  Certamente esistono degli elementi di preoccupazione, anche molto forti, che riguardano essenzialmente due aspetti. Il primo aspetto è il problema del finanziamento a lungo termine. Tutte le previsioni che ho avuto modo di studiare – siano esse governative, e più precisamente quelle della Ragioneria generale dello Stato, o internazionali – indicano un fortissimo aumento della spesa sanitaria pubblica. Da qui al 2060 – un orizzonte lontano, ma è quello giusto su cui fare previsioni – la Ragioneria generale prevede un incremento della spesa pubblica sanitaria di almeno 2 o 3 punti percentuali di PIL, a cui si sommano almeno 1,5-2 punti di spesa per la non-autosufficienza.
  Le previsioni dell'OCSE considerano le previsioni della Ragioneria generale come il livello inferiore delle loro previsioni che arrivano a 7-8 otto punti di PIL in più di quelli dell'intervallo minimo. Sia pure molto rapidamente, ho detto questo per segnalare che c’è un problema assai evidente di sostenibilità finanziaria, al quale se ne aggiunge un altro, meno noto, sul quale vorrei richiamare la vostra attenzione.
  Comincia a esserci cioè un problema di accesso ai servizi del sistema di sicurezza sociale, e in particolare di quella sanitaria. Riportiamo due evidenze, di cui una poco nota e pubblicata dall'OCSE. Si tratta di un'indagine di self-reporting dei cittadini. Nel 2010 – ultimo dato disponibile per il confronto internazionale – i cittadini italiani nella fascia di reddito più bassa denunciano un mancato accesso nel 12 per cento dei casi. Nel 2010 è stato il livello più alto tra quelli registrati nei grandi Paesi.
  Ovviamente nell'Est Europa si riscontrano valori molto più alti ma nell'Europa occidentale, ossia a confronto con grandi Paesi quali Francia e Germania, questo è di gran lunga il livello più elevato. La percentuale dal 10 per cento sale a quasi il 20 per le cure dentarie: si tratta, ancora una volta, del tasso più elevato a livello internazionale.
  Questo avveniva prima del 2010, ossia prima della forte stretta sulla sanità. Trovate un grafico con questi dati a pagina 6 del testo che vi ho presentato. Dopo la stretta, il razionamento delle prestazioni è aumentato. C’è una ricerca del Censis su dati del 2012 che stima in 9 milioni le famiglie che hanno subito tale razionamento delle prestazioni del servizio sanitario pubblico. Questi due elementi – ossia il fortissimo aumento della spesa pubblica, che ovviamente richiederà una qualche forma di contenimento, e gli elevati livelli Pag. 14di mancato accesso ai servizi riportati dai cittadini – per noi sono i segnali che è importantissimo pensare in maniera organica a un ridisegno di alcune caratteristiche del Servizio sanitario nazionale.
  Su quali linee deve essere ridisegnato ? In linea generale per noi è abbastanza semplice. L'idea è che ci deve essere un pilastro di sanità integrativa privata che in qualche modo si affianchi a quello pubblico, proprio per garantire l'universalità dell'accesso attraverso una forma di finanziamento integrativa della forma di finanziamento pubblico. Come realizzare ciò ? Paesi diversi hanno scelto strade diverse.
  Prima di rispondere, lasciatemi dare due cifre, nude e crude, che possono aiutare a capire di cosa stiamo parlando esattamente. Nel 2012 la spesa sanitaria pro capite è stata pari a 2.428 euro. Di questa cifra, 1.898 euro riguardano la spesa sanitaria pubblica e 530 la spesa sanitaria privata, che in Italia, a differenza di altri Paesi, è composta da spesa out-of-pocket, cioè che i cittadini pagano immediatamente per accedere al servizio, con una quota ampiamente superiore a quello che succede in altri Paesi. Per intenderci, dei 530 euro che ogni cittadino italiano spende privatamente ogni anno per accedere alla sanità, che sia per il pagamento del ticket o di un servizio, soltanto 30 euro sono organizzati tramite casse, assicurazioni, o in generale attraverso un sistema di mutualità che fa in modo che questo costo sia sopportato da tutta la popolazione e non soltanto da chi è malato. Gli altri 500 euro sono pagati dai malati e questa situazione peggiorerà perché a legislazione vigente, come sapete, dal 1 gennaio 2014 ci saranno ticket aggiuntivi per 2 miliardi, a meno che questo Parlamento sarà in grado di modificare tale disciplina normativa.
