XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III-IV Camera e 3a-4a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 16 di Giovedì 19 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 2 

Comunicazioni del Governo sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 2 
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 3 
Pinotti Roberta , Ministra della difesa ... 6 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 13 
Casini Pier Ferdinando , Presidente della 3a Commissione del Senato ... 13 
Vito Elio (FI-PdL) , Presidente della IV Commissione della Camera ... 13 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 14 
Amendola Vincenzo (PD)  ... 14 
Palazzotto Erasmo (SEL)  ... 16 
Minzolini Augusto  ... 18 
Santangelo Vincenzo  ... 19 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 20 
Scanu Gian Piero (PD)  ... 21 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 22 
Scanu Gian Piero (PD)  ... 22 
Chaouki Khalid (PD)  ... 23 
Artini Massimo (Misto-AL)  ... 24 
Palmizio Elio Massimo (FI-PdL)  ... 26 
Manciulli Andrea (PD)  ... 26 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 27 
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 27 
Pinotti Roberta , Ministra della difesa ... 29 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 32

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Comunicazioni del Governo sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca comunicazioni del Governo sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione.
  L'audizione si svolge in adempimento all'obbligo previsto dall'articolo 10-bis della legge n. 13 del 24 febbraio 2012 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge di proroga delle missioni internazionali 29 dicembre 2011, n. 215, ai sensi del quale i Ministri degli affari esteri e della difesa, con cadenza quadrimestrale, rendono comunicazioni alle Commissioni parlamentari competenti sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione. Ricordo che l'ultima seduta di comunicazione si è svolta il 3 settembre 2014.
  Do, quindi, il benvenuto ai Ministri degli affari esteri e della difesa, onorevole Paolo Gentiloni e senatrice Roberta Pinotti, che ringrazio per la loro disponibilità allo svolgimento della seduta odierna.
  Do il benvenuto anche ai presidenti senatori Pier Ferdinando Casini e Nicola Latorre, nonché ai colleghi senatori e deputati presenti.
  Colleghi, io sono certo di interpretare i sentimenti di tutti i colleghi parlamentari presenti nell'esprimere un profondo cordoglio alle famiglie delle vittime del grave attentato avvenuto ieri a Tunisi e solidarietà ai nostri connazionali che sono stati colpiti in tale circostanza. Per questo motivo fisso un minuto di silenzio.

  (Le Commissioni osservano un minuto di raccoglimento).

  PRESIDENTE. Quanto è avvenuto a Tunisi ha già costituito oggetto di riflessione e di dibattito in occasione dell'intervento del Presidente Renzi ieri in Aula, sia alla Camera, sia al Senato. Oggi quelle considerazioni si devono declinare nel contesto specifico dell'impegno dell'Italia nell'ambito delle missioni internazionali, che si somma a quello per il contrasto al terrorismo di matrice fondamentalista.
  La Tunisia e la Libia sono i nostri vicini più prossimi, nonché interlocutori imprescindibili, sia per il nostro Paese, sia per l'Unione europea, ai fini di ogni sforzo finalizzato al ripristino di un quadro di pace e di sicurezza nel contesto regionale.
  Indubbiamente i fatti di Tunisi rappresentano l'ennesima sfida ai valori che sono alla base della Carta delle Nazioni Unite, della Carta dei diritti dell'Unione europea e della stessa nostra Costituzione.
  Aggiungo anche che, come Commissione affari esteri della Camera, recentemente Pag. 3una nostra delegazione si è recata a Tunisi. È molto forte, dunque, il nostro rapporto di solidarietà, avendo colto anche il fatto che ci si trovava di fronte e ci si è trovati di fronte all'unico processo che abbia portato a uno sbocco democratico e a una delle più significative vicende delle primavere arabe.
  Io credo che anche in questo quadro vada considerato ciò che è avvenuto, ossia l'attacco terrorista che cerca di spezzare questo tipo di realtà democratica che si è costruito in quel Paese. Lo esprimo in termini meno aulici di quanto non sia scritto nello speech: abbiamo il consueto problema di orari. Ci sono queste occasioni che sono, se non vogliamo rendere tutto formale, delle occasioni reali di dibattito e di confronto. Abbiamo addirittura due ministri e, quindi, abbiamo l'occasione forse per fare un confronto più approfondito di quello che abbiamo potuto fare ieri, sia al Senato, sia alla Camera, sulle scarne dichiarazioni del Presidente del Consiglio. Abbiamo, però, un problema di orari, perché alle ore 15 iniziano le votazioni del Parlamento in seduta comune per l'elezione dei giudici della Corte costituzionale.
  Per guadagnare dei tempi e degli spazi, io proporrei che i senatori, che credo votino per primi, vadano alla seconda chiama, in modo tale che possiamo guadagnare mezz'ora di spazio per quello che riguarda il dibattito.
  Se i presidenti delle altre Commissioni non intendono aggiungere nulla, do subito la parola al Ministro degli affari esteri, onorevole Paolo Gentiloni.

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, presidente e colleghi. Naturalmente, noi riferiamo, come previsto dalla legge, alle Commissioni riunite in un contesto particolare. Pertanto, non posso che partire da quello che è accaduto ieri, dalle implicazioni, dalle conseguenze e dalla collocazione di quello che è accaduto ieri nel contesto, che comunque è il contesto di cui ci occupiamo nella nostra discussione sulle missioni.
  Non c’è dubbio che i fatti di ieri rappresentino un nuovo momento in una minaccia terroristica che è una minaccia evidente e non c’è dubbio che questa minaccia richieda, dal punto di vista parlamentare, una risposta ferma e unitaria.
  Sui fatti di ieri non farò ricostruzioni particolarmente dettagliate. Mi limito a ricordare che non è ancora chiaro dalle ricostruzioni del Governo tunisino se l'attacco fosse diretto al Parlamento, dove, come sapete, era all'ordine del giorno un provvedimento antiterroristico, o direttamente al Museo del Bardo, per colpire una delle principalissime attività economiche dello Stato tunisino, ossia la sua immagine internazionale e il turismo.
  Quello che è certo è che sono stati colpiti innanzitutto alcuni turisti italiani nell'autobus n. 27 della Costa Fascinosa, che era subito fuori dell'ingresso del Museo del Bardo. Lì ci sono stati alcuni primi colpi di arma da fuoco, con alcune vittime e feriti.
  Poi c’è stato il sequestro di una ventina di ostaggi. Un centinaio di altri italiani che erano presenti nel Museo del Bardo sono stati fatti evacuare e sono riusciti a fuggire. Dopo circa quattro ore sono intervenute le forze speciali tunisine.
  Il bilancio complessivo è quello che sapete bene. Il bilancio delle vittime italiane fa stato, al momento, di due persone identificate e decedute e di due persone che in questi casi vengono definite «irreperibili», il che vuol dire che, purtroppo, si nutrono timori molto seri nei loro confronti. Noi, però, non diamo comunicazioni ufficiali finché queste persone non sono state fisicamente identificate. Le famiglie, ovviamente, sono già state avvisate. Si aggiungono alcuni feriti, di cui uno in condizioni particolarmente gravi. Questo è, al momento, il bilancio.
  Quanto al contesto politico, io ho certamente rappresentato sia al Primo ministro Essid, sia al Ministro degli esteri Baccouche la nostra vicinanza e ho chiesto di collaborare il più possibile con le nostre autorità, con l'Ambasciata e con le persone dell'Unità di crisi della Farnesina che sono andate lì stamattina per assistere il Pag. 4più possibile le famiglie dei feriti e delle vittime nel contesto difficilissimo in cui si trovano.
  Su chi sia stato l'autore dell'attentato non esistono ancora – per essere chiari – certezze. Certamente in Tunisia c’è una presenza storica di Ansar al-Sharia a Tunisi. Ansar al-Sharia in Tunisia è stata messa fuorilegge dal Parlamento due anni fa, il che ha provocato il fatto che una parte dei militanti di Ansar al-Sharia tunisina siano andati fuori.
  Infatti, nel conteggio che c’è a livello internazionale sui foreign fighters, quelli tunisini appaiono molto numerosi, con cifre oscillanti tra i 1.500 e i 2.000. Voi sapete che in Italia, quando si parla di foreign fighters, si parla di cifre enormemente più limitate.
  Tuttavia, pur essendo diverse le matrici di Ansar al-Sharia e di Daesh, oggi è difficile distinguere. Ci sono rivendicazioni da parte di più siti e di più sigle, ma certamente c’è un riavvicinamento anche in Libia tra le posizioni di Ansar al-Sharia tunisina e Daesh.
  Io penso che quello che è successo a Tunisi rilanci la necessità da parte nostra, come Governo e come Parlamento, di avere una strategia per il Mediterraneo che non sia puramente ed esclusivamente concentrata sul tema del terrorismo. Ne faccio un rapidissimo accenno perché penso che sia rilevantissimo anche per la diplomazia parlamentare, per l'attività delle nostre Commissioni e non solo per l'attività del Governo.
  Deve essere molto chiaro che c’è una questione mediterranea di cui noi vediamo alcuni elementi – certamente la minaccia terroristica è uno di essi – ma che va affrontata in modo complessivo. Pertanto, c’è bisogno di cooperazione economica, istituzionale e culturale.
  Il decreto-legge che è in via di conversione prevede, per fortuna, qualche piccola risorsa in più per la cooperazione, ma siamo ancora a livelli non paragonabili a quelli dei principali Paesi occidentali. Richiede un lavoro di isolamento delle posizioni estremistiche e terroristiche nelle comunità islamiche e un lavoro di sostegno ai Paesi chiave della stabilità del Mediterraneo, dall'Egitto, al Marocco, all'Algeria.
  Naturalmente, mi riferisco in particolare a un Paese come la Tunisia, per la sua particolare fragilità, ma anche per la straordinaria esperienza di cui è stato protagonista. Sappiamo che in Tunisia c’è attualmente un Governo a maggioranza laica, di cui fa parte un Ministro del lavoro appartenente al partito islamico. Sappiamo che fino a un anno fa c'era una situazione opposta. C’è stata in questi anni, quindi, un'alternanza di governo.
  Abbiamo bisogno di un impegno dell'Unione europea nell'Agenda delle migrazioni e sul fronte economico e logistico nettamente maggiore, per il quale ci stiamo battendo su tutto il versante Triton-Frontex. Abbiamo bisogno di stabilizzazione della Libia. Forse abbiamo bisogno di tante altre cose, ma gli assi principali di una politica per il Mediterraneo oggi, a mio parere, devono essere molto presenti alla nostra discussione a livello di governo e a livello parlamentare affinché non usciamo da questa situazione di crisi soltanto con gli elementi che sono indispensabili, quali la sicurezza, l’intelligence, la difesa delle nostre frontiere e dei target sensibili, ma con una politica.
  Quella in Libia, come sapete, è tuttora una situazione in cui la comunità internazionale scommette sulle possibilità di negoziato, a cui sta lavorando l'inviato speciale delle Nazioni Unite, che dovrebbe riprendere in questi giorni a Rabat. Noi dobbiamo avere la consapevolezza e trasmetterla a tutte le parti in causa – io personalmente l'ho fatto negli ultimi giorni, nelle ultime settimane, con colleghi e ministri degli esteri di quasi tutti i Paesi coinvolti, incluso il Ministro degli esteri di Tobruk – che non esistono alternative realistiche a un'intesa fra componenti libiche. Può essere un'intesa al 100 per cento o al 70 per cento, ma solo su un'intesa tra componenti libiche la comunità internazionale può costruire una presenza di sicurezza, monitoraggio e cooperazione economica degna di questo nome.Pag. 5
  Fuori da questa soluzione c’è molto che può fare la comunità internazionale, ma stiamo parlando di azioni che la comunità internazionale può fare per contenere la minaccia terroristica, non per pacificare la Libia. La pacificazione della Libia ha bisogno di una base negoziale tra libici. Altro sono le operazioni di containment o antiterrorismo che la comunità internazionale può e deve fare a prescindere.
  Per quanto riguarda – mi avvio a concludere la mia introduzione, perché so che il ministro della difesa entrerà molto più nel merito dei diversi teatri e delle diverse missioni – in generale, la battaglia contro il terrorismo e la nostra partecipazione alla coalizione anti-Daesh, ne conoscete i contorni. Dal punto di vista militare essi saranno ulteriormente precisati nell'intervento del Ministro Pinotti.
  Voglio solo aggiungere, perché è un'attività che è cominciata proprio stamattina a Roma, che noi presidiamo, insieme agli Stati Uniti e all'Arabia Saudita, un gruppo della coalizione anti-Daesh che si occupa specificamente di contrasto al finanziamento al terrorismo, con funzionari del Ministero dell'economia e del Ministero degli affari esteri. È uno dei quattro gruppi di lavoro sui quali si è articolata la coalizione anti-Daesh a livello internazionale. Noi partecipiamo a tutti i gruppi di lavoro e siamo presidenti, insieme a Stati Uniti e Arabia Saudita, di quello di contrasto al finanziamento.
  Sapete che sul piano militare sono stati ottenuti dei risultati interessanti dalla coalizione anti-Daesh, ma questi risultati interessanti sono molto collegati alla delicatezza del contesto politico in cui si inseriscono, tanto in Iraq, quanto in Siria.
  I problemi sono diversi, ma in Iraq certamente il problema fondamentale è continuare nella pressione nei confronti del Governo di Baghdad perché abbia una politica inclusiva verso le comunità sunnite e la minoranza curda. Se non si prosegue su questa strada, che è stata virtuosamente imboccata dal Governo al-Abadi, contrariamente al Governo precedente, dobbiamo sapere che anche i successi sul piano militare sono problematici.
  Adesso nella coalizione si discute molto di come, quando e in quali condizioni affrontare il tema della città di Mosul, che è la seconda città più importante dell'Iraq. Certamente la liberazione di Mosul dal Daesh deve essere una liberazione nella quale siano pienamente coinvolte forze e comunità sunnite. Diversamente, la liberazione di Mosul potrebbe rivelarsi un rischio dal punto di vista del prosieguo della campagna anti-Daesh.
  Allo stesso modo, in Siria vorrei solo segnalare, perché è di attualità, il fatto che cresce nella comunità internazionale la consapevolezza di quella che è stata a lungo una convinzione del Governo italiano anche da parte di ministri che mi hanno preceduto, ossia che si abbia bisogno in Siria di un processo di transizione. Questo non vuol dire certamente dimenticare le responsabilità e il ruolo del dittatore Bashar al-Assad, responsabile di decine o addirittura di centinaia di migliaia di vittime, ma fare i conti con un processo di transizione. Questa posizione mi pare sia sempre più chiaramente la posizione anche degli Stati Uniti, della Germania e dell'insieme della comunità internazionale, il che rafforza il ruolo dell'inviato dell'ONU Staffan De Mistura.
  Infine, svolgo due accenni. In primo luogo, una delle nostre missioni principali, come sapete, è UNIFIL. A sud del Libano c’è stata un paio di mesi fa, come ricorderete, una fiammata di tensione che ha portato anche, tra l'altro, nell'ambito della risposta militare israeliana, alla morte di un soldato spagnolo del contingente UNIFIL. Al momento la situazione, dopo due o tre giorni di grave tensione, è tornata in condizioni normali, ma non c’è dubbio che, l'evoluzione del contesto internazionale, i risultati delle elezioni israeliane e la tensione che c’è tra il Governo israeliano e il negoziato sul nucleare tra Iran e Stati Uniti possano riproporre nelle prossime settimane o nei prossimi mesi elementi di tensione con Hezbollah al confine sud del Libano.
  Da ultimo, anche se non è direttamente connesso con le nostre missioni, Pag. 6vorrei dire che, per quanto riguarda il caso dei nostri fucilieri di Marina, come sapete, continuano i contatti tra i due Governi per cercare una soluzione «concordata» alla vicenda. Il protrarsi della vicenda noi lo consideriamo assolutamente inaccettabile. Questa soluzione concordata, negoziata, deve essere, quindi, raggiunta molto a breve.
  In questo contesto noi abbiamo posto con forza di nuovo la questione all'attenzione del Segretario generale dell'ONU, innanzitutto ringraziandolo per averla già sollevata a metà gennaio, quando ha incontrato il Presidente Modi, e sollecitando nuovamente un intervento in questa direzione, che il Segretario generale Ban Ki-Moon si è riservato di fare nelle prossime settimane.
  Grazie.

