XVII Legislatura

IV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Martedì 1 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vito Elio , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI SISTEMI D'ARMA DESTINATI ALLA DIFESA IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DI DICEMBRE 2013

Audizione di rappresentanti della campagna «Sbilanciamoci !» e della Rete Italiana Disarmo.
Vito Elio , Presidente ... 2 
Vignarca Francesco , Coordinatore della Rete italiana per il disarmo ... 2 
Vito Elio , Presidente ... 3 
Nascia Leopoldo , Esperto della campagna «Sbilanciamoci !» ... 4 
Vito Elio , Presidente ... 6 
Vignarca Francesco , Coordinatore della Rete italiana per il disarmo ... 6 
Vito Elio , Presidente ... 9 
Corda Emanuela (M5S)  ... 9 
Duranti Donatella (SEL)  ... 10 
D'Arienzo Vincenzo (PD)  ... 10 
Rossi Domenico (SCpI)  ... 11 
Artini Massimo (M5S)  ... 12 
Rossi Domenico (SCpI)  ... 13 
Vito Elio , Presidente ... 13 
Piras Michele (SEL)  ... 13 
Frusone Luca (M5S)  ... 14 
Vito Elio , Presidente ... 14 
Nascia Leopoldo , Esperto della campagna «Sbilanciamoci !» ... 14 
Vignarca Francesco , Coordinatore della Rete italiana per il disarmo ... 15 
Simoncelli Maurizio , Vicepresidente dell'Istituto di Ricerche internazionali Archivio disarmo per Rete italiana per il disarmo ... 17 
Vito Elio , Presidente ... 18 

ALLEGATI:

Allegato 1: Documentazione consegnata dal dottor Francesco Vignarca, Coordinatore della Rete italiana per il disarmo ... 19 

Allegato 2: Documentazione consegnata dal dottor Leopoldo Nascia, Esperto della campagna «Sbilanciamoci!» ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ELIO VITO

  La seduta comincia alle 13.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati e la diretta televisiva sulla web-tv del sito internet della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della campagna «Sbilanciamoci !» e della Rete Italiana Disarmo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma destinati alla difesa in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013, l'audizione di rappresentanti della campagna «Sbilanciamoci !» e della Rete italiana per il disarmo, quali esponenti di organizzazioni non governative.
  Do il benvenuto al dottor Leopoldo Nascia per la campagna «Sbilanciamoci !», al dottor Giuseppe Schiavello per la Campagna italiana contro le mine e al dottor Francesco Vignarca e al dottor Maurizio Simoncelli per la Rete italiana per il disarmo.
  Ringrazio gli auditi per la disponibilità dimostrata. Interverrà prima il dottor Vignarca con una breve relazione introduttiva. Successivamente interverrà il dottor Nascia e, nuovamente, in conclusione, il dottor Vignarca. Dopo le loro illustrazioni potranno avere luogo le domande dei rappresentanti dei gruppi che ringrazio per essere intervenuti a questa seduta. Regoleremo successivamente le modalità di svolgimento delle repliche, cercando naturalmente di rispettare i tempi ai quali siamo obbligati dai lavori d'Aula.
  Do la parola al dottor Vignarca per lo svolgimento della relazione.

  FRANCESCO VIGNARCA, Coordinatore della Rete italiana per il disarmo. Buongiorno a tutti e grazie per l'invito a prendere parte a questa indagine conoscitiva. Siamo venuti numerosi – siamo in quattro – perché abbiamo articolato un intervento comune tra «Sbilanciamoci !» e Rete italiana per il disarmo; si tratta infatti di un lavoro che da tempo portiamo avanti in maniera articolata e comune.
  Il mio primo intervento intende tratteggiare i motivi per cui siamo qui come «disarmisti». Ci si potrebbe chiedere cosa ci vengano a fare i disarmisti in Commissione difesa: credo che, essendo la difesa un obbligo costituzionale, ciascun cittadino debba interessarsene, soprattutto se, come nella nostra visione, alla difesa si associa un significato più ampio, connesso cioè al benessere di tutti gli italiani, cittadini e cittadine, e non legato soltanto allo strumento militare.
  Cosa avremmo potuto fare, ad esempio, nel corso della recente crisi economico-finanziaria, se avessimo avuto più soldi e non avessimo dovuto impegnarli per ripagare il debito ? In questo senso, la nostra – e vi chiediamo di non bollarla come demagogia artefatta – è solo una richiesta di spostare gli investimenti da un settore dello Stato a un altro.
  Anche guardando alla questione della difesa in senso stretto, legata al contrasto da minacce esterne, la nostra presenza ci Pag. 3pare sensata. Nell'audizione che ha dato il via a questa indagine, il Ministro della difesa ha ricordato le prerogative costituzionali proprie e del suo dicastero; anche in quelle prerogative – vorremmo notare – difesa e sicurezza militare sono poste in modo separato e complementare. Noi tendiamo, quindi, a interpretare la difesa in maniera più ampia.
  Non parlerò oggi delle nostre alternative in questo senso, mi concentrerei però sul fatto che noi diamo da tempo attenzione a molte delle questioni che avete ascoltato e sulle quali avete discusso durante le precedenti audizioni. Abbiamo, ad esempio, già da tempo prodotto libri e documenti sul fatto che le missioni militari all'estero – come peraltro sapete, proprio ieri sera è venuto a scadenza il termine che le aveva rifinanziate, cosa che apre una vacatio non banale – sono ormai fondamentali come stampella per il funzionamento della difesa, come ha ricordato nella sua audizione anche il dottor Gaiani.
  Abbiamo da tempo fatto notare, come dirà a breve il dottor Nascia, l'imprecisa valutazione della spesa militare italiana, che non è raggruppata in un unico dicastero. A questo proposito, dispiace che esponenti istituzionali, come il Ministro, parlino in questa sede delle stime del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) – autorevole istituto di ricerca ma che, come forse saprete, segnala le stime della nostra spesa militare con un asterisco, proprio perché incapace di valutarla in maniera compiuta – anziché portare documenti ufficiali di bilancio.
  Abbiamo detto da tempo, inoltre, quali sono le risorse del Ministero dello sviluppo economico che vengono investite in ricerca e sviluppo militare. Crediamo, quindi, di avere la competenza necessaria per parlarvi a 360 gradi e per sottolineare che dobbiamo poter intervenire anche se questo fosse un protagonismo della difesa, ad esempio, come il Ministro ha ricordato riguardo all'industria e alla produzione militare.
  Infine, se il Parlamento e questa Commissione hanno sentito la necessità di stabilire questo percorso di approfondimento, lo si deve anche alle campagne di pressione che le nostre organizzazioni conducono da anni – in particolare sul tema dell’F-35 – e alle numerose segnalazioni da noi avanzate su imprecisioni e dati parziali che la Difesa ha fornito all'attenzione del Parlamento, anche in occasioni ufficiali. A tal proposito, mi preme sottolineare che nessuna delle nostre stime è mai stata, in questo senso, smentita.
  L'oggetto di questo nostro incontro e della vostra indagine è sicuramente quello dei sistemi d'arma; il mandato che avete, da qui a dicembre, va in questa direzione. Noi pensiamo, però, che questo tema non possa essere analizzato compiutamente – come del resto è stato più volte ribadito nel corso delle precedenti audizioni – senza definire un quadro complessivo della difesa e dei suoi obiettivi.
  Anche noi crediamo, dunque, che sia necessaria, urgente e non più procrastinabile l'elaborazione di un completo e innovativo modello di difesa che da troppi anni manca in Italia. Senza una precisa indicazione dei traguardi da raggiungere non è possibile, infatti, valutare gli strumenti necessari per arrivarvi e di conseguenza, a nostro parere, non è per voi possibile valutare compiutamente quali sistemi d'arma utilizzare.
  Pertanto, nell'impostare gli argomenti da sottoporre alla vostra attenzione, riteniamo fondamentale soffermarci anzitutto sulla determinazione e sulla recente evoluzione della spesa militare italiana come imprescindibile quadro di riferimento. Cedo, a tal proposito, la parola al dottor Nascia della campagna «Sbilanciamoci !»; la riprenderò in seguito per ulteriori considerazioni e conclusioni. Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Vignarca, per questo intervento introduttivo e soprattutto per il richiamo, che anche io rivolgo a tutti i colleghi che devono intervenire, ad attenersi all'oggetto dell'indagine conoscitiva, che naturalmente i nostri auditi conoscono perfettamente.Pag. 4
  Do la parola al dottor Leopoldo Nascia, che ascolteremo con interesse.