  La nostra idea è che si debbano far spendere quei 530 euro in maniera più efficiente, cioè non solo quando capita di dover fare la TAC e occorre rimanere in attesa per nove mesi, ma nell'ambito di un sistema caratterizzato dalla mutualità, che è tipicamente il sistema delle casse, delle mutue e delle assicurazioni private. Per far questo, bisogna fare una cosa semplice: distinguere quello che lo Stato offre da quello che lo Stato non offre. Questa purtroppo è la grandissima ambiguità del sistema attuale: a parole infatti lo Stato, attraverso i LEA, garantisce tutto o quasi. Poi alcune regioni garantiranno un qualche cosa in più, ma sostanzialmente lo Stato tende a garantire tutto anche se ciò in realtà non avviene, perché poi si costringono i pazienti a fare nove mesi di attesa.
  Ci vuole quindi una grande operazione di trasparenza e di informazione, ma ci vuole anche un disegno. Su quali linee ? Noi non ci permettiamo – perlomeno non in questa sede – di propendere per una linea piuttosto che per l'altra, però a pagina 12 del documento depositato vi mostriamo quali sono state le linee adottate dai vari Paesi. Esistono essenzialmente tre modelli. Uno è il modello francese, nel quale tutti pagano un ticket proporzionale alla prestazione e quindi, poiché ad esempio può capitare di dover pagare il 20 o il 30 per cento di un'operazione a cuore aperto, tutti quanti si assicurano ovvero, se sono lavoratori di certe collettività, vengono assicurati dalla loro mutua. Ciò vale a dire che il 96 per cento dei francesi ha un'assicurazione che copre i ticket, i quali però non sono calcolati all'italiana, ossia in funzione di certi livelli predeterminati, ma dipendono proporzionalmente dalla prestazione. In Francia sono esenti da ticket due categorie di soggetti: quelli con redditi bassi e i malati cronici. Questo è un sistema che permette un'integrazione che si può definire orizzontale. Su ogni tipo di prestazione c’è un'integrazione: da una parte c’è la spesa pubblica, dall'altra la spesa privata e assicurata.
  Questa non è però l'unica soluzione. In Germania la soluzione è infatti diversa: i redditi più ricchi possono uscire dal sistema di sanità pubblica pagando un contributo di solidarietà e quindi pagando da sé la polizza corrente. Il 10 per cento dei tedeschi è assicurato con questo sistema. Pag. 15In pratica, poi tutti si recano allo stesso ospedale ma il sistema di finanziamento è diverso.
  In Olanda il sistema è ancora diverso: lo Stato lì ha richiesto a chi può permetterselo, cioè a chi lavora, di pagarsi una polizza obbligatoria, sulla base naturalmente della predeterminazione di requisiti minimi, di regole di copertura e di regole di non discriminazione dei malati.
  Quale dei tre sistemi è più efficiente ? È ovvio che ogni sistema ha i suoi pro e i suoi contro. Quello francese è tendenzialmente il più facile, nel senso che non modifica la struttura di finanziamento in termini generali, tuttavia si presta a possibili abusi. Se infatti un soggetto sa di non dover pagare il ticket potrebbe tendere a effettuare più analisi di quelle realmente necessarie. Questo è il motivo per cui tutti i francesi in questo momento stanno ricevendo a casa una carta nella quale vengono segnalate tutte le loro prestazioni ed anche i ticket sono soggetti a un massimale, oltre il quale la polizza non li copre più.
  Non è questa l'occasione per entrare nel dettaglio ma siamo pronti a dare il nostro contributo su qualunque questione voi riteniate opportuna. Speriamo così di poter fornire argomentazioni convincenti in favore della assoluta necessità di un sistema integrativo al fine di garantire l'equità e l'universalità dell'accesso al sistema pubblico.