  ROBERTA PINOTTI, Ministra della difesa. Saluto il presidente e i colleghi. Come ha detto il Ministro degli affari esteri nel quadro generale che lui ci ha fatto, io mi inserisco parlando, missione per missione, dell'intervento più specifico relativo a quello che facciamo come difesa e ad alcuni elementi di analisi sul tema della sicurezza nei teatri in cui ci troviamo a operare.
  Il Parlamento e il Governo si trovano oggi a esaminare un quadro di situazione internazionale particolarmente complesso, come probabilmente non avveniva da tempo. Per molti anni abbiamo discusso di crisi in diverse regioni calde del mondo consapevoli che esse ci riguardavano anche quando non erano vicine ai nostri confini o non proiettavano direttamente i loro effetti sull'Italia. Ci riguardavano per il fatto stesso di essere noi parte di una comunità internazionale e, come tali, necessariamente responsabili, insieme agli altri, della pace e della sicurezza globale.
  Ora, però, le crisi si sono avvicinate molto. Sono prossime. Hanno progressivamente assunto carattere di crescente pericolosità per il nostro Paese e ci coinvolgono direttamente in termini di rischi per la sicurezza, oltre che, naturalmente, per le loro conseguenze in termini economici.
  In questo nuovo e più rischioso contesto le decisioni che siamo chiamati ad assumere, pur rimanendo saldamente ancorate alle linee della nostra politica estera, acquisiscono con crescente evidenza anche un profilo di politica di sicurezza e di difesa. Sono questi i temi assolutamente centrali per la nostra collettività nazionale, sui quali il Governo, in analogia con quanto ha fatto sinora, intende procedere insieme al Parlamento, assicurando da parte sua la massima trasparenza sulle decisioni assunte.
  Il Nord Africa deve rappresentare, io credo, la prima delle nostre preoccupazioni. A seguito dell'aggravarsi della minaccia terroristica, resa di drammatica evidenza anche dagli eventi di ieri in Tunisia sui quali il Ministro degli affari esteri ha riferito, si è reso necessario un potenziamento del dispositivo aeronavale dispiegato nel Mediterraneo centrale al fine di tutelare i molteplici interessi nazionali, oggi esposti a crescenti rischi determinati dalla presenza di entità estremiste, e assicurare coerenti livelli di sicurezza marittima.
  Le Forze armate stanno operando con un'intensità elevata, dispiegando, in aggiunta a quanto ordinariamente fatto, ulteriori unità navali, team di protezione marittima, aeromobili ad ala fissa e rotante, velivoli a pilotaggio remoto e da ricognizione elettronica, tanto per la protezione delle linee di comunicazione dei natanti commerciali e delle piattaforme off-shore nazionali, quanto per la sorveglianza delle formazioni jihadiste. Il tutto è integrato nell'operazione alla quale è stato attribuito il nome di Mare Sicuro, anche per analogia semantica con quanto avviene sul territorio nazionale, Strade Sicure, che, come sapete, stiamo potenziando con questo decreto-legge.
  Prosegue anche la stretta collaborazione con la Tunisia, Paese amico e, come abbiamo visto, fortemente minacciato dall'instabilità e dalla presenza di forze radicali, che costituisce un partner per noi fondamentale per la stabilità nella regione. Pag. 7Noi intendiamo continuare a sostenere le capacità delle forze di sicurezza tunisine anche con la fornitura di visori notturni – si tratta di una richiesta che ci avevano fatto e a cui stiamo rispondendo positivamente – di differente tipologia, fondamentali per controllare le frontiere con la Libia.
  In Libia il quadro della sicurezza è in progressivo peggioramento. Accanto alle conflittualità fra le due principali compagini in lotta, composte ciascuna di molteplici fazioni e facenti capo rispettivamente ai Governi insediati a Tobruk e a Tripoli, aumenta l'attivismo dei gruppi jihadisti di varia matrice, i quali hanno espanso il loro raggio d'azione raggiungendo anche la capitale.
  In termini prettamente militari, uno dei motivi di rinnovata preoccupazione è rappresentato dal più ampio ricorso ad attacchi aerei, sia da parte delle forze di Tobruk, sia, più recentemente, su scala minore, da parte delle forze di Tripoli. Si tratta di un segnale del continuo arrivo in Libia di nuove forniture militari, malgrado l'embargo decretato dalle Nazioni Unite.
  Scendendo più nei dettagli, a Tripoli si registrano continui episodi di violenza, tanto di matrice terroristica, segnale di un'infiltrazione di elementi radicali in una città comunque controllata da forze islamiste, quanto di natura più banalmente criminale.
  La città di Bengasi è in parte controllata dalle forze che si riconoscono nel Governo di Tobruk, ma rimangono forti sacche di resistenza del Consiglio della Shura, formazione islamica estremista. Molti degli impianti petroliferi del Paese sono stati in varia misura danneggiati, riducendo drasticamente la capacità di produzione e di esportazione di petrolio.
  A fronte del perdurante caos istituzionale che attraversa questo Paese e dei crescenti rischi per la sicurezza, l'Italia ha ulteriormente innalzato il suo livello di allerta e incrementato l'attenzione politica e diplomatica, come peraltro reso evidente anche dagli interventi del Presidente del Consiglio, che in più occasioni, nazionali e internazionali, si è espresso al riguardo.
  Fin da subito, ossia dopo la formazione a Tripoli del primo legittimo Governo dopo l'era Gheddafi, l'Italia si era resa disponibile per assistere le nuove forze armate libiche nel difficile processo di ricostruzione. Nel corso del 2013 e del 2014 abbiamo ospitato nelle nostre basi addestrative centinaia di militari libici, completamente riaddestrati dalle nostre Forze armate secondo gli standard internazionali. Purtroppo, quell'esperienza non è potuta continuare per il collasso istituzionale di cui ho appena parlato.
  L'Italia, tuttavia, è pronta a tornare a giocare un ruolo di rilievo in una futura eventuale iniziativa della comunità internazionale che fosse volta alla stabilizzazione e alla ricostruzione istituzionale del Paese. Certamente non intendiamo farlo da soli, ma solo in un quadro di piena legittimità internazionale sancito dalle Nazioni Unite e sostanziato dalle organizzazioni regionali. Perché ciò possa avvenire serve un preliminare accordo delle parti in causa, il che, a sua volta, postula un rinnovato sforzo diplomatico per la composizione del conflitto.
  Esiste, in sostanza, un continuum logico e temporale fra le attuali azioni diplomatiche portate avanti dalle Nazioni Unite, azioni che l'Italia sostiene con vigore, un conseguente e auspicato accordo fra le parti in lotta per una soluzione condivisa e un eventuale supporto all'azione di stabilizzazione in Libia, nonché una connessa azione di assistenza alle forze di sicurezza locali, riprendendo il programma di addestramento bruscamente interrotto alcuni mesi or sono.
  In tutte queste fasi e per tutte queste azioni esiste la convinta adesione dell'Italia, che, operando nel quadro delle Nazioni Unite, ma anche dell'Unione europea e della NATO, sta sollecitando tutti gli attori internazionali ad assumere con urgenza le iniziative necessarie a raffreddare la crisi. Da parte nostra, come detto più volte, siamo pronti a contribuire con responsabilità per far sì che quel Paese a noi Pag. 8così vicino esca dall'attuale condizione di forte instabilità e si avvii verso un nuovo e rassicurante equilibrio.
  Relativamente all'attuale presenza di forze italiane in Libia, preciso che sin dal giugno 2014 il lento ma costante degenerare del quadro di sicurezza ha comportato un parallelo decremento tanto delle attività condotte a livello bilaterale, segnatamente la missione italiana in Libia per le attività di assistenza, supporto e formazione delle forze armate locali, quanto di quelle inserite in un contesto europeo, ovvero l'EUBAM, per l'assistenza e il controllo delle frontiere e la EU delegation.
  Il decremento dei livelli di sicurezza in Libia ha implicato inizialmente, ossia prima e durante la stesura del decreto-legge di proroga delle missioni, la necessità di rivedere in senso riduttivo la presenza nazionale nelle citate iniziative da 100 a 30 unità complessive in media. Allo stato attuale, in ragione dell'ulteriore aggravarsi della situazione in Libia, che ha comportato dapprima lo schieramento delle missioni di cui sopra in Tunisia e successivamente il ripiegamento del nostro personale, si è reso necessario un temporaneo azzeramento della presenza nazionale in tale teatro. Non appena sarà necessario e le condizioni di sicurezza torneranno a essere accettabili, considereremo di nuovo la possibilità di una rinnovata presenza in Libia.
  Analogamente, è da intendersi sospesa l'attività della Guardia di finanza per garantire l'adeguamento delle unità navali cedute dal Governo italiano a quello libico per lo svolgimento di attività addestrativa del personale della guardia costiera libica. Rimane, invece, attiva la cooperazione militare con i Paesi confinanti con la Libia, i quali condividono le nostre stesse preoccupazioni per la forte instabilità che proviene da quel Paese.
  La minaccia rappresentata dall'ISIS, oltre che in Libia, è naturalmente presente con ben maggiore intensità nella regione del vicino e Medio Oriente. La comunità internazionale, incluso un consistente numero di Paesi arabi e di fede islamica, sta operando da mesi per contenere l'espansione dell'ISIS tanto in Iraq, quanto in Siria, nonché per ripristinare un certo livello di capacità operative delle forze di sicurezza irachene, incluse quelle della componente curda.
  La coalizione militare sta operando in questa prima fase di una campagna che si profila come non breve per degradare le capacità militari dell'ISIS, neutralizzando dall'aria le loro posizioni militari più forti, i centri di comando e controllo e la logistica. L'effetto già raggiunto è significativo, tanto che tale organizzazione non riesce più a imbastire operazioni offensive su larga scala e ha dovuto, anzi, ritirare le sue forze da diversi punti del fronte.
  Simmetricamente, le forze irachene curde sono in via di riorganizzazione e riescono a operare con maggiore efficacia sul terreno, procedendo anche con operazioni finalizzate a riconquistare primi lembi di territorio sotto il controllo dell'ISIS.
  Attualmente, le operazioni principali delle forze irachene sono in corso su tre diversi fronti. Il primo è quello della regione di Anbar, dove l'esercito iracheno e le milizie delle tribù sunnite stanno facendo progressi a nord di Falluja. Il secondo è verso Tikrit, dove l'offensiva via terra è iniziata il 2 marzo e vede l'impegno delle forze regolari irachene affiancate da circa 30.000 miliziani sciiti. Il terzo è attorno a Kirkuk, dove i peshmerga curdi hanno preso il controllo di un'importante intersezione viaria in direzione di Mosul.
  L'Italia, com’è ben noto, è parte della vasta coalizione multinazionale fin dalla scorsa estate e, come riferito più volte di fronte al Parlamento, ha messo in atto misure di assistenza umanitaria e militare a favore delle legittime autorità in Iraq e nella regione del Kurdistan iracheno.
  Dopo le forniture di aiuti umanitari e di alcune partite di armamenti leggeri e controcarro, di cui ho dato conto nel corso delle precedenti audizioni, che sono in via di completamento, abbiamo proceduto, come previsto, allo schieramento in teatro di una componente aerea costituita da un Pag. 9velivolo KC-767 da rifornimento in volo, sistemi a pilotaggio remoto tipo Predator per la sorveglianza e quattro velivoli tipo Tornado per la ricognizione, con i relativi supporti logistici e tecnologici per farli operare in piena efficienza e sicurezza.
  Nessuno di questi asset è dotato di armamento offensivo. La loro missione consiste nel raccogliere le informazioni necessarie a sorvegliare le regioni più critiche in Iraq, escluso il sorvolo della Siria e gli spostamenti delle forze dell'ISIS.
  Procede anche il previsto invio di personale addestratore, che ha già avviato i primi corsi di istruzione a favore delle forze locali. Progressivamente, come già annunciato da ultimo lo scorso 17 dicembre alle Commissioni affari esteri e difesa di Camera e Senato, giungeremo a una presenza media di 280 nostri militari dispiegati con funzioni addestrative fra la regione curda e i comandi delle forze irachene.
  Il Governo ha deciso un impegno significativo per contrastare l'ISIS, in coerenza con la volontà prevalente espressa dal Parlamento nel corso delle precedenti audizioni. Complessivamente includendo sia la componente aerea, sia quella addestrativa, nonché i circa 20 uomini nei comandi multinazionali, saranno presenti circa 525 militari in media nel corso dei primi nove mesi del 2015.
  Nel rispetto di questo volume complessivo l'attuale composizione del nostro dispositivo potrà variare nel tempo, in aderenza con l'esigenza operativa. È, per esempio, in corso di pianificazione iniziale l'invio di un contingente di Carabinieri – questa è una notizia nuova rispetto a quelle già fornite – ai quali potrebbe essere affidata la responsabilità di supervisionare con un ruolo di leadership la costituzione di unità di polizia militari irachene destinate ad assicurare l'ordine e la sicurezza nelle aree che saranno sottratte all'ISIS e di riportarle sotto il controllo delle autorità legittime.
  Analogamente, è in corso di pianificazione l'invio di mezzi e di elicotteri per la mobilità, il supporto e l'evacuazione medica.
  In Libano il contingente a guida dell'ONU UNIFIL continua a svolgere un ruolo assolutamente cruciale per assicurare un certo grado di stabilità quantomeno nella regione mediorientale del Paese confinante con Israele.
  Anche in Libano il rischio rappresentato dall'infiltrazione di elementi terroristici legati tanto all'ISIS, quanto ad al-Qaeda rimane elevato. Com’è noto, l'Italia fornisce un contributo essenziale a tale missione e ha anche la responsabilità del comando, fino al luglio prossimo affidato al generale Portolano. In UNIFIL operano 1.100 nostri militari, ai quali si devono aggiungere altre 25 unità che, su base bilaterale, forniscono addestramento alle forze armate libanesi per consentire a queste ultime di migliorare la loro capacità di controllare il territorio.
  Nella stessa regione del Vicino Oriente continueremo a essere presenti nella missione di osservatori internazionali TIPH 2 e in attività di addestramento delle forze di sicurezza palestinesi nella missione europea EUBAM a Rafah e con la nostra Polizia di Stato in quella, sempre a guida europea, denominata EUPOL COPPS.
  Vengo ora al secondo arco di crisi, quello apertosi nell'Est Europa dopo i gravi disordini interni in Ucraina, l'annessione della Crimea alla Russia, l'accendersi del conflitto nella regione del Donbass e l'accentuarsi della tensione con la Russia.
  In questa fase la condizione più critica è quella che si riscontra nelle regioni orientali dell'Ucraina, note come Bacino del Donec. Il conflitto fra le forze armate ucraine e separatiste ha raggiunto negli ultimi mesi picchi di estrema violenza, con perdite che sono ormai stimate come prossime ai 6.000 morti, più migliaia di feriti.
  Come è certamente noto, la comunità internazionale è attivamente impegnata per la gestione della crisi, sia favorendo le trattative diplomatiche fra le parti, sia operando per un contenimento del conflitto.
  Nel recente vertice di Minsk è stato sottoscritto un nuovo cessate il fuoco, che, dopo una fase di violazioni, sembra ora Pag. 10essere generalmente rispettato, sebbene non ancora completamente. Dovrà seguire, secondo gli accordi, un allontanamento delle armi pesanti, in particolare delle artiglierie, che hanno causato la maggior parte delle vittime, anche civili.
  Se questa fase procederà come da piani, si potrà innescare un graduale allentamento dello scontro e, nel tempo, l'avvio di una qualche ricomposizione anche politica fra le parti in lotta. Di certo, però, il conflitto aperto in Ucraina ha imposto agli europei di tornare a guardare con maggiore attenzione alla sicurezza anche militare dei loro confini.
  È perfettamente comprensibile il timore di alcuni Paesi membri dell'Unione europea e della NATO per la loro sicurezza, considerata la vicinanza degli scontri. La NATO ha, pertanto, avviato una serie di misure per rassicurare gli alleati orientali, misure strettamente difensive, con un impiego di forze militari credibile per i fini della deterrenza, ma non tale da poter risultare aggressivo agli occhi di Mosca.
  L'Italia fa la sua parte anche in questo caso per il rispetto degli impegni che ci vedono fortemente coinvolti nel contribuire alla difesa dei Paesi partner dell'Unione europea e della NATO.
  In particolare, a partire da gennaio siamo subentrati nel fornire, a turno con gli altri Paesi dell'Alleanza atlantica, l'attività di polizia aerea nella regione del Baltico, dispiegando in Lituania sette velivoli, tra i quali quattro Eurofighter da difesa aerea e tre velivoli da trasporto e da rifornimento in volo, con le associate strutture di supporto logistico e tecnologico.
  Nei primi due mesi dell'anno i nostri Eurofighter, che operano in coppia, hanno già compiuto dieci interventi reali di intercettazione nei confronti di velivoli potenzialmente ostili che si erano avvicinati allo spazio aereo dei Paesi NATO. Altre 27 volte i nostri aerei sono decollati sulla base di un'attivazione della catena di difesa aerea, senza che, però, fosse necessario concludere un'intercettazione reale.
  Si tratta, quindi, di un'attività di volo estremamente intensa, che ha portato ad accumulare in questo primo bimestre oltre 150 ore di volo con soli quattro velivoli. A fianco dell'Italia operano in questo momento per i voli spagnoli, polacchi e belgi. A seguito del pressante invito giunto da parte dei partner locali, abbiamo deciso di estendere la nostra partecipazione a tale operazione per altri quattro mesi, fino alla fine di agosto. In tale periodo interverranno anche i velivoli britannici e olandesi.
  Inoltre, nel corso del recente incontro a livello di ministri della difesa io ho dato la preliminare disponibilità dell'Italia a partecipare, anche con un ruolo di nazione quadro, alla costituenda forza ad altissima prontezza operativa, subordinando però tale impegno, che comunque si concretizzerebbe a partire dal 2018, alla definizione del quadro finanziario con una prioritaria gravitazione dei costi nell'alveo dei fondi comuni, nonché all'esigenza per noi fondamentale che l'Alleanza orienti la sua attenzione tanto verso l'est, quanto verso l'area mediterranea.
  Voglio ricordare che la nuova forza ad altissima prontezza operativa costituisce una riconfigurazione evolutiva della preesistente NATO Response Force, della quale l'Italia è parte fin dalla costituzione e in cui svolge un ruolo di nazione quadro.
  L'impegno della NATO e dell'Italia nel contesto dell'Alleanza atlantica per la sicurezza del vecchio continente non si esaurisce comunque nelle misure di rassicurazione. Nei Balcani siamo ancora presenti soprattutto in Kosovo nell'ambito del contingente a guida NATO KFOR, al quale assicuriamo il comando con il generale Figliuolo e contribuiamo con circa 540 unità, incluse quelle inserite nelle missioni EULEX, a guida europea, e nei comandi NATO a Sarajevo, Skopje e Belgrado.
  Con l'Unione europea siamo in Bosnia nell'operazione ALTHEA, con altre cinque unità. Per le esigenze di sicurezza in Kosovo provvediamo, inoltre, in turni semestrali alternati con Germania e Austria, al battaglione di riserva mantenuto in Pag. 11prontezza in Patria. Le nostre Forze di polizia operano in Kosovo con UNMIK ed EULEX.
  L'impegno nei Balcani e soprattutto in Kosovo resta necessario per l'Italia, sia per la particolare vicinanza geografica, sia perché la regione rimane instabile e particolarmente permeabile a infiltrazioni ostili, tanto di tipo criminale, quanto potenzialmente di natura terroristica. Considerato il rischio di una penetrazione di elementi radicali islamici nei Balcani, la continua presenza delle forze multinazionali, per quanto onerosa, risulta di certo molto più economica rispetto a ogni ipotesi di intervento successivo. Si tratta, quindi, di una forma di presenza che, mentre assicura la deterrenza, dimostra il perdurante impegno della comunità internazionale in questa regione.
  Sempre con la NATO operiamo nel bacino mediterraneo nell'operazione Active Endeavour, con finalità antiterroristiche, oltre a mantenere le nostre unità navali nei dispositivi permanenti dell'Alleanza atlantica.
  Mi sposto ora verso regioni più distanti. Prosegue, come da piani già annunciati al Parlamento, il nostro impegno nella missione Resolute Support, subentrata alla missione ISAF, terminata il 31 dicembre scorso, di natura non-combat, finalizzata allo svolgimento di attività di formazione, consulenza e assistenza alle forze afgane. Nel corso del 2015 prevediamo di completare la missione della NATO nella regione di Herat e, quindi, di ripiegare il contingente residuo su Kabul.
  Come abbiamo già annunciato, ridurremo significativamente la nostra presenza nella seconda parte dell'anno, in coordinamento e accordo con gli altri Paesi della coalizione. È in corso anche l'attività di rientro degli equipaggiamenti, processo complesso e costoso per la particolare distanza e la scarsezza delle vie logistiche a disposizione.
  Se il nostro sforzo militare in Afghanistan si va riducendo, questo non significa, però, che intendiamo trascurare quel Paese. Oggi, com’è noto, sono le forze di sicurezza afgane a sostenere l'impegno per la lotta contro i talebani e gli altri gruppi insurrezionalisti e l'Italia, in coerenza con gli impegni assunti in passato, continua a fornire un contributo importante per il sostentamento delle forze armate locali.
  Nella regione del Corno d'Africa e dell'Oceano Indiano siamo impegnati anzitutto nella stabilizzazione della Somalia e, in un senso più ampio, nel sostegno alle capacità regionali di controllo degli spazi marittimi. Si tratta delle due missioni a guida europea denominate EUTM Somalia, affidata alla guida del generale Maggi, e EUCAP Nestor.
  Rientrano in tale quadro le attività svolte a Gibuti nella neocostituita base avanzata che usiamo per il sostegno di tutte le iniziative che conduciamo nella regione, nonché l'ulteriore piccola fornitura di veicoli tipo Puma alla Repubblica di Gibuti e di VM90 alle forze somale. Si tratta, in questi casi, di mezzi non più necessari alle nostre Forze armate, per cui i costi associati a tali cessioni sono quelli della manutenzione per rimettere in efficienza e del trasporto.
  Vengo ora al tema della lotta alla pirateria. Il Governo ha ascoltato le più recenti deliberazioni del Parlamento, in particolare quelle che richiedevano di riesaminare le scelte relative alla nostra partecipazione all'attività di contrasto a tale fenomeno in relazione allo sviluppo della vicenda dei fucilieri di Marina.
  D'altra parte, io ritengo estremamente importante anche la risoluzione approvata dal Parlamento europeo lo scorso 15 gennaio, con la quale si chiede di rimpatriare i due militari italiani e di attribuire la competenza giurisdizionale del caso alle autorità italiane o a un arbitraggio internazionale per trovare una soluzione ragionevole e accettabile per le parti coinvolte.
  Considerata la perdurante necessità di assicurare un'adeguata protezione al nostro naviglio mercantile e alla luce della decisa presa di posizione adottata nell'ambito dell'Unione europea, riteniamo giusto proseguire, per ora, nella nostra partecipazione alla missione Atalanta, prevedendo, quindi, la presenza di una nostra Pag. 12unità navale a concorso di quanto stanno facendo gli altri partner europei per la sicurezza della navigazione internazionale.
  Abbiamo deciso, però, di terminare la nostra partecipazione alla parallela operazione a guida NATO Ocean Shield e riteniamo di terminare l'impiego dei nuclei militari di protezione, così come chiedono alcuni emendamenti presentati in Parlamento, imbarcati sulle navi mercantili italiane.
  Abbiamo considerato il positivo trend rappresentato dalla diminuzione degli attacchi dei pirati negli ultimi mesi, nonché l'ormai avvenuto perfezionamento delle procedure che consentono di ricorrere alla difesa dei mercantili con squadre fornite da compagnie private di sicurezza, nel pieno rispetto della normativa e dei regolamenti di pubblica sicurezza. Pertanto, l'attività dei nuclei militari è già ora in via di riduzione e provvederemo nei prossimi mesi a chiudere questa attività anche mediante la modifica delle disposizioni normative che l'avevano avviata.
  Signori presidenti e colleghi, oltre alla conclusione dell'attività dei nuclei militari di protezione e alla sospensione della nostra attività in territorio libico, intendo ora dare conto di ulteriori misure che abbiamo predisposto per razionalizzare la nostra attività militare nelle aree di crisi, in linea con quanto avevo annunciato a questo Parlamento già lo scorso settembre.
  Abbiamo deciso di concludere entro il 31 marzo la nostra partecipazione alla missione a guida ONU UNFICYP a Cipro, dove operiamo con quattro unità, e alla missione degli osservatori dell'Unione europea in Georgia, dove avevamo quattro unità.
  Relativamente alla nostra partecipazione alla missione MICCD Malta, abbiamo ridotto il personale da 26 a 2 unità, mentre, insieme alla Farnesina, abbiamo avviato un esame per verificare l'opportunità di ridurre o terminare la nostra presenza nella missione MINURSO nel Sahara occidentale, nella missione per il rispetto della tregua fra arabi e israeliani, nella missione UNMOGIP in Kashmir e alla MFO in Sinai, dove abbiamo attualmente 78 militari.
  Queste decisioni sono, come detto, il frutto della volontà di razionalizzare il nostro impegno anche in considerazione dell'elevata presenza che abbiamo in altre missioni di ben maggiore rilevanza che insistono nelle stesse aree geografiche.
  Sarà poi necessario intervenire in sede emendativa sul testo del decreto-legge di proroga delle missioni in fase di conversione per recepire ulteriori piccole variazioni rappresentate dalla chiusura al 31 marzo, invece che al 30 settembre, della EUFOR in Repubblica Centrafricana e anche dalla chiusura della missione degli osservatori in Mozambico.
  Le attività internazionali delle Forze armate di cui ho appena dato informazione costituiscono un fondamentale strumento di politica di difesa e, al tempo stesso, di relazioni internazionali e rappresentano di certo il principale baluardo che tiene il più possibile lontano dal nostro territorio e dai nostri interessi vitali quei rischi e quelle minacce che, purtroppo, siamo ormai abituati a conoscere sempre più nel dettaglio.
  Costituiscono, però, anche un veicolo per rafforzare le intese con i Paesi amici alleati, ossia quelli con i quali operiamo congiuntamente, e soprattutto costituiscono un efficace strumento per dialogare e collaborare con i Paesi, con i legittimi governi e con le popolazioni nelle aree di crisi.
  In parallelo con l'attività operativa la difesa svolge anche un'intensa attività di cooperazione militare nel campo della formazione, dell'addestramento e del sostegno tecnico e tecnologico. Ogni anno vengono nelle nostre scuole centinaia di militari di Paesi amici e alleati per essere formati e addestrati. In questo modo operiamo per rafforzare le legittime Istituzioni che garantiscono la sicurezza all'interno dei loro Paesi, quale mattone fondamentale per la sicurezza del sistema internazionale.
  Riceviamo sempre nuove richieste di cooperazione militare da parte di Paesi Pag. 13vicini e lontani. Da parte mia sto dedicando tempo ed energie per incontrare i miei omologhi nei Balcani, come in Nord Africa, e per costruire con loro quel rapporto di stima e fiducia che rappresenta la prima nostra cintura di sicurezza mediterranea.
  L'azione della difesa si svolge, quindi, contemporaneamente su molteplici piani. Di queste attività continuerò a fornire informazione al Parlamento, rinnovando questo rapporto di collaborazione, che mi pare sia alquanto fruttuoso.
  Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio i Ministri. Credo che, per stabilire almeno un rapporto di parità tra Parlamento e Governo, avendo loro preso circa tre quarti d'ora di tempo, noi ne possiamo prendere altrettanti, quali che siano i lavori d'Aula. Ovviamente, questo problema pone a tutti noi non la fissazione di tempi, cosa che io non farò mai, ma un'autodisciplina.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PIER FERDINANDO CASINI, Presidente della 3a Commissione del Senato. Io mi autodisciplino immediatamente e prendo un minuto.
  Ieri abbiamo discusso in Aula, al Senato. Non ripeto gli argomenti che ho sollevato ieri, anche perché qui non c’è un dibattito generico di politica estera e difesa, ma qualcosa di concreto. Sul qualcosa di concreto io esprimo la mia solidarietà piena ai ministri degli affari esteri e della difesa e mi ritrovo nelle loro relazioni.
  Per quanto riguarda una considerazione di ordine generale – scusate la sommarietà dell'affermazione, ma i tempi non mi consentono di approfondirla – noi stiamo raccogliendo quello che abbiamo seminato. L'Europa non ha una politica mediterranea. L'Europa sta pericolosamente ondeggiando da tempo sui principali dossier che avrebbero potuto metterci tranquilli. Nella migliore delle ipotesi ondeggiamo, nella peggiore siamo irrilevanti su temi come la Turchia, che è fondamentale per presidiare l'area, e la Siria – un anno e mezzo fa, se non fosse stato per il Ministro Bonino e per qualcun altro, si voleva andare a bombardare Assad – il dossier Palestina-Israele, su cui, peraltro, non vedo da questo punto di vista miglioramenti in vista, e il tema dell'Iran, su cui credo che ci sia un'importanza fondamentale.
  Anche in Iraq gli errori della comunità occidentale sono stati enormi. Basta pensare allo smantellamento dell'esercito sunnita di Saddam Hussein, che ha costituito poi il materiale di reclutamento da parte dell'IS.
  Fornisco una piccola di indicazione: io credo che noi dobbiamo preoccuparci che quello che succede oggi, quando si cerca di riprendere Tikrit e Mosul, sia portato avanti non solo da forze sciite, ma anche da una rappresentanza sunnita, altrimenti la questione finirebbe per squilibrare ulteriormente la situazione.
  Il mio intervento, però, è finalizzato a una richiesta di spiegazioni – se ne ha gli elementi – al Ministro Gentiloni su un tema che alcuni osservatori internazionali hanno posto alla mia attenzione oggi. Vi sarebbe un'intenzione dell'Egitto e di al-Sisi di costituire una coalizione di Paesi islamici per intervenire in funzione antiterrorismo. Io credo che l'iniziativa avrebbe una rilevanza enorme. A mio parere, il nostro ruolo dovrebbe essere di supporto, ma non certo di protagonismo. Vorrei capire se si tratta solo di un'idea generica o se c’è qualcosa di più.