  LEOPOLDO NASCIA, Esperto della campagna «Sbilanciamoci !». Grazie anche per l'opportunità che ci avete dato di essere ascoltati da questa Commissione. Il mio intervento sarà abbastanza tecnico, come è stato anticipato dal dottor Vignarca.
  Comincerei col far luce sull'andamento della spesa militare, dal momento che, nelle precedenti audizioni, sono emersi degli elementi che potrebbero far pensare che la spesa militare in Italia sia in diminuzione. Abbiamo analizzato i dati contenuti nella Nota aggiuntiva del Ministero della difesa del 2012, che riporta una spesa militare di 14,3 miliardi di euro, relativamente all'anno 2011. Questo valore viene poi confrontato con quello di altri Paesi.
  Secondo la NATO la spesa nel 2011 – la stessa spesa indicata dal SIPRI che, lo ricordo, non produce proprie indagini ma riprende sia la definizione, sia il valore riportato nei bollettini stampa della NATO – è stata di 21,7 miliardi di euro. Su questo è necessario fare un appunto: il fatto che l'Italia nel 2007 abbia cambiato la definizione nei dati forniti alla NATO ha creato un equivoco. Dal 2007, infatti, l'Italia fornisce alla NATO una definizione di spesa militare basata su criteri differenti rispetto al passato, tanto che sui bollettini stampa della NATO è scritto che, per l'Italia e altri Paesi che hanno adeguato la definizione a una revisione della definizione NATO, la diminuzione di spesa è solo apparente (il termine letterale è «apparent»). Non c’è, quindi, alcuna diminuzione di spesa su questo capitolo.
  Il SIPRI riprende la stessa cifra, poiché per tradizione le serie storiche del SIPRI sono identiche a quelle della NATO. Di conseguenza, non è confrontabile la spesa del 2003 con quella del 2007: si tratta di quella che gli statistici chiamano in gergo «rottura di serie».
  Per comprendere cos’è la spesa militare abbiamo utilizzato anche altre definizioni ufficiali. Abbiamo analizzato, ad esempio, la definizione fornita dall'ISTAT, redatta secondo i criteri internazionali della spesa pubblica per funzioni e pertanto confrontabile con gli altri Paesi europei. Secondo questa definizione, solo per la funzione difesa vengono spesi 25,3 miliardi di euro ogni anno. Attualizzando secondo l'indice dei prezzi, dal 1990 al 2011 la spesa militare è salita di 23 punti percentuali, come riportato nella relazione che ho predisposto. Quindi, ci troviamo già di fronte a un valore difforme, con un andamento, oltretutto, che non è assolutamente in diminuzione.
  Secondo la stima di «Sbilanciamoci !», le spese del Ministero della difesa, sommate alle spese per le missioni internazionali e a quelle per i sistemi d'arma a carico dei bilanci degli altri dicasteri ammontano a 23 miliardi di euro. Se a questo aggiungiamo anche la somma delle pensioni in essere del Ministero della difesa, ottenute col sistema retributivo, quindi pagate solo in parte, anzi in misura esigua, dai soggetti che le percepiscono (vorrei ricordare che sono il terzo comparto, come pensione media, nello Stato), arriviamo a 26,6 miliardi. A questo, inoltre, dovremmo anche aggiungere il costo delle servitù militari, ma questo non è quantificabile in un bilancio.
  Dico questo per sottolineare che la spesa militare non è in diminuzione; anzi, da uno studio svolto insieme al professor Pianta, analizzando i rendiconti annuali approvati dal Parlamento dal 1948 al 2008 è emerso che la spesa militare in Italia ha sempre avuto una crescita reale – se volete, ho anche le cifre precise – a esclusione degli anni 1973 e 1974. Non c’è, quindi, alcuna diminuzione reale della spesa.
  Tornando all'argomento specifico dell'audizione, per quanto riguarda il mercato dei sistemi d'arma vorrei ricordare che gli F-35 nascono all'interno di questo mercato, che in base ai dati forniti dal Ministero della difesa vale circa 3 miliardi di euro, ovvero ogni anno vengono stanziati 3 miliardi di euro per acquisire i sistemi d'arma. Si tratta di un mercato particolare, anzitutto perché è basato sul Pag. 5know how, che garantisce alta ricerca, sviluppo, gruppi multinazionali. In aggiunta, è un mercato nel quale anche il know who – conoscere chi – è molto importante. I committenti non sono, infatti, dei privati bensì alcuni (nemmeno tutti) tra i Paesi del mondo.
  In realtà, in base ad accordi internazionali, ogni impresa, ogni multinazionale ha il suo mercato di sbocco. Sono mercati molto ristretti, dove è fondamentale comprendere che la contrattazione non è standard, ma è molto simile alla contrattazione tra sindacati e imprenditori: un caso di monopsonio, per usare una terminologia molto tecnica, in cui c’è una contrattazione fra il committente, che è sempre di natura pubblica, lo Stato (il Ministero della difesa di ogni Paese, normalmente) e l'offerente, che è una multinazionale. Oltretutto, quello delle multinazionali è un mercato ultraconcentrato; in Italia, sostanzialmente il gruppo principale è rappresentato dal gruppo Finmeccanica.
  In questa situazione, quindi, la determinazione dei costi diventa un aspetto fondamentale, come quello delle previsioni di spesa. Tuttavia, queste purtroppo fino a oggi nel nostro Paese sono sempre state smentite dai fatti, dal momento che, a conti fatti, le previsioni di spesa riportate nei documenti della Difesa si sono sempre rivelate, negli anni successivi, troppo basse, essendo state sottostimate.
  In questi casi, sarebbe fondamentale comprendere anche quali sono i meccanismi che portano a stabilire i costi e come avviene questa contrattazione. Su questi argomenti non abbiamo mai avuto abbastanza trasparenza. Se da una parte è comprensibile che ci sia il segreto militare, d'altra parte si tratta di argomenti decisivi per avere la garanzia della sicurezza prevista dalla nostra Costituzione, ma al prezzo più basso possibile e in maniera efficiente.
  Su questo fronte, però, la documentazione oggi disponibile è scarsa e questa mancanza si ripercuote sul programma degli F-35 dove, non a caso, assistiamo a una proliferazione continua di numeri, proprio perché mancano cifre autorevoli dal Ministero della difesa, che ci dicano con precisione a oggi quanto costano. Manca una stima certa e verificabile, con tutti i parametri necessari, calcolata in modo trasparente per consentirne eventualmente la verifica o la contestazione; mancano modelli previsionali di spesa che siano verosimili, poiché stiamo parlando di spese pluriennali che spesso ingessano il nostro bilancio per dieci o vent'anni.
  Per quanto riguarda, ancora, gli F-35, per noi non si tratta nemmeno solo di comprare degli aerei: in questo caso, il nostro Paese si è imbarcato in un'impresa, più che in un'acquisto di aerei. Non abbiamo, difatti, partecipato a una gara per l'acquisto di aerei «chiavi in mano», per intenderci, ma abbiamo aderito a un programma, sopportandone anche il rischio imprenditoriale. L'Italia si configura, quindi, come committente degli F-35, ma è al tempo stesso finanziatore della capacità produttiva. Sono state spesso riportate delle cifre riguardanti i ritorni occupazionali e gli obiettivi di politica industriale relativi agli F-35 che, a oggi, sono state smentite dai risultati ottenuti. Per questo programma sono stati già stanziati 2,7 miliardi di euro.
  In questo caso, proprio per questo meccanismo di contrattazione, ci siamo trovati a non avere la classica gara d'appalto, durante la quale confrontare gli F-35 con altri velivoli e strumenti militari dello stesso genere prima di procedere all'acquisto, tanto che oggi non disponiamo ancora di F-35 sul nostro territorio, nonostante i primi accordi risalgano al 2000, quindi tredici anni fa.
  Il problema della politica industriale conduce inevitabilmente al discorso su come sia strutturato, all'interno del Ministero della difesa, tutto questo apparato decisionale, tutta questa burocrazia. In teoria, come avviene di norma in un'impresa, prima di prendere una decisione di investimento di questa portata – per il valore economico, ma anche della sicurezza – la si dovrebbe confrontare con altre decisioni di investimento e dimostrare, numeri alla mano, che si tratta del migliore investimento possibile per quel Pag. 6settore; e soltanto dopo, eventualmente, si dovrebbe prendere la decisione di spendere i soldi e acquisire i sistemi d'arma. Nel caso degli F-35 questo non è avvenuto, tanto da far pensare che forse sarebbe il caso di rivedere totalmente la partecipazione al programma ed eventualmente guardare anche alle decisioni dei nostri partner. Sono nostri partner anche la Francia e la Germania, che non hanno acquistato gli F-35; la Germania, ad esempio, ha gli Eurofighter che noi abbiamo già. Si potrebbe anche valutare, confrontandosi, l'opportunità di bloccare l'acquisto degli F-35 e ritornare agli Eurofighter, con tutti gli strumenti più moderni di cui disponiamo.
  Il problema della burocrazia militare, in questo ambito, è molto importante. Per quanto riguarda il momento decisionale, la mancanza di trasparenza e la delicatezza della contrattazione – sempre perché, ripeto, si tratta di contrattazioni fra pochissimi soggetti – ci obbligano a rivedere la struttura del Ministero. La riforma dello strumento militare ha sostanzialmente degli obiettivi solo quantitativi, di fatto somiglia molto a un taglio lineare, mentre come metodo sarebbe auspicabile una ridefinizione degli uffici, unificando magari quelli che risentono ancora della vecchia suddivisione in tre ministeri risalente al 1948 (questa struttura permane, tanto che questi sono riportati tra gli obiettivi in ogni edizione della nota aggiuntiva).
  Occorre una revisione della struttura, quindi, che adotti come metodo la necessità di individuare quali strutture e quali uffici sono necessari per definire poi, su questa base, la nostra dimensione di strumento militare e poter valutare l'impatto globale sulla spesa pubblica che così viene, di fatto, trasferita da un capitolo di spesa a un altro.
  Concludo rapidamente illustrando le nostre proposte. Ciò che chiediamo è una maggiore trasparenza e una maggiore qualità dei metodi di stima. Di fronte a dati che ci parlano, ad esempio, del 77 per cento di ritorno occupazionale o del costo di un F-35, vorremmo sapere in che modo sia stato determinato tale costo o calcolato il ritorno occupazionale. In questa maniera la stima diventa autorevole, un punto fermo, che eventualmente, in caso di problemi, può essere anche contestato.
  Chiediamo, inoltre, una revisione totale della partecipazione al programma F-35. Gli F-35 sono emblematici, in base a quanto detto sopra, dell'esistenza di un problema nell'acquisizione dei sistemi d'arma.
  Chiediamo ancora una maggiore trasparenza anche nei rapporti fra la burocrazia militare, le imprese offerenti e il mondo della politica, essendo divenuta ormai una prassi consolidata il fatto che gran parte della burocrazia militare, dopo la pensione, vada a ricoprire posizioni di vertice nell'industria militare, creando qualche problema che richiederebbe un maggior controllo.
  Per quanto riguarda, infine, la riduzione dei costi del personale, per consentire l'aumento della percentuale di investimenti, come previsto dalla riforma dello strumento militare, una proposta potrebbe essere il congelamento per qualche anno delle attività dell'Accademia militare, in modo da avere maggiori disponibilità per gli investimenti.
  Mi fermerei a questo punto, poiché penso di aver già superato il tempo a mia disposizione. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie dottor Nascia, ma non siamo così fiscali; cerchiamo semplicemente di conciliare i nostri tempi con i lavori d'Aula, quelli sì fiscali, ma abbiamo ancora tempo.
  Colgo l'occasione per informare i colleghi che i materiali consegnati dai rappresentanti delle due associazioni sono, naturalmente, a disposizione dei commissari e, qualora non fosse già stato fatto, saranno inviati a ciascuno di noi.
  Cedo adesso la parola al dottor Vignarca per la conclusione di questa prima parte dell'audizione.