  Presidente, noi avremmo inoltre una breve sezione della memoria depositata relativa all'assicurazione degli operatori e dei medici.

  PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Focarelli, ma avremo modo di risentirci su tale aspetto dal momento che la XII Commissione affari sociali sta avviando l'esame di proposte di legge sul rischio clinico e sulla responsabilità professionale e avrà sicuramente l'occasione per approfondire questo tema.
  Passiamo ai rappresentanti dell'Associazione nazionale sanità integrativa (ANSI). Mi scuso, ma devo chiedere agli ospiti di sintetizzare l'intervento in un massimo di cinque minuti, altrimenti corriamo il rischio di terminare i nostri lavori senza aver completato le audizioni prevista per la seduta odierna.
  Do quindi la parola al dottor Alfieri.

  MASSIMO ALFIERI, Presidente dell'Associazione nazionale sanità integrativa (ANSI). Ho fatto distribuire un breve documento di sintesi, ma abbiamo anche il documento intero che poi lasceremo a disposizione. L'ANSI si sente assolutamente in linea con il «Progetto Salute 2020» che è stato presentato a Malta nel settembre 2012 dall'Organizzazione mondiale della sanità.
  Sostanzialmente le linee guida su cui l'ANSI si muove sono le seguenti: migliorare in misura significativa la salute e il benessere della popolazione, ridurre le disuguaglianze nella salute, potenziare la sanità pubblica e garantire sistemi sanitari incentrati sulla persona.
  Secondo l'ANSI un buono stato di salute può sostenere sicuramente la ripresa e lo sviluppo economico perché le performance sanitarie sono sicuramente collegate a quelle economiche.
  In Europa ovviamente i tassi di mortalità continuano a diminuire. Il dato importantissimo è che nel 2010 abbiamo avuto 813 decessi ogni 100 mila abitanti. Tutte le casse, i fondi sanitari e le società di mutuo soccorso aderenti ad ANSI si stanno muovendo in linea con i dati statistici oggi presenti sul mercato.
  Nel documento troverete inoltre un lavoro condotto sulla base dei dati del Tribunale del malato attraverso il nostro ufficio studi e il nostro ufficio attuariale, nel quale praticamente abbiamo messo in comparazione i tempi delle liste d'attesa, che per noi costituisce un parametro fondamentale per capire quali sono le aree di intervento su cui bisogna dare un forte segnale. A titolo esemplificativo, ed enuncio solamente gli esami diagnostici, piuttosto che le visite specialistiche e gli interventi chirurgici: nella comparazione del triennio 2009-2011 è facile osservare un miglioramento di 10 punti percentuali degli esami diagnostici, ma un peggioramento Pag. 16di 10 punti percentuali per quanto riguarda gli interventi chirurgici.
  Risulta altresì evidente dai dati statistici di questa comparazione che le problematiche più importanti sono generate dalle strutture ospedaliere. Riteniamo quindi che l'intervento della sanità privata possa migliorare sensibilmente questo tipo di realtà.
  Un altro dato assai rilevante è la discrepanza esistente tra le diverse regioni d'Italia, sia per i tempi d'attesa sia per i costi. Dal documento, nel quale troverete un'analisi delle gastroscopie, piuttosto che delle visite ortopediche o delle ecografie, si ricava uno scostamento anche del 100 per cento tra i costi sostenuti in alcune regioni del Nord Italia rispetto a quelli di talune regioni del Sud Italia. Anche in questo caso riteniamo che i fondi sanitari, attraverso l'opera di convenzionamento con le strutture private, possano omogeneizzare questo parametro.