  ELIO VITO, Presidente della IV Commissione della Camera. Sono d'accordo con il presidente Cicchitto sul fatto che occasioni così importanti per il Parlamento dovrebbero avere uno spazio maggiore e meglio organizzato. Di questo ce ne dovremmo fare tutti carico, sia in relazione all'andamento dei lavori parlamentari, sia in relazione alla migliore programmazione di questi periodici appuntamenti.
  Ringrazio i Ministri Gentiloni e Pinotti per la disponibilità e, in particolare, per aver toccato – io mi soffermerò solo su Pag. 14questo e poi farò una proposta – la vicenda dei due fucilieri di Marina. Non è vero che è slegata dall'ordine del giorno delle comunicazioni del Governo, sia perché nello scorso decreto-legge, cui ha fatto riferimento il Ministro Pinotti, vi è un espresso riferimento a una valutazione sugli sviluppi della vicenda, sia perché questa situazione riguarda direttamente anche, in potenzialità, altri nostri militari e le condizioni con le quali i nostri militari operano all'estero.
  Io credo che sia stato opportuno che il Ministro Gentiloni ne abbia parlato con il Segretario generale dell'ONU. L'orientamento del Parlamento su questo tema era stato chiaro: coinvolgere la comunità e le Istituzioni internazionali rispetto alle quali l'Italia offre un grande contributo proprio partecipando a queste missioni internazionali, oltre che economico.
  Passo alla richiesta. A mio giudizio, è necessaria una seduta ad hoc delle nostre Commissioni dedicata esclusivamente a questo tema – non possiamo infatti parlare di argomenti così importanti tra ritagli di tempo – prima del 12 aprile, che è la data fissata per l'ipotetico rientro di Massimiliano Latorre. Su questo fronte chiedo di acquisire la disponibilità dei Ministri Gentiloni e Pinotti, ai quali do atto di averla sempre manifestata.
  Credo anche, Ministro Gentiloni, che dovremmo chiarirci in quella sede su un punto. Capisco la riservatezza e la rispetto, ma, quando si fa riferimento ad avviate trattative fra Governo italiano e Governo indiano, non è dato che il Parlamento sia all'oscuro di queste trattative. Peraltro, il Parlamento ha votato alcuni vincoli all'operato del Governo e chiede che questi vincoli siano rispettati.
  Pertanto, io ringrazio per aver sollevato oggi il tema, come era stato richiesto e come era tra i punti all'ordine del giorno. Credo, però, che esso meriti una trattazione autonoma più ampia, anche alla luce degli sviluppi, sui quali io esprimo una valutazione negativa, perché lo scorrere del tempo in una situazione del genere non è un fatto positivo, ma negativo.
  Sulla missione Atalanta il Ministro Pinotti ha correttamente spiegato perché la valutazione del Governo sia stata di volerla proseguire. Osservo solo, Ministro, che, visto il dettato della legge di conversione sul precedente decreto-legge, sarebbe stato corretto aspettare che questa decisione la prendesse il Parlamento dopo l'attuale comunicazione.
  Lei sa che, invece, ci siamo trovati non solo di fronte all'inserimento della norma nel decreto-legge, ma addirittura a un comunicato stampa che dava per scontate e per avviate le procedure della nostra partecipazione alla missione, anche all'insaputa dello stesso Governo.
  Comunque, ringrazio della disponibilità e, ripeto, la mia proposta è di fare una seduta ad hoc per trattare, come abbiamo sempre fatto, con senso di responsabilità questa vicenda.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole Amendola, che sarà meno sintetico.