  FRANCESCO VIGNARCA, Coordinatore della Rete italiana per il disarmo. Credo che voi abbiate – va riconosciuto anche da osservatori solitamente critici, come le Pag. 7associazioni disarmiste – un'occasione quasi storica. Bisogna dare atto che in questa legislatura vi è, sui temi del procurement militare e dell'acquisizione militare, un'energia e una volontà di entrare nei fatti molto maggiori rispetto al passato. Anche al di là dell'oceano si sono accorti di questo, come probabilmente avrete notato, scrivendo a proposito della Commissione difesa e dei suoi lavori.
  Sulla base di quanto detto finora, pensiamo che nel nostro contributo odierno non sia opportuno fermarci sul singolo sistema d'arma – ma se volete possiamo discutere anche di quello – bensì concentrarci sui meccanismi di controllo delle decisioni. Se anche oggi noi fornissimo una fotografia della situazione dei sistemi d'arma, senza concentrarci sui meccanismi continuativi del vostro lavoro di controllo, la fotografia tenderebbe a sbiadire nel tempo e, dopo sei mesi, sarebbe vecchia.
  Del resto, è un po’ quello che è successo quando a febbraio 2012 siamo venuti in audizione a esporre lo stato dell'arte sulla vicenda degli F-35, riferendo cose che ci sembravano giuste ma che, ovviamente, in un anno e mezzo sono cambiate.
  Più che sui sistemi d'arma riteniamo ci si debba concentrare – e dovrebbe farlo, dal nostro punto di vista, la vostra indagine – sul lavoro continuativo della Commissione difesa riguardo al procurement militare.
  Noi intendiamo riferire quattro punti critici e alcuni dati sugli F-35 che non possiamo far finta non esistano. In passato, anche per mancanza del modello già descritto di difesa, ci si è fidati quasi in toto del Ministero per determinare gli obiettivi funzionali e anche numerici dei sistemi d'arma. Del resto, ne avete discusso in precedenti audizioni. Di chi fidarci ? Qual è il numero giusto ?
  Noi crediamo che se non c’è un modo di definire oggettivamente quali sono i numeri che stanno all'interno di un modello di difesa non ci sarà mai un numero congruo, perché dipenderà solo dal parere personale. L'alternativa è quella di prendere decisioni solo sulla base di considerazioni di ritorno industriale o di prestigio sullo scacchiere internazionale. A nostro avviso, se non c’è la definizione del modello e degli obiettivi della difesa è inutile parlare del numero degli F-35.
  Negli ultimi decenni – questo è il secondo punto per noi problematico – ci si è fidati quasi integralmente dei dati del Ministero della difesa per quanto riguarda il costo e i tempi di realizzazione dei sistemi d'arma. Non vi parlo degli F-35, ma della portaerei Cavour: se leggete i resoconti parlamentari che risalgono a quando c’è stata la discussione di acquisizione di quel sistema d'arma, vedrete che i tempi, ma soprattutto i costi sono più che raddoppiati.
  Nell'unico momento in cui, in quell'ottica, il Parlamento poteva intervenire per la decisione, si è visto fornire numeri sbagliati, non realistici, e si è dovuto portare appresso questa scelta per anni. Secondo noi, in quel momento, con la vecchia legge Giacchè, il Parlamento non aveva in pratica alcun potere di opportunità d'intervento. Adesso, invece, avete più possibilità di farlo, perché la legge è stata modificata, anche se non si prevede, nemmeno oggi, per la vostra Commissione, una possibilità di intervento pari a quella di Commissioni similari di altri Paesi. Come Commissione (e poi anche come Parlamento) non avete il potere di bloccare integralmente un programma d'armamento. Potete solo verificare se esso è confacente o meno alla programmazione pluriennale.
  Il problema è che, a nostro parere, il Parlamento e voi non avete gli strumenti adatti per farlo, come del resto avete visto nella discussione sul Documento di programmazione pluriennale. Come è possibile che si possa decidere sul sistema d'arma quando sullo stesso viene indicata solo una cifra complessiva di soldi stanziati nell'anno, senza dire se quei soldi sono per l'investimento, per il mantenimento del sistema d'arma e via dicendo ? È come se io stipulassi un mutuo e, in un piano di ammortamento alla francese, non sapessi se sono all'inizio o alla fine del mutuo stesso, perché non so se sto pagando il capitale o gli interessi. È importante Pag. 8saperlo. È importante sapere a cosa sono destinati quei 500 o 300 milioni di euro su quel sistema d'arma in un anno.
  Lo avete visto anche nell'allegato tecnico del Ministero della difesa alla legge di bilancio 2013. Si tratta di un allegato preciso – addirittura vengono riportati 900 euro per la sistemazione della rete LAN nella base di Grottaglie – ma i dati si riferiscono al 2011.
  Come è possibile fare scelte di investimento e di mantenimento del sistema d'arma con dati così parziali ? Noi crediamo che sia fondamentale, anche per ragioni di trasparenza industriale – come ha ricordato il professor Nones in una precedente audizione – avere tutti questi dati, soprattutto considerando l'Europa nello sfondo. In Europa non succede questo. La Francia ad esempio ha una revisione del proprio strumento militare basata su un modello militare che viene aggiornato ogni due o tre anni. I dati a disposizione del Parlamento sono molto più alti. Non è possibile per noi costruire una vera responsabilità e accountability, in questo delicato settore, senza questi strumenti.
  Per finire, proprio perché siamo stati noi a far crescere in questo Paese la consapevolezza dei problemi del programma F-35, cito due dati su questa situazione, e non perché ce l'abbiamo solo con l’F-35 ma perché il programma militare più costoso della storia (così come è stato definito) può risultare un esercizio utile per capire certe dinamiche.
  Il controllo: ieri – non so se ne siete a conoscenza – è uscito negli Stati Uniti un ennesimo documento ufficiale sullo stato del programma, che ha smontato completamente l'idea che il programma sia aderente a certi standard di qualità. Il documento non è stato prodotto da un'associazione, da un think tank, ma dall’Inspector General del Dipartimento della Difesa.
  Soprattutto in un programma come questo, in cui siamo veramente subfornitori oppure, come ha detto qui il dottor Pansa pochi giorni fa – ed è un passaggio non banale che l'abbia fatto l'amministratore delegato di Finmeccanica, a mio parere – esecutori intelligenti (quindi siamo l'ultima ruota del carro, per dirla come la penso io), se non riusciamo a profondere uno sforzo di questo tipo perché non abbiamo tutti i dati, perché non acquisire quanto meno quei report ? Parliamo di report ufficiali di un Paese partner che analizza il programma in assoluta precisione e addirittura sostiene – lo potrete verificare leggendo il testo – che qualsiasi variazione anche tecnica, di disegno, deve essere approvata da Lockheed Martin.
  Dunque, tutto quello che ci è stato raccontato per anni sulla possibilità della nostra industria di intervenire dal punto vista tecnologico non esiste, perché qualsiasi revisione va controllata in Texas.
  Per quanto riguarda i costi, è vero che ci troviamo ancora nelle fasi di pre-produzione per noi e che possiamo solo rimanere a livello di stime per il programma generale, però credo che non sia più accettabile, per voi e anche per noi, che la Difesa arrivi a darvi solamente i costi derivanti dal cosiddetto «flyaway», ossia la macchina nuda, senza nemmeno il motore.
  Come ricordava prima il dottor Nascia, a disposizione del Parlamento dovrebbero esserci dati il più possibile completi. Provate a leggere le note aggiuntive del Ministero della difesa degli ultimi anni sul programma F-35: nonostante siano cambiati i costi unitari, nonostante siano cambiati i numeri degli aerei da acquistare, da 131 a 90, nonostante siano cambiati i numeri complessivi, l'investimento è sempre 13 miliardi di euro. Come è possibile ?
  Se dividete 13 miliardi per 90, il risultato è molto di più della stima riferita dalla Difesa. Come mai ? Come mai noi non possiamo avere una sicurezza reale nella performance di questi dati ?
  Cito un altro esempio, quello dell'EFA (European Fighter Aircraft). Di colpo, quest'anno, nel Documento di programmazione si è passati a un costo complessivo di 21,1 miliardi di euro, quando per anni il costo è stato 18 miliardi di euro (dato della Difesa). Perché ? Come mai la crescita di 3 miliardi di euro ? C’è stata una Pag. 9rivalutazione dei costi ? Ci sono rallentamenti ? Questi sono i dettagli di cui, a nostro parere, un'indagine sui sistemi d'arma e in generale l'attività della Commissione difesa deve occuparsi.
  Ho lasciato per ultimo il «piatto forte», se mi passate l'espressione. Noi siamo qui perché voi avete deciso, giustamente, come richiamato dalla mozione approvata in giugno, di discutere e analizzare i sistemi d'arma. Ma è sensato quello che stiamo facendo quando – notizia di quattro giorni fa – il Ministero della difesa ha firmato i nuovi contratti per ulteriori tre cacciabombardieri ? Questo è avvenuto dopo che la mozione è stata votata. Non solo: i primi tre cacciabombardieri che si pensava fossero già acquistati a giugno, appena prima della mozione, sono stati anch'essi acquistati il 27 settembre. Ora, se per i primi tre si può dire che la decisione è stata presa l'anno scorso addirittura dal Ministro Di Paola, per i successivi tre, prima della mozione e durante la votazione della stessa in Aula, non c'era alcuna decisione, se non il pre-acquisto di alcuni elementi.
  Come è stato possibile, allora, che mentre voi state facendo questo lavoro, mentre ci state ascoltando, con fatica e pazienza, il Ministero della difesa sia andato negli Stati Uniti a firmare un contratto ? Leggetelo, peraltro, quel contratto: vi è scritto che anche per i cinque aerei, due australiani e tre italiani, che vengono prodotti per il lotto n. 7, il ritorno su Cameri del lavoro è il 5 per cento. Questo significa che per 340 milioni di dollari che l'Italia metterà per questi aerei, solo il primo prezzo dell’unit flyaway cost, senza i motori che arriveranno l'anno prossimo, il ritorno su Cameri – il favoleggiato ritorno del 70 per cento o, come ha detto qualcuno, oltre l'investimento – sarà di 35-40 milioni di dollari.
  Credo che questi dati debbano essere posti alla vostra attenzione, altrimenti stiamo facendo solamente un esercizio di raccolta informazioni, ma intanto le cose vanno avanti per i fatti loro, e non credo che fosse questo lo spirito della mozione che avete votato in Aula né che fossero queste le prerogative che giustamente il Parlamento si è assunto, a meno che non avesse deciso che gli ulteriori acquisti degli F-35, com'era scritto nella mozione, erano appunto «ulteriori» rispetto a qualsiasi acquisto di una singola vite. Sappiate, allora, che il Parlamento non potrà più parlare di questo fino al 2018-2019, perché fino al lotto n. 8 noi saremmo obbligati all'acquisto. Qualche pezzo del lotto n. 7, del lotto n. 8 e del lotto n. 9 l'abbiamo acquistato. Non credo che fosse questa la vostra intenzione e credo, invece, che sia importante che il Parlamento si riappropri di questi dati e di queste decisioni. Grazie dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Sono io che ringrazio i soggetti auditi per i loro interventi.
  Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  EMANUELA CORDA. Ringrazio i rappresentanti delle organizzazioni non governative per la chiarezza dei loro interventi. È stato molto interessante ascoltarli. Penso che queste organizzazioni debbano essere sempre degli interlocutori privilegiati rispetto al lavoro che svolgiamo in Parlamento, in quanto forniscono un prezioso contributo. Ogni anno presentano un rapporto dettagliato sui sistemi d'arma, sulle spese militari, propedeutico al nostro lavoro.
  Come ha ricordato anche il presidente Vito – forse è la prima volta che lo fa, e mi ha un po’ incuriosito questo suo invito – dobbiamo attenerci all'argomento in discussione, quindi ai sistemi d'arma, e io cerco di farlo, anche se Vignarca sosteneva che in realtà il vero problema è il procurement militare, ossia tutto il sistema decisionale che ruota attorno agli investimenti che vengono effettuati. Il tema, quindi, non riguarda i sistemi d'arma in sé, ma piuttosto tutto questo apparato decisionale che porta a fare delle scelte, che possono riguardare gli F-35 oppure altri mezzi da proiettare su un modello di difesa diverso, che noi sicuramente auspichiamo.Pag. 10
  Noi sappiamo che i sistemi d'arma possono essere classificati in difensivi e offensivi. Vi chiedo se, anche alla luce delle informazioni che acquisite ogni anno, abbiate un'idea di quelli che secondo voi potrebbero essere i sistemi d'arma più vicini al dettato dell'articolo 11 della nostra Costituzione. Lo chiedo perché, allo stato attuale delle cose, non possiamo farne a meno: naturalmente ci piacerebbe andare verso un disarmo totale, ma ci confrontiamo con un sistema globale che non ce lo consente nell'immediato.