  L'ANSI propone come soluzione quella dei fondi sanitari. È importante ricordare che le società generali di mutuo soccorso rappresentano un po’ la storia di questo Paese, perché sono presenti da oltre 150 anni, cioè dall'Unità d'Italia, e hanno contribuito attivamente all'abbattimento del costo della sanità pubblica. Poiché non si può sapere in anticipo chi verrà colpito da problemi sanitari, sostanzialmente un gruppo più o meno omogeneo di individui versa una quota economica ad una mutua malattia che può erogare indennizzi a coloro che devono affrontare problemi sanitari. Le mutue italiane sono state costituite tra gruppi omogenei e hanno contribuito a sostenere la spesa sanitaria delle famiglie, consentendo loro di rivolgersi al settore sanitario privato con due importanti risultati: godere di un servizio di qualità e non gravare sulla spesa sanitaria pubblica.
  Un altro tema importante, come dicevamo, è quello dell'invecchiamento. I fondi sanitari aderenti alla nostra associazione hanno elevato sensibilmente la quota e l'età di accesso e di permanenza all'interno del fondo sanitario – al contrario delle compagnie di assicurazioni, che rappresentano sicuramente una parte importante del secondo pilastro ma hanno dei limiti molto più importanti – fino ad arrivare ai 75, agli 80 e, da quest'anno, anche agli 85 anni di permanenza.
  A nostro avviso hanno fatto bene il Ministro Turco, che ha avviato il percorso, e successivamente il Ministro Sacconi, che ne ha fatto un elemento cardine della sua attività governativa, a recuperare il concetto mutualistico in campo sanitario. Infatti le mutue possono offrire coperture sanitarie a categorie omogenee di individui con prodotti dedicati al singolo e alla famiglia, e rappresentano a nostro avviso l'unica strada percorribile per tenere sotto controllo la spesa sanitaria.
  Tuttavia affinché il meccanismo funzioni, occorre far aderire alle società di mutuo soccorso le più ampie fasce di popolazione. Secondo noi la strada è obbligata. Infatti è necessario unire il concetto di mutualità sanitaria e delle prestazioni mediche con quello legato alla capacità di diffondere «il seme mutualistico tramite la penetrazione distributiva». In tale contesto assume importanza rilevante la figura del promotore mutualistico che, quale socio delle società di mutuo soccorso, opera sul campo con competenza e professionalità per sviluppare rapporti con gli individui e le famiglie finalizzati alla diffusione delle prestazioni sanitarie private garantite dallo spirito mutualistico.
  Nel panorama economico e sanitario nazionale, quindi, il promotore può essere una figura professionale con sempre maggiore importanza e significato economico e sociale. Solo per citare un dato statistico, i nostri fondi sanitari negli ultimi 24 mesi hanno consentito l'apertura di 2.500 nuove partite IVA che si dedicano quotidianamente a questa attività, ossia a promuovere attraverso le famiglie italiane l'allargamento della base associativa, arrecando un beneficio in termini di abbattimento del costo della sanità pubblica e generando nel contempo nuovi posti di lavoro.

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  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Alfieri, anche per la capacità di sintesi. Do ora la parola, per il Fondo assistenza sanitaria integrativa, al dottor Cuzzilla.

  STEFANO CUZZILLA, Presidente del Fondo assistenza sanitaria integrativa (FASI). Cercherò di essere ancora più sintetico, considerato che mi hanno preceduto già due grandi interventi. Io rappresento il Fondo di assistenza sanitaria integrativa di beni e servizi (FASI), un fondo di natura contrattuale. Insieme a noi ci sono anche tanti altri fondi di natura contrattuale, con cui sediamo al tavolo, anche se non sono organizzati in un'associazione. Dal punto di vista contrattuale il FASI è tra Confindustria e Federmanager. Confindustria, come ben sapete, raduna le imprese mentre Federmanager raduna i dirigenti delle aziende. I nostri assistiti sono 310 mila.
  Il FASI negli ultimi anni è diventato anche il sistema FASI: non più solo per i dirigenti, ma anche per i non dirigenti, e si chiama FASIOpen. Abbiamo anche voluto trovare una nuova forma di welfare all'interno e abbiamo allargato ancora di più il sistema FASI anche con la GSR (gestione sostegno al reddito) per i dirigenti che perdono involontariamente il posto di lavoro.