  VINCENZO AMENDOLA. Presidente, la sorprenderò e parlerò cinque minuti. Mi associo innanzitutto al dolore che lei ha espresso, un dolore sentito e forte non solo per i nostri connazionali, ma anche per un Paese che è nostro vicino, nostro storico amico e di cui la vicenda è un tremendo presagio a un'analisi che noi abbiamo da tempo fatto.
  Tralascio tutti i temi riguardo alle missioni. I colleghi della difesa ne parleranno di più, anche perché, come i Ministri sanno, la Commissione affari esteri alla Camera è stata estromessa in maniera non appropriata da questo tema.
  Mi concentrerò su un punto, rivolgendomi innanzitutto ai presidenti, in particolare al presidente Casini, che ha introdotto questo tema e che saluto, ossia sul tema della centralità del Mediterraneo.
  Ministro Gentiloni, lei ha parlato di una strategia per il Mediterraneo. Io credo che si tratti di ricostruire qualcosa di più di un'elencazione a volte dolorosa e stantia degli atti di guerra e terrorismo che uniscono il MENA, la regione che va dal Medio Oriente al Maghreb.Pag. 15
  Io credo che noi siamo nelle condizioni oggi, e questo decreto-legge ce ne offre l'occasione, per attuare un riposizionamento geostrategico del nostro Paese. Noi partecipiamo alle missioni di pace e stabilizzazione non solo per il nostro senso di alleanza in base al capitolo 7 delle Nazioni Unite e all'articolo 11 della Costituzione, ma anche perché crediamo in una missione del nostro Paese. Il tempo moderno delle tragedie che noi viviamo è il tempo del Mediterraneo. Se noi non siamo capaci di risolvere e di essere attori nella risoluzione dei problemi regionali, a volte io credo che dovremmo anche tralasciare problemi più complessi e più lontani.
  Per questo dico che la lettura dei fatti che si sono susseguiti dal 2011 a volte è un'elencazione dei casi, senza però una visione complessiva geostrategica come Unione europea. C’è un prima e un dopo il 2011. Prima del 2011 c’è il fallimento di Barcellona e c’è il fallimento dell'Unione Mediterranea di Sarkozy. Dopo il 2011 c’è una sequela di contraddizioni, incapacità e impreparazione dell'Unione europea a comprendere come la storia del Medio Oriente e del Mediterraneo stesse producendo un nemico, che è innanzitutto del mondo islamico, arabo e sunnita, ma è anche nemico della nostra idea di Unione europea, di convivenza e di base di civiltà che noi, con l'Unione europea, abbiamo voluto impersonificare e costruire.
  La ricostruzione di una visione sul Mediterraneo non è fondamentale per una questione che potremmo chiamare solo di interesse nazionale e non la possiamo rifare con quell'idea pre-2011 di bilateralismo tra Paesi della sponda nord e della sponda sud. Sappiamo che il nemico che oggi in Tunisia ha colpito al museo è lo stesso nemico che vuole organizzarsi su tutta la sponda del Maghreb.
  Ci raccontavano nella delegazione della Commissione affari esteri a Tunisi che non sono solo 3.000 i foreign fighters. Sono forse molto di più, sono 6.000, e non è vero che sono persone relative solo alle fasce sociali più emarginate. Sono andate a combattere in Siria e adesso, con l'instabilità libica, vogliono combattere anche lì.
  Questa chiamata alle armi di un mondo politico che sceglie l'Islam religioso per sovvertire gli ordini di democrazia deboli o di Stati post-2011 chiama noi e la nostra storia di europei e mediterranei ad avere una vocazione, che non è il bilateralismo, che non è una pianificazione potrei dire solo relativa al processo di pace libico, ma riguarda il modo in cui noi riorientiamo la storia del Medio Oriente e del Mediterraneo, che è la nostra storia regionale, su cui io spero che questo Parlamento, nel dibattito che avremo sulla Tunisia e oltre, si attivi, come abbiamo sempre fatto, insieme al Governo, che ringrazio per le comunicazioni, per cercare di cambiare la direttiva e la direzione dell'Unione europea.
  La nostra Commissaria Mogherini presenterà un Piano sulla Libia, giustissimo, ma noi dobbiamo chiedere un Piano sul Mediterraneo che sia politico, culturale e anche in termini di sicurezza, perché la sicurezza della Tunisia, la guerra civile in Libia, l'instabilità in Algeria e nel Sahel o in Marocco è un tema che ci riguarda e su cui noi dobbiamo essere capaci di rialzare una visione che negli ultimi anni ci ha legato.
  Io considero anche molto positive, ministro, le sue considerazioni sulla Siria e considero molto positive le sue considerazioni su quello che sta succedendo in Iraq. Dobbiamo uscire da una fase in cui il potere coalizionale dei singoli Paesi europei o dell'Unione europea sia di pura osservazione, di pura gestione e gestazione di problemi.
  In questa fase di grande criticità dobbiamo rilanciare la capacità coalizionale in termini non di bilateralismo, ma di mettere insieme per l'Iraq, per la Siria e anche per il Maghreb tutti i Paesi della sponda sud e della sponda nord orientati alla risoluzione.
  È finito quel mondo in cui noi siamo stati sorpresi post-2011. Forse è il tempo che sull'aspetto politico, culturale e di sicurezza noi osiamo molto di più di Pag. 16quanto non abbiamo fatto, non solo per il dolore di quello che è successo ieri, ma per la consapevolezza, che spesso ripetiamo nei nostri discorsi e che poi diventa cronaca tempo dopo. Noi siamo abituati negli ultimi anni a fare un elenco di cronaca, una valutazione e un commento della cronaca, senza sviluppare, invece, una visione che sia capace, sempre nel capitolo VII delle Nazioni Unite e nella nostra Carta costituzionale, di essere produttrice di un nuovo ordine.
  Per questo motivo io credo che la diplomazia parlamentare, che abbiamo attuato qui alla Camera e sicuramente al Senato, sia fondamentale, nell'ottica di supporto al Governo per far sì che l'Unione europea faccia di più. In realtà, io rifuggo dallo stereotipo del «deve fare di più». L'Europa è dentro questa storia. Da questa storia noi usciremo più forti e più in un contesto di pace se sapremo, invece di convocare summit e preparare documenti, riuscire a costruire finalmente un multipolarismo di questa regione.
  Grazie.

  ERASMO PALAZZOTTO. Grazie, presidente. Vorrei cogliere l'invito che lei ha fatto ad affrontare direttamente le questioni politiche in maniera anche poco formale. Io penso che quella mediterranea sia una questione che andava posta molto tempo fa. È una questione che andava posta nel 2011, all'alba delle primavere arabe. Probabilmente oggi avremmo molte più Tunisie e soprattutto non avremmo una Tunisia da difendere da tutto ciò che in quel contesto è nato.
  Noi oggi paghiamo il prezzo della nostra indifferenza e della nostra inattività rispetto a ciò che in quei Paesi è successo durante quegli anni. Una grande richiesta di partecipazione di una forza di ribellione e anche un senso di oppressione di quei popoli non hanno trovato uno sbocco e soprattutto non hanno trovato un confronto con i Paesi che stavano dall'altra parte del Mediterraneo, di cui il nostro è quello che ha le più grandi responsabilità per la sua prossimità, e, quindi, hanno virato verso un'estremizzazione e un fondamentalismo.
  Noi non siamo stati in grado di mettere in campo quelle misure che oggi, giustamente, lei, signor Ministro, pone come ipotesi di lavoro, ossia il tema della cooperazione e le questioni che lei ha posto di sostegno e cooperazione istituzionale verso quei Paesi. Se l'avessimo fatto prima, oggi ci troveremmo in una condizione diversa.
  Al centro della questione mediterranea, purtroppo per noi, oggi si trova la Libia, un Paese che, dopo il nostro sciagurato contributo all'intervento militare, abbiamo abbandonato e che oggi si trova nelle condizioni che ben conosciamo anche perché da parte nostra non c’è stato mai un intervento diretto per provare a costruire un percorso di transizione verso un Governo democratico in Libia.
  Io penso che noi non possiamo ignorare, in questo momento, qual è il contesto libico e che non possiamo affrontare questa discussione semplicemente con il manuale delle buone intenzioni, stando dentro le dinamiche della trattativa dell'inviato speciale dell'ONU, che pur ritengo vadano nella direzione giusta e vadano sostenute.
  Lo dico perché nella nostra discussione dovremmo porre la questione politica che riguarda la Libia, ovvero il ruolo dell'Egitto, che non ha un ruolo neutro dentro quella questione, ma sta ingerendo in maniera pesante a sostegno di una delle parti belligeranti per tutelare interessi nazionali egiziani, nonché il ruolo della Francia, protagonista del primo intervento in Libia, che oggi, insieme all'Egitto, è schierata dentro quel conflitto con una parte, difendendo i propri interessi nazionali.
  Probabilmente servirebbe anche un ruolo dell'Italia, non solo a difesa dei propri interessi nazionali, che si trovano dall'altra parte della Libia in termini sia energetici, sia economici, ma anche perché la Libia si trova nella nostra area di influenza, essendo il nostro vicino prossimo. Pag. 17La sua instabilità sta creando non pochi problemi di sicurezza al nostro Paese.
  Per questo motivo io ritengo che noi dovremmo agire, in questo momento, sulla base di due presupposti. Il primo è la neutralità. Dovremmo affermare che in quel conflitto noi non stiamo da una parte. Se, come sta accadendo, tutti i Paesi occidentali si schierano ufficialmente con il Governo di Tobruk, sarà difficile che l'altro voglia sedersi a un tavolo, perché non avrà fiducia in un negoziato imparziale. L'Italia in questo senso, visto che l'ha fatto anche con il lavoro del suo ambasciatore, potrebbe avere un ruolo di primo piano.
  Penso all'orizzontalità. La Libia a oggi si regge sul fatto che le Istituzioni locali continuano a funzionare e sul fatto che la Banca centrale continua a erogare gli stipendi. Io penso che noi dovremmo coinvolgere il più ampio numero di Istituzioni locali libiche dentro un processo negoziale di pace.
  Il terzo presupposto è quello dell'azione. Io penso che l'Italia debba farsi promotrice di una serie di incontri di pace da tenersi nel nostro Paese, coinvolgendo in maniera il più trasversale e orizzontale possibile tutti i livelli istituzionali della società civile libica che ancora resistono in quel contesto e che possono essere i vettori fondamentali di un nuovo processo di pace.
  Infine, mi permetta di porre alcune domande, perché all'interno del decreto-legge missioni e anche delle dichiarazioni che sono state fatte qui dalla Ministra Pinotti ci sfuggono alcune questioni. Vorremmo, quindi, alcuni chiarimenti.
  Oggi noi lanciamo l'operazione Mare Sicuro per presidiare il Mediterraneo. Da dieci anni investiamo in un'operazione che si chiama Active Endeavour, che aveva esattamente lo stesso obiettivo, con il risultato che non ha individuato in dieci anni, in cui abbiamo speso molti soldi, nessun infiltrato terrorista su nessuna imbarcazione. Vorremmo sapere qual è il livello di sovrapposizione delle due missioni, se svolgono le stesse funzioni e se eventualmente potremmo fare a meno di una.
  La seconda domanda è rispetto alle armi. Un vecchio adagio diceva: «Se vuoi scoprire dove scoppierà la prossima guerra, segui il flusso delle armi». Se andiamo a vedere la relazione sulla vendita di armi dell'Italia verso l'estero, vediamo che noi abbiamo venduto 880 miliardi di euro in Medio Oriente nel 2013 e il principale Paese verso cui esportiamo è l'Arabia Saudita.
  Considerando l'evoluzione del contesto mediorientale, vorremmo avere dei dati più dettagliati, che nella relazione non sono presenti, rispetto a chi abbiamo venduto queste armi, se al Governo dell'Arabia Saudita o a privati, e soprattutto che tipo di armamenti hanno venduto le nostre industrie belliche, perché questo a oggi non è dato sapere.
  Infine, visto che uno dei temi è il contrasto alla minaccia terroristica in Libia, vorremmo sapere se ci sono informazioni effettive su quante unità dell'ISIS sono presenti in questo momento sul territorio libico. Secondo quello che risulta a noi, non sono tantissime. In questo momento una risoluzione pacifica tra le due forze belligeranti permetterebbe, anche senza l'intervento militare o comunque di supporto occidentale, a un Governo libico di unità nazionale di sconfiggere e mettere alle porte l'ISIS.
  Passo all'ultima domanda. Ci sono 132 milioni di euro di stanziamento per la nostra partecipazione alla missione di contrasto e alla coalizione internazionale contro l'ISIS. Lei ci ha riferito quali sono gli uomini impegnati in questo momento. Nella missione, invece, è finanziato molto di più, soprattutto per quanto riguarda i mezzi che verranno impegnati. Vorremmo se questo è un finanziamento preventivo rispetto a futuri interventi militari che il nostro Paese si troverà a dover affrontare o, se invece, non lo è, quali sono i tipi di mezzi che stiamo impegnando che richiedono una spesa di 7 milioni di euro al mese per il proprio funzionamento.
  Grazie.