  DONATELLA DURANTI. Anche io ringrazio i rappresentanti delle organizzazioni che oggi ci hanno esposto un punto di vista che, per quello che riguarda il gruppo di Sinistra Ecologia Libertà, non soltanto è importante ma anche condiviso.
  Devo dire che la settimana scorsa abbiamo ascoltato il rappresentante di Finmeccanica. Il dottor Pansa ci ha dato l'idea di quello che succede nel nostro Paese, che dal nostro punto di vista è davvero inquietante. In sostanza, è venuto a dirci che l'azienda ha fatto la scelta precisa di continuare negli investimenti rispetto al militare e di abbandonare il settore dell'energia e del trasporto. Questa decisione ci parla di scelte di politica industriale che, anche rispetto alla situazione economica e sociale del Paese, sono secondo noi sbagliate.
  Non ho molte domande da porre, ma vorrei capire meglio alcuni punti. È stata citata la legge n. 244 del 2012 e anche io penso che questa legge dia al Parlamento qualche strumento in più di intervento. Tuttavia, si tratta di strumenti molto relativi e, oserei direi, abbastanza «spuntati».
  Vorrei capire – abbiamo fortemente voluto, come gruppo, questa audizione – se nella discussione sulla legge n. 244 c’è stato un momento in cui le organizzazioni non governative hanno potuto interloquire con il Parlamento e con le forze politiche. Come sapete, nella scorsa legislatura il gruppo di SEL non era in Parlamento. Anche io penso che quella legge vada nella direzione dell'aumento delle spese militari, laddove prevede chiaramente che una parte del bilancio deve essere spostata dal costo del personale all'approvvigionamento e all'acquisizione di nuovi sistemi d'arma.
  Crediamo anche noi che il punto essenziale sia quello della trasparenza del bilancio della Difesa, ma bisognerà lavorare molto e penso che, in questo, le organizzazioni come la vostra, la società civile che in questi anni non solo ha fatto una riflessione di tipo politico, ma ha anche acquisito grandi competenze e ci offre materiale su cui lavorare, dovrebbero aprire il grande tema della pianificazione delle spese militari.
  Noi stiamo chiedendo dall'inizio di questa legislatura che si discuta di un nuovo modello di difesa o, meglio, che si discuta finalmente del modello di difesa che oggi abbiamo e che il Parlamento si è ritrovato senza, a nostro parere, neanche deciderlo.
  Credo che il tema sia quello di condurre insieme una battaglia importante perché non solo ci sia una maggiore trasparenza del bilancio, ma finalmente i deputati e le deputate possano essere messi in condizione di pianificare a monte le spese militari in direzione di un modello di difesa che non sia offensivo e tutto fuori area, ma rispettoso dell'articolo 11 della Costituzione.
  Noi condividiamo quanto avete detto, ma riteniamo che su questo dobbiamo lavorare come Parlamento. La settimana scorsa abbiamo discusso due atti del Governo che recavano degli schemi di decreto relativi all'autorizzazione di contributi pluriennali per le spese militari. Anche in quel caso ci siamo trovati di fronte a scelte già fatte, che il Parlamento non ha potuto discutere allora né tanto meno oggi, che però impegnano il bilancio complessivo dello Stato per quindici anni.
  Vorrei sapere se, da questo punto di vista, si è aperto un ragionamento rispetto a quello che avviene fuori da queste stanze.