  Essendo un fondo di natura contrattuale, il FASI è un'associazione non a scopo di lucro. Nello stesso tempo non fa selezione del rischio, non prevede limiti d'età e tutti i dirigenti e le persone associate al fondo assicurano anche il proprio nucleo familiare. Ci siamo adeguati a tutte le normative e siamo uno dei primi fondi ad essere iscritto all'anagrafe dei fondi che è stata istituita, da cui ci aspettiamo tutte le indicazioni. Come accennavano prima anche i colleghi, ci atteniamo al 20 per cento delle risorse che devono essere spese per la non-autosufficienza e per l'odontoiatria e sia il nostro fondo che altri superano abbondantemente queste cifre contemplate dal decreto Turco-Sacconi. Nello stesso tempo abbiamo creato una rete di convenzioni dirette su tutto il territorio nazionale per assicurare la copertura e non far anticipare denaro ai nostri assistiti.
  Inoltre come fondo contrattuale siamo chiaramente preoccupati per l'evoluzione di quello che succede, ad esempio con riferimento ai ticket. Un aumento dei ticket va infatti a ripercuotersi sulla nostra spesa. Noi già soffriamo perché partecipano ai nostri fondi colleghi in servizio e colleghi in pensione. Di fronte all'aumento dell'età media e di quella pensionabile e, contestualmente, all'aumento dei pensionati che hanno superato le unità in servizio, chiaramente i fondi iniziano a soffrire. Per questo stiamo ancora chiedendo un grosso sacrificio alle imprese e ai colleghi in servizio, però dall'altra parte ci adeguiamo a tutti. Sotto questo profilo ci aspettiamo un aiuto, per esempio, sulla parte da defiscalizzare, sia per le imprese che per i lavoratori. Questo ci aiuterebbe perché ormai, in base ai dati relativi alla popolazione, la forbice si sta allargando e questo ci sta creando problemi.
  Quello che abbiamo fatto di nostra sponte, e che sta avendo successo diventando un esempio sul territorio nazionale, è stato avviare, come fondi di sanità integrativa, un percorso molto forte di prevenzione sanitaria, tutto a carico del fondo, sia per le fasce più giovani che per le fasce più anziane, con pacchetti di vario genere. Di tutto quanto sto riferendo, e a cui ho prima accennato in maniera più approfondita, abbiamo mandato questa mattina una sintesi di 4-5 pagine alle Commissioni, che può dunque essere distribuita a tutti.
  Nello stesso tempo siamo anche impegnati nel nostro lavoro e nella nostra mission, anche sotto il profilo della prevenzione, che ci aspetteremmo addirittura possa rientrare nel famoso 20 per cento, il che significherebbe stimolare la prevenzione determinando anche un grande risparmio per gli anni futuri. La FASI lo ha fatto senza pensare ai risparmi ma pensando ai colleghi e alla gente. Non sappiamo nemmeno se quei dirigenti rimarranno in casa o andranno a lavorare presso qualche altro fondo o da qualche Pag. 18altra parte, ma penso che in questo momento particolare ci dobbiamo tutti aiutare.
  L'altra cosa che noi riteniamo importante è avere una legislazione sicura che ci indirizzi verso qualcosa di preciso. Oggi noi, a differenza dei fondi pensione o di altri fondi, non disponiamo di un indirizzo preciso e, sotto questo profilo, facciamo tutti gli investimenti a carico nostro. Questo è un fondo di assistenza sanitaria di natura contrattuale: sottolineo ancora che parliamo di un fondo di natura contrattuale – che in questo caso coinvolge Confindustria e Federmanager – ma altri colleghi sono iscritti ad altri fondi. Noi non facciamo parte di nessuna delle associazioni e siamo a vostra completa disposizione.

  PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola, per la Cassa assistenza sanitaria quadri, al dottor Raineri.