Pag. 18

  AUGUSTO MINZOLINI. Io ho ascoltato con molta attenzione le relazioni dei ministri e devo dire che, per alcuni aspetti, sono anche piuttosto soddisfatto. Tuttavia, francamente, vedendo tutto quello che è successo ieri in Tunisia, continuo a pensare che da parte della comunità occidentale ci sia una sottovalutazione di quello che sta avvenendo.
  Sono rimasto, per alcuni versi – uso questa espressione, anche se forse non è consona al momento e a questa sede – sbalordito dal nostro incontro con il Segretario generale della NATO. Lo dico francamente, perché, nella logica che ci è stata illustrata in quella occasione, la vicenda libica era quasi periferica. La questione centrale era la vicenda verso l'est e di là era quasi un riportare i meccanismi, quasi a dire: «Visto che c’è, affrontiamolo».
  Io credo, invece, che, da questo punto di vista, noi dobbiamo avere la forza – in questo sono contento che l'onorevole Amendola sia venuto su posizioni più affini alle mie – di raccontare e determinare un'attenzione da parte della comunità occidentale sulla questione mediterranea.
  Per questione mediterranea io non intendo soltanto la Libia. Intendo anche la vicenda irachena e siriana. Noi abbiamo a che fare con un meccanismo che mette già insieme sul terreno due califfati.
  Per questo motivo, da questo punto di vista, l'analisi di Amendola, per alcuni versi, non mi convince. Noi non possiamo dire che la storia del terrorismo internazionale, se è ancora terrorismo, è la stessa che va dal 2011 a oggi. C’è stato un salto di qualità. Come diceva il presidente Vito, io credo che dovremmo parlare di queste questioni con maggiore attenzione e anche con una maggiore capacità di capire. Sarebbe il caso di organizzare un seminario sull'ISIS, perché è una cosa completamente diversa rispetto ad al-Qaeda. Questo è il punto. Per alcuni versi, è una cosa diversa, che bisogna combattere in maniera diversa.
  C’è stato un seminario, al quale purtroppo io non c'ero, ma ripeto il concetto.
  Il discorso che io faccio è questo: se, da una parte, c'era un'organizzazione squisitamente terroristica, ora c’è un altro schema, completamente diverso, secondo me. C’è una sovranità territoriale che, da una parte, aiuta, perché non abbiamo più una guerra completamente asimmetrica, come era quella contro al-Qaeda, ma, dall'altra, ci pone un problema di impegno maggiore, perché lì c’è lo Stato terrorista, ovvero il terrorismo che si fa Stato, che va sconfitto.
  Finché c’è quella presenza lì, noi possiamo dire quello che vogliamo, ma le infiltrazioni, il rapporto tra quello Stato e le affiliazioni che ha negli altri Paesi rimarrà e sarà un elemento di sorgente. Ci sarà un dialogo che andrà da una parte e dall'altra.
  O noi risolviamo, con un'attenzione, io credo, anche alla questione militare e non soltanto all'intervento economico e cooperativo, che è necessario, quel tema, o altrimenti noi non riusciremo mai a risolvere il problema.
  In questo caso la vicenda dei tempi non è poco. È importante, perché noi continuiamo ad avere lì il soggetto, il network, che poi viene esportato. Abbiamo visto che è partito lì. Se noi andiamo a vedere – basta prendere una cartina – abbiamo un altro califfato che parte dalla parte meridionale dell'Algeria e dalla parte meridionale della Tunisia e arriva fino in Libia. Questo è il punto.
  Su questo soggetto, o si interviene tenendo conto che è una sorta di grande megafono che si espande, in termini in cui non dobbiamo avere una pudicizia o un pudore a chiamare anche militari, o altrimenti noi non ce ne rendiamo conto. Che poi questo si debba fare attraverso una capacità, se l'abbiamo, di creare delle coalizioni, di supportarle o in altra maniera, è un conto, ma questo è il problema. Immaginare che il problema sia diverso è proprio non aver capito in che situazione ci stiamo muovendo.
  Per questo motivo io credo, ma anche per richiamare l'attenzione della NATO e dell'Europa, l'unica cosa che noi possiamo fare è concentrare, dal punto di vista del Pag. 19nostro impegno internazionale, la nostra presenza soprattutto nell'area mediterranea. Non è solo una questione strategica e militare, ma è anche un modo politico per richiamare l'attenzione su un tema che, secondo me, è fondamentale. In questo sono d'accordo sia con Gentiloni, sia con il Ministro della difesa.
  In questo momento la questione centrale, dal punto di vista globale, noi l'abbiamo a 300 chilometri da noi. Il fatto di riportare – vedo che in parte è già stato fatto, con una serie di disimpegni – il concentrarsi su quest'area è un segnale che noi dobbiamo dare, ma dobbiamo darlo anche in termini politici, nelle sedi opportune, all'interno della NATO, dicendolo e chiedendo all'Europa di avere un impegno comune su questo tema dal punto di vista sia diplomatico, sia militare.
  Sono completamente d'accordo sul modo con cui il presidente Vito ha impostato la questione dei marò. Credo che anche da questo punto di vista occorra richiamare l'attenzione sul fatto del grande impegno che noi abbiamo profuso, ma che non c’è una sorta di reciprocità con le altre organizzazioni internazionali rispetto alla nostra richiesta di intervento.
  Noi dovremmo essere il terzo Paese a livello internazionale come impegno, o forse il secondo. Ecco, da questo punto di vista io credo che questa sia una carta che ci dobbiamo giocare, a costo di minacciare un disimpegno, perché ormai i tempi sono stretti. Dobbiamo, da una parte, dedicare l'attenzione verso un'area che riguarda proprio la nostra area di intervento, la nostra politica e i nostri interessi principali, e, dall'altra parte, anche far capire che noi non siamo donatori di sangue e basta.
  Grazie.

  VINCENZO SANTANGELO. Signori Ministri, vado subito alle questioni, tralasciando alcune considerazioni.
  Signora Ministra Pinotti, sulla questione Libia lei ha ribadito più volte che l'Italia farà la sua parte ed è in prima fila nel sostenere un negoziato per creare un governo di unità nazionale. In che termini prevede di sostenere la nascita del nuovo governo libico ? Quale sarà, dal punto di vista economico, l'impegno al quale sarà chiamata l'Italia ?
  La nascita di un nuovo governo libico è molto importante per l'Italia, e non solo per l'Italia. Dal punto di vista della sicurezza ci riguarda principalmente, in quanto in Libia c’è questa situazione assolutamente fuori da ogni controllo. Le chiedo, signora Ministra, qual è la programmazione dell'Italia, visto che solo sei mesi fa non esisteva ?
  Per quanto riguarda, invece, il nuovo decreto-legge che ha prorogato le missioni internazionali, si prevede all'articolo 13, comma 2, l'autorizzazione di spesa di euro 1.348.239 e di euro 4.364.181 destinati alla proroga per la partecipazione ad attività di assistenza, supporto e formazione delle forze armate in Libia. Parliamo, quindi, sempre dello stesso Paese che lei ha descritto poco fa in una situazione di guerra civile.
  È anche prevista una proroga della partecipazione di personale del Corpo della Guardia di finanza alla missione in Libia EUBAM, anche per fronteggiare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e della tratta di esseri umani.
  Lei pensa che nell'attuale fase questa missione sia realmente di fondamentale importanza, o è arrivato il momento, finalmente, che l'Italia mandi qualcuno a Bruxelles e discuta in maniera concreta con l'Unione europea affinché vengano istituiti dei precisi punti di richiesta di asilo direttamente nei territori di provenienza e di transito per i quali o dai quali partono questi terribili viaggi verso la morte ?
  Visto il perdurare dell'instabilità politica in Libia e considerate le condizioni di oggi, il Governo pensa di sospendere la missione EUBAM ? Nel caso in cui la volontà sia quella di mantenere l'impegno militare con l'impiego di Forze armate di polizia italiana, quali funzioni non esecutive potranno svolgere al cospetto di una vera e propria guerra civile in Libia ?
  Passo ora a un altro scenario, che è quello dell'Iraq. Nel mese di dicembre il Pag. 20Sottosegretario Rossi ha risposto a una nostra interpellanza, informandoci del fatto che gli uomini che parteciperanno a questa missione saranno inviati con un passaporto diplomatico. Le chiedo per quale motivo si adotterà questa tipologia di copertura.
  Inoltre, lei ha parlato di una presenza media di 525 militari. Le chiedo a quali specifici corpi appartengono questi uomini delle Forze dell'ordine.
  Vede, signora Ministra, noi riteniamo che la sua relazione di oggi sia assolutamente priva di particolari, assolutamente scarna. È quasi un riassuntino delle missioni del decreto. Apprendiamo oggi di una nuova missione che lei ha definito, in maniera quasi scherzosa, Mare Sicuro. Proprio per avere dei numeri e delle indicazioni precise, io sono qui a chiederle con quali fondi, che durata avrà questa missione, quali unità aeronavali e quanti militari saranno impiegati in questa funzione e come essa si integra con altre già esistenti.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Vorrei esprimere ciò che penso su un aspetto che non reputo secondario, quello dei problemi e dei rapporti molto difficili con la Russia. Ho avuto modo di dirlo ieri, nell'intervento in Aula, ragion per cui non ci ritorno sopra. Reputo, però, che sarebbe un errore ritenere che tutto quello che sta avvenendo lì sia semplicemente una sorta di ordinaria amministrazione di piccoli scontri periferici. Essi derivano da una visione geopolitica che ha poi le sue traduzioni politiche e militari.
  Metto da parte questo tema, però, perché, anch'io come Amendola e Minzolini, reputo che il nostro impegno fondamentale sia sul Mediterraneo e sul Medio Oriente e che rispetto a questo indubbiamente, da una parte, ci troviamo di fronte a tutti gli errori – adesso è inutile ritornarci sopra – drammatici fatti dalle opposte gestioni politiche degli Stati Uniti, sia quella (chiamiamola così) interventista alla Bush junior, sia quella che non ho capito bene come definire di Obama.
  Dall'altra parte, ha colpito anche me, nel quadro di un'infelice riunione con il Segretario generale della NATO, resa infelice anche dai meccanismi e dai funzionamenti della Camera e dei presidenti della Camera specialmente, il fatto che nella sua carta geografica mentale su quello che avveniva dalla Libia in su era scritto hic sunt leones. Da questo punto di vista faceva una bel recupero di quello che scrivevano i geografi ai tempi dei latini.
  Poiché, però, è passato qualche anno da allora, il nodo è costituito dal fatto che noi ci troviamo di fronte a una situazione assolutamente drammatica, su tutti gli scacchieri. La geografia politica uscita addirittura da trattati del 1916 viene smantellata, e viene smantellata da una questione che non è da poco, ossia da un terrorismo che si fa esercito e che si fa Stato.
  C’è un terrorismo che si fa esercito e che si fa Stato, con ogni nazione che strapaga i servizi segreti. La nozione di questa situazione non è che sia arrivata in tempi anticipati. In genere, i servizi dovrebbero anticipare quello che si saprà dopo. Se Dio vuole, sono arrivati prima quelli e poi, ovviamente, c’è stata un'analisi delle tragedie che stavano avvenendo. Stanno saltando Stati come l'Iraq e la Siria. Non è cosa da poco.
  Condivido quello che hanno detto i ministri, ma vorrei introdurre un elemento di ulteriore drammatizzazione per quello che riguarda la Libia. Adesso non sto a sottilizzare. Io dico francamente che mi andrebbe bene qualunque cosa, anche l'azione più dura fatta da Tobruk e dall'Egitto. Non ho le stesse remore che ha Palazzotto.
  Tuttavia, ho paura che quella non ci sia e aggiungo, essendo notoriamente non un diplomatico, né di carriera, né di aspirazione, che finora ci stiamo scappellando moltissimo di fronte a Bernardino León, ma ricordo che Bernardino León ha fatto in parte quello che auspicava Palazzotto, cioè ha fatto la spola fra Tobruk e Tripoli – mi rendo conto che, viste le asperità di quel territorio, già riuscire a passare incolumi tra Tobruk e Tripoli è una bella Pag. 21impresa – ma, al di là di questo, non ha combinato molto. Alla pari con lui forse c’è quello che ha combinato in Siria il nostro simpatico De Mistura.
  A fronte di questa gestione diplomatica, noi abbiamo una situazione nella quale, se non riusciamo a mettere insieme Tobruk e chi ci sta e, quindi, anche parti delle altre componenti, l'Egitto e qualche altra cosa, noi rischiamo di trovarci in una situazione in cui, per un verso, si amplia la componente terroristica tipo ISIS e, per un altro, ci si scarica addosso...
  Io colgo le smentite che vengono date dai nostri Ministri a Frontex, ma attenzione: tra un po’ arriva la buona stagione e, per quello che si sa, c’è un rapporto tra bande armate e immigrazione, perché gli scafisti, che sono gente che ha i soldi, pagano le bande armate anche per stazionare in quei campi i disgraziati che poi caricano di volta in volta. Noi rischiamo, quindi, di avere una singolare combinazione tra le bande armate tradizionali, l'ISIS e masse di immigrati che ci vengono scaricate addosso.
  Noi siamo altro che in un balletto diplomatico. La gestione di De Mistura deve avere un salto di qualità, ma, al di là di De Mistura, l'Italia, che tra l'altro è l'unico Paese che abbia una struttura esistente in Libia, malgrado quegli idioti dei francesi, che hanno cercato di scalzarci e hanno combinato soltanto i guai che abbiamo visto.
  Voglio ricordare, però, a Palazzotto che, quando ci fu quello sciagurato intervento militare, quella è stata una delle poche occasioni in cui c’è stato in Italia un applauso generale, quasi che Berlusconi, intervenendo malgré lui, contro Gheddafi, in effetti intervenisse contro se stesso. Pertanto, c'era un tripudio generale per Berlusconi che bombardava se stesso.
  Abbiamo visto poi che questa è stata una tragedia, in primo luogo, dell'Italia e – frase di Lenin – l'imperialismo straccione di Sarkozy poi ha fatto la fine che doveva fare. Hanno combinato un pasticcio inenarrabile e non sono riusciti nemmeno, fortunatamente, a sostituirci. L'unica struttura esistente, anche in termini di servizi, oltre che in termini di una grande impresa, è quella dell'Italia.
  Detto tutto questo, o noi riusciamo a introdurre degli elementi di grande velocità nella situazione, quali che siano, o assolutamente politici, o politici-militari, o duramente militari, o in Italia riprenderà una rissa mortale sulle immigrazioni e ci sarà chi farà campagna elettorale su questa autentica tragedia, rispetto alla quale nessuno ha una carta risolutiva. Ci verremmo a trovare in un guaio pazzesco, con una guerra civile, un santuario di terrorismo e una questione di immigrazione.
  Concludendo, quello che io dico ai nostri Ministri è che, al di là di quello che ci dicono e di quello che possono dirci, prestiamo attenzione: o noi in Libia riusciamo davvero a far funzionare la comunità internazionale e a tutta la rete di rapporti che abbiamo – fortunatamente, Renzi, la Commissione affari esteri e i nostri Ministri con l'Egitto hanno stabilito un rapporto solido; dall'Egitto è evidente che si debba dipanare una trama politico-diplomatica che coinvolga altri Paesi arabi – o quella diventa una situazione decisiva, che non può essere lasciata nelle mani dell'ONU e di Bernardino León.
  Io mi auguro che ci sia solo un formalismo diplomatico che dice «ONU e Bernardino León», ma, se, invece di essere un formalismo diplomatico, rimangono Bernardino León e ONU in quei termini, ci troveremo di fronte a dei guai serissimi. È una questione troppo seria, che riguarda troppo fortemente gli interessi italiani, per essere lasciata in mano a Bernardino León e al modo con cui ha gestito finora questa situazione.
  Grazie.