  VINCENZO D'ARIENZO. Ringrazio gli auditi per le informazioni che ci sono state fornite. Peraltro, alcune parole che sono Pag. 11state utilizzate, come «correttezza», «conoscenza delle informazioni», «trasparenza», richiamano temi che hanno a che vedere con il nostro tratto culturale.
  Vorrei fugare un dubbio, avendo ascoltato con attenzione quanto è stato detto quasi paventando uno scenario che non è conosciuto alla Commissione, né ai partiti nella stessa rappresentati. In realtà, l'indagine conoscitiva serve proprio per conoscere tutto quanto ciò che riguarda un certo campo, dall'audizione di Finmeccanica o del rappresentante Confindustria fino alla vostra, affinché ognuno possa dare alla Commissione il proprio contributo e mettere la stessa in condizione di fare una scelta consapevole. Non sono offeso, nella maniera più assoluta, ma rivendico e ribadisco il ruolo che, anche grazie alla citata legge n. 244, questa Commissione e il Parlamento hanno.
  Noi del Partito Democratico assumiamo questo anche come valore culturale, perché è normale che tutto passi attraverso la rappresentanza massima, appunto il Parlamento. Lo abbiamo ribadito, anche nei pareri espressi sugli atti relativi alle spese pluriennali per alcuni sistemi d'arma – cui la collega Duranti faceva prima riferimento – nel momento in cui abbiamo evidenziato non solo che non erano conosciuti tutti gli elementi per una completa valutazione, in particolare con riferimento alla parte economica, ma che riteniamo che tutte queste piccole occasioni che arrivano a compartimenti stagni nella Commissione difesa debbano essere comprese nell'ottica più generale della legge n. 244, e soprattutto di che cosa vogliamo per il nostro Paese per quanto concerne l'approvvigionamento e la strutturazione dei sistemi d'arma.
  Detto questo, sarà nostro compito valutare attentamente tutte le cose che sono state dette, e immagino (ho già sentito il presidente in merito) che avremo la possibilità di acquisire dai documenti quanto ci avete riferito, quindi lo faremo con attenzione. Tuttavia, deve essere chiaro un punto, che è anche la domanda che vi faccio. Noi abbiamo il dovere di posizionare il Paese in un quadro integrato; non possiamo interrogarci sugli F-35 se non immaginiamo un certo modello, che stiamo cercando di comprendere attraverso queste audizioni e questa indagine conoscitiva. È chiaro che questo dovere ce l'abbiamo, poiché, se anche il Paese più distratto del mondo ha una struttura che lo difenda, figuriamoci l'Italia, per il ruolo internazionale che già oggi ricopre nelle tante missioni internazionali.
  Se questo è vero, per le conoscenze che avete – ho capito che sono abbastanza approfondite – in questo quadro in cui noi abbiamo il dovere di definire, che cosa pensate sia utile ? Anziché l’F-35 ci vorrebbe la freccia, oppure un cannone, o delle mine ? È questo l'oggetto del contendere. L’F-35 non va inteso come un mezzo per uccidere, anche se indubbiamente può farlo. In che modello di difesa lo inquadriamo ? Voi a quale modello di difesa integrato, con un ruolo forte dell'Unione europea, pensate ?

  DOMENICO ROSSI. Sarò abbastanza rapido, perché di fatto la domanda mi è stata tolta dal collega D'Arienzo, e quindi più che una domanda farò una riflessione. Su determinate cose che sono state dette posso avere delle perplessità, ma siccome possono essere oggetto di approfondimenti successivi, sia da parte mia sia da parte vostra, non credo sia il caso di entrare nel merito.
  Invece mi ha fatto veramente piacere che il vostro discorso sia iniziato con due aspetti che io ritengo fondamentali. Innanzitutto, è emerso che nella realtà i sistemi d'arma non sono che un aspetto parziale del problema, perché, come il dottor Vignarca ha accennato, se non definiamo prima i compiti della difesa, evidentemente non possiamo stabilire che cosa è necessario per la difesa stessa. Quando parlo di difesa mi riferisco sia alla componente militare sia alla componente civile, cioè a tutto quello che può essere necessario per la difesa di una nazione.
  Senza fare demagogia, come diceva Lei, è evidente che solo da questo si può arrivare a uno spostamento di risorse da un settore a un altro. È chiaro pertanto Pag. 12che questa è un'analisi di carattere politico che spetta al Parlamento, che quest'ultimo ha parzialmente portato avanti con la revisione della legge n. 244, e che ci riconduce all'appuntamento più vicino, che potrebbe influenzare un'ulteriore revisione del modello sia in termini di policy sia in termini di sistema d'arma, cioè il Consiglio europeo di dicembre.
  La mia riflessione è dunque volta a condividere l'impostazione, al di là di determinate affermazioni successive su cui posso non essere d'accordo. È evidente che quelle affermazioni, come diceva il collega D'Arienzo, ci sono ben chiare e ben note. Non è un caso che già nella legge n. 244 siano state in parte affrontate, e che il richiamo a dei sistemi integrati ci porti per forza di cose al Consiglio europeo. Ritengo che nessuno debba mai dimenticare questa impostazione, dando molta più importanza all'aspetto tecnico rispetto all'aspetto politico del problema.
  L'aspetto politico del problema è quello fondamentale, anche perché il Ministero della difesa non può che finalizzare tutto quello che ritiene importante per i compiti generali definiti dal Parlamento. Penso che questo sia lo step più importante che compete a questa Commissione, prima di scendere nella verifica eventuale dell'utilità del singolo sistema d'arma.