  PIERANGELO RAINERI, Presidente della Cassa assistenza sanitaria quadri (Qu.A.S.). La Qu.A.S. è una cassa di assistenza sanitaria integrativa, gestita direttamente e non in convenzione esterna. Essendo stata costituita 24 anni fa, disponiamo di una serie di dati storici che potrebbero interessare le Commissioni e che possiamo loro fornire. In termini generali, analizzando anche il programma di sintesi che ci è stato sottoposto in relazione all'indagine conoscitiva all'esame di queste due Commissioni, riteniamo di poter contribuire nel dare alcuni riscontri in riferimento ad una situazione abbastanza problematica che si sta profilando sul versante della sanità pubblica.
  Infatti la progressiva introduzione dei ticket verificatasi in questi anni ha determinato per la sanità integrativa gestita direttamente – come è il caso della Qu.A.S., che ha 75 mila quadri iscritti, provenienti da 18 mila aziende del settore del terziario e del turismo – un incremento notevole delle prestazioni. Ciò è dovuto al fatto che la gente si rivolge sempre più spesso al servizio sanitario integrativo garantito dalla nostra Cassa, tant’è che abbiamo registrato un incremento del 193 per cento delle prestazioni per i pensionati, e del 178 per cento delle prestazioni concernenti i lavoratori attivi nelle strutture convenzionate con la Cassa.
  Con l'introduzione dei ticket molti nostri utenti preferiscono, ad esempio, rivolgersi a strutture convenzionate che non applicano il ticket, piuttosto che andare in una struttura pubblica, pagare il ticket e poi chiederne il rimborso in un secondo tempo. Negli ultimi due o tre anni noi stiamo assistendo a questo fenomeno, che tra il 2007 e il 2012 ha determinato globalmente un incremento dell'87 per cento della spesa sanitaria che noi abbiamo garantito agli iscritti delle casse integrative.
  Non vogliamo fare il solito pianto all'italiana, perché fortunatamente non ci piace farlo, ed anzi siamo orgogliosi di poter garantire queste prestazioni agli associati, tuttavia anche questo è sicuramente un campanello d'allarme che occorre valutare, perché la progressiva introduzione dei ticket dovuti ad una situazione della sanità pubblica che ben conosciamo sta generando quella spesa out-of-pocket che è stata molto bene analizzata in precedenza, la quale ammonta mediamente a 500 euro annui pro capite, e che, sulla base della statistica prima richiamata, prevede solo 30 euro per la sanità integrativa. Per i quadri del terziario questa spesa è un po’ più elevata, proprio perché esiste questa Cassa di sanità integrativa che garantisce loro globalmente in un anno più di 27 milioni di euro di integrazione sanitaria.
  Questa è la nostra situazione, rispetto alla quale sottolineo anch'io, come ha fatto il FASI, la necessità che sul piano della normativa inerente le casse sanitarie integrative di origine contrattuale – come quella di cui stiamo parlando, generata dalla contrattazione sottoscritta dalle federazioni del terziario di CGIL, CISL e UIL e dalla Confcommercio – siano introdotti meccanismi fiscali che quantomeno prevedano sgravi per la quota relativa alla contribuzione alle casse. Oggi è un contributo che viene prelevato dal Pag. 19salario delle persone e non ha nessun tipo di sgravio. Considerata l'utilità che in termini generali hanno questi fondi sanitari integrativi forse bisognerà incentivarne l'utilizzo, perché questo aiuta anche a ridurre la spesa della sanità pubblica – come abbiamo visto da questi pochi dati, ma altri ve ne possiamo fornire – rispetto alle prestazioni erogate.