  GIAN PIERO SCANU. Caro presidente Cicchitto, mi permetta di dichiarare pubblicamente la mia antica simpatia nei suoi confronti e di poter ascrivere, quindi, alla sua bonomia l'aggettivazione che ha voluto rivolgere al popolo francese, al quale, viceversa, so che la lega una grande stima.

Pag. 22

  PRESIDENTE. Non era rivolto al popolo francese, ma a Sarkozy.

  GIAN PIERO SCANU. Io mi sto sforzando, ma lei mi deve anche dare una mano. Io sono convinto, conoscendo la sua fisiognomica, che lei intendeva dire che il popolo francese, con in testa il presidente, è un popolo verso il quale noi nutriamo i migliori sentimenti di rispetto e di amicizia.
  Fatta questa precisazione – non so quanto possa servire, ma di questi tempi è meglio dire certe cose – io vorrei esprimere nei confronti dei signori ministri un pieno e convinto apprezzamento per le relazioni che hanno svolto. È un apprezzamento pieno perché nel merito mi pare che abbiano affrontato per intero la problematica che noi attendevamo venisse esposta e rappresentata e convinto perché le cose che hanno detto sono, a mio modesto avviso, tutte meritevoli di approvazione.
  Tuttavia, mutuando dalle preoccupazioni che ha espresso poco fa anche il presidente Cicchitto, io credo che sia arrivato il momento di imporci tutti un cambio di passo. So che questa è un'espressione che viene usata a ogni piè sospinto, come l'altra «al netto di». Sembra che tutto sia riconducibile a queste espressioni, «al netto di» o «cambio di passo». Forse non meriterò da parte vostra la necessaria attenzione, ma non saprei esprimermi diversamente.
  Finora le cancellerie hanno fallito. Finora si è verificato ciò che, anche folcloristicamente, il presidente Cicchitto, che mi onoro di citare per la terza volta, ha voluto ricordarci.
  Aggiungo, non per essere cattolico o per venir meno al dovere di laicità, che, oltre alla carissima Bonino, alla quale auguriamo tutte le cose più belle, qualcosa ha fatto anche Papa Francesco per impedire agli americani un intervento disinvolto mirato a far fuori quello che oggi è stato esplicitamente individuato come un nuovo interlocutore e, quindi, potenzialmente anche come un nuovo alleato.
  È però assolutamente clamoroso che noi dobbiamo rincorrere non la storia, che, per definizione, è il frutto di una sedimentazione dei fatti, ma una cronaca che pare beffarsi delle cancellerie e dei popoli che queste cancellerie dovrebbero rappresentare. Più che uno scontro di civiltà, mi pare che sia in atto un'esibizione di stupidità, una manifestazione gigantesca di inadeguatezza e di incapacità a governare un pianeta che sembra stia dando posto soltanto a forme parossistiche di violenza e stupidità.
  Per evitare di farvi un «pippone», come dicono qui a Roma, io vorrei avanzare una proposta che credo possa avere un minimo di consistenza a partire dalla giornata odierna. Questa proposta io la rivolgo in primis al nostro Governo. È un invito che io mi permetto di rivolgere affinché questa nuova stagione, questo cambio di passo che gli eventi ci impongono possa essere affrontato anche con un atteggiamento di maggiore apertura, maturità e, se posso dirlo, laicità da parte della politica.
  Mi piacerebbe, per esempio, che, a partire dall'esame del decreto-legge che è in corso, ci fosse da parte del Governo un'apertura maggiore a comprendere anche, quando ci sono, le buone ragioni dei partiti di opposizione, che hanno un punto di vista diverso, rispetto al quale noi dobbiamo, come maggioranze, cercare di manifestare il massimo dell'apertura. Dobbiamo infatti pervenire – questa è un'esigenza che io mi auguro possa sostanziarsi e concretizzarsi a breve-medio termine – a una presa di coscienza collettiva e unitaria che veda, signori ministri, il Governo e il Parlamento non solo lavorare insieme, un obiettivo al quale da subito dobbiamo tendere e che io spero vivamente si possa realizzare, ma anche essere fedeli e corretti interpreti di un sentire comune.
  Ecco perché tutto questo sforzo non può essere fatto da due, seppur bravi e meritevoli, ministri, quali, per quanto possa valere il mio modesto parere, voi certamente siete. È uno sforzo soprattutto di tipo culturale che deve abbracciare tutto ciò che si sviluppa in un Paese come Pag. 23il nostro, che deve affrontare il problema degli immigrati, nonché – io vorrei che lo facesse col sorriso e nella maniera più bonaria possibile – il problema di un'eccessiva loquacità (avendo io ormai più di sessant'anni, potrei dire incontinenza) da parte di taluni ambienti che dovrebbero scoprire quanto sia vero che il silenzio è d'oro. Occorre, quindi, una stagione di sobrietà che renda ancora più solenne l'attenzione e più responsabile la consapevolezza del Paese e che porti a livello europeo a farci riconoscere il diritto di svolgere un'azione – chiamiamola così senza illuderci troppo – anche di tipo pedagogico.
  Se è vero, come è vero, che c’è il problema del Mediterraneo e se è vero, come è vero, che c’è il problema dell'Europa che non c’è, è altrettanto vero che forse noi siamo i primi a non riconoscerci il diritto-dovere di poter svolgere una sorta di azione maieutica in un continente che non può restare ai margini com’è attualmente.
  Grazie.

  KHALID CHAOUKI. Ringrazio i Ministri Pinotti e Gentiloni per le loro relazioni. In particolare, io vorrei intervenire rispetto, ovviamente, alla drammatica strage di ieri a Tunisi e al rammarico per aver seguito, anche per ragioni culturali e di vicinanza con quel Paese, l'evoluzione di una democrazia e di un processo civile che forse non abbiamo sostenuto abbastanza, ma che rappresenta ancora oggi, voglio dirlo, l'unica possibilità di un'evoluzione non violenta nei Paesi a maggioranza musulmana in un quadro di democrazia, di laicità e di pluralismo.
  Quello che vorrei segnalare in questa sede, però, è che dobbiamo stare attenti a non stringere le nostre strategie in questo momento di contrasto solamente a un'ottica di contrasto e, giustamente, di guerra al terrore e al terrorismo. È molto importante e interessante la strategia proattiva per il Mediterraneo che ha illustrato il Ministro Gentiloni. Al suo interno io credo che sia molto importante dedicare uno spazio importante alla prevenzione e al contrasto del radicalismo.
  Questa è oggi la sfida vera. Oltre a effettuare il contrasto, dobbiamo eliminare gli spazi del reclutamento, i luoghi in cui questa ideologia trova spazio e continua a trovare spazio tra i giovani, non solo tra i giovani dei Paesi a maggioranza musulmana, ma anche tra i giovani europei. I casi di giovani che continuano a tentare di arrivare in Siria dall'Inghilterra o da altri Paesi europei ce lo dimostrano.
  Su questo tema io penso che il nostro Paese possa oggi giocare un ruolo importante, data la buona reputazione, il dialogo e l'amicizia che ha con i Paesi della coalizione a maggioranza musulmana. Noi dobbiamo rendere più visibile quest'alleanza, questo patto contro il radicalismo.
  Penso che il nostro Paese, soprattutto dopo il vertice degli Stati Uniti, un vertice che ha visto insieme davvero per la prima volta società civile, Governi di Paesi occidentali e Governi di Paesi islamici, possa oggi, anche alla luce della relazione privilegiata con l'Egitto, svolgere una funzione visibile per dare fisicità a questo patto, coinvolgendo per la prima volta forse sia i Parlamenti – rivolgo un appello anche a trovare una dimensione parlamentare di cooperazione in questa fase tra le diverse sponde del Mediterraneo – sia i Governi e le società civili, che sono una parola chiave in questa fase.
  Questo è un aspetto che io mi sentivo di sottolineare. Penso che in questa chiave manchi forse il ruolo del Ministero dell'interno. Noi dobbiamo davvero rendere visibile questo patto anche in chiave interna e domestica, perché questa non è una guerra solo esterna. C’è anche un tema di radicalismo interno all'Europa e anche al nostro Paese.
  Coinvolgere e rimettere alle loro responsabilità anche le minoranze musulmane in particolare in Italia penso possa rappresentare una dimensione importante. Saluto, quindi, con favore anche l'iniziativa del Ministro Gentiloni quando ha coinvolto gli ambasciatori. Questo è un segnale fondamentale e importante Pag. 24anche rispetto all'ISIS, che ha tutto l'interesse a dipingere una guerra tra Occidente e Islam.
  Chiudo dicendo anche che – è una domanda al Ministro Pinotti in particolare – rispetto alla Tunisia in questa fase non possa essere decisivo sostenere il controllo delle frontiere tra la Tunisia e la Libia. Il tema dei foreign fighters per la Tunisia è un tema molto delicato. Chiedo se nell'ambito dell'EUBAM si potrebbe prevedere un rafforzamento vero e concreto in questi momenti del controllo della frontiera tra Libia e Tunisia.
  L'ultimo punto è una domanda al Ministro Gentiloni rispetto ai negoziati sulla Libia. Sappiamo che questo è diventato anche teatro di un conflitto anche regionale, perché ovviamente abbiamo due prospettive diverse: Qatar e Turchia, per la loro vicinanza alle aree di Tripoli, e, ovviamente, la parte di Egitto ed Emirati.
  In questo senso, come vede il nuovo re dell'Arabia Saudita e qual è la funzione che l'Arabia Saudita potrebbe svolgere in questo momento per riavvicinare le prospettive dei Paesi della regione e cercare di mettere insieme due realtà che rischiano di compromettere anche l'equilibrio e la stabilità della stessa Libia ?