  MASSIMO ARTINI. Ringrazio il dottor Vignarca e il dottor Nascia per l'ampia descrizione e in particolare perché, a mio avviso, hanno ravvivato molto quest'indagine, nel senso che ci danno lo spunto per chiamare di nuovo i ministeri a rispondere. È già la terza o quarta volta che si chiedono quelle informazioni e dettagli maggiori andando più nello specifico non può che essere una cosa positiva.
  Vorrei concentrarmi su tre domande. La prima riguarda proprio il discorso dell'obiettivo della difesa, che è la parte fondamentale e quella che manca. Al momento sembra che il Ministero della difesa lavori come una persona che decide di comprare qualcosa, senza sapere cosa farsene. Tendenzialmente sembra che sia così. La mia paura, che penso si rifletta anche nel nostro Gruppo, è data dal fatto che il Ministero vuole mettere troppo le mani nella definizione di questi obiettivi.
  Mi ricordo che quando la collega Duranti fece quest'appunto nella prima audizione del Ministro Mauro, il Ministro stesso affermò che effettivamente sono undici anni che non si fa una revisione di questo strumento e proponeva di farlo insieme. Vi parlo di questo anche per avere una sponda per trovare a livello legislativo un articolato che abbia un senso, e che dia al Parlamento, e non al Ministero, quest'opportunità. Mi riferisco alla possibilità di un percorso in cui il Ministero sia un esecutore e un comandante, anche dal punto di vista legislativo. Questo è un rischio su cui vi prego, eventualmente anche nel futuro, di darci una mano, nel definire questa iniziativa legislativa, che giudico opportuna.
  Da quel poco che ho visto in questi mesi, ritengo che effettivamente non si sappia dove stiamo andando. Questo non riguarda solo gli F-35, ma qualsiasi strumento d'arma. Vengono proposti dei programmi, ma non se ne conoscono le finalità e alla fine non si sa nemmeno se quelle finalità sono state raggiunte o meno quel programma. La mancanza di controllo della finalità è il problema fondamentale. Si possono anche acquistare gli F-35 per poi verificare se sono serviti a finalizzare quell'obiettivo, ma non conoscendo l'obiettivo e non avendo i controlli sull'obiettivo stesso, difficilmente si può fare questa verifica.
  Faccio ora due appunti proprio sugli F-35, su cui magari ci potrete dare una risposta in più. Oltre ai costi direttamente implicati nell'acquisto degli F-35, mi vengono in mente anche i costi indotti. Magari non è un costo enorme rispetto ai 13 miliardi di euro d'investimento per gli F-35, ma per far prendere ai nostri piloti i brevetti per gli F-35 dobbiamo sostenere un costo. Inoltre, come ci ha ricordato l'amministratore delegato di Finmeccanica Pansa, c’è una perdita di capacità industriale e di know how sugli F-35. Infatti, ha detto che lasciare a casa un ingegnere di 45 anni ha un costo di 1,5 milioni di Pag. 13euro. Ho fatto un paio di ricerche, e dovrebbero essere intorno ai 500-600 gli ingegneri che perdono questo tipo di funzionalità passando dall’Eurofighter agli F-35. Facendo due rapidi conti, vediamo che si tratta di un esborso enorme. Non sono costi direttamente implicati con la spesa del Ministero, ma è un indotto che si perde.
  Inoltre, c’è una questione emersa nell'ultimo Ufficio di presidenza, parlando proprio della finalità dell'indagine conoscitiva. Spero di non ricordarmi male. L'onorevole Scanu, che purtroppo oggi non c’è, ci disse che il Partito Democratico – non voglio farne una diatriba politica, è solamente un appunto – non ha intenzione di continuare ad acquistare gli F-35 e la mozione approvata dalla Camera e dal Senato era valida per fermare le acquisizioni. Io chiesi se il Ministero procedeva con le acquisizione dei nuovi lotti. Mi viene detto ora che queste acquisizioni sono in itinere e quindi il Governo non sta rispettando quella mozione. Vorrei sapere se su questo avete già delle documentazioni che il Ministero non ci ha fornito, e che magari sarebbe opportuno chiedere.
  Infine, l'onorevole Rossi ha detto che sarebbe interessante rivedersi per confrontarsi. Io credo che sarebbe interessante avere un confronto tra il dottor Vignarca e l'onorevole Rossi sulla difesa, da un punto di vista di «esplosione» delle documentazioni. Professionalmente ritengo che entrambe le figure potrebbero dare ampio respiro all'indagine.

  DOMENICO ROSSI. Ringrazio l'onorevole Artini anche della fiducia che ha in me, che è smisurata. Non ho ancora guardato i documenti, ma credo che possano essere la base per chiedere eventualmente al Dicastero della difesa delle risposte che siano formali.
  Io non sono entrato nel merito. Le mie sono delle osservazioni che si possono fare a latere, ma che non desidero rimangano agli atti, perché non sono il rappresentante formale del Ministero della difesa.

  PRESIDENTE. Era chiarissimo. Non si preoccupi.

  MICHELE PIRAS. Anch'io ringrazio i rappresentanti di «Sbilanciamoci !» e di Rete italiana per il disarmo. Credo che non si devono necessariamente prendere per oro colato le cifre presentate dalle organizzazioni non governative che oggi abbiamo audito. Ciò che trovo inaccettabile in generale è la danza delle cifre, e ciò che trovo inaccettabile per la massima istituzione democratica della Repubblica italiana è che nessuno di noi abbia certezza sull'ammontare complessivo del bilancio della difesa e sulla spesa relativa ai programmi d'armamento come quello degli F-35, e che tutto ciò avvenga come se fosse normale per un sistema democratico (che sicuramente è in crisi, ma che pare ancora essere tale).
  Dico questo con un'amara ironia: da quest'indagine conoscitiva per il momento noi non ci siamo chiariti le idee, se non per questo contributo. Abbiamo infatti assistito a un'esposizione orgogliosa delle luminose sorti delle politiche industriali di Finmeccanica, e all'elusione delle domande da parte di Iveco Defence, quando si è chiesto semplicemente di sapere quanto incideva rispetto i loro bilanci, in positivo o in negativo (anche se ne dubito) una missione militare all'estero.
  Inoltre, quando si è trattato di audire il Ministro della difesa, è stato anche contestato il fatto che si potesse mettere in relazione una scelta di rifinanziamento della missione all'estero con lo scopo dell'indagine conoscitiva e le politiche della difesa, quasi fossero due cose completamente separate, e più ascrivibili alle competenze della Commissione esteri che non a quelle della Commissione difesa.
  C’è un non detto in questo ragionamento che non ci consente di fare una scelta. Di conseguenza, leggerò con molta attenzione il documento conclusivo di quest'indagine conoscitiva prima di reputarlo utile a un assenso.
  Non si capisce quale sia in questo Paese la logica della cosiddetta spending review, che colpisce la parte debole del sistema della difesa. Mi riferisco ai lavoratori strozzati da un blocco contrattuale che risale al 2008, costretti anche ad acquistarsi Pag. 14l'abbigliamento dalla mancanza di fondi. Dall'altro lato noi assistiamo tranquillamente a un investimento in sistemi d'arma che ci dicono essere relativo alle nuove minacce provenienti dall'estero, che noi non riusciamo a cogliere nell'intensità dovuta di un'aggressione dei confini nazionali. Probabilmente non abbiamo neanche su questo sufficienti notizie. Sarebbe invece opportuno che ci venissero date.
  Il nostro modello di difesa sembra volgere verso una maggiore aggressività esterna, e questo è in conflitto con la nostra Costituzione. Del resto, stiamo andando verso una ridiscussione della Costituzione, e forse qualcuno ha intenzione di metterci le mani anche su questo punto. È tutto così contraddittorio che veramente sfugge il senso anche ai più complottisti di noi, affascinati da analisi di questo tipo.
  A cosa serve un F-35 se non in un'articolata definizione su scala internazionale dei compiti di aggressione e non di difesa, posto che noi saremmo protetti anche dall'articolo 5 della Carta atlantica, che vincola tutti i Paesi alla difesa in caso di aggressione ? Non c’è un problema immediato di difesa del confine nazionale, posto che le minacce, come dicono i maggiori analisti a livello internazionale, provengono più da fenomeni a bassa tensione e scarsamente intercettabili come il cosiddetto «terrorismo», piuttosto che da un'aggressione diretta a un Paese occidentale.
  Ovviamente la mia più che una domanda è una considerazione rispetto a quello che finora siamo stati capaci di sentire. Prima o poi nel Parlamento dovrà iniziare veramente una discussione sul modello di difesa, e bisognerà fare delle scelte nette. Io non credo che si possa difendere l'integrità di un territorio nazionale con le fionde, però non credo neanche che servano alcune opzioni che noi abbiamo scelto in questi anni. Penso che queste scelte servano ad altri, e questo è ormai palese, a meno che qualcuno di noi non abbia capito realmente nulla di quello che sta succedendo, e che volessimo ritenere tutte queste contraddizioni semplicemente frutto del caso o dell'improvvisazione delle scelte. Io personalmente non credo che sia così, altrimenti mancherei di rispetto ai Governi e alle maggioranze che si sono succeduti.