  Crediamo però che anche la parte fiscale debba essere nuovamente affrontata perché nel periodo temporale analizzato c’è stato un notevole incremento dell'utilizzo del fondo sanitario integrativo dei quadri nella misura dell'86 per cento. Crediamo che esperienze di Casse come la nostra o di altre casse in gestione diretta vadano anche oltre i parametri stabiliti dalla normativa, perché per esempio il 38 per cento della spesa sanitaria garantita da Qu.A.S. ai propri iscritti è composta prevalentemente da quella odontoiatrica, che, come sappiamo, il servizio sanitario pubblico non assicura se non per poche eccezioni, e da spese per la riabilitazione e la non autosufficienza. Qu.A.S. ha introdotto anche un bonus di 2.000 euro all'anno per i quadri non autosufficienti, che non è un grande contributo in relazione a quel tipo di patologie, ma è un primo contributo a una situazione che nei prossimi anni diventerà un serio problema nel nostro Paese, anche per l'andamento demografico e per l'aumento dell'età media della popolazione. Qualora vi fossero utili, potremmo fornirvi anche ulteriori dati.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAMPAOLO GALLI. Grazie, presidente, per queste utili audizioni che presentano la sanità integrativa come uno dei temi che l'indagine conoscitiva deve affrontare molto seriamente, perché è uno dei modi in cui non solo in Italia si cerca di affrontare il problema dell'aumento strutturale e pressoché inevitabile della spesa sanitaria nel lungo periodo.
  Il dottor Focarelli citava infatti i dati OCSE o della Ragioneria generale dello Stato al 2050-2060, e questo pone una quantità di problemi di equità, in quanto c’è chi può permetterselo e chi invece non può. Questi problemi possono comunque essere affrontati attraverso sistemi di tipo contrattuale, e abbiamo esperienze assolutamente positive anche in Italia.
  Come ricordato, l'Italia ha questa particolarità della forte componente della spesa out-of-pocket, cioè non assicurata o non coperta dalle Casse, sul totale della spesa privata. Questo è un tema che dobbiamo affrontare e che, come evidenziato dal dottor Focarelli, ha a che fare con la grande incertezza circa le prestazioni del servizio sanitario nazionale che eroga la mammografia ma con tempi molto lunghi, per cui si finisce per rivolgersi al privato, ma anche con la struttura dei ticket, per cui alla fine credo che buona parte di questa spesa privata sia per medicinali o per analisi di tipo ricorrente per i quali l'assicurazione è poco utile, in quanto è come pagare in anticipo ciò che si pagherebbe nel corso del tempo; l'assicurazione è utile in caso di eventi relativamente rari.
  È quindi necessario fare una riflessione su questo tema, anche alla luce degli esempi che ci sono stati fatti (il sistema francese forse è quello più vicino a noi), nel momento in cui si va a rivedere sia la struttura dei ticket sia quanto i LEA devono garantire – possono garantire tutto o solo alcune cose, le spese odontoiatriche ad esempio sono comprese ma, di fatto non è così, in molte regioni sono comprese solo parzialmente – e anche le agevolazioni fiscali.
  Lo Stato dovrebbe infatti valutare l'opportunità di concedere un'agevolazione fiscale per sviluppare queste modalità alternative di finanziamento piuttosto che essere costretto a sostenere tutto il costo. Credo che sia necessario riflettere su questo aspetto nell'ambito della nostra indagine.

  PRESIDENTE. Mi sembra più una riflessione che una domanda, peraltro ampiamente condivisa sulla base dei ragionamenti espressi questa mattina.Pag. 20
  Come abbiamo fatto con i rappresentanti di AGE.NA.S., chiediamo ai nostri auditi se ritengano opportuno farci pervenire una relazione scritta con numeri più dettagliati, che potrebbe costituire un utile contributo da divulgare tra i colleghi che oggi non hanno potuto partecipare.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. Se posso, presidente, vorrei chiedere di integrare tale documentazione anche con il confronto fra le prestazioni erogate e i fondi raccolti attraverso la contrattazione e le varie misure qui illustrate.

  PRESIDENTE. Questa domanda riceverà ovviamente risposta con un promemoria scritto. Ringrazio i nostri ospiti per l'utile spaccato che ci hanno fornito, che permette di ragionare sul 2 per cento abbondante di prodotto interno lordo che afferisce alla spesa sanitaria senza passare dalle casse pubbliche e sulle eventuali proposte di migliore utilizzo di quel flusso economico.
  Nel ringraziare gli auditi, che probabilmente parteciperanno alle audizioni che la Commissione affari sociali della Camera realizzerà per esaminare le proposte di legge sul rischio clinico, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.55.