  MASSIMO ARTINI. Cercherò di essere breve, anche perché effettivamente le trattazioni hanno esteso il discorso. Penso, in particolare, all'intervento di Amendola, ma anche a quelli di Minzolini e di Palazzotto, nonché a quello del presidente Cicchitto. Quella era la parte per me fondamentale in questo momento da trattare.
  È tanto fondamentale che mi viene da chiedere ai presidenti e ai ministri, come disponibilità per il Governo, se non potrebbe essere il caso di creare un qualche strumento – potrebbe essere anche un'indagine delle Commissioni congiunte – che ci dia la possibilità di avere da parte vostra delle informazioni costanti e anche tempestive. Avendo creato la cornice legislativa, occorrerebbe un punto in cui si possa chiamare riferire o il Ministro degli affari esteri o il Ministro della difesa in merito alla Libia.
  Una delle domande che ci siamo sempre fatti anche durante la trattazione delle riforme costituzionali sulla modifica dell'articolo 78 era l'impossibilità segnalata da alcuni ministri di comunicare velocemente al Parlamento la situazione. Io penso che, in una situazione come quella della Libia, di fronte alla creazione di un dispositivo militare – chiamarlo Mare Sicuro è un'analogia – che, né più, né meno, sposta le nostre Forze armate marittime e navali in una zona proprio a rischio, si potrebbe pensare che questo sia propedeutico non solamente a un discorso di protezione, ma anche a un discorso successivo eventuale di possibilità di dispiegamento. Io non lo voglio pensare e non lo auspico, ma, essendo molto più vicini a quella zona, indubbiamente è più facile farlo.
  Chiederei, dunque, di avere questo tipo di informazioni. Chiedo anche di riportarle al Senato come tipo di disponibilità o di trovare una forma che ci offra un modo di accedere a questa rapidità e tempestività di informazione. Da parte di tutte le forze politiche, in maniera più o meno competente, c’è chi l'ha fatto presente ed effettivamente c’è una forte attenzione.
  Sempre sulla Libia volevo fare due piccoli spunti. Riprendendo l'argomentazione sulla neutralità e su quello che è attualmente l'appoggio, confermato anche dal presidente Cicchitto, verso la linea d'azione egiziana – che non è tendenzialmente neutrale – vorrei capire qual è la strategia che ci consente di essere attori per entrambe le fazioni, a fronte del fatto che comunque il nostro appoggio alla parte egiziana è preponderante.
  Un altro spunto, che riguarda anche l'immigrazione, o che in parte la può riguardare, ed è un tema che nasce anche nelle Aule parlamentari, è la proposta auspicata da Bernardino León di attivare un blocco navale sulle coste libiche. Posto che questa idea non mi trova molto favorevole, volevo sapere qual è la posizione del Governo.
  A fronte di questo – mi introduco un attimo nel tema dell'immigrazione – mi Pag. 25chiedo se ci siano modalità che permettano di non trattare l'immigrazione sulle coste libiche, ma di pensare a uno strumento come i corridoi umanitari in zone meno critiche, dove è più facile fare un sistema di certificazione e di controllo dei flussi degli eventuali rifugiati. Penso a zone che possono essere prossime al Corno d'Africa, oppure nella zona centrale del Sahara, oppure nella parte medio-orientale, come in Libano, dove c’è già una presenza nostra. È una valutazione da fare.
  Mi ricollego allo spunto iniziale della possibilità di svolgere un'indagine conoscitiva. Potrebbe essere interessante non solo avviare questa possibilità di intervento immediato e tempestivo da parte del Governo, ma anche rendere ancora più consapevole il Parlamento sulla situazione, avvalendoci di personaggi che indubbiamente hanno questa competenza. Penso all'ambasciatore Buccino, che è da poco tornato dalla Libia, a vari Capi di stato maggiore, al Capo di stato maggiore dell'Esercito, che in questi giorni si è pronunciato, al generale Graziano, che dovrebbe avere una visione della situazione che si può prospettare in Libia. Avviare ciò in questa cornice potrebbe essere un sistema per rendere noi il più possibile edotti sulla situazione.
  Sempre parlando di Libia e trattando il decreto-legge di proroga delle missioni internazionali, lei, Ministro, ha detto che intende sospese le missioni in Libia e quelle della Guardia di finanza perché effettivamente il numero delle persone presenti è pari a zero. Le riporto, in particolare, un emendamento che ho presentato in merito alla sospensione di tali missioni.
  Non so qual è il parere del Governo, ma chiedo di valutarlo in particolare. La sospensione non prevedrebbe il blocco dello stanziamento dei fondi, ma la domanda che le faccio io – glielo chiedo espressamente – è a cosa servono quei fondi se le missioni sono sospese e se non c’è nessuno. Trattandosi di un intervento previsto per i prossimi otto mesi, a questo punto, vorrei capire a cosa serve quello stanziamento.
  Sempre sull'immigrazione e su Active Endeavour – mi rivolgo in particolare al Ministro degli affari esteri – Triton, alla luce dei fatti, negli ultimi mesi (io ero a Lampedusa nel fine settimana) bene o male è utilizzata per un mero controllo delle frontiere, ma anche per il supporto alle azioni SAR della Guardia costiera. Prima ci sono stati degli scontri con le altre nazioni europee, le quali poi hanno compreso qual è il flusso biblico degli immigrati, che è quasi del 50 per cento maggiore rispetto all'anno scorso ora, pur essendo inverno.
  L'idea è che anche in questo decreto-legge si possa introdurre qualcosa che vada a sopperire, come giustamente diceva il presidente Cicchitto, il periodo aprile, maggio e giugno, ossia l'estate, che sarà, secondo me, un periodo drammatico, a fronte dell'esperienza attuale.
  Inoltre noi abbiamo un aumento non lineare della Active Endeavour. Se nel precedente decreto-legge copriva circa sei mesi e in questo ne copre nove, siamo passati dagli 8-8,5 milioni di euro a 19 milioni.
  Faccio una considerazione che faceva anche il relatore Manciulli in fase di discussione del decreto-legge. Ocean Shield è in fase di chiusura da parte della NATO. Noi non vi partecipiamo perché tendenzialmente è una missione che sta morendo. A quanto mi è dato sapere, però, la NATO sta trasferendo quelle competenze direttamente su Active Endeavour, ragion per cui mi domando se stiamo rimpolpando Active Endeavour anche per sopperire a eventuali altre missioni che sono integrate da parte della NATO.
  Svolgo gli ultimi due spunti, presidente, e concludo.
  Uno è sull'Afghanistan. In questo decreto-legge questa è una delle parti più ignorate da tutti, per quanto sia sempre una componente che, tra la cooperazione (120 milioni di euro) e la componente militare, interessa una gran parte delle risorse stanziate.Pag. 26
  Io mi chiedo – questo è ciò che mi preoccupa – come sia stato possibile applicare il concetto SFA (Security Force Assistance) della NATO, che avrebbe dovuto essere implementato per le forze afgane e che era in situazioni di avvio drammatiche in base alla matrice di risultato da parte della NATO. Mi chiedo come si fa, di qui a giugno, ad applicare alle forze afgane quel concetto, se funziona, e successivamente a trasferirsi a Kabul con sicurezza, non per noi, ma per gli afgani, per cui ci siamo spesi, a detta di molti, per undici anni. Vorrei capire quali sono poi i risultati.
  Concludo con l'ultima parte, che riguarda la missione di supporto aeronautico nel Baltico che lei già indicò quando presentarono il libro Prospecta dello stato maggiore dell'Esercito.
  Questa è già un'importante presenza ed effettivamente ha anche funzionato. Quello che mi chiedo, con un parallelismo verso l'Ucraina – è una domanda secca che ho fatto anche al Ministro Gentiloni quando venne a riferire sulle politiche estere del Governo e poi concludo – è se ci sia una volontà da parte dell'Italia di partecipare a eventuali esercitazioni NATO che potrebbero tenersi in Ucraina.
  Averne una posizione certa sarebbe importante, se ci fosse, ma non è dato sapersi.
  Sempre sull'Ucraina, mi è venuta un'ultima domanda. Riguarda il fenomeno dei combattenti stranieri. In Ucraina esistono per entrambe le fazioni combattenti italiani, il che è certificato, in quella zona. A differenza dei foreign fighters, dei jihadisti, per come sono trattati nel decreto-legge, quelle persone lì è corretto che siano in quella situazione, ma non vengono prese in considerazione. Volevo una valutazione da parte vostra su questo.
  Grazie.

  ELIO MASSIMO PALMIZIO. Ringrazio i Ministri per le loro relazioni. Devo dire che il dibattito che ne è nato è un dibattito che dimostra il fortissimo interesse delle Commissioni di competenza e del Parlamento intero per gli avvenimenti nel Mediterraneo, senz'altro, ma anche per il resto del nostro mondo. Sarebbe meglio riuscire ad avere più tempo per questi dibattiti e avere un'informazione continuativa ed esaustiva su quello che avviene soprattutto nel Mediterraneo in questa fase.
  Ritorno, però, all'argomento specifico. Sono due le questioni che volevo sottolineare e chiedere al Ministro della difesa. La prima riguarda non tanto Mare Sicuro, quanto l'esercitazione Mare Aperto. Non so se sia già finita o meno, ma comunque coinvolge, di fronte alle coste del Nord Africa, il fior fiore della nostra flotta.
  La domanda che io pongo è se questa esercitazione, che per due anni è stata sospesa per Mare Nostrum, sia una normale esercitazione o sia propedeutica a un intervento militare, in termini difensivi magari. Penso alle piattaforme petrolifere di Sabratha, per esempio, o alla centrale del gas di Mellita. Credo che sia opportuno che le Commissioni sappiano esattamente qual è l'intenzione del Governo su questo fronte. Non è una domanda polemica, anzi, io sono d'accordissimo che la nostra flotta vigili di fronte alle coste libiche e tunisine anche in questo momento, nonché verso l'Egitto, ovviamente.
  La seconda domanda, invece, riguarda l'annosa questione dei nostri fucilieri di Marina. Nella legge n. 28 del 2014 fu deciso che non avremmo mandato avanti né la missione NATO, né la missione UE Atalanta fino a quando non avessimo avuto maggiori dettagli e rassicurazioni su quello che sarebbe successo. Nel decreto-legge in esame una delle due missioni è stata effettivamente sospesa, mentre l'altra viene mantenuta con un costo superiore al costo delle due missioni nell'anno precedente.
  Personalmente, ho presentato un emendamento in cui tendo a chiudere per ora anche la missione europea Atalanta e mi chiedevo perché questo non sia stato fatto dal Governo.
  Grazie.

  ANDREA MANCIULLI. Io concordo con l'inizio dell'intervento del senatore Minzolini sul fatto che l'occasione della Pag. 27visita del Segretario della NATO sia stata in parte sprecata. Dico in parte perché, in realtà, devo dare atto a questo Governo che si è battuto, a cominciare dal vertice del Galles, per portare l'attenzione sul Mediterraneo in maniera determinata.
  È senza dubbio vero che la NATO non è attenta al quadrante mediterraneo come dovrebbe, ma c’è uno spostamento positivo. In quell'occasione, secondo me, l'iniziativa non è andata particolarmente bene anche perché è stata parecchio aiutata da noi stessi, che, invece di intervenire nel merito, cercando di focalizzare le vicende strategiche, ci siamo persi sulle capre zucche. Stoltenberg è stato, da questo punto di vista, enormemente facilitato.
  Io voglio portare un mio contributo sulla vicenda terrorismo. Io credo che noi cominceremo a vincere questa battaglia sul serio nel momento in cui capiremo che abbiamo di fronte una strategia precisa, che, del resto, è stata scritta. Nel 2004 Bin Laden pubblicò, infatti, un programma che si chiamava Per un nuovo ordine mondiale. Se uno lo legge, legge il dipanarsi degli eventi.
  Ciò cui stiamo assistendo, che sta rendendo l'ultima fase più preoccupante, è che da una situazione nella quale c'era un solo attore, al-Qaeda, siamo entrati in una situazione in cui ci sono due attori, perché al-Qaeda si è rotta in corrispondenza con la crisi di Bin Laden e poi con la sua morte – la crisi è avvenuta prima della morte di Bin Laden – quando la costola irachena di al-Qaeda ha deciso, vedendo il dipanarsi della vicenda irachena e della vicenda siriana all'orizzonte, di intraprendere una nuova forma di lotta, che non fosse soltanto quella del terrorismo globale, ma anche quella dello scontro sul terreno passando in modalità convenzionale.
  Strada facendo, lo stesso gruppo ha deciso di aprire anche un'altra forma di lotta, quella mediatica, che è quella che in questo momento sta davvero creando la situazione più complicata. In questo momento si sbaglia a considerare solo la vicenda dello Stato islamico come il problema. È evidente che è in atto una competizione per la supremazia del jihadismo fra al-Qaeda casa-madre e Stato islamico, nella quale l'offensiva, soprattutto mediatica, e il miraggio di uno Stato costruito sul terreno finiscono per oscurare le vicende del terrorismo tradizionale di al-Qaeda, spostando al-Qaeda sul terreno per cui, se vuole dimostrare di esistere, può solo colpire. Non è un caso che gli attentati di Copenhagen e di Parigi siano tutti legati alla filiera yemenita della penisola arabica di al-Qaeda.
  Questa ebollizione, questa competizione è, a mio avviso, il principale rischio, che sta in questa strategia. Io penso, da questo punto di vista, che, a cominciare da noi, prima si definisce una strategia complessiva su questo tema, prima si fa. In questo senso è confortante che, per esempio, gran parte del Parlamento abbia deciso di impegnarsi comunemente in uno sforzo che, a mio avviso, va tradotto anche nelle prossime settimane.

  PRESIDENTE. Do la parola ai Ministri per la replica.

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Ringrazio tutti gli intervenuti per il tempo che abbiamo dedicato alla discussione e per il clima di dibattito costruttivo interessante. Affronto rapidissimamente le questioni puntuali e poi un tema più generale.
  Parto dalla curiosità del presidente Casini – rispondo anche se lui non c’è – su questa idea del Presidente egiziano al-Sisi. Il Presidente al-Sisi, in sostanza, sta cercando di promuovere, in vista del vertice della Lega Araba, che si tiene alla fine della prossima settimana in Egitto, la costituzione di una forza multinazionale antiterrorismo della Lega Araba. Ovviamente, sarebbe un ottimo contributo alla coalizione antiterrorismo in generale, ma io però non credo che sia automaticamente condivisa da alcuni componenti della Lega Araba. A me sembra una buona idea, ma non dipende da noi, naturalmente.
  Passo alla seconda questione. Io sono assolutamente disponibile, quando le Commissioni Pag. 28lo riterranno, alla proposta che faceva il presidente Vito.
  Per quanto riguarda alcune altre questioni specifiche, Chaouki parlava del ruolo dell'Arabia Saudita. Sarebbe un discorso, ovviamente, molto lungo e complicato. È evidente che l'Arabia Saudita ha un ruolo fondamentale di stabilizzazione in tutto il settore. È un Paese cruciale del mondo arabo.
  Non possiamo, però, ignorare che c’è una linea di tensione, una linea di faglia tra Arabia Saudita e Iran che attraversa praticamente tutto l'arco della crisi e che in molti teatri contribuisce anche alla stabilità, per dirla in un minuto. Sono materie che, peraltro, l'onorevole Chaouki conosce bene.
  Quanto a Triton-Frontex, io penso che l'Europa possa fare molto di più. Ha risposto molto rapidamente a una richiesta di rifinanziamento di emergenza, ma penso che possa fare molto di più e ho l'impressione che intenda fare di più. Questa mi sembra l'idea del commissario Avramopoulos, che è responsabile di quest'Agenzia per l'immigrazione.
  Naturalmente, noi dobbiamo sapere che non tutti i Paesi europei sono favorevoli a fare di più per Frontex-Triton e dobbiamo sapere che alcuni Paesi europei hanno un impegno sul terreno delle migrazioni che è diverso dal nostro, ma che non è trascurabile.
  Faccio un solo esempio. La Germania nel resettlement dei rifugiati siriani ha attorno a 60-70.000 profughi siriani accolti nel proprio territorio, che sono numeri rilevanti. Ciò non toglie che il fenomeno migratorio o di immigrazione irregolare largamente dominante in Europa sia quello che dalla Libia va verso le coste italiane e che l'Europa non può far finta che non sia questa la priorità assoluta.
  Quanto a Egitto e Libia, noi, ovviamente, abbiamo rapporti molto forti e positivi con l'Egitto da tutti i punti di vista. Siamo perfettamente consapevoli che per l'Egitto, come del resto anche per noi, la questione libica è una questione di sicurezza nazionale. Comprendiamo il sostegno al Governo di Tobruk e anche noi riconosciamo, alla luce del risultato elettorale, il Parlamento di Tobruk. Pensiamo – in questo politicamente siamo d'accordo con l'Egitto, ma noi siamo molto insistenti su questa questione – che si debba trovare un accordo più largo, perché è chiaro, e l'esperienza di questi anni ce lo dimostra in tutti i teatri di crisi, dall'Iraq a quello che volete voi, che, più larga è la base di accordo su cui costruire, più facile sarà per la comunità internazionale investirci sopra.
  Infine, molti interventi hanno ragionato su un tema più generale. Il senatore Minzolini diceva che bisogna lavorare perché il Mediterraneo sia un po’ più al centro dell'agenda. Io direi che, se fosse questa la questione, potrei rivendicare buoni risultati. Tutto sommato, il Governo italiano è riuscito in questi mesi nei diversi teatri – NATO, Unione europea, G7, G20 – a portare la questione mediterranea in un posto alto dell'agenda.
  Da questo a dire, però, che lo sia il tema che diversi interventi sollevavano – penso a quelli di Amendola, Cicchitto, Minzolini, Scanu e altri – cioè qual è il nuovo equilibrio multipolare che noi costruiamo nel Mediterraneo, ce ne corre. È chiaro che noi abbiamo delle idee come Italia. Io ho detto due cose rapidissime, ma le possiamo argomentare molto meglio.
  Dobbiamo essere consapevoli, però, senza angoscia, che si tratta di ricostruire un equilibrio multipolare sulla base del venir meno di alcuni pilastri storici, che sono i confini di un secolo fa, il ruolo dominante della NATO e degli Stati Uniti in quest'area, l'impostazione tradizionale che la questione si possa risolvere nelle relazioni bilaterali fra Unione europea e Paesi rivieraschi. Tutte queste cose sono ancora lì, perché i confini ci sono ancora, il ruolo della NATO resta fondamentale e il bilaterale Unione europea-Paesi rivieraschi lo è altrettanto, ma un nuovo equilibrio multipolare è un esercizio su cui l'Italia deve cimentarsi, ma su cui anche tra di noi ci deve essere una discussione più approfondita.Pag. 29
  Chiedo scusa al Ministro Pinotti, ai presidenti e a tutti voi, ma io ho il presidente della regione Lombardia che mi aspetta da un po’ e non vorrei creare una crisi istituzionale.