  LUCA FRUSONE. Sarò piuttosto breve e diretto. È stata molto interessante la prima parte dell'audizione, quando si parlava di spese militari e dei vari criteri che vengono adoperati. Oggi è il primo ottobre. Ieri dovevano essere rifinanziate le missioni all'estero, in cui vengono impiegati strumenti d'arma.
  Dato l'enorme lavoro che fate al di fuori di questo Palazzo (e di cui vi siamo grati), vorrei sapere se voi avete già un'opinione di questo limbo in cui noi ci troviamo, avendo i soldati all'estero, e delle istituzioni che si sono fatte trovare impreparate di fronte a questa scadenza.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

  LEOPOLDO NASCIA, Esperto della campagna «Sbilanciamoci !». In tutti i vostri interventi avete citato il modello di difesa. Nessuno di voi ha citato la politica industriale, che è sostanzialmente la prima giustificazione per il programma d'arma più costoso della storia: compriamo gli F-35 perché aumenterà l'occupazione. Questo non lo dico io, ma il Ministro della difesa. Nessuno di voi ha citato quest'aspetto importante relativo agli F-35.
  Quest'aspetto, oltretutto, è solo teorico, perché sui costi indiretti che sono stati chiesti, il Canada ha fatto uno studio indipendente che è citato nella mia relazione. Dopo l'analisi di questo studio, gli F-35 sono stati messi all'angolo. Il costo di esercizio degli F-35 è difficilmente quantificabile, perché dipende da come vengono armati e in quali missioni internazionali sono inviati, ma è altissimo.
  Oltretutto, riguardo al trasferimento di tecnologie, lo stabilimento di Cameri è un transplant sul modello della Nissan nel Regno Unito, in quanto lì l’F-35 viene semplicemente assemblato. Ci sarà forse qualche commessa di sviluppo, ma, per un motivo di segreto militare legittimo da Pag. 15parte degli Stati Uniti d'America, condividere i loro segreti con le nostre imprese non è esattamente un buon affare, e quindi non lo faranno.
  Per quanto riguarda l'integrazione, vorrei rammentare che con l’F-35 noi saremo forse insieme all'Olanda gli unici Paesi dell'area euro ad avere un prodotto che si compra in dollari. Anche da questo punto di vista non mi sembra che stiamo andando nella direzione del Trattato di Lisbona, anche perché, tra l'altro, non è un obiettivo di questo Trattato acquisire F-35. Non si va certo verso l'integrazione delle politiche europee di cui si parlerà nel Consiglio europeo di dicembre.
  È stata citata anche la spending review, che forse è stata la prima occasione persa per comprendere come migliorare il meccanismo di contrattazione, di decisione e di procurement militare. Infatti il vero significato di spending review è analisi della spesa pubblica, della sua efficacia e della sua miglior distribuzione. È il discorso che si faceva prima: quali uffici devono essere utilizzati, che metodi devono essere adottati per determinati costi, come contrattare, e quali strumenti devono essere acquistati. Si tratta quindi di un modello decisionale, ovviamente controllabile dalle istituzioni, verificabile, e anche confutabile sulle stime. Deve essere convincente il fatto che si compra l’F-35 invece dell’Eurofighter come sistema di difesa perché è coerente con i nostri obiettivi.
  La prossima occasione durante la quale si potrebbe rivedere questo strumento del procurement è la riforma della difesa. Potrebbe essere un'ulteriore occasione per rivedere in maniera un più efficiente l'acquisizione dei sistemi d'arma, dato che non ci possiamo difendere con le fionde. Invece di parlare di riconversione al civile, ormai stiamo parlando di riconversione al militare. Almeno nel caso di Finmeccanica, in maniera esplicita, si perde sempre di più il peso del settore civile per concentrarsi sul settore militare, che evidentemente è molto redditizio. Questo mi fa pensare che i tassi di profitto e i ritorni siano molto alti e dato che per Finmeccanica, sostanzialmente, il mercato di sbocco primario è l'Italia e i soldi gli arrivano dal bilancio pubblico, ciò rappresenta un ulteriore spunto di riflessione.
  Anche per quanto riguarda le missioni militari all'estero, andrebbe fatto uno sforzo di analisi della spesa pubblica, perché queste missioni si sono stratificate negli anni. Noi lasciamo sempre qualche soldato in vecchi teatri di crisi. Forse andrebbe chiarita, anche da parte del Ministero degli affari esteri, una visione delle strategie e di dove concentrare il nostro sforzo. Ormai c’è un costo fisso delle missioni di venti o trent'anni fa, dove lasciamo sempre qualche unità di personale, che sono diventate tante, più la parte variabile riguardante la crisi contingente. Anche su questo forse uno sforzo potrebbe esser fatto.
  Per chiudere, faccio una riflessione sulla necessità di un controllo parlamentare perché non avvengano mai incidenti come quelli per cui il lotto n. 8 o il lotto n. 9 degli F-35 siano già stati acquistati senza che il Parlamento o la Commissione difesa ne sappiano nulla. Si tratta di un indicatore gravissimo che getta molta preoccupazione sul controllo delle istituzioni sull'utilizzo dei soldi pubblici per acquisire sistemi d'arma.

  FRANCESCO VIGNARCA, Coordinatore della Rete italiana per il disarmo. Ringrazio voi per la grande attenzione. La volta precedente in cui siamo venuti avevamo ricevuto delle osservazioni che mettevano in discussione la nostra presenza qui. Oggi invece crediamo di aver dimostrato, come diceva l'onorevole Rossi, di avere un'impostazione che va al di là del nostro punto di partenza ideale e cerca di entrare nel merito.
  L'onorevole D'Arienzo diceva che dobbiamo stare tranquilli sul fatto che voi siete completamente coinvolti, ed è proprio per questo che veniamo qua, come abbiamo riconosciuto all'inizio. Vediamo in questa Commissione in particolare un'attenzione maggiore rispetto a questa tematica, anche se – questa è la mia critica – non vediamo a disposizione di Pag. 16questa Commissione gli strumenti per poter esercitare questa scelta. Il fatto che, come ha detto l'onorevole Duranti, vi vengono proposte delle decisioni da prendere sottoponendole alla vostra attenzione in maniera spezzettata non permette di avere quel quadro complessivo che è stato richiamato da tutti gli interventi. Se io a casa devo prendere quotidianamente una decisione singola e piccola, non riesco a gestire la mia casa nella maniera completa.
  Vi do ora quattro risposte secche a quattro domande altrettanto secche. Sulla legge n. 244 del 2012, noi ci siamo spesi in maniera sicuramente problematica e negativa rispetto alla revisione dello strumento militare, sia per le incidenze che ha sul personale sia per lo spostamento automatico delle risorse dal personale agli investimenti, senza ridefinire un quadro.
  Sull'aspetto legato alla procedura, invece, rispetto alla legge n. 244 del 2012 e alla riforma dello strumento militare che deve essere ancora completata con i decreti delegati, abbiamo detto che questo ci sembra l'unico spiraglio. Infatti, vediamo che adesso c’è effettivamente una possibilità in più per la Commissione di dare delle prescrizioni. L'onorevole D'Arienzo, giustamente, richiamava il fatto che la settimana scorsa la Commissione ha espresso nei pareri che ha reso delle osservazioni. Vi ricordo che nel 2009, quando questa Commissione ha dovuto dare il parere favorevole all’F-35 e ha dato come prescrizione che il Governo fornisse annualmente un update della situazione, quella prescrizione è stata lettera morta. Mai il Governo, prima della pressione popolare delle campagne, si era sentito in dovere di venire a raccontare come stavano andando le cose.
  Forse voi adesso avete qualche strumento in più, seppure ancora parziale. L'onorevole Artini diceva che il Ministero dovrebbe fare l'esecutore e non il comandante. Questo è ciò che avviene negli Stati Uniti d'America, che nel corso degli ultimi due o tre anni hanno avuto problematiche di budget molto forti – le stanno avendo anche in queste ore – che tuttavia il Pentagono ha addirittura prevenuto. Recentemente il Pentagono ha proposto un nuovo piano di investimenti futuri che prevede dei tagli ancora maggiori di quelli che si prospettavano, proprio essere pronto.
  Il Pentagono non interviene dicendo che i tagli non vanno fatti. Sicuramente nella discussione politica lo afferma, ma quello che decide in maniera forte l'esecutivo (come avviene in quella forma d'istituzione) viene eseguito. Al massimo si chiede al Pentagono di decidere, a fronte delle risorse che ha a disposizione, qual è il sistema d'arma migliore per gli obiettivi prefissati.
  Questo è il modello che, a nostro parere, dovrebbe funzionare anche qui. Non lo dico da disarmista, ma da cittadino italiano, che in ogni parte dell'amministrazione pubblica vorrebbe mettere in luce questo meccanismo.
  Noi sappiamo queste cose semplicemente perché il Dipartimento della difesa americano le pubblica. Io ho chiesto i dati ad ARMAEREO, che è una delle tre strutture di acquisizione, secondo l'accesso che mi è garantito dalla legge per quanto riguarda gli atti pubblici di contratti, e mi è stato rifiutato, dicendo che non possiamo rendere pubblici gli accordi con uno Stato terzo per ragioni di riservatezza. Ma se lo Stato terzo li rende pienamente pubblici e disponibili a tutti scaricandoli da un sito web, perché il Parlamento in primis e poi l'opinione pubblica non devono avere direttamente questi dati dalla propria struttura preposta all'interno del Ministero della difesa ?
  Mi sembra paradossale che noi dobbiamo sapere le cose dall'esterno. Questa è la nostra preoccupazione a proposito di quello che diceva l'onorevole D'Arienzo. Nel passato invece queste informazioni venivano date, e ci voleva un po’ prima di acquisire la discrepanza. Come dicevo, noi siamo venuti nel febbraio 2012 a dare alcuni dati sul sistema degli F-35, che solo a settembre sono stati riconosciuti come corretti dal Segretario generale della difesa. Nel mio mondo ideale dovrebbe succedere il contrario.Pag. 17
  Lascerei uno spazio al collega Simoncelli riguardo all'aspetto dedicato alle minacce vere e alla possibilità di rispondervi. Concludo, invece, parlando del quadro integrato. Anche noi crediamo che ci sia una grande occasione in questa Commissione e soprattutto nel Consiglio europeo di dicembre. Come richiamava all'inizio l'onorevole Corda, noi siamo disarmasti «per asintoto» (permettetemi di usare questo termine da fisico quale io sono). Questo ovviamente è ciò a cui noi tendiamo. Intanto bisogna fare tutti i passaggi per arrivarci.
  Noi crediamo che il quadro europeo sia un passaggio molto forte in questo senso. Tuttavia, come dicono militari, ex capi di stato maggiore della Difesa e ex generali, se non c’è una politica estera forte non ci può essere una politica di difesa. Non sto parlando di una politica di difesa forte, ma di una politica di difesa.
  Noto en passant che la possibilità di mettere insieme l'esercito europeo o una funzione di difesa europea permetterebbe, peraltro, un risparmio non banale. Alcune stime minimali mostrano che la risistemazione dei ventisette eserciti con i requisiti di Petersberg, votati internazionalmente, permetterebbe, solo in termini di stipendi, di risparmiare a livello europeo 10 miliardi di euro all'anno. Se invece facciamo un discorso di efficienza pura, paragonando l'esercito europeo e quello americano, quindi con un alto standard, potremmo risparmiare, sui circa 195 miliardi di euro che i Paesi europei danno ogni anno per la spesa militare, dai 100 ai 120 miliardi di euro, cioè più della metà.
  Credo che l'Europa, e anche l'Italia che da questa ripartizione potrebbe avere 14 miliardi di euro all'anno di risparmio, potrebbero fare buon uso di questi soldi. Questa è la nostra prospettiva. Solo in questo quadro, conoscendo veramente le minacce, sapremo se è più importante difenderci con le fionde e con gli aerei, oppure con investimenti nel welfare, nella società e in quella che, a proposito di gestione di conflitti, in termini internazionali viene chiamata la «sustainable security». Non è solo un problema di difesa e di risposta militare, ma anche di sicurezza.
  Tra l'altro, sono stati appena pubblicati dei dati nella Gran Bretagna che dimostrano che la ricerca e sviluppo militare, che viene sempre vista come un gioiello rispetto all'investimento militare, in realtà ha molto meno impatto positivo della ricerca sulla sicurezza sostenibile, che di solito equivale a cercare di eliminare le radici dei conflitti.
  Questo è il quadro in cui ci ascriviamo e su cui stimoliamo anche la discussione del Parlamento.

  MAURIZIO SIMONCELLI, Vicepresidente dell'Istituto di Ricerche internazionali Archivio disarmo per Rete italiana per il disarmo. Probabilmente mi conoscete perché vi arrivano periodicamente dei nostri materiali. Proprio stamattina vi abbiamo inviato un ultimo paper che confronta l’Eurofighter e l’F-35, con i problemi occupazionali.
  Concluderò in maniera molto rapida, anche perché si avvicina l'ora in cui riprenderanno i lavori dell'Assemblea. Si è parlato di modello di difesa e di strumenti per una politica di difesa. Questo è fondamentale. Noi dal 2002 non abbiamo più un modello di difesa. Andiamo avanti con il vecchio modello di difesa che è ormai pluriennale. Si dice che ce l'abbiamo perché aderiamo alla NATO o all'Unione europea che ha una sua politica estera, ma all'interno di questo quadro generale ci possono essere tante diverse politiche della difesa. Ad esempio, la Germania può partecipare o meno alle missioni internazionali, come sappiamo.
  La questione più importante però è un'altra. Domani vi manderò due nostri studi che abbiamo fatto l'anno scorso proprio sulla strategia di sicurezza della NATO e quella dell'Unione europea, da cui emergono alcuni elementi riguardo alle minacce che noi dobbiamo considerare all'interno di questo modello di difesa. Le minacce, viste da queste due grandi organizzazioni a cui noi facciamo riferimento, sono: in primo luogo la proliferazione Pag. 18nucleare; in secondo luogo il terrorismo; in terzo luogo l'immigrazione incontrollata, e in ultimo il riscaldamento globale. Sono questi i quattro elementi che sia l'uno che l'altro studio riportano.
  Noi, rispetto a questo, dobbiamo decidere che tipo di armi e che tipo di strumento militare dobbiamo avere. Dopodiché possiamo ragionare sugli F-35, sugli Eurofighter, sul tipo di carro armato, e sul tipo di missioni di peacekeeping a cui partecipare. Altrimenti giriamo a vuoto, e andiamo di volta in volta a tappare dei buchi.
  Quali sono i nostri punti deboli nazionali ? La nostra grande vulnerabilità nazionale è legata alle importazioni energetiche. Ci sono poi la questione dell'immigrazione, dato che siamo la punta avanzata nel Mediterraneo, e la nostra dipendenza tecnologica dall'estero, che tra l'altro si ricollega a tutto il discorso sugli F-35. Queste vulnerabilità sono state messe in evidenza non solo dall'Archivio disarmo, ma anche da altre istituzioni.
  Rispetto alle minacce vere e proprie, e ai nostri punti di debolezza, il Parlamento e il Governo (secondo la Commissione Paladin che anni fa ne ha parlato) devono mettere a punto la strategia di sicurezza nazionale. Altrimenti andiamo a mettere di volta in volta le toppe a un sistema che non può reggere. Ci troviamo a comprare oggi una portaerei e domani un aereo o un carro armato, ma a che cosa ci servono ?
  Analisi condivise ci dicono che non esiste una minaccia militare nei confronti dell'Italia, come poteva esistere, almeno sulla carta, venticinque anni fa con l'invasione delle truppe sovietiche nell'Europa. Oggi nessuno ci può attaccare militarmente. Nell'ambito del Mediterraneo abbiamo alleati o comunque Paesi con cui abbiamo rapporti di buon vicinato. Non esiste una minaccia militare. Le minacce sono quelle di cui parlavamo e alla luce di questo lo strumento militare si deve adeguare. Se c’è un pericolo di proliferazione nucleare, noi dobbiamo rispondere in quella prospettiva, e quindi il Ministero degli affari esteri deve attivarsi sul piano del rafforzamento del Trattato di non proliferazione nucleare.
  Ciò vale per tutte le altre minacce. Gli F-35, le portaerei o i carri armati servono effettivamente per risolvere il problema del terrorismo ? Per quanto riguarda l'immigrazione clandestina, non fermiamo certamente i barconi nel Mediterraneo con le portaerei o con i cacciabombardieri. Forse c’è bisogno di un altro tipo di approccio.
  Secondo me è importante che il Parlamento si faccia promotore di un impegno per arrivare insieme al Governo a definire una strategia di sicurezza nazionale, altrimenti di volta in volta andremo a mettere delle toppe, e non se ne esce mai. Dopodiché potremo decidere giustamente se ci serve l’Eurofighter o l’F-35. Diversamente giriamo in modo improprio e non riusciamo a definire il nostro obiettivo. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi, anche per averci fornito la documentazione di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico dell'audizione odierna, (vedi allegati), nonché tutti i colleghi intervenuti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.45.

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ALLEGATO 2

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