  ROBERTA PINOTTI, Ministra della difesa. Anch'io vi ringrazio per questa discussione. È sempre importante questo confronto con il Parlamento, per le cose puntuali che sono state dette, ma io penso che l'elemento più significativo sia una visione comune uscita da moltissimi interventi.
  Ho sentito molti, tra cui Amendola, Minzolini, Scanu e altri, porre l'attenzione su come noi abbiamo bisogno di rivoluzionare quella che finora è stata la geostrategia, ma anche essere molto certi che gli strumenti che abbiamo adesso, come il decreto-legge in via di conversione, siano funzionali alla strategia che noi ci stiamo dando.
  Vi assicuro che questo è il lavoro che si sta facendo, ascoltando anche con attenzione i suggerimenti che vengono dal Parlamento. Per esempio, decidere un disimpegno più significativo di quanto richiesto in Afghanistan, pur non potendo disimpegnarci immediatamente, fa seguito a discussioni che abbiamo fatto insieme. Questo non perché ci vogliamo disimpegnare dai problemi di sicurezza, ma perché capiamo che oggi questo è il centro. L'Italia – per il ruolo che ha, per dove è e per i rischi che corre – non può che giocare un ruolo in questo senso.
  Quando vi ho detto che io ho visitato o che sono venuti da me in visita tutti i Ministri dei Paesi balcanici e tutti i Ministri dei Paesi del Nord Africa, con cui abbiamo pensato a delle collaborazioni in funzione antiterrorismo o di formazione congiunta, ciò è funzionale a questo tipo di strategia, ossia di poter svolgere un ruolo rispetto al fatto che noi percepiamo, come voi, che questo rischio terribile che si sta configurando intorno a quest'area è un rischio su cui noi non possiamo pensare di non agire con tempestività.
  Su questo concordo con quello che diceva il Ministro Gentiloni. Pensate che nell'ultimo vertice dei Ministri della difesa della NATO inizialmente, nell'ordine di priorità dei dieci punti principali su cui la NATO doveva lavorare, non c'era il fronte sud. C’è stato un lavoro molto importante, fatto dai funzionari – noi abbiamo l'ambasciatrice che lavora in sede NATO, ma ovviamente abbiamo riportato la questione in sede politica – e il fronte sud è diventato uno dei punti considerati fra le priorità della NATO.
  Prima, è vero, si parlava quasi solo di est, quando noi vedevamo davanti a noi l'idea addirittura di un terrorismo che si fa Stato, il tema della Libia che non trovava pace, anzi, purtroppo andava via via degenerandosi. Da questo punto di vista anch'io penso che ci sia stata una sottovalutazione internazionale.
  Io penso che il lavoro che abbiamo fatto sia importante, ma non penso che sia sufficiente, perché sento, come voi, l'urgenza. Anche sulla Libia capisco perfettamente l'intervento del presidente Cicchitto. Capiamo tutti che, senza un accordo fra le parti e per il fatto che non ci sia un'intesa internazionale, è molto difficile l'intervento. Nello stesso tempo percepiamo come esista un'urgenza rispetto a questo intervento, perché il fatto che un Paese così grande, con tutte le ricchezze che ha, possa non essere, come adesso, infiltrato da elementi di ISIS, ma addirittura diventare uno dei punti di questa configurazione pseudo-statuale che si sta configurando è ovviamente un elemento che ci pone in grande preoccupazione.
  Io credo che sia utile e serio, in un momento in cui, anche dopo i fatti della Tunisia e dopo quelli che sono successi in Francia, vediamo intorno a noi rischi che sentiamo direttamente sulla nostra pelle, non solo perché drammaticamente questa volta abbiamo avuto anche dei morti italiani, ma anche perché siamo lì, in mezzo, che ci sia una sintonia più forte nel lavoro fra Governo e Parlamento.
  Gli strumenti che deciderà il Parlamento saranno quelli ai quali noi aderiremo – vedrete come – ma certamente ci deve essere massima disponibilità. Ancora certamente c’è lo sforzo economico, diplomatico Pag. 30e militare, ma penso che l'idea di un'unità del Paese contro i fenomeni di rischio di terrorismo che possono nascere, di un'azione che faccia condividere questo aspetto da tutti sia fondamentale.
  Passo alle questioni più specifiche che mi sono state poste. Per quanto riguarda le missioni antipirateria, ricordo che l'emendamento approvato nel precedente decreto-legge non era chiudere Atalanta e Ocean Shield, ma valutare. Questo lo ricordo perché non c’è stato alcun venir meno a un impegno preso. Infatti, quello che vi ho proposto nella relazione è stata una valutazione.
  Da un lato vorrei specificare perché servono. È vero che adesso, fortunatamente, il fenomeno della pirateria è in discesa, anche grazie a tutte queste missioni che sono state fatte, ma non c’è dubbio che, se una nostra nave mercantile si trova in difficoltà, non avere alcuna nave italiana impegnata in queste missioni non è una situazione che danneggia i nostri alleati e che può pesare rispetto a quello che l'India sta facendo, bensì è una situazione che va direttamente a colpire un interesse italiano.
  La scelta di rimanere in Atalanta e non in Ocean Shield è dovuta al fatto che abbiamo ritenuto di valorizzare lo sforzo che l'Europa ha fatto con una mozione molto impegnativa per quello che riguardava la vicenda dei nostri due fucilieri.
  C’è, però, anche un motivo determinato dal fatto che non sono altri che ci chiedono di stare in queste missioni perché interessa loro che ci stiamo. C’è il fatto che comunque in queste missioni, nel caso una nave italiana si trovasse assalita dai pirati, questa non saprebbe a quale autorità nazionale potersi rivolgere. Non è la stessa cosa chiamare una nave straniera. Deve esserci in un consesso di missione internazionale anche una presenza italiana.
  Ci sono state alcune domande del senatore Santangelo. Nella relazione tecnica che trovate nelle missioni trovate anche la risposta a gran parte di quelle domande. Ovviamente, questa è una relazione che dice lo stato del passato. Sapendo che è in discussione in questo momento anche il decreto-legge sulle missioni, ho parlato anche di quello che state discutendo in questo momento.
  Nella relazione tecnica si trovano costi e perché. Dopodiché, se avete bisogno di delucidazioni, possono essere fornite. Alla domanda perché costino i mezzi anti-ISIS che in questo momento stiamo utilizzando, la risposta è che quattro Tornado, due Predator e un aereo da rifornimento, che per di più stanno facendo moltissimi interventi, ossia moltissimi voli, sono un costo elevato e sono quello che viene scritto nel decreto-legge.
  Per quanto riguarda chi sono, io credo di aver sempre detto che si tratta di 280 militari che andranno o ad addestrare o a essere consiglieri militari e che gli altri sono aeronautici che in questo momento sono nella base in Kuwait.
  Io sono andata a visitarla e ho visto che il lavoro che è fanno straordinariamente importante, perché, in una situazione come quella che si è creata, mentre i primi obiettivi erano visibili e, quindi, gli aerei della coalizione potevano colpirli in modo semplice, gli obiettivi sono diventati poi molto più innestati nel tessuto generale.
  Andare con precisione a capire dov’è il rischio e non colpire qualcosa che, invece, col rischio non ha nulla a che fare, è più difficile. Avendo noi i Tornado che lavorano insieme ai Predator, ossia agli aerei senza pilota, che riescono a fare un collegamento fra la visione che fanno questi più generale e quella puntuale che fanno i Tornado ci consente di compiere un'opera assolutamente importante per quello che riguarda l'intervento della coalizione.
  Sul finanziamento della missione in Libia che si chiude troverete un emendamento del Governo che chiede di togliere tale finanziamento. Quando è stato scritto il decreto-legge, non si era ancora previsto di chiudere la missione. Sapete che l'abbiamo scritto prima. Poi è successo che abbiamo dovuto ritirare e, quindi, ovviamente troverete questo.
  Sull'Afghanistan ho esposto i risultati. L'impegno dell'Italia anche da un punto di Pag. 31vista finanziario, per impegni che sono stati assunti per la ricostruzione delle forze armate afgane, credo sia importante. Ovviamente, seguiremo con attenzione l'evoluzione, ma, ritornando alla premessa che ho fatto, noi adesso abbiamo delle priorità che sono molto vicine a noi.
  Sul Baltico abbiamo fatto un'operazione che facciamo di routine e che abbiamo continuato, perché in quel momento c'erano molti aerei che sconfinavano. È una missione di sicurezza aerea quella che fanno gli Eurofighter da noi, per quello che riguarda il nostro cielo. Se qualcuno sconfina e non si capisce perché, si avvicinano e si danno gli avvisi. Non è mai successo alcun incidente, ma sono stati molti i sorvoli di aerei russi che sconfinavano.
  In una situazione in cui noi vogliamo che lì il clima si rassereni, rassicurare i Paesi baltici rispetto al fatto che non ci saranno intromissioni esterne, nello stesso tempo facendo un lavoro che, però, è un lavoro di sicurezza dei cieli, non un lavoro aggressivo, bensì un lavoro di controllo e di polizia area, ci è sembrato fosse un segnale importante.
  Ci è sembrato un segnale importante perché l'Italia potesse dire, come sta dicendo: «Noi capiamo anche le preoccupazioni dei Paesi dell'est, ma voi non potete non capire le preoccupazioni che noi vi stiamo portando e, quindi, non solidarizzare, anche con missioni, che devono diventare missioni della NATO, con la situazione che noi ci troviamo a vivere rispetto al fronte sud».
  Qui veniamo alle missioni marittime. Active Endeavour è una missione antiterrorismo nata nel lontano 2001, subito dopo l'attacco alle Torri Gemelle. In realtà, queste sono missioni che fanno un'operazione di sicurezza marittima. Active Endeavour è una missione in cui noi abbiamo una nave, che è spostata sulla parte est del Mediterraneo. È vero che non è mai stato «preso» un terrorista, ma la missione, in questo caso, è anche in grado di prevenire e di fare deterrenza e non soltanto di fare interventi diretti.
  Quello che noi stiamo mettendo in campo – qui vengo a Mare Aperto e poi a Mare Sicuro – è un'altra cosa. Mare Aperto è un'esercitazione che abbiamo ripreso, un'esercitazione piuttosto corposa e significativa. Perché questo ? Intanto perché non c'era più Mare Nostrum. Era una delle esercitazioni programmate, ma in questo momento non c’è dubbio che noi abbiamo un rischio che può venire dal mare.
  Da Mare Aperto trasformiamo questa esercitazione, con un emendamento del Governo, in cui, ovviamente, verrà fornita la copertura, in una missione, che diventa Mare Sicuro, che non è una missione internazionale. È come Strade Sicure, cioè è una missione riferita alla sicurezza dei nostri mari.
  Perché ? Mi riferisco anche a tutto ciò che ogni tanto viene discusso anche qui. Noi non abbiamo evidenze che ci siano terroristi che si sono infiltrati tra gli immigrati. Non abbiamo alcuna evidenza di questo. Tuttavia, non c’è dubbio che dobbiamo vigilare perché questa situazione non avvenga.
  Noi abbiamo delle piattaforme off-shore in acque libiche, dove non andiamo, ma potrebbero esserci esigenze di sicurezza e dobbiamo essere pronti a intervenire.
  La raccolta di informazioni, che è una delle operazioni che vengono fatte nelle questioni di sicurezza marittima, in questo momento è fondamentale per capire se ci siano movimenti che potrebbero portarci a rischio.
  La missione non riguarda il blocco navale evocato dal León, né prevede eventuali altre evoluzioni che in questo momento non ci sono. È una missione impegnativa, che utilizza navi e aerei, perché in questo momento pensiamo che quello possa essere un elemento di rischio, che noi vogliamo presidiare come presidiamo gli obiettivi sensibili. Con Strade Sicure abbiamo aumentato fino a 5.000 i militari che possono partecipare a questa missione.
  Allo stesso modo il fatto che, in modo un po’ irrituale, questa volta, il decreto-legge sulle missioni internazionali sia stato accorpato alle disposizioni sull'antiterrorismo dipende dall'esistenza di un Pag. 32legame logico: noi facciamo sicurezza esterna, ma abbiamo bisogno anche di fare sicurezza interna.
  In questo momento, con un terrorismo che si fa Stato, noi abbiamo bisogno di unire la missione anti-ISIS che abbiamo in Iraq con le misure di attenzione che dobbiamo avere all'interno del nostro Paese. C’è una strategia. In questo momento, in cui, purtroppo, come ci dimostra quello che è avvenuto tragicamente ieri, i rischi stanno aumentando, noi stiamo cercando di mettere in campo tutto quello che ci può servire per prevenire.

  PRESIDENTE. Ringraziando i Ministri Gentiloni e Pinotti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.